#mondo dell'arte
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Di esseri emotivi, un mondo di sfarzi e venti pezzi di iceberg
Ovvero come l'arte ci aiuta a comunicare la crisi climatica, ma il mondo dell'arte no.
11 maggio 2022
Una vita e mezzo addietro - ovvero quattro anni fa - non avevo la più pallida idea che un giorno avrei scritto articoli sulla crisi climatica. Avevo passato i precedenti otto anni nel mondo dell’arte bolognese, e gestivo una galleria d’arte che io stessa avevo fondato, e che in quella fase della mia vita era il mio orgoglio e la mia spina nel fianco più grande (fig.1). La mia ambizione era di lavorare nell’amministrazione di un qualche museo di arte contemporanea, e - chissà - magari un giorno diventarne direttrice. Poi, nell'estate del 2018, lessi un libro che mi rivoluzionò la vita e che mi fece cambiare prospettiva, residenza e campo di studi - ma questa è una storia a parte che vi racconterò un'altra volta.

Fig.1 - Io e Roberto Malaspina, mio carissimo amico nonché codirettore della galleria da me fondata, di fronte l'entrata alla suddetta galleria, nel 2018 -- Narkissos Contemporary Art Gallery
Fatto sta che io con il mondo dell'arte ho ancora dei legami molto forti; non so se mi azzarderei a chiamarlo ancora "casa", ma sicuramente è un posto dove il telefono si collega automaticamente al Wi-Fi. Non potevo dunque non domandarmi quale fosse il ruolo che l'arte ha nella comunicazione della crisi climatica, o, al contrario, l'impatto che sta avendo la crisi climatica sul mondo dell'arte. Per secoli, l'arte e la vita si sono influenzate a vicenda; da un lato, quelle opere che sono state accolte dalla critica come oscene ma che sono poi passate alla storia come d'avanguardia hanno aperto la strada a nuove correnti di pensiero e a nuovi modi di vedere la realtà. Dall'altro, artistx di tutte le epoche hanno rappresentato i grandi problemi sociali dei propri tempi, dagli incendi alle rivoluzioni e passando per gli stravolgimenti politici; sicuramente, mi sono detta iniziando questa ricerca, la comunità artistica di oggi sarà impegnata a riflettere sulla sfida più grande con la quale l'umanità si sia mai scontrata, no? Beh… a quanto pare, nì.
Ma andiamo per ordine. Era il 2005 quando Bill McKibben, noto ambientalista statunitense e fondatore dell'associazione 350.org, scrisse:
Anche se sappiamo [della crisi climatica], non lo sappiamo veramente. Non è registrato nelle nostre viscere, non fa parte della nostra cultura. Dove sono i libri? Le poesie? Le opere teatrali? Le maledette opere liriche? Paragonatelo, per esempio, all'orrore dell'AIDS negli ultimi due decenni, che ha prodotto una sconcertante produzione di arte che, a sua volta, ha avuto un reale effetto politico. Voglio dire, quando un giorno le persone guarderanno indietro ai nostri tempi, il singolo elemento più significativo sarà senza dubbio l'improvviso aumento della temperatura. Ma queste persone faranno un bel po' di fatica a capire cosa tutto ciò ha significato per noi (trad. mia).
McKibben aveva centrato un punto focale: non dobbiamo solo sapere della crisi climatica, dobbiamo saperlo, e dobbiamo farlo tramite la produzione artistico-culturale. L'arte, infatti, sembra riuscire lì dove la comunicazione scientifica fallisce: il sapere acquisito tramite le emozioni attecchisce molto più profondamente rispetto a quello acquisito tramite la logica. Nonostante ci piaccia illuderci che l'essere umano sia un essere completamente razionale, la verità è più vicina all'esatto contrario: siamo prima di tutto esseri emotivi; l'arte, nelle sue diverse manifestazioni, mira principalmente a questa emotività.
"Nelle sue diverse manifestazioni" è un disclaimer necessario che devo fare prima di addentrarmi in questo articolo. Io, per quei fatidici otto anni, ho fatto parte del mondo dell'arte visiva, o più precisamente, del mondo dell'Arte, con la A maiuscola, come noialtri appartenenti a questo mondo siamo altezzosamente abituatx a chiamarlo. È quell'arte che finisce nei musei, per intenderci, quella che si studia nei libri di storia dell'arte, anche se una divisione netta tra questo tipo di arte (pittura, scultura e, più recentemente, installazioni e performance) e il resto del mondo artistico (musica, poesia, danza, artigianato, fumetto ecc.) è non solo - a mio modesto avviso - inutile, ma anche profondamente sbagliata. A un certo punto della storia del mondo occidentale, abbiamo innalzato alcune discipline sopra altre (le Belle Arti sopra le Arti Applicate, ad esempio), e abbiamo dato per scontato, con quella nostra tipica mentalità colonialista che è così dura a morire, che la stessa gerarchizzazione fosse valida anche nel resto del mondo. Abbiamo esportato questa mentalità negli altri continenti, globalizzando e omogeneizzando anche questo aspetto della nostra vita, con musei a Londra, Tokyo, New York, Bangkok e Mosca che sembrano fatti con lo stampino, e che celebrano, seguendo il modello occidentale, solo una minuscola fetta dell'immenso universo artistico.
Ma quella minuscola fetta è quella che conosco io, ed è per questo che parlerò solo di quella.
Dicevamo. Dal 2005, quando McKibben ha scritto quelle parole, ne è passata di acqua sotto i ponti: l'Accordo di Parigi nel 2015, la nascita di gruppi di attivismo come FFF e XR nel 2018, la fama mondiale di Greta Thunberg. L'attenzione pubblica verso la crisi climatica è salita notevolmente, e l'arte non è stata esente da questa presa di coscienza collettiva. Le mostre a tema ambiente stanno diventando sempre più frequenti, e sempre più artistx cercano di rivolgere l'attenzione del proprio pubblico all'elefante nella stanza. Una delle prime opere nella quale ci si imbatte se si cerca "art and climate change" su Google è Ice Watch del rinomato artista Olafur Eliasson (figg. 2 e 3). In tre diverse occasioni (a Copenhagen nel 2014, Parigi nel 2015 e Londra nel 2018) Eliasson ha esposto in piazza circa una ventina di pezzi di iceberg, ciascuno dei quali si è staccato dalla placca Groenlandese a causa delle temperature troppo alte ed è stato successivamente pescato da Eliasson e un team di geologi e trasportato in container refrigeranti fino al continente europeo. L'intento dell'artista era quello di donare al pubblico la possibilità di toccare, annusare, ascoltare quegli enormi pezzi di ghiaccio e guardarli sciogliersi giorno dopo giorno, per poter capire a un livello più profondo quello che sta realmente accadendo nelle acque dell'artico. Come ha scritto un articolo pubblicato in occasione della terza installazione a Londra,
Mentre i londinesi si arrampicano sui blocchi, scivolano giù e ascoltano il morbido crepitio della neve che si sta sciogliendo, Eliasson spera che sentano [nel senso di "feel", ndr] - e non solo intellettualmente sappiano - quanto sia sottile il ghiaccio su cui ci troviamo (trad. mia).
Figg. 2 e 3 -- foto dell'installazione Ice Watch di Olafur Eliasson (Londra, 2018) -- Charlie Forgham-Bailey
Potremmo discutere di quanto sia giusto o sbagliato trasportare per centinaia di chilometri dei pezzi di iceberg per il solo gusto di vederli sciogliere in piazza (Eliasson sostiene che l'energia spesa per trasportare ciascun blocco di ghiaccio sia equivalente a quella che spenderebbe una persona per un volo di andata e ritorno fino all'Artico, quindi ha più senso portare gli iceberg alla gente piuttosto che la gente agli iceberg), ma tralasciamo per un attimo le polemiche. Quello che al momento mi interessa evidenziare è che un'opera d'arte, al contrario di un grafico o di un report IPCC, ha il potere di trasmettere visivamente non solo un dato, ma anche un'emozione. Prima c'era questo enorme pezzo di ghiaccio, lo vedevo ogni giorno andando a lavoro, era freddo e brillava in tutte le tonalità dell'azzurro sotto i raggi del sole; poi, un paio di settimane più tardi, è scomparso, puff, evaporato nell'aria. È, se ci pensate, una piccola morte. E chissà quanti altri pezzi di ghiaccio identici a questi muoiono lontani dai nostri occhi.
