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La ballata di Adam Henry di Ian McEwan: Una riflessione etica e umana tra giustizia e sentimenti. Recensione di Alessandria today
Questo libro affronta temi complessi come il conflitto tra legge e morale, l’etica medica e le fragilità emotive attraverso la figura di Fiona Maye, giudice dell’Alta Corte britannica.
Introduzione all’opera:Pubblicato il 12 gennaio 2016 in Italia, La ballata di Adam Henry è uno dei romanzi più intensi e profondi di Ian McEwan, tradotto con maestria da Susanna Basso. Questo libro affronta temi complessi come il conflitto tra legge e morale, l’etica medica e le fragilità emotive attraverso la figura di Fiona Maye, giudice dell’Alta Corte britannica. L’autore, con il suo stile…
#Alessandria today#dilemmi etici#Diritti Umani#etica medica#Fiona Maye#giustizia e famiglia#Giustizia e morale#Google News#Ian McEwan#Ian McEwan romanzi#italianewsmedia.com#La ballata di Adam Henry#leggi e religione#Letture consigliate#libri 2016#narrativa britannica#narrativa contemporanea#narrativa d’autore#narrativa di qualità#narrativa giudiziaria#narrativa inglese.#narrativa moderna#narrativa psicologica#Narrativa sociale#Pier Carlo Lava#relazioni coniugali#riflessioni etiche#romanzi Einaudi#Romanzi emozionanti#romanzi etici
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"La colpa è tutta del romanzo" "E cioè?" "Rabdomant sostiene che gli errori giudiziari sono quasi sempre il frutto di un eccesso di coerenza narrativa. Ad ogni livello dell'inchiesta, gendarmerie, polizia giudiziaria, istruttoria, perizie psichiatriche, fino nell'aula di tribunale, il tentativo è sempre quello di costruire una storia plausibile, di creare una successione logica fra presunti moventi ed azioni. Quando c'è qualcosa che non quadra, senza rendersene conto si forza un po' e si sbatte in galera il sospettato più compatibile dal punto di vista logico. Si cerca la coerenza, insomma. Secondo Rabdomant questo è il modo migliore di produrre un errore giudiziario" Daniel Pennac - Il caso Malaussénè
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Sono passate poche settimane dalla presentazione del quarto rapporto annuale della Carta di Roma, dal titolo “Notizie oltre i muri“. Ma già poche ore dopo sembravano passati anni. Non perché il lavoro prezioso, che fa l’associazione, sia stato vano o inutile ma in quanto, dopo l’attentato di Berlino e l’uccisione del presunto attentatore in Italia, sono stati stravolti totalmente i risultati a cui tale rapporto era pervenuto. E partiamo allora da quello per arrivare ad oggi. Il rapporto evidenziava alcuni aspetti quantitativi molto significanti nel racconto mediatico delle migrazioni: aumento dei titoli in prima pagina, anche rispetto al boom dell’anno scorso, (sulla carta stampata + 10%), meno allarmismo, meno picchi ma una presenza costante nei titoli delle prime pagine del tema: alcuni quotidiani come l’Avvenire addirittura hanno fatto registrare 1,3% articoli al giorno con partenza in prima su questo tema, più “contenuti” ma altrettanto presente Repubblica (0,8%) e Corriere della Sera (0,7%). I temi trattati sono in ordine di presenza simili a quelli dello scorso anni: forte la questione accoglienza (ma in calo) in crescita lo spazio dedicato ai flussi migratori, al terrorismo, a criminalità e sicurezza, ma soprattutto alle questioni connesse a società e cultura (spazio più che triplicato rispetto al 2015, in gran parte a causa del dibattito sorto in estate attorno al tema del “burkini” e più in generale all’islam. Si raccontavano sempre più tali tematiche in un contesto di politica estera, sia per i numerosi vertici che si sono tenuti nella dimensione europea, sia perché le dimensioni mondiali degli spostamenti forzati di persone non potevano più essere ridotte esclusivamente a fenomeni di cronaca giudiziaria o di ordine pubblico. Un passo avanti quindi – dichiaravano giustamente i presentatori del rapporto – a cui però faceva da contrasto l’aumento esponenziale dell’ hate speech, sui social network. Il rapporto in effetti illustra, con dovizia di particolari come, soprattutto, protetti dall’anonimato e dall’uso dei nickname si sia scatenata una rabbia diffusa in tali canali comunicativi da rendere ancora più difficile una corretta narrazione dei fatti. Per avere conto di quanto questo sia vero si provi a leggere i commenti anche agli articoli della stampa mainstream quando si parla di immigrazione. Trasudano spesso odio, rabbia, frustrazione, ignoranza e in gran parte non vengono inoltrati scrivendo il proprio nome e cognome. Ma dopo i fatti di Berlino, come dicevamo, si è tornati su un’altra dimensione narrativa. L’allarmismo dei grandi quotidiani è tornato ai tempi d’oro, le dichiarazioni dei leader politici sono improntate a parlare di sicurezza, ordine pubblico, cacciata dei “clandestini”, apertura dei CIE, controllo delle frontiere, retate da istituzionalizzare eccetera… Alcuni fatti di cronaca fanno riflettere e vanno elencati sapendo che tanti restano sottaciuti: a Napoli dei criminali sparano contro