#non finire mai
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ragazzoarcano · 2 years ago
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“Non è mai finita. Anche quando non si pensa più a qualcuno, come dubitare della sua presenza dentro di sé? Una persona che ha contato qualcosa conta per sempre.”
— Amélie Nothomb
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lilias42 · 8 months ago
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Inspiré de ces deux billets de Ladyniniane et utilisant ce picrew, les designs de certains de mes OCs version Picrew !
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Félicia et Ivy
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Héléna et sa soeur Myrina, sa soeur préférée et mère de Catherine (qui a un rôle plus important dans l'histoire que je suis en train de tenter d'écrire)
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Amalia, la mère de Ferdinand, avant et après son accident qui l'a rendu aveugle.
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Fregn (même s'il faut avouer, ce n'est pas très ressemblant mais, c'est le jeu avec les picrew) et Jihane, la grande soeur ainée de Claude (qui devrait bientôt apparaitre dans un petit texte avec son frère)
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janniksnr · 1 year ago
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lilium-in-blue · 2 months ago
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Ilaria Salis DIVINA finalmente qualcuno in questo paese dimmerda dice cose di sinistra
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chaotictomtom · 1 year ago
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moi y'a quelques semaines : super j'ai trouvé ces bonbons avec une boîte en métal parfaite pour que je puisse utiliser en palette pour mes aquarelles en tubes. jvais pas en abuser jsuis sûr hein si j'en achète encore après avoir fini cette boîte j'en mange mon chapeau
moi aujourd'hui avec 6 boites vides de vosgienne + une entamée par moi + une autre par bf + une remplie de côté :
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belteppismo · 2 years ago
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Secondo voi ho dei problemi se periodicamente ripenso al romanzo "L'appello" di D'Avenia e preparo una recensione dettagliata per giustificare quanto schifo che mi abbia fatto?
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mythicalthing · 2 years ago
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😴
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ancilla-hawkins · 2 years ago
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Riuscirò a vedere un (1) film su mubi prima che mi scada di nuovo l'abbonamento?
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falcemartello · 6 months ago
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•••
Papà mi diceva...
Per capire chi è un buon amico organizza una festa .
Fai una festa bellissima,prendi buone birre e dei vini.
Prendi del buon cibo e che la musica di sottofondo sia bella, che possa accogliere tutti.
Mettila alta, ma non troppo.
Lascia che i vostri dialoghi non vengano coperti dagli assoli, invita amici, mi diceva, invitane tanti,
invita tutti gli amici che conosci e poi finita la festa lascia che ognuno prenda la via che preferisce.
Non forzare nessuno a rimanere, non convincere, non prolungare mai la festa,che le feste hanno origini più antiche di noi,sanno loro quando finire,tu saluta e augura la buonanotte a tutti
E osserva.
Osserva bene chi di sua volontà resta ad aiutarti, chi ti aiuterà a lavare i piatti, chi ti aiuterà a rimettere a posto, a sistemare le cose.
Questi,saranno i tuoi buoni amici, quelli che non ti staranno accanto quando la musica e il vino gioiranno con le tue buone lune.
I buoni amici sono quelli che rimarranno anche quando la tua vita avrà da offrire solo briciole e disordine e alla fine di tutto, mi diceva papà, ricorda, alla fine di ogni bellissima festa,alla fine di ogni momento epico,di ogni grande successo e di ogni impresa riuscita, vedrai che accanto a te resteranno sempre pochissime persone.
Ma quelle pochissime,ricordalo sempre, valgono tutto.
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me-soltanto-me · 3 months ago
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Sfogliarsi come libri, leggersi tra le righe, scriversi con gli occhi, toccarsi con la mente. Certi inizi non dovrebbero finire mai.
