#non c'è un prima e un dopo non c'è un mutamento
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Mai niente di nuovo
Da che mi ricordo:
C'è sempre stata la crisi economica
Il voto è sempre stato in calo
C'è sempre stato un bisogno urgente di riforme
#se la crisi è perenne non è una crisi ma qualcosa di endemico?#non è semplicemente lo stato delle cose?#non c'è un prima e un dopo non c'è un mutamento#nel bene e nel male#smoke and mirrors
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Grande Anima ❤
"Ho perso molto, il mio lavoro, ho perso i miei capelli, le mie certezze, ma non la speranza e la voglia di immaginare. Era come se la malattia mi porgesse, assieme al dolore, degli inaspettati doni. Quali? Vi faccio un esempio… Non molto tempo fa, prima che accadesse tutto questo, durante un concerto in un teatro pieno, ho notato una poltrona vuota. Come una poltrona vuota?! Mi sono sentito mancare! Eppure, quando ero agli inizi, per molto tempo ho fatto concerti davanti ad un pubblico di quindici, venti persone ed ero felicissimo! Oggi… dopo la malattia, non so cosa darei per suonare davanti a quindici persone. I numeri… non contano! Sembra paradossale detto da qui. Perché ogni individuo, ognuno di noi, ognuno di voi, è unico, irripetibile e a suo modo infinito.
Un altro dono! La gratitudine nei confronti della bellezza del Creato. Non si contano le albe e i tramonti che ho ammirato da quelle stanze d'ospedale.
Un altro dono. La riconoscenza per il talento dei medici, degli infermieri, di tutto il personale ospedaliero. Per la ricerca scientifica, senza la quale non sarei qui a parlarvi. La riconoscenza per l'affetto, la forza, l'esempio che ricevo dagli altri pazienti, i guerrieri, così li chiamo. E lo sono anche i loro familiari, e lo sono anche i genitori dei piccoli guerrieri. Quando tutto crolla e resta in piedi solo l'essenziale, il giudizio che riceviamo dall'esterno non conta più. Io sono quel che sono, noi siamo quel che siamo. E come intuisce Kant alla fine della Critica della Ragion Pratica, il cielo stellato può continuare a volteggiare nelle sue orbite perfette, io posso essere immerso in una condizione di continuo mutamento, eppure sento che in me c'è qualcosa che permane! Ed è ragionevole pensare che permarrà in eterno. Io sono quel che sono. Voglio andare fino in fondo con questo pensiero. Se le cose stanno davvero così, cosa mai sarà un giudizio dall'esterno? Voglio accettare il nuovo Giovanni. Come dissi in quell'ultimo concerto a Vienna, non potendo più contare sul mio corpo, suonerò con tutta l'anima.
E Ancora: «Ho due vertebre fratturate, e tremore e formicolio alle dita. Nome tecnico: neuropatia. Proprio io che devo suonare il pianoforte. Ma non potendo più contare sul mio corpo, suonerò con tutta l'anima».
E così fa, Giovanni Allevi. Dopo due anni, rimette le mani sul pianoforte. Ed emoziona l'Ariston. Il brano si intitola Tomorrow. Perché, dice, «domani, per tutti noi, ci sia sempre ad attenderci un giorno più bello. più bello.
Giovanni Allevi🌻
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#comeattuarelatransizionedigitale#cos'èlatransizionedigitale#latransizionedigitaledelleserietv#transizionedigitale
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Sto col mio compagno da 12 anni, abbiamo due figli, e dopo esserci amati tanto, e avendo avuto una relazione piuttosto viva prima dei figli, all'improvviso si è spento tutto! Perché!? E mi sento in colpa perché lui si è migliorato tantissimo negli ultimi anni, abbiamo costruito davvero tanto assieme, stiamo arrivando finalmente dopo immensi sacrifici a una stabilità economica che durerà nel tempo, abbiamo due bambini meravigliosi, perché ora che finalmente possiamo viverci a pieno, pensando meno ai soldi, avendo una certa maturità di coppia, io mi sento completamente spenta?
Il suo problema sono io! Mi dico!
Negli anni ho scoperto di voler più passione nelle cose, più poesia, più arte, più particolari, più attenzioni, non mi piace più come mi guarda, nella quotidianità lo fa solo se ha voglia di tirarmi una sculacciata, (non mi dispiace ma solo così diventa nauseante) non c'è più un corteggiarsi prima di avere un rapporto, non c'è un sediamoci sul divano mentre i bambini sono a letto e parliamo! Parliamo di qualsiasi cosa, di quello che ci piace, siamo in continuo mutamento, di cose di cui parlare ce ne sarebbero un infinità, parliamo di quello che ci fa stare male, di cosa vorremmo, di ciò che è successo al lavoro, no.. lui sul divano davanti al telefono/televisione, io sul divano a giocare a qualcosa online.. Io di fianco all'altro ma comunque non siamo assieme.
Riconosco di essere spenta, riconosco di essere spesso musona, tutto ciò che non ero prima lo sono diventata, difficilmente mi apro e quando mi apro, quando gli spiego cosa mi fa stare male, ultimamente riesce sempre a deludermi, mi sento rispondere cose come "ti deve arrivare il ciclo?"
Cosa ne pensi?
Tesoro bello ma dopo 13 anni di relazione e tanta fatica è così brutto starsene un pochino rilassati? Quello che tu cerchi dura un anno scarso, poi in tutti i rapporti subentra la routine. Vuoi cambiare le cose? Cambia tu! Corteggialo tu, butta il cellulare e fatevi un massaggio, comincia a raccontare tu per prima la tua giornata o quello che ti è successo, ma soprattutto impara a godere anche di questa serenità che le montagne russe so belle solo quando si sta in alto.
È indubbio che negli anni si stabilisca una
routine che da una sorta di "serenità" ad una coppia ma che contemporaneamente la rende monotona per certi versi, nonostante voi abbiate faticato degli anni per costruire quello che siete, proprio oggi che tu potresti essere serena non lo sei.
No, tu vuoi di più, secondo me è una prospettiva tua, nel senso, la vedi così perché sei tu che vuoi qualcosa di diverso.
In alternativa cominciate a fare cose diverse, che so tipo farvi qualche viaggio insieme, è normale volere nuovi stimoli nella vita.
Ed è normale che ad un certo punto ci si adatti un po' nella routine, succede a tutti i rapporti, non sarete né
primi né gli ultimi, ma il fatto di additare l'altro come il problema non ci scagiona dal fatto che in realtà invece potrebbero essere i nostri occhi in realtà che guardano le cose in maniera diversa rispetto a come magari le vede o come le vive lui.
Se vuoi cambiare le cose sicuramente l'atteggiamento chiuso e che non parla e sbuffa e si lamenta non è il migliore per risolvere o cambiare, anche perché nel momento in cui tu hai un atteggiamento fastidioso condizioni anche lui a non continuare ad indagare perché gli darebbe più fastidio ancora quindi magari per evitare di litigare preferisce evitare proprio di continuare il discorso.
In una coppia la necessità di ascolto e la capacità di comunicare è tutto.