ambulanti senegalesi che rifiutano di pagare il pizzo, per ribadire il controllo camorrista del territorio. Alcuni feriti, fra cui una bambina, un ambulante anche gravemente ma la vicenda viene narrata solo attraverso lo scontro fra il sindaco partenopeo e Roberto Saviano. A Torino, la vicenda grottesca del cinema che si è svuotato perché i componenti di una famiglia musulmana si scambiavano, durante la proiezione del film, sms con il cellulare. Le persone sono fuggite pensando ad un imminente attentato. La donna indignata che si è ritrovata al centro della vicenda, una madre di famiglia in Italia da 15 anni è stata immediatamente etichettata come potenziale terrorista. Una settimana dopo l’assessore comunale alle Pari Opportunità del capoluogo piemontese si è pubblicamente scusato con quelle che ha definito “vittime di una psicosi” ma ovviamente intanto la notizia era già passata in secondo piano, non la paura. Nel Centro di Prima Accoglienza di Cona (Venezia), muore una ragazza per circostanze ancora da chiarire, scoppia una rivolta legata, sembra, al ritardo nei soccorsi e al sovraffollamento del centro – una ex caserma in cui sono stipate 1400 persone – e in capo a due giorni la vittima viene dimenticata o comunque il suo decesso passa in secondo piano. Il sostituto procuratore di Venezia, come riportato da quotidiani, considera la ragazza morta per cause naturali ma ha già deciso, che per la rivolta bisogna immediatamente appurare se ci siano “legami col terrorismo”. L’intervista è surreale, nessuna prova, nessun indizio, solo percezioni legate al modo di esprimere disagio degli “ospiti” della struttura e al fatto che “non si capisce come mai alcuni siano collaborativi e altri invece conflittuali”. E mentre dal Viminale giungeva (30 dicembre 2016) una circolare firmata dal Capo della polizia Franco Gabrielli, in cui si richiamava ad incrementare il controllo sui territori, anche attraverso il coordinamento delle forze di Polizia di Stato e Municipali, per “rintracciare gli irregolari anche sui luoghi di lavoro nero, avviare i procedimenti di espulsione e potenziare i rimpatri, la stampa enfatizzava un insieme di norme sulla “sicurezza” ad oggi solo annunciate. La proposta è la stessa da tanti anni, vessatoria, inutile, costosa, più CIE, uno in ogni regione. Il 19 gennaio prossimo, durante la Conferenza Stato – Regioni, il neo Ministro dell’Interno, Marco Minniti ha annunciato di voler presentare un “Piano per la sicurezza” di cui giungono, centellinate, le prime avvisaglie. Oltre al rafforzamento delle attività di polizia nei territori si punta alla panacea dei CIE, che saranno, secondo il ministro, “piccoli” ( per non oltre 100 persone), dal volto umano e con tutte le garanzie, (vorremmo vedere dopo le tante condanne e i rapporti che denunciavano l’inumanità di quelli esistenti e le sentenze contro i trattenimenti arbitrari), ma fatti per espellere realmente i trattenuti. Sull’irriformabilità dei CIE e dell’istituto della detenzione amministrativa ormai c’è una letteratura sterminata, che parla di esperienze totalmente fallimentari, anche prendendo per sensato lo scopo prefissato. La stampa di regime pompa questa come soluzione praticabile, qualche presidente di regione e qualche dirigente politico più avveduto coglie i rischi, altri invece declamano serenamente la possibilità di espellere come se nulla fosse chiunque non è ritenuto in diritto di restare sul territorio nazionale, senza neanche passare per i CIE e quindi per una approssimativa autorità giudiziaria. Ma gli accordi bilaterali per le riammissioni sono in gran parte fermi, il governo tenta di stipularne altri con paesi che però chiedono in cambio ingenti risorse, insomma il risultato sarà, come abbiamo già più volte denunciato, quello di aumentare inutilmente il numero dei “clandestini”. Certo si potrebbe garantire regolarizzazione a chi lavora al nero e colpire i datori di lavoro con sanzioni pesanti, esistono gli strumenti giuridici per farlo, ma questo danneggerebbe l’economia sommersa, tanto preziosa e il consenso di chi governa o aspira a governare e quindi non se ne fa nulla. L’allarme continua: se il ministro parla a cuor leggero di “immigrazione incontrollata”, il Capo della Polizia dice tranquillamente «Non illudiamoci. L’ISIS prima o poi colpirà anche l’Italia». Come a dire che il necessario lavoro di intelligence, su cui sembra si scarseggi, anche nell’affrontare la criminalità organizzata è in fondo poco utile. L’attentato prima o poi ci sarà ma intanto concentriamo le forze sugli immigrati irregolari. Si dice ovviamente che non bisogna confondere immigrazione e terrorismo ma, almeno da quanto trapela, per affrontare un problema serio come il terrorismo si pensa sia sufficiente dare la caccia a chi non ha i documenti in regola. Ed è strano e andrebbe spiegato meglio alla cittadinanza il modo di procedere delle forze dell’ordine incaricate di affrontare la minaccia jhadista. Da una parte ci sono stati arresti e ci sono processi in corso verso persone accusate di essere vicine ad ambienti pericolosi. Dall’altra ci