#nella Guerra e nella Ricerca di Identità
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aitan · 11 months ago
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I venti del cambiamento.
Pacifisti a corrente alternata.
Pacifisti del III millennio.
"Macron con le sue parole rappresenta un pericolo per il nostro Paese e per questo continente. I problemi non sono la mamma e il papà, ma i guerrafondai come Macron. Non voglio lasciare ai miei figli un continente pronto a entrare nella terza guerra mondiale". Lo ha detto il ministro dei Trasporti e leader della Lega Matteo Salvini intervenendo alla convention del partito Identità e democrazia "Winds of Change" in corso a Roma. "Se la scelta - ha aggiunto il vicepremier - è tra l'Europa guerrafondaia di Macron e quella pacifica di Le Pen, io sto tutta la vita con l'Europa di Le Pen".
[Fonte: ANSA]
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piusolbiate · 22 days ago
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10 Febbraio - Giorno del Ricordo
Intervento del Presidente Mattarella all'inaugurazione della "Prima Capitale europea della cultura transfrontaliera Go! 2025"
Signora Presidente, cara amica Nataša,
Signori Sindaci di Nova Gorica e Gorizia,
autorità slovene e italiane,
care cittadine e cari cittadini di Slovenia e d’Italia,
concittadine e concittadini europei,
ringrazio la Presidente Pirc Musar, anzitutto per le parole che ha adoperato nei confronti miei e dell’Italia, e per avermi invitato a condividere con lei questo momento storico per due città, Nova Gorica e Gorizia, per la Slovenia e l’Italia e per tutta l’Unione Europea.
Desidero esprimere convinto apprezzamento agli organizzatori, alle autorità locali, ai rappresentanti delle istituzioni europee presenti, per il lavoro svolto in piena intesa e con lungimiranza per portare a compimento un progetto lanciato su questa piazza nel 2021 ma che affonda le sue radici nel lungo percorso di amicizia e riconciliazione di cui i nostri due Paesi, Signora Presidente, sono stati protagonisti e di cui possiamo essere orgogliosi.
In un mondo caratterizzato da crescenti tensioni e da conflitti, dall’abbandono della cooperazione come elemento fondante della vita internazionale, Slovenia e Italia hanno saputo dimostrare che è possibile scegliere la via della cooperazione.
Nella tragedia della Seconda Guerra Mondiale, un sopravvissuto ad Auschwitz, Roman Kent, ha osservato “non vogliamo che il nostro passato sia il futuro dei nostri figli”.
Con questo spirito abbiamo affrontato le pagine del dopoguerra, per scriverne una nuova e nulla può far tornare indietro la storia che Slovenia e Italia hanno costruito, e costruiscono, insieme.
In questo percorso due elementi hanno fornito un contributo determinante: la comune appartenenza all’Unione Europea e la cultura condivisa dai nostri popoli.
Con l’ingresso della Slovenia nell’Unione Europea, venti anni or sono, i nostri Paesi si sono ricongiunti in un percorso condiviso: la Repubblica Italiana è stata lieta di poter sostenere e accompagnare il processo di adesione, affinché i due popoli si ritrovassero a contribuire a un destino comune.
Lavorando fianco a fianco nelle Istituzioni Europee si è consolidata la fiducia reciproca e vi è maturato senso di appartenenza e di una ulteriore identità: la comune identità europea.
Le differenze, le incomprensioni, hanno lasciato il posto a fattori che uniscono.
Questo esprime il grande valore storico della integrazione Europea.
Una cultura con tante preziose peculiarità nazionali, con più lingue, ma una cultura comune: quella che, insieme, quest’anno le due città celebreranno.
Nova Gorica e Gorizia ambiscono a celebrare la cultura dei confini.
Con Chemnitz, in Germania, Nova Gorica è stata scelta come Capitale europea della cultura 2025 e la città slovena ha voluto lanciare con la gemella Gorizia una sfida: proporsi come esperienza di cultura attraverso la frontiera.
Se la cultura, per definizione, non conosce confini, essa nasce, pur sempre, come espressione di una comunità ma aperta alla conoscenza, alla ricerca comune, ai reciproci arricchimenti
Sconfitti gli orrori dell’estremismo nazionalista, che tanto male ha prodotto in Europa, riemergono i valori della convivenza e dell’accoglienza.
Sono i valori che possono opporsi all’oscurantismo della guerra e del conflitto che si è riproposto con l’aggressione russa all’Ucraina.
Essere Capitale europea della cultura transfrontaliera - la prima con questa esperienza - significa avere il coraggio di essere portatori di luce e di fiducia nel futuro del mondo, dove si diffondono ombre, incertezze e paure. Significa che Nova Gorica e Gorizia indicano una strada di autentico progresso.
È un compito che comincia oggi e per il quale mi affianco, con sincera e grande amicizia, alla Presidente Pirc Musar nell’augurarvi ogni successo.
https://www.quirinale.it/elementi/127368
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sguardimora · 6 months ago
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Abbiamo trascorso l’ultimo weekend insieme ai e alle Custodi delle residenze ospiti de La Corte Ospitale di Rubiera prima di rivederci a fine settembre a Mondaino per la chiusura del progetto ERetici. Le strade dei teatri con la prova aperta di Do fairies have a tail? di Violetta Cottini, Alessandra e Roberta Indolfi che si terrà il 28 settembre alle 18.��
Sabato 7 settembre abbiamo incontrato la direttrice Giulia Guerra con la quale abbiamo attraversato lo sviluppo storico e amministrativo delle Residenze Artistiche in Italia per poi confrontarci con lei su come operano nello specifico nella sua residenza sia a livello di progettualità artistiche che di relazione con la comunità e con l’Europa.
Subito dopo siamo entrati in sala per confrontarci con le artiste. Violetta, Alessandra e Roberta ci hanno fatto immergere nel loro processo creativo prima raccontandoci le difficoltà e le svolte degli ultimi mesi, gli incontri fondamentali e lo stato attuale della ricerca, poi facendoci letteralmente entrare nel mondo che stanno esplorando attraverso l’ascolto di due partiture sonore: siamo stati così prima trasportati nella stanza dei giochi di una casa abbandonata avvolta da un temporale poi in un sottobosco cavernoso popolato da esserini minuscoli e velocissimi. 
Prima di lasciarci ci hanno mostrato alcune proiezioni video a cui stanno lavorando e che entreranno in dialogo con il resto della scena: qui i corpi in bianco e nero si moltiplicano e scompongono, entrano e fluiscono dal fondale e si avvicinano e si allontanano dando alla scena una profondità che sembra infinita. Le immagini così composte rendono le figure animali e umane quasi similari, dando l’idea di un regno intero di esseri per noi indistinguibili.
Terminati i lavori la prima giornata siamo stati accolti da Alessia che ci ha guidate per Rubiera raccontandoci qualcosa di più della cittadina emiliana per poi accompagnarci ad un aperitivo. 
Il giorno successivo dopo una passeggiata negli spazi naturali intorno alla Corte che hanno nutrito il processo di ricerca delle artiste abbiamo assistito a una prova del lavoro che ci ha aperto nuove domande e riflessioni: Chi sta cercando il mondo delle fate? Le fate si interrogano sulla loro identità? Qual è il movimento delle fate? Che cosa le distingue dagli umani? E così via per andare poi a ragionare alla scrittura di un diario di queste due giornate che ci aiuterà a restituire parte di questo processo di incontro e condivisione.
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enkeynetwork · 9 months ago
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cinquecolonnemagazine · 1 year ago
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La Fondazione Memmo ricorda la biblioteca di Eco
La Biblioteca del Mondo è la mostra realizzata dalla Fondazione Memmo, opere che usano il libro come materiale di costruzione Umberto Eco Alla Fondazione Memmo fino al 21.04.2024 sarà possibile ammirare la mostra Conversation piece, La Biblioteca del Mondo, uno sguardo su Roma come biblioteca a cielo aperto e punto di riferimento per l’arte contemporanea internazionale.  L’esposizione, a cura di Marcello Smarrelli, rientra nel ciclo Conversation piece, una serie di mostre con cadenza annuale che hanno l’obiettivo di effettuare un focus sugli artisti italiani e stranieri che scelgono Roma come luogo di ricerca artistica, residenza e lavoro.  Il titolo della nona edizione si riferisce all’omonimo documentario del 2022 in cui si raccontava la leggendaria biblioteca di Umberto Eco. Lo scrittore considerava le biblioteche dei contenitori della memoria dell’umanità e la mostra, organizzata dalla Fondazione Memmo, vuole in un certo qual modo ripercorrere quel pensiero, mettendo Roma al centro di un’esperienza che la collega idealmente alla cultura universale.   La Biblioteca del Mondo ha coinvolto nove artisti di nazionalità diversa che restituiscono al pubblico una propria visione della “biblioteca”. Le opere in esposizione sono di Yael Bartana (1970, Israele),Nicolò Degiorgis (1985, Bolzano), Bruna Esposito (1960, Roma), Claire Fontaine (artista collettiva fondata a Parigi nel 2004 da Fulvia Carnevale e James Thornhill), Paolo Icaro (1936, Torino), Kapwani Kiwanga (1978, Hamilton, Canada), Marcello Maloberti (1966, Codogno), Francis Offman (1987, Butare, Ruanda), Ekaterina Panikanova (1975, San Pietroburgo, Russia).       La Biblioteca del Mondo alla Fondazione Memmo Il pubblico ha quattro sale per immergersi nelle opere degli artisti. Di grande suggestione è il lavoro di Ekaterina Panikanova, Untitled (Forest) che apre la prima sala della mostra. Un lavoro di grandi dimensioni in cui il libro è il protagonista indiscusso. Immagini a china realizzate dall’artista, trapelano tra le pagine dei libri che si intrecciano e si adagiano tra i rami di un albero creando un ideale libro di memorie tridimensionale.  Dall’opera di grandi dimensioni della Panikanova si può passare alle interessanti fotografie a colori (Scenes from Maska Germania) di Yael Bartana, che ha indagato il desiderio di redenzione collettiva in un mondo connotato da forti inquietudini sociali, politiche e religiose.  Originalissima è l’opera di Nicolò Degiorgis (Bolzano, 1985), Heimatkunde, una casetta di quaderni, che prende spunto dal suo quaderno di Heimatkunde, una disciplina praticata nelle scuole elementari di lingua tedesca dell'Alto Adige fino agli anni Novanta del Novecento, per insegnare agli alunni come costruire la propria identità. Ekaterina Panikanova, Untitled, Forest Dai libri si può passare al video con l’opera di Bruna Esposito che ha realizzato una video istallazione dal titolo L’Infinito di Leopardi nella Lingua dei segni italiana (2018). Il lavoro è stato concepito a Recanati, città natale del poeta. Un video proiettore è posto su un'incerta pila di libri sul pavimento. La proiezione mostra le immagini di un’interprete LIS mentre traduce i versi della poesia di Leopardi nella lingua dei segni.  Mattoni che diventano libri, invece, nell’opera di Claire Fontaine con la serie dei Brickbat (2002-2023). Libri sparsi sul pavimento i cui titoli scelti dall’artista rimandano ad autori che hanno espresso posizioni politiche e filosofiche decisive dagli anni Sessanta a oggi. La fusione di questi due oggetti (libro e mattone), diventa così la metafora visiva della citazione di Carlo Levi: Le parole sono pietre. L’opera di Tolstoj, Guerra e Pace, troneggia all’entrata della mostra, sospesa da fili metallici. E’ il lavoro di Paolo Icaro, Con Equilibrio (2023), un’edizione italiana del capolavoro dello scrittore russo su cui l’artista ha posto un foglio di carta con scritto Guerra e pace in russo e in ucraino. Icaro così unisce passato e presente in una sorta di monito a tutta l’umanità. Francis Offman, (Untitled) Un altro tema importante è trattato da Kapwani Kiwanga con Greenbook (1961) (2019), un lavoro ispirato al Negro Motorist Green Book, una guida statunitense rivolta ai viaggiatori afroamericani. Con quest’opera (tre stampe incorniciate alla parete) l’artista intende sottolineare come le differenze razziali precludano ai non bianchi l’accessibilità alle risorse e alle conoscenze. Francis Offman invece, presente l’anno scorso a Quotidiana a Palazzo Braschi, presenta un’installazione site-specific (Untitled) in cui il caffè è il protagonista di una lunga storia. Un dipinto alla parete dialoga con una serie di libri sul pavimento che sono ricoperti di caffè e sorretti da dei calibri, simbolo di grandi problematicità. Il calibro, infatti, come racconta Offman, è utilizzato in Ruanda per determinare le differenze etniche, ma è stato anche lo strumento impiegato dall’antropologo e criminologo Cesare Lombroso per le sue teorizzazioni sulla fisiognomica.  Chiude la visita (o la apre, dipende se vi è saltata subito all’occhio) l’opera site-specific di Marcello Maloberti, nel cortile delle Scuderie. Si tratta di una scritta luminosa con la frase CHI MI PROTEGGE DAI TUOI OCCHI collegata ad un’altra, sempre dello stesso autore, sulla facciata di Palazzo Ruspoli in via del Corso che, come la prima, intende creare un dialogo serrato con lo spazio pubblico.  Read the full article
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iltrombadore · 2 years ago
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"Il patriota, il partigiano e il "sogno di una cosa": una biografia ragionata di mio padre Antonello Trombadori
di Duccio Trombadori
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Nella primavera del 2007 su iniziativa del sindaco Walter Veltroni il Comune di Roma intitolò un viale di Villa Borghese alla memoria di Antonello Trombadori. La toponomastica allora mi pregò di indicare i titoli che intendevo far incidere sulla lapide che ne portava il nome: “poeta, critico d’arte, uomo politico”, tagliai corto. E così fu. 