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Ammettiamo che il ragionamento dei pro-voto-subito sia corretto, e cioè: siccome i sondaggi e le Europee hanno certificato che la Lega è passata dal 17% al 34% e che quindi gli umori degli italiani sono decisamente mutati rispetto a un anno fa, allora è doveroso sciogliere il Parlamento e restituire la parola agli italiani. Anche se a far cadere il governo, guarda caso, sia stata proprio la Lega che con suo grande stupore ha scoperto solo un mese fa che i 5 Stelle sono No Tav. E che se vincesse le eventuali elezioni che pretende triplicherebbe le poltrone (anche se ovviamente loro non puntano alle poltrone, non sia mai). Ma è la prima volta che accade un mutamento del genere in appena un anno di tempo? No. E' già successo, appena una legislatura fa. Elezioni per il Parlamento Italiano 2013: il PD ottiene il 25% dei consensi e (come farà la Lega 5 anni dopo) va al governo. Un anno più tardi, alle Elezioni Europee, lo stesso Pd esplode nei consensi (come farà la Lega 5 anni dopo) e raccoglie la bellezza del 41% dei consensi. Cresce cioè in un solo anno del 16% (proprio la stessa crescita registrata dalla Lega quest'anno: +16%). E' il fenomeno Matteo Renzi. Ed è travolgente. L'Italia, dati alla mano, è pazza di lui. Ci sono più italiani allora dalla parte di Renzi di quanti ce ne siano oggi dalla parte di Salvini. Se infatti Salvini alle Europee di quest'anno si è autoproclamato il padre di tutti gli italiani con 9 milioni di voti, Renzi allora cosa diventò con i suoi 11 milioni di voti? Il nonno? A quel punto Renzi, più di Salvini, sarebbe stato legittimato ad approfittarne, a trovare pure lui una scusa, a dimettersi, far cadere il governo in agosto, andare al voto in ottobre e prendersi così da solo il 40% del Parlamento italiano. In fondo avrebbe solo rispettato la volontà del popolo italiano no? Ma non lo fece. Eppure non abbiamo memoria di proteste in piazza da parte di Salvini, Meloni, Berlusconi e cittadini indignati dal fatto che non veniva restituita la parola agli italiani. Quel che è accaduto nei tre anni successivi è storia recente: il PD, a torto o a ragione, per motivi reali o per una campagna di odio e di fake news mai vista prima, crolla dal 41% al 18%. Dimostrando che no: i sondaggi e le Europee non rispecchiano per un c***o quella che sarà la volontà degli italiani per i successivi 5 anni. La rispecchiano sul momento, ma non per gli anni a venire. Non c'è alcun automatismo. Non c'è nulla di più o di meno democratico. Cosa se ne deduce quindi? Intanto che i Padri Costituenti, i Padri della Repubblica Italiana, non erano dei coglioni. E che se hanno stabilito che in Italia, fino a che in Parlamento c'è una maggioranza, si vota una volta ogni 5 anni, è proprio perché hanno tenuto in conto che gli umori cambiano da un anno all'altro. E che tuttavia bisogna dare il tempo a un Parlamento per realizzare la sua visione. E quel tempo non può essere solo di un anno. Perché altrimenti succede che arriva il leader spregiudicato di turno che anziché lavorare per il Paese fa 400 comizi al mese, così da garantirsi l'anno dopo altro consenso, mentre il Paese muore nelle sabbie mobili della perenne campagna elettorale. E dei suoi sbalzi di umore. Emilio Mola
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Quando il pendolo della paura -non sempre ingiustificata- avanza, c'è la tentazione dell'intervento dello Stato volto ad arrestarne, o invertirne, la marcia. Misure pronataliste, tendenti ad attenuare il declino, vengono prese in Francia fin dall'inizio del secolo [XX]. Ma è il regime fascista che, primo nel mondo occidentale, «inventa» una vera e propria politica demografica (i cui fondamenti si ritrovano nel [...] «discorso dell'Ascensione» [26 maggio 1927, Pronunciato da Benito Mussolini alla Camera dei Deputati]) nell'intento di ritardare quel processo di attenuazione della crescita che già aveva compiuto molta strada in Francia e in altri paesi occidentali. Si tratta di una politica complessa, funzionale all'ideologia, che integra le misure di sostegno alla nuzialità e alla natalità (tasse sui celibi, prestiti matrimoniali, premi di natalità), con la cura per la salute della madre e del bambino (creazione dell'Onmi, Opera nazionale maternità e infanzia), con i disincentivi all'urbanesimo (individuato come causa prima del mutamento dei comportamenti delle coppie), il blocco dell'emigrazione, la valorizzazione della cultura contadina, l'inversione dei processi di emancipazione femminile e l'esaltazione della maternità, della stirpe italica, del suo genio e del suo destino imperiale. È arduo «valutare» le conseguenze puramente demografiche di questa politica presto interrotta dalla guerra e dalla disfatta. Alcune misure furono sicuramente efficaci, altre meno: ma non è questo il punto. L'aspetto importante è che le politiche demografiche così complesse e finalizzate sono possibili solo in regimi totalitari: non solo in Germania e in Italia, ma anche nella Francia di Vichy, o nel Giappone degli anni Trenta. perfino nell'Unione Sovietica, che dopo i disastri demografici dei kulak e della collettivizzazione forzata cerca una ripresa demografica, abolisce la legge liberale sull'aborto e sostiene, in qualche modo, famiglia e procreazione. A mezzo secolo di distanza, il problema dell'intervento pubblico per tentare di «invertire» una rotta, di rianimare una riproduttività bassissima, si pone di nuovo. Ma in un contesto del tutto diverso: in un regime liberaldemocratico, dove è riconosciuto e garantito il diritto individuale a scegliere il numero dei figli da mettere al mondo, l'intervento pubblico ha limiti che i regimi totalitari non conoscono. Questo deve articolarsi con politiche sociali che alterino le curve delle preferenze individuali in termini di riproduttività, influendo sui costi diretti dei figli come su quelli indiretti. Ma si tratta di politiche difficili da mettere in atto: per l'incertezza sulle «vere cause di fondo» dell'attuale bassa natalità; per la necessità di dispiegare l'azione sul lungo periodo e di non attendersi risultati a breve termine; perché si deve agire su una serie di variabili assai complesse, che riguardano il mercato del lavoro, la fiscalità, l'organizzazione del tempo, la modifica dei ruoli uomo-donna, la politica scolastica, i redditi familiari; perché questi interventi vanno coordinati e finalizzati, debbono essere visti come misure di equità e non discriminanti e debbono raccogliere il consenso.
Massimo Livi Bacci, voce Demografia in:
AA.VV., La cultura italiana del Novecento, (a cura di Corrado Stajano), Laterza, 1996; pp. 196-97.
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L'errore più grande è credere che niente possa cambiare. Che le cose restino sempre quelle che sono, e le persone rimangano sempre le stesse. C'è solo uno tra voi che si sente uguale a quando aveva sei, o dodici anni? Vi sentiti gli stessi che eravate prima di perdere una persona cara, di ricevere una grande delusione, o di faticare per un grande traguardo? Io non mi sento la stessa di ieri, e non mi sentirò la stessa domani. Nella vita ogni giorno tutto può cambiare, da un momento all'altro. Qualcuno muore e nello stesso momento qualcuno nasce. Ognuno di noi vive in continuo movimento, e ad ogni movimento corrisponde un mutamento. Dice Eraclito, il teorico per eccellenza del cambiamento, il filosofo del πάντα ῥεῖ, del "tutto scorre", che nessun uomo entrerà due volte nello stesso fiume. Se anche dovessimo entrare in un fiume, uscire, e rientrarci un secondo dopo sarebbero due cose totalmente diverse. Nuova acqua scorrerà nel fiume da un secondo all'altro e persone diverse saremo noi da un secondo all'altro. Nella vita tutto può cambiare, per questo bisogna vivere istante per istante. E nella vita ciascuno di noi cambia istante per istante. Cambiamo tutto, pur non cambiando mai del tutto.
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Realizzare che il tempo passa, inesorabilmente, è così triste. Ci avviciniamo verso la fine, i nostri cari potrebbero andarsene da un momento all'altro. E io cerco di dare un senso alla mia vita, ma poi ? Dopo c'è solo la morte, e potrai aver realizzato i tuoi sogni, raggiunto i tuoi obiettivi, puoi credere nel paradiso o nelle reincarnazione, ma devi abbandonare la tua vita terrena. Tutto quello che hai creato sarà perduto. A volte questi sensazione sono devastanti, soprattutto se hai 20 anni.
Immagino che per qualcuno possa essere così, Anon.Allora occorre più riflessione e allargare la visione degli avvenimenti che ci circondano.La vita è mutamento nell'esperienza e nella conoscenza. La morte rappresenta un aspetto di questo mutamento senza il quale non ci sarebbe evoluzione della qualità.
La prima cosa è porsi la domanda (come hai fatto); poi si tratta di trovare ricerche, indizi e studi che ipotizzino un proseguimento di qualcosa oltre la fine fisica.Se riesci a trovare una logica sulla possibilità di sopravvivenza, più coerente di quella che la neghi, hai già impostato un pensiero che potrebbe favorire una scoperta intima; cioè un convincimento personale che esista un ordine a un livello superiore di quello che si osserva nel mondo fisico. Infatti in quest'ultimo noi cogliamo solo gli effetti di fenomeni la cui origine è oltre la nostra possibilità di indagine scientifica.
D'altra parte, come ho già scritto in un altra riflessione, penso che credere nella sopravvivenza oltre la morte fisica, non sia un fatto dell'uomo come società, ma dell'uomo singolarmente.Se si prende in esame un percorso mentale e una credenza razionale, non ci sarà mai una certezza assoluta, perché, ripeto, parametri materiali, non potranno mai sondare altri livelli di esistenza; quindi per quanto si possano avere degli indizi e credere in questi, resterà sempre il dubbio.Se invece l'uomo arriva a maturare quel sentire interiore che allarga la coscienza d'essere, non sarà più la mente che dovrà sorreggere la fede, ma sarà la fede che darà la certezza alla mente.Allora si potrà sperare che niente si perde, ma tutto si amplia nella qualità e nella coscienza.
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Sto ancora aspettando che qualcuno mi guardi dritto negli occhi e mi dica "perché sei perso?"
Ormai nemmeno io so più cosa voglio veramente, siamo costantemente influenzati da qualunque cosa.
Quando guardo nei vostri occhi forse vedo il riflesso del mio vuoti. Solo lo stesso interrogativo.