sono state 134 espulsioni di persone accusate di simpatie jihadiste. Le cronache dei giornali riportano per queste espulsioni le notizie che fuoriescono dalle questure. Ad un osservatore esterno verrebbe da dire che per talune persone varrebbe la pena fare indagini accurate e cercare i collegamenti, se ci sono, a reti nazionali o internazionali. Invece li si rispedisce con clamore a casa per dimostrare che il paese è sicuro. A detta di quanto esce dai giornali, basti pensare all’ultimo caso in ordine di tempo, alcune accuse si fondano su “deliranti” frasi scritte sul profilo facebook. Beh è quantomeno bizzarro che chi vuole distruggere l’occidente sia così sprovveduto da lanciare i propri appelli su una piattaforma così facilmente intercettabile. Ma, ripetiamo, vogliamo rispettare il lavoro di indagine che ci auguriamo sia più approfondito. E da notare intanto come, in questa sarrabanda di dichiarazioni, si mescolino situazioni fra loro diversissime, persone appena arrivate in attesa di asilo e chi è qui da tanti anni e non ha più neanche un paese in cui tornare, nati in Italia, persone che attraversano momenti di difficoltà e persone finite in circuiti di devianza per cui evidentemente non vale l’articolo 27 della costituzione. Insomma l’immagine che stampa e tv stanno oggi accreditando – e non solo i social network – è quello di un Paese in pericolo, sull’orlo di una crisi di nervi, per citare il noto regista. e in cui non si prospettano che soluzioni di carattere repressivo già sperimentate, con fallimento, nel passato. E il rischio è che la profezia si autoavveri. Far montare il terrore è facile, spegnerlo, spesso, costa lutti. Nessuna esperienza sembra aver fatto breccia nei responsabili politici e neanche nella pubblica opinione. Basti leggere, come già si diceva, i beceri commenti che seguono articoli, a volte anche condivisibili che escono su qualche giornale vagamente progressista, per percepire una rabbia sorda e misera che a volte si cela nell’anonimato altre volte non ha paura di mostrarsi con nome e cognome. E basti guardare una giustizia che si mostra sempre più forte con i deboli e debole con i forti. Nel primo caso le intenzioni reiterate di abrogare il diritto al ricorso a coloro cui viene negato il diritto d’asilo. Poi accade – avvenimento trattato con folklore – che il Comandante della Polizia Locale di Biassono (Monza e Brianza) si faccia fotografare con una divisa da maggiore delle SS e dichiari serenamente: «Così potremmo sistemare le cose». Verrà, da quanto si apprende, forse degradato ma resterà in forze, in divisa, ad amministrare la legge e a relazionarsi con i cittadini, anche quelli di cui non gradisce la presenza. Ed è solo un caso: a destra si combatte una strenua lotta per conquistare il posto di più affidabile “nemico degli immigrati invasori”, ci sono i gruppuscoli di fascisti del terzo millennio, leghisti, destre più o meno rispettabili e leader del M5S che rinfocolano gli animi con la logica del “cacciamo il nemico interno”, senza che si manifestino serie risposte politiche di senso inverso. E non sono le manifestazioni sparute di certi gruppuscoli a spaventare quanto l’indifferenza, a volte le giustificazioni che vengono fornite a simili chiamate all’odio. Sotto sotto si sente dire: «In fondo hanno ragione a protestare contro “l’invasione degli immigrati”. E qui forse il primo punto nodale su cui vale la pena fermarsi. Se sui social network la rabbia è potuta esplodere senza limiti questo deriva dal fatto che, ormai per decenni, la stampa ufficiale, ha di fatto dato spazio, voce, legittimità agli allarmi e a chi li lanciava in maniera spesso unicamente strumentale evitando scomode spiegazioni. Per tanti anni, confinare l’immigrazione unicamente nei fatti di cronaca nera ha consentito la crescita di un humus profondo, che si è radicato anche in molte coscienze progressiste. Lo sdoganamento del razzismo è avvenuto istituzionalmente e mediaticamente, spesso unicamente per fini politici, altre volte come risultato di una assenza strutturale di risposte propositive da dare a chi si vedeva la società cambiare sotto gli occhi. Ma è avvenuto anche fra le “autorevoli voci più democratiche” come negli interstizi delle pagine locali tese a dare l’immagine di città prese d’assalto da orde di stranieri venuti per rubare tutto il bene che spetta innanzitutto agli autoctoni. Non c’è stata capacità e volontà di svolgere un ruolo educativo, non rassicurante ma semplicemente utile a fornire gli strumenti necessari a comprendere i mutamenti. E se per un anno, forse due, i drammi del Mediterraneo con le migliaia di vittime delle leggi repressive, come le lunghe file di esuli da paesi in guerra, hanno provocato un lieve mutamento emotivo, il malessere ha continuato a covare. Legare la crisi economica e sociale a questi mutamenti, è stato un gioco facile per i fabbricanti di paura che non hanno trovato che scarsa opposizione. Oggi ci si straccia le vesti, magari commuovendo con la pubblicazione dell’ennesimo bambino morto sulla spiaggia o proponendo i “lavori socialmente utili” a