#eretici 2024
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Abbiamo trascorso l’ultimo weekend insieme ai e alle Custodi delle residenze ospiti de La Corte Ospitale di Rubiera prima di rivederci a fine settembre a Mondaino per la chiusura del progetto ERetici. Le strade dei teatri con la prova aperta di Do fairies have a tail? di Violetta Cottini, Alessandra e Roberta Indolfi che si terrà il 28 settembre alle 18.
Sabato 7 settembre abbiamo incontrato la direttrice Giulia Guerra con la quale abbiamo attraversato lo sviluppo storico e amministrativo delle Residenze Artistiche in Italia per poi confrontarci con lei su come operano nello specifico nella sua residenza sia a livello di progettualità artistiche che di relazione con la comunità e con l’Europa.
Subito dopo siamo entrati in sala per confrontarci con le artiste. Violetta, Alessandra e Roberta ci hanno fatto immergere nel loro processo creativo prima raccontandoci le difficoltà e le svolte degli ultimi mesi, gli incontri fondamentali e lo stato attuale della ricerca, poi facendoci letteralmente entrare nel mondo che stanno esplorando attraverso l’ascolto di due partiture sonore: siamo stati così prima trasportati nella stanza dei giochi di una casa abbandonata avvolta da un temporale poi in un sottobosco cavernoso popolato da esserini minuscoli e velocissimi.
Prima di lasciarci ci hanno mostrato alcune proiezioni video a cui stanno lavorando e che entreranno in dialogo con il resto della scena: qui i corpi in bianco e nero si moltiplicano e scompongono, entrano e fluiscono dal fondale e si avvicinano e si allontanano dando alla scena una profondità che sembra infinita. Le immagini così composte rendono le figure animali e umane quasi similari, dando l’idea di un regno intero di esseri per noi indistinguibili.
Terminati i lavori la prima giornata siamo stati accolti da Alessia che ci ha guidate per Rubiera raccontandoci qualcosa di più della cittadina emiliana per poi accompagnarci ad un aperitivo.
Il giorno successivo dopo una passeggiata negli spazi naturali intorno alla Corte che hanno nutrito il processo di ricerca delle artiste abbiamo assistito a una prova del lavoro che ci ha aperto nuove domande e riflessioni: Chi sta cercando il mondo delle fate? Le fate si interrogano sulla loro identità? Qual è il movimento delle fate? Che cosa le distingue dagli umani? E così via per andare poi a ragionare alla scrittura di un diario di queste due giornate che ci aiuterà a restituire parte di questo processo di incontro e condivisione.
#residenza creativa#performing arts#eretici#do fairies have a tail?#eretici 2024#custodi delle residenze#violetta cottini
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Giornale d'italia
Bruciarsi la vita per un regime: questo è stato il vaccino. E chi ci ha costretto lo sapeva e insiste, più impunito e tronfio che mai.
25 Novembre, 2024
Ammalarsi, morire fa parte della vita, del fato che è imperscrutabile. Ma morire perché un pugno di burocrati, di politici, di miliardari ha deciso che così doveva essere, che il mondo andava sfoltito e sterilizzato non si accetta. E dovremmo anche chiedere scusa e ringraziare?
La mettessero come vogliono, ma io sono sommerso di segnalazioni, di casi post vaccinali. Ci ho già fatto un paio di libri ma queste situazioni e tragiche situazioni sembrano non finire mai anzi aumentano. L'attore che dopo le dosi si scopre una leucemia fulminante. Il lettore che mi affida la sua tragedia. Famiglie decimate, figli o coniugi inchiodati ai letti, alle flebo. Quelli che mi scrivono “coraggio, ci sto passando anch'io”. Quelli che stanno “tra color che son sospesi” e aspettano una diagnosi che sanno già, aspettano di sapere di che morte morire. Quelli che non hanno scoperto niente ma giustamente sono terrorizzati. Un amico incontra un amico dopo anni, “come va?”, “non bene, dopo la terza dose mi è scoppiato il lupus e da allora non vivo più, mi ammalo di tutto”. La malattia che contiene malattie, che origina malattie. Come dire a questo cristo atterrito, sfinito, che non guarirà mai, che la vita che gli resta sarà una via crucis per le stazioni delle malattie? Perché questo vaccino, come il Covid che era la stessa cosa, serviva appunto a minare per sempre. E come accettare di essersi devastati per logiche finanziarie, di potere, di controllo? La mettessero come gli pare, ma io da 15 mesi navigo nel dolore, il mio, quello degli altri. Non c'è altra vita e mi sommerge. Il dolore si diffonde, tracima, allaga tutto e i casi non sono casi, hanno nomi e cognomi, sono corpi che si disfano e volano via nel vento, polvere di sofferenza. Un ragazzino di 15 anni, ancora uno, vicino a Prato si accascia in casa e non c'è niente da fare. Un piccolino di due anni cade, si fa male, spuntano lividi, strani, anomali: cancro. Ma insistono nel consigliare il vaccino agli infanti. Uno di 65 anni, Romeo Rematelli “lo chef dei vip”, perché cucinava per il regista Tarantino e il motociclista Valentino Rossi, folgorato mentre sta salendo in macchina: e poi ti tocca vedere i presunti spericolati, i Vasco Rossi, i Piero Pelù, che ancora pontificano dietro le mascherine. Ma stessero là, stessero buoni questi borghesucci di regime che di spericolato han solo la faccia tosta. Chi sta male non parla, continua a reggere il gioco all'informazione malavitosa, ai virologi stregoni che si rodono il fegato per via della convocazione dei medici eretici come Frajese e Donzelli in commissione Covid. Ma niente paura, li normalizzeranno subito. Questi propagandisti del vaccino miracoloso, oggi come ieri, oggi più di ieri, hanno riscosso una certa notorietà affarista mettendosi a disposizione del regime canaglia, usando formule da alchimisti: “Che cosa è H3N2? Si tratta di un sottotipo del virus dell'influenza A che circola insieme ad altri tipi di virus, ad esempio lo scorso anno è stato prevalente quello A-H1N1, in quello precedente (2022-2023) ha dominato A-H3N22”. Tanto nessuno ci capisce niente e la gente corre ad avvelenarsi tutta felice, “in fila per tre col resto di due”, come fa la canzoncina. E che le vuoi dire a questa povera gente, troppo punita per la sua ingenuità? Si è fidata, non poteva star lì a leggere le propagande incrociate, i bugiardini indecifrabili, le bugie di regime, questa gente sgangherata e intontita, terrorizzata e ingannata doveva tirare la carretta, portare il pane a casa, per i figli; si è sacrificata, ammalata e vuoi anche crocifiggerla? Arrivano gli scienziati alternativi, da bar, a dirti: te lo meriti, io avevo capito tutto e dovevi ascoltarmi. Ma chi sono questi? Chi li conosce? Che ne sanno? Se neanche gli oncologi e i ricercatori ci avevano capito niente, se gli sono serviti anni per formulare ipotesi, diagnosi su queste mele avvelenate. “Mi son nata che g'ho l'istinto, no me freghi” mi ha detto una volta una di Padova, neanche capace di parlare in lingua, una votata alle erbe sciamaniche, alle energie cosmiche.