Oggi però a quasi vent’anni di distanza mi pento di non aver aggiunto il termine “patriota” quale richiamo al ruolo assolto da mio padre nella Resistenza romana (settembre 1943-giugno 1944) che gli valse una medaglia d’argento al valore militare. 
Ricordo ancora non senza rimorso un addolorato Rosario (Sasà) Bentivegna  - altro decorato dei Gap a Roma- quando, non senza  rammarico, mi fece notare la mancanza. 
Pensavo esagerasse, tanto era implicito l’ abito antifascista che onora la vita di mio padre. Ma Sasà aveva pienamente ragione. 
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Vedo più chiaro oggi quello che allora mi  sfuggì: era    la questione del “patriottismo” quale identità morale sofferta e controversa, rappresentativa di tutta una generazione di uomini e donne (padri e madri per me;  nonni e bisnonni, per i più giovani) che si formarono nel pieno delle illusorie mitologie nazionaliste e imperialiste, passarono il setaccio della guerra fascista, della umiliante sconfitta, della occupazione nazista e trovarono poi nella resistenza partigiana un riscatto morale per la guerra di Liberazione nazionale da combattere a fianco degli eserciti alleati. 
Della drammatica esperienza di questa generazione di italiani, forse l’ ultima coinvolta e motivata dal compimento civile di motivi ideali risorgimentali, mio padre Antonello fu un emblematico testimone e interprete. 
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“Risorgimentale” in senso analogico fu l’ animo del militante garibaldino; “risorgimentale” fu la radicalità di parte, lo spirito di sacrificio volontario che formò i ranghi della Resistenza; “risorgimentale” fu l’idea di restituire alla Patria umiliata e offesa una nuova unità morale e civile.
 Si spiega anche così l’ adesione al comunismo (il PCI di Togliatti) dell’ animoso patriota,  giovane inquieto di quegli anni difficili,  a complemento dell’ indole  di un carattere votato all’ azione, un’ impronta psicologica  che lo accompagnerà lungo l’ intensa e multiforme esperienza di vita distribuita tra l’ attività politica, la critica d’ arte,  la battaglia delle idee, il giornalismo, il cinema e la poesia.
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Giunto quasi al termine di una meticolosa e appassionata ricerca che lo ha impegnato a riassumere le tracce di un ritratto biografico, Mirko Bettozzi - giovane generoso che non si arrende al quasi procurato oblìo della memoria della Resistenza, e per questo ha già scritto un bel ricordo di Mario Fiorentini, “ultimo gappista”- si è più volte incontrato con me dopo avere consultato i documenti disponibili a partire da quelli lasciati da Antonello Trombadori ed oggi custoditi presso l’archivio della Fondazione Quadriennale di Roma.
 A lavoro quasi compiuto, l’autore ha pensato in un primo momento di sigillare il libro con un titolo -“Il comunista critico”, o giù di lì-  che forse non era inesatto ma che mi appariva piuttosto anodino e probabilmente fuorviante la particolarità di una trattazione non corrispondente a un vero e proprio saggio di storiografia politica.
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Una volta richiesto di un parere, gli consigliai perciò di evitare quella soluzione proprio perché l’argomento del “comunista critico” rischiava di ridurre l’ originalità di un lavoro più incline a figurare un carattere,  una fisionomia imbevuta dello spirito del tempo  che va ben oltre i vincoli dell’ ideologia e travalica le tematiche di partito. 
In effetti l’ adesione militante di mio padre a quel singolare organismo  che fu il PCI, ossatura politica costituente della democrazia italiana nata dalla Resistenza, non poteva rendere pienamente conto del “puzzle” intellettuale, morale e civile che rispecchia il  suo complesso profilo umano. 
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Era semmai più vero il contrario. Bisognava forse partire dalla formazione familiare, dalle radici sociali e culturali, dalle amicizie nate sui banchi di scuola, e da tant’ altra esperienza vissuta di natura pre-politica per comprendere meglio i tratti di una scelta di vita ( da “rivoluzionario professionale”, si diceva) segnata dalla permanente inquietudine, dalla tensione a spendere ogni energia per la “causa giusta”, e la pulsione a “prendere partito” volta per volta, spesso controcorrente, pagandone il prezzo dovuto. 
Tale in uomini come Trombadori fu il carattere predominante. 
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Ragionando allora  su quale fosse il titolo migliore per la sua narrazione, la parola “partigiano” a un certo punto comparve e prese quota nella riflessione di Bettozzi fino ad emergere quasi naturalmente dal computo delle diverse varianti esaminate. 
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A guardar bene, da qualsiasi punto di vista e in qualsiasi circostanza  la si osservasse, la figura di Antonello rispondeva quasi sempre all’ emblema del “partigiano”, in senso più generale:  partigiano, egli fu tale  non solo durante la Resistenza, ma in ogni occasione della vita pubblica e privata, sul piano degli schieramenti politici, culturali, esistenziali e così via. Meditando su questo singolare metabolismo psicologico, alla fine Bettozzi ha ricavato il titolo generale –“Un eterno partigiano”- che a me pare molto persuasivo e ben ritagliato a misura della ricerca. 
Non a caso nel ritratto prevale una sorta di adesione simpatetica dell’ autore all’oggetto della sua narrazione: dove le oscillazioni e le vicissitudini dell’ intellettuale organico del PCI, quale Trombadori fu fin quasi alla fine (ricordo il doloroso distacco dal comunismo, testimoniato proprio al culmine dell’esistenza) non contano tanto per quel che valsero nella vita pubblica italiana, quanto come contrassegno di una esuberante natura individuale pronta a battersi per la bandiera ritenuta giusta ma anche per rimettere sempre in questione sé stessa. 
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Bettozzi ha prescelto alcuni episodi centrali: tra questi la lotta partigiana contro i tedeschi, l’impegno per l’ arte realista, in pittura e nel cinema, la campagna per la pace in Vietnam, la particolare sensibilità verso la Chiesa del dialogo e del Concilio vaticano II . 
Di fronte al mosaico dai mille tasselli in cui si è risolta l’ attività di mio padre (la poesia in dialetto romanesco e in lingua italiana, la critica cinematografica, l’ attività politica e parlamentare, ecc…) non tutto è stato possibile riassumere e approfondire, né tantomeno Bettozzi ha preteso di offrire una versione storiografica esaustiva e sistematica.
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 Nel presentare la materia trattata egli ha avuto piuttosto il merito di cogliere un certo ritmo psicologico, che sembra condividere a tal punto fino a riconoscersi in esso, quasi per vocazione, quasi spontaneamente.  Il narratore diventa lo specchio di un’ anima il cui tratto fondamentale corrisponde all’ irrisolta ansia di chiarezza dell’ uomo laico moderno ( vedi la “freischwebende Intelligenz” di Mannheim) 
che insegue incessante il “ filo da disbrogliare che finalmente ci metta nel mezzo di una verità” (Montale, “I limoni”). 
 
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Questo spirito disperato  ma combattivo, questo temperamento “montaliano” tipico degli anni formativi (siamo nel pieno degli anni Trenta) portò a suo tempo Trombadori a riconoscersi nelle inquietudini dei giovani insofferenti la dittatura, a partire dal mondo antifascista per giungere all’ acquisita “verità marxista” e a quel comunismo che tracciò il corso principale della sua esistenza. 
 L’ emblematico “sentire partigiano”, che punta all’ azione politica come urgente prova di  verità, Trombadori  lo condivise con la parte più sensibile della sua generazione, penso al gruppo romano (intellettuali liberal-socialisti e filo-comunisti) tanto bene descritto da Albertina Vittoria: da Paolo Alatri a Bruno Zevi, da Carlo Muscetta a Mario Alicata da Pietro Ingrao a Lucio Lombardo Radice, da Antonio Amendola a Paolo Bufalini e tanti altri personaggi che hanno distinto la cultura e la politica italiana nella  democrazia “post-borghese” del secondo dopoguerra. 
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Una simile posizione morale accompagnò il “partigiano” Trombadori fino all’ età avanzata, quella delle amare disillusioni riguardo al socialismo sovietico, ma anche  del rilancio di nuovi traguardi di verità da conseguire per il futuro dei valori democratici e socialisti. Rivelatrice è in proposito la chiusa malinconicamente filosofica del poemetto (pubblicato nel 1998 in “Foglie perse”, per l’Associazione Amici di Villa Strohl-fern)  in memoria dell’ amico dirigente del PCI Mario Alicata che per  analoga “ansia di verità”  divenne anch’ egli intellettuale organico:
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“…Adesso sei,
forse come io solo ti conobbi
atrocemente intatto e lacerato,
ritornato al momento in cui Guttuso
ti dipinse ventenne, scapigliato:
fu allora che con Marx scoprivamo,
nella lettera a Ruge,"Il nostro motto
deve essere dunque: riforma 
della coscienza 
non per mezzo di dogmi, ma mediante
l'analisi della coscienza
non chiara a se stessa, o si presenti
sotto forma religiosa o politica.
Apparirà allora che il mondo
da lungo tempo ha il sogno d'una cosa…" 
La citazione di Marx -che tra l’altro fa non a caso da epigrafe al romanzo di Pasolini, “Il sogno di una cosa”- rivela di quale pasta spirituale fossero  gli uomini come Antonello Trombadori e spiega perché egli spese la vita nella partigianeria, scontando  illusioni ed errori, sempre pronto però a rivederli in nome della verità. 
Bisogna perciò  rendere grazie a Mirko Bettozzi per avere realizzato un ritratto che ha il merito di fare emergere, dall’attivismo proteiforme di mio padre, un filo di continuità che ne illumina le ragioni di fondo:  corrispondere alla leggenda di Prometeo (il gigante punito da Zeus per aver portato l’uomo a conoscere il fuoco) quale metafora del coraggio di chi sfida gli dèi per liberare l’umanità dai dogmi che la opprimono. Così, ripensato in chiave libertaria, anche il “sogno di una cosa” che animò Antonello può tornare di lampante attualità.  
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sciatu · 3 years ago
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21 MARZO GIORNATA DEL RICORDO DELLE VITTIME DELLA MAFIA
Ricordare non basta. Quando ricordi è come quando ti viene fame, la mente manda un messaggio al corpo ed il corpo reagisce cercando quanto lo può saziare e dare forza. Lo stesso è per la memoria. Tu ricordi e devi provare fame, fame di giustizia e darti da fare per saziare la tua fame, trovando qualcosa che nutra la tua tua anima e risponda alla richiesta che ti ha fatto facendoti ricordare chi è morto. Chi è morto per te, per gli altri, per la tua terra che te e gli altri raccoglie e riassume. Devi quindi avere fame, alzarti e cercare qualcosa che ti sazi, armandoti della tua determinazione, della tua capacità di concepire il giusto e di ricercarlo. Perché essere buoni solo per esserlo, è inutile. Per questo noi non siamo angeli che sanno perdonare e dimenticare, ma uomini che ricordano e che da questo ricordo trovano la forza per cambiare il mondo. Per lottare. Perché la vita è una lotta. Nessuna storia degli uomini finisce come i cartoni animati, ma nel sangue e nella continua guerra tra chi rispetta gli altri e chi infierisce sui più deboli che non hanno colpa. Non importa se questi deboli sono una donna, un bambino, un uomo che ha una famiglia, uno stato che vuole seguire la sua strada o un imprenditore che deve dare lavoro a decine di famiglie. Per cui i più deboli hanno una sola scelta: lottare. Lottare contro chi uccide i migliori di loro o quelli che non hanno colpa, lottare uniti per difendere la propria libertà, la propria ricerca della felicità, la propria identità. I deboli, che siano uomini o donne. o migranti o emigranti, o senza scuole e laurea, o con una laurea ma senza un futuro, o quello che i benpensanti chiamano “diversi” a causa di chi amano, non devono credere che la pace sia l’unico desiderio che devono avere, l’unico scopo del loro impegno. La pace non basta, come solo ricordare non basta. Bisogna cancellare il desiderio del poter per il potere, l’egoismo che rende ciechi, la silenziosa e indifferente ubbidienza che ti rende schiavo, il  desiderio di supremazia che armò caino, la corruzione che prostituisce la tua anima, la volontà di uccidere per dimostrare quella potenza che ci fa sentire un dio. Ricordare non basta, non basta sventolare una bandiera, occorre prendersi per mano ed uniti affrontare il buio, l’odore della morte, il vento delle minacce, sapendo che la propria volontà al servizio della giustizia, della libertà, dell’indipendenza dal male, è invincibile.