Quindi, tutto perfetto? Il mondo dell'arte, pur con qualche anno di ritardo, ha iniziato finalmente a parlare di crisi climatica e diffonde adesso il verbo alle masse? Beh, se fosse tutto così semplice non starei di certo qui a parlarvene. La realtà, come al solito, è più complicata di così. Ma per comprenderla al meglio, dovremo fare un piccolo excursus nella storia dell'arte contemporanea.
Il nostro punto di partenza è la Francia della seconda metà dell'800, dove, a seguito della Seconda Rivoluzione Industriale e dell'invenzione di una serie di tecnologie rivoluzionarie (la fotografia, il cinema, la radio, il telefono), gli artisti si trovano davanti a un bivio. A che serve continuare a rappresentare fedelmente la realtà se adesso possiamo semplicemente fotografarla? L'arte si vede costretta a reinventarsi; tutti i movimenti artistici che nascono a partire da quel momento - e che culmineranno successivamente con le avanguardie storiche e lo stravolgimento totale del concetto di arte - sono mossi principalmente da questa necessità.
I primi sono gli impressionisti: la critica li deride, li chiama pigri perché non sono nemmeno in grado di "finire un quadro". "Sembrano degli schizzi," commenta, storcendo il naso, la gente. Ma la comitiva composta da Monet, Manet, Renoir, Degas e altri se ne infischia; innalzano quello che era un insulto - "impressionisti" - a proprio titolo e ne vanno pure fieri. L'iperrealismo non serve, dicono, perché tanto l'occhio ricompone da solo tutte quelle pennellate di colore in un'unica figura. È molto più interessante cercare di rappresentare gli effetti della luce, del movimento, delle angolazioni insolite. Con la graduale accettazione da parte del pubblico di questo nuovo tipo di pittura, il primo paletto che delimitava ciò che per secoli era stato considerato "arte" viene abbattuto. Da lì in poi, la strada da percorrere diventa praticamente inevitabile.
Uno dietro l'altro, vengono abbattuti anche tutti gli altri paletti. L'arte deve rappresentare soggetti verosimili - via! L'arte deve essere figurativa - via! I quadri devono essere fatti solo ed esclusivamente con colori su tela - via! La tela va tenuta verticalmente - via! Una volta avviato questo effetto domino, fermarsi diventa impossibile; ogni nuova generazione di artistx si spinge sempre un po' più in là, dissolvendo sempre di più il limite tra cosa può essere considerato arte e cosa no. Yves Klein negli anni '50 si spinge al punto da esibire il vuoto totale: Le Vide non è altro che l'interno di una galleria completamente sgombra. Negli anni '60 diventa sempre più popolare un movimento chiamato Arte Concettuale, che ripudia l'utilizzo di oggetti fisici, reputando sufficiente la sola idea di un'opera - il concetto, per l'appunto. Tutto ciò è molto interessante e sicuramente intellettualmente stimolante, ma ha delle evidenti problematiche sul piano pragmatico: come facciamo a stabilire che cos’è un’opera d’arte e cosa no? Quali artistx sono degnx della nostra ammirazione? E soprattutto, come facciamo a vendere artefatti che non esistono nella realtà fisica? Una volta c'erano criteri ben stabiliti su come giudicare un'opera d'arte (e su come valutarne il prezzo): l'opera doveva essere di determinate dimensioni, rappresentare un determinato soggetto, trasmettere determinati messaggi accuratamente codificati. Adesso che questi criteri sono stati spazzati via, come si fa?
A risolvere la situazione arriva, negli anni '70, il cosiddetto Sistema dell'Arte, teorizzato dal critico nostrano Achille Bonito Oliva (ABO per x amicx). ABO dice che a stabilire il valore di un'opera d'arte non può essere solo l'artista, ma è tutta la rete di figure e di istituzioni che ci ruotano intorno (fig. 4) a doverlo fare. La triade costituita da opera, pubblico e mercato non può funzionare senza uno di questi tre elementi; l'artista viene spodestatx dal suo piedistallo. Le sue opere non sono solamente sue, perché senza una galleria che le esponga, un giornale che le pubblicizzi, unx collezionista che le compri e un museo che le storicizzi non hanno alcun valore. A rendere Le Vide di Klein un'opera d'arte e non una semplice stanza vuota non è Klein stesso, o un valore intrinseco di quel vuoto; è il sistema che ci ruota intorno. Nota a piè di pagina: per tutte quelle persone che sbuffano nei musei d'arte contemporanea pensando: "Potevo farlo anch'io" - ecco, no, non potevate farlo anche voi, perché non avete una rete di supporto che elevi il vostro lavoro a opera d'arte. La tessitura di questa rete è talvolta ancora più difficile della produzione vera e propria delle opere; il mercato dell'arte, per citare di nuovo ABO, è esso stesso un'opera d'arte.

Fig. 4 -- Una schematizzazione del Sistema dell'Arte -- Collezione da Tiffany
Dagli anni '70 ad oggi non è cambiato molto: certo, la produzione artistica si è espansa, inglobando le nuove tecnologie apparse negli ultimi decenni, ma il mercato continua ancora ad essere l'elemento centrale del mondo artistico. Alcunx artistx vi si sono adattatx diventando espertx di marketing e di autopromozione (Jeff Koons, definito "poeta capitalista", ne è l'esempio più eclatante); altrx, come Banksy, cercano pigramente di contrastarlo, facilitando in realtà la fagocitazione da parte del mercato di qualsiasi forma d'espressione, anche quelle che vanno apparentemente contro le sue logiche. Il famoso stencil Girl with Balloon, venduto all'asta nel 2018 per 1,4 milioni di dollari, si è auto-triturato (fig. 5) tramite un dispositivo nascosto nella cornice non appena il martelletto del battitore d'asta ha toccato il tavolo stabilendo il prezzo finale dell'opera (guardatevi questo video, spiega molto bene l'accaduto). Banksy dichiarò in seguito che l'operazione era voluta, e che il titolo dell'opera adesso doveva essere Love is in the Bin. L'acquirente accettò comunque di comprarla, e la rivendette tre anni più tardi per la non insignificante cifra di oltre 16 milioni di dollari.
Fig. 5 -- Girl with Balloon dopo essersi triturato a metà, diventando Love is in the Bin -- Jack Taylor / Getty Images
Questo salto di prezzo è dovuto alla pubblicità che l'opera ha ottenuto dopo la sua autotriturazione: giornali e programmi televisivi ne hanno parlato per giorni, e nel mondo dell'arte l'accaduto era sulla bocca di tuttx. Non è chiaro se l'atto di Banksy fosse una mossa di marketing ben pensata (può essere) o un gesto di spregio per ricordare al pubblico che tutto è distruttibile, persino un'opera da un milione e mezzo di dollari - in fondo, ha iniziato la sua carriera con la street art, un tipo di arte per definizione destinato a perire col tempo e le intemperie. Il mercato però è capace di capitalizzare persino qualcosa che è stato rovinato o distrutto, perché la storia che ci sta dietro è più importante dell'oggetto in sé. Il prezzo di un'opera d'arte, infatti, dipende anche (e, azzarderei dire, soprattutto) da ciò che le ruota intorno: chi l'ha venduta, chi l'ha comprata prima di te, chi ne ha parlato, dove è stata esposta, cosa le è successo. Tutto questo viene riassunto col termine "provenance", che sta a indicare proprio il valore che un'opera acquisisce ogni volta che passa di mano in mano. Inoltre, non è solo l'opera a trarne vantaggio, ma anche chi la vende, chi la compra e chi la espone. Il famoso gallerista Leo Castelli, pioniere del mercato dell'arte contemporaneo, fu tra i primi ad adottare la tecnica della vendita selettiva: se nella sua galleria arrivava un potenziale acquirente che però non avrebbe aumentato il valore delle opere da lui vendute, faceva finta di non avere nulla a disposizione. "Un Rauschenberg? Guarda, li ho finiti tutti, mi dispiace," diceva, mentre magari in realtà ne aveva il magazzino pieno.