costo zero per far accettare i richiedenti asilo. Ma dura poco. Inutile prendersela con l’hate speech dei social quando non si prova a ricostruire un senso e una ragione capace di ricomporre ciò che una pessima narrazione ha imbarbarito. In questa maniera perdono di credibilità ormai anche gli stessi mezzi di comunicazione che non affrontano i temi per quello che sono. Prevale una rabbia che è anticamera di fascistizzazione del pensiero, prevalgono paure o, peggio ancora, quelle zone grigie e silenziose in cui tutto può accadere. Ed è sufficiente un allarme isolato, come l’uccisione di quello che ormai è considerato il responsabile dell’attentato di Berlino, un uomo arrivato 6 anni fa proprio a Lampedusa, per riportare indietro le lancette dell’orologio e richiamare ancora una volta, in maniera istituzionale, alla caccia all’uomo, fondata unicamente sul possesso o meno di un permesso di soggiorno. Ma Italia ed Europa sono solo questo? Accade anche altro ma evidentemente, utilizzando il linguaggio giornalistico, si tratta di cose “meno notiziabili”. Così come ormai non si dedicano più spazi ai naufragi nel Mediterraneo – servono numeri ancora più spaventosi per riaccendere i riflettori – si ignora una parte del Paese e del continente che reagisce in maniera diversa, migliore. Persone, spesso, ma non solo, giovani, ignorati dalla stampa ma seguiti bene da chi dovrebbe garantire la “nostra sicurezza”. Sono quelli che commettono il “reato di solidarietà”, ovvero garantiscono beni di prima necessità, informazioni, servizi, protezione, calore umano, in cambio di nulla a chi dovrebbe essere invece cacciato. Accade che a Udine si venga perseguiti per aver portato the caldo e spiegato come si chiede asilo a persone lasciate in mezzo ad una strada dalle istituzioni preposte. Accade che a Pordenone i compagni di Rifondazione Comunista decidano di aprire la propria sede per ospitare 9 richiedenti asilo rimasti al gelo, perché nesun altro interviene per garantire la loro, di sicurezza. Accade che a Roma, di fronte all’assenza cronica dei servizi sociali, le persone comuni garantiscano assistenza ai migranti che erano al Baobab e che attendono ancora adeguata sistemazione. Poche persone per cui l’opulenta capitale non dà risposta. Del resto la grande potenza mondiale, quando si tratta di persone in condizioni di disagio non fa differenza di nazionalità. In 72 ore sono morte 8 persone per il freddo di questi giorni e per la povertà a lungo covata e su cui non si è mai intervenuto. Tanti invece hanno trovato aiuto quasi esclusivamente grazie agli impegni di volontariato laico e religioso, scarse le risposte istituzionali che oggi invocano la sicurezza e la “tolleranza zero”. E ti senti dire a volte, da chi resta fermo e inattivo, che c’è anche la paura ad aiutare. Il timore di invischiarsi. Si perché se ad esempio si aiutano coloro che sono alla frontiera in attesa di andarsene dall’Italia, come a Ventimiglia, partono i “fogli di via”alcuni per fortuna recentemente revocati dal TAR, anche in 16 comuni limitrofi. Pericolosi evidentemente coloro grazie a cui si deve la salvezza di molti e molte. Peccato che in quella strada, che dall’Italia porta alla Francia, più di una persona priva di aiuto, abbia perso la vita investita da treni, tir, automobili. Ma chi aiuta i profughi commette un “reato”, favorisce la loro presenza e il loro transito, meglio quindi chi volta le spalle. E accade una vicenda simile a Como, dove da tempo la stazione e l’area antistante è punto di passaggio per chi tenta di andare in Svizzera. Chi arriva lì ha bisogno di aiuto, ha ricevuto spesso solo risposte repressive e chi ha provato a solidarizzare, chi si è messo a disposizione per fornire generi di prima necessità ha incontrato il pugno duro delle istituzioni, 16 fogli di via e il divieto per un anno di passare nel territorio della provincia, emanati nei confronti di cittadini italiani e svizzeri. Ma accade anche oltre confine. Due gli episodi in Francia più recenti: un contadino di 37 anni, è divenuto per molti un eroe per altri un simbolo di disordine e disobbedienza all’ordine costituito. Si chiama Cédric Herrou ora è libero ma il 10 febbraio lo attende un processo. È accusato di aver aiutato minori, donne e uomini senza permesso, gratuitamente, ad attraversare la frontiera francese e di aver offerto loro ospitalità. «Non potevo lasciarli così ha detto semplicemente». E poi un riceratore, Pierre – Alain Mannoni, non un militante antirazzista ma un uomo di accademia che ha semplicemente deciso di commettere il “reato di soccorso” e che per questo è stato prima pesantemente punito e solo recentemente assolto. E poi Calais, Lesbo, i luoghi più impervi in Serbia, Macedonia, persino Ungheria, dove accanto alle bande paramilitari che davano – quando funzionava la Balkan Route – la caccia con i cani ai fuggitivi, c’erano persone che si schieravano, spesso isolate, dalla parte dei vulnerabili. Lo spiega bene Ilaria Sesana, giornalista da tanti anni attenta a queste dinamiche il perché di tanto accanimento e ne parla a lungo nell’ultimo