MARCH 21 DAY OF REMEMBRANCE OF THE VICTIMS OF THE MAFIA
Remembering is not enough. When you remember it is like when you get hungry, the mind sends a message to the body and the body reacts by looking for what it can satiate and give strength. The same is for memory. You remember and you must feel hunger, hunger for justice and work hard to satiate your hunger, finding something that feeds your soul and responds to the request made by making you remember who died. Who died for you, for others, for your land that you and the others collects and summarizes. You must therefore be hungry, get up and look for something that satisfies you, arming yourself with your determination, with your ability to conceive the right and to seek it. Because being good just to be good is useless. This is why we are not angels who know how to forgive and forget, but men who remember and who from this memory find the strength to change the world. To fight. Because life is a struggle. No history of men ends like cartoons, but in the blood and in the continuous war between those who respect others and those who rage against the weakest who are not to blame. It does not matter if these weak people are a woman, a child, a man who has a family, a state that wants to follow his path or an entrepreneur who has to give work to dozens of families. So the weakest have only one choice: to fight. Fighting against those who kill the best of them or those who are not guilty, fighting together to defend their freedom, their pursuit of happiness, their own identity. The weak, whether they are men or women. or migrants or emigrants, or without schools and degrees, or with a degree but without a future, or what the right-thinking people call "different" because of who they love, they must not believe that peace is the only desire they must have, the sole purpose of their commitment. Peace is not enough, as just remembering is not enough. We must erase the desire for power for power, the selfishness that makes you blind, the silent and indifferent obedience that makes you a slave, the desire for supremacy that armed Cain, the corruption that prostitutes your soul, the will to kill to prove that power that makes us feel like a god. Remembering is not enough, waving a flag is not enough, one must take each other by the hand and face the darkness, the smell of death, the wind of threats, knowing that one's will at the service of justice, freedom, independence from evil, it is invincible.
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rideretremando · 4 years ago
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Heinz Kohut in La ricerca del Sé (Bollati Boringhieri) cita due libri della cultura occidentale in cui la rabbia sembra evidenziarsi allo stato puro: Michael Kohlhaas (1808) di Kleist, dove l’insaziabile ricerca della vendetta manifesta una grave ferita narcisistica, e poi Moby Dick di Melville, in cui Achab è travolto da una implacabile rabbia narcisistica. Kohut si spinge addirittura a indicare nella rabbia dopo la sconfitta nella guerra, e l’umiliazione del 1918, la causa dell’adesione dei tedeschi al nazismo. L’analisi dello psicoanalista è complessa, dal momento che ritiene il narcisismo non colpevole in toto dello scatenamento rabbioso. A suo parere l’aggressività umana è più pericolosa quando si connette a due “costellazioni psicologiche assolutizzanti: il Sé grandioso e l’oggetto arcaico onnipotente”. Per spiegarsi, aggiunge che la più orribile distruttività umana non la s’incontra sotto forma di comportamenti selvaggi, regressivi o primitivi, ma come “attività ordinate e organizzate nelle quali la distruttività umana degli esecutori è amalgamata con la convinzione assoluta circa la grandezza e con la devozione a figure arcaiche onnipotenti”. Cita il caso di Himmler e dei quadri delle S.S., una tesi che richiama inevitabilmente quella della Arendt sulla “banalità del male”: i carnefici sono i pacifici vicini della porta accanto, non dei selvaggi che urlano, sbraitano e compiono atti teppistici. Probabile. Ma il problema della rabbia resta, della sua natura e funzione. Kohut non nega che la rabbia narcisistica appartenga all’ampia zona della aggressività, della collera e distruttività umana, ma, dice, è un fenomeno circoscritto. Leggendo le sue pagine si ha la sensazione che Pasolini rientri in questa categoria; innegabile che dai suoi versi, dai racconti, dalle frasi degli articoli, emani un che di violento, insieme a un’insondabile e assoluta dolcezza: la rabbia è decisiva nella costituzione della sua identità di artista.
Marco Belpoliti
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fondazioneterradotranto · 4 years ago
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Nuovo post su https://is.gd/ce8lDz
Nell’epopea degli “ppoppiti”, la ricerca dell’identità salentina,
Giorgio Cretì
  Poppiti (Il Rosone, 1996) è un romanzo moderno che ha sapore d’antico.
Ne è autore Giorgio Cretì (1933-2003), scrittore salentino, nato a Ortelle, in provincia di Lecce, ma trasferitosi presto a Pavia. Autore di vari racconti pubblicati su “Il Rosone”, la rivista dei pugliesi di Milano, e su altri periodici, Cretì, membro dell’Associazione Stampa Agroalimentare, ha dedicato i propri interessi di studio prevalentemente al settore della gastronomia e della cucina, dando alle stampe pregevoli testi come: Erbe e malerbe in cucina (Sipiel, 1987), il Glossario dei termini gastronomici, compresi i vocaboli dialettali, stranieri e gergali, annesso al volume I grandi menu della tradizione gastronomica italiana (Idea Libri, 1998), Il Peperoncino (Idea Libri, 1999), La Cucina del Sud (Capone Editore, 2000), A tavola con don Camillo e Peppone (Idea Libri, 2000), La Cucina del Salento (Capone, 2002), ed altri.
Il romanzo narra una storia d’amore che si volge nella campagna salentina, a Masseria Capriglia, fra Santa Cesarea Terme e Vignacastrisi, dove vivono i protagonisti del racconto, Poppiti appunto (o, nelle varianti Ppoppiti, con rafforzamento della lettera iniziale, o ancora Ppoppeti).
Varie le etimologie di questo termine gergale, ma la più accreditata è quella che lo fa risalire al latino post oppidum, ossia “fuori dalle mura del borgo”, ad indicare nell’antica Roma coloro che abitavano fuori dalle mura fortificate della città, dunque i contadini.
Questo termine è passato ad indicare la gente del Salento e in particolare dell’area più meridionale, ovvero di un territorio caratterizzato fino a cinquant’anni da un paesaggio prevalentemente agricolo e dominato dalla civiltà contadina.
ph Giorgio Cretì
  La storia si svolge all’inizio del secolo Novecento e gli umili contadini del racconto sono Ia e Pasquale, il quale è chiamato alla guerra di Libia del 1911 ed è così costretto a lasciare soli la moglie ed il bimbo appena nato. L’assenza di Pasquale si protrae a lungo perché in guerra egli viene fatto prigioniero. Quando ritorna nel Salento, con grandi progetti per la sua famiglia, Pasquale non trova però la situazione ideale che aveva immaginato ma anzi incombe sulla Masseria Capriglia una grave tragedia.
Del romanzo è stato tratto un adattamento teatrale dalla compagnia “Ora in scena”, per i testi della scrittrice Raffaella Verdesca e la regia dello studioso Paolo Rausa. La rappresentazione teatrale è stata portata in vari teatri e contesti culturali a partire dal 2013 con un discreto apprezzamento di critica e di pubblico. In particolare, fra il maggio ed il giugno del 2014, ad Ortelle, città natale dello scrittore, nell’ambito della manifestazione “Omaggio a Giorgio Cretì”, venne allestita in Piazza San Giorgio, la mostra di pittura Ortelle. Paesaggi Personaggi … con gli occhi (e il cuore) di Carlo Casciaro e Antonio Chiarello, presso Palazzo Rizzelli. Ortelle commemorava così un suo figlio illustre, con una serie di incontri e conferenze e con la messa in scena dello spettacolo teatrale, a cura di Raffaella Verdesca e Paolo Rausa. Le parole del romanzo di un cultore di storia patria si intrecciavano ai colori e alle immagini di due artisti del pennello, anch’essi ortellesi. La mostra pittorica di Casciaro e Chiarello ha portato alla pubblicazione di un catalogo dallo stesso titolo della mostra, con doppia speculare copertina, realizzato con il patrocinio del Comune di Ortelle, dell’Università del Salento, del CUIS e della Fondazione Terra D’Otranto.
Sulla copertina, in una banda marrone nella parte superiore, si trova scritto: “Per un antico (pòppitu) eroe. Omaggio a Giorgio Cretì”. Nella parte centrale, la foto di un bellissimo antico portale del centro storico di Ortelle. All’interno del volumetto, Casciaro e Chiarello si dividono equamente gli spazi: da un lato le opere dell’uno e dal lato opposto quelle dell’altro, realizzando una sorta di residenza artistica o casa dell’arte su carta. Il catalogo è introdotto da una bellissima poesia di Agostino Casciaro, dedicata proprio ad Ortelle e da una Presentazione della critica d’arte Marina Pizzarelli.
uno dei dipinti di Carlo Casciaro
Quindi troviamo i volti di Carlo Casciaro, fra i quali il primo è proprio quello dello Pòppitu Cretì, in un acrilico su tela del 2014; poi quello di Agostino Casciaro, tecnica mista 2014, e quello del pittore Giuseppe Casciaro (1861-1941), ch’è forse la maggior gloria ortellese, pittore di scuola napoletana, del quale Carlo è pronipote. Inoltre, l’opera Ortelle, acrilico su tela 2012, con una citazione di Franco Arminio; Capriglia, acrilico su tela 2014, con una citazione dal romanzo di Cretì; Largo Casciaro, acrilico su tela 2013, e infine una scheda biografica di Carlo Casciaro. Di Carlo ho già avuto modo di scrivere che dalla fotografia alla pittura, egli comunica attraverso la sua arte totale. (Paolo Vincenti, L’arte di Carlo Casciaro in “Il Galatino”, 14 giugno 2013).
Laureato all’Accademia di Belle Arti di Lecce, ha vissuto a lungo a Milano prima di ritornare nel borgo avito e qui ripiantare radici. L’oggetto privilegiato della sua pittura è il paesaggio salentino. Il suo è un naturalismo che richiama quello dei più grandi maestri, come Vincenzo Ciardo. È un paesaggismo delicato, fuori dal convenzionale, dal naif. Nelle sue tele, dai vivaci colori, in cui vengono quasi sezionati i reticolati urbani dei nostri paesini, più spesso le aree della socialità come le piazze, gli slarghi, le corti, si ammirano animali quali pecore, buoi, galline, gazze, convivere in perfetta armonia con oggetti e persone, in un’epoca ormai lontana, fatta di ristrettezze e di fatica, quella della civiltà contadina del passato. Il segno colore di Casciaro dà ai suoi paesaggi un’immagine di gioia temperata, di una serenità appena percepita, cioè non un idillio a tutto tondo, tanto che il cielo incombente sulle scene di vita quotidiana sembra minaccioso e il sole non si mostra quasi mai.
Nel microcosmo di una piccola e fresca cantina nella quale ha ricavato il suo studio, oggi Carlo fotografa vecchi e vecchine, parenti, amici, personaggi schietti e spontanei di quella galleria di tipi umani che offre la sua comunità, li immortala nei suoi ritratti a matita e pastello e li appende con le mollette a dei fili stesi nella cantina a suggellare arte e vita, sogno e contingenza. Una delle sue ultime realizzazioni infatti è Volti della Puteca Disegni-Foto-Eventi, Minervino Ortelle Lecce 2016 (Zages Poggiardo, 2017).
Mutando verso del catalogo, si ripetono la poesia di Agostino Casciaro e la Presentazione di Pizzarelli, e poi troviamo le opere di Antonio Chiarello. Fra i versi di Antonio Verri e Vittorio Bodini, sette acquerelli con una piantina turistica di Ortelle, cartoline e vedute panoramiche della città di San Vito e di Santa Marina e una Vecchia porta + vetrofania, L’uscio dell’orto (…e lucean le stelle), tecnica mista del 2011. Quindi, la scheda biografica di Antonio Chiarello. Anche di Antonio, fra le altre cose, ebbi a scrivere che egli, laureato all’Accademia di Belle Arti di Lecce, utilizza, per le sue Pittoriche visioni del Salento, le tecniche più svariate con una certa predilezione per l’acquerello. (Paolo Vincenti, Da Sant’Antonio ad Antonio Chiarello in “Il Paese Nuovo”, 18 giugno 2011).