Avere un certo nome, insomma, è di vitale importanza nel mondo dell'arte contemporanea, così come anche avere una fitta rete di conoscenze. Non esagero se dico che circa metà del tempo delle persone che lavorano con l'arte contemporanea è dedicato esclusivamente al cosiddetto networking. Di conseguenza, il mondo dell'arte si è sviluppato intorno a quegli eventi che funzionano da hub: fiere, mostre, aste, biennali, triennali e ancora fiere - se vuoi essere qualcuno, non te ne devi perdere nemmeno una. La vita di unx gallerista, di unx criticx o di unx curatrice o curatore è una serie interminabile di voli aerei, jet lag e spessi cataloghi cartacei che servono non a essere letti ma a testimoniare la propria presenza: Art Basel 2019? C'ero. Frieze 2016? C'ero. Art Miami 2018? C'ero. Biennale di Venezia 2017? C'ero.
L'insostenibilità del mondo dell'arte, insomma, è intrinseca. Oltre al considerevole numero di voli aerei che vengono presi per partecipare a questo o quel evento, bisogna tenere in considerazione anche la quantità di opere che vengono spedite da una parte all'altra del globo, e tutte le strutture temporanee (padiglioni, stand, showroom) che vengono fabbricate - e poi subito distrutte - ad ogni fiera o biennale. La Gallery Climate Coalition, un'organizzazione fondata da professionistx del settore artistico di Londra, ha sviluppato appositamente un calcolatore online con il quale ciascuna galleria, museo o altra istituzione può calcolare la propria carbon footprint immettendo la quantità di voli effettuati, il peso della merce spedita e altri parametri. L'obiettivo è quello di attirare l'attenzione sull'enorme quantità di emissioni prodotte dal settore artistico e di cercare soluzioni per ridurne l'impatto. Un'analisi, ad esempio, dell'edizione del 2018 della fiera Frieze di Londra, ha mostrato come la fonte principale di emissioni fosse l'utilizzo di generatori a diesel all'interno dei padiglioni; l'anno seguente si è deciso di utilizzare biodiesel derivato da oli vegetali, abbassando la quantità di emissioni prodotte di ben 2,3 volte. Un altro modo per diminuire il proprio impatto sarebbe sostituire le spedizioni aeree con quelle via mare: l'artista Gary Hume ha iniziato a farlo nel 2019, scoprendo che il trasporto marittimo non solo abbassa le emissioni del 96%, ma è anche notevolmente più economico. "Non c'era alcun svantaggio. Mi sono vergognato di me stesso per non averlo fatto prima," ha dichiarato Hume.
Insomma, delle soluzioni per arginare i danni esistono, e alcune persone le stanno anche adottando; il problema però è che si tratta per l'appunto di un arginamento. Il sistema dell'arte è estremamente impattante per sua natura, e nessuna di queste tattiche riuscirebbe a risolvere completamente il problema. Così come il settore del lusso e della moda, il mondo dell'arte si basa sull'esclusività, sull'eccesso e sulla sfarzosità. Come ha scritto recentemente il NY Times,
Per alcuni, l'idea di un'arte contemporanea attenta all'ambiente è una contraddizione in termini. Il mondo dell'arte è quasi comicamente inadeguato ad affrontare il cambiamento climatico, perché il settore commerciale si basa su una decadenza sfrenata. Lo scorso novembre [2021], in occasione di Art Basel Miami Beach, Dom Pérignon ha lanciato un servizio di yacht concierge che, per 30.000 dollari, consegnava 33 bottiglie d'annata e caviale alle barche ancorate nella baia di Biscayne e alle case sull'acqua su isole artificiali. I galleristi corteggiano gli artisti con cene piene di tartufi grandi come un pugno. I collezionisti premiano i loro consulenti con borse firmate Gucci. Mascherando il consumismo di lusso con ideali elevati, il mondo dell'arte si presta bene alla satira. Di fatto, le operazioni quotidiane di molte gallerie sono costruite intorno a forme più banali di eccesso che sfuggono alla facile parodia ma sono altrettanto perniciose (trad. mia).
Ma Yele - potreste dirmi voi - non avevi detto all'inizio che ci sono artistx che parlano tramite le proprie opere della crisi climatica? Non c'era una presa di coscienza anche nel mondo dell'arte? Sì, senza dubbio; ma è un po' come parlare di presa di coscienza all'interno di una compagnia petrolifera. Certo, BP può rebrandizzarsi come "beyond" petroleum e dedicare parte dei propri investimenti alle energie rinnovabili, ma rimane pur sempre una compagnia petrolifera. L'essenza del mondo dell'arte contemporanea, e in particolare del suo mercato, è ben lontana dai principi di sostenibilità che sono essenziali per mantenere la Terra in uno stato vivibile.
E se il mondo del mercato dell'arte si macchia di peccati come superbia e lussuria, le istituzioni no-profit, il più delle volte sponsorizzate da colossi petroliferi o altre compagnie altamente impattanti, non sono molto meglio. "Al giorno d'oggi, non sono i Medici a usare l'arte per ripulire la propria reputazione: sono le aziende e i miliardari, compresi i giganti dei combustibili fossili e le banche che li finanziano", scrive The Art Newspaper. "Sebbene negli ultimi cinque anni molte sedi artistiche abbiano abbandonato il marchio delle compagnie petrolifere, alcune, tra cui il British Museum di Londra, hanno ancora accordi promozionali con aziende del calibro della BP, fornendo una parvenza di rispettabilità alle società maggiormente responsabili della crisi climatica". In effetti, molte delle istituzioni culturali (soprattutto negli USA e in Gran Bretagna) sono state sponsorizzate o addirittura fondate grazie ai soldi del petrolio, come ad esempio il Getty Center di Los Angeles, importante centro artistico e culturale, che deve la propria esistenza al magnate petrolifero Jean Paul Getty. Un po' per ripulirsi la coscienza, un po' - diciamoci la verità - per evitare che a qualcuno venga in mente di parlarne male, l'industria del fossile investe regolarmente enormi quantità di soldi nel settore artistico-culturale. Per dirne una, ExxonMobil è tra le aziende più caritatevoli al mondo (nel 2017 ha donato 2,8 milioni di dollari a iniziative artistico-culturali), e allo stesso tempo anche la quarta più inquinante.
Nonostante, insomma, ci sia un certo numero di artistx che dedicano la propria produzione ai temi dell'ambiente e della crisi climatica (menziono giusto en passant - anche se meriterebbe molta più attenzione - la rete internazionale Ecoart, attiva fin dagli anni '90), rimangono comunque una goccia nell'oceano. Sono l'eccezione e non la regola; è importante parlarne, e sicuramente è giusto notare l'aumento di interesse che suscitano questi temi, ma non bisogna, secondo me, scadere in facili ottimismi che potrebbero farci illudere che stia andando tutto per il meglio.
D'altronde, di che ci meravigliamo? L'arte è lo specchio della società che la crea. Riflette i suoi principi e i suoi valori, e rende visibili i suoi lati più oscuri. Una società dedita al denaro non poteva che dar vita a un sistema dell'arte dedito al denaro; solo il neoliberismo poteva innalzare il mercato ad opera d'arte. E così come alcunx sporadicx artistx cercano di limitare i danni del mondo artistico, così anche noi ambientalistx cerchiamo di fare il nostro meglio per vivere in maniera sostenibile. Ma in entrambi i casi, direbbero in America, è come sistemare le sedie a sdraio sul Titanic. La nostra carbon footprint individuale, indipendentemente da quanta carne mangiamo o da quanta plastica compriamo, è estremamente alta già solo per il fatto di abitare in un Paese occidentale (è illuminante, a tal proposito, uno studio che dimostra come persino i senzatetto negli Stati Uniti abbiano una carbon footprint alta, perché in un modo o nell'altro partecipano al dispendio energetico generale).
Sia chiaro: ciò non significa che tutto è perduto e tanto vale vivere la propria vita come se non ci fosse un domani; ogni piccolo gesto conta. Ma finché non afferreremo il toro per le corna e non inizieremo a parlare di vero e proprio cambiamento di paradigma, i risultati che raccoglieremo saranno sempre troppo miseri, sia nel mondo reale che in quello artistico. Quello di cui abbiamo veramente bisogno è un nuovo modo di vivere - e, di conseguenza, un nuovo modo di fare arte.