numero di Altraeconomia, (n 189, gennaio 2017) «La mappa dei delitti di solidarietà si allarga su buona parte dell’Europa -scrive – e, in molti casi, coincide con quella delle emergenze legate all’accoglienza o al transito dei richiedenti asilo”. Esiste addirittura una direttiva europea che mira a punire chi osa aiutare troppo gli immigrati senza permesso di soggiorno: è la “Facilitation directive” del 2002. “Un testo stringato, una pagina e mezza appena, in cui si afferma il principio secondo cui chiunque aiuti un migrante irregolare ad entrare in Europa o durate il suo viaggio all’interno dei confini dell’Unione sta violando la legge”. Gli Stati potrebbero, però, introdurre nel loro ordinamento la “clausola umanitaria”, che metterebbe operatori e volontari al riparo dal rischio di finire sotto processo, ma non lo fanno». Jennifer Allsopp, autrice di un’analisi sui reati di solidarietà in Francia, afferma giustamente che soltanto se almeno una parte della società civile si ponesse l’obiettivo di creare una sorta di rete di protezione sociale attorno agli attivisti solidali, la loro criminalizzazione potrebbe essere quantomeno arginata. Ma qui tornano in ballo i grandi attori: l’informazione, la politica, i governi ma anche le forze sociali e i corpi intermedi che ancora rimangono. Ci si deve schierare e non per puro solidarismo o perché si è – come spesso si viene accusati di essere – “anime belle”. Ma semplicemente perché il futuro dell’Europa e dei paesi che la compongono dipende anche dalla capacità di includere, costruire relazioni, ridefinire i rapporti con il resto del mondo. Bisogna divenire capaci di dire no a barriere ingiuste a leggi inutilmente repressive, alla costruzione di un mondo basato sul conflitto verso l’altro, il più vulnerabile, lo sconosciuto, il potenziale concorrente. Altrimenti si è condannati ad una guerra permanente che vedrà vincere solo chi da queste guerre trae da sempre immondo profitto. Stefano Galieni da Associazione Diritti e Frontiere – ADIF
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PORTO SAN GIORGIO – Quarto appuntamento per il “Il porto degli autori”, la serie di incontri e confronti con gli scrittori realizzata dall’Assessorato alla Cultura: torna venerdì 23 novembre al teatro comunale (ore 21) con ospite Leonardo Palmisano. Presenta il libro dal titolo “Mafia caporale” e il romanzo poliziesco “Tutto torna” della casa editrice Fandango. L’ingresso alla serata è libero.
Etnografo e scrittore, Palmisano insegna Sociologia urbana al Politecnico di Bari. E’ autore del romanzo Trentaquattro (Premio Eboli 2011), sceneggiatore e attualmente redattore per www.sulromanzo.it.
“Mafia caporale”.Il Global Slavery Index 2016 – il rapporto annuale sulla schiavitù nel mondo – conta in 129.600 le persone ridotte in schiavitù in Italia, collocandoci al 49esimo posto nel ranking dei 167 Paesi presi in considerazione. In Europa unicamente la Polonia fa peggio.
Siamo il vertice europeo della sparizione dei minori non accompagnati (a un ritmo di 28 al giorno, secondo l’Oxfam) e dello sfruttamento delle prostitute provenienti dalla Nigeria e dai Paesi ex Socialisti, ma siamo soprattutto lo Stato dove caporalato e impresa tendono a fondersi con le più consolidate organizzazioni mafiose. Questo intreccio è Mafia Caporale. Il business di questa metamafia è l’illecito sfruttamento del lavoro.
“Tutto torna”. La prima indagine del bandito Mazzacani inaugura l’esordio alla narrativa di uno dei giornalisti d’inchiesta più talentuosi del paese. Leonardo Palmisano unisce le sue competenze di giornalista di cronaca giudiziaria e malavita con il piacere e il piglio del racconto d’azione.
Un romanzo che guarda alla grande serialità televisiva americana, da Breaking bad a True detective, passando per le nostrane Montalbano e Suburra. Mazzacani non è un eroe, non è un giusto, e per questo riuscirà a portare il lettore dove nessun commissario lo ha mai portato prima.
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30 lug 2018 13:11 TUTTI IN PIEDI, PARLA FRANCA LEOSINI: "SPARARE AI LADRI IN CASA È UN DIRITTO. PROCESSARE CHI SI È DIFESO MI TERRORIZZA - IO LE PAROLE NON LE USO, LE POSSEGGO. SE PENSO AL RAGAZZO DI CRISTINA MISSERI, CHE FA SESSO, IO VEDO PROPRIO IL SEDERE CHE FA TUC TUC, E LA PAROLA EVOCATA È "ARDORI LOMBARI". PER SPIEGARE IL LIEVE SFALDAMENTO NELLA VAGINA DI MEREDITH KERCHER HO USATO "DITO BIRICHINO" RIFERITO A GUEDE..." - VIDEO
Francesco Specchia per Libero Quotidiano
La chiamano, amabilmente, la "signora omicidi". Da sempre la caratteristica di Franca Leosini, classe '49, napoletana con ritmi di lavoro newyorkesi, è quella d' essere in grado di colloquiare con feroci serial killer mantenendo l' espressione imperturbabile di una signora inglese al tè delle cinque. Il suo Storie maledette su Raitre rimane un esempio pregiato di come debba essere scritta un' inchiesta. E parlo di scrittura, perché la Franca -reporter, estensore e sceneggiatore unico del suo programma- cesella le frasi, lima gli aggettivi, incatena i sostantivi ribelli. Non una parola fuori posto.