Nel 2005 Chiarello ha realizzato per la prima volta la mostra devozionale “San’Antonio giglio giocondo…”, con “tredici carte devozionali” dedicate al suo santo onomastico ed ha portato questo progetto- ex voto in giro per la provincia di Lecce in tutti i paesi dove vi sia il protettorato o almeno una devozione per il santo. Visceralmente legato alla patria salentina, Chiarello ne ha dipinto le grotte, i millenari monumenti, gli alberi, i suoi borghi incantati, le bellezze di Castro e di Porto Badisco, di Santa Cesarea e di Otranto, di Muro Leccese, di Poggiardo e di tutta la costa adriatica leucadense.
Autore anche di svariate realizzazioni grafiche e di manifesti, nella sua avventura umana ed artistica, ha interagito con amici quali Antonio Verri, Pasquale Pitardi, Donato Valli, Antonio Errico, Fernando Bevilacqua, Rina Durante. All’epopea degli ppoppiti, Chiarello e Casciaro confessano di sentirsi intimamente vicini per cultura, formazione e scelta sentimentale.
Ecco allora, nell’ideale ricerca di un’identità salentina, la pittura dei due artisti poppiti salentini intrecciarsi, in fertile connubio, con la scrittura di uno poppitu di ritorno quale Giorgio Cretì.
Nell’epopea degli “ppoppiti”, la ricerca dell’identità salentina, in Identità Salentina 2020, Salento Quale identità quale futuro? Contributi e testimonianze per la cultura e il governo del territorio, Italia Nostra sezione Sud Salento, a cura di Marcello Seclì, Collepasso, Tip. Aluisi, 2021
Su Giorgio Cretì vedi:
Giorgio Cretì – Fondazione Terra D’Otranto (fondazioneterradotranto.it)
L’omaggio di Ortelle a Giorgio Cretì con la presentazione del volume antologico delle opere – Fondazione Terra D’Otranto (fondazioneterradotranto.it)
 Giorgio Cretì come uno sciamano – Fondazione Terra D’Otranto (fondazioneterradotranto.it)
Storia di guerra e passione nel Salento rurale – Fondazione Terra D’Otranto (fondazioneterradotranto.it)
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dilebe06 · 5 years ago
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Ever Night ( dal 35 al 51 episodio)
Piacersi... non è abbastanza. 
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Continua la visione di questa serie giungendo alla penultima tranche: da qui è tutto in discesa. 
Vorrei premettere una realizzazione a cui sono arrivata 10 minuti fa. 
Nonostante io sia quasi a 10 episodi dal finale se penso a quante puntate mi sento di aver visto risponderei una quindicina, venti ad essere generose. 
Questa è una sensazione che ho avuto da un bel pò ma non sono mai riuscita a ricondurla ad una spiegazione..fino a stasera. 
Ever Night è infatti una serie che procede lenta, al dettaglio. Se si contano gli eventi importanti capaci di incidere sulla trama infatti, non ne escono tantissimi. 
Sarei capace di riassumere la trama di Ever Night in 20 righe max togliendo tutti i particolari. 
Questo non è una cosa negativa eh...è solo “strano”. Abituata a serie dove accadono millemila cose una dietro l’altra piena di eventi a cui non stai dietro, questa soluzione mi stranisce. 
Altra cosa da sottolineare è la scomparsa dei personaggi: sono almeno 25 episodi che il fratello dell’Imperatore non si fa vedere. Idem il Boss della banda dell’ittiosauro o anche il fratello del Figlio della Luce. Questo purtroppo è per me un difetto della serie: troppi personaggi e difficoltà di gestirli se nemmeno io spettatore ricordo la loro presenza nella trama. 
L’ultimo appunto è circa la “non spiegazione” : alcune cose vengono spiegate almeno a grandi linee altre completamente abbandonate dopo una parola. Ne è un esempio la coltivazione demoniaca di Ning Que. La serie dice che si è unito ad un demone...ma come è possibile? Altro argomento è ad esempio come funzionano i poteri di Wei Guangming. 
Ora, finchè questo rimane legato alla magia mi frega poco. Il problema è quando avviene anche nelle relazioni ma ci arriverò dopo
Tornando alla storia: 
Dopo che Ning Que e la Maniaca dei Libri riescono a vincere i predoni/uomini di Xia Hou mandati ad ammazzare il protagonista il realtà erano stati mandati da Xiling finisce la guerra. senza aver visto manco mezza battaglia di questa
Ma alla riunione con tutti i pezzi grossi di questa guerra Mo Shan Shan viene nuovamente insultata e denigrata dalla Maestra del Regno della Luna e solo l’intervento del protagonista - che è costretto a svelare la sua identità di 13° maestro - salva la ragazza dal partecipare ad un duello. 
Anche qui non si capiscono bene le cose: il Generale Xia Hou infatti sa benissimo che Xiling ritiene che Ning Que sia il Figlio degli Inferi e che lo vogliono morto. Ma sa anche che è l’unico sopravvissuto al massacro di 15 anni fa. Perchè non si impegni per ucciderlo...è fuori dalle mie idee. 
Come fuori dalla mia logica è perchè la vecchia del Regno della Luna sia così cattiva con la Maniaca dei Libri: sempre per la pozza d’acqua? Alla faccia dell’essere permalose! 
Mi è comunque piaciuta la ragazza che in tutti i modi cerca di provare la sua innocenza rimanendo ferma e cortese poi arriva il protagonista e... RISSE DA BAR . 
Mi è piaciuto meno lo stra abusato uso del “ oh my god, non mi ha detto il tuo vero nome in tutto questo tempo e adesso ti guardo male”!  Preludio della classica storia d’amore. 
Mi dispiace anche di non aver visto manco mezza battaglia di questa fantomatica guerra. Una freccia, un combattimento, una ritirata, una guerriglia..niente. 
I due piccioncini - tolta la falsa identità del protagonista - cominciano a tubare conoscersi meglio e decidono di partire assieme alla ricerca dei Rotoli Celesti alla volta della Setta Demone.
 Lungo la via c’è si tempo per l’amore ma anche per grandi incontri: Il Figlio della Luce torna in scena in tutta la sua gloria e sfida Ning Que. 
Purtroppo il Principe perde e finisce trapassato dal protagonista che gli chiude i punti che servono a coltivare. 
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Devo ammetterlo, le scene tra Ning Que e Mo Shan Shan sono fatte bene. Così bene che sembrano un sogno e perciò irrealistiche. Vanno d’amore e d’accordo, non litigano mai, sono sempre in armonia e si appoggiano uno all’altro. Si dicono parole di affetto e riconoscimento e si riempiono di complimenti a vicenda. Un sogno appunto. 
Tuttavia come nei più bei sogni arriva l’elemento che spezza tutto: in questo caso Sang Sang.
 Ning Que ripete spesso il suo nome e la inserisce nei sui discorsi in modo inconscio. Meno inconscio è il desiderio del Figlio della Luce di avere Sang Sang come cameriera barattandola con 6 città. 
Sono contenta del ritorno del Principe dello Yan perchè è uno dei miei personaggi preferiti e ad impatto emotivo non mi ha deluso. 
Subito sfida Ning Que a chi passa prima il livello ma che è Pokemon?! ma battuto sul tempo dal protagonista anzichè accettare la sconfitta, prova ad ucciderlo. Ma gli va male e finisce che Ning Que “ammazza” la sua coltivazione. Ed è inutile, questo personaggio è un fallimento completo. Ma lo amo per questo... 
Riconosco che la sconfitta di Long Qing mi ha lasciata devastata e dispiaciuta quante te ne ho tirate Ning Que!! perchè non me lo aspettavo e perchè è la cosa peggiore che gli potesse capitare. 
Ovviamente poi, come si salga di livello rimane un mistero: ho capito che è qualcosa legato all’oggetto di nascita ma il procedimento rimane sconosciuto e questo mi frustra un sacco. 
La fine di Long Qing frustra anche la Maniaca del Daoismo che prima attacca i due colombi e poi decide di unirsi a loro nella ricerca dei rotoli. Giungono così alla porta della Setta Demone e dopo varie peripezie riescono ad entrare. Sullo sfondo il Generale Xia Hou e due persone della Setta Demone osservano quello che succede ai Nostri.
Mi piace come Ning Que ogni volta che è in difficoltà contro un avversario troppo forte..o si nasconde dietro alle altre persone o scappa. Questa è una cosa particolare del personaggio che apprezzo perchè diversa dal solito. In questo caso l’avversario troppo ostico è la Maniaca del Daoismo.
Tra l’altro la signorina dimostra una grande capacità di affetto: una volta che Long Qing viene colpito, gli da dello storpio e lo molla là. 
In mezzo alla neve, da solo e ferito. Mi pare chiaro che alla donzella del Principe - umanamente parlando - non fregasse nulla.
 Semmai è frustrata perchè il ragazzo era talentuoso..mentre adesso è storpio. 
Su come poi abbiano trovato l’ingresso della Setta Demone siamo sempre alla spiegazione che non esiste: cade del sangue nell’anello che la sorella di Ning Que gli aveva regalato, c’è una specie di onda rossa e SBAM! porta aperta. Portone che tra l’altro tutti i componenti della setta demone stavano cercando da anni... poi arriva Ning Que e problema risolto.
è stato comunque carino l’uso dei regali dei fratelli: la scatola musicale, il fazzoletto, la pozione...ma la cosa più bella è stata la scacchiera. Quando gli è stata regalata mi sono chiesta cosa cazzo ci dovesse fare di una scacchiera mentre era in guerra. Pensavo:-” ma ora ti pare che si mette a giocare a scacchi?!” 
Quando poi lui l’ha usata in questa occasione ho finalmente capito a cosa cavolo servisse. 
Mi spiace Maestri di aver dubitato di voi. 
Entrati a Moria nella caverna, prima scoprono che Xiling e lo Zio di Ning erano stati qui e poi che dentro la grotta c’è ancora “ UN FORMATORE CHE RESPIRA” ( vi prego capite la citazione XD) : il capo della setta demone imprigionato li da 20 anni come vive quest’uomo?! dallo Zio di cui sopra e che attacca i tre dell’Ave Maria. 
Ning Que riesce a sconfiggerlo ma prima di lasciare questo mondo il tizio passa la coltivazione demoniaca al protagonista. 
Chi sia questo fantomatico Zio io me lo chiedo da episodi ma anche questa è una domanda senza risposta. Sappiamo che era un allievo dell’accademia Tang e che era fortissimo. Ma quale relazione parentale abbia con il protagonista non si è capito alla luce che TUTTI lo chiamano Zio. 
Comunque sia il tizio incatenato lì è un pazzo ma ho amato il taotie incorporato. Come ho adorato l’intelligenza della Maniaca del Daoismo nello scendere volontariamente di livello per sfuggire al nemico. Genio! 
Vorrei dire che ricordo come viene sconfitto questo personaggio ma oltre che è stato il protagonista...non ricordo la modalità. so passati giorni dalla visione
Ricordo invece il passaggio di consegne tra i due: non sapevo che la coltivazione si potesse acquistare guardandosi negli occhi.
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Apparte battute stupide, quanto accaduto è un fatto importante: primo perchè Ning impara la coltivazione senza volerlo e due perchè a quanto si evince successivamente.... gli ha passato anche il taotie. 
Nemmeno il tempo di uscire dalla tomba perchè è una tomba alla fine che finalmente il Generale attacca il protagonista..ma solo per rubargli i rotoli celesti. La sua azione viene interrotta da Primo che sbuca dal nulla e che salva la situazione. 
Salutata la Maniaca del Daoismo i due colombi e Primo invitano la Maniaca dei Libri alla Capitale, non prima di aver fatto una visitina al Generale Xia Hou dove lo minacciano di mollare l’esercito entro un anno e averci rivelato CHE I ROTOLI CELESTI - QUELLI PER CUI è NATO TUTTO STO BORDELLO - ERANO SEMPRE STATI IN MANO A PRIMO. 
Il Generale Xia Hou mi confonde: come detto prima deve ammazzare sto protagonista ma sembra che la trama si inventi scuse per non farlo Eh lo so..probabilmente ci sarà lo scontro finale. 
Per quanto riguarda Primo invece..sono contenta che sia cicciato fuori. Finalmente conosce il protagonista e permette di farsi conoscere anche da noi: come dice @veronica-nardi il suo sorridere sempre e il ruolo di Capitan Shipper della coppia Ning/ShanShan fanno ricordare il buon Lan Xichen di The Untamed. 
Poichè non sono una fan di questa coppia, il suo tentativo di far mettere insieme i due ragazzi anzichè farmi piacere mi ha più volte portata a domandarmi:” ma perchè non ti fai i fatti tuoi?!”  Capisco che lo faccia per il bene del suo fratellino..ma se non fosse stato per Primo, quel fesso di Ning non avrebbe detto nulla alla ragazza e questa sarebbe tornata a casa sua. 
Ma apparte questo...mi piace. Come tiene testa al Generale Xia Hou e lo minaccia nel caso che facesse del male a Ning...come sia protettivo con l’Accademia e sia anche divertente. 