Ma io che ve le racconto a fare le declinazioni della disperazione, quel reparto con altri come me, tutti lì sdraiati come fantasmi o animali feriti, quei tubicini, quegli aghi, quelle sonerie metalliche, lugubri, sinistre quando finisce la flebo, che fanno più paura adesso, a distanza di mesi, che ve lo dico a fare della sensazione di essere malato, di restare malato, di ammalarsi ciclicamente di qualsiasi cosa, di non riuscire ad uscirne, che ve ne parlo a fare delle notti insonni straziate dal panico e dell'unico desiderio di morire? Stress post traumatico da cancro, dicono, come quando si torna dalla guerra e ci si sente in colpa ad essere ancora vivi. Poi vedo una foto, terrificante, di una ballerina di 21 anni che in poche settimane si scopre un supercancro e muore con le ossa che bucano la pelle: ha lo stesso aspetto mummificato di mia madre che a 90 anni aveva un'età biologica di 60 e in tre mesi se n'è andata. Nella bara spariva, pesava meno di 30 chili, non potevo riconoscerla. Questo è il turbocancro, come lo chiamano, quasi in modo sportivo. E nessuno che parla, nessuna informazione che fa due più due. I telegiornali fanno schifo, sono indecenti, da galera, in funzione di un potere corrotto, che corrode, che rovina. La ballerina polverizzata la segnala l'oncologo e ricercatore William Makis, in fama dannata di novax, il quale conclude: “Ogni caso di cancro dal 2021 dovrebbe essere riconsiderato in base alle sue caratteristiche di cancro anomalo”. Allora magni!, come dicono a Roma.
E anche se sei guarito, non guarisci mai. Io da un anno stringo amicizie quasi solo con altri pazienti oncologici, che o mi chiedono sostegno o mi chiedono di raccontare, di testimoniare. Ma di testimoniare mentre ti augurano la morte ci si stanca e della follia delle umane genti si arriva ad averne pieni i coglioni: quando scopri che ormai ci si può vaccinare pure al supermercato, come a Genova, feudo del virologo Bassetti messo a capo della sanità ligure dal governatore Bucci che dopo non si sa quante dosi si è trovato linfonodi a grappoli, cioè una metastasi, che cazzo ti resta da testimoniare? Sto assistendo al disfacimento non di una generazione ma di tutte le generazioni, in tutto il mondo. Una distruzione abissale, indicibile, come dieci guerre mondiali tutte insieme. Muoiono gli umani essiccati come girasoli sotto il sole di tutti i cieli. Ci sono passato, so cosa succede, so che la disperazione scava gallerie nella mente, so che niente, non il corpo, non lo spirito, guarirà mai davvero. Morire fa parte della vita, del fato che è imperscrutabile, ma morire per un pugno di burocrati, politici, falsi medici, miliardari, avvoltoi che hanno imposto la rovina è dura da accettare, è dura vedere lorsignori tutti salvi e sempre più arroganti, nessuno che si ammali, che ci resti, perché il veleno l'hanno imposto alle plebi ma, per loro, si sono ben guardati. Salvi e impuniti. E dovremmo anche chiedere scusa, ringraziare? Ma ogni volta che qualcuno mi cerca, mi affida il suo cancro, o lupus, o quel diavolo che è, io rivivo tutto. La mettessero come vogliono, ma l'umanità infame non meritava tutto questo.
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Fra improbabilità e caso si fa spazio il creazionismo
Perché la scienza non può dimostrare l’esistenza di Dio. La dimostrazione dell'esistenza di Dio su basi scientifiche e matematiche è un tema che, dopo aver affascinato pensatori come Anselmo e Gödel, torna nel recente libro di Bolloré e Bonnassies. Che però fa un uso della scienza del tutto inadeguato, oltre a cadere nell'errore logico comune a tutti gli argomenti a sostegno del cosiddetto “disegno intelligente”. La dimostrazione dell'esistenza di Dio su basi razionali è un tema sul quale si sono cimentati giganti del pensiero, da Anselmo d'Aosta a Gödel, passando per Tommaso d'Aquino, Cartesio, Leibniz e Kant. Ma come è ben noto si tratta di argomenti non conclusivi. Non sorprende dunque che periodicamente si torni sopra questo vecchio problema, evidentemente mal posto. Tra gli ultimi tentativi il libro di Bolloré e Bonnassies sembra godere di un successo particolare. Pubblicato nel 2021, è stato tradotto in italiano nella primavera del 2024 e continuiamo a leggerne lodi senza riserve sulla stampa e sui media digitali. Il sottotitolo invoca «l’alba di una nuova rivoluzione». Ma c’è ancora qualcosa da dire su questo argomento? Ci sono novità dalla scienza in grado di colmare il vuoto dei tentativi precedenti? Benché il libro abbia venduto molto e attratto un certo interesse, non ci pare che ci siano novità reali rispetto ad Anselmo (morto all’inizio del XII secolo). Ci troviamo semmai solo un uso retorico e inappropriato di alcuni risultati scientifici, insieme a un errore logico comune a tutti gli argomenti a sostegno del cosiddetto “disegno intelligente”. Qualche coordinata Gli autori del libro sostengono come ormai, basandosi sulla