Così è da una ventina d' anni, cara Franca Leosini. Sei una filologa dell' ammazzamento e della confessione. Un po' Camilla Cederna un po' Padre Brown, oserei «Tu scherzi. Ma Storie maldette, in effetti, ha una sua precisa struttura narrativa. E io sono pignolissima; per fare al meglio una cosa ho bisogno di tempo, e questa mia creatura mi assorbe 10 ore al giorno (per questo non vado ai talk, non scrivo libri, non concedo di solito interviste). Certo, ho una redazione di una decina di persone. Ma ogni testo è scritto da me.
Mi scrivo pure gli spot da sola. E, per dirti, quando scrivo ai miei interlocutori (non li chiamo "detenuti") per chiedere l' intervista, ogni lettera è manoscritta e sulla busta ometto la parola "carcere" o "casa circondariale"; il pc è freddo, e l' interlocuzione è empatia, è una questione di rispetto».
Però. Tecnica d' altri tempi. E funziona?
«Sempre. La controindicazione è che sono perennemente nelle carceri. È il motivo per cui Storie maledette ha vinto otto-nove premi e la metà non li ho ritirati -credimi non è snobismo- per questione di tempo. Vivo una vita monacale».
Storie maledette è in progressione spaventosa di ascolti e critica da vent' anni. Ma come sei arrivata fin qui?
«Ti correggo, gli anni sono 24, per la precisione. Prima ero all' Espresso. Me ne andai in polemica col direttore Nello Ajello che censurò un mio reportage sull' editoria barese. Criticai l' editore Laterza; Nello Ajello era un suo autore, e pretendeva di cambiare il pezzo.
Da lì mi notò Angelo Gugliemi, allora direttore della grande Raitre.
Per Telefono Giallo condotta da Augias mi chiesero di occuparmi dell' omicidio di Anna Grimaldi, nobildonna, amante del giornalista del Mattino Ciro Paglia, da Napoli. Era roba mia. Da lì approdai a Raitre».
Tu stessa sei una nobildonna partenopea, laureata in filologia romanza, hai fatto la direttrice di Cosmopolitan e un' indimenticabile intervista a Sciascia sulle donne di mafia. Non ti sei un po' stufata di correre dietro ai delittazzi, ai mostri delle porta accanto?
«No. La mia è passione che mi divora, credimi. E, bada, a me l' intelligenza dell' indagine interessa fino a un certo punto. Io voglio capire le emozioni umane: perché una persona normale come me e te, ad un tratto, si rende colpevole di delitti efferati, di orrori che mai avrebbe pensato di commettere
Studio i casi come un chirurgo davanti al tavolo operatorio. E non studio mai i killer professionisti».
Scusa, ma non hai intervistato Fabio Savi, tre ergastoli per i 24 omicidi della Uno bianca...
«Tranne Fabio Savi. Mi mandò una lettera, voleva parlarmi. Mentre registravamo per la tv, fui molto dura con lui; gli ricordai che suo padre, probabilmente per la vergogna dei figli, si suicidò in una Uno bianca. Lui si mise a gridare. Poi gli lessi un brano della sua lettera, dove confessava i rimorsi per gli omicidi divenuti incubi. Lui bloccò subito la telecamera e mi chiese di tagliare quella parte del dialogo: aveva prodotto troppo male e dolore, non voleva poter apparire sotto un lato più umano. Fu, a suo modo, un gesto che denotava un codice d' onore seppur criminale».
Torno alla scrittura. Sei nota per il tuo lessico immaginifico.Anche troppo. Cito a caso alcune tue frasi: "Questuante dell' amore", "Ivano, bello che Brad Pitt al confronto era un bipede sgualcito". "Ardori lombari" per un amplesso che è rimasto a metà. Ma, dimmi, le ricerchi apposta?
«Io le parole non le uso, le posseggo. Sono state fatte anche tesi di laurea sul mio lessico. Una ce l' ho qui sulla scrivania: "Franca Leosini, linguaggio e stile". E poi, come napoletana, sono visionaria.
Quando penso al ragazzo di Cristina Misseri, Ivano, che fa sesso, io vedo proprio il sedere che fa tuc tuc, e la parola evocata è "ardori lombari". Per spiegare il lieve sfaldamento epiteliare -scusa la brutalità- nella vagina di Meredith Kercher ho usato "dito birichino" riferito a Guede, che è diventato virale. Il bello è che i "leosiners", i miei fan, sono tutti giovani. Non me lo spiego, non sono Belen».
Un congiuntivo storto ti fa soffrire?
«Sì, è uno schiaffo in faccia. Penso a Di Maio, ma poi mi convinco che è più importante quello che fa, non quello che dice. Deve esserlo».
A proposito di politica. La maggioranza rischia di dividersi riguardo alla legge sulla legittima difesa. Come la pensi?
