#mistero! non è dato saperlo
Explore tagged Tumblr posts
givemeanorigami · 1 year ago
Text
Deve esistere un girone infernale basato sui siti e i gruppi di chi ha le carnivore, nello specifico usano come forma di tortura il fatto che per domanda x ti danno come risposta x, y, z e pure alpha, beta e gamma senza farti capire il perché di così tante risposte diverse sul medesimo 'problema' sulla medesima pianta.
1 note · View note
nusta · 3 months ago
Text
Ritrovo vari post di qualche tempo fa mentre cerco riflessioni sulla violenza di genere, il patriarcato, il maschilismo e i femminicidi. Oggi è la giornata contro la violenza sulle donne, ma sono discorsi che volenti o nolenti ci ritroviamo in testa frequentemente, almeno se abbiamo l'occhio e l'orecchio attento alle notizie che arrivano dalla cronaca. Come parlarne è un problema che ogni tanto mi pongo: quali sono i termini giusti, quali sono ormai anacronistici, quali sono quelli più adatti ed efficaci nei vari contesti in cui si discute?
Ieri mia nipote a tavola ci raccontava che delle sue compagne (fanno la prima media) le hanno detto che mentre erano in giro in paese si sono nascoste da un gruppo di loro coetanei perché hanno sentito dire che uno di loro voleva picchiare una di loro. Quanto ci sia di vero o di verosimile non è dato saperlo, ma già interrogarsi sulla veridicità anziché avere pronta una risposta pragmatica mi pare sia un torto a loro e a me stessa.
Io ne ho avuti compagni e compagne stupidi, a quell'età, e non dubito che ci possano essere anche peggiori livelli di stupidità -e cattiveria- di quelli che ho incontrato io. L'unica che mi abbia mai fatto sapere che mi voleva picchiare è stata una ragazzina che pensava le avessi rubato uno spasimante. I ragazzini invece avevano le mani lunghe per altre ragioni, non solo con me, e ricordo che in classe volavano calci e pugni per evitare di essere palpate a sorpresa durante l'intervallo. Di dire qualcosa a prof o genitori non ci è mai passato per la testa, però. Era una cosa da risolvere tra noi.
Quanto sarà cambiata l'adolescenza? Cosa dirle, cosa consigliarle? Minimizzare non mi sembra la strada giusta. Forse a tavola non si può fare molto di più, a parte suggerire che forse è il caso di fare qualche lezione di autodifesa.
Cosa vuol dire essere una ragazzina oggi, cosa vuol dire essere un ragazzino? Quali compromessi sono richiesti per far parte di un gruppo, per non litigare, per non farsi mettere i piedi in testa, per non perdere la faccia? Cosa vuol dire diventare adolescenti, diventare piccole donne e piccoli uomini? È inevitabile questa distinzione, prima di poter essere semplicemente persone?
Non so, la femminilità è in gran parte un mistero anche per me, così come la partecipazione all'educazione di una persona: non sono madre, né sorella maggiore, queste sono le prime nipoti che fanno davvero parte della mia vita e spesso vorrei avere più tempo per essere loro vicina.
Vederle crescere e sapere quello che so della condizione delle donne nel nostro mondo, nel nostro tempo, nella nostra cultura, mi mette molta tristezza e molta ansia. A fare un confronto con qualche decennio fa o con qualche zona del mondo poco distante, mi sale il morale, ma il progresso è comunque troppo poco, e subito arriva anche la rabbia, della fatica e della frustrazione di tutta la strada ancora da percorrere.
Resistiamo e speriamo bene.
10 notes · View notes
ellmick · 5 months ago
Text
Tumblr media Tumblr media
"[...]
E quanti e quali pensieri produca questa violazione non è dato di saperlo, ché rimpianto, solitudine, felicità, amore, amore, sono nient'altro che colpi di luce e ombra di una natura troppo viva per bastare a se stessa, e già morta su tela.
Qui c'è solo un'assurda resa di fronte a un destino in fieri che non ha un nome e, se mai ce l'avesse, non sarebbe nominabile.
Il mistero del riflesso, il contrasto fra dicibile e indicibile..."
4 notes · View notes
itslexkno-w-x · 4 years ago
Text
𝙸𝙸𝙸 𝚊𝚗𝚗𝚘, "𝘌𝘮𝘢𝘵𝘪𝘵𝘦"
Tumblr media
C: [...]Fra le mani ha una piccola scatolina scura, contornata da un nastro in velluto con su incise tre lettere: E.D.R. Ma la cosa che più potrebbe colpire Alexa, sono quei brillantini, che ormai sembrano far parte di lei, sparsi su occhi e sopracciglia. «Come stai?» Si affretterebbe quindi a chiederle, accomodandosi sotto gli archi
A: [...] L`attenzione, le ricade, ovviamente, sugli occhi sbrilluccicanti della corvonero «devo ancora decidere se quei cosi sono peggio del mio dubbio gusto in fatto di colori» e ce ne vuole, se ne sta anche prendendo consapevolezza «oppure se mi piacciono da morire e li voglio anch`io» nessuno gliel`ha chiesto, ma lei lo dice lo stesso. E, una volta le la compagna si è seduta accanto a lei, la sua infrenabile curiosità la porta, ovviamente, a chiederle «e che c`è in quella scatola?» precedendola addirittura sulla domanda del come stia. Insomma, prima le cose importanti e poi ci interessiamo di te. Gli occhi scuri, alla domanda, vanno ad alzarsi al suo viso «oh... io bene solo che... questo tempo del gramo, mi butta un po` giù» però poi scrolla la testa, perchè tanto lo sa che la terzina ci metterà davvero poco a farla riprendere dal cattivo umore «e tu, come stai?» e poi tornerebbe a puntare lo sguardo, colmo di curiosità, alla scatola che ancora tiene tra le mani
C: [...] «Sono bellissimi.» E il tono non ammette repliche. Ma quell’espressione contrariata svanisce con le stesse parole della coetanea, e la Corvonero s’apre finalmente in un sorriso. «Li vuoi? Te ne regalo un po’!» Un po’ eh, che altrimenti lei che cavolo si mette sugli occhi? L’attenzione di Alexa viene catturata dalla scatolina, e allora Cheryl mette su un sorrisetto furbo. Le braccia si allungano in avanti, mentre lei s’è già seduta, e con esse il pacchetto, che viene porto alla Knox. «È per te!» Ah, non s’era capito? Al suo interno, Alexa troverebbe un paio di orecchini dorati: da essi, pende una sorta di goccia, in ematite -una pietra scura, traslucida. Sono estremamente semplici, sebbene sia palese l’ottima fattura. «Ho fatto un articolo per l’Eco, sulle pietre e le loro proprietà... E ho pensato che questa ti si addicesse particolarmente.» La osserva con i suoi occhietti azzurri, quasi insistente, per carpire la reazione della compagna. Sempre nella scatolina, Alexa troverebbe un biglietto, con la calligrafia dalla ragazza, che recita:
“L’ematite è definita una pietra “cercatrice e trasformatrice” perché ci aiuta a identificare gli aspetti di noi stessi e della nostra vita che desideriamo cambiare. Infatti, questa bellissima pietra è conosciuta anche come “pietra del cambiamento”. Dona inoltre la forza necessaria per cercare dentro di sé le abilità necessarie per attuare tutte quelle “metamorfosi” che porteranno il nostro spirito creativo a livelli più alti.”
«Comunque tutto bene oggi! Dopo devo andare anche a studiare...» E quando mai. «Ti butta giù? Effettivamente è triste ma... Io ci sono abituata eh. Anche se in Grecia c’è seeeeempre il sole.» Forse perché ci va d’Agosto? Non è dato saperlo
A: [...] Alla proposta sul ricevere dei brillantini in regalo, sembra rifletterci qualche secondo «mh... a me piacciono i glitter però... non lo so, facciamo che in questi giorni me li provi!» si lascia convincere, chissà, magari le stanno pure bene. Finalmente il mistero del pacchetto viene svelato «ma... che dici?» gli occhietti le si illuminano mentre quello le viene porto, e ispeziona curiosamente la scatolina «che significa...» assottigliando un po` lo sguardo per leggere bene «E.D.R?» per poi alzare lo sguardo verso di lei mentre, al contempo, fa per slacciare il nastro in velluto con la destra. Poi, una volta aperta la scatolina, si ritrova davanti quel paio di pendenti che, se fosse in piedi, la farebbero saltare di gioia «ma... sono bellissimi!» lo sguardo si sposta da quelli all`amica, che si vedrà gettare le braccia al collo ancor prima di poter iniziare con la sua spiegazione «grazie, grazie, grazie» e niente, probabilmente entreranno a far parte dell`outfit completo assieme alla collanina di Natale, che è anche attualmente nascosta sotto gli strati di vestiti. E mentre lei inizia con la spiegazione, lei si sta già togliendo i pendenti con le pietre gialle che osserverebbe per qualche attimo tra le sue mani, un po` dubbiosa «mi sa che era anche arrivato il momento... di smettere di indossarli» qui sembra, in verità, un po` malinconica nell`affermare la cosa, ma scuote la testa e li ripone, con assoluta cautela, in un taschino interno della borsa. Potrebbe sembrare poco, ma togliersi quegli orecchini è stato un gesto non indifferente. Intanto, mentre prima osserva i nuovi vedendoseli dondolare afferrati tra l`indice e il pollice, per poi indossarli, prende poi in mano il biglietto che le fa storcere un po` il naso per la precisione azzeccatissima in questo preciso momento della sua vita. In realtà, non ne ha ancora parlato ad anima viva, quindi quasi la inquieta il significato delle pietre che al momento le pendono dai lobi e, una volta alzato lo sguardo dal foglietto e puntatolo sulla corvonero, deglutisce per scrollarsi per quella sensazione di dosso e asserisce per sdrammatizzare «stai cercando di dirmi che devo cambiare e non ti vado bene così?» e mettiamo su il finto broncio con tanto di braccia incrociate al petto «guarda che bastava dirmelo, eh, mica dovevi lusingarmi con un regalo» però poi farsi scappare una risata è più forte di lei, pur sperando che la compagna non abbia intravisto alcuna cosa strana nella sua reazione. «mi piacciono tantissimo, davvero» chiude la scatola e poi allunga una manina, che tenterebbe di appoggiare sulla sua mentre le sorride, lo sguardo colmo di gratitudine. All`affermazione successiva, non può far altro che roteare gli occhi «cioè TU» proprio tu «STUDI» davvero? «di VENERDI`?» sacrilegio, insomma «certo che ne hai di coraggio» ed è già la seconda cosa per cui glielo fai pensare oggi, e il mal tempo è una di quelle «bene, allora» conseguentemente alla sua affermazione «da grande voglio vivere in Grecia, così non devo più vedere queste brutte nuvolacce!» non le è poi passato del tutto l`astio verso la giornata
9 notes · View notes
perilleonedisanmarco · 4 years ago
Note
Musical Au? 🥺💞
/ Mi son persa nella parte "pre carriera", quindi alla fine è più un mix di tutto quello che il cretino ha fatto prima di sbarcare sulla scena dei musical.