"Sono le 20.33 la sveglia per prendere appunti era suonata alle 18 ma ero un giro a fare shopping con un amica, ero letteralmente catturata dalle luci natalizie e da quello spirito di calore tipico natalizio. Da quando vivo a Padova lo sento, lo spirito natalizio. Oggi sono andata in una caffetteria americana nuova, che non avevo mai visto, eppure ci ero passata davanti tante volte. Ho preso una tisana al cocco e un dolce alla banana molto speziato, davvero ottimo, vorrei andare lì più spesso. Ho girato tanti negozi e in quasi tutti i commessi erano molto gentili, questo mi ha dato gioia. Scrivo ora perché la prossima sveglia sarà alle 22 e stasera sarò con mio moroso. Ha preparato un we per me e lui, non vorrei farmi aspettative anche se son stata io a chiederglielo e forse mi aspetto qualcosa. Spero faccia qualcosa di romantico. Nel mentre che me lo diceva ero contenta ma poco dopo mi ha parlato di un amico in comune che ci ha invitati a casa di una tipa con la quale ha flirtato mio moroso quando ci stavamo conoscendo e il solo saperlo mi ha infastidito ed è come se mi avesse tolto tutta la magia raccolta nel pomeriggio tra sapori e colori. Inoltre questo amico in comune anche se forse scherzosamente ha insultato me e una mia amica, quella con la quale ero in giro e questo mi ha un po' dato fastidio perché l' ho percepito come un comportamento falso e doppiogiochista. Però la magia è tornata quando a ruota è ripartita la stessa canzone di oggi a pomeriggio. Bloody Valentine, però versione acustica. Ho ricominciato subito a pensare a quel mio amico, che onestamente era la mia più grande cotta. Sono molto amica anche di sua sorella, oggi pomeriggio le ho preso un regalo di natale, spero le piaccia, so che me lo avrebbe fatto e anche se quest anno economicamente ho meno soldi ci tenevo a rifargli un pensiero indietro. Con la canzone di sottofondo, mentre mi stavo struccando e sentivo il cotone scorrere sul viso mi è venuto un pensiero di quando ero bambina, forse collegato alla emozioni di questo Natale al fatto che poco prima avevo sentito mia mamma,non lo so... Ma ricordo che da piccola mi piaceva guardare film drammatici o anche video, perché mi emozionavano... Anche alle elementari, medie... (Oltre che le pubblicità forse perché volevo già capire come soggiogare la mente delle persone o scappare ai loro tranelli). Ricercavo quel emozione di commozione, quel senso di vero in quella tristezza che mi faceva sentire a casa, e questa emozione la cerco anche negli occhi dei partner che mi scelgo, non per istinto da crocerossina ma perché è come se facesse andare via quel senso di nostalgia come una tristezza felice... E lui, ha quegli occhi, e sono stati proprio quegli occhi a farmi innamorare. Quel sorriso. Come se urlasse "sono triste ma va bene così". E quegli occhi e quel sorriso di tanto in tanto li noto anche in mio moroso, ed è come se mi sentissi a casa. Lì in quell emozione nostalgica di dolce tristezza. Come guardare gli occhi di un bambino, forse rivedere i miei, in quella bambina che guardava i genitori e gli chiedeva con innocenza "smettete di litigare, vogliatevi bene." E forse ancora,nel mondo i miei occhi dicono questo: "Non odiamoci, aiutiamoci, vogliamoci bene!" Ed è questo che vorrei, questa connessione. Quello che continuo a cercare in tutti gli occhi. Quella sensibilità fanciullesca che tutti abbandonano o provano a nascondere, perché per me li c'è l' ha chiave. Ritrovarsi. Ritrovare le piccole cose semplici che ci uniscono. Credo che sia proprio lì il senso della vita...
Tutto torna a essere uno, uno è tutto. Passato presente e futuro tornano a essere allineati, tutti torniamo a essere un unica matrice interconnessa. Amore. Unione. Anche se nasciamo dall' errore, finalmente così possiamo liberarci, ponendo una fine a quella vecchia vita e ricominciando, rinascendo liberi. Risvegliandoci. Questo mi dà ancora speranza. E creatività illuminante e empatia. La sofferenza è vera, è dolce se la ascolti, lei vuole solo dirti "ehi, io sono qui, mi dispiace non vorrei farti del male, ma son qui perché dovresti ascoltarmi, è l' unico modo che ho per attirare la tua attenzione, non evitarmi ti prego, se no dovrò farti sempre più male, io non sono un peso, io sono il tuo vero io, il sè che cerchi di nascondere, ma io esisto, esisto più di te e non voglio morire, non posso farlo, sono immortale." E questo è ciò che mi dicono i tuoi occhi, che dentro di te hai quella vocina, ma la ignori, scappi, ti copri come feci io, ma io ti vedo, io vedo oltre le maschere delle persone, vedo oltre il male dove sta la sofferenza e vorrei poter aiutare ma alle volte mi è impossibile, ognuno ha il suo percorso e deve o che continua a voler imparare, dal dolore, dagli errori.
Sento di avere la chiave per la felicità, ma ognuno ha il suo percorso, e se non è concluso la porta non si aprirà, anche avendo la chiave... Perché siamo tutti a livelli diversi, ogni livello è connesso ai suoi livelli precedenti e successori, ogni reincarnazione, perché il sè non ha tempo ma solo manifestazione di essere. In quel momento per quella ragione specifica e possiamo decidere se fare passare la luce e accedere al livello successivo nella prossima vita, o non farla passare, continuando sempre il livello da capo, fin quando il dolore lascerà spazio all insegnamento. Siamo in continuo mutamento, siamo in continua evoluzione per tornare al origine. Tutti uniti. Tutti insieme in un unica cosa. Per questo ci sentiamo tutti così "frammentati" per quello tutti sentiamo quel enorme vuoto che cerchiamo di colmare con tutto o tutti con cose effimere, ma pochi si ascoltano veramente. Nessuno desidera veramente i soldi o cose così per essere felici, essi sarebbero solo un falso mezzo del ego o un "tappa buchi" per arrivare alla felicità, ma la vera felicità è questo. Questo senso di appartenza, di illuminante conoscenza che ci pervade... Finalmente."
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Scrivere fantascienza non è certo la strada più indicata per gli scrittori che aspirano all'olimpo dei Grandi Autori della Letteratura: eppure ci sono autori di successo che, pur non frequentando assiduamente il genere, a volte ricorrono a tematiche o ambientazioni fantascientifiche dando vita a opere di confine.
Il compito della fantascienza, lo sappiamo, non è prevedere il futuro ma parlarci del presente collocandolo in un altro tempo o in un altro spazio: in qualsiasi epoca sia stato scritto, un buon romanzo di fantascienza parla sempre al lettore contemporaneo.
Non sono mancati però i romanzi in grado di fare previsioni spaventosamente vicine alla realtà: è il caso della Peste scarlatta di Jack London, romanzo breve del 1912 ritornato di attualità in queste settimane di pandemia.
Pur non essendo il primo romanzo post-apocalittico (come al solito il primato va a Mary Shelley con L'ultimo uomo) è certamente uno dei più impressionanti per le capacità predittive dell'autore: nell'estate 2013 un «germe» letale, che si manifesta inizialmente con un'eruzione cutanea di colore scarlatto, si diffonde con rapidità tra gli esseri umani, portando in breve al crollo di ogni forma di civiltà e una regressione a uno stadio bestiale, e infine la scomparsa quasi definitiva del genere umano.
Anni dopo, i pochi sopravvissuti ricostruiscono delle piccole comunità tribali, in cui i più forti governano con violenza e arbitrio.
Il racconto prende le mosse nel 2073, quando uno degli ultimi superstiti, un vecchio professore universitario regredito come tutti a uno stadio primitivo, racconta intorno al fuoco ai suoi nipoti i momenti cruciali del crollo della civiltà: un racconto frammentato da digressioni, perché alle nuove generazioni il vecchio deve spiegare tutto, i grandi numeri, i germi, la radio, le aeromobili. I ragazzi, selvaggi e sguaiati, non capiscono, credono solo in ciò che si vede, deridono il vecchio per il suo racconto nostalgico.
Quello che certo colpisce del romanzo di London, letto a oltre un secolo di distanza, è la precisione con cui descrive alcune dinamiche che si innescano anche oggi: la malattia si diffonde a New York, in meno di ventiquattr'ore si sposta a Chicago, già da alcune settimane affligge Londra che censura la notizia, ma in California nessuno si preoccupa: il contagio è altrove, e ciò che non si vede non esiste (come affermeranno gli stessi bambini ascoltando la storia del Nonno), non c'è motivo di cambiare abitudini di vita, finché non sarà troppo tardi per farlo.
Del resto è una guerra che già stanno combattendo i batteriologi, che in passato hanno avuto successo con altre epidemie, perché preoccuparsi? Ma sono proprio i ricercatori le vittime più colpite dal contagio:
Erano degli eroi. Come ne moriva uno, un altro si faceva avanti per sostituirlo. Isolarono per primi il germe a Londra. La notizia fu telegrafata ovunque. L’uomo che aveva portato a termine l’impresa si chiamava Trask, ma nel giro di trenta ore era morto. Poi tutti i laboratori si impegnarono nella ricerca di qualcosa che uccidesse i germi della peste. Non si trovava un farmaco adatto. Il problema, vedete, era trovare un farmaco, o siero, che uccidesse i germi presenti nel corpo senza uccidere il corpo. Cercarono di combatterlo con altri germi, di iniettare nel corpo di un malato germi nemici dei germi della peste���
Il fatto che la morte sopraggiunga in poche ore dal manifestarsi dell'eruzione cutanea suggerisce l'errata convinzione di un'incubazione breve: in realtà ci vogliono alcuni giorni perché la malattia si manifesti, e quando lo fa uccide quasi all'istante e senza scampo.