scienza, sia possibile dimostrare in modo inequivocabile l’esistenza di una divinità creatrice. All’estremo opposto dello spettro c’è chi, come Daniel Dennett, afferma senza mezzi termini che la fede religiosa sia una varietà di malattia della mente . A scanso di equivoci e inutili polemiche, non ci sembra che una tra queste due posizioni debba essere corretta. La religione, più in generale la spiritualità, costituisce sicuramente una dimensione importante per qualcuno, ma questo non ha bisogno di avere una base scientifica. Ed è certamente comprensibile che chi le ha a cuore entrambe trovi stimolante la sfida di giustificare la propria fede su base scientifica. Ma non sempre il mescolamento di fede e scienza produce risultati positivi. Un’osservazione dello psichiatra Giovanni Jervis ci sembra illustrare bene il punto generale: «La nostalgia dell’infinito è rispettabile, ma se non riesce a diventare poesia alta subito diventa qualcosa di più basso e banale, ossia sentimentalismo e retorica». Bolloré e Bonnassies insistono con una retorica tanto consolidata quanto inconcludente: perché esiste un lungo elenco di importanti scienziati credenti, dimostrare l’esistenza di una divinità creatrice su basi scientifiche è del tutto possibile. Inutile dire che da un punto di vista logico questo argomento non ha alcuna rilevanza. Le convinzioni personali di chi ha fatto la storia della scienza non hanno nulla a vedere con la razionalità. La scienza è un’attività umana, nata per diversi motivi e praticata da persone che hanno vissuto immerse nel loro periodo storico. E così, sfogliando gli annali della storia della scienza, troviamo che i grandi scienziati sono distribuiti su tutte le possibili tipologie umane: atei (Laplace), religiosi (Maxwell), bigotti (Cauchy), eretici (Newton), guerrafondai (von Neumann), pacifisti (Richardson), conservatori (Gauss), rivoluzionari (Landau) e, più vicino ai nostri tempi, anche razzisti e sessisti (categorie egregiamente rappresentate da Watson, ma purtroppo non solo). Non si tratta però dell’unico argomento di Bolloré e Bonnassies che elaborano una linea di ragionamento da loro stessi etichettata come “rivoluzionaria”. Pur concedendo che per quasi cinque secoli si sono accumulate scoperte scientifiche che suggerivano la possibilità di spiegare l’Universo senza la necessità di un Dio creatore, notano che negli ultimi tempi le cose starebbero andando nella direzione opposta. Un ruolo particolare in questo viene assegnato alla scoperta della termodinamica, da cui segue che l’universo si sta degradando dirigendosi verso una morte termica. Questo è a detta loro un cambiamento radicale di prospettiva, da cui discenderebbe l’esistenza di una divinità creatrice. Anche senza entrare in dettagli di storia della fisica, è opportuno inquadrare certi risultati ben noti nel loro contesto storico: la termodinamica non è esattamente una scienza giovane. Nasce all’inizio dell’Ottocento e la sua completa formalizzazione risale alla fine del diciannovesimo secolo. Analogamente il tema della morte termica, che inizia con un fondamentale lavoro di Ludwig Boltzmann del 1872, è stato un tema discusso ampiamente da grandi scienziati, come Kelvin, già a fine Ottocento. La speranza che la termodinamica costituisca un game changer nelle prospettive di dimostrare l’esistenza della divinità creatrice su basi scientifiche sembra dunque mal riposta. La prova scientifica non è uno strumento adatto alla teologia Il problema non è limitato alla termodinamica o alle altre aree della ricerca scientifica menzionate da Bolloré e Bonnassies. Si tratta piuttosto del fatto che, per loro natura, la dimostrazione matematica e la prova scientifica non sono strumenti adatti a dimostrare l’esistenza del Dio che avrebbe creato l’oggetto di indagine della scienza stessa. Ricordiamo innanzitutto che non esiste alcuna dimostrazione matematica o prova scientifica che non muova da qualche ipotesi la cui verità è data scontata. La bontà di una conclusione scientifica dipende quindi da due fattori: la correttezza del ragionamento e la plausibilità di ciò che si dà per scontato, ovvero le ipotesi. Per questo una parte fondamentale del lavoro scientifico riguarda la giustificazione delle ipotesi. Nella dimostrazione matematica, si danno per scontate le definizioni e le regole di inferenza. Possiamo, per esempio, concludere con certezza che un numero è dispari (B) se sappiamo che non è pari (A), perché sappiamo che tutti i numeri sono pari oppure dispari (A oppure B). Ma perché lo sappiamo? Perché siamo noi a definire cosa significa per un numero essere pari. E per le stesse ragioni sappiamo anche che tutti i numeri sono pari oppure dispari (se ci mettiamo prima d’accordo su cosa sono i numeri). All’ulteriore domanda su cosa giustifichi quello che stiamo dando per scontato, rispondono millenni di matematica, e tutto ciò che con successo si basa su di essa.