#arte#arte contemporanea#ambiente#crisi climatica#cambiamento climatico#sostenibilità#mondo dell'arte
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Il Violinista nel Metrò
Un famoso violinista italiano, dopo anni di successi nelle più prestigiose sale da concerto del mondo, decise di fare un esperimento.
Una mattina d'inverno, si vestì con abiti dismessi e un cappello logoro, prese il suo Stradivari da 3 milioni di euro e andò nella stazione della metropolitana più affollata di Milano. Si posizionò vicino a un muro e iniziò a suonare Bach.
Per 43 minuti eseguì alcuni dei pezzi più difficili e belli mai scritti. Durante quel tempo, 1.097 persone passarono davanti a lui. Solo 7 si fermarono ad ascoltare per qualche minuto. 27 lasciarono delle monete nel suo cappello, senza rallentare il passo. Raccolse 32 euro.
Quando finì di suonare, nessuno applaudì. Nessuno lo riconobbe.
Due giorni prima, aveva suonato gli stessi brani alla Scala, con biglietti a 180 euro, davanti a una sala gremita che lo aveva acclamato con una standing ovation.
Una bambina di 9 anni fu l'unica a fermarsi davanti a lui per tutto il tempo. Sua madre la trascinò via con forza, ma la piccola continuò a voltarsi indietro, cercando con lo sguardo quell'uomo che suonava così meravigliosamente.
La sera, a casa, il violinista trovò un foglietto stropicciato nel cappello. Era un disegno: un uomo con un violino circondato da note colorate. In fondo, una calligrafia infantile: "Quando suoni, vedo i colori che escono dal tuo violino."
Quindici anni dopo, il violinista stava per ritirarsi dalle scene. Al suo ultimo concerto, notò tra il pubblico una giovane donna con gli occhi lucidi. Dopo lo spettacolo, lei si avvicinò con un foglio ingiallito dal tempo: era lo stesso disegno.
"Sono la bambina della metropolitana" disse. "Quel giorno ho capito che la bellezza esiste ovunque, basta saperla riconoscere. Oggi sono direttrice di un programma che porta la musica classica nelle scuole di periferia."
Il violinista sorrise: "E io ho capito che il vero valore dell'arte non sta negli applausi di una folla, ma negli occhi di chi sa davvero vedere."
Non è il contesto che determina il valore delle cose, ma la capacità di riconoscere la bellezza, anche quando si presenta nei luoghi più inaspettati.
La vita è piena di Stradivari che suonano nelle metropolitane, ma solo pochi hanno il cuore abbastanza attento per sentirli. ✨🎻
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ARTISTI CONTEMPORANEI - di Gianpiero Menniti
LA PITTRICE DEL MARE
Ha ricevuto in dono i colori del mare, il profumo della salsedine, il vento che accarezza l'acqua e rende tersa la linea impossibile dell'orizzonte in attesa.
E il suono dell'onda, antico richiamo, perenne invocazione.
Si tratta di Vittoria Suriano, vibonese, artista nascosta, pittrice rimasta fin qui nell'ombra, portatrice di queste qualità dello spirito.
Le sue opere, dipinte su ogni supporto come a dichiarare l'esigenza di fissare in immagine la grazia di sentimenti limpidi, sono grida che squarciano l'inebriante solitudine del "grande mare" vissuto dalla riva di una baia, tra i sassi e la sabbia che offrono un saldo confine, mentre il blu dilaga stemperando ogni altro colore.
È il mare vissuto come espressione di sé: non un rapporto tra soggetto e oggetto ma "relazione" inscindibile che plasma l'osservatore in un'incessante mutevolezza.
Così, i dipinti di Vittoria Suriano sono riflessi lirici che transitano oltre la sua percezione per divenire il suo modo d'essere, il suo carattere, il suo interpretare il mondo: l'anima riesce in lei a diventare rifugio.
Anima che, nella sua unicità, possiede il mare.
Poichè solo chi lo senta nel baratro dei propri sensi può raccontarlo nel linguaggio speciale dell'arte, lasciandone traccia tra strati di pennellate intense, intrise di autentica passione.
Sovviene un'espressione di Jorge Luis Borges:
«Il mare è un antico idioma che non riesco a decifrare».
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Coloro che sono chiamati alla ricerca interiore, sono proprio quelli che si perdono più facilmente.
Osservano la Vita da migliaia di prospettive, si pongono perennemente in discussione, si immergono negli abissi di loro stessi, si assestano per un attimo nella loro precarietà d'animo per poi scivolare pericolosamente nelle Energie del dissesto.
Non è impresa semplice affiancare coloro che si "scrollano" costantemente di dosso le illusioni, le credenze, le prospettive antiche e i simboli della prigionia.
La sensazione di essere approdati alla loro definitiva "versione identitaria" dura qualche attimo e poi riprendono a lavorare sodo sul prossimo cavillo esistenziale.
A livello Umano questa "precarietà" può nascondere una profonda paura di essere imprigionati per sempre nel Dolore dell'Altro. E di se stessi.
Può rappresentare a livello inconscio (e spesso inconsapevole) il bisogno di allontanare costantemente da se stessi il ruolo Antico in cui l'Altro vuole incasellarci, provocando una eguale e potente spinta alla liberazione, a non accogliere nulla per vero, ma solo per "provvisoriamente valido".
La "provvisorietà interiore" è ciò che "salva" dall'eterna condanna ad essere complici di un sistema malato e triste che non ci appartiene, che sentiamo pesante e non autentico.
Nel tempo impariamo ad allontanarci sempre più tempestivamente dalla "gabbia" del Dolore e diveniamo simili ad un animale che, quando si bagna, si scrolla istintivamente di dosso l'acqua in eccesso.
Ma tolta la ferita infantile del "mancato riconoscimento" e "dell'abbandono fisico ed emotivo", tolto lo sguardo del genitore che ci vorrebbe inconsciamente eredi di quel Dolore, tolto tutto ciò, restiamo noi.
E noi siamo portatori di un Dono speciale. Non di una condanna.
Siamo coloro che "sanno", che "vedono", che "trasmutano".
Siamo le Fenici dello "Spirito incarnato".
Ci dedichiamo assiduamente ai cicli della Morte e della Vita. Ci dissolviamo più volte al giorno nell'atto della Fine, e generiamo, nel Campo interiore, luminosi nuovi Inizi.
Non chiedete agli altri di "comprendere" questo movimento.
Chiedete a voi stessi di "amarlo".
Anche se non è facile accogliere la precarietà che avvolge questo movimento interiore. Anche se viola costantemente le leggi del bisogno di "stabilità" e di "sicurezza" dell'Umana Esistenza.
Siete cresciuti "nell'Instabilità" e vi farete sempre ritorno. Per maturare la vostra "versione" più autentica e pura. Per rigenerare insieme al Pianeta Terra e alle Dimensioni dell'Invisibile la più alta versione dell'incontro tra Spirito e Materia.
Ed è vero. Non è un viaggio sempre affollato di familiari, compagni, amici disposti a considerare con affetto e comprensione questi vostri passaggi così faticosi e insondabili.
Ma dalla vostra trasmutazione, si genererà "polvere di stelle" che guarirà ogni vostro campo di espansione e produrrà allineamento temporaneo anche agli ignari e sconvolti "presenziatori" del vostro movimento alchemico.
Genererete in loro il "campo della possibilità". Seppur non potrete mai sostituirvi alla loro personale volontà di crescita e cambiamento.
Viaggerete spesso "soli" per questo motivo.
Perché rappresenterete mille facce, mille volti, mille espressioni della stessa Verità. Che non cambia. Non muta. Ma si esprime nelle sue molteplici forme materiali, emotive e psichiche.
E questo spaventa. Atterrisce chi non è disponibile ad entrare pienamente nei vostri movimenti di scoperta e di esplorazione.
Potete solo comprendere quanto il mondo dell'Arte e dello Spirito sia costellato di "folli" ricercatori della magia alchemica della "Rappresentazione".
E quanto essi si sentano spesso incompresi nella loro funzione di "maghi della manifestazione", di "pionieri della visione".