Il cuore accelerava i battiti e la temperatura corporea saliva. Poi l’eruzione cutanea scarlatta si diffondeva in un baleno sul viso e sul corpo. I più non si accorgevano nemmeno dell’aumento di temperatura e dei battiti cardiaci e la prima cosa che notavano era l’eruzione scarlatta. Di solito, al momento della comparsa dell’eruzione avevano le convulsioni. Ma queste non duravano a lungo e non erano molto violente. In chi superava quella fase, subentrava una grande calma e solo allora la persona avvertiva un torpore che dai piedi risaliva velocemente il corpo. Il torpore attaccava prima i calcagni, poi le gambe e i fianchi, e quando arrivava all’altezza del cuore la persona moriva. Non piombava nel sonno o nel delirio. La mente conservava la calma e la lucidità fino al momento in cui il cuore intorpidito si arrestava. E un’altra stranezza era la rapidità della decomposizione. Non facevano in tempo a morire che subito il corpo sembrava andare in pezzi, sbriciolarsi, dissolversi sotto i tuoi occhi. Questa fu una delle ragioni della rapidità con cui il contagio si diffuse. Tutti i miliardi di germi di un cadavere venivano così liberati all’istante.
Prescindendo dalle nozioni biologiche e mediche un po' generiche (ricordiamo però che è un professore di letteratura che narra la storia a un gruppo di ragazzini non scolarizzati) e dalla scarsa capacità immaginativa dell'evoluzione tecnologica del ventunesimo secolo (le comunicazioni sono ferme a radio e telegrafo) l'aspetto più interessante del romanzo sta nella rappresentazione sociale.
Se i germi sono una causa naturale, è la società umana, così come si è strutturata, il bersaglio della critica di London: la catastrofe investe un sistema capitalistico avanzato che ha soppiantato di governi in nome del profitto: il Consiglio dei Magnati e dell'Industria domina un pianeta dividendo manicheisticamente l'umanità in padroni e servi.
I protagonisti provengono dalla classe alta di una città universitaria, in un primo momento credono di essere al sicuro tra le mura della facoltà di Chimica, finché non si rendono conto che il germe è già con loro, in attesa di manifestarsi. Di fronte a una morte fulminea, la perdita dell'umanità non è troppo graduale, fin dai primi giorni questa comunità protetta dalle certezze della propria cultura non esita a scacciare chi manifesta la malattia, a sacrificare vite per allontanare i cadaveri e infine mettersi in marcia verso la campagna abbandonando lungo la strada i contagiati; durante l'esodo, uno dei professori fugge con l'unica auto e le provviste del gruppo; ma poco importa, perché il contagio risparmia solo i pochi immuni, come il vecchio, che dopo anni di solitudine tra le montagne si imbatterà nelle tribù della California formate dai pochi superstiti.
È qui che emerge il pessimismo dell'autore: la nuova società nata dalle ceneri della civiltà umana sembra tutt'altro che migliore; regrediti a uno stadio primitivo, gli uomini più forti tiranneggiano i deboli, si appropriano delle donne che trattano come schiave, dimenticano ciò che hanno imparato prima della Peste Scarlatta, e si preparano a rifare gli stessi errori del passato. Così riflette amaramente il Nonno alla fine del suo racconto:
La stessa vecchia storia si ripeterà. L’uomo si moltiplicherà e gli uomini si combatteranno. La polvere da sparo permetterà agli uomini di uccidere milioni di uomini, e solo a questo prezzo, con il fuoco e con il sangue, si svilupperà, un giorno ancora lontanissimo, una nuova civiltà. E a che pro? Come la vecchia civiltà si è estinta, così si estinguerà la nuova. Ci vorranno forse cinquantamila anni per costruirla, ma finirà per estinguersi. Tutto si estingue.
Sussisteranno soltanto la forza e la materia, in perenne mutamento, che a furia di agire e reagire realizzeranno i tre tipi eterni: il prete, il soldato e il re. Dalla bocca dei bambini esce la saggezza senza età. Ci sarà chi lotta, chi comanda e chi prega; e tutti gli altri faticheranno e soffriranno assai mentre sulle loro carcasse sanguinanti tornerà sempre e comunque a innalzarsi in eterno la bellezza stupefacente e la meraviglia incomparabile della civiltà. Tanto varrebbe distruggessi i libri immagazzinati nella grotta: che restino o spariscano, tutte le loro antiche verità saranno scoperte, le loro antiche menzogne vissute e tramandate. A che pro…
Conclude Ottavio Fatica nella postfazione:
La condanna di chi non rammenta il passato è replicarlo. La condanna di chi lo ricorda è vederlo replicare sotto gli occhi senza poter fare niente per precluderlo. Magra consolazione, gli uomini del futuro prospettato da Jack London potranno sempre dirsi pronti per la quarta guerra mondiale, quella che si combatterà con selci e clave.
Mai come oggi queste parole dovrebbero farci riflettere.
Già proposto dalla Nord con un titolo leggermente diverso (Il morbo scarlatto) insieme ad altri racconti fantastici di Jack London e un'introduzione di Philip J. Farmer che dovrebbe fugare ogni dubbio circa la collocazione del romanzo, bisogna dire che una volta tanto anche il volume Adelphi lascia intendere l'appartenenza al genere fantascientifico: «opera pseudoscientifica, così la definisce l’autore in una lettera – la formula “science-fiction” non è ancora invalsa».
Lo stesso Fatica sottolinea infine l'influenza che il romanzo di London ha avuto (insieme a La nube purpurea di M. P. Shiel, del 1901) sulla successiva produzione post-apocalittica: da L'ombra dello scorpione di Stephen King a La strada di Cormac McCarthy, passando per capisaldi della fantascienza come Io sono leggenda di Richard Matheson e Un cantico per Leibowitz di Walter M. Miller.
Una carrellata di storie catastrofiche (a cui si potrebbero aggiungere innumerevoli altri titoli) che in effetti parrebbe smentire la premessa iniziale secondo cui la fantascienza non prevede il futuro. Ma a ben guardare la conferma: dopo l'ubriacatura positivista, il Novecento è stato il secolo del dubbio, della diffidenza nei confronti di una scienza che aveva promesso meraviglie e che invece ha solo creato nuove disuguaglianze.
La cattiva strada su cui ci siamo avviati nel secolo che ci separa dalla Peste scarlatta era già evidente agli occhi di uno scrittore attento come London, che con il suo romanzo ha voluto metterci in guardia: purtroppo non l'abbiamo ascoltato.
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qui lascio la parte più profonda di me, assopita tra le braccia di una grotta, cullata da un vento esuberante, il granito tra i capelli. sento la pelle bruciare di vita e mentre il mio corpo si meraviglia ad ogni nuovo raggio di sole, la mia anima sente di appartenere a questo luogo incantato. osservo i volti scolpiti nella roccia, affacciati ad un cielo immenso, mi sembra di conoscerli. seduta sulla sabbia, seguo con lo sguardo le onde del mare. risvegliano in me sentimenti contrastanti, pace e malinconia m'infiammano. sono onde di mutamento. le vedo prendersi per mano e dare inizio ad una danza eterna e tormentata, colorata di ghiaccio e di blu. la spuma bianca del mare accarezza i miei piedi e piango, non ricordo l'ultima volta che ho pianto così genuinamente. gigantesche lacrime, trasparenti, sincere. non riesco a fermarmi, non posso fermarmi. il mare scuote il mio dolore, lo rende tangibile - lo sento infrangersi su di me - e poi lo strappa via, onda dopo onda, trascina con sé i taglienti frantumi del mio essere. sto svanendo. inconsistente come piccoli granelli di sabbia. un soffio di vento deposita le briciole di me sulla superficie del mare, queste si fanno sempre più impalpabili, fino a sciogliersi. apro gli occhi: blu e verde e raggi di luce in un mondo dai contorni sbiaditi, ma, per assurdo, più chiaro di prima. l'acqua salata lava via le mie paure, rischiara i miei pensieri. sto cambiando anche io, allo stesso modo del granito scavato dal vento. le onde del mutamento hanno avvolto anche me. mi sento trasformata. è passata una vita o solo un secondo? il peso del tempo sulle mie spalle si affievolisce. non esiste il tempo nella Valle. è un concetto esclusivamente umano il tempo, il ticchettio dei minuti che scorrono. gli uomini sono spaventati dal senso di impotenza che li inonda di fronte al flusso degli eventi, qualcosa che sfugge al loro controllo, qualcosa di più grande, più forte. l'impossibilità di stabilire, di prevedere, di gestire e sorvegliare li fa sentire piccoli, indifesi, inadeguati. proprio perché non sono in grado di controllare la natura, gli uomini inventano il tempo, che possono chiudere in un cinturino, che possono controllare. ma il tempo non esiste, il loro tempo è illusione, la vita è un'altra cosa. tu esci dall'ombra, gli occhi a palla ed il sorriso stupito. mi somigli, saranno i capelli o, forse, il tuo spirito vagabondo. c'è dolcezza nella tua voce, ci sono il cammino, la fatica, la nostalgia; la luce nei tuoi occhi mi dà modo di leggerti. sei un libro aperto, eppure misterioso, desidero ardentemente conoscere la tua storia. seduti attorno al fuoco, in una notte di luna crescente, la chitarra, le voci, le fiamme delle nostre anime vive e ridenti, cerchiamo di riprodurre l'armonia dell'universo, dei pianeti che ruotano. “non riesco ad immaginarti vecchia”, giorni fa ti avrei risposto che io sono una vecchia imprigionata nel corpo di una ragazzina, ma, forse per il fuoco o forse è la tua voce, sento che sarò giovane per sempre. certo la magia non spegne i miei dubbi, chi devo essere? che strada devo imboccare? come potrò aiutare le altre persone? “io credo che il miglior regalo che tu possa fare a questo universo sia essere te stessa”, io invece credo a te, in questa notte di luna crescente, le nostre ombre sedute accanto, la melodia delle parole e degli sguardi. e volo leggera come una piuma trasportata dal vento, libera. è così che voglio essere, è questa la mia strada settembre 2019
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Eva | Danza sotto le stelle, indagini e nuove ...