Nell'immagine: dettaglio de La creazione di Adamo di Michelangelo. Crediti: Wikimedia Commons. Licenza: pubblico dominio Il ragionamento scientifico sperimentale è più complicato perché sulla verità delle premesse c’è sempre un grado di incertezza che qualsiasi prova scientifica trasmette alla propria conclusione. Quindi tra le molte cose che si danno per scontate nella prova scientifica c’è il concetto di certezza pratica, grazie a cui si compie una mossa apparentemente contraddittoria: assumere la veridicità dei dati raccolti pur sapendo che potrebbero non essere del tutto “veri”. Questo rende qualsiasi ragionamento sperimentale un ragionamento probabilistico. Con queste premesse possiamo chiederci che forma avrebbero una dimostrazione matematica e una prova scientifica dell’esistenza della divinità creatrice, e cosa darebbero per scontato. Spoiler: darebbero per scontata l’esistenza di qualcosa che assomiglia moltissimo alla divinità (creatrice). Dimostrazioni matematiche Per quanto riguarda la prima, la fatica ci viene risparmiata dal più grande tra i logici moderni, Kurt Gödel. Nella sua rivisitazione matematica della prova ontologica di Anselmo troviamo una serie di ipotesi molto forti, tra cui una sulla necessità dell’esistenza di certe proprietà che, nel corso della dimostrazione, portano alla conclusione che esistono necessariamente proprietà del “tipo-divino”. Come tutte le conclusioni ottenute per dimostrazione matematica, anche quella di Gödel è persuasiva nella misura in cui lo è la verità delle sue premesse. A questo proposito lasciamo la parola a un altro logico, certamente meno famoso di Gödel ma tra i più brillanti che abbiamo avuto in Italia, Roberto Magari : «In sostanza Gödel deduce correttamente da certi assiomi la sua tesi (anche se bisogna mettersi d’accordo su che cosa possa significare ‘Dio’), ma non ci sono motivi di credere veri gli assiomi più di quanti ce ne siano per accettare direttamente la tesi». Prove scientifiche Quali caratteristiche avrebbe invece una prova scientifica dell’esistenza della divinità creatrice? Sediamoci ancora una volta sulle spalle dei giganti. Uno dei primi esempi di test statistico di un’ipotesi scientifica, oggi uno degli strumenti centrali nella cassetta degli attrezzi della metodologia sperimentale, è stato condotto da John Arbuthnot all’inizio del ‘700. Osservando il registro dei battesimi di Londra dal 1629 al 1710 notò che in tutti gli 82 anni erano stati registrati (e quindi, probabilmente, nati) più bambini che bambine. I dati apparivano in aperto conflitto con l’ipotesi che bimbi e bimbe nascessero con uguale probabilità, proprio come se il sesso fosse il risultato del lancio ripetuto (senza memoria) di una moneta equilibrata. Se diamo per scontate queste ipotesi, allora un calcolo elementare ci fa vedere che la probabilità di osservare più maschi che femmine consecutivamente per 82 anni è molto, molto, molto bassa, 1 su 282. Dunque, conclude correttamente Arbuthnot, è ragionevole assumere l’esistenza di uno squilibrio alla nascita che rende (leggermente, sappiamo ora) più probabile un maschio. Fino a qui tutto bene. Ma Arbuthnot va oltre e si chiede il perché di questo sbilanciamento. Trova la risposta in ciò a cui già crede: la provvidenza divina. Questa, immettendo nella comunità più maschi che femmine, consente (tra le altre cose) alle seconde di osservare il sacramento del matrimonio nonostante le ingenti perdite dei primi, che spesso non ritornano dalla guerra. La negazione del caso La riflessione di Arbuthnot, pubblicata su Philosophical Transactions della Royal Society - una delle prime riviste scientifiche moderne - contiene un errore logico che, a quattrocento anni di distanza, ritroviamo sostanzialmente immutato nel tipo di argomento creazionista noto come “disegno intelligente”, e che si ritrova in tutto il volume di Bolloré e Bonnassies. Lo schema è questo. Si parte da osservazioni sperimentali, che chiameremo DATI. Si formula un’ipotesi che cattura l’idea che non ci sia alcuna divinità creatrice, cioè che i DATI che osserviamo siano dovuti al CASO. Poi si calcola P(DATI | CASO), cioè la probabilità di osservare i DATI se è vera l’ipotesi del CASO. Supponiamo infine che sia molto piccola, cioè che è estremamente improbabile che le nostre osservazioni siano frutto della pura casualità. Fino a qui tutto bene, come nel caso di Arbuthnot. Il problema nasce dal passo successivo, cioè nella scelta di un’ipotesi da intrattenere al posto del CASO per la spiegazione dei DATI. Dal punto di vista logico la risposta è semplice: la negazione del CASO. Ma dal punto di vista pratico-scientifico, non è affatto chiaro cosa significhi di preciso. Torniamo ad Arbuthnot. L’ipotesi CASO è tradotta con l’uguale probabilità di M e F. La sua negazione è data dall’infinita scelta di tutte le coppie di numeri reali non negativi diversi da ½ che sommano a 1. Poiché la probabilità prende valori tra 0 e 1, le scelte possibili sono tante quanti sono i punti della retta. In questa infinità troveremo letteralmente di tutto, e quindi anche la divinità creatrice. Ce lo dice una serie di risultati probabilistici fondamentali che rispondono alla domanda se il disordine può essere fonte di regolarità . L'idea è che in una successione binaria che soddisfa una certa definizione precisa di “caso” ci sono, per ogni N, tutte le possibili successioni di lunghezza N di 0 e 1. Quindi se trascrivessimo la Divina Commedia, Guerra e Pace e L’Odissea in codice binario, nella successione a un certo punto apparirà la Divina Commedia seguita da Guerra e Pace, poi apparirà L’Odissea seguita dalla Divina Commedia, poi appariranno i versi alternati della Divina Commedia e de L’ Odissea, e così via attraverso il numero astronomico di tutte le combinazioni che possono venire in mente. La successione binaria associata a un numero a caso tra 0 e 1, quasi sicuramente, contiene più materiale della biblioteca di Babele di Borges, la storia del nostro Universo dal Big Bang ai nostri giorni, e anche tutto quello che succederà fino alla morte termica dell’universo. L’errore di Arbuthnot, che si ritrova negli argomenti creazionisti fino a quello del libro di Bolloré e Bonnassies, è dunque il seguente. Rigettare un’ipotesi come “la vita è dovuta al caso” significa aprire a un’infinità di ipotesi alternative di cui non ha senso pensare che siano tutte scientificamente rilevanti. Tutt’altro. Giova ricordare che nel ragionamento scientifico la plausibilità delle ipotesi discende dalla fitta rete di fatti che a volte viene chiamata “teoria”. E quando questa non è sufficiente a delineare una spiegazione plausibile delle osservazioni, l’atteggiamento scientifico