Alcuni perdono il "senno". Perché fa male. Fa male non essere visti, compresi, sostenuti e riconosciuti dentro a questo immenso e faticoso Dono.
Non è semplice.
Non lo è mai stato.
Ma all'oggi, "cercare di essere ciò che non si è", resistere alla corrente che "trascina", cercare di "normalizzare" i Doni interiori, diventa pressoché solo forzatura, frustrazione e infelicità.
Se gli altri appaiono spenti nella loro unica "credenza", se non vogliono sforzarsi di comprendere, né tantomeno di "sentire", nulla potrà smuoverli dalla loro posizione di chiusura.
Nemmeno la prospettiva di "ammalarsi". O di vivere per sempre infelici e arrabbiati con la Vita.
Ma "chi vede", ha il sacro compito di proteggere se stesso dall'"immobilità", di non sostare troppo a lungo dove non c'è terreno fertile per la Vita, di non soffermarsi a "spiegare" troppo.
Non c'è tanto da "spiegare". C'è da "seguire il Cuore".
E se nemmeno se ne percepiscono i battiti, se c'è troppa guerra dentro e troppo rumore fuori, non ha senso "forzare" l'Altro a "farlo per compiacere noi", "per non rischiare di perderci", per non obbligarci a rivivere la nostra ancestrale "ferita dell'Abbandono".
Si va. Senza tante spiegazioni. Che servirebbero qualora ci fosse un paritario livello di "linguaggio interiore condiviso".
Ma se così fosse, l'Altro sarebbe il primo ad accompagnarci con affetto ed entusiasmo all'imbocco della nostra prossima esperienza terrena e spirituale, con gli occhi commossi e colmi di riconoscenza, augurandoci di vivere sempre pienamente il nostro Dono in ogni sua straordinaria manifestazione possibile.
E magari potrebbe coraggiosamente decidere di "buttarsi" insieme a noi, cogliendo la preziosa occasione di afferrarci la mano forte forte, chiudere gli occhi, e "volare" insieme verso lande inesplorate della Vita.
Ed invece per molte Anime del Cristallino non c'è il "lieto fine", o il "lieto inizio".
Sono costrette a "scappare" per non essere annientate dal Dolore dell'Altro. Spesso si ritrovano a dover offrire giustificazioni e bugie per non incorrere nell'ira e nella rabbia che l'Altro gli riversa contro. Si ritrovano magari a "giustificarsi" quando scelgono di allontanarsi o di cambiare direzione.
Ciò accade quando non c'è connessione reciproca con l'Altro.
Quando le parole diventano "troppe", significa che l'Altro non comprende il nostro linguaggio. O non lo vuole comprendere.
Lo "violentiamo" e violentiamo noi stessi quando tentiamo di convincere l'Altro di qualcosa che non sente. E non vede. O non vuole sentire o vedere.
E ciò non significa che chi compie questi profondi viaggi interiori, sia "migliore" di chi non li vuole compiere. Anzi. Sono solo "missioni" diverse interpretate con "strumenti diversi".
Ma chi ha scelto di aderire alla profonda chiamata del Rinnovamento Emotivo e Spirituale del piano di Coscienza Umano, non può interrompere il suo eterno ciclo di Morte e Rinascita per "paura di non essere accettato, di non valere abbastanza, di non essere normale, di perdere l'Altro".
Sente oramai troppo potente e impellente la necessità di proseguire. Di andare "oltre" il già visto e vissuto.
E, nonostante la terrorizzante paura della perdita affettiva ed emotiva, la Verità è che "nulla di ciò che è stato offerto con Amore, verrà mai perso veramente". Poiché tutto prima o poi torna a noi, "si ritrova". Si ricollega alla Fonte.
Se ancora "diventa necessario" allontanarsi da amici, compagni, animali, famigliari, per differenza di linguaggio, o magari perché si è concluso quello spazio evolutivo, o per volontà di crescere e maturare esperienze diverse di introspezione e ricerca della Verità, non sentiamoci "falliti" o "cattivi", o ancor peggio "incapaci di amare veramente".
Amare spesso significa "liberare" l'Altro da noi stessi.
E fa male.
Ma ciascuno ha per se stesso il Sacro Compito di trovare e ri-trovare, manifestare ed esprimere la sua "più piena e completa Versione interiore".
Ed è lo stesso compito dell'Altro.
E, a volte, noi glielo impediamo, volendo a tutti costi imporgli la "nostra visione dei fatti", obbligandolo troppo presto a compiere passi che non appartengono alla sua "struttura base", di cui non sente la necessità, o per cui ha ancora troppa paura di frantumarsi dentro.
Perciò andate, se dovete andare.
Non forzate le condizioni dell'Altro per un vostro bisogno interiore di essere accettati o riconosciuti.
E se scegliete comunque di "restare" perché voi non vi sentite ancora pronti per "lasciare andare", non arrabbiatevi se l'Altro non vi "capisce", non parla più la vostra lingua o non si sforza di venirvi nemmeno più incontro.
Magari non vuole. O non può. O non sente.
O forse semplicemente è Tempo per voi di "dirigervi altrove".
Accorgetevi però. Siate onesti e sinceri. Con voi e con l'Altro.
Buon "passaggio epocale". E' il Secondo Varco. E' il più potente di tutti.
Forte. Deciso. Compatto. Esplosivo.
E' la fine dei Tempi. L'ennesima. Ma più "umana" che mai.
Mirtilla Esmeralda
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"Scrivo a tutta la comunità per assumermi la responsabilità di una scelta, evidentemente controcorrente, in occasione della scomparsa di Silvio Berlusconi.
Di fronte a questa notizia naturalmente non si può provare alcuna gioia, anzi la tristezza che si prova di fronte ad ogni morte. Ma il giudizio, quello sì, è necessario: perché è vero che Berlusconi ha segnato la storia, ma lo ha fatto lasciando il mondo e l’Italia assai peggiori di come li aveva trovati. Dalla P2 ai rapporti con la mafia via Dell’Utri, dal disprezzo della giustizia alla mercificazione di tutto (a partire dal corpo delle donne, nelle sue tv), dal fiero sdoganamento dei fascisti al governo alla menzogna come metodo sistematico, dall’interesse personale come unico metro alla speculazione edilizia come distruzione della natura. In questo, e in moltissimo altro, Berlusconi è stato il contrario esatto di uno statista, anzi il rovesciamento grottesco del progetto della Costituzione. Nessun odio, ma nessuna santificazione ipocrita. Ricordare chi è stato, è oggi un dovere civile.
Per queste ragioni, nonostante che la Presidenza del Consiglio abbia disposto (https://www.governo.it/it/articolo/bandiere-mezzasta-sugli-edifici-pubblici-e-lutto-nazionale-la-scomparsa-del-presidente) le bandiere a mezz’asta su tutti gli edifici pubblici da oggi a mercoledì (giorno dei funerali di Stato e lutto nazionale), mi assumo personalmente la responsabilità di disporre che le bandiere di Unistrasi non scendano.
Ognuno obbedisce infine alla propria coscienza, e una università che si inchini a una storia come quella non è una università.
Col più cordiale saluto,
il Rettore
_____
Tomaso Montanari
Professore ordinario di Storia dell'arte moderna
Rettore dell'Università per Stranieri di Siena
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Hiroshige
Il maestro della natura
Giancarlo Calza
Skira, Milano 2009, 295 pagine, 203 b/n ill., 244 ill. col, 24x28cm, paperback, ISBN 97888572016-1
euro 40,00
email if you want to buy [email protected]
Hiroshige (1797-1858), celebre maestro giapponese della natura e del paesaggio è universalmente considerato uno dei massimi esponenti dell'arte del Mondo Fluttuante (ukiyoe) che tra gli inizi del Seicento e la fine dell'Ottocento meglio espresse i gusti e lo stile della società giapponese proto-moderna delle grandi città, delle classi mercantile e imprenditoriale e della borghesia in genere. La ricchezza cromatica nelle opere di Hiroshige, l'architettura delle sue immagini, l'intensa partecipazione della natura e la capacità di trasmetterne il sentimento lo resero uno degli artisti più apprezzati dagli impressionisti e dai postimpressionisti, soprattutto da Van Gogh, Monet e Whistler, e nell'ambito dell'Art Nouveau, nonché da Frank Lloyd Wright, che del maestro realizzò la prima esposizione in assoluto.