Capote
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ilciambellano · 3 months ago
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Nel nostro immaginario collettivo il “vero stupro” avviene nello spazio pubblico (un parcheggio, una stradina solitaria), la notte, e la donna, che indossa un abito scollato o la minigonna, è minacciata con un coltello o un’arma da fuoco da un mostruoso sconosciuto psicopatico. In realtà, questo scenario corrisponde solo a un’esigua minoranza dei casi. È dunque indispensabile decostruire questi pregiudizi sullo stupro, obiettivo che ci siamo prefissati con Noémie Renard, bioingegnera e militante femminista, che ha studiato, compilato, raccolto migliaia di statistiche e di studi sulle violenze sessuali, per farne un’opera notevole, “En finir avec la culture du viol.” Ecco le conclusioni di Renard.
– Gli stupratori non utilizzano quasi mai armi e non hanno bisogno di usare violenza fisica.12 Nel 70% dei casi le vittime non si divincolano perché sono paralizzate (dalla paura, perché non riescono a credere a quello che stanno subendo).
– Gli stupratori non sono dei “frustrati”. Non violentano per mancanza di rapporti sessuali consenzienti. Tutti gli studi sugli aggressori sessuali mostrano che hanno più partner sessuali rispetto alla media: una ricerca del 1990 rivela che l’89% degli uomini in carcere per stupro, prima della condanna, aveva rapporti regolari almeno una o due volte a settimana, di cui si diceva soddisfatto.
– Gli stupratori non violentano in preda a “pulsioni” incontrollabili: se così fosse, lo farebbero in mezzo alla strada, in pieno giorno, davanti a tutti.
– Gli stupratori non sono psicopatici. In Europa solo il 7% degli stupratori condannati ha un disturbo mentale. Al contrario, hanno un comportamento estremamente razionale: le loro azioni sono ponderate, premeditate, calcolate, per cercare di esporsi a meno rischi possibili.
– Lo stupratore è spesso “l’uomo qualunque” di ogni età ed estrazione. Il collettivo Féministe contre le viol che da anni ha una linea d’ascolto delle vittime, riporta che queste donne sono state violentate da agricoltori, medici, operai.
– Lo stupro è un reato molto più diffuso di quanto si pensi: in media tra il 25% e il 43% degli uomini dice di aver compiuto almeno una volta nella vita un’aggressione sessuale, o una penetrazione forzata.
– Gli stupratori non sono degli sconosciuti: l’80% delle vittime racconta di essere stato stuprato da uomini che conosceva: mariti, amici, vicini, professori, persone di famiglia.
Victoire Tuaillon - Fuori le palle. Privilegi e trappole della mascolinità.
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papesatan · 4 months ago
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Potevo avere 5 anni. A quel tempo eravamo soliti trascorrere le feste natalizie da alcuni zii, la cui casa in campagna diventava allora accogliente rifugio per parenti e amici. Portavo sempre con me un pupazzo a farmi compagnia, dato che i miei cugini, ormai adolescenti, avrebbero certo mal sopportato l'idea di giocare assieme. Ricordo ancora chiaramente quel pomeriggio: la sera saremmo stati dai miei zii come di consueto ed io mi sarei malannoiato fra i bigi discorsi degli adulti, urgeva perciò la Selezione. 
L'ambita Selezione avveniva per eliminazione diretta in scontri 1 vs 1. Ogni pupazzo s'affrontava in una moderna rivisitazione delle giostre medievali, allo scopo di conquistarsi il mio cuore. Come sempre accade, anche quel torneo era palesemente truccato, sicché alla fine trionfavano sempre gli stessi. Fra i grandi campioni, la più avvezza alla vittoria era senza dubbio la Pantera Rosa, un vecchio pupazzo che mi portavo sempre dietro, ovunque andassi. Dopo averla portata in trionfo quel pomeriggio, le promisi che ci saremmo divertiti, sarebbe stata una grande serata. Non sapevo, ahimè, che per noi sarebbe stata purtroppo l'ultima. Il mio giocarci difatti, a quell'età, trovava massimo sfogo nel lanciar in aria il malcapitato pupazzo, raccoglierlo per poi reiterare il gesto ad libitum. Uno di quegli sciagurati lanci però mandò la pantera talmente in orbita da farla finire dietro un'enorme e inamovibile credenza. A nulla valse piangere e disperarsi, la povera pantera restò lì (con sadico compiacimento di tutti gli astanti). Ricordo ancora il malinconico struggimento di quei giorni densi di colpa e mortificazione, le penose richieste e la perenne risposta ("Quando faremo pulizia"), i piani perversi studiati in dormiveglia per infiltrarmi in casa loro e riprendermi la pantera e il languido desiderio che mi s'accendeva a ogni fiera di paese, quando scorgevo fra i premi del tiro a segno un pupazzo simile a quello tanto amato e perduto. 