Per scusarmi, piccola gif da "Billy Elliot", parte che *SPOILERMAANCHENO* baby Marco non ha mai ottenuto
Tumblr media
INIZI:
- La prima a credere che Marco potesse avere qualche speranza inseguendo una carriera musicale è una suorina giovane, appena arrivata in paese, ultimo acquisto della parrocchia e maestra del coro dei bimbi. Dopo aver sentito cantare un Marcolino svogliato di sette anni / CAPITELO, lo avevano obbligato / alle prove per la vigilia della Santa Messa di Natale, ha pensato di proporre timidamente di fargli studiare musica ai genitori.
- Benché orgogliosi, non ne erano comunque troppo convinti, per via dei costi. La famiglia di Marco gestisce un allevamento di cavalli e cercano sempre di risparmiare per poter ingrandire piano piano l'attività. C'è voluto un bel po' per far sì che lo iscrivessero ad una scuola di musica di un paese vicino.
- Marco ha cominciato studiando solfeggio, che odiava, pianoforte e canto. Peccato che farlo stare fermo era alquanto impossibile: hanno provato a cambiare diversi insegnanti privati, ma è sempre stato tutto inutile. Il bimbo aveva bisogno di muoversi in continuazione, il che non aiutava nel rendimento.
- Si è allora proposto di fargli fare qualche sport per farlo sfogare. Marco è stato quindi iscritto ad otto anni, senza saperlo, ad un corso di danza classica su consiglio dell'insegnante di canto, che voleva ricavarne un attore di musical.
- Si preventivava un disastro ed invece, stranamente, Marco è rimasto ipnotizzato dal ballo. Ha iniziato ad esercitarsi ovunque, anche quando insisteva per aiutare il padre con l'allevamento. Inutile dire che hanno urlato tutti al miracolo, ancor di più quando Marco ha annunciato di voler fare il provino per la parte di Billy Elliot nel musical della scuola di ballo.
- Per la parte, Marco si è impegnato per mesi nel tentativo di ottenerla. È stata quindi una delusione enorme scoprire che avevano scelto un altro bimbo al posto suo, talmente grande che ha mollato la danza per tornare a studiare canto e piano. Nel frattempo si è iscritto a rugby.
ADOLESCENZA:
- Trascorsi 3/4 anni, Marco ci è ricascato ed ha avvertito il bisogno di tornare a danzare. Si è quindi iscritto nuovamente in una scuola di danza con lo scopo di migliorare.
- Per questo, è riuscito a convincere i genitori a farlo andare a Milano da uno zio per poter frequentare la Scuola di Ballo della Scala, frequentando così anche un liceo coreutico.
- È alla Scuola che incontra Alessandro, Rosa e Giorgia, anche loro lì per sbarcare nel mondo della danza. Nessuno ha ancora capito come abbiano legato questi quattro, visto che l'unica con cui Marco sembra andare più o meno d'accordo è Rosa.
- Controllare gli ormoni è stata la cosa più difficile durante quegli anni. Non lo aiuta il fatto di trovare un po' troppo attraenti non solo i tutù, ma anche le calzamaglie. Un po' troppo le calzamaglie.
- La cosa lo ha messo a disagio non poco perché lui tutto voleva che cadere nello stereotipo ballerino = gay, ma c'è qualcosa di fin troppo eccitante nel vederle fasciare i corpi dei suoi colleghi maschili. Il problema è che li fissa in continuazione, non ce la fa a smettere e managgia, non è il caso, è giovane, il suo corpo non lo controlla mica così facilmente!
- Si è sentito talmente confuso che per mesi si è messo apposta a corteggiare ogni singola ballerina della scuola e si è accorto che le donne gli piacciono tantissimo, la sua compagna di classe al liceo, Maria, in particolare lo attrae molto e ci è uscito più volte, l'ha anche baciata e tutto ma allora perché continua a sognarsi Sandrino che balla in calzamaglia in camera sua?!
- La sua compagna fissa di ballo è Giorgia. Quando è stata comunicata la notizia, la prima reazione di Marco è stato ridere ed urlare"Con la nana?!" È tornato a casa con un livido in testa dato dalle scarpette da punta della ragazza. Va a finire che, non si sa come, diventano praticamente migliori amici.
- La cosa che preferisce fare sono le prese. Gli piace tantissimo poter sollevare la sua compagna e farla girare, lo fa sentire più leggero.
- Il suo balletto preferito è la "Coppélia" che gli fa anche capire di dare ascolto ai suoi desideri, iscrivendosi così ad un corso serio di teatro: vuole provare a calcare le scene non solo come ballerino, ma anche come attore e cantante.
VARIE ED EVENTUALI:
- Nonostante i molti sforzi non riesce a sfondare sulla scena internazionale, per cui si unisce ad una compagnia indipendente italiana che realizza musical ispirati alla letteratura, girando per le scuole. Scopre che la cosa lo gratifica molto perché può interagire con bambini e ragazzi.
- I complessi ovviamente, ad un certo punto, se li è fatti passare. Ha scoperto che la sua cotta per Alessandro era tutto tranne che un mistero, grazie a Rosa e ha provato a riprendere i contatti anche con lui, visto che è quello che sente meno. Almeno ora si spiega le battute continue di Rosa e Giorgia. Della prima, soprattutto.
- Ultima cosa, ma non meno importante, mi immagino Marco con una voce da baritono.
13 notes · View notes
weirdesplinder · 4 years ago
Text
SERIE TV di NETFLIX che vi consiglio di guardare:
Naturalmente questi consigli sono del tutto soggettivi e guidati dal mio gusto eterogeneo, ma dato il vasto catalogo Netflix, magari questi  suggerimenti potrebbero esservi d’aiuto:
Tumblr media
ALICE IN BORDERLAND
Tratto da un famoso manga giapponese.
Trama:  Un appassionato di videogiochi e i suoi due migliori amici si ritrovano improvvisamente catapultati in una Tokyo parallela – se in un altro mondo o in una realtà virtuale aumentata non è dato saperlo –  desolata e vuota. Per sopravvivere a questo strano mondo, Arisu deve affrontare le difficili prove di un pericoloso survival game. Se vinci guadagni giorni di vita, se perdi o scegli di non giocare muori. Ben presto i ragazzi si rendono conto di quanto sono disposti a fare e sacrificare pur di sopravvivere. Ma Arisu è deciso a scoprire chi è il gamemaster dietro a questo diabolico gioco. Che significato hanno le carte da gioco che i vincitori delle prove guadagnano? Quante persone come lui sono intrappolate in quell’incubo?
Perchè guardarla: La prima stagione mi è piaciuta un sacco, mi ha ricordato un poco Battle royale e The Hunger games, ma con un tocco di Ready player one e Matrix nel mezzo. I giochi non sono ripetitivi e il tutto scorre in modo molto veloce e avvincente. Certo è un poco cruento, siete avvertiti e come in Games of thrones non è il caso di affezionarsi troppo ai personaggi.
I BRIDGERTON
Serie tv tratta dalla serie omonima di otto libri romance dell’autrice Julia Quinn dedicata ad una grande e simpatica famiglia formata da una madre, quattro figli maschi e quattro figlie femmine, tutti da maritare. La serie è ambientata a Londra, a partire dall'anno 1813 e ogni libro vede come protagonista uno dei figli che trova l’amore. La prima stagione del telefilm prende spunto da primo libro della serie, Il duca ed io (Titolo originale: The Duke and I).
Trama: Implacabilmente perseguitato dalle madri della buona società indaffarate a combinare matrimoni per la loro prole, Simon Bassett, il bel duca di Hastings, è stanco di essere cacciato. E altrettanto stanca è anche Daphne Bridgerton, la cui madre è assolutamente decisa a trovare alla figlia il marito perfetto. Né Simon né Daphne sono felici di questa sgradevole situazione, ed entrambi darebbero qualunque cosa per un po’ di pace e di tranquillità. Il loro desiderio di prendersi una tregua dal mercato matrimoniale del ton li porta a fingere di fidanzarsi - ma il loro piano è minacciato dal sospettoso fratello maggiore di Daphne, che guarda caso sa molto bene quanto Simon ci sappia fare con le donne. I due non hanno però previsto che l’attrazione reciproca li porterà proprio a quello che avevano deciso di evitare - e cioè al matrimonio. Ma Simon teme che il suo doloroso passato possa impedirgli di riuscire ad amare davvero. E Daphne, benché lo ami profondamente, è decisa a non accettare niente di meno del suo cuore…
Perché guardarla: se avete voglia di romanticismo e passione (attenzione contine scene hot sieteavvertiti), unito a ironia e bei costumi. Io personalmente l’ho guardato perchè amo i libri da cui è tratto e il genere romance storico. Non è una serie esente da difetti (in primis certe acconciature), ma se non vi infastidisce l’inesattezza storica sarà piacevole guardarla.   