24/11/24
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Athena criselefantina
Stamattina, facendo delle mie ricerche sulle dee greche, sono venuto a conoscenza di un appellativo di Atena Parthenos (che poi su quel "parthenos" ci sarebbe da fare un post a parte), l'appellativo di crisoelefantina. La statua di Atena nel Partenone, opera di Fidia, era crisoelefantina: era forse la statua di Atena, al pari di Ganesh, fatta a forma d'elefante d'oro? No, la statua di Atena era fatta d'oro e d'avorio.
"criselefantino o crisoelefantino deriva dal greco antico χρῡσελεφάντινος, chrȳselephántinos, a sua volta da χρυσός, chrysós ("fatto d'oro") e ἐλέφας, élephas ("e d'avorio")"
Ecco una di quelle illuminazioni etimologiche di cui parlava Savinio, élephas, d'avorio, da cui probabilmente elefante, principale fonte di tutto l'avorio del mondo.
Ma come facevano i greci ad avere così tanto avorio da farci delle enormi statue come quella del Partenone?
Da Treccani. "La tradizione dell'arte dell'a. viene ricercata attraverso diverse tappe di indagine come la localizzazione dei centri di approvvigionamento (la valle del Nilo, il Sudan, la Libia, il Libano, la Siria e solo più tardi, a partire dall'età ellenistica, l'India) dai quali la materia prima viene smistata nelle aree limitrofe - dove erano attivi, almeno nelle epoche più antiche, i centri di lavorazione - oppure verso un florido mercato internazionale insediato strategicamente lungo le rotte marittime o carovaniere. A questi nodi commerciali (Cipro, Corinto, Sparta e alcuni centri dell'Etruria in epoca orientalizzante e arcaica, Delfi in età classica, Delo e Alessandria in quella ellenistica) attingevano gli artigiani delle diverse scuole attive nel bacino del Mediterraneo."
E con questo si chiude la pillola di cultura classica quotidiana.
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Il piacione viaggiatore
Sfarfalla il piacione viaggiatore, quando giunge al paesello è tutto un fermento di vulvine, vulvette e vulvone. Tra le ragazzine allegre e tra le signore borghesi, leggero e leggiadro nel suo muovere il cazzo.
Frulla nelle passere agrodolci a ravanar carne e raccoglier succo, si gusta con frivolezza i differenti sapori delle pelli, ne constata consistenza e trama, ne trova i pregi e li decanta, deformazione dell'arte del vendere e del suo conoscere le stoffe.
Fremono mentre lui accarezza, mentre prende le misure del mugolare e mette in ordine il montare della brama prima e del piacere poi. Maniaco nel suo campionario, nel catalogo dei sensi.
Ammalia e tesse la voglia, come quando con le mani accarezza il velluto per mostrarlo alla merciaia, alla sartina, alla signora, giù alla boutique. In quel suo spazio, in quel regno che sa della polvere dei tessuti, in quel mondo ovattato dai rotoli morbidi, vive i suoi scampoli di sesso e taffetà.
Puttane, sante, vergini rotte in culo, le prende, ne prende, le vuole di carne, le sente, una via l'altra, insieme, esposte davanti a lui, bramose che colano, da fottere, da soddisfare e mischiare, negli schizzi dello sbattere dentro e contro lei, lui, loro. Si piegano, mentre soddisfatto si ammoscia, a raccogliere quel che resta, quel che ha dato.
C'è sempre però quel seme di tristezza nei suoi occhi, dopo l'orgasmo così, dopo la piacioneria sapiente e l'ostentata sicurezza. È la consapevolezza di volere essere se stesso, fuori da un ruolo, senza viaggiare, in una casa che sia pace, amato così. Ma mai concede quel momento, a nessuno esso stesso compreso, prigioniero della sua arte di vendere chiffon e sé stesso.
Magari un giorno diventerà piccione, e allora sarà felice.
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Assisi: S.Chiara, La luna e Marte.

Assisi: S.Francesco, e un alberello di natale che alza il mio Mood Happy a +10000

Assisi: Vicoletto a caso

Spello: la città dei fiori e...

Spello: ... dell'arte!

Didascalia ⬆️: "Nell'albero della vita" le figure abbracciate dell'uomo e della donna creano un tramite tra la terra, in cui l'ulivo cresce, e l'altra parte del mondo, quella celeste.
Spello: Il vicolo premiato per ben 6 anni di seguito e considerato la 42° meraviglia d'Italia

"Guardami dentro"...e tutte le volte che vengo fraintesa😂

.... Continued....
#eseildomanifosseieri#tumblr#io#frasi#foto#viaggio#spettacolo#italia#spello#assisi#vacanza#vacanze#chiesa#preghiera#amore#arte#premio#immagini#galleria#sculture#raggidiquotidianità#insieme#noi#F.#come sempre#amore mio#bellezza#bello
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Esiste un popolo come quello italiano che fino a qualche anno fa produceva le automobili più belle del mondo...
I suoi stilisti dettavano legge nell'eleganza dell'abbigliamento.
In cui i cappelli Borsalino erano unici al mondo.
Le scarpe italiane dicevano nel mondo chi eri.
La cui la cucina era proverbiale.
I cui vini erano famosi.
La cantieristica era rinomata tra transatlantici e yacht erano i più lussuosi.
Abbiamo dato al mondo il telefono, il motore a scoppio, la radio, le batterie, gli occhiali, il pianoforte, il violino, la viola, il mandolino, le note musicali, abbiamo inventato le campane, e l'opera, il teatro dell'arte, il teatro di Goldoni, la tradizione del bel canto, perfino il gelato.
La plastica, il polistirolo, il pail.
Abbiamo la più antica banca e la prima università d'Europa.
La prima laureata donna che era veneziana.
Tutto l'Occidente scrive con caratteri latini, cioè Italiani.
In Toscana gli Etruschi inventarono l'arco.
Pochi sanno che i Romani inventato i chiodi metallici e che il primo PC in assoluto fu dell'Olivetti.
Con Roma antica il nostro Paese portò la civiltà e la cultura al mondo.
Roma fu la capitale della Cristianità.
Coi comuni l'Italia mise fine per prima al feudalesimo.
Con le Repubbliche marinare abbiamo inondato di merci il continente.
Gli italiani con l'Umanesimo e il Rinascimento illuminarono l'Europa spiritualmente e con l'olio lampante del Salento per secoli gli italiani illuminarono le lampade di tutte le case d'Europa.
Prima il latino e poi l'italiano, per secoli, furono lingue internazionali. l'Italia possiede più opere d'arte che tutto il resto del mondo e le sue città sono gioielli di eleganza.
Incredibile ma vero, da sempre e non da ora, come testimonia anche Giacomo Leopardi, questo popolo è complessato, cinico, disincantato, umile, non crede in sé stesso.
Per dire che una cosa è fatta male, talvolta si usa dire che è fatta all'italiana.
Ora che questo popolo sta' morendo, sarà una perdita per il mondo perché non è come dicono che uno vale uno.
A proposito dell'Italia, lo scrittore Henry Sienkiewicz ha detto: "come si potrebbe non amare Italia?
Io credo che ogni uomo abbia due patrie; l’una è la sua personale, più vicina, e l’altra:
...l’Italia."
#politica#italia#guerra#palestina libera#europa#free gaza#free palestine#forzaemila#palestine#youtube
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24 febbraio 2024
Un sabato pomeriggio
speso bene
A volte ci sono storie che meritano di essere raccontate. Lo capiamo solo dopo.
Quando comprendiamo che la scintilla iniziale, quella luce da cui ci siamo fatti guidare, seguendo la nostra intuizione, era fondata.
Nel mio caso, tutto è iniziato da un articolo della stampa locale. Un articolo apparso su CesenaToday, un sito web, che si occupa di dare informazioni e portare all'attenzione di tutti, le iniziative, gli eventi e molte delle manifestazioni del territorio, tutto ciò che accade - insomma - nel Cesenate e nei Comuni della vallata del Savio.