Intanto grazie all’intervento di Primo, Ning Que torna a casa con una futura moglie per la gioia di Sang Sang visto che i due ragazzi hanno detto di piacersi e la Maniaca ad accettato di tornare nella Capitale con Ning. 
Mentre accade tutto ciò Sang Sang continua la sua vita con Wei Guangming. Il vecchietto le insegna la tecnica celeste che lei impara in 2 giorni quasi...quando ci voglio 10 anni  e conduce una vita relativamente tranquilla. Fino a quando quelli della Capitale DOPO MESI CHE GUANGMING GLI GIRA PER LE STRADE decidono che il vecchietto deve morire. 
Ovviamente sono tutti assassinii a vuoto e solo l’intervento di Yan Se - il maestro dei talismani di Ning - sarà decisivo.
Nonostante Yan Se sappia che Wei Guangming è nella casa del suo allievo per la protagonista e non per fare del male, decide comunque di sfidarlo. Chiamano Sang Sang come testimone al loro duello che si conclude con la  morte di entrambi.
Ho già detto varie volte che amo questo vecchietto e mi fa tanta tenerezza. Vivere con Sang Sang poi è stata una benedizione per lui: non solo si è attivato andando a fare la spesa, pulendo o tornando ad avere una vita...ma si era anche scordato del Figlio degli Inferi. 
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Le espressione stupite di Pipi e Yan Se quando lo vedono interagire con Sang Sang valgono l’intera puntata. 
Incredibilmente poi tutti lo vogliono morto ma per crimini che attualmente non ha commesso: non lo vogliono ammazzare per i fatti di 15 anni fa, ma perchè è Wei Guangming. 
Certo, poi gli mandano contro delle semplici guardie e si stupiscono che gli sfugge. Lol 
Punto poi da tenere a mente è la questione dell’allenamento di Sang Sang: noi non vediamo mai nessun Formatore..formarsi. Apparte Ning Que quando imparava la spada maestosa, non abbiamo altre scene. Questo vale anche per la protagonista che riesce a fare magie senza che noi vediamo il come.
Mi trovo comunque d’accordo con @veronica-nardi nel pensare che Sang Sang non sia solamente il Figlio degli Inferi ma anche quello della Luce: se è vero che non esiste bene o male assoluti allora non è possibile che Sang Sang sia solo male. Credo che la ragazza sia sia Bene che Male. 
Nonostante Guangming sia inoffensivo Yan Se lo sfida e mi è dispiaciuto per la morte di questi personaggi e per la relazione che avevano con i loro allievi. 
Sang Sang viene successivamente arrestata un pò perchè vogliono da lei informazioni sul protagonista e un pò perchè ha ospitato a casa sua il criminale Wei Guangmin. L’intervento di Chen Pipi è risolutivo e salva la ragazza dalla tortura. 
Mi chiedo sempre se queste scene avranno un incidenza sulla storia o se sono pezzi messi per allungare la storia... vedremo. 
Al di là del suo valore per la trama mi ha fatto piacere vedere Chen Pipi all’opera per salvare Sang Sang e il rapporto che ha con la ragazza è uno dei più divertenti della serie. Li adoro insieme. 
Finalmente Ning Que torna a casa con APPRESSO LA FUTURA MOGLIE. Sang Sang non è felice. 
Ma proprio no. 
Tanto che saluta a malapena il protagonista che si accorge dello strano comportamento della sua serva ma non ci da peso. 
I giorni successivi vedono il protagonista passare tutto il suo tempo con la maniaca dei libri e quando Sang Sang li vede baciarsi... prende armi e bagagli e se ne va a casa dei suoi genitori abbandonando Ning Que dopo 16 anni di onorata vicinanza. 
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Sapevo già che Sang Sang l’avrebbe presa male. 
Mi faceva ridere Ning Que quando - mentre era nelle Lande Selvaggie - sperava che Mo Shan Shan piacesse alla sua cameriera. 
Ma tutti sanno che a nessuna donna piace quando porti a casa un’altra donna. Questa è la base. 
C’è anche da fare un’altra considerazione: io speravo che Sang Sang abbandonasse il protagonista. E non perchè sono cattiva ma perchè il suo personaggio vive e respira SOLO in funzione di Ning Que. 
Sang Sang non ha altri interessi, hobby o questioni diverse che non siano legati al protagonista. Apparte la sua amica del bordello non ha altre persone intorno a lei con cui abbia legato da sola. Tutto ciò la rende un personaggio che accanto a Ning Que. si annulla e Sang Sang non se lo merita. 
Ecco perchè questa svolta amorosa ho pensato che potesse essere quel “qualcosa” che investisse il suo personaggio di un identità staccandola dal ruolo di “ accompagno”. 
Inoltre Sang Sang mi fa tenerezza. Perchè è umile e nessuno le da mai considerazione..tanto che pensa di essere brutta. Fa i confronti con la Maniaca del Libri e arriva alla conclusione che non potrà mai essere bella, elegante e dignitosa come lei. 
Oltre a ciò, ama così tanto Ning Que da non dirgli nulla e andarsene. In modo che lui possa sposare la ragazza che gli piace senza lei tra i piedi. 
Finalmente Ning Que si accorge che Sang Sang se ne è andata perchè sono spariti i soldi.. grande Sang Sang e va in panico. La cerca per un pò  ma è la principessa che tira fuori la frase del momento:
“Sang Sang è tornata dai suoi genitori. So che non eri a conoscenza della loro esistenza e lo avresti saputo..se tu non avessi passato ogni tuo momento libero dal tuo ritorno con la Maniaca dei Libri. “
Così il nostro paladino fa irruzione in casa dei genitori di Sang Sang..come un pazzo. No seriamente...urla, minaccia, picchia. Alla fine usa pure i ricatti morali. Una cosa incredibile. Prima fa il grosso con il padre di Sang Sang poi li minaccia e quindi la ragazza è costretta ad uscire fuori e confrontarsi con lui. 
Ning Que non vuole sentire ragioni e vuole che Sang Sang torni a casa con lui. lei rifiuta dicendo che non è felice in quella situazione. Lui allora passa alla violenza ma Sang Sang getta per terra il bastone. Quindi tocca percorrere la strada delle recriminazioni ma nemmeno questo funziona perchè Sang Sang ribatte colpo su colpo. Dopo averla umiliata ancora un pò e avergli negato il matrimonio..finalmente si calmano. 
Come ultima risorsa Ning Que ricorre ai ricatti morali: senza di lei, lui morirà di fame. Chi gli farà da mangiare? Lascerebbe davvero il suo amato a digiuno?
SI OCCUPERà DI TE LA MANIACA DEI LIBRI. ....O PRENDI UNA CAMERIERA!! MA CHE VUOI DALLA SUA VITA?!!!
Sang Sang seppur turbata, tiene botta e la scena si chiude con Ning Que che promette che tornerà il giorno successivo.
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Allora... ho pianto per tutta la durata della scena.
 Ho anche un pò sorriso tra le lacrime per via dei genitori di Sang Sang e della maleducazione di Ning Que. Ma l’emozione che la fa da padrone è l’angoscia...seguita poi dalla rabbia.
Qui c’è da fare un discorso più ampio: Sang Sang e Ning Que hanno la relazione più strana che io abbia mai visto in una serie. Perchè non sono solo due ragazzi cresciuti insieme legati da un rapporto di affetto ma hanno anche un legame “servo- padrone”. Quest’ultima complica un sacco le cose a mio modo di vedere. 
Perchè mette Ning Que in un rapporto di superiorità e di grande vantaggio:  in linea generale lui ha diritti su Sang Sang tanto da poter decidere cosa lei può fare o non può fare. Ma sempre in linea generale non ha nessun dovere verso di lei. ( parlo da un punto di vista serva-padrone). Tanto che giustamente lui porta a casa una futura padrona che Sang Sang è tenuta a servire con la bocca chiusa. 
è quindi ovvio - sempre in linea generale - che Ning Que vada a riprendersi la serva perchè obbligata a servirlo. Ed è questo quello che Ning Que testualizza.
Ma in questa relazione c’è fortissima la componente affettiva: Sang Sang se ne è andata per via della componente affettiva non per quella serva-padrone. Ning Que è andata a riprenderla in via ufficiale per la questione serva-padrone e in via ufficiosa per la componente affettiva.
In questa scena delirante dunque si mischiano più linee e sottotesti che rendono la questione difficile da sbrogliare. 
Alla fine quello che si è inteso è che Sang Sang non vuole tornare a casa perchè innamorata del protagonista che però sta sposando un altra mentre Ning Que realizza che Sang Sang non è una presenza scontata e che può lasciarlo in qualsiasi momento. 
Ripeto: è una scena straziante ma anche tanto strana che mi ha lasciata emotivamente perplessa. 
Ning Que capisce dunque che se si sposa con Mo Shan Shan, Sang Sang è persa. Viceversa se molla la Maniaca dei Libri, Sang Sang tornerà da lui. Mentre pensa a cosa fare giunge Pipi che lo aiuta a fare chiarezza. 
Subito dopo Nin Que viene sfidato da un maestro della Setta pilastro del cielo e per batterlo è costretto a far uscire il demone dentro di lui. VInce il duello ma il suo avversario muore e Pipi scopre della sua via demoniaca. 
Nel mentre decide di mollare la Maniaca dei Libri, segno che ha scelto Sang Sang.
Per brindare alla vita de merda  che sta passando va a sbronzarsi DOVEVI ANDARE A PRENDERE SANG SANG MALEDETTOOOOO e qui da ubriaco fradicio incontra il suo maestro Fu Zi che lo mette al tappeto e dimostrando la sua onniscenza.
Nel mentre Sang Sang piange e aspetta sulla soglia di casa che Ning Que la vada a prendere.
Ok, sono contenta che alla fine Ning Que abbia capito che Sang Sang era la risposta giusta grazie Pipi ma dove proprio sono rimasta delusa è nelle azioni della protagonista.
 Dopo tutto quello che le ha detto, recriminato, urlato in faccia...vederla attenderlo sulla soglia di casa mi ha amareggiato. Sopratutto perchè non c’è stata nessuna scena dove Sang Sang veniva a sapere che Ning Que e la Maniaca si erano mollati. 
Quindi...era disposta a tornare da lui anche con Mo Shan Shan come padrona? 
Non c’è stata nessuna scena dove i due hanno chiarito le loro divergenze, messo in chiaro le cose. Tanto che la scena della litigata sembra messa li unicamente per far capire al protagonista l’importanza di Sang Sang. Ma pare che non sia servita per il personaggio di lei che rimane legata e in ombra rispetto a Ning Que e disposta a tornare alla situazione iniziale a fare da balia/serva/cameriera. 
Lo ammetto, forse sono delusa perchè mi aspettavo che questa litigata servisse anche a Sang Sang stessa per prendere consapevolezza del suo valore. Che non fosse solo la serva di Ning Que ma anche una persona che merita rispetto. 
Per come si è chiusa la scena invece...Sang Sang pare tornata come nei primi episodi. 
Altro punto che mi ha fatto storcere il naso è la fine della relazione con Shan Shan: nessuna spiegazione data o chiesta. Questi si dovevano sposare fino a 5 minuti prima...poi lui manda all’aria il matrimonio e ...stop. 
Ciao Maniaca... 
Carinissimo invece Fu Zi - che adoro - e le sue uscite che sono meravigliose. 
L’indomani Sang Sang scopre che Ning Que è stato male e quindi torna da lui. Ning Que è al settimo cielo ma ha ancora un pò di tristezza nel cuore per la fine della sua storia con Shan Shan. Tornato il sereno tra i due, Ning Que conosce finalmente Fu Zi che gli da il benvenuto rinchiudendolo nella Rupe del Pentimento a cui è posta una barriera. Sta a Ning Que capire come uscire. 
Nel mentre nel Regno della Luna Piena si complotta contro Ning Que accusandolo di aver usato la coltivazione demoniaca mentre nel Padiglione della Spada del Jin Meridionale, il fratello dell’uomo più forte del mondo parte alla volta dell’accademia Tang allo scopo di sfidare Ning Que per la gloria. 
A Xiling intanto, dopo aver retrocesso a scriba la maniaca del daoismo si parte per L’impero Tang. Obbiettivo: portare Sang Sang a Xiling per renderla la Sacerdotessa della Luce.
Come ho già scritto sopra, non mi è piaciuto come hanno risolto le cose tra i due protagonisti. Noi spettatori almeno sappiamo il POV di Ning Que ma Sang Sang no. E se vedo la scena dalla sua prospettiva mi sale lo sconforto per l’annullamento di questo personaggio. 
Non è che non mi aspettassi che tornassero insieme! Ma avrei preferito che chiarissero le cose tra legame affettivo/rapporto serva-padrone.