Sono passati trent'anni, dico d'aver dimenticato, ma una parte della mia infanzia è rimasta sepolta lì, dietro quella credenza, dove ho smesso definitivamente di credere agli adulti e ho imparato cosa vuol dire perdere qualcuno o qualcosa senza potergli dire addio. O almeno credevo, perché l'altro giorno chiama mia zia per dirci che finalmente, dopo trent'anni, hanno fatto pulizie e spostato la credenza, trovandovi "un giochino di quando Giuseppe era bambino, non so se se ne ricorda ancora..." Ah, zia ingenuotta! Non pensavo che questo giorno sarebbe mai arrivato, così sulle prime ho pensato, "chissà se mi riconoscerà dopo tutto questo tempo..." "del resto anche casa nostra è cambiata, spero non si senta a disagio". Siamo andati a prenderla la sera stessa, era tutta sporca, molto più piccola di quanto ricordassi, orba d'un occhio (non oso immaginare cosa deve aver subito in questi trent'anni di prigionia) e con un aspetto decisamente vintage, ma ora è di nuovo a casa. Mia madre era convinta che dopo anni d'oscurità e polvere, si sarebbe sbriciolata dopo pochi minuti al sole, invece sembra reggere ancora. Dopo averla lavata a fondo, oggi l'ho potuta finalmente riabbracciare come quell'ultima volta trent'anni fa e ho un po' pianto. È stato come riabbracciare quella parte di me che credevo perduta per sempre.
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odioilvento · 2 months ago
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Sono ormai cinque anni che sono nel campo sanitario, l'ho scelto per imparare certe cose pratiche che mi sarebbero potute servire in futuro, ma credo di stare imparando anche altre cose, sia non pratiche sia di me stessa.
L'empatia è una delle principali. Ti metti nei panni dell'altro e soddisfi i suoi bisogni primari, ma non solo quelli. Io sono un semplice OSS, ma fare questa parte del lavoro ti permette di conoscere bene le persone, che in quel momento sono anche pazienti.
Prima in RSA, adesso in ospedale. Vedi continuamente malattie, sofferenze ed anche morte. Io non ho mai avuto problemi a vedere, pulire, parlare di vomito, scariche, urina, sangue, escreato, lesioni da decubito, tanto che dopo un po' ti abitui a parlarne anche mentre mangi, riesci a scollegare le due cose, diventa tutto routine.
E poi c'è il fine vita, ti abitui in un certo senso anche alla morte.
Prima accudivo una persona per farle finire la sua vita nel migliore modo possibile, adesso i pazienti che mi passano davanti sono tutti diversi. Chi sta un giorno e mezzo, chi rimane settimane. Chi torna a casa sulle sue gambe, chi dopo giorni, leggi in consegna: attende hospice. E ti chiedi in qualche modo perché.