Riporto di seguito il testo dell'articolo, che avevo letto alcuni giorni fa :
Di notizie di questo tipo, sulla stampa e in Rete, ne appaiono decine, ogni giorno, eppure, in questo caso, qualcosa deve avermi colpito ad un livello più profondo della semplice curiosità.
Sarà che anche io, durante gli anni del Liceo Classico, mi sono appassionato alla pittura da autentico autodidatta, dopo che ho conosciuto le opere di Van Gogh e di Gustav Klimt! Sarà che il disegno, fin dalle scuole Elementari, era una delle attività preferite...
E così dai disegni a matita e coi pastelli, ero passato ai primi lavori a tempera (colori acrilici) e poi ai primi quadri su legno e alle prime tele ad olio.
Sarà che il mondo dell'Arte, mi ha sempre attratto e incuriosito...
Sarà che dopo l'aggressione russa all'Ucraina del 24 febbraio 2022, ho sempre fatto il tifo per il popolo ucraino e ho partecipato a diverse iniziative di volontariato, per inviare aiuti e soldi, agli ospedali di Leopoli e Kyiv, sia per dare supporto ai bambini e ragazzi universitari e alle madri ucraine fuggite dal proprio paese e arrivate in italia, nei primi mesi di questa assurda guerra, scatenata dal sanguinario dittatore di Vladimir Putin...
Sarà anche che io sono sempre stato affascinato della storia di chi è costretto ad abbandonare la propria Patria a causa di una guerra e a reinventarsi una vita.
Saranno stati tutti questi motivi assieme, ma qualcosa mi ha spinto a voler visitare la Mostra di questa artista ucraina, che grazie all'aiuto concreto del Comune di Mercato Saraceno è riuscita a coronare uno dei suoi sogni e presentare al pubblico parte dei suoi lavori.
Oggi alle 16, quindi, sono andato a Mercato Saraceno, a questo piccolo-grande evento : l'inaugurazione della Mostra di pittura di Kira Kharchenko.

E così, in un pomeriggio piovoso di metà febbraio, mi son trovato ad essere investito dall'energia dei quadri di questa ragazza che giunta in Italia, per colpa della guerra, ha intrapreso un percorso scolastico nel nostro paese, iscrivendosi al Liceo Artistico di Forlì.
Conversando con Kira, è diventato chiaro come il suo soggiorno in Italia sia stata anche una svolta della sua vita. Nel giro di appena due anni, ha infatti imparato ad esprimersi nella nostra lingua e ha cominciato un percorso artistico importante, adottando la tecnica dei colori ad olio.
Ma la cosa, ancora più importante è che Kira in questi anni è riuscita a portare avanti un progetto personale di grande valore:imparare ad esprimere grazie alla Pittura e al disegno il proprio mondo interiore fatto di idee e sentimenti.
Cosi come ha scoperto l'importanza della Filosofia come strumento per leggere il mondo e comunicare le idee che ci guidano nella vita.
Ciò che infatti colpisce di questa ragazza è il fatto che una sua opera, qualsiasi sua opera, parte sempre da uno stato d'animo, una riflessione, una emozione profonda. Tutti i suoi quadri, sono un mezzo per fare arrivare un messaggio legato alle emozioni e al mondo dei propri sentimenti.
È sufficiente allora, leggere le didascalie che accompagnano le sue tele per immergersi nel mondo interiore di Kira, continuamente in bilico fra pensieri cupi e paure legate alle minacce che ha portato la guerra nel suo paese, e la sua forza di volontà che la sorregge e la porta a credere alla speranza e a un futuro migliore, più umano e orientato al valore della Libertà.
Un futuro dove ogni sentimento trova la forza di emergere per esprimere la propria umanità.
Ed ecco che visitare la sua esposizione significa leggere molte delle pagine del suo personalissimo "romanzo di formazione".
È un pò come leggere il libro che Kira crescendo e prendendosi responsabilità del tutto nuove, sta scrivendo in questi anni.
Ci sono pagine chiare, luminose, abbaglianti che tuttavia non cancellano i momenti bui e i colori più cupi che esprimono le paure e le preoccupazioni.
Ma Kira ha dalla sua parte, due energie incredibili: è guidata da due stelle polari.
La sua fede religiosa ( kira è ortodossa) e la forza del dialogo ininterotto che lei stessa, ha con la propria anima.
Un confronto fertile con se stessa, con la persona che è e con il mondo dei propri pensieri, oltre che con i pensieri eterni, quelli validi in tutte le epoche, quelli che per comodità, noi indichiamo col termine "FILOSOFIA".
Perchè Kira non è soltanto una pittrice.
È prima di tutto una filosofa, una persona riflessiva che esprime le sue convinzioni profonde, le sue visioni, il modo di percepire la realtà, attraverso il linguaggio potente che è la Pittura.
Prossimamente dedicherò uno o più Post ai suoi quadri.
Per oggi, sono felice di aver partecipato a questa Mostra, di aver conosciuto questa promettente artista ucraina e aver iniziato a comprendere il suo linguaggio pittorico.
Piu di tutto, credo che il suo mondo interiore, la potenza del linguaggio che ha scelto, la profondità del suo modo di esprimere i sentimenti con immagini potenti e insieme, piene di armonia e grazia, ne fa un talento precocissimo, dal grande potenziale .





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#pittura#Mostre ed Esposizioni#Arte#Kira Kharchenko#Ucraina#storie di guerra#Futuro e Speranza#Forza interiore#🇺🇦 🇺🇦 🇺🇦#24 febbraio 2024
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Quasi senza rendermene conto,
tanto di ciò che ho amato
mi ha abbandonato…
Libri che mi piacevano e che oggi non sopporto,
posti che una volta
mi interessavano, ore di rapita giovinezza. Persone
care. Io stesso; quelli che sono stato.
Andare a cercarlo? Le
acque di quello specchio non
sono
adatte
a navigare.
Il desiderio, le donne, oh, sono ancora lì. Ma
voglio condividere con loro
quel desiderio?
La passione della Libertà,
nemmeno immaginata quasi da nessuno.
Forse anche il sogno stesso
dell'Arte.
Ma il giorno che contemplo è bellissimo. È bello
questo tramonto sul mare.
E ho dei buoni libri a portata di mano
e musica che mi piace.
E sì, forse è una consolazione:
Non ho svilito la mia vita.
Mi sono rimaste poche persone
che significano qualcosa,
Non ho un paese, non è nemmeno la mia lingua
quella che forse amo di più.
A chiunque mi chieda
Da dove vieni? Dove stai andando?, semplicemente
rispondo:
cammino per il mondo,
sento il freddo della Luna,
e c'è ancora nei miei occhi
la curiosità.
Àlvarez
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Henri Matisse nella sua casa di Nizza
nel 1941, dipingeva convalescente
a letto ..quando la brama del sacro
fuoco dell'arte non si spegne nemmeno
davanti a evidenti complicazioni..
ma la volontà costringe la mente
ad ingegnarsi e continuare..🔥🌹
"Ho deciso di salvare i tormenti
e le preoccupazioni per esprimere
solo la bellezza del mondo e la
gioia della pittura"
Henri Matisse
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SENSI DELL'ARTE - di Gianpiero Menniti
LA POTENZA DELL'IMMAGINE
Forse in pochi ne sono al corrente: a Vibo Valentia è custodita, nella casa comunale e precisamente nella stanza di rappresentanza del Sindaco, un dipinto di pregevole fattura e di notevole rilevanza storico-artistica.
Si tratta del "San Sebastiano" ascritto al pittore messinese Gian Simone Comandé (1558 - 1630) per attribuzione dello storico dell’arte calabrese e ricercatore insigne, Mario Panarello, nel suo corposo contributo al saggio “I dipinti e gli inventari di Francia e altri inediti documenti per il collezionismo nella Calabria del Settecento e dell’Ottocento: Cosenza e Vibo Valentia”.
Come rammentato dallo studioso, il quadro si rivela analogo a “una nota iconografia del Sodoma (Antonio Bazzi, 1477 - 1549), oggi nella Galleria Palatina di Firenze” meglio conosciuta come Palazzo Pitti.
Il raffronto della tela "vibonese" con l'opera assai celebre del "Sodoma" è impressionante: non si tratta di mimesi ma di una comparazione interpretativa "a distanza".