  THE WITCHER
Serie di Netflix tratta dai libri di Andrzej Sapkowski. In particolare, la prima stagione formata da otto episodi è tratta dal libro The last wish in Italia diventato Il guardiano degli innocenti, che è una raccolta di sette racconti brevi.
Trama: Geralt è un witcher, un individuo più forte e resistente di qualsiasi essere umano, e si guadagna da vivere uccidendo quelle creature che sgomentano anche i più audaci: demoni, orchi, elfi malvagi… Strappato alla sua famiglia quand'era soltanto un bambino, Geralt è stato sottoposto a un durissimo addestramento, durante il quale gli sono state somministrate erbe e pozioni che lo hanno mutato profondamente. Non esiste guerriero capace di batterlo e le stesse persone che lo assoldano hanno paura di lui. Lo considerano un male necessario, un mercenario da pagare per i suoi servigi e di cui sbarazzarsi il più in fretta possibile. Anche Geralt, però, ha imparato a non fidarsi degli uomini: molti di loro nascondono decisioni spietate sotto la menzogna del bene comune o diffondono ignobili superstizioni per giustificare i loro misfatti. Spesso si rivelano peggiori dei mostri ai quali lui dà la caccia.
Perchè guardarla: se amate il fantasy e cercate qualcosa di avvincente e pieno di azione, magia, intrighi e mostri questo fa senza dubbio per voi. Inoltre è stata costruita molto bene, intreccia tre linee temporali diverse contemporaneamente per poi riunirle in uno stupendo finale. E il protagonista è assai attraente.
 STRANGER THINGS
Trama: Anni ’80, la scomparsa di un ragazzino in una cittadina americana porta alla luce un mistero in cui si mescolano esperimenti segreti, spaventose forze soprannaturali e una strana bambina.
Perchè guardarla: perchè è una serie stupenda con una sceneggiatura stupenda, cosa rarissima di questi tempi. Se siete nostalgici degli anni ‘80 non potete perdervela, come anche se siete fan del film Goonies (a cui si ispira molto) o di Indiana Jones. Ironica, fresca, innovativa e mai banale. Assolutamente da guardare.
 DIRK GENTLY’S AGENZIA INVESTIGATIVA OLISTICA
Liberamente tratta dalla serie omonima di libri di Douglas Adams, già autore della Guida galattica per gli autostoppisti.
Trama: Il protagonista è Dirk Gently, che insieme con altre persone dotate di strani poteri (vedi xmen o simili) in passato era stato catturato da un’agenzia governativa che aveva cercato di sfruttare i loro poteri ma erano poteri così strani che non ci erano riusciti neppure loro… (ma questo viene sviscerato meglio nella seconda stagione). Il suo potere se così lo possiamo chiamare è il fatto di trovarsi sempre nel posto giusto per essere coinvolto in questi strani accadimenti soprannaturali o non normali, non per capirli intendiamoci o risolverli, ma vi partecipa, è come se li attirasse a sè, e ha imparato a capire che tutto è collegato.
Perchè guardarla: perchè non è uguale a nessun altra serie. I livelli di assurdo che raggiunge sono alti siete avvertiti, eppure alla fine tutto torna. Se non vi spaventano le cose strane e inspiegabili e amate i rompicapi in stile Sherlock Holmes credo l’amerete, ma solo se non cercherete logica in tutto questo. Perchè non c’è. Da guardare se amate l’ionia ma quella senza senso apparente, e vi piacciono le cose alternative ed innovative.
 SANTA CLARITA DIET
Trama: Joel e Sheila Hammond coppia sposata da ventanni ed entrambi agenti immobiliari, conducono una vita quasi noiosa in un quartiere bene di Los Angeles con la figlia adolescente Abby, fino a quando Sheila non diventa uno zombie a causa di alcune vongole che ha mangiato. Questa stravolge le loro esistenze, ma nonostante tutto la famiglia è decisa a rimanere unita e a superare gli ostacoli che le si parano davanti, dalla dieta umana di Sheila, agli omicidi, ai vicini poliziotti troppo curiosi… Perchè nonostante tutto si vogliono bene come prima.
Perchè guardarla: per ridere a crepapelle, seppure si tatti a volte di humor nero, ma sempre sfumato di rosa, perchè l’amore è sempre presente, amore per il proprio coniuge e per la propria famiglia. L’ho trovata fresca e innovativa, finalmente degli zonbie che non spaventano più di tanto e sono molto umani.. Immaginate Desperate housewives che incontra The walking dead, per intenderci, e gli attori sono tutti molto bravi.
 GOOD GIRLS
Trama: Tre madri di provincia organizzano una rapina in un supermercato per sfuggire ai problemi economici e conquistare insieme l'indipendenza. Tuttavia, non sanno ancora che anche il mondo del crimine ha le sue regole.
Perchè guardarla: se avete amato Desperate housewives non potrete non apprezzzarla. Ironica e dissacrante questa serie pur avendo anche azione e passione al suo interno, ha al centro il concetto di cosa significa essere buoni o essere cattivi. Essere onesti è prova di bontà? Quali limiti si è disposti a superare per i propri cari? Le protagoniste se lo chiedereanno spesso e dovranno imparare a pagare le conseguenze delle loro azioni, perchè non si può entrare nel mondo del crimine mantenendo le mani pulite.
 ORPHAN BLACK (CON RISERVE)
Trama: Dopo aver assistito al suicidio di una donna che le somiglia come una goccia d'acqua, Sarah ne assume l'identità e scopre un mondo di segreti.
Perchè guardarla: se siete in cerca di una serie scifi che merita di essere guardata, questa lo è. L’idea di partenza, la clonazione umana, non è trattata da molti telefilm, e inoltre l’atttrice protagonista che ricopre il ruolo di tutti i cloni femminili è molto brava.   Unica riserva, dopo un po’ la serie tende a ripetersi, ma non è così lunga da annoiare.
 ALTERED CARBON (CON RISERVE)
Il telefilm è tratto dal libro omonimo di Richard Morgan.
Trama: In un futuro tecnologicamente avanzato ma moralmente corrotto, e assai simile al nostro presente, dato che le pulsioni degli esseri umani attraversano, immutate, anche i cambiamenti più radicali, è stata creata una tecnologia per digitalizzare la propria coscienza e trasferirla in un altro corpo, come avviene per Takeshi Kovacs, un ex soldato che si ritrova suo malgrado in un corpo «nuovo» a Bay City – una metropoli in piena decadenza, in mano a politici arroganti e spacciatori di droghe sintetiche – per far luce su un omicidio. Le indagini lo trascinano nei meccanismi perversi di una società che ha snaturato il senso della vita e della morte, una società per cui gli individui sono solo pedine in un gioco condotto da chi si può permettere l'immortalità…  
Perchè guardarla: per l’ambientazione futuristica senza dubbio, è veramente ben realizzata, e gli attori sono molto bravi, inoltre la prima stagione è volutamente costruita come un indagine gialla classica e ho apprezzato la dicotomia tra la figura del vecchio investigatore privato, e di un futuro così estremo e buio. L a seconda stagione invece non mi ha convinto.
 STAR TREK DISCOVERY (CON RISERVE)
Trama: ambientata nell’universo di star Trek dieci anni prima degli eventi della serie originale del 1966 questa serie narra le avventure della nave spaziale della Federazione USS Discovery e del suo equipaggio che si troverà nel bel mezzo di una guerra fredda tra la bellicosa razza Klingon e la Federazione Unita dei Pianeti, innescata dopo un secolo di inattività.
Perchè guardarla: se siete fan di Star trek come me non potete non guardarla, anche se credo contenga la protagonista più antipatica di tutti i telefilm di Star trek. Ma se riuscirete a superare il fatto che la nave spaziale protagonista non è l’Enterprise, i Klingon non sembrano i Klingon, e una prima metà della prima stagione alquanto confusa e spiazzante, la seconda metà è molto intrigante e con colpi di scena, grazie a un capitano che salva la mediocrità della protagonista. La seconda stagione poi viene salvata dal fatto di non avere quasi una trama dall’attore che interpreta il capitano Pike e dalla comparsa di Spock. La terza stagione è insalvabile non guardatela.
Onorevole menzione:
Non essendo una serie, ma solo una miniserie, non l’ho potuta mettere nei consigli sopra, ma devo citarla.
LA REGINA DEGLI SCACCHI
Tratta dall’omonimo romanzo del 1983 di Walter Tevis.
Trama: La serie esplora la vita di una bambina prodigio degli scacchi, orfana, di nome Beth Harmon, seguendo le sue vicissitudini dall'età di otto ai ventidue anni, mentre lotta contro la dipendenza da alcol e psicofarmaci nel tentativo di diventare grande maestro di scacchi.
Perchè guardarla: Perchè è sceneggiata benissimo, e sono riusciti a rendere  avvincenti anche le partite a scacchi.