Mi è inoltre dispiaciuto per i genitori di Sang Sang: persone che la amano e vogliono vederla felice e a cui lei pare importare relativamente. La capisco, perchè per lei sono sconosciuti... ma avrei gradito che ci fosse stata una lavorazione della loro relazione. Anche solo per dare a Sang Sang altri legami che non fossero esclusivi con Ning Que. 
Ho anche notato che alla serie ci sono voluti 23 minuti per dirci la vera ragione per cui Ning Que è stato rinchiuso: nascondere la sua coltivazione demoniaca e fargli imparare a trasformarla. Ma a lui sta cosa non gliel’hanno detta.
Nel suo isolamento forzato Ning Que ha la compagnia di Sang Sang e dei maestri che via via lo vanno a trovare. Ma sarà la ragazza ha mostrare al protagonista la tecnica celeste e quindi i suoi poteri aiutandolo ad uscire da li.
Nel mentre l’Eletta della Setta Demone è arrivata alla Capitale e dopo un inseguimento con Pipi riesce a farsi prendere come allieva di Terza ed entrare quindi all’Accademia. 
Pare che vada tutto liscio finchè Xiling non si presenta a recuperare Sang Sang: Pipi corre a dare la notizia al prigioniero Ning Que che ripensando alla Tecnica Celeste di Sang Sang..esce dalla barriera. 
Si precipita dalla ragazza e si oppone al suo trasferimento in quel di Xiling. 
Giustamente gli fanno notare che è un prepotente nel tenere Sang Sang con lui solo come serva ma Ning Que ribatte che: [cito]
“Chi vi dice che la tengo solo come serva? sono abituato a stare con lei e sono affezionato a questa abitudine. ... [..] io voglio sposarti. “
Mi ha fatto morire dalle risate come tutti i Maestri e Sang Sang possano entrare e uscire dalla Barriera mentre Ning Que è bloccato all’interno. Persino Sang Sang passa tranquillamente... e la faccia del protagonista quando questo accade...è un meme a se. 
Ho inoltre apprezzato 3 cose: 
Che i maestri andassero a trovarlo e fargli compagnia.
Che Ning Que guardasse Sang Sang con gli occhi a cuore
Che Ning Que si sia accorto che la ragazza è un formatore e che fino a quel momento non aveva dato peso a ciò. 
Ho notato in questa scene come la relazione tra i due protagonisti si sia spostata un pò: Ning Que sembra tenere più in considerazione Sang Sang tanto da passargli anche i libri che sta leggendo. Per di più quando lui e Pipi parlano di relazioni il tredicesimo maestro ipotizza una storia con Sang Sang. 
Inoltre - ma probabilmente mi intrippo male io - mi è sembrato ad un certo punto che Ning Que fosse geloso di Secondo. O_O 
Il fatto che Lui tenga in considerazione Sang Sang lo si denota anche dal fatto che segue le sue direttive per uscire dalla Rupe (cosa che non ha mai fatto prima).
E poi il finale: mi sono emozionata dalla gioia! ci sono voluti “solo” 51 episodi ma finalmente il momento della Ship è partito...ed io sono felicissima! 
Ok non sarà la proposta dell’anno ma è sincera e davanti ad una valanga di testimoni. Sopratutto se si mette questa proposta a confronto con quella del Figlio della Luce e della Maniaca dei Fiori. 
Devo però ammettere che siccome il discorso parte da “ non posso vivere senza Sang Sang “ e poichè non nomina mai la parola “amore” per un momento ho pensato che la proposta non fosse dettata dall’amore ma dal tentativo di tenere Sang Sang con lui. Poi ho ripensato agli sguardi di cui sopra e mi sono tranquillizzata. XD 
Ultime due cose su questo pezzo: La ragazza della Setta Demone che mi piace anche se reputo che abbia atteggiamenti infantili. Sono contenta però che sia riuscita ad entrare nell’accademia tang e che abbia fatto breccia nel cuore di Pipi. 
La seconda cosa è il combattimento con il fratello di Lui Bai: praticamente è servito a farci capire che Ning Que ha imparato a trasformare la coltivazione demoniaca in quella celeste nascondendo così la parte demone. 
Ultime note finali sulla trama: 
Il figlio della Luce dopo il colpo di Ning Que si ritrova incapace di coltivare. Depresso e devastato da tutto ciò, prima allontana la futura moglie e poi diventa un mendicante. Ma proprio mentre sta vagabondando senza uno scopo, il Capo del Tempio dell’Ubbidenza e della Conoscenza lo va a trovare e gli da un nuovo scopo.
Fu Zi trova i due tizi scampati alla Lunga Notte ma come siano sopravvissuti noi non lo sappiamo. 
Terza nasconde qualcosa?
Long Qing è il mio personaggio preferito e osservarlo durante questo pezzo di trama è stata una sofferenza. 
Sto disgraziato passa dall’essere il TOP della gamma di formatori a dover mendicare per mangiare. E sono empatica anche con la Maniaca dei Fiori che poraccia vuole rimanere accanto all’uomo che ama ma viene scacciata bruscamente. 
Il Capo del Monastero poi, mi fa commuovere perchè con lui finalmente dopo 51 episodi TUTTI I PERSONAGGI DELLA SIGLA SONO STATI PRESENTATI. 
Concludo con Terza perchè da come è finita la conversazione con Fu Zi pare che “abbia demoni” che non riesce ad allontanare...chissà... 
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( spezzo il discorso con Corvo Maps)
Dunque...Ever Night pur non avendomi fatto innamorare, mi sta piacendo. Ha una trama intrigante con mille domande e ipotesi che solo andando avanti nella visione - e nella seconda stagione - potrebbero risolversi. 
Uno fra tutti: La dicotomia Luce/Inferi di Sang Sang e come questo inciderà sulla sua relazione futuro matrimonio con Ning Que. 
Mi piace anche la varietà dei personaggi; dal Figlio della Luce, alla Maniaca del Daoismo, da Secondo al Boss della banda dell’Ittiosauro. 
Forse - per quantità - troppo poco indagati ma la serie da abbastanza spunti per capire come siano fatti. 
Adesso...mancano 10 episodi... ho sicuramente saltato tantissime cose ma per stasera mi fermo qui.
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paoloxl · 6 years ago
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https://www.pane-rose.it/files/index.php?c3:o52686:e1
UN'OPERATRICE LEGALE RACCONTA COME VIENE SMANTELLATO IL SISTEMA ITALIANO D'ACCOGLIENZA
Mi chiamo Camilla, ho 26 anni e sento l'impellente bisogno di gettar luce sul cataclisma che si sta abbattendo sul sistema italiano di accoglienza dei richiedenti asilo. Cataclisma che in pochi – pochissimi – stanno raccontando, e che invece dovrebbe interessare tutti quanti per le implicazioni sociali, politiche, morali che inevitabilmente porta con sé. 
Dal 2017 lavoro come operatrice legale nei Centri di Accoglienza Straordinaria, che fanno parte del circuito cosiddetto “di prima accoglienza” gestito dalle Prefetture. La mia mansione consiste nell'orientare e supportare i richiedenti asilo nell'arco di tutto l'iter burocratico, dalla formalizzazione della richiesta di protezione internazionale in Questura fino all'eventuale ricorso dopo il diniego da parte della Commissione Territoriale responsabile della valutazione delle domande. Il mio è un lavoro delicato e complesso, che comporta un'inevitabile condivisione di vissuto umano con ciascun richiedente ed un conseguente carico emotivo non da poco. Per gestire al meglio un ruolo di questo tipo servono chiaramente delle competenze specifiche: parlo inglese, ho una laurea e due specializzazioni, nonché svariati corsi di formazione e aggiornamento. Inutile dire che, nonostante le difficoltà e le fatiche, amo moltissimo il mio lavoro e non riesco, non posso immaginarmi a fare altro. 
Eppure fra due mesi tutto questo finirà. Perché sono state fatte delle scelte politiche ben precise, è stata dichiarata guerra “all'invasore nero” e il sistema di accoglienza è di fatto stato smantellato a suon di slogan e decreti sicurezza di dubbia costituzionalità. Ma non sono dispiaciuta per me: sono giovane, mediamente intraprendente e probabilmente in qualche modo me la caverò. Quel che mi fa male, ma male davvero, è la situazione nel suo insieme. 
Pochi giorni fa alla trasmissione Otto e Mezzo il direttore de L'Espresso Marco Damilano, riprendendo la notizia riportata da Avvenire, chiedeva conto al Ministro Di Maio degli ingenti tagli operati sui fondi destinati all'accoglienza. La risposta mi ha lasciata di stucco: Avvenire riporta informazioni basate solo ed esclusivamente su dichiarazioni rilasciate dal Ministro Salvini, noi non abbiamo tagliato nulla. 
Poche ore prima, nel pomeriggio, i coordinatori della cooperativa per cui lavoro ci avevano comunicato la volontà di non partecipare al nuovo bando pubblicato dalla Prefettura. I Centri di Accoglienza Straordinaria in cui lavoro sono gestiti secondo il modello dell'accoglienza diffusa: ciò significa che sono appartamenti che ospitano poche persone, tendenzialmente ubicati nel centro o in prossimità delle cittadine in cui si collocano, ed implicano un margine di gestione della vita domestica molto più ampio ed autonomo rispetto a quello normalmente accordato in altre strutture. Si tratta di un modello che generalmente funziona, perché consente un fisiologico “assorbimento” dei nuovi arrivati nel tessuto sociale locale, facilitando moltissimo l'incontro e la conoscenza con i residenti. Posso dire di aver assistito in prima persona a cambiamenti radicali di approccio da parte degli abitanti locali, che hanno totalmente abbandonato diffidenze e pregiudizi dopo aver imparato a conoscere i nuovi vicini di casa. Ebbene, per questa tipologia di centri il nuovo bando – interamente elaborato dal Ministero dell'Interno ed imposto a tutte le Prefetture d'Italia senza distinzioni – prevede un taglio drastico dei fondi, che passano da 35 a 18 euro pro capite pro die. Questi 18 euro, secondo il Ministero, dovrebbero andare a coprire il canone di affitto degli appartamenti, i costi delle utenze, la spesa settimanale al supermercato e il pagamento del personale impiegato nei servizi (operatori, assistenti sociali, psicologi, operatori legali, ecc.). In altre parole: una vera e propria presa in giro, un palese tentativo di boicottare una gestione intelligente ed efficace dell'accoglienza. 
Invito tutti a verificare personalmente le condizioni imposte dai nuovi bandi, facilmente consultabili sui siti internet delle Prefetture. 
Il risultato immediato di tutto questo è che in molte province d'Italia i bandi stanno andando deserti. Cooperative ed associazioni si sono accordate per non presentarsi, in modo da mandare un messaggio chiaro al Governo: accettare condizioni economiche simili significherebbe compromettere gravemente la qualità dei servizi, con pesantissime ripercussioni sia sugli accolti (pessime condizioni igienico-sanitarie, servizi di supporto scarsi o assenti) che sui lavoratori (sottopagati, nella migliore delle ipotesi; licenziati nella peggiore). 
E il Ministro Salvini come commenta? 
«Se siete generosi accogliete anche con meno soldi, oppure accoglievate per far quattrini? Mi viene il dubbio che qualcuno accoglieva per far quattrini non perché aveva il cuore buono e generoso». 
Al Ministro vorrei rispondere che non sono una volontaria, sono una lavoratrice qualificata e ritengo a dir poco vergognoso che il massimo esponente di quello stesso Ministero che gestisce l'accoglienza faccia affermazioni simili. Credo di parlare a nome di tanti miei colleghi dicendo che mi sento infamata e umiliata pubblicamente. Per anni noi lavoratori impiegati nell'accoglienza siamo stati usati per gestire quella che veniva spacciata come “un'emergenza”, usati per arginare alla bell'e meglio un fenomeno sociale senza che mai si pensasse ad interventi seri e strutturali, usati e sottopagati per mediare e sopperire alle carenze di istituzioni impreparate e incompetenti, usati all'occorrenza per strumentalizzazioni varie ed eventuali. E ora gettati via come se nulla fosse. Le stime parlano di quasi 20mila lavoratori, perlopiù giovani. Persone qualificate, competenti, che credono in quello che fanno e lo fanno bene, nonostante lo scarso ritorno economico in busta paga. Dopo il danno, pure la beffa: siamo sull'orlo del baratro, in tantissimi stiamo per perdere il lavoro e tutti i giorni dobbiamo sorbirci calunnie su calunnie sputate malamente qua e là per beceri fini politici. 