Roma, 25 novembre 2016
•Ieri pomeriggio•
Devo iniziare ad abituarmi a certi orari di Oscar, magari cercando di dormire di più nel pomeriggio dopo il lavoro se alla mattina mi è impossibile farlo, specialmente se alle due del mattino me lo ritrovo sotto casa spinto dalla voglia di vedermi.
Non che mi dispiacciano le sue visite a sorpresa, anzi... mi dà una certa sicurezza saperlo voglioso di passare del tempo con me e senza secondi fini. Il semplice stare assieme e chiacchierare, come una coppia normale, anche se il sonno ha avuto in ogni caso la meglio su di me prima dell'alba.
Ho dormito poi fino all'ora di pranzo, fortunatamente non avevo da lavorare o sarebbe stato un problema sentire la sveglia e alzarmi seriamente.
Nel dopo pranzo, avendo tranquillamente recuperato le ore di sonno, per quanto le mie occhiaie appena accentuate dicessero il contrario (e prontamente coperte col correttore), sono andata fino sul Lungomare per prendermi del tempo per me e magari leggere il libro che mi ero portata appresso.
Non ho letto nemmeno mezza pagina, dal momento che ho incrociato May e ci siamo messe a parlare, anche se trovo ancora difficile conversare con lei ecco. Ho sempre la sensazione di essere davvero lontana da quello che è il suo modo di pensare, ma fintanto non ci scanniamo, posso star tranquilla e la sopporto senza problemi (disagio a parte e silenzi a volte imbarazzanti).
La mia attenzione, come la sua, si è focalizzata su una figura in avvicinamento che da come camminava storta pareva sbronza.
Eva.
Non le vedevo dalla sera dell'Esorcismo a Castel Sant'Angelo.
Mi ha chiesto se mi fossi ripresa e si è stupita del fatto che nessuno si sia degnato di spiegarmi quanto fosse successo, ma per quanto sia stata effettivamente colpa sua, almeno ho iniziato ad avere qualche risposta in merito (anche se lo ha fatto tranquillamente davanti a May).
Mi ha spiegato, riassumendo, che ha fatto una cosa per salvare una sua amica intrappolata, e per cercare di raccogliere informazioni per salvare un innocente, entrambi coinvolti nell'operato di qualcuno che si è fa davvero pochi, pochissimi scrupoli. Sapeva che era pericoloso e che non avrebbe dovuto. Sapeva che per limitare i danni e le conseguenze stava rischiando la sua stessa vita. In quel momento non vedeva altre soluzioni e ha rischiato.
Col senno di poi, potesse tornare indietro, non rifarebbe nulla di quanto ha fatto, nonostante l'innocente e la sua amica.
Non che mi abbia dato chissà quali risposte, però almeno ora ho un'idea molto vada del perché lo abbia fatto e non riesco a vederla così tanto colpevole. Alla fine quel che ho passato a causa degli effetti collaterali di questa sua azione e annesso esorcismo improvvisato, è nulla in confronto.
Mi ha comunque lasciato il suo biglietto da visita, disposta a spiegarmi tutto più nel dettaglio, ammesso che per me non sia troppo.
Dubito lo sarà... ormai mi sto abituando a tutto e di più, quindi stranezza più, stranezza meno, alla fine non sto ancora uscendo di matto.
Quindi sì, le scriverò quanto prima per avere un appuntamento con lei e discuterne in tutta "calma".
[...]
•Sera•
Dopo cena, mi sono incontrata con Oscar anche se uscendo di casa non ho potuto fare a meno di ripensare alle parole di Eva.
Il nostro passeggiare ci ha portati fino alla Piazzetta Esoterica, cosa che mi ha fatto sorridere per la rievocazione di certi ricordi, tanto da chiedergli se quel posto suscitasse anche in lui qualcosa.
La sua risposta non mi ha deluso per quanto non era mia intenzione metterlo alla prova, ovviamente. Era una semplice domanda.
«L'inizio. Il punto zero. Sì, mi ricorda molte cose... Già allora volevo appoggiare le mie labbra sul tuo collo.»
Già, l'inizio. Anche se in quel tardo pomeriggio di inizio settembre, dopo l'accesa discussione con Gérard, i nostri sguardi si erano incrociati per pochi istanti. Un tipo distinto, ecco cosa avevo pensato di lui. Ma quei pochi secondi mi sono bastati per imprimere bene il suo volto nella mia memoria e riconoscerlo successivamente la sera dell'attentato a Piazza Navona.
Rievocando quei ricordi del punto zero, mi ha guidata in una danza improvvisata sulle note di un valzer che solo noi potevamo udire.
«Mi sento un Re quest'oggi... Vuoi essere la mia Regina?»
Non lo avevo mai visto così di buon umore, così espansivo, ma poi ho compreso il motivo come ho capito dov'era stato ieri sera prima di presentarsi alle due del mattino sotto casa mia (fortuna che ero rincasata da non molto e ancora sveglia).
Con Frank sta indagando sugli omicidi della Zona Eur, tanto da finire a casa di un agente che si sta occupando delle indagini dei due casi.
A quanto pare c'è lo zampino di un essere sovrannaturale e Oscar mi ha fatto leggere quanto aveva appuntato sul suo taccuino durante la chiacchierata con l'agente.
-Entrambi gli omicidi sono avvenuti al parco della Zona Eur, non troppo distanti dal laghetto, anzi il primo praticamente in riva a questo. Le vittime sono entrambe morte dissanguate, le parti del corpo amputate post mortem, tramite l'utilizzo di un'arma da taglio e dei soli denti. La prima vittima è stata spostata, hanno rinvenuto segni di trascinamento a più riprese. Gli mancava la testa, è stata ritrovata in un cassonetto sempre nella zona, delle dita invece non vi è traccia. La seconda vittima è stata messa in posa, come se stesse aspettando qualcuno, morta lì su quella panchina dove è stata trovata. Teneva in mano i suoi stessi occhi. Ci sono segni di lacerazioni e morsi sul collo e sui polsi di entrambi. L'assassino non ha lasciato tracce di alcun tipo. Non hanno dei sospettati, ma la cerchia si restringe o a un individuo con un qualche animale carnivoro appresso o a un "non mortale". Le due vittime erano entrambe di sesso maschile e frequentavano la zona per ora presa di mira dall'omicida.-
Mi ha chiesto cosa ne pensassi ma non è decisamente il mio campo, leggere qualche thriller non fa di me una Sherlock Holmes di certo.
Devo ancora entrare in certe ottiche, ma ho trovato strano il modo di operare di questo essere.
Lo fa per mettersi in mostra con qualcuno? Ma chi?
E perché il cane della seconda vittima è tornato a casa come se nulla fosse, senza nessuna traccia di sangue o di lotta?
Questo dettaglio del cane, lo ha portato a dirmi che alcuni della sua razza sono in gradi di parlarci, comprendendo da me che quindi si differenzino tra di loro per lignaggio di sangue e annesse peculiarità.
-(Sono divisi in Clan e ogni clan ha le sue peculiarità. Ognuno di loro è maledetto, o benedetto a seconda di chi me lo verrà a dire, da diverse condizioni. C’è chi è orribile nell'aspetto e si nasconde dietro una maschera che ha carne e forma d’uomo. Altri hanno il pugno di ferro e tendono a comandare sul prossimo. Altri ancora hanno un incommensurabile amore per ciò che vedono come Arte. Altri ancora invece giocano con l’oscurità e le ombre di chissà quale natura. E c'è chi si diverte nel diffondere la follia che per lui è genialità, o si dilettano nel conoscere se stessi attraverso il cambiamento fisico. Trova geniali chi diffonde la follia perché vedono cose che non vediamo, e altre a modo loro. Ma molto spesso riescono addirittura a prevederne il futuro seppur con una visione caotica e confusionaria come la loro stessa follia detta. Sono chiamati figli di Malkav, o Lunatici, o Schizzati, per altri... Oscar crede invece che vedano con altri occhi, per quanto siano disgraziati ed incompresi.)-
In ogni caso Oscar mi terrà aggiornata sui risvolti delle indagini, anche perché il sapere questo "individuo" a piede libero, un po' di ansia me la mette, non potendo sapere se finirà con spargere cadaveri anche in altre zone della capitale, magari in quelle che sono limitrofe a casa mia.