opportuno è quello di continuare con la ricerca scientifica, oppure sospendere il giudizio. Notiamo, per chiudere con Arbuthnot, che a oggi non c’è consenso su cosa spieghi i dati consolidati sul rapporto tra i sessi alla nascita. E forse la spiegazione potrebbe non esserci. Improbabilità: usare con cautela Le prove che fanno leva sull’improbabilità delle osservazioni alla luce dell’ipotesi che viene testata con i dati sperimentali sono alla base della costruzione della conoscenza scientifica. Ma vanno applicate con estrema cautela metodologica. Il loro uso inappropriato, termine con cui si copre tutto lo spettro che va da “con leggerezza” a “in modo fraudolento”, è l’oggetto dell’accesa discussione metodologica sulla significatività statistica . Una buona regola euristica emerge però chiaramente. Gli argomenti basati sull’improbabilità dell’ipotesi che si vuole confutare sono tanto meno affidabili tanto più ci si allontana da asserzioni appartenenti ad aree quantitative della scienza. Questo è il motivo per cui in molti sistemi legali si dà opportunamente per scontata la cosiddetta presunzione di innocenza. L’onere della prova, cioè, è a carico dell’accusa e non della difesa. Purtroppo, esistono molti esempi in cui questa norma di civiltà è stata contravvenuta portando a condanne basate non sulla ragionevole probabilità di colpevolezza, ma sull’esigua probabilità di innocenza . Riferimenti: - M-Y Bolloré e O. Bonnassies. Dio. La scienza, le prove. (Ed. Sonda, 2024) - D.C. Dennett. Rompere l’incantesimo (Raffaello Cortina, 2007) - G. Jervis, intervista su Reset, settembre-ottobre 2007, pag.44 - Roberto Magari. Logica e teofilia in Kurt Gödel. In: “La prova matematica dell’esistenza di Dio”. 8Bollati Boringhieri Editore, 20069 - P. Diaconis and B. Skyrms. Ten Great Ideas About Chance (Princeton University Press, 2018) - C.S. Calude and G. Longo. The deluge of spurious correlations in big data. Foundations of science 22, 595 (2017) - A. Vulpiani. Caso, probabilità e complessità (Ediesse, 2014) - H. Hosni. Probabilità: Come smettere di preoccuparsi e imparare ad amare l’incertezza (Carocci, 2018) - V. Amrhein, S. Greenland, and B. McShane, “Retire statistical significance,” Nature, vol. 567, pp. 305–307, 2019 - D. J. Hand, “Trustworthiness of statistical inference,” J. R. Stat. Soc. Ser. A Stat. Soc., vol. 185, no. 1, pp. 329–347, 2022 Read the full article
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4 giu 2024 16:34
L’ONESTÀ DI ENRICO – 1984, INDRO MONTANELLI SULLA MORTE DI BERLINGUER – ‘’IL LUCIFERINO PAJETTA, CHE NON LO HA MAI AMATO, DICEVA DI LUI: “FIN DA GIOVANISSIMO S’ISCRISSE ALLA DIREZIONE DEL PARTITO” - BERLINGUER È RIMASTO ALLA GUIDA DEL PCI PER 12 ANNI GRAZIE AL REGIME DI MONARCHIA INCOSTITUZIONALE CHE VIGE NEL PCI, DOVE SOLO PER PUTSCH IL RE PUÒ ESSERE SBALZATO DAL TRONO - SE È VERO CHE UN BUON NEMICO È ANCORA PIÙ PREZIOSO DI UN BUON AMICO, DOVREMO PIANGERE E RIMPIANGERE ENRICO BERLINGUER: UN NEMICO COME LUI, SU QUELLA SPONDA, NON LO TROVEREMO PIÙ” -
Dal “Fatto quotidiano”
Degli editoriali sul Giornale raccolti nel libro “Come un vascello pirata”, pubblichiamo quello sulla morte di Enrico Berlinguer (12 giugno 1984)
IL CARISSIMO NEMICO
Non sapremo mai se Togliatti designò alla propria successione Berlinguer perché aveva capito chi era, o perché non lo aveva capito. Quel ragazzo cresciuto nella sua segreteria doveva piacergli per molti versi.
Prima di tutto perché, appunto, era cresciuto nella sua segreteria, poi perché era un esecutore scrupoloso, silenzioso e zelante delle sue direttive, perché ormai conosceva a menadito la cosa più importante, l’“apparato ”, perché non aveva mai fatto parte di camarille, e forse soprattutto perché non era “reduce” di nulla.
Berlinguer non veniva dalla cospirazione antifascista – non ne aveva avuto il tempo – né dal fuoruscitismo, e anche con la Resistenza credo che avesse avuto ben poco a che fare. Il luciferino Pajetta, che non lo ha mai amato, diceva di lui: “Fin da giovanissimo s’iscrisse alla direzione del partito”.
Ma forse fu proprio per questo che Togliatti lo prescelse. Il vecchio navigatore formatosi alla scuola di Stalin e sopravvissuto – uno dei pochissimi, di quella leva – alle sue purghe, diffidava dei rivoluzionari e dei dottrinari: è sempre da costoro che poi vengono fuori i dissidenti e gli eretici. Voleva dei commis, come in Francia si chiamano gli alti funzionari dello Stato. Attribuendone le qualità a Berlinguer, vide giusto. Ma non si accorse che gliene mancava una, e forse la più necessaria: il cinismo.
Berlinguer è rimasto alla guida del Pci per dodici anni grazie unicamente al regime di monarchia incostituzionale che vige in quel partito, dove solo per putsch il re può essere sbalzato dal trono. Berlinguer, che probabilmente aveva fatto poco per ereditarlo, non ha mai avuto bisogno di fare molto per conservarlo, e dubito che lo avrebbe fatto. Non ha mai dato l’impressione di attaccamento alla poltrona e di disponibilità ai giuochi di potere.
La mancanza di ambizioni dovette rendergli ancora più pesanti le croci che via via gli toccò di portare. Fra i veterani della nomenklatura italiana non era amato: lo consideravano, per la sua mancanza di medagliere, una specie di abusivo che aveva saputo sfruttare (e non era vero) le simpatie del Grande Capo. Quanto alla cosiddetta “base”, solo da morto è riuscito a scaldarla.
Da vivo, non aveva nemmeno mai tentato. Uomo di sinedrio, più che agitatore di folle, non aveva il carisma né l’oratoria del tribuno, e quando saliva su un podio di piazza, sul volto malinconico e nel mesto sguardo gli si leggeva il disagio. Non giuocò mai al personaggio, mai cercò la passerella e il flash che anzi visibilmente lo imbarazzavano: a Costanzo e alla Carrà non saltò mai in testa d’invitarlo a uno dei loro intrattenimenti.
Le circostanze non lo favorirono. Appena entrato in carica dovette affrontare la drammatica emergenza del brigatismo rosso. Un leader più cinico di lui chissà come avrebbe giuocato quella carta. Berlinguer non nascose la sua ripugnanza a servirsene, che poi esplose, col caso Moro, nell’aperta sconfessione della violenza.
Credo che quest’ultimo episodio abbia segnato, per lui, una svolta decisiva. Berlinguer è stato certamente l’uomo dell’intesa coi cattolici – il famoso compromesso storico non solo perché a indicargliela erano stati Togliatti e, prima di lui, Gramsci. Ma perché ci credeva. Quello che molti si ostinavano a considerare soltanto uno zelante burocrate, un “secchione” di “apparato”, è stato forse il dirigente comunista che più e prima di ogni altro ha avvertito la crisi del comunismo, e ha cercato di risolverla nell’abbraccio coi cattolici.