Il "Martirio di San Sebastiano" (risalente al 1525 - 1527) è, in realtà, un gonfalone per le processioni, richiesto al famoso artista di origine vercellese naturalizzato senese (ritratto nella Scuola di Atene accanto allo stesso Raffaello) dalla Compagnia di San Sebastiano in Camollia della città toscana.
Il potere salvifico della rappresentazione era dunque molto sentito: un'icona, una sorta di talismano, un'immagine dalla potenza guaritrice.
L'opera del Comandé apparteneva invece alla Chiesa del Carmine a Vibo Valentia, dove prima insisteva, appunto, la Chiesa di San Sebastiano e la confraternita del santo: “In essa chiesa antichissima - scrive Bisogni - c’era dipinta l’immagine di S. Sebastiano di Simone Comandia siciliano”.
Probabilmente anche quest'immagine doveva rivestire un valore di fede intenso e diffuso: non a caso, nei pressi della chiesa sorgeva (esistente tuttora) il caratteristico borgo denominato San Sebastiano nel centro storico della città.
Premesse fatte a richiamo sommario del significato che accomuna le due immagini.
Ora si tratta adesso di confrontarne la "potenza" nell'impatto sull'osservatore.
E qui l'allievo, a mio parere, supera il maestro: non ho dubbi che la tela del Comandé (fotografata magistralmente dal Maestro Tonio Verilio) s'innalzi a un livello di pathos molto più profondo, vissuto nella consapevolezza del martirio e in un'angosciata fede ormai piena e intensa.
Possiede già il nimbo, al contrario ancora tra le mani dell'angelo nel dipinto del Sodoma.
Ma quel che più conta è lo sfondo: il San Sebastiano di Vibo è opera che risente più marcatamente della lezione vinciana, delle apocalissi che sorgono alla vista per consumare il tempo delle cose create, dell'invisibile che cela l'archè, la forza primigenia, la terra strappata al suo manto di luce per essere gettata nella desolazione della materia.
Nella tela del Sodoma, la natura benigna e il mondo degli esseri umani proseguono il loro corso immemori del sacrificio.
Qui l'evento assume connotazione epocale.
Lì il corpo attende lo spirito.
Qui il corpo è già spirito.
È già Chiesa.
La matrice, nonostante la vicinanza mimetica, è divergente: l'opera del Sodoma appartiene a una storia ancora ingenua dei catastrofici mutamenti che devasteranno l'Europa delle guerre di religione, pur trovandosi sulla soglia del "Sacco di Roma", non può prevederne le conseguenze; il dipinto del Comandé, allievo del "Veronese" che dipinse una strepitosa "Ultima cena", risale alla fine del '500 inizi del '600, in piena controriforma tridentina (1545-1563) mentre già agisce il Caravaggio e il Barocco sta per avvitarsi sulle spoglie di un confuso Manierismo.
Immagine potente, evocativa, consapevole.
Non è la morte il destino immediato del martire trafitto dalle frecce: egli patirà la violenza brutale che l'ucciderà proprio per essere sopravvissuto al primo atto crudele.
Ma quella guarigione imprevista rimane il segno dell'impossibile, la rinascita oltre ogni drammatica condizione, la forza che respinse il motto rinascimentale albertiano, vinciano e infine machiavelliano del "tamquam Christus non esset", "come se Cristo non fosse mai stato".
No, il cristianesimo riemerge dalle sue paludi cinquecentesche per confermare la regola benedettina: "Omnes supervenientes hospites tamquam Christus suscipiantur", "Lasciamo che tutti gli ospiti che vengono siano ricevuti come Cristo".
Questo, forse, è il significato più autentico del San Sebastiano di Vibo Valentia.
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Non Solo Erté Not Only Erté
Angelo Luerti
Saggio introduttivo di Vittoria Crespi Morbio
Costume Desogn for the Paris Music Hall 198-1940
Guido Tamoni Editore, Schio (Vi) 2006, 288 pagine, 24,5x34,5, ril. in cofanetto
euro 95,00
email if you want to buy [email protected]
Il volume intende illustrare l'attività di quei numerosi disegnatori per le riviste dei grandi music-hall di Parigi che, per snobismo artistico ed intellettuale, sono stati a lungo negletti a causa dell'impiego secondario cui erano destinati i loro modelli. Tra questi, Gesmar, un formidabile genio della grafica che impresse all'arte del costume un impulso pari a quello prodotto da Bakst pochi anni prima per i Balletti Russi; Ranson e Zinoview, due grandi eredi di quella tradizione, Czettel, allievo unico di Bakst divenuto più tardi capo disegnatore all'Opera di Vienna; Zig, degno successore di Gesmar anche nell'arte del manifesto; l'ungherese Gyarmathy, autore d'invenzioni sceniche adottate da molti teatri; l'olandese Wittop divenuto in seguito il primo disegnatore di Broadway; Halouze creatore dello "Stile 1925", l'inglese Dolly Tree, uno dei grandi talenti dell'epoca d'oro della creatività, Dessés divenuto più tardi un noto stilista e maestro di Guy Laroche e di Valentino, il milanese Montedoro subentrato in seguito a Vincente Minnelli come capo disegnatore del Radio City Music Hall, per citare solo alcuni. Lo stesso Erté fu vittima per 30 anni di questa tendenza all'emarginazione. Riscoperto nel 1965 in occasione del più generale recupero dell'Art Déco, ora è universalmente apprezzato per la qualità dei suoi disegni, nel frattempo assurti, per il loro valore storico, artistico ed estetico, al rango di vere opere d'arte. L'opera si propone di rendere omaggio ai suoi non meno creativi e qualificati contemporanei, che per obiettive carenze informative sul loro percorso e contributo artistico (ora in gran parte colmate), non furono pur meritandolo oggetto di analoghi studi e altrettanti onori. Va detto che nessuno di costoro visse a lungo quanto Erté, morto nel 1990 all'età di 98 anni: quando giunse il gran momento, il suo archivio era l'unico ricco di disegni originali e documenti a disposizione dei critici teatrali e degli storici. Degli altri grandi artisti, selezionati tra i migliori disegnatori europei, si era persa quasi ogni traccia essendo scomparsi quasi tutti prima della fine della Seconda Guerra Mondiale; di alcuni era noto solo l'acronimo, di altri s'ignorava persino la nazionalità e assai poco si sapeva sui teatri e sulle riviste cui avevano collaborato. A poco valse lo sforzo dei "volontari" ingaggiati da Charles Spencer, nota autorità in materia, e di altri, per saperne di più su questi fantasiosi creatori di scene e costumi. Pur prive di un adeguato supporto informativo molte delle opere dei citati artisti affiancano quelle di Erté nei principali musei, Metropolitan, Victoria & Albert Museum, Arsenal, nelle università di tutto il mondo e nelle collezioni di molti appassionati. Nuove e approfondite ricerche condotte per oltre sei anni hanno permesso di raccogliere un gran volume di dati sul percorso e sul contributo artistico di molti di questi artisti sino a ieri per nulla, o quasi, conosciuti. Il tutto è corredato da un ricco repertorio di opere (oltre 400 immagini a colori), così da permettere a storici e critici una più ampia valutazione dell'arte per il teatro del Novecento e del Déco in generale, periodo in cui si colloca la più parte dei disegni. Il volume comprende inoltre una ampia panoramica sulla storia del music-hall, dalle origini al suo declino, sui principali teatri e riviste in scena negli anni tra le due guerre e sui suoi protagonisti.
Tra gli illustratori, oltre naturalmente a Erté, Georges Barbier, Dany Barry, Umberto Brunelleschi, Fabio Lorenzi, Endré, Eduard Halouze, Dolly Tree, Jose De Zamora, Zig ...
07/09/24
#Paris Music Hall#Erté#costumi music hall#theatrical costumes#Georges Barbier#Brunelleschi#fashion nooks#fashionbooksmilano
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La via, gratis, per aggirare queste nuove limitazioni potrebbe essere quella di installare un proxy locale che faccia fitering di pubblictà e varie schifezza, configure "localhost" come proxy nel browser e sposti il filtro FUORI dal browser. Questo è al momento credo sia lo stato dell'arte: https://privoxy.org
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