Abbiamo discorso anche di letture, dandogli il permesso di poter attingere dalla mia libreria personale, ma al momento ha un libro molto più interessante da leggere e che non smette di essere completato.
Quel libro sarei io.
Una lettura che crede non finirà mai. In un modo o nell'altro non finirò di stupirlo.
Parole che mi lusingano, mi fanno sentire interessante e importante ai suoi occhi, ma gli ho fatto presente il fatto che prima o poi, questa lettura avrà una fine (almeno con la mia dipartita, non volendo contare eventuali vicissitudini che potrebbero allontanarci in futuro).
«No. Non finirà. Almeno finché ci sarai... Il microcosmo, l’uomo, coincide e si identifica col macrocosmo... l’Universo. Questo è come un fluido in continua espansione e mutamento... e perciò tu muterai e ti espanderai ancora a lungo. Non hai niente da invidiare ad una stella, se non il perpetuo ed incessabile silenzio in cui permane e ruota.»
Trova sempre il modo di lasciarmi senza parole e farmi arrossire.
«Ecco... Già sei più vicina ad essere una stella. Quando imparerai a non sentir l’esigenza di niente se non di te stessa.. troverai la pace. Perché Dio è la Pace. E la Pace è Dio.»
A quelle parole, gli ho fatto presente che già qualcuna (Zoe) prima di lui mi aveva fatto un discorso simile, sul bastarmi senza aver bisogno di altri per poter andare a vanti, per sopravvivere e di godermi gli altri solo come un valore aggiuntivo.
«E non poteva dirti cosa più vera. In un modo o nell'altro, per quanto sia penosa e sofferente la tua vita, non è che la formazione a tuo futuro essere eterno ed immortale... in un modo, o nell'altro... In Paradiso, o in Terra.»
Queste parole mi hanno dato modo di pensare, a cosa potesse appunto alludere con quel continuare a vivere in eterno sulla Terra. Ma non ho fatto domande, non voglio nemmeno pensarci. Sarà il Destino a darmi risposta a quanto ho pensato.
Ad un certo punto mi ha chiesto se fossi ancora decisa a tentate con l'ipnosi, convinto che stiamo guardando nella giusta scatola, ma nell'angolo sbagliato... Sicuramente sarà così, è lui l'esperto in materia e non ho dubbi sul mio voler essere aiutata da lui in questo.
Mi fido.
Sarà la mia Guida nell'Oscurità.
E lui ha fiducia in me, tanto da dire che sarò io a proteggere lui nel malaugurato caso trovassimo resistenze che nulla avrebbero a che vedere con quelle del mio cervello.
Staremo a vedere...
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Conosce parecchi lati di Sam. Nel corso dei mesi, da quando si erano conosciuti - senza l'influenza dell'Hydra - ha valutato il loro mutamento del rapporto, da conoscenti con poca simpatia reciproca ad una vera e forte amicizia. Bucky lo ammira, per come si è comportato con Steve e per quanto gli sia stato accanto senza voler nulla in cambio. Ma qualcosa è mutato: Rogers ha voluto tornare nella sua epoca ed ha cercato di spiegarlo a Barnes prima di fare quella scelta. Scelta che ovviamente non condivideva, ma che rendeva felice Steve.
Ne era uscito distrutto. L'amico d'infanzia l'aveva abbandonato dopo tutto quello che hanno passato insieme. Eppure Sam gli è stato vicino per tutto il tempo.
Sorride con un leggero sbuffetto nasale, divertito dal ricordargli gli ultimi avvenimenti e come gli aveva tenuto testa, sminuendo l'accaduto. Si volta verso il bambino, stringendo le spalle e scuotendo un poco il capo.
"Sì, è stato divertente. Lo ammetto."
E strofina la nuca corvina del bambino, affettuosamente, aiutandolo a scendere dal piano della cucina e lasciar raggiungere Sam. Il quadretto è davvero delizioso: l'amico che pare quasi un esperto nel muoversi con un bambino spaventato e Serrure che gli ha dato immediatamente fiducia come se lo conoscesse da una vita. Ed è questo che fa sospirare Bucky, sereno dal fatto che Sam sia un animo puro. Dietro quella faccia tosta e risposta pronta, c'è anche un cuore grande.
"Stark ha fascino. A me piaceva parecchio suo padre Howard, ad essere onesto." appoggia il sedere contro il bordo del piano e osserva con attenzione il bambino trangugiare cioccolata "Era un genio. Sono andato ad una sua fiera, nel 39, e già aveva intenzione di far volare un'automobile." e poi il triste epilogo, dove lo uccise - assieme alla moglie - costretto alle torture dell'Hydra. Il sorriso muore immediatamente, puntando lo sguardo verso il basso, vitreo e triste, immerso in quei ricordi terribili.
"Non c'è problema, Sam. Puoi andare, ci penso io a sistemare la cucina." mormora cercando in tutti i modi di arrestare quel singulto e lo sguardo immediatamente umido. "Va a riposare, te ne prego."
Eccolo. @buckymetalfist ❤️
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“Requiem for a meal...“ 10/01/2017
(Alcuni Greater Restoration dopo... lanciati dal prode Longo il Bardo.) (Per ora permangono le maledizioni di mutamento d'aspetto e svantaggio se gli viene sottratta la spada.)
Party:<<Sir Igan, Sir Igan, ora ci riconosce ?>>
Sir Igan:<<Certo, stiamo mangiando all'ordine del guanto...anche se ammetto di non ricordarmi come sono arrivato sino a qui...strano...>>
Party:<<Sir Igan...lei sa di essere un Drow ?>>
Sir Igan:<<Ehi! Io non sto insultando la tua famiglia! E solo perchè ho la carnagione scura, questo non ti dà il diritto di paragonarmi anche solo lontanamente ad un cazzo di succhia cappelle di fungo dell'underdark! Chiediti solo perchè a loro piace abitare nei cuniCULI scuri...>>
(spiegazione di cosa è successo, esposizione del fatto che aveva assunto l'aspetto di un Mind Flayer e che ridesse della morte della sua stessa sorella)
Sir Igan:<<IO HO FATTO COSA? IO ERO UN MIND COSA?>>
Party:<<Sappiamo che è sconvolgente per lei, ma l'avevamo avvertita di non recarsi da quel Warlock, in fondo è un'incantatore dalla dubbia morale e tende a gestire i suoi affari in maniera truffaldina.>>
Sir Igan:<<Se dovrò sopportare di portare l'aspetto di questa orrenda creatura dalle orecchie puntute...e sia! Prima facciamo finita questa storia dei draghi e prima potrò rendere quello stronzo un fodero per la stessa lama che mi ha venduto!>>
Oltre a tutto quello che mi è stato detto dai miei compagni di ventura, mi è stato inoltre riferito che la città di Waterdeep ha ricevuto in visita una delegazione di Yuan-ti, che volendo offrire il loro aiuto per la causa contro Tiamat hanno scortato una della loro regnanti al cospetto del consiglio della città.
Costoro portavano pace ed alleanza, ma anche vergogna e giustizia per una persona ed una questione che non era ancora stata risolta. Infatti era in loro possesso una borsa, che quando fu scagliata al centro della stanza riversò il suo contenuto agli occhi di tutti, rivelando grandi pietre dalla pregievolissima fattura. I gioielli in questione non erano altro che la prova attraverso cui si poteva accusare il re elfico Melandrak di avere una vera e propria avversione per i draghi, difatti quelle gemme fuorono create da lui per sottomettere la nobile razza ai suoi scopi, purtroppo però questi artefatti non diedero l'effetto sperato, e invece di ammansirsi i draghi impazzirono.
Grandi pressioni e borbottii si fecero largo in quelle vaste camere, piene di potere, sgomento e vergogna... Ovviamente per risolvere la situazione nella maniera più diplomatica possibile decidemmo di suggerire al re elfico ed al re nanico, il quale anch'esso si era macchiato di grandi delitti verso la stirpe draconica, facendo armi e corazze della loro pelle, di accollarsi la responsabilità di formulare delle scuse pubbliche che potessero essere udite in ogni dove e parte dei costi nell'edificazione del nuovo tempio cittadino a Bahamut che sarebbe stato eretto di lì a poco.
La giornata sembrava oramai rovinata e rovinosa ma come il fato ci ricorda sempre...al peggio non c'è mai fine e le brutte notizie non giungono mai sole. Lord Neverember aveva lasciato questa vita. Il suo ingozzamento ed ingollamento di viveri e bevande non avrebbe più albergato rumoreggiante durante le dispute diplomatiche, non avrebbe più fatto da glorioso sottofondo agli incontri dove si discuteva di politica cittadina o degli ultimi eventi importanti che capitavano alla città... Purtroppo, un'infausta successione di eventi aveva caratterizzato la sua dipartita in modo da sottolineare i suoi evidenti problemi di salute e di linea. Egli, rispettando i consigli di chi lo aveva in cura, si era coscienziosamente recato all'aperto per fare della sana attività fisica sopra di un prato nelle campagne circostanti, seguito solo da alcuni paggi e un leggero pranzo al sacco composto da pochi miseri quintali di carne di selvaggina e non. Mentre il sommo Lord si approntava a degustare nel migliore ambiente possibile il delicato e aureo miele delle sue personali riserve, uno sciame di PERICOLOSE ED ANARCHICHE API lo aggredirono attratte dalla stessa dolce tentazione che il nostro amato signore si approntava a ingurgitare avidamente e con gusto. Fuggendo prontamente verso una fonte d'acqua per sfuggire all'ATTENTATO RIOTTOSO DI QUEGLI ODIOSI INSETTI, il nostro Lord purtroppo cadde nel fiume che costeggia queste vallate. In un gesto di vero coraggio e sprezzo del pericolo Neverember tentò di compensare la lacuna di poter rimanere a galla grazie al suo dolce peso con la capacità di poter deglutire l'intero corso d'acqua...ahimè senza riuscirci. Il fiume ciò nonostante continua il suo corso, anche se il suo flusso è stato dimezzato dalla disperata impresa del nostro caro perduto.