Hai già visto infarti che non si riescono a recuperare. Hai già visto chi non si cura e dopo due settimane a casa torna in ospedale un mese. Hai già visto tante persone, tanti caratteri, tante storie di vita, ma poi arriva quella che ti lascia con i pensieri. Quella che non è anziana, quella che deve fare tante cose ancora, quella che entra per un dolore, ma il problema non è lì. Quella che fino ad un minuto prima è in piedi, autonoma, e poi le dicono che deve restare a letto, che arriva il medico a parlarle. Quella che cambia la luce degli occhi dopo che forse non le hanno neanche detto tutto davvero, ma che ha capito tutto lo stesso.
E rifletti che forse non vedrà il Natale. Che avrà mille cose da sistemare. Che non sta reagendo, non si sta arrabbiando, non sta piangendo. E ti chiedi come reagiresti tu. Perché io so benissimo cosa vorrei, lo dico sempre alle persone intorno a me, ma ti devi trovare nelle situazioni prima di sapere veramente come reagirai. E pensi al "dopo di noi", a tutto quello che sarà dopo di me...
E pensi a come la vita ti cambia, quello che ti succede ti cambia, quello che vedi negli altri ti cambia. Di quanto la vita sia breve, imprevedibile, a volte bastarda.
E l'empatia ogni tanto ti molla ed hai bisogno di raccontare come stai, per buttare fuori quello che stavolta non è uscito a fine turno, uscendo semplicemente dalla porta del reparto. E ringrazi chi ti ascolta. E chiedi scusa perché ti senti un po' in colpa perché stavolta hai dovuto raccontare e ti sembra di aver lasciato un pezzo di dolore in chi ti ha ascoltato.
Boh, anche questo mio sfogo è un modo per buttare fuori, e quindi chiedo scusa anche a voi se mi avete letto fino qui. Grazie.
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prisonerinthedark · 2 months ago
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I fazzoletti di carta lasciati nelle tasche dei vestiti finiti in lavatrice, ci insegnano che tenersi le cose dentro non va mai a finire bene.
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abr · 3 days ago
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SPOILER: COME VA A FINIRE ANCHE QUI DA NOI, CON STA COSA CHE "L'ODIO" E' VIETATO MA AMMAZZARE BIANCHI NO.
A distanza di un anno dalla morte di Thomas Perotto, 16enne ucciso durante una rissa durante una festa di paese, il caso scuote ancora la Francia. La banda di giovani tra i quali ci sarebbe l'assassino del giovane rugbista, era composta da ragazzi di origine maghrebina. L'inchiesta è ancora aperta, tre dei sospetti si sono proclamati innocenti, gli sono stati concessi gli arresti domiciliari e la loro identità è mantenuta segreta.
Pare l'anonimato fosse anche indicazione dell'allora ministro degli interni Darmanin per evitare "strumentalizzazioni" razziste. La stampa ufficiale si ribellò, in primis Le Journal de Dimanche e Le Figaro che rivelarono la lista di sospetti e pubblicando foto del principale indiziato, Chaid A., nonostanze le reticenze della polizia.
Manifestazioni in ricordo di Thomas sono state vietate. Nove persone che avevano pubblicato i nomi dei sospetti aggressori on line sono stati condannati a mesi con la condizionale e ammende. È arrivata prima la condanna agli utenti dei social che la chiusura dell'inchiesta.
elab. via https://x.com/LeonardoPanetta/status/1852640227392635326
Sono già tra noi: chi lo sa che fu una banda di second generation maghrebini che faceva rapine usando spray al peperoncino in luoghi affollati, quella che causò 2 morti e 1400 (millequattrocento) feriti in Piazza San Carlo a Torino. I giornali sbatterono in prima pagina la squinternata sindaco imbelle, a ragione, ma almeno la seconda pagina dedicata ai colpevoli nessuno l'ha mai vista, i nomi non si sanno, probabile siano già fuori.
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colonna-durruti · 8 months ago
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A Mario mancano tre anni alla pensione, da 35 è impiegato nella grande distribuzione, in un supermercato Pam di Corso Svizzera a Torino.