Era logico che su questa strada incontrasse Moro, il cattolico che più e meglio degli altri sentiva la crisi della Democrazia cristiana e cercava di risolverla nell’abbraccio coi comunisti. In molte cose i due uomini si somigliavano: nel pessimismo, nella sfiducia, nella premonizione della disfatta.
La fine di Moro fu, per Berlinguer, quella del suo unico valido interlocutore. E orami chiedo se fu proprio lui a favorirla ponendo il veto a ogni trattativa coi terroristi; o se fu il partito a imporglielo per tagliargli la strada. Per i falchi del Pci, Berlinguer era ormai un personaggio scomodo e pericoloso, specie da quando aveva cominciato ad allentare gli ormeggi che lo legavano a Mosca.
Gli era perfino scappato di dire (a Pansa) che voleva in Italia un regime comunista, ma sotto l’ombrello della Nato che lo tenesse al riparo dalle soperchierie del padrone sovietico: la più grave e blasfema di tutte le eresie in cui un capo comunista possa incorrere. Lasciamo volentieri la ricostruzione di queste vicende agli esperti delle Botteghe Oscure, anche se non ne hanno mai azzeccata una.
Noi vogliamo solo rendere l’onore delle armi a un uomo che può anche aver commesso degli errori: ma mai disonestà o bassezze. Se è vero – com’è vero – che un buon nemico è ancora più prezioso di un buon amico, dovremo piangere e rimpiangere Enrico Berlinguer: un nemico come lui, su quella sponda, non lo troveremo più.
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TFF 2024: il bilancio di un'edizione che conferma la necessità di "eretici spazi di libertà", all'insegna della scoperta e della libertà di espressione (quella vera)
«Il Trento Film Festival è uno spazio di libertà, una piccola grande eresia, che garantisce piena e libera espressione agli autori, e al pubblico offre la possibilità di scoprire sempre nuovi sentieri di senso»: con queste parole il Presidente del Trento Film Festival, Mauro Leveghi, chiude simbolicamente questa 72a edizione, segnata da un successo di pubblico senza precedenti. «Devo ringraziare…
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Si è chiusa lo scorso sabato 28 settembre la quinta edizione del progetto Eretici. Le strade dei teatri. Violetta Cottini con Roberta e Alessandra Idolfi hanno presentato una prima prova aperta del loro Do fairies have a tail?
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Lo spazio è completamente avvolto nel nero, un silenzio profondo e un buio che sembrano dilatarsi all'infinito. Dopo un tempo indefinito, suoni sottili iniziano a dare forma a ciò che è invisibile: una luce rossa intermittente emerge, disegnando i contorni di rami e di corpi indefiniti che lentamente si sollevano dalla notte. L’oscurità sembra farsi materia, e in quei primi attimi in cui tutto è indistinto, mi tornano alla mente le sequenze di Minuscule - La vallée des fourmis perdues: suoni accelerati e stranianti che evocano i frenetici inseguimenti e le lotte tra formiche rosse e nere in quel microcosmo animato.
Poi, lentamente, una nebbia si diffonde nello spazio portando con sé due figure, Alessandra e Roberta Indolfi. Le loro presenze si muovono all'unisono, quasi fossero un corpo solo, per poi separarsi, ciascuna alla ricerca di un proprio percorso. Il loro movimento è fluido: una cede spazio all'altra per poi ritrovarsi sincronizzate con le loro stesse immagini fantasmatiche proiettate sullo schermo in fondo alla scena. Strisciano a terra, si avvolgono su se stesse, saltano a quattro zampe, per poi fermarsi, tremanti, prima di alzarsi e vestire ali pesanti di legno.
Le proiezioni luminose fanno eco al suono della pioggia che batte, allo scricchiolio di un vetro che si frantuma, allo stridore di una catena di ferro. Questi suoni, quasi tangibili, guidano il nostro sguardo attraverso la bruma: l'occhio si ambienta in questo altrove notturno e misterioso e il buio così si dissolve e rivela forme e presenze fino a quel momento nascoste.
In questo dispositivo scenico multiforme tutto diventa coreografia: i corpi delle performer, i video, il fumo, i tulle, i rami sospesi e il tappeto sonoro. Ogni elemento concorre a definire uno spazio immersivo in cui lo spettatore non è semplicemente un osservatore, ma attraversa una soglia invisibile, entrando in un mondo altro, abitato da esseri antropomorfi che fluttuano tra realtà e immaginazione. Sono corpi o simulacri? Ombre che appaiono e si dissolvono, lasciandoci in bilico tra presenza e illusione.
A un certo punto, il fondale della black box si squarcia, e come in un effetto ronconiano – come suggerito da Gerardo Guccini – la visione si frammenta e si moltiplica oltre il palcoscenico e il video, portando la scena oltre il teatro stesso. Lo spettatore è invitato a compiere un ultimo passo: attraversare il palco, varcare quel limite per entrare nella realtà, che ospita un’installazione fatta di materiali di ricerca e creazione, frutto di cinque mesi di lavoro delle artiste tra La Corte Ospitale di Rubiera e L'Arboreto di Mondaino.
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Nello stesso weekend si è chiuso anche il progetto parallelo a quello di Eretici che è Custodi delle residenze, un gruppo di giovani spettatori e spettatrici che seguono dentro le residenze l'artista selezionato dal bando, in questo caso Violetta, Alessandra e Roberta. Arrivati venerdì a Mondaino i e le Custodi hanno visitato il paese con la guida di Alberto Giorgi e incontrato il direttore dell'Arboreto Fabio Biondi che li ha guidati dentro l'origine poetica e politica del fenomeno delle residenze in Italia. Poi insieme a Francesca Giuliani e Silvia Ferrari si sono dedicati alla costruzione della restituzione del percorso: raccolti pensieri e materiali hanno strutturato infine il loro personale e allo stesso tempo collettivo racconto del processo di incontro e dialogo con le artiste. A partire dal leitmotiv che hanno individuato come filo rosso che tiene insieme tutti i loro sguardi, cioè "rendere visibile l'invisibile", hanno creato un'installazione visiva e auditiva in sintonia perfetta con il processo creativo delle artiste. Di seguito una piccolissima parte del lavoro, la descrizione del percorso installativo e la parte sonora.