Successivamente a queste orribili e nefaste rivelazioni però, ne ricevemmo subito una più che buona. La maschera blu del culto del drago era stata individuata e noi saremmo putiti partire alla sua ricerca. L'impresa purtroppo però era tutt'altro che facile, infatti il potente artefatto era custodito all'interno di una torre sorvegliata da maghi del culto, protetta da un labirinto magico composto da siepi cangianti.
L'astuzia e l'ingengo non risiedono quasi mai all'interno delle nostre fila e ciò è un fatto preoccupante. Confido che l'occhio di Bahamut sia vigile su di noi e possa indicarci i passi giusti per compiere il suo volere... Avrò vendetta per mia sorella, lo giuro! Che io possa rimanere Drow a vita se rinuncerò o non riuscirò a farcela! Odio i Warlock...
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Gloria a Dio perché sia pace in terra. Un inedito di papa Benedetto
Il libro sarà in vendita dal 10 maggio, ma Settimo Cielo ne anticipa qui le pagine più nuove e più attese: un testo di Joseph Ratzinger che porta la data del 29 settembre 2014 e non è stato mai pubblicato prima d'ora, sulla questione capitale del fondamento dei diritti umani, i quali – scrive – o sono ancorati nella fede nel Dio creatore, o non sono.
di Sandro Magister (09-08-2018)
Il libro sarà in vendita dal 10 maggio, ma Settimo Cielo ne anticipa qui le pagine più nuove e più attese: un testo di Joseph Ratzinger che porta la data del 29 settembre 2014 e non è stato mai pubblicato prima d'ora, sulla questione capitale del fondamento dei diritti umani, i quali – scrive – o sono ancorati nella fede nel Dio creatore, o non sono.
È un testo di chiarezza cristallina, che Ratzinger ha scritto nel suo ritiro vaticano, un anno e mezzo dopo le sue dimissioni da papa, a commento di un libro – edito poi nel 2015 col titolo definitivo "Diritti umani e cristianesimo. La Chiesa alla prova delle modernità" – del suo amico Marcello Pera, filosofo di scuola liberale, già presidente del senato italiano.
In questo suo commento, il "papa emerito" analizza l'irrompere dei diritti umani nel pensiero laico e cristiano della seconda metà del Novecento, in alternativa alle dittature totalitarie di ogni tipo, atee o islamiche. E spiega perché "nella mia predicazione e nei miei scritti ho sempre affermato la centralità della questione di Dio".
Il motivo è appunto quello di assicurare ai diritti umani il loro fondamento di verità, senza il quale i diritti si moltiplicano ma anche si autodistruggono e l'uomo finisce col negare se stesso.
Il volume nel quale sta per uscire questo scritto, assieme ad altri testi di Ratzinger sul nesso tra fede e politica, è edito in Italia da Cantagalli:
Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, "Liberare la libertà. Fede e politica nel terzo millennio", a cura di Pierluca Azzaro e Carlos Granados, prefazione di papa Francesco, Cantagalli, Siena, 2018, pp. 208, euro 18.
È il secondo di una collana di sette volumi dal titolo "Joseph Ratzinger - Testi scelti", sui temi fondamentali del pensiero di Ratzinger teologo, vescovo e papa, pubblicati in contemporanea in più lingue e in diversi paesi: in Germania da Herder, in Spagna da BAC, in Francia da Parole et Silence, in Polonia da KUL, negli Stati Uniti da Ignatius Press.
Entrambi i volumi finora usciti hanno la prefazione di papa Francesco.
Ed ecco qui di seguito il testo inedito che apre il secondo volume della collana. Il sottotitolo è originale, di Ratzinger in persona.
*
SE DIO NON C'È, CROLLANO I DIRITTI UMANI
Elementi per una discussione sul libro di Marcello Pera "La Chiesa, i diritti umani e il distacco da Dio"
di Joseph Ratzinger
Il libro rappresenta indubbiamente una grande sfida per il pensiero contemporaneo, e anche, in particolare, per la Chiesa e la teologia. Lo iato tra le affermazioni dei Papi del XIX secolo e la nuova visione che inizia con la "Pacem in terris" è evidente e su di esso si è molto dibattuto. Esso sta anche al cuore dell’opposizione di Lefèbvre e dei suoi seguaci contro il Concilio. Non mi sento in grado di dare una risposta chiara alla problematica del Suo libro; posso solo fare alcune annotazioni che, a mio avviso, potrebbero essere importanti per un’ulteriore discussione.
1. Solo grazie al Suo libro mi è diventato chiaro in che misura con la "Pacem in terris" inizi un nuovo orientamento. Ero consapevole di quanto fosse stato forte l’effetto di quell’Enciclica sulla politica italiana: essa diede l’impulso decisivo per l’apertura della Democrazia Cristiana a sinistra. Non ero consapevole invece di quale nuovo inizio essa abbia rappresentato anche rispetto ai fondamenti ideali di quel partito. E tuttavia, per quel che ricordo, la questione dei diritti umani ha acquisito praticamente un posto di grande rilievo nel Magistero e nella teologia postconciliare solo con Giovanni Paolo II.
Ho l’impressione che, nel Papa Santo, questo non sia stato tanto il risultato di una riflessione (che pure in lui non mancò), quanto la conseguenza di un’esperienza pratica. Contro la pretesa totalitaria dello Stato marxista e dell’ideologia sulla quale si fondava, egli vide nell’idea dei diritti umani l’arma concreta capace di limitare il carattere totalitario dello Stato, offrendo in tal modo lo spazio di libertà necessario non solo per il pensiero della singola persona, ma anche e soprattutto per la fede dei cristiani e per i diritti della Chiesa. L’immagine secolare dei diritti umani, secondo la formulazione ad essi data nel 1948, gli apparve evidentemente come la forza razionale contrastante la pretesa onnicomprensiva, ideologica e pratica, dello Stato fondato sul marxismo. E così, da Papa, affermò il riconoscimento dei diritti umani come una forza riconosciuta dalla ragione universale in tutto il mondo contro le dittature di ogni tipo.
Questa affermazione riguardava ora non più solo le dittature atee, ma anche gli Stati fondati sulla base di una giustificazione religiosa, così come li incontriamo soprattutto nel mondo islamico. Alla fusione di politica e religione nell’islam, che necessariamente limita la libertà delle altre religioni, e dunque anche quella dei cristiani, viene contrapposta la libertà della fede, che in certa misura considera anche lo Stato laico come forma giusta di Stato, nella quale trova spazio quella libertà della fede che i cristiani sin dall’inizio pretesero. In questo, Giovanni Paolo II sapeva di essere in profonda continuità con la Chiesa nascente. Essa stava di fronte a uno Stato che conosceva la tolleranza religiosa, certo, ma che affermava un’ultima identificazione tra autorità statale e divina a cui i cristiani non potevano acconsentire. La fede cristiana, che annunciava una religione universale per tutti gli uomini, comprendeva necessariamente una fondamentale limitazione dell’autorità dello Stato in ragione dei diritti e dei doveri della singola coscienza.
Non veniva formulata così l’idea dei diritti umani. Si trattava piuttosto di fissare l’obbedienza dell’uomo a Dio quale limite dell’obbedienza allo Stato. Tuttavia a me non sembra ingiustificato definire il dovere dell’obbedienza dell’uomo a Dio come diritto rispetto allo Stato. E a questo riguardo era del tutto logico che Giovanni Paolo II, nella relativizzazione cristiana dello Stato a pro della libertà dell’obbedienza a Dio, vedesse espresso un diritto umano che precede ogni autorità statale. Credo che in questo senso il Papa abbia potuto senz’altro affermare una profonda continuità tra l’idea di fondo dei diritti umani e la tradizione cristiana, anche se certo gli strumenti rispettivi, linguistici e di pensiero, risultano molto distanti tra loro.
2. A mio parere, nella dottrina dell’uomo fatto a immagine di Dio fondamentalmente è contenuto quello che Kant afferma quando definisce l’uomo come fine e non come mezzo. Si potrebbe anche dire che essa contenga l’idea che l’uomo è soggetto e non solo oggetto di diritto. Questo elemento costitutivo dell’idea dei diritti umani è espresso chiaramente, mi sembra, nella Genesi: "Domanderò conto della vita dell’uomo all’uomo, a ognuno di suo fratello. Chi sparge il sangue dell’uomo, dall’uomo il suo sangue sarà sparso, perché a immagine di Dio è stato fatto l’uomo" (Gen 9, 5s). L’essere creato a immagine di Dio include il fatto che la vita dell’uomo è posta sotto la speciale protezione di Dio, il fatto che l’uomo, rispetto alle leggi umane, è titolare di un diritto posto da Dio stesso.