A un certo punto la vita comincia a precipitare: il mutuo di casa schizza alle stelle, sua moglie si ammala. Mario stringe i denti, dà fondo ai risparmi. Ma con questi lavori mica metti in banca milioni e i risparmi finiscono presto.
Un giorno perde la testa, sono parole sue, e ruba sei uova e una scamorza affumicata dagli scaffali del supermercato, gli stessi che aveva riempito e su cui aveva vigilato per tanti anni. Lo beccano subito perché lui non è un ladro di professione, è solo un uomo disperato e affamato. Appena viene sorpreso con la scamorza nel sacco, ammette tutto e chiede scusa: “Ho sbagliato, ma vivo una situazione privata ed economica al limite del sostenibile. Non è una giustificazione, solo una spiegazione”.
All’azienda le scuse e la mortificazione non bastano. Il licenziamento in tronco arriva per raccomandata: “Appare particolarmente grave che lei abbia deliberatamente prelevato dagli scaffali di vendita alcune referenze per un valore complessivo di 7,05 euro e sia poi uscito dal negozio senza provvedere al pagamento delle stesse. Le scuse da lei fornite non possono giustificare in alcun modo l’addebito contestato. Considerati violati gli obblighi generali di correttezza, diligenza e buona fede, ritenuto venuto meno l’elemento fiduciario, avendo abusato della sua posizione all’interno dell’organizzazione a proprio indebito vantaggio e a danno della società, le comunichiamo la risoluzione del rapporto di lavoro per giusta causa”.
I sindacati, giudicando la misura del licenziamento sproporzionata, hanno fatto ricorso.
Anche Jean Valjean, il protagonista dei Miserabili, ruba un mezzo pane e per tutta la vita viene inseguito da Javert, il poliziotto che diventerà il simbolo universale della giustizia ottusa e, appunto, sproporzionata.
Ma questi sono gli aggettivi della burocrazia e dei tribunali, abbiamo bisogno di altre parole per capire un sistema disumano, che si basa su uno schiavismo legalizzato che (anche) nella grande distribuzione trova terreno fertile.
Questo sistema feroce – in cui si sono polverizzate le reti sociali (in un alimentari a gestione familiare la vicenda di Mario sarebbe andata a finire nello stesso modo?) e milioni di individui sono esposti alle intemperie del mercato – è pensato a discapito della maggioranza e a vantaggio dei pochi che si spartiscono le ricchezze del mondo, con l’avallo dei governi.
Il nostro, nonostante una situazione di crescente, paurosa povertà, ha abolito il Reddito di cittadinanza anche grazie a un’indegna campagna di stampa portata avanti dai principali giornali italiani per conto di lorsignori.
In un bel libro appena uscito per Einaudi, Antologia degli sconfitti, Niccolò Zancan mette in fila le storie dei nuovi Valjean: nella discesa agli inferi dell’emarginazione gli apre la porta Egle, un’anziana signora che fruga nell’immondizia del mercato di Porta Palazzo, in cerca di verdura per fare il minestrone. Ma nella vita di prima c’erano state una casa, una famiglia, le vacanze a Loano sulla 500. Poi si è ritrovata a vivere con la pensione di reversibilità del marito e la dignità perduta in un cassonetto della spazzatura.
In questo atlante della disperazione c’è tutto il catalogo degli emarginati: un padre separato, un senzacasa che dorme in auto, un cassintegrato, prostitute, migranti, rider. E un ladro di mance che viene licenziato come Mario. L’aiuto cuoco gli dice: “Da te non me lo sarei mai aspettato”. E lui gli risponde, umiliato, “nemmeno io”.
Invece è tutto prevedibile e ha un nome semplice: si chiama povertà. Dei poveri però non frega niente a nessuno, incredibilmente nemmeno dei lavoratori poveri: sono solo numeri nelle statistiche dell’Istat.
Finché non rubano sei uova e una scamorza.
(Silvia Truzzi, FQ 29 febbraio 2024) da Tranchida.
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