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Violetta Cottini, Roberta e Alessandra Indolfi in residenza per Do fairies have a tail?
16 - 28 Settembre 2024
Inizia oggi il quinto periodo e ultimo periodo di residenza creativa per la ricerca e la composizione della nuova creazione di Violetta Cottini in collaborazione con Roberta Indolfi e Alessandra Indolfi Do fairies have a tail?, progetto vincitore della quinta edizione di ERetici. Le strade dei teatri
Sabato 28 settembre alle ore 18 ci sarà la prima restituzione aperta al pubblico del processo creativo delle artiste.
Do fairies have a tail? è una domanda senza risposta, è un ambiente dove l’invisibile ha la possibilità di manifestarsi, un mondo inventato in continua relazione tra fantasia e realtà.
*Le fate esistono? Cos’è invisibile?*
L’invisibile può manifestarsi e dare vita ad un altrove? Che tracce lascia? Quali sono i suoi resti? Creature notturne si aggirano nei tuoi sogni, riprese da una luce a infrarossi, i loro occhi sono l’unica cosa che riesci a vedere, cangianti come stelle, ti guardano, i contorni si sbiadiscono lentamente e tutto intorno a te si fa più ovattato, più possibile, dove ti trovi?
Questa indagine non è altro che un indovinello, un espediente per entrare tra le pieghe storte di altre dimensioni. La creazione di un posto segreto come fulcro dell’azione scenica, verso tutto ciò che è piccolo, invisibile ed effimero e sulla volontà di riscrivere le proprie mitologie. Ci muoviamo intessendo la nostra ragnatela luminosa, un processo di sensibilizzazione del come stiamo in relazione con il mondo e con i miraggi che incontriamo. Secondo l’immaginario delle wunderkammer, collezioniamo, raccogliamo e assembliamo materiali e li mettiamo in relazione con l’ambiente. Ci concediamo un tempo dove la dimensione ludico-magica si intreccia a quella concettuale, permettendo alle cose di manifestarsi. Cerchiamo un approccio con la materia, la costruzione di oggetti e luoghi per dare vita a uno spazio in continua trasformazione dove i sensi mutano e i corpi si ritrovano in posizioni inaspettate. Creature mutaforma le cui percezioni determinano lo spazio stesso in una relazione costante (umwelt) tra macro e micro. Il lavoro sul corpo si sofferma su quelle che noi chiamiamo “parti mancanti”/ “parti fantasma”, sul ricordo o soltanto sull’immaginazione di esse, come se fossero prolungamenti ossei, cartilaginei. Una presenza e un’assenza che si scorpora e si scompone, ponendosi continuamente delle domande sulla fenomenologia delle percezioni, su come diventare, sparire, farsi piccole, immaginarsi altrove.
E se tutto questo fosse un portale? Cosa c’è una volta superata la soglia?
In questa residenza le artiste avranno il tutoraggio e accompagnamento critico di Daniele Del Pozzo e saranno accompagnate dallo sguardo deo e delle Custodi delle residenze.
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Nei giorni scorsi abbiamo trascorso la mattinata in teatro con Violetta, Alessandra e Roberta che ci hanno mostrato alcuni passaggi del lavoro che stanno sviluppando intorno alla ricerca per Do fairies have a tail?. Alcuni *passages dalla residenza.
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Il buio e un flash di luce su un ramo che arde e improvvisamente scompare: unIn fuoco improvvisamente spento. Una figura, umana, attraversa lo spazio illuminandolo con un fascio di luce verde: appare qualcosa che subito sfugge. La luce lo insegue e lo trova dalla parte opposta.
La musica è forte, la ricerca nel buio è serrata, affannata: appare un corpo, di animale forse, e subito si cela. E così di nuovo per un tempo indefinibile. L’essere che si muove cerca il buio; si sente in pericolo, scappa. Si nasconde e viene scoperto, ripetutamente intercettato dalla luce e dallo schermo di un telefono che cerca di catturarlo.
Poi il silenzio. Si apre un varco nell’altrove. Un fruscio e bagliori di luci verdi, fluorescenti accendono la notte che si popola di esseri. Come scrutando dentro un antro misterioso il mondo non umano prende il sopravvento e appare, si sdoppia e moltiplica in corpi mutaforma che strisciano a terra. Poi si cullano e si alzano in piedi, tremolanti. Si costruiscono ali. Riflettono luci. Sono uno e sono tanti, popolano un regno ctonio, tentacolare, dove radici, rami, humus si intrecciano senso soluzione di continuità.
Sono corpi in metamorfosi: stanno qui, abitano questo habitat e lo trasformano al loro passaggio. I rumori nel buio aiutano a visualizzare quell’ambiente che sembra avvolgerci. C’è lo scricchiolio di rami calpestati, uno stridore, un tintinnio, un respiro. Buio e proiezioni che tagliano lo sfondo. Ombre di cervi. Ombre di esseri. Il tutto è appannato, offuscato è meraviglioso.
Come nella caverna del mito di Platone, dove il mondo è esperito solo mediante l’osservazione delle ombre, anche in questo mondo dell’altro e dell’altrove l’occhio di chi guarda costruisce la sua visione ricomponendo frammenti di ombre, specchi lucenti, ali spezzate e corpi che cercano arti fantasma e provano a sollevarsi da terra mentre intorno la notte è nera. Sul fondo l’immagine video che scorre porta dentro questo mondo la realtà, ma è rarefatta in negativo per entrare in dialogo con l’ambiente della scena: è memoria del processo, è indizio del doppio che domina la scrittura drammaturgica.
Il silenzio Talmente delicato è ciò che si indaga - in soglia di questo mondo e di altro mondo - niente meglio del silenzio può proteggerlo dal nulla in cui sempre sta per precipitare e da cui emerge. Mariangela Gualtieri, L'incanto fonico
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Nel fine settiamana appena trascorso Violetta Cottini e Alessandra e Roberta Indolfi hanno lavorato con la compagnia Dewey Dell che con l'artista Enrico Malatesta, che incontreranno a settembre alla Corte Ospitale, sono i tutor artistici che seguono il percorso delle artiste selezionate dal bando Eretici. Le strade dei teatri 2024.