«Questione controversa. Premetto che avere armi da fuoco in casa è sempre pericoloso (anche se gli omicidi avvengono con le forbici, o i coltelli). Ma credo che chi si ritrovi un ladro in casa e spari, abbia il diritto di farlo, specie se in pericolo di vita. E l' idea che chi ha sparato per difendersi possa essere processato per omicidio, mi terrorizza. Certo, se il ladro scappa e gli spari alle spalle cambia tutto. Ma in genere mi inquieta la discrezionalità del giudice».
La discrezionalità dei magistrati nell' applicazione della legge è comunque un vecchio refrain «È un punto nevralgico, ne abbiamo parlato proprio con Paolo Mieli che mi intervistava al Festival di Spoleto. Io credo nell' autorità giudiziaria e rispetto la legge. Ma in 24 anni di Storie maledette mi colpisce la disparità di valutazione dei giudici a parità di reato. È vero che i crimini non sono mai sovrapponibili; però non capisco perché a Parolisi che ha ucciso la moglie con 29 coltellate hanno ridotto la pena a 18 anni (le 29 coltellate non sono "crudeltà") e per Cosima e Sabrina Misseri, che hanno ucciso Sara Scazzi senza premeditazione né vilipendio del corpo, c' è stato l' ergastolo.Sul libero convincimento dei magistrati avrei molto da dire...».
Hai intervistato centinaia di assassini. Ogni spettatore se ne ricorda uno. A me, per esempio, rimase impresso il "collezionista di anoressiche", quello con metà volto glabro e metà peloso. A te?
«Quello era Marco Mariolini, uno dei miei primi casi. Matteo Garrone mi è ancora grato per averne tratto il film "Primo amore", così come sul mio caso del "Nano di Termini" trasse "L' imbalsamatore". Ma io ne ricordo altri. La Guerinoni. O Stefania Albertani, la Rom che arse viva la sorella. Al mio incontro con lei, dietro lo specchio, assistevano lo psicologo e lo psichiatra e si stupirono di come, dal mutismo cominciò a raccontare i dettagli dell' omicidio, da quando la drogò per poterla bruciare. Con Mary Patrizio, invece, che mi raccontò di come affogò il bimbo piccolo, a telecamere spente, piansi come un vitello, mi consolò la madre assassina.
Poi c' è Rudy Guede del caso Meredith».
Di Guede, non hai detto che ti scrive ogni settimana?
«Nel caso di Guede c' è un incongruo giuridico: è condannato per concorso in omicidio con Amanda Knox e Sollecito. Dalle indagini è accertato che non ha usato il coltello su Meredith.
Amanda e Sollecito sono stati assolti; ma allora non esiste il concorso. Da quando mi sono occupata del caso, la gente si è accorta che Rudy non è solo il "povero negro" che temeva d' essere di fronte alla giustizia italiana, ma un ragazzo intelligente, colto, che s' è laureato e gode, dal carcere, di permessi speciali (e qui la Franca declama, teatralmente, il dispositivo della sentenza a memoria, come un brano dell' Ariosto, ndr)».
Quando intervisti i tuoi "mostri" dai l' idea di una lama di ghiaccio. Sei davvero così impassibile?
«Io interrogo gli interlocutori anche per 5 ore di seguito in una sorta di diretta-differita in cui loro finiscono col non accorgersi delle cinque telecamere che li circondano.Ed è uno sforzo fisico e psicologico, ti assicuro, questo lento accompagnarli nell' inferno del loro passato. Sì, soffro».
Non ti chiedo di tuo marito che lavora nella Guardia di Finanza e nemmeno delle due tue figlie ormai grandi, perché tanto sul privato non mi risponderesti...
«Infatti».
Ma, dopo tutti questi anni, qual è il ricordo che è rimasto in assoluto il più vivido nella tua memoria?
«Quando co-condussi con Augias per la prima volta Telefono Giallo. Vidi Guglielmi nell' ombra, che sorrideva. In seguito, gli proposi un programma che desse la lettura dell' Italia attraverso il delitto, Storie maledette, appunto. "Il nome mi piace", mi disse Guglielmi, "voglio vedere cosa cui metti dentro". Ci ho messo ventiquattro anni di amore feroce e di storia di una nazione. Ho ottenuto qualche risultato, non parlo di "successo". E sono ancora qua».