2 notes · View notes
giovanna-dark · 5 years ago
Text
Ho fede. Una fede senza oggetto. Questo non significa che non creda in Cristo. Credere è bello nel senso assoluto del termine. La fede è una attitudine e non un contratto. Non ci sono caselle da barrare. Come sappiamo di avere fede? è come per l’amore, lo sappiamo e basta. Non abbiamo bisogno di alcuna riflessione per determinarlo. Nel repertorio del gospel c’è una frase “And then I saw her face, yes I’m a believer” che mostra esattamente come fede e innamoramento si somiglino: vediamo un volto e all’improvviso tutto cambia. Non abbiamo neppure contemplato quel volto, lo abbiamo appena intravisto. Bisogna accettare questo mistero: non poter sapere cosa vedono gli altri nel nostro volto. Ma c’è una contropartita altrettando misteriosa: mi guardo allo specchio. Ciò che vedo nel mio volto a nessuno è dato saperlo. Questa si chiama solitudine.
7 notes · View notes
Photo
Tumblr media
Incontri che lasciano il segno - Parte 1
È un giorno come un altro nella Grande Mela; seppur Taehyung si trovi negli Stati Uniti per lavoro, il giovane artista non si è trattenuto dal ritagliarsi del tempo per sé stesso. Ha chiesto al suo manager di accompagnarlo al MoMA, il principale museo moderno del mondo, nella speranza di poter sfruttare al massimo la sua permanenza in suolo americano. Perché non importa quante volte ci sia già stato: è sempre pronto ad osservare con occhi nuovi, più maturi e critici tutta l’arte che lo circonda.  Si trova al quinto piano; Dipinti e Sculture. Di fronte a sé uno di quei quadri che più frequentemente cattura la curiosità dei turisti sta appropriandosi dell’attenzione del ragazzo, intrappolando i suoi occhi grandi e brillanti nel famoso vortice di pennellate azzurre della Notte Stellata.  Immerso com’è nell’opera, non si accorge nemmeno dell’inusuale desolazione del museo, anzi. Quella rara quiete lo spinge ulteriormente tra le braccia di quella luna che sembra essere così calda se comparata allo spettro cromatico del dipinto. L’idea del suo manager che lo aspetta nell’area cafè non gli mette fretta, onestamente. Sa che in realtà gli sta lasciando lo spazio di cui ha bisogno per ricaricare le batterie e ne è molto grato. Ciò che invece riesce a sfilarlo pian piano dalla stretta di Madre Arte è la figura di una donna che si trova alla parete adiacente alla sua. Una ragazza vestita da donna, si corregge mentalmente. La sua postura, i capelli raccolti, gli abiti tanto formali da sembrare quasi un’uniforme, la tracolla in cuoio che sembra aver visto molte generazioni prima della sua: tutto sembra voler raccontare una storia più antica della reale età. E Taehyung adora le storie; lo riporta ai tempi in cui sua nonna era ancora lì con lui per raccontargliele.  La nuca scoperta dall’acconciatura rivela una pelle bianca ma sofferente; un lieve rossore sembra volersi arrampicare fin laggiù, il che porta lo sguardo di Taehyung alla radice del problema. Non reggerà ancora per molto, pensa soffermandosi sulla spilla da balia che con ben poche aspettative teneva assieme i pezzi della borsa. Era un rimedio dell’ultimo secondo, un piccolo cerotto su una ferita che necessitava dei punti di sutura; ma questo lui non poteva saperlo. Spinto a compassione, Taehyung lascia il padiglione per raggiungere le scale e salire di un altro piano, anche questo reso vivo da più personale che visitatori, per fare poi ritorno nell’ala dei dipinti una manciata di minuti dopo. È convinto di trovarla ancora lì; ha come l’impressione che siano simili sotto quel punto di vista.
“Tieni” trova il coraggio di dire dopo averla affiancata. Nella mano tiene una borsa di tela con sopra stampata l’opera di Van Gogh ed il logo del museo. La ragazza posa dapprima lo sguardo sulla mano tesa per poi alternarlo al viso delicato ma dagli occhi che ha come l’impressione possano diventare taglienti da un momento all’altro, a tradimento. Emette un’aura del genere.  “Ho notato la tua borsa, prima. Ci devi tenere dentro molti libri.” Azzarda ad ipotizzare sia una studentessa di qualche università privata, forse cattolica. Non è un grande fan degli stereotipi ma qualcosa in lui lo spinge ad investigare. “In verità è tutto peso del mio lavoro” replica lei accettando il premuroso dono. Non si sbilancia con ringraziamenti palesi o verbali, semplicemente accetta la borsa con un calmo sorriso gentile. “Vieni spesso qui?” chiede lei sfilandosi la tracolla dalla spalla e passandola a Taehyung che, colto alla sprovvista, si ritrova a reggere la vecchia borsa cadente mentre tenta di non dare a vedere la sua sorpresa.  “Ogni volta che posso” le confessa reggendo con entrambe le mani l’oggetto. La vede aprire la borsa di tela ed incoraggiarlo ad infilarne lì la vecchia e così fa. Certamente è più comodo che trasferire ogni singolo oggetto da una all’altra. Sembra esserci abituata. “Quindi sei un esperto” suppone la giovane riprendendo in spalla la matrioska di borse. “Se vieni qui ogni volta che puoi e sai come raggiungere il negozio senza guardarti intorno né consultare la mappa, allora devi davvero sapere tutto di questo posto.“ “Non sono un esperto. Direi più… un appassionato frequentatore.” E sta davvero scegliendo di non soffermarsi sul dato principale dell’intera faccenda: come fa a sapere quanto tempo ci abbia messo a trovare il negozio? Che lo stesse osservando ancora prima che lui potesse accorgersi di lei? E se l’avesse riconosciuto?  Ma le ore passate nel museo lo hanno reso un’uomo più rilassato e gli hanno fatto abbassare la guardia. O forse il fascino che quella ragazza sta inspiegabilmente esercitando su di lui sta in realtà conducendo l’intero gioco, esattamente come se lui fosse l’ammaliato marinaio e lei un’incantevole ed imprevedibile sirena.  “Mi prendo il tempo necessario per osservare tutte le opere e-” “Quindi tu hai visto tutte le opere del museo?” viene interrotto da quell’intervento che Taehyung mal interpreta come ammirazione. “Beh, sì” conferma alzando le spalle. “Non vado mai via prima di averle viste tutte, anche se per pochi secondi.”  Non sa bene cosa lo abbia portato a dire quelle cose, non ha intenzione di vantarsi o risultare arrogante ma, alla fin fine, riesce a trovare una giustificazione per le proprie parole: non ha mentito per fare una bella figura -qualsiasi cosa questo significhi- ma ha semplicemente riportato i fatti. Non a caso il suo manager era pronto ad una pausa caffè lunga ore. “Scommetto invece che te ne sia sfuggita una.” “Come, scusa?” replica cortese. “No, non è possibile. Ho stampato l’elenco di tutte le opere presenti in questo museo, lista scaricabile dal sito ufficiale” puntualizza con un tono saccente da primo della classe. “Non posso aver saltato qualcosa. Vedi?” dice recuperando il foglio dalla tasca della giacca di jeans. “Ho la spunta accanto a tutto.” E mentre il suo dito scorre sulla pagina, seguito a ruota dallo sguardo attento del giovane, sulle labbra dell’ipotetica studentessa si modella come creta fresca un sorrisetto sottile. “Seguimi” lo incita con semplicità disarmante ignorando il suo cartaceo frutto di accurate ricerche. A questo punto non può tirarsi indietro. La segue lungo l’intero quinto piano, le resta a due gradini di distanza per le scale e si assicura di voltare il capo in ogni direzione una volta raggiunto il secondo livello, alla disperata ricerca di quel fantomatico qualcosa che lei sostiene si sia perso durante il tour. Niente. Quando la sconosciuta si ferma davanti ad una stanza con le mani legate dietro la schiena, Taehyung capisce che è lì che è nascosta la risposta.  “Ma... questa è Gowda.” Lo dice con ovvietà ma è molto confuso dal tutto. O forse è solo deluso. Si aspettava di doversi inoltrare in chissà quali anfratti del museo, scoprire di segrete nicchie o nascosti angoli con opere delle dimensioni di un tappo di bottiglia o roba del genere. E invece l’aveva portato davanti ad una delle più gigantesche, ben esposte e facili opere da trovare. Non riesce a capire. Ci dev’essere qualcosa che gli sfugge, ne è sicuro. “È l’ambiente costruito con elementi provenienti da case demolite a causa della modernizzazione nella sua terra natia.” “Qualcuno ha davvero fatto i compiti.” replica alla breve quanto coincisa descrizione senza mostrarsi particolarmente colpita. Di nuovo. “Io però mi riferivo ad altro.” Così dicendo si inoltra nella scena, supera stipiti, infissi di finestre e tavole di legno e conduce Taehyung davanti al soggetto di tanto mistero. “Un estintore.” Lo deve ammettere, se non fosse sotto l’effetto di chissà quale inspiegabile stregoneria che lo porta a gravitare attorno a lei, a quest’ora l’avrebbe già considerata una svitata; una di quelle personalità così fuori di testa da vedere cose anche laddove non ce ne siano. “È dunque questo il tuo occhio analitico da critico d’arte?” Commenta sarcastica. Qualcosa nella sua espressione suggerisce a Taehyung che quello fosse il suo di modo per manifestare la propria di delusione, proprio come lui poco prima aveva utilizzato il tono piatto nella sua voce in due semplici parole. N’è infastidito, in tutta franchezza. Tra i due quello ad avere più motivi per essere deluso non è certamente lei! In più si permette il lusso di giudicarlo? È una situazione davvero frustrante per l’artista. “Non c’è nulla da... analizzare. È solo un comune estintore. Tutti gli edifici devono averne almeno uno per una questione di sicurezza. E sono certo che in luoghi come i musei ce ne siano almeno dieci per piano. E questo è solo uno dei tanti. Non c’è nulla qui che faccia pensare sia nient’altro di diverso: non è equamente distante dalle altre opere, non è in un punto ben illuminato, non ci sono linee di fermo sul pavimento, non ha una targhetta con il titolo o il nome dell’artista, non è sul sito.” ribadisce irritato infine percependo le briglie della magica attrazione cominciare la frenata. “Hai presente gli stereogrammi?” La sente dire di punto in bianco in quello che interpreta come un disperato tentativo di cambiare discorso. “A volte ci vuole un po’ di tempo e pazienza in più per arrivare a vederci le immagini che nascondono. Guarda meglio: una targhetta c’è, dopotutto.” Lo incoraggia indicando il pezzo di carta legato al collo dell’estintore. Non sa perché lo stia facendo, perché stia continuando ad assecondarla ma segue il suo suggerimento e si sporge verso l’oggetto focalizzandosi sul foglietto. “ ‘Questo estintore è stato revisionato come richiesto dal codice antincendio di New York City 906.2.1.2.’.” “C’è altro?” “ ‘Ultima ispezione: 11 marzo’.” prosegue. “Effettuata da?” “Arthur H.” “Adesso hai un nome.” rivela l’improvvisata guida passando la borsa da una spalla all’altra, non sapendo quanto le sue ultime considerazioni l’avessero messo in una posizione di attacco. Ecco la goccia che ha fatto traboccare il vaso della sua pazienza; non ha più voglia di farsi prendere in giro come un idiota. “Ma questo non significa nulla! Potrebbe perfettamente essere un normalis-” “Arthur Hidalgo-Jiménez.” lo sovrasta con la voce interrompendo la sua sterile polemica. “Arturo, in realtà.” si corregge azzeccando perfettamente i suoni caldi e spigolosi della lingua latina. “È uno dei rappresentanti più emblematici delle correnti concettuali nell’arte della seconda metà del Novecento. La sua è un’arte che si muove lungo percorsi del tutto inediti, fondendo in maniera totale la sua esistenza con il suo essere artista. Jiménez è l’espressione più radicale dell’intellettuale che cerca di rinascere da un passato ingombrante. Figlio unico di immigrati portoricani, inventa il concetto della scultura sociale, capace di condurre ad una società più corretta; pensa che ogni uomo sia un artista e che se ciascuno utilizzasse la propria creatività, allora saremmo tutti esseri liberi. L’11 marzo è il giorno in cui i suoi genitori arrivarono negli Stati Uniti e 906212 è il numero della barcone su cui viaggiavano. È stato lui stesso a richiedere che la sua opera fosse messa a caso nel museo, senza una particolare luce o alcun pannello appeso al muro con la sua storia in bella vista. Voleva far arrivare gli osservatori alla più grande delle verità: tutto è arte se si hanno gli occhi per ammirarla. Arturo non era nessuno prima di diventare un artista, non sentiva di avere spiccate abilità nel disegno, nella pittura o nella scultura ma voleva comunque trasmettere qualcosa; aveva un messaggio da mandare a tutti coloro i quali non hanno mai creduto in sé stessi, a chi ha ricevuto solo porte in faccia, a chi non ci ha nemmeno mai provato per paura di fallire. Adesso pensi di riuscire a dirmi perché credi abbia scelto proprio un estintore?” “Perché spegne il fuoco. Potrebbe… essere il simbolo della società odierna che con cinismo soffoca le fiamme degli artisti emergenti o di chiunque cerchi di brillare, degradandoli a qualcosa di totalmente ordinario. Perché, se messo in un museo, nessuno avrebbe fatto caso a lui. Nessuno l’avrebbe considerato un vero pezzo d’arte.” “Se non qualcuno con gli occhi aperti ad essa. È facile trovare approvazione e supporto quando si è già qualcuno. Ma quanto è difficile arrivare a quel punto? Partire dall’essere nessuno e trovare quel qualcuno disposto a spendere quel minuto in più pur di vedere l’arte per quella che è e non per quello che dovrebbe essere secondo l’opinione pubblica.” Si sente così superficiale e stupido. Ogni parola che la ragazza gli rivolge sembra prenderlo a pugni nello stomaco, risvegliando uno strano mix di emozioni in lui. Prova un senso di vergogna, è deluso da sé stesso: da quand’è che ha smesso di apprezzare l’arte, farlo per davvero, coglierla in ogni cosa? Allo stesso tempo però quel discorso lo fa sentire paradossalmente meglio. Se dovesse paragonare quella sensazione a qualcosa, la descriverebbe come quando si tira via un dente cariato: si é in uno stato di dolore dormiente fino a quanto non comincia far male, tanto, per via di qualcosa. L’unico modo per stare meglio é estrarlo; un dolore che porta però al sollievo. Si sente così. Subito dopo arriva il processo di immedesimazione, come accade con i testi delle canzoni. Fa di quelle frasi delle strofe che rende sue, in quanto applicabili alla sua vita in tutto e per tutto. Non é sicuro lei sappia del suo lavoro, di cosa faccia per vivere, ma in fondo non gli importa. Trasforma il suo discorso in musica che starebbe ad ascoltare per ore. Con cuore e mente in tempesta, Taehyung é troppo occupato per badare alla sua espressione, la quale sembra essere fissa -e dunque imbambolata- sul viso della ragazza da un po’ ormai. Ed é costretto a rimangiarsi tutto: l’avrebbe seguita ovunque, anche se avesse deciso di mostrargli un tubo di scappamento nel bel mezzo di una mostra d’auto d’epoca. Perché ne é ammaliato. Troppo timido ed insicuro per dire innamorato.  “Goditi il museo” lo risveglia bruscamente dai suoi pensieri la giovane donna dopo un breve attimo di silenzio. “Te ne vai?” Domanda con voce quasi infantile non disturbandosi nemmeno di mascherarne la delusione.  “Ho del lavoro da fare” spiega in breve tornando a far balzare sulla spalla la nuova borsa piena, per l’appunto, di materiale. “Sono sicura che saprai goderti il giro, anche senza la lista.” La vede finalmente sbilanciarsi in un sorriso che sembra più genuino che beffardo, seppur nella maniera più cordiale possibile. “Ti auguro una buona giornata, appassionato frequentatore.” Esce di scena così, di punto in bianco, lasciando spiazzato il giovane. Ricordava sul serio tutto ciò che aveva detto, parola per parola? Deve essere una attenta ascoltatrice, pensa sempre più ammaliato. Taehyung si volta per vederla andare via, troppo scombussolato per realizzare quanto successo. Perde il contatto visivo con la sua classica quanto eccentrica figura quando svolta nel corridoio. Se si concentra riesce addirittura ad ascoltare i suoi passi, scendere per le scale. È tutto cosi’ surreale, come quel silenzio in cui lo ha lasciato. Non gli ho chiesto nemmeno il suo nome, realizza tra sé e sé. È rimasto davanti alla rossa scultura per altri quindici minuti buoni dopo la loro separazione nel tentativo di recuperare il tempo perso, di riconnettere i pensieri. E non mi ha nemmeno detto grazie... apertamente, aggiunge. Ma la cosa lo fa sorridere.  Tira fuori dalla tasca il suo cellulare, apre la fotocamera e mette a fuoco l’estintore, scattandone una foto per poi pubblicarla su Twitter. Non ci mette nessuna didascalia, descrizione o emoji, la posta e basta sotto l’hashtag ‘TaeTae’ perché si sente più Kim Taehyung che V, ora come ora.  Sulla via verso la caffetteria, continua ad usare il cellulare, questa volta per cercare su Google qualche informazione in più su Arthur Hidalgo-Jiménez. Gli unici risultati che vengono fuori sono un paio di profili Facebook e altri siti random che poco hanno a che vedere con quanto gli é stato raccontato. Decide di aggiungere la voce ‘arte’ alla ricerca ma il risultato non cambia molto. Dovrebbe sentirsi preso in giro ma, no, non é affatto cosi’.  Si sente ispirato. Nuovo. Felice. 
4 notes · View notes
gloriabourne · 6 years ago
Text
The one with the serendipity
Serendipità: sostantivo femminile. Indica la fortuna di fare felici scoperte per puro caso e, anche, il trovare una cosa non cercata e imprevista mentre se ne stava cercando un'altra.