Questa concezione acquisì importanza fondamentale all’inizio dell’età moderna con la scoperta dell’America. Tutti i nuovi popoli nei quali ci si imbatteva non erano battezzati, e così si pose la questione se avessero dei diritti o meno. Per l’opinione dominante essi divenivano veri e propri soggetti di diritto solo con il battesimo. Il riconoscimento che erano immagine di Dio in forza della creazione – e che tali rimanevano anche dopo il peccato originale – significava che anche prima del battesimo erano già soggetti di diritto e che dunque potevano pretendere il rispetto della loro umanità. A me sembra che venivano riconosciuti qui dei “diritti umani” che precedono l’adesione alla fede cristiana e qualunque potere statale, quale che sia la sua specifica natura.
Se non mi sbaglio, Giovanni Paolo II ha concepito il suo impegno a favore dei diritti umani in continuità con l’atteggiamento che ebbe la Chiesa antica nei confronti dello Stato romano. Effettivamente, il mandato del Signore di fare suoi discepoli tutti i popoli aveva creato una situazione nuova nel rapporto tra religione e Stato. Non c’era stata sino ad allora una religione con pretesa di universalità. La religione era una parte essenziale dell’identità di ciascuna società. Il mandato di Gesù non significa immediatamente esigere un mutamento nella struttura delle singole società. E tuttavia esige che in tutte le società sia data la possibilità di accogliere il suo messaggio e di vivere in conformità ad esso.
Ne consegue in primo luogo una nuova definizione soprattutto della natura della religione: essa non è rito e osservanza che ultimamente garantisce l’identità dello Stato. È invece riconoscimento (fede), e precisamente riconoscimento della verità. Poiché lo spirito dell’uomo è stato creato per la verità, è chiaro che la verità obbliga, ma non nel senso di un’etica del dovere di tipo positivistico, bensì a partire dalla natura della verità stessa che, proprio in questo modo, rende l’uomo libero. Questo collegamento tra religione e verità include un diritto alla libertà che è lecito considerare in profonda continuità con l’autentico nocciolo della dottrina dei diritti umani, come evidentemente ha fatto Giovanni Paolo II.
3. Giustamente Lei ha considerato fondamentale l’idea agostiniana dello Stato e della storia, ponendola alla base della Sua visione della dottrina cristiana dello Stato. E tuttavia avrebbe forse meritato una considerazione ancora maggiore la visione aristotelica. Per quanto posso giudicare, ebbe scarso rilievo nella tradizione della Chiesa del Medioevo, tanto più dopo che fu assunta da Marsilio da Padova in contrasto con il magistero della Chiesa. Poi è stata ripresa sempre più, a partire dal XIX secolo quando si venne sviluppando la dottrina sociale della Chiesa. Si partiva ora da un duplice ordine, l’"ordo naturalis" e l’"ordo supernaturalis"; laddove l’"ordo naturalis" veniva considerato completo in se stesso. Si sottolineava espressamente che l’"ordo supernaturalis" era una libera aggiunta, significando pura grazia che non può essere pretesa a partire dall’"ordo naturalis".
Con la costruzione di un "ordo naturalis" che è possibile afferrare in modo puramente razionale, si tentava di acquisire una base argomentativa grazie alla quale la Chiesa avrebbe potuto far valere le sue posizioni etiche nel dibattito politico sulla base della pura razionalità. Di giusto, in questa visione, vi è il fatto che anche dopo il peccato originale l’ordine della creazione, pur essendo ferito, non è stato completamente distrutto. Far valere ciò che è autenticamente umano dove non è possibile affermare la pretesa della fede, in sé è una posizione giusta. Essa corrisponde all’autonomia dell’ambito della creazione e all’essenziale libertà della fede. In questo senso è giustificata, anzi necessaria, una visione approfondita, dal punto di vista della teologia della creazione, dell’"ordo naturalis" in collegamento con la dottrina aristotelica dello Stato. Ma ci sono anche dei pericoli:
a) Molto facilmente si dimentica la realtà del peccato originale e si giunge a forme di ottimismo ingenue e che non rendono giustizia alla realtà.
b) Se l’"ordo naturalis" è visto come una totalità completa in se stessa e che non ha bisogno del vangelo, sussiste il pericolo che ciò che è propriamente cristiano sembri una sovrastruttura in ultima analisi superflua, sovrapposta all’umano naturale. Effettivamente ricordo che una volta mi fu presentata la bozza di un documento in cui alla fine erano espresse formule senz’altro molto pie, e tuttavia lungo tutto il processo argomentativo non solo non compariva Gesù Cristo e il suo vangelo ma nemmeno Dio, e pertanto apparivano superflui. Evidentemente si credeva di potere costruire un ordine della natura puramente razionale, che tuttavia poi strettamente razionale non è, e che, d’altro canto, minaccia di relegare ciò che è propriamente cristiano nell’ambito del mero sentimento. Emerge qui chiaramente il limite del tentativo di ideare un "ordo naturalis" chiuso in se stesso e autosufficiente. Padre de Lubac, nel suo "Surnaturel", ha cercato di dimostrare che lo stesso San Tommaso d’Aquino – al quale pure ci si richiamava nel formulare quel tentativo – in realtà non aveva inteso questo.
c) Un problema fondamentale di un simile tentativo consiste nel fatto che col dimenticare la dottrina del peccato originale nasce un’ingenua fiducia nella ragione che non percepisce l’effettiva complessità della conoscenza razionale in ambito etico. Il dramma della disputa sul diritto naturale mostra chiaramente che la razionalità metafisica, che in questo contesto viene presupposta, non è immediatamente evidente. A me sembra che abbia ragione l’ultimo Kelsen quando dice che il derivare un dovere dall’essere è ragionevole solo se Qualcuno ha depositato un dovere nell’essere. Questa tesi tuttavia per lui non è degna di discussione. Mi sembra pertanto che alla fine tutto poggia sul concetto di Dio. Se Dio c’è, se c’è un creatore, allora anche l’essere può parlare di lui e indicare all’uomo un dovere. In caso contrario, l’ethos in ultimo si riduce a pragmatismo. Per questo nella mia predicazione e nei miei scritti ho sempre affermato la centralità della questione di Dio. A me sembra che questo sia il punto in cui fondamentalmente convergono la visione del Suo libro e il mio pensiero. L’idea dei diritti umani in ultima analisi conserva la sua solidità, solo se è ancorata alla fede nel Dio creatore. È da qui che essa riceve la definizione del suo limite e insieme la sua giustificazione.
4. Ho l’impressione che nel Suo precedente libro, "Perché dobbiamo dirci cristiani", Lei valuti l’idea di Dio dei grandi liberali in un modo diverso rispetto a quanto fa nella Sua nuova opera. In quest’ultima esso appare come una tappa verso la perdita della fede in Dio. Al contrario, nel Suo primo libro Lei, a mio parere, aveva mostrato in modo convincente che senza l’idea di Dio il liberalismo europeo è incomprensibile e illogico. Per i padri del liberalismo, Dio era ancora il fondamento della loro visione del mondo e dell’uomo, cosicché, in quel libro, la logica del liberalismo rende necessaria proprio la confessione del Dio della fede cristiana. Capisco che sono giustificate entrambe le valutazioni: da un lato, nel liberalismo, l’idea di Dio si stacca dai suoi fondamenti biblici perdendo così lentamente la sua forza concreta; dall’altro, per i grandi liberali, Dio comunque è e rimane irrinunciabile. È possibile accentuare l’uno o l’altro aspetto del processo. Credo sia necessario menzionare entrambi. Ma la visione contenuta nel suo primo libro per me resta irrinunciabile: quella cioè per cui il liberalismo, se esclude Dio, perde il suo proprio fondamento.
5. L’idea di Dio include il fondamentale concetto dell’uomo quale soggetto di diritto e con ciò giustifica e insieme stabilisce i limiti della concezione dei diritti umani. Lei nel suo libro ha mostrato in modo persuasivo e stringente cosa accade quando il concetto dei diritti umani viene scisso dall’idea di Dio. La moltiplicazione dei diritti conduce da ultimo alla distruzione dell’idea di diritto e conduce necessariamente al “diritto” nichilista dell’uomo di negare se stesso: l’aborto, il suicidio, la produzione dell’uomo come cosa diventano diritti dell’uomo che al contempo lo negano. Così, nel suo libro emerge in modo convincente che l’idea dei diritti umani separata dall’idea di Dio in ultimo non conduce solo alla marginalizzazione del cristianesimo, ma in fin dei conti alla sua negazione. Questo, che mi sembra essere l’autentico scopo del suo libro, è di grande significato di fronte all’attuale sviluppo spirituale dell’Occidente che nega sempre più i suoi fondamenti cristiani e si volge contro di essi.
© Edizioni Cantagalli / Libreria Editrice Vaticana
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