Il primo giorno abbiamo seguito parte dell'incontro che è stato ricco di spunti e suggestioni per gli ulteriori sviluppi del processo creativo per Do fairies have a tail?
Il lavoro di ricerca che le artiste stanno portando avanti riguarda la definizione di ambiente che tenga traccia dell'invisibile rappresentato dal piccolo mondo degli esserini fatati, mostruosi e meravigliosi allo stesso tempo. Il miraggio è uno dei fenomeni naturali a cui tendono ad ispirarsi: vedere quello che non c'è, oppure vedere quello che c'è ma non si vede, cambiare sguardo, prospettiva di visione pensando in primis alla sensazione che si vuole dare allo spettatore, costruendo minuziosamente lo spazio della scena.
Il buio e luce, la ricerca di arti mancanti, le Wunderkammer, l'Étant donnés di Duchamp, Pietro Citati e le sue fate, le fototrappole e l'occhio dello spettatore, le case abbandonate, gli oggetti e i colori sfumati che raccontano storie: sono queste alcune delle tematiche e opere condivise nella prima mattinata di lavoro tra Agata Castellucci e Vito Matera di Dewey Dell, Violetta, Alessandra e Roberta.
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Alcuni di noi sono posseduti dalla sensazione che una sottile parete, una lieve cortina, un velo d'aria e di garza separi il nostro mondo da un «regno segreto», foltissimo di abitanti. Non occorre andare lontano: né, come gli antichi veggenti, venire trasportati con lo spirito e il corpo nel cielo. Mentre camminiamo tra le colline, ci soffermiamo presso una sorgente, guardiamo le luci e le ombre del crepuscolo, ondeg-giamo sugli orli del sogno, basta figgere l'occhio; ed ecco che la parete d'aria e di garza si scioglie, e noi penetriamo nel mondo che costeggia il nostro, o le fitte creature invisibili scendono fra di noi, rivelandoci misteri, annunciandoci il futuro, raccontandoci fiabe, scoprendo tesori nascosti... ... Poiché sono così doppi, insieme aerei e ctonii, non possiamo meravigliarci se siano intessuti di luce e di tenebra; e se li intravediamo meglio al crepuscolo, quando il giorno e la notte si confondono ambiguamente. Cosa fanno i fairies? Qual è la vita che si svolge, ogni giorno, nel regno segreto? Pietro Citati, La luce della notte
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"Do fairies have a tail?" #ERetici2024
Nel weekend appena trascorso siamo state alla Corte Ospitale di Rubiera con i e le Custodi delle Residenze che per la prima volta hanno incontrato le artiste selezionate dal bando ERetici 2024. Do fairies have a tail? è il titolo del progetto della danzatrice e coreografa Violetta Cottini coadiuvata dalle performer Alessandra e Roberta Indolfi. Agnese Aquilani, Annarita Di Bitonto, Carlotta Simonetti, Elena Garbara, Francesco Tardio, Gianluca Bertozzi, Giulia Veneziano, Lavinia Di Genova, Silvia Consigli, Simone Costi sono i e le dieci Custodi delle Residenze che entreranno nel processo di ricerca e creazione di Violetta, Roberta e Alessandra per Do fairies have a tail?
Accolti dalla direttrice Giulia Guerra abbiamo attraversato i differenti spazi della Corte per poi prenderci un momento con Silvia Ferrari, che con me cura questo progetto dedicato ai giovani spettatori e spettratrici, per ritrovarci dopo il primo incontro online. Per entrare nel processo di cura e ascolto necessario a definire lo sguardo dei e delle Custodi delle Residenze abbiamo trascorso questo primo momento facendoci attraversare dai racconti per parole, immagini e suoni che gli spettatori e le spettatrici delle precedenti edizioni del progetto hanno dedicato proprio ai nuovi.
ALGHE, PAURA, SGUARDO, NOTTE, CONFUSIONE, TENTATIVI, APERTURA, GESTAZIONE, FALLIMENTO, ABITARE, CURA, RISONANZA, ORIZZONTALITA'...
Sono queste alcune delle parole che ci portiamo dal passato al futuro per intraprendere questo nuovo viaggio nel processo di ricerca di Violetta Cottini e Alessandra e Roberta Indolfi.
Subito dopo siamo entrati in punta di piedi in sala, accolti dalle artiste che ci hanno aperto le porte del loro posto segreto: un museo di chincaglierie che hanno trovato esplorando i luoghi della Corte Ospitale nella prima residenza del progetto, i libri che stanno nutrendo le loro riflessioni, gli oggetti che stanno costruendo per definire l'immaginario di questo misterioso altrove che mescola confini riconoscibili: i giochi infantili e i riti primordiali si confondono così come le ombre e le luci, la notte e il giorno, la natura incontaminata e la desertificazione "post-umana".
E poi i pensieri e le domande che si stanno aprendo durante la composizione di questo habitat che sa di antico e futuro, dove non esistono gerarchie, distinzioni binarie, prospettive riconoscibili. Un bosco di resti, di oggetti senza storia, di terra che non è terra e aria che non aria, nebbia pesante e colori pastello, rumore di acqua che scorre, pulviscoli di polvere fluorescenti.
Che peso ha un corpo qui? Ci credi ancora?
Poi, nella tarda mattinata di domenica, entriamo in questo altrove guidati dalla voce di Violetta. Lo spazio cambia forma. Dal tappeto di danza nero che si fa terroso iniziano a comparire esseri misteriosi. A uno a uno lo popolano: le ossa e gli occhi si sciolgono, le mani non sono più mani, e i piedi non sorreggono più i corpi.
Come sentono e vedono? Come si muovono? Si alzano?
Sono minuscoli e giganteschi allo stesso tempo. Ricomposti dopo una lunga scomposizione emergono lentamente da sottoterra e tentano invano di prendere il volo.
Rientriamo, ognuno nel suo spazio del quotidiano, e in attesa di rivederci prima online a luglio poi di nuovo insieme a Rubiera portiamo con noi delle domande che si sono aperte in questi giorni condivisi insieme.
Cos'è l’altrove?
Quanto di ognuno e ognuna di noi risiede nell’altra?
Come incrociate gli sguardi?
Quali saranno i prossimi punto di caduta?
Come ritroveremo questo germoglio al ritorno?
È possibile ritrovare la magia dell’infanzia?
Come faccio a volare?
Cosa può dire il mio corpo?
C’è un limite al tentativo?
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