"Ti capita mai di pensare a quanto sono state strane le cose tra noi?" Fabrizio sollevò lo sguardo verso Ermal e lo guardò confuso. Era una domenica pomeriggio come tante, in cui Ermal si era accasciato comodamente sul divano dello studio di Fabrizio, mentre il più grande lavorava a una nuova canzone. Lo facevano spesso, restare a osservare l'altro che lavorava. Ermal trovava estremamente rilassante osservare Fabrizio all'opera, vederlo aggrottare la fronte e poi vederlo rilassarsi quando finalmente riusciva a incastrare le parole nella musica come aveva immaginato. Fabrizio, d'altra parte, aveva ammesso più volte che osservare Ermal lavorare lo ispirava più di qualsiasi altra cosa. Quel pomeriggio, era Fabrizio quello chino su fogli sparsi ovunque, mentre Ermal lo guardava. O almeno, lo stava guardando fino a un attimo prima di fargli quella domanda. "Di che parli?" chiese Fabrizio leggermente sovrappensiero e senza nemmeno aver ascoltato bene ciò che aveva detto il compagno. "Della nostra storia. Voglio dire, è iniziato tutto con qualche chiacchiera durante il festival, poi tu che a un evento estivo mi chiedi di collaborare. Abbiamo iniziato a vederci, a sentirci, a lavorare insieme. E l'unica cosa che entrambi stavamo cercando era una buona collaborazione e magari un'amicizia, ma alla fine abbiamo trovato tutt'altro." Fabrizio posò la matita sul tavolo, lasciando perdere lo spartito a cui stava lavorando, e rivolse la sua attenzione completamente verso il fidanzato. "E la cosa ti da fastidio? Che hai trovato tutt'altro rispetto a ciò che cercavamo all'inizio, intendo." "Non ho detto questo. Solo che è strano." "Scusa, ma non li guardi mai i film? Nascono sempre così le storie d'amore. Ci sono sempre due persone che cercano tutt'altro e poi si innamorano per caso" rispose Fabrizio come se fosse una cosa ovvia. Ermal fece una smorfia. "La nostra storia non è un film." "Potrebbe" disse Fabrizio stringendosi nelle spalle. "Hai mai visto quel film natalizio, quello con il titolo strano, in cui i protagonisti non fanno altro che inseguirsi per tutto il film riuscendo a incontrarsi solo alla fine?" Ermal aggrottò la fronte cercando di capire di quale film stesse parlando. "Quel film con John Cusack e Kate Backinsale!" disse ancora Fabrizio. Ermal cercò di non ridere per la pronuncia terribile di Fabrizio nel dire i nomi dei due attori, e annuì. "Ho capito. Serendipity, giusto?" "Ecco, l'avevo detto che aveva un nome strano." "Sì, ma che c'entra?" chiese Ermal, senza capire dove Fabrizio volesse andare a parare. "In quel film, nessuno dei due sta cercando l'amore. Semplicemente si trovano per caso in un negozio, entrambi vogliono lo stesso paio di guanti, e finiscono per parlare e rendersi conto che in realtà sono due anime affini." "Bizio, è un film" lo ammonì Ermal sorridendo. Gli piaceva quel lato di Fabrizio, quel suo immergersi completamente nei film che guardava al punto da trovarci dei dettagli di sé stesso e della sua vita. Ma doveva rendersi conto che la loro vita non era un film e che il fatto di essersi innamorati, quando in realtà nessuno dei due aveva minimamente previsto di farlo, era solo qualcosa che era capitato nelle loro vite. Niente di più. Niente film di mezzo. "Ma che ne so. Magari pure noi durante la nostra vita abbiamo fatto come quelli del film: abbiamo scritto il nostro numero di telefono su una banconota o nella copertina di un libro, sperando che qualcuno di importante lo trovasse. Io, ad esempio, una volta l'ho fatto. Quindi vedi che queste cose non succedono solo nei film" disse Fabrizio sorridendo e poi tornando a guardare il suo spartito. Ermal rimase in silenzio per un attimo e poi, come se le parole di Fabrizio lo avessero colpito solo qualche istante dopo, disse: "Scusa, cos'è che hai fatto?" "Ho scritto il mio numero su una banconota da cinque euro. È una cazzata, lo so, ma c'era una ragazza che mi piaceva e che lavorava in un bar che frequentavo abitualmente. Sembrava un modo come un altro per lasciarle il mio numero." "Pagare con una banconota con sopra scritto il tuo numero, ti sembrava un buon modo per fare colpo? Non potevi semplicemente chiederle di uscire?" chiese Ermal divertito. Stava cercando di immaginarsi un Fabrizio più giovane, alle prese con una cotta per una barista che, a quanto pare, non lo aveva mai considerato. "Alla fine non le ho nemmeno dato la banconota. Mi vergognavo troppo, così l'ho tenuta nel portafoglio per anni, sperando che prima o poi mi sarei fatto coraggio." "E com'è finita?" "Ho conosciuto Giada, poi è nato Libero e ho deciso che non aveva più senso tenermi quella banconota. L'ho spesa in un bar di Sanremo, durante la settimana del festival del 2010" raccontò Fabrizio. Ermal si irrigidì all'istante al ricordo di quel festival, a cui aveva partecipato anche lui, e soprattutto al ricordo di ciò che era successo la mattina successiva alla finale. Ermal non credeva molto nel destino, ma quella non poteva essere una coincidenza. Tornò velocemente con la mente a quella mattina, ma più ci pensava e più si rendeva conto che gli eventi di quella mattina potevano soltanto essere frutto di uno scherzo del destino.
***
Sanremo, febbraio 2010
Ermal si passò una mano sulla faccia, come se servisse a portare via il sonno arretrato che si portava dietro da giorni e che non era riuscito a recuperare quella notte. Onestamente, era felice che il festival fosse giunto al termine. In quella settimana non aveva chiuso occhio ed era stato perennemente avvolto da uno stato di stress e nervoso costante, al punto che più di una volta aveva rischiato di litigare con gli altri ragazzi del gruppo. Tornare a casa, dalla sua famiglia e da Silvia, sicuramente gli avrebbe fatto solo bene. Soffocò uno sbadiglio giusto un attimo prima che arrivasse il suo turno alla cassa del bar e, ancora non del tutto sveglio, si meravigliò per essere riuscito a evitare di finire addosso al ragazzo davanti a lui che si era appena spostato dalla fila. "Ehm, cosa prendi?" Ermal sollevò lo sguardo sulla ragazza alla cassa, rendendosi conto che probabilmente era già il suo turno da qualche istante e non aveva ancora ordinato. A sua discolpa, era rimasto distratto dal ragazzo che era stato in fila prima di lui. Gli ricordava qualcuno, ma non riusciva a capire chi. "Scusa. Un caffè e un cornetto, per favore" borbottò Ermal. La ragazza digitò qualche tasto e poi gli porse lo scontrino insieme al resto. Una banconota da cinque euro pasticciata su un lato e una manciata di monetine. Ermal prese i soldi e se li mise in tasca velocemente, poi si spostò verso il bancone cercando di attirare l'attenzione di un barista qualsiasi. Aveva bisogno urgentemente di quel caffè, se voleva iniziare a capirci qualcosa in quella giornata. Sapeva che fino a quel momento, ogni cosa successa dal momento in cui si era svegliato sarebbe stato solamente un ricordo confuso.
Come previsto, nel momento esatto in cui il primo sorso di caffè toccò le sue labbra, Ermal si sentì finalmente sveglio. Cercò di fare mente locale su ciò che aveva fatto da quando si era alzato dal letto fino a quel momento, ricordandosi improvvisamente che aveva messo il resto ricevuto poco prima in tasca invece che nel portafoglio. L'ultima volta che l'aveva fatto, si era dimenticato di controllare le tasche dei jeans prima di metterli in lavatrice e aveva accidentalmente lavato anche una banconota da dieci euro. Sua sorella gli aveva dato del cretino per mesi - in realtà continuava a farlo, ma alle sue spalle - ed Ermal proprio non ci teneva a ripetere l'esperienza. Infilò le monetine nell'apposita tasca del portafoglio e poi fece per sistemare la banconota, notando solo in quell'istante che il pasticcio sul bordo non era altro che un numero di telefono. Aggrottò la fronte. Chi è che scrive i numeri di telefono sulle banconote?! Eppure, sentiva una sensazione strana, come se quel numero in realtà significasse qualcosa. Non riusciva a spiegarselo ma sentiva che, se mai avesse perso quella banconota, non se lo sarebbe mai perdonato. La piegò su se stessa un paio di volte e poi la infilò nello spazio in cui conservava la tessera della biblioteca, un posto sicuro in cui sapeva che sarebbe rimasta finché non fosse stato lui a spostarla.   Si sentiva sciocco per essere così protettivo nei confronti di una banconota, ma non poteva fare altrimenti. C'era qualcosa che lo legava a quel numero, una sorta di curiosità e allo stesso tempo di volontà di mantenere il mistero. E sapeva che sarebbe arrivato il momento in cui quel mistero avrebbe avuto la sua risoluzione, quindi l'avrebbe conservata fino a quel giorno.
***
"Che c'è?" chiese Fabrizio aggrottando la fronte, notando che Ermal era diventato pensieroso all'improvviso. Ermal non rispose ma prese il portafoglio dalla tasca posteriore dei jeans che indossava. Lo aprì e, dopo qualche istante, ne tirò fuori una banconota ripiegata su sé stessa un paio di volte. Quando la spiegò tra le mani, lo sguardo si posò istintivamente sul numero scritto sul bordo e, rileggendolo, Ermal si rese conto della verità. Quello era il numero di Fabrizio. Ormai lo conosceva a memoria, non poteva sbagliarsi. Gli venne da ridere a rendersi conto che per anni aveva avuto in tasca il numero dell'uomo che amava senza saperlo. Allungò la banconota verso Fabrizio, aspettando che lui la prendesse e si rendesse conto di quanto fosse assurda tutta quella storia. "Come fai ad averla tu?" chiese Fabrizio curioso e stupito, rigirandosi il biglietto da cinque euro tra le mani. "C'ero anch'io a Sanremo nel 2010, ricordi?" "Sì, ma quante probabilità c'erano che questa roba arrivasse fino a te? È da pazzi!" "Credo che quella mattina, al bar, tu fossi in fila proprio davanti a me. Hai pagato con quei cinque euro e un attimo dopo io li ho ricevuti come resto" spiegò Ermal, realizzando solo in quell'istante che il ragazzo che aveva catturato la sua attenzione quella mattina era proprio Fabrizio. "È una cosa assurda. Ma perché te li sei tenuti tutto questo tempo?" Ermal si strinse nelle spalle. "Onestamente, non lo so nemmeno io. Era come se avessi la sensazione che quel numero fosse importante." Fabrizio osservò di nuovo la banconota e se la rigirò tra le mani. Quando aveva scritto il suo numero lì sopra, non avrebbe mai creduto che sarebbe finito per puro caso tra le mani di una persona che solo molto tempo dopo sarebbe diventata una delle più importanti della sua vita. "Ho tenuto nel portafoglio per nove anni il numero dell'amore della mia vita senza nemmeno rendermene conto" constatò Ermal quasi incredulo. "Pensi ancora che la nostra storia non sia degna di un film?" chiese Fabrizio un attimo dopo. Lui lo aveva sempre pensato. Aveva sempre creduto che solo nei film potesse succedere, che solo nei film un uomo di oltre quarant'anni, che alle spalle aveva una relazione importante e dei figli, potesse innamorarsi di nuovo. Ermal si ritrovò a pensare che, tutto sommato, Fabrizio aveva ragione. In fondo, anche loro avevano trovato qualcosa di inaspettato in quella che doveva essere semplicemente una collaborazione artistica. Anche loro si erano innamorati per caso, un po' come succede in quelle commedie romantiche che mandano sempre in onda a Natale. Sorrise e guardò il suo fidanzato. "Credo sia molto meglio di un film, Bizio."