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Onu: Italia, minaccia terrorismo è camaleontica
La minaccia globale del terrorismo continua ad evolversi e a diversificarsi": lo ha riferito l'ambasciatore Sebastiano Cardi, rappresentante permanente al Palazzo di Vetro, nel corso di una riunione del Consiglio di Sicurezza Onu, di cui l'Italia è presidente di turno. "L'Isis sta continuando ad adattarsi alle pressioni militari cambiando la sua organizzazione da stato a network, e modificando la narrativa dal 'costruire il Califfato' a 'combattere gli infedeli'". Nel 2014 il Consiglio di Sicurezza dell'Onu ha adottato la risoluzione 2178 per affrontare la minaccia dei foreign fighters, "uno strumento completo per migliorare le misure operative e giuridiche degli Stati membri in modo da arginare il fenomeno". E nel 2015 l'Italia ha modificato il suo codice penale per criminalizzare la condotta di ogni individuo che organizza, finanzia o promuove viaggi transnazionali volti a commettere atti terroristici. Quindi, Cardi ha sottolineato che mentre il flusso di foreign fighters che viaggiano verso le zone di conflitto è quasi cessato, continua la minaccia dei rimpatriati, stimati in almeno 5.600 cittadini o residenti di 33 paesi tornati a casa. Questo fenomeno è relativamente recente e la comunità internazionale è ancora alla ricerca di un modo efficace per affrontare la sfida", ha detto, ribadendo come sia "essenziale che gli Stati membri intensifichino la loro cooperazione tra le agenzie del settore pubblico, sia a livello nazionale che internazionale". Infine Cardi ha ricordato che l'Italia ha già fornito una formazione avanzata agli agenti stranieri che si occupano di antiterrorismo ed è fortemente impegnata nella cooperazione internazionale giudiziaria e della polizia. Read the full article
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"Partner" di John Grisham: Un Legal Thriller Avvincente dal Maestro del Genere. Recensione di Alessandria today
Un racconto di inganni, leggi e intrighi con l'inconfondibile tocco di Grisham
Un racconto di inganni, leggi e intrighi con l’inconfondibile tocco di Grisham La storia di un avvocato canaglia Con “Partner”, John Grisham aggiunge un’altra pietra miliare alla sua lunga carriera di successi letterari. Questo romanzo ci riporta nell’universo legale intricato e oscuro dove avvocati senza scrupoli, clientela losca e una sete di giustizia (o vendetta) si scontrano. Protagonista…
#Alessandria today#avvocati senza scrupoli#avvocato canaglia#bestseller internazionali#Colpi di scena#Google News#Intrighi Legali#investigazione legale#italianewsmedia.com#John Grisham#John Grisham bestseller#legal drama#legal thriller#libri coinvolgenti#libri consigliati#libri da leggere#Mondadori#narrativa americana#narrativa contemporanea#narrativa drammatica#narrativa giudiziaria#narrativa giudiziaria avvincente.#Partner libro#Pier Carlo Lava#protagonisti complessi#romanzi avvincenti#romanzi di giustizia#romanzi di intrighi#romanzi di successo#romanzi imperdibili
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Il Settimo Canone di Robert Dugoni: un thriller legale imperdibile. Recensione di Alessandria today
Colpevoli o innocenti, il lavoro di un avvocato è cercare la verità a ogni costo
Colpevoli o innocenti, il lavoro di un avvocato è cercare la verità a ogni costo Un thriller ad alta tensione nel cuore di San Francisco Il settimo canone di Robert Dugoni è un avvincente thriller legale che trascina il lettore in un mondo di giustizia, segreti e verità nascoste. Ambientato tra le strade oscure e pericolose del Tenderloin, il quartiere più degradato di San Francisco, il romanzo…
#Alessandria today#Amazon Crossing#avvocato Peter Donley#colpevolezza innocenza#corruzione giudiziaria#giustizia corrotta#Giustizia e verità#Google News#Il Settimo Canone#investigazione giuridica#italianewsmedia.com#legal fiction.#legal thriller#libri di avvocati#libri Kindle#LIBRI TRADOTTI#libro su omicidi#mistero e indagini#narrativa contemporanea#narrativa crime#narrativa giuridica#narrativa internazionale#novità thriller 2024#Padre Thomas Martin#personaggi complessi#Pier Carlo Lava#Recensione libro#Robert Dugoni#Robert Dugoni autore#romanzi consigliati
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Onu: Italia, minaccia terrorismo è camaleontica
La minaccia globale del terrorismo continua ad evolversi e a diversificarsi": lo ha riferito l'ambasciatore Sebastiano Cardi, rappresentante permanente al Palazzo di Vetro, nel corso di una riunione del Consiglio di Sicurezza Onu, di cui l'Italia è presidente di turno. "L'Isis sta continuando ad adattarsi alle pressioni militari cambiando la sua organizzazione da stato a network, e modificando la narrativa dal 'costruire il Califfato' a 'combattere gli infedeli'". Nel 2014 il Consiglio di Sicurezza dell'Onu ha adottato la risoluzione 2178 per affrontare la minaccia dei foreign fighters, "uno strumento completo per migliorare le misure operative e giuridiche degli Stati membri in modo da arginare il fenomeno". E nel 2015 l'Italia ha modificato il suo codice penale per criminalizzare la condotta di ogni individuo che organizza, finanzia o promuove viaggi transnazionali volti a commettere atti terroristici. Quindi, Cardi ha sottolineato che mentre il flusso di foreign fighters che viaggiano verso le zone di conflitto è quasi cessato, continua la minaccia dei rimpatriati, stimati in almeno 5.600 cittadini o residenti di 33 paesi tornati a casa. Questo fenomeno è relativamente recente e la comunità internazionale è ancora alla ricerca di un modo efficace per affrontare la sfida", ha detto, ribadendo come sia "essenziale che gli Stati membri intensifichino la loro cooperazione tra le agenzie del settore pubblico, sia a livello nazionale che internazionale". Infine Cardi ha ricordato che l'Italia ha già fornito una formazione avanzata agli agenti stranieri che si occupano di antiterrorismo ed è fortemente impegnata nella cooperazione internazionale giudiziaria e della polizia. Read the full article
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