A lei, signor Ministro, vorrei dire che da interna al sistema di accoglienza riconosco le innumerevoli pecche e falle e sono la prima sostenitrice di una riforma organica, che porti trasparenza nella gestione e trattamenti dignitosi da parte degli enti gestori nei confronti di accolti e lavoratori. E proprio per questo, signor Ministro, mi ostino ad affermare che la sua riforma del sistema di accoglienza è un mero strumento propagandistico spacciato al popolo disinformato come risolutivo, ma che in realtà esaspererà gli annosi problemi che abbiamo purtroppo imparato a conoscere. Perché ridurre drasticamente in questa maniera i fondi significa spazzar via le esperienze di accoglienza diffusa, quelle che funzionano e che dimostrano che sì, si può fare, possiamo convivere e anche bene, senza paure e senza pregiudizi, innescando processi virtuosi che siano di beneficio a tutti. Al contrario, con quei 18 euro si incentiva l'apertura delle uniche strutture che potranno sopravvivere con fondi così scarni: i maxi agglomerati, ghetti-dormitorio auspicabilmente isolati dai centri cittadini, privi di servizi di supporto. Un boccone ghiotto che farà sgomitare mafie e delinquenti vari. Delle bombe sociali pronte ad esplodere, in altre parole. L'ennesima fonte di tensione – vera questa volta – che andrà ad aggiungersi agli innumerevoli problemi che già affliggono questa Italia esangue. A quel punto, signor Ministro, dopo aver portato a termine il piano, potrà dirlo: ecco, avevo ragione, sono sempre i neri a portare i problemi, ora più che mai avete bisogno di me e del mio pungo duro. 
Rivolgo quindi un disperato appello a tutte e tutti, prima che sia troppo tardi: leggete, informatevi, pensate! Non fatevi fregare così facilmente, non credete a queste semplicistiche promesse di sicurezza e benessere per “noi” a scapito “loro”. Come diceva Mandela, la libertà è una sola e le catene imposte a uno di noi pesano sulle spalle di tutti. 
È davvero questa la società che volete lasciare in eredità ai vostri figli? Spaventata, arrabbiata, divisa? 
In ultimo, rivolgo un sentito appello a tutte le pseudo sinistre che tanto si affannano alla ricerca di una nuova identità. 
Lavoro con i richiedenti asilo e i rifugiati solamente da due anni, ma ho avuto l'opportunità di incontrarne – e conoscerne – tanti. Spesso nel dibattito pubblico chi si erge a paladino dell'accoglienza argomenta sostenendo che “rifiutare di accogliere dei poveracci che scappano da guerre e miserie è inumano”. Ecco, se c'è una cosa che ho imparato con il mio lavoro è che i migranti non chiedono di essere compatiti, non vogliono pietà. Invocano rispetto. Rispetto per la loro dignità in quanto esseri umani e rispetto per i loro diritti. In primis il diritto alla mobilità, oggi quasi esclusivo appannaggio di chi possiede un passaporto occidentale. 
Quindi smettetela e smettiamola di descrivere il migrante, il richiedente asilo, il rifugiato, lo straniero in generale come un essere fragile e indifeso che aspetta solamente di essere salvato e cominciamo a considerarli per quello che realmente sono: resistenti, preziosi e indispensabili compagni nella lotta per la costruzione di una società più equa ed egualitaria. 
Esistiamo e resistiamo, sempre.
Camilla Donzelli
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newsintheshell · 6 years ago
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Dynit, gli appuntamenti del Comicon di quest’anno
Venerdì l’anteprima del secondo film di Fate/Stay Night: Heaven’s Feel!
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Dynit partecipa al COMICON di quest’anno con un calendario ricco di appuntamenti; vediamo in dettaglio le varie attività in programma per il Festival partenopeo.
Si comincia giovedì 25 aprile alle ore 16:15 con “The Art of Pugni”, una speciale proiezione, presentata da Dario Moccia, incentrata su due anime che hanno celebrato l’iconografia e la potenza narrativa del pugno: in programma il primo, mitico episodio di “One Punch Man”, adattamento del popolarissimo manga di ONE e Yusuke Murata (edito in Italia da Planet Manga), e subito dopo il leggendario finale di “Megalo Box”, serie ispirata da “Rocky Joe” e realizzata per il 50° anniversario dell’opera, nata da un concept originale proprio degli autori Ikki Kajiwara e Tetsuya Chiba.
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Venerdì 26 aprile alle ore 11:00, nell’Auditorium del Teatro Mediterraneo, ci sarà l’anteprima italiana di “Fate/stay night: Heaven’s Feel II. Lost Butterfly”, attesissimo secondo capitolo della trilogia animata diretta da Tomonori Sudou (Kara no Kyoukai) e prodotta dallo studio ufotable (Demon Slayer, Fate/Stay Night: Unlimited Blade Works), che andrà a raccontare le vicende della route omonima (incentrata sul personaggio di Sakura), narrata nell’originale visual novel concepita da Kinoko Nasu e sviluppata da Type-Moon.
La quinta Guerra del Santo Graal, che ha avuto inizio nella città di Fuyuki a distanza di soli 10 anni dalla precedente, si è rivelata distorta e perversa anche a causa della partecipazione di Zouken Matou, l’attuale capofamiglia di una delle tre grandi casate di maghi che diedero inizio a questo rituale. Zouken evoca il vero Assassin come suo Servant mentre nel frattempo un’ombra oscura e misteriosa appare in città, facendo cadere, uno dopo l’altro, Master e Servant. Shirou, coinvolto anche lui nello scontro, decide di dedicare tutto se stesso a proteggere Sakura e, avendo perso Saber, ora corrotta dall’ombra, cerca di instaurare alleanze con Rin e Illya, in modo da sopravvivere alla Guerra. Quando però si farà innegabile la natura corrotta di Sakura, Shirou si troverà a dover scegliere tra l’amore per lei e il suo desiderio di diventare un paladino della giustizia, una scelta che metterà in gioco quella che è stata la sua identità fino a quel momento.
Il film sbarcherà ufficialmente nelle nostre sale, sempre grazie a Nexo Digital, il 18 e il 19 giugno.
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Domenica 28 aprile alle ore 11:00 in Sala Italia all’interno del Teatro Mediterraneo avrà luogo l’incontro Il doppiaggio degli Anime in Italia.
Carlo Cavazzoni, direttore esecutivo presso Dynit e Fabrizio Mazzotta, storica voce dell’animazione italiana, discuteranno con Alessandro Falciatore di Animeclick del doppiaggio dalla scelta delle voci, ai metodi di lavorazione e l’approccio alla localizzazione italiana (adattamento e peculiarità) nel rapporto tra distributore e studio di doppiaggio, conducendo il pubblico nel dietro le quinte di questa delicata fase di lavorazione che rende accessibile gli anime ai tutti i fan italiani.
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Come vi avevamo già anticipato, sempre il 28 aprile, verrà proiettato in anteprima anche il film “Made in Abyss: Tabitachi no Yoake” (in lingua originale, con sottotitoli in italiano), primo dei due lungometraggi che vanno a riepilogare gli avvenimenti visti nei 13 episodi della serie animata.
L’evento, organizzato in collaborazione con VVVVID e J-POP,  si terrà dalle ore 12:00 in Sala Italia; per l’occasione presenzierà anche Akihito Tsukushi, l’autore del manga edito nel nostro paese proprio da J-POP, pronto a rispondere alle domande dei fan.
Riko è una ragazzina di dodici anni che vive a Orth, una città affacciata su un’immensa voragine nel terreno, l’Abisso. Unica zona inesplorata della Terra, è meta di viaggio per molti esploratori, ma pochissimi di loro sono tornati in superficie dagli strati più bassi. Insieme a Reg, uno strano bambino robotico, Riko partirà per le profondità dell’Abisso alla ricerca della madre…
La prima stagione televisiva diretta da Masayuki Kojima (Abenobashi, Piano no Mori) presso lo studio Kinema Citrus (Shoujo Kageki Revue Starlight, Scorching Ping Pong Girls) è andata in onda nell’estate 2017 e ha coperto quattro volumi dei sette attualmente pubblicati in Giappone. Licenziata in Itala da Dynit, è possibile vederla in streaming, sottotitolata, su VVVVID. Per gennaio 2020, è previsto in Giappone il debutto del film sequel “Gekijouban Made in Abyss: Fukaki Tamashii no Reimei” (Made in Abyss the Movie: Dawn of the Deep Soul).
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SilenziO)))
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usmaradiomagazine · 2 years ago
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Usmaradio X Giornata della Memoria 2023 🎧 𝗔𝗻𝗻𝗮 𝗦𝘁𝗲𝗶𝗻𝗲𝗿 - 𝗚𝗿𝗮𝗳𝗶𝗰𝗮 𝗲 𝗹𝗶𝗯𝗲𝗿𝘁à Roberto Paci Dalò incontra Anna Steiner e Lucia Roscini per un approfondimento sul workshop "Vapore" di Unirsm Design in cui gli studenti hanno affrontato la tematica della deportazione nei campi di sterminio nazisti per progettare una mostra tascabile, formato cartolina, che presenti immagini storiche in forma originale o elaborata. Nella conversazione si riflette sul ruolo del progettista in considerazione dell'eredità storica dell'Olocausto e del progressivo svuotamento del potere delle immagini nei nostri tempi. La ricerca degli studenti è partita dalle foto contenute nel Fondo Deportazione dell'Archivio Albe e Lica Steiner (circa 900 foto del 1933-1950) per riproporre una modalità diversa di selezione, elaborazione, esposizione e comunicazione delle immagini rispetto a quanto fatto per le esposizioni realizzate su questi argomenti al termine della guerra.  🎧 𝗟𝘂𝗶𝘀 𝗦𝗮𝗹 - 𝗟𝗮 𝗠𝗲𝗺𝗼𝗿𝗶𝗮 𝗮𝗹 𝘁𝗲𝗺𝗽𝗼 𝗱𝗲𝗶 𝘀𝗼𝗰𝗶𝗮𝗹 Alessandro Renzi incontra Luis Sal per un approfondimento sul workshop "Vapore" a cura di Unirsm Design. Nell’incontro ci si interroga sul potere comunicativo delle immagini rispetto al passato e nei confronti delle nuove generazioni. Infatti, il lavoro di Luis nel workshop si è concentrato sulle possibili modalità di comunicazione della mostra attraverso i canali social. Gli studenti hanno lavorato alla realizzazioni di mini video ponendosi come target un pubblico di giovanissimi e cercando di intercettare una modalità di comunicazione radicalmente diversa rispetto a quelle classiche riservate a queste tematiche. Maggiori informazioni sul workshop -> Articolo UNIRSM.SM
Anna Steiner è architetto e docente alla facoltà di Design al Politecnico di Milano. Lavora nell’ambito degli allestimenti e della grafica nello studio Origoni Steiner e ha collaborato con numerosi editori, imprese ed enti pubblici per libri e pubblicazioni, identità visive e immagini coordinate, mostre e comunicazioni dedicate alla grafica italiana. È figlia di Albe e Lica Steiner, tra i protagonisti del rinnovamento della grafica e della comunicazione italiana (da quella aziendale a quella politica) nel secondo Dopoguerra. 
Luis (@luis_sal ) vanta 1,46 milioni di iscritti e oltre 250 milioni di visualizzazioni su Youtube. Seguitissimo anche sui social, il suo profilo conta oggi 2,2 milioni di follower. È autore di 2 libri di successo: “Ciao, mi chiamo Luis” (2018) e "Il Luismo" (2021) dove spiega e racconta i principi della sua filosofia di vita. Si occupa di comunicazione e marketing per varie aziende, è un volto tv grazie al reality di Amazon Celebrity Hunted dove concorre assieme all’amico Fedez, e con lui fonda un podcast, Muschio selvaggio.
Vapore è il workshop con Anna Steiner e Luis Sal del Laboratorio di design della comunicazione 3 a cura di Lucia Roscini e Ilaria Ruggeri. 12-13-20 gennaio 2023
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cinquecolonnemagazine · 2 years ago
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Generazione X: la forza silenziosa dietro l'evoluzione sociale
Nella società moderna, la Generazione X rappresenta una coorte di individui che hanno vissuto un periodo di transizione unico e hanno contribuito in modo significativo all'evoluzione sociale, culturale ed economica. In questo articolo, esploreremo l'origine e le caratteristiche distintive ma soprattutto il suo impatto duraturo sulla società contemporanea. L'origine della Generazione X La Generazione X comprende gli individui nati tra la metà degli anni '60 e la metà degli anni '80, una generazione che si colloca tra i baby boomers e i millennial. Il termine fu coniato dal giornalista Jane Deverson nel 1965, in riferimento ai giovani che sembravano privi di una chiara identità e di un ruolo sociale ben definito. Questa generazione è stata plasmata da eventi come la Guerra del Vietnam, la crisi economica degli anni '70, il cambiamento dei valori familiari e l'espansione dei media di massa. Le caratteristiche distintive della Generazione X La Generazione X è descritta come formata da "latchkey kids", ossia bambini che trascorrevano molte ore da soli a casa mentre i genitori lavoravano. Questa indipendenza precoce ha contribuito a sviluppare la resilienza, l'autonomia e la capacità di adattamento tipiche di questa generazione. Gli Xers sono noti per essere pragmatici, individualisti e scettici nei confronti delle istituzioni. Hanno affrontato sfide come la crescente disuguaglianza economica, l'instabilità lavorativa e il rapido sviluppo tecnologico. L'importanza della Generazione X nella società contemporanea Nonostante l'attenzione spesso rivolta alle generazioni precedenti e successive, la Generazione X ha avuto un impatto profondo sulla società. Gli Xers hanno guidato il cambiamento in ambito tecnologico, contribuendo alla rivoluzione digitale e all'espansione di Internet. Hanno anche abbracciato l'individualismo e la diversità, aprendo la strada a nuovi modelli familiari, identità sessuali e stili di vita alternativi. Eredità e futuro Oggi, la Generazione X occupa ruoli di leadership in vari settori, portando con sé le proprie esperienze, la saggezza e la capacità di bilanciare tradizione e innovazione. Molti Xers stanno affrontando nuove sfide, come la conciliazione tra lavoro e famiglia, il sostegno ai genitori anziani e la ricerca di un significato più profondo nella vita. Nonostante l'attenzione spesso focalizzata su generazioni successive, continua ad essere un pilastro silenzioso ma fondamentale della società contemporanea. Generazione trascurata? La Generazione X è una coorte di individui che ha vissuto un periodo di transizione cruciale nella storia. Hanno affrontato sfide uniche e hanno contribuito in modo significativo all'evoluzione sociale, culturale ed economica. Nonostante l'etichetta di generazione trascurata, gli Xers hanno dimostrato una resilienza straordinaria e un impatto duraturo sulla società contemporanea. Riconoscere e apprezzarne il contributo è essenziale per comprendere appieno la storia e le dinamiche sociali attuali, nonché per plasmare il futuro di un mondo sempre più complesso e interconnesso. Foto di Gerd Altmann da Pixabay Read the full article
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carmenvicinanza · 2 years ago
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Anita Klinz
https://www.unadonnalgiorno.it/anita-klinz/
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Come salvare l’individuo da se stesso, dagli altri? Non si possono amare tutti; ma si dovrebbe rispettare tutti… e tutto. Vorrei in questa vita (e non so se ce ne sia un’altra) vorrei essere vissuta “sottovoce”, immersa nel mio mondo e nel mio tempo ma senza lasciare segni!
Anita Klinz è stata una importante protagonista della storia del design grafico italiano.
Art director e grafica, in un mondo di esclusivo appannaggio maschile, è stata la prima donna a ricoprire il ruolo di direttrice artistica in una realtà importante come la casa editrice Mondadori.
Sono famose soprattutto le sue copertine, anche se, di ogni libro supervisionava ogni singolo passaggio, dall’impaginazione alla pubblicità.
Nata con il nome di Anna Maria Klinz, il 15 ottobre 1925 a Abbazia, nell’allora Istria italiana, ha studiato alla scuola d’arte grafica di Praga per poi iscriversi alla Facoltà di Economia. Durante la Seconda Guerra Mondiale è emigrata in Italia, arrivando a Milano a piedi con la madre e la sorella. Nel 1948 le è stato riconosciuto lo status di profuga. Ha svolto diversi lavori prima di riuscire a coronare la sua grande passione.
Un’agenzia pubblicitaria che l’aveva notata mentre dipingeva all’aperto, l’ha introdotta nel mondo dell’editoria. Assunta in Mondadori nel 1951, ha cominciato dall’impaginare le pubblicità nella redazione di Epoca prima di arrivare, in poco tempo, a creare il design della rivista.
All’inizio degli anni sessanta è passata alla divisione libri con l’incarico di creare l’ufficio artistico, che ha diretto per anni.
Ha sempre sostenuto il lavoro di squadra scegliendo i migliori grafici e illustratori sul mercato.
Alberto Mondadori l’ha voluta poi nell’avventura editoriale de Il Saggiatore.
I progetti di collana e le copertine sue e del suo eccellente team per I Gabbiani, Uomo e mito, Marcopolo e I maestri dell’Architettura Contemporanea restano riferimenti di progetti grafici in grado di coniugare riconoscibilità dell’editore e identità delle collane, con la capacità di raccontare singoli titoli e autori.
Nella sua ricerca ha compreso, meglio e prima di altri, che il libro è un oggetto di design e il suo valore visivo non si limita alla copertina.
In collaborazione coi migliori professionisti internazionali del tempo, ha studiato la veste grafica dei volumi della collana di fantascienza Urania e le copertine de Il Giallo Mondadori.
Adoperava un lettering minimale, con titolo, autore, editore e genere in carattere Helvetica. Con la stessa impostazione sintetica applicata all’Enciclopedia dei Ragazzi, ha vinto la medaglia d’oro alla Fiera di Lipsia.
Nel 1960, ha co-firmato la collana I grandi maestri dell’architettura contemporanea, esposta alla Triennale di Milano 2012-2013 che si compone di una serie di sei copertine che presentano, con enorme impatto iconico, soltanto dei disegni, quasi tratti, ultra stilizzati, ognuno dei quali rappresenta una sintesi dello stile caratteristico dell’autore presentato.
Interamente suo è stato il progetto della collana I Gabbiani, con copertine di ispirazione concettuale che creano un insieme forte e sintetico.
Quando Il Saggiatore è fallito è rientrata in Mondadori alla divisione periodici.
Collana dopo collana, volume dopo volume, ha dato prova di una poliedricità che le ha consentito soluzioni grafiche capaci di echi molteplici: concettuali, cinetici, pittorici, sempre consapevoli dello stato dell’arte della grafica internazionale e delle tendenze artistiche a lei contemporanee. Anche negli anni Settanta, come direttrice artistica di Duepiù e Grazia, ha trovato soluzioni mai banali e vicine al sentire mitteleuropeo.
Al centro del suo progetto c’è stata la tipografia, le forme dei caratteri, ma anche un utilizzo sperimentale della fotografia che modificata, esasperata nei suoi contrasti tonali, ingrandita drammaticamente, diventava materiale da composizione grafica.
Quando ha smesso di lavorare si è ritirata dalla vita pubblica scansando ogni occasione di mondanità e selezionando molto accuratamente le persone da incontrare.
Nel 2022 è uscito il saggio Anita Klinz. Ostinata Bellezza firmato da Luca Pitoni, che presenta i numerosi progetti editoriali curati dalla designer nel corso degli anni Sessanta e Settanta del Novecento.
Intrecciando i registri del romanzo storico e del saggio, lascia spazio a un racconto intimo e personale attinto dai suoi diari di bordo, compilati nei suoi ritiri nell’isola di Giannutri.
Rappresentano la testimonianza della costante tensione che la divideva tra un’instancabile dedizione al lavoro di etica protestante e la necessità di frapporre il mare e la natura tra sé e il mondo della Milano mondana.
Ha lasciato la terra il 10 marzo 2013.
La cifra della sua poetica progettuale consiste nell’aver trasformato il lettering in immagine e la forma in lettering.
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Mamma orsa che racconta una fiaba a Diana:
La bella addormentata sotto coperta
Anno di grazia non pervenuto, anche perché nessuna delle protagoniste si chiama Grazia. Nel regno di Orsolandia regnava la pace. Gli orsi reali erano felici perché era appena nata la futura erede del regno, l’orsetta Calliope. Tutti gli animali del regno vennero invitati ad una grande festa, quelle più illustri, quelli più simmetrici e pelorsi… tranni i gufi, da sempre loro nemici naturali. Tre fate animali portarono un dono speciale per la piccola principorsa. La prima era la fata Summer, amica dei lupi, che disse: “Io ti donerò la capacità di lanciare bruttissime battute” e così fece. Il secondo fatino era PG, amico dei cani inglesi, che disse: “Io ti donerò la capacità di mangiare ad oltranza”, e così fece. Ma prima che il terzo fatino potesse parlare, nella sala principale un lampo al centro della stanza, materializzò la regina dei Gufi che era molto arrabbiata perché non era stata invitata. Così dopo un lungo discORSO lanciò una maledizione sulla principessa e disse: “Tu crescerai in bellezza, in grazia, avrai un matrimorso felice ma un giorno molto lontano, un gufo ti beccherà su una chiappa, e morirai”, così fece e subito scomparve. Tutti si preoccuparono, l’orsa regina pianse e l’orso re mandò qualcuno a cercare la Regina dei gufi senza trovarla. Allora il terzo fatino, amico degli orsi nani, Orsolino, mosse il suo pelo scuro e disse: “Manca ancora il mio dono. Non posso cancellare la maledizione della Regina dei Gufi ma posso trasformare quella morte in un sonno profondo che potrà essere risvegliato solo quando il suo futuro amore troverà il morso giusto” e così fece. Il Re da quel giorno fece costruire delle alte barriere e dichiarò guerra al Regno dei gufi che conquistò. Tutti i gufi vennero uccisi ma la Regina non fu mai trovata. Ma per la principessina era troppo pericolorso vivere nel Palazzo Orsesco, così, il padre decise di farla crescere al sicuro, nel bosco, assieme alla fatina Summer e ai fatini Orsolino e PG ma non doveva mai sapere chi fosse. Doveva stare lontano dagli orsi, non avrebbe dovuto conoscere l’amore e allora sarebbe stata salva. Così fu chiamata Muse, in modo che non sapesse mai di essere l’erede al trono di quel bellissimo regno. Anno dopo anno, Muse, cresceva come un’orsetta felice e presto si fece orsa. Era bella e buona, aiutava le persone e veniva amata dalla sua gente soprattutto per le sue barzellette divertenti che rallegravano il cuore e sapevano sciogliere ogni forma di odio, era questo il suo grande potere. Un giorno, mentre passeggiava nel bosco, alla ricerca di fette di pizza selvatiche si imbatté in un orso mai visto prima. Era un orso dalla testa più grande del normale, dal pelo folto e biondo, da splendidi occhi azzurri di nome Jorsan. Jorsan era il principe del Regno Unitorso e si lamentava tanto, le lamentele erano il suo grande potere che facevano capitolare anche i sovrani più resistenti del mondo, sua madre compresa. I due divennero presto amici, andavano parecchio d’accordo: Muse passava il tempo a raccontare le sue barzellette e Jorsan passava il tempo lamentandosi di ciò. Sembravano una coppia perfetta. Poco alla volta questa amicizia divenne qualcosa di più e si ritrovavano nel bosco sempre più spesso. Il Principe Jorsan provò a palesare diverse volte il suo interesse, il suo amorso per lei ma la Principessa aveva troppi amici unicorni che la distraevano, perciò non se ne rese conto fino al giorno in cui la invitò a prendere il tè in un albero molto stretto dove gli unicorni, di certo non potevano entrare. Così in questo momento di puro romanticorso, il principe si dichiarò a lei e si baciarono. Avrebbero voluto sposarsi ma le fatine glielo impedirono perché sapevano che cosa sarebbe successo. Così il Principe rapì la principessa per portarla nel suo regno e lì la sposò. Divenne la Regina del Regno Unitorso. La tradizione del regno voleva che la regina dovesse indossare abiti molto coprenti e infatti, l’unica parte scoperta rimaneva solo il volto. Per cui divenne la prima la principessa sotto coperta – sebbene non ci fossero delle navi – e poi la Regina. Da quel matrimorso nacquero tanti orsi principi e principesse orsi. E furono anni felici, per tutti quanti. Finchè un giorno, mentre la Regina si trovava a passeggiare per il castello, trovò un uomo cieco, amico di un gufo davvero bello, di grandì alì e piume colorate. Calliope che non aveva mai visto un gufo ne rimase affascinata. Così il gufo cominciò a sbattere le grandi ali, e volando intorno a Muse prese a sbattere le ali con forza, ancora e ancora, poi volando intorno a lei, la beccò su una natica e la Regina caddè in un sonno profondo. Il gufo fuggì via e tutto il castello cominciò a piangere per la sorte della Regina che poi venne messa in una bellissima stanza e nascosta sotto una grossa coperta in modo che nessuno potesse osservarla. Fata Summer e le altre fatine, seppero di questa storia e raggiungerò il Regno di Unitorso e trovarono Jorsan disperato. Gli raccontarono la vera storia di sua moglie, la sua vera identità e la maledizione che venne lanciata dalla Regina dei Gufi. Allora, dopo quello il Re Jorsan cercò tutti i modi possibili per risvegliare Calliope ma senza riuscirci. Così il tempo passò e la Principessa Diana ormai quarantenne, rientrò dal suo ritiro monastico. Era bella come sua madre e il tempo per lei sembrava non passare mai, era sempre bella e giovane, e suo padre si lamentava sempre di ciò…. (to be continued…)
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