9 notes · View notes
dreamednottodrown · 7 years ago
Quote
Trovatevi uno così. Uno che non sappia trattenersi dal mordersi il labbro quando vi vede arrivare. Fosse anche la milionesima volta che vi vede arrivare. Fosse anche in mondovisione mentre vi vede arrivare. Uno che se ne freghi di tutti. Vi guardi negli occhi. E si morda il labbro pensando che siete sua. Trovatevi uno così. Uno “So lucky” Sì, perché è proprio questo che ha detto Harry a Meghan, quando lei lo ha raggiunto all’altare. “I’m so lucky” Che tradotto suona tipo “Sono davvero fortunato” Già. Amiche mie. Il principe di Inghilterra. Un multimilionario. Che potrebbe avere ogni donna del mondo ad un solo schiocco delle falangi reali, vede la donna che ama e le dice “Io sono davvero fortunato (ad averti con me)” E allora a me sono venuti in mente tutti quegli uomini che trattano le loro donne come colf del Guatemala. Quelli che, non si capisce per quale logica e secondo quale criterio, ritengono che siano fortunate le donne a cui rivolgono parola, quelle che degnano di uno sguardo e, tanto più, quelle che decidono di portarsi a letto o ancora, apriti cielo e vengan giù Gesù e tutti gli Arcangeli a far da testimoni, addirittura di sposare!!! E poco importa se le donne che sposano siano ingegneri, dottoresse, madri e lavoratrici insieme a tempo pieno o quelle che se il tempo non c’è se lo inventano, fisiche aerospaziali o geni della finanza, top model o premi Nobel. Secondo certi uomini quelle donne dovranno gridare al miracolo e definirsi graziate dagli Dei per il solo fatto di averli accanto. Non si sa perché. Non è dato saperlo. Cosa vedano nel loro specchio, cosa gli abbiano fatto credere le loro madri tra un pacco di plasmon e una vacanza studio pagata , cosa trovino di così speciale nelle loro mutande, quando si svegliano la mattina e assonnati vanno a fare pipì, per credere di meritare tutta questa riconoscenza al Signore da parte delle loro donne, ci risulterà sempre un mistero insondabile più di quello dei teschi di cristallo. Uomini così esistono. E poi esiste anche Harry. Che invece, da Principe D’Inghilterra, sente di essere “So lucky”, perché ha la sua Meghan a fianco. “So lucky” anche se lei è stata definita da mezzo mondo un’arrampicatrice sociale senza né arte né parte. “So lucky” anche se mezzo mondo di lei ha detto che sposa solo milionari, perché non ha mai voluto lavorare. “So lucky” anche se per mezzo mondo lei è troppo vecchia per lui. “So lucky” anche se mezzo mondo ha condannato il fatto che lei sia divorziata. “So lucky” anche se mezzo mondo ha criticato le macchie che le caratterizzano il viso. “So lucky” anche se mezzo mondo l’ha definita nell’ordine: anonima, inutile, sciocca, austera, normale, antipatica. Lui sente di essere “So lucky” Perché è questo che fa l’amore. Non è così? Ti fa sentire immensamente fortunato d’aver trovato una persona che ai tuoi occhi appare la più speciale del globo terraqueo. Anche se per tutti gli altri non è niente di che. Per te è un benedizione. La tua benedizione caduta dal cielo apposta per te. Anche se sei un principe. Anche se lei non è una principessa. Ma una ragazza normale, divorziata, di 37 anni. E sta tutto lì, il senso, ragazze mie. Perché se è vero che il valore che decidi di attribuirti dipende solo da te stessa, è altrettanto vero che non puoi decidere che valore ti attribuiranno gli altri. Quelli che diranno di amarti. Però... Però puoi imparare a capire se l’uomo che hai vicino non si sente “So lucky” proprio per niente. Se ti sminuisce. Se ti umilia. Se ti fa sentire inadeguata o, addirittura, è riuscito a farti credere che dovresti esser tu a ringraziare di aver trovato uno stronzo così. Uno che potrai ottenere riconoscimenti d’ogni genere, tanto per lui quello che fai sarà sempre “Niente di che” Uno che avrai trascorso 12 ore a lavoro e poi cercato di arrangiarti con tutto il resto che c’è da fare e alla fine della tua giornata sarai anche abbastanza soddisfatta, finché lui di tutte le cose che sei riuscita a fare ti farà notare l’unica che non è uscita per bene. Uno che non ti dirà mai che “Sei bella” ma, se proprio quel giorno si sentirà particolarmente generoso, sibilerà tra i denti che “Quella maglietta ti dona” Uno che ti tradirà. E tu, che magari sei una donna in gamba, penserai che abbia perso la testa per una migliore di te, per poi scoprire che ha buttato all’aria tutto per una sciacquetta che su Facebook scrive “modella presso me stessa” ma nelle foto è sempre a Dubai non si sa mai con chi, ma si sa bene a fare cosa. Beh... Sai che ti dico? Non è mica colpa tua, sai? Liberati da questa idea. Liberatevi, mie care ragazze. Che voi siate giovani, vecchie, alte, basse, magre, grasse, avvenenti o bruttine, intelligentissime o proprio oche, decisamente in gamba o degli assoluti disastri. Non è importante ciò che siete in realtà, quello che fa la differenza è il punto di vista di chi vi osserva. Attendete che arrivi qualcuno che vi guardi attraverso le lenti dell’amore. Lenti rosa in grado di ammorbidire qualunque difetto e saper cogliere senza ombra di dubbio la vostra eccellenza. La vostra unicità. La vostra bellezza. I vostri talenti. Tanto speciali da non volerseli far scappare. Tanto speciali da volerli per sempre accanto. Tanto speciali da sentirsi “So lucky”. E pazienza se siano speciali solo per lui. Le parole di “mezzo mondo” non avranno nessun potere sui suoi occhi innamorati. Attendete il vostro “So lucky”, amiche mie. E poco importa se non sarà un principe. L’unica cosa che conta è che ogni giorno, che sia in un castello o in un monolocale, sappia farvi sentire una vera principessa.
Iaia De Rose (Post di Facebook)
17 notes · View notes
padrepiopietr · 6 years ago
Text
Ecco come Padre Pio mi ha fatto sacerdote cattolico, io che ero pastore anglicano
Una storia che ci racconta di come il Mistero possa toccare la nostra vita fino alla conversione. Come nel caso di padre Alan Robinson, che si è convertito al cattolicesimo grazie alla “spinta” di Padre Pio, lui che era un pastore anglicano.
Tumblr media
Il 23 settembre commemoriamo il 50° anniversario della morte di San Pio da Pietrelcina, meglio conosciuto come Padre Pio. Solo tre giorni prima, il 20 settembre, è stato il centenario del ricevimento delle stimmate da parte di Padre Pio. Ci sono milioni di persone, viventi e defunti, che devono molto ai consigli, all’intercessione e all’esempio di questo grande santo; e io sono uno di loro.
Il mio primo incontro con San Pio è stato intorno a una tavola nel 1990, dove uno degli ospiti aveva regolarmente servito la Messa per il santo. Ci ha intrattenuto con le storie dei suoi numerosi incontri con questo straordinario frate francescano cappuccino. Alla fine della serata, l’ospite mi infilò in mano una piccola busta di plastica contenente una reliquia di terza classe, che misi nella tasca della mia tonaca. A quel tempo, ero un ministro anglicano che lottava con la “chiamata a Roma” (cioè con la conversione al cattolicesimo, ndr) fin da prima della mia ordinazione diaconale. Ascoltare quei racconti e mettere quel pezzetto di stoffa in tasca portò la mia vita sulla strada giusta.
In quei giorni, a differenza di adesso, avevo il dono del sonno. Quando andavo a letto mi addormentavo subito e mi svegliavo la mattina seguente. Alcuni mesi dopo aver ricevuto la reliquia, ho iniziato a svegliarmi nelle prime ore del mattino. La prima volta che è successo mi sono reso conto che c’era “qualcuno” nella stanza. Non ero ansioso per questo. In realtà, mi sentivo completamente in pace. Ma questo continuò notte dopo notte, alla stessa ora, e alla fine mi resi conto che era Padre Pio. Alla sua presenza, e in primo piano nella mia mente, in questo clima di pace, c’era solo un pensiero: “Devo convertirmi alla fede cattolica”. Una volta presa quella decisione, il mio normale ritmo di sonno ritornò e le visite cessarono. E così, a tempo debito, lasciai la Chiesa d’Inghilterra, e nel 1997 fui ordinato al sacro sacerdozio dal cardinale Basil Hume.
Mentre visitavo la famiglia a New York, ho incontrato una meravigliosa famiglia cattolica, i Realis. Michael, il marito, è vivo e vegeto oggi grazie alle preghiere e all’intervento diretto di Padre Pio. È una storia incredibile e commovente, raccontata in pieno nel libro di Diane Allen: “Prega, spera e non ti preoccupare”. Ma in sintesi, Padre Pio guidò la mano del chirurgo quando Michael nacque da un difficile cesareo. Attraverso il Realis, ho imparato a conoscere San Pio ancora di più e ho sviluppato una maggiore consapevolezza della devozione che c’era per lui, così come la conoscenza di quante vite ha influenzato in modi così meravigliosi.
Mentre ero parroco a Bayswater, e portavo ancora quella reliquia lacerata nella tasca della mia tonaca, fu annunciato che Padre Pio sarebbe stato canonizzato il 16 giugno 2002. Sapevo che dovevo solo andare a Roma e ringraziare Padre Pio per avermi dato il coraggio e la spinta di cui avevo bisogno e che mi ha portato al sacerdozio.
Una mattina dopo la Messa, un frequente visitatore della parrocchia venne da me e mi disse: “So che hai una grande devozione a Padre Pio”. Come faceva a saperlo? Non ne avevo mai parlato con lei. Mi disse che era così importante che facessi quel pellegrinaggio che voleva renderlo economicamente possibile per me. E così sono andato via, pieno di gratitudine verso questa generosa benefattrice.
La canonizzazione è stata un’esperienza meravigliosa, con circa un milione di pellegrini riuniti in una Piazza San Pietro calda da ardere, Via della Conciliazione traboccava di persone fino a dove riuscivo a vedere. Quando Papa Giovanni Paolo II fece la proclamazione della santità, scoppiò un enorme boato dai pellegrini, mentre venivano portate le reliquie del santo.
Il giorno seguente, dopo la Messa di ringraziamento, tornai al mio albergo dove mi fu detto che qualcuno aveva cercato di contattarmi, e che aveva il numero per me affinché la richiamassi. Quando lo feci, parlai con una suora della casa papale.
Mi disse: “Potrebbe essere qui domani alle 7 del mattino, porti il suo celebret (permesso per celebrare la Messa), e non dimentichi di baciare l’anello del Santo Padre”. La mattina seguente ero stato invitato a celebrare la Messa con il Santo Padre nella sua cappella privata.
Sono sicuro che potete immaginare quanto meravigliosa sia stata questa esperienza, offrire il Santo Sacrificio della Messa con qualcuno che ora è un santo della Chiesa. Nonostante l’avanzare del suo Parkinson, il suo sguardo mi ha riempito di grande gioia e amore per lui e per la Chiesa. Attraverso tutto questo, ho potuto sentire l’incoraggiamento di Padre Pio a sforzarmi di essere un sacerdote migliore.
Padre Pio mi ha dato l’ultima spinta di cui avevo bisogno per lasciare la Chiesa d’Inghilterra e diventare cattolico. Mi ha attirato verso il sacerdozio cattolico. Mi ha condotto più a fondo nella sua vita attraverso il mio continuo rapporto con la famiglia Realis. E mi ha portato pienamente a casa, attraverso la Messa con il Santo Padre.
Ora mi resta solo una cosa da fare: andarlo a visitare a Pietrelcina, in modo che io possa inginocchiarmi davanti alle sue reliquie terrene e ringraziarlo per tutto quello che ha fatto nella mia vita sacerdotale.
Traduzione di Sabino Paciolla
1 note · View note
Text
Trovatevi uno così
Uno che non sappia trattenersi dal mordersi il labbro quando vi vede arrivare.
Fosse anche la milionesima volta che vi vede arrivare.
Fosse anche in mondovisione mentre vi vede arrivare.
Uno che se ne freghi di tutti. Vi guardi negli occhi. E si morda il labbro pensando che siete sua.
Trovatevi uno così. Uno “So lucky”
Sì, perché è proprio questo che ha detto Harry a Meghan, quando lei lo ha raggiunto all’altare.
“I’m so lucky”
Che tradotto suona tipo “Sono davvero fortunato”
Già, il principe di Inghilterra, un multimilionario, che potrebbe avere ogni donna del mondo ad un solo schiocco delle falangi reali, vede la donna che ama e le dice “Io sono davvero fortunato (ad averti con me)” .
E allora a me sono venuti in mente tutti quegli uomini che trattano le loro donne come colf del Guatemala. Quelli che, non si capisce per quale logica e secondo quale criterio, ritengono che siano fortunate le donne a cui rivolgono parola, quelle che degnano di uno sguardo e, tanto più, quelle che decidono di portarsi a letto o ancora, apriti cielo e vengan giù Gesù e tutti gli Arcangeli a far da testimoni, addirittura di sposare!!! E poco importa se le donne che sposano siano ingegneri, dottoresse, madri e lavoratrici insieme a tempo pieno o quelle che se il tempo non c’è se lo inventano, fisiche aerospaziali o geni della finanza, top model o premi Nobel. Secondo certi uomini quelle donne dovranno gridare al miracolo e definirsi graziate dagli Dei per il solo fatto di averli accanto.
Non si sa perché. Non è dato saperlo.
Cosa vedano nel loro specchio, cosa gli abbiano fatto credere le loro madri tra un pacco di plasmon e una vacanza studio pagata , cosa trovino di così speciale nelle loro mutande, quando si svegliano la mattina e assonnati vanno a fare pipì, per credere di meritare tutta questa riconoscenza al Signore da parte delle loro donne, ci risulterà sempre un mistero insondabile più di quello dei teschi di cristallo.
Uomini così esistono. E poi esiste anche Harry.
Che invece, da Principe D’Inghilterra, sente di essere “So lucky”, perché ha la sua Meghan a fianco.
“So lucky” anche se lei è stata definita da mezzo mondo un’arrampicatrice sociale senza né arte né parte.
“So lucky” anche se mezzo mondo di lei ha detto che sposa solo milionari, perché non ha mai voluto lavorare.
“So lucky” anche se per mezzo mondo lei è troppo vecchia per lui.
“So lucky” anche se mezzo mondo ha condannato il fatto che lei sia divorziata.
“So lucky” anche se mezzo mondo ha criticato le macchie che le caratterizzano il viso.
“So lucky” anche se mezzo mondo l’ha definita nell’ordine: anonima, inutile, sciocca, austera, normale, antipatica.
Lui sente di essere “So lucky”
Perché è questo che fa l’amore.
Non è così?
Ti fa sentire immensamente fortunato d’aver trovato una persona che ai tuoi occhi appare la più speciale del globo terraqueo. Anche se per tutti gli altri non è niente di che. Per te è un benedizione.
La tua benedizione caduta dal cielo apposta per te.
Anche se sei un principe. Anche se lei non è una principessa. Ma una ragazza normale, divorziata, di 37 anni.
E sta tutto lì, il senso.
Perché se è vero che il valore che decidi di attribuirti dipende solo da te stessa, è altrettanto vero che non puoi decidere che valore ti attribuiranno gli altri. Quelli che diranno di amarti.
Però… Però puoi imparare a capire se l’uomo che hai vicino non si sente “So lucky” proprio per niente. Se ti sminuisce. Se ti umilia. Se ti fa sentire inadeguata o, addirittura, è riuscito a farti credere che dovresti esser tu a ringraziare di aver trovato uno stronzo così.
Uno che potrai ottenere riconoscimenti d’ogni genere, tanto per lui quello che fai sarà sempre “Niente di che”
Uno che avrai trascorso 12 ore a lavoro e poi cercato di arrangiarti con tutto il resto che c’è da fare e alla fine della tua giornata sarai anche abbastanza soddisfatta, finché lui di tutte le cose che sei riuscita a fare ti farà notare l’unica che non è uscita per bene.
Uno che non ti dirà mai che “Sei bella” ma, se proprio quel giorno si sentirà particolarmente generoso, sibilerà tra i denti che “Quella maglietta ti dona”
Uno che ti tradirà. E tu, che magari sei una donna in gamba, penserai che abbia perso la testa per una migliore di te, per poi scoprire che ha buttato all’aria tutto per una sciacquetta che su Facebook scrive “modella presso me stessa” ma nelle foto è sempre a Dubai non si sa mai con chi, ma si sa bene a fare cosa.
Beh… Sai che ti dico? Non è mica colpa tua, sai? Liberati da questa idea.
Liberatevi, mie care ragazze.
Che voi siate giovani, vecchie, alte, basse, magre, grasse, avvenenti o bruttine, intelligentissime o proprio oche, decisamente in gamba o degli assoluti disastri.
Non è importante ciò che siete in realtà, quello che fa la differenza è il punto di vista di chi vi osserva.
Attendete che arrivi qualcuno che vi guardi attraverso le lenti dell’amore. Lenti rosa in grado di ammorbidire qualunque difetto e saper cogliere senza ombra di dubbio la vostra eccellenza. La vostra unicità. La vostra bellezza. I vostri talenti. Tanto speciali da non volerseli far scappare. Tanto speciali da volerli per sempre accanto.
Tanto speciali da sentirsi “So lucky”. E pazienza se siano speciali solo per lui.
Le parole di “mezzo mondo” non avranno nessun potere sui suoi occhi innamorati.
Attendete il vostro “So lucky”, amiche mie.
E poco importa se non sarà un principe.
L’unica cosa che conta è che ogni giorno, che sia in un castello o in un monolocale, sappia farvi sentire una vera principessa
9 notes · View notes
giancarlonicoli · 4 years ago
Link
19 apr 2021 14:15
L'INDOVINELLO DI GIANLUIGI NUZZI: "UNO DEI GIUDICI PIÙ CONOSCIUTI A MILANO, PRESIDENTE DI COLLEGIO IN PROCESSI PENALI IMPORTANTI, CHE LASCIA CONTI IN SOSPESO NEI RISTORANTI PER MIGLIAIA E MIGLIAIA DI EURO. NEMMENO SI POSSONO IMMAGINARE INCREDULITÀ RABBIA E IMBARAZZO DI ALCUNI RISTORATORI, BEN CONTENTI DI RIAPRIRE MA CHE TEMONO CHE IL MAGISTRATO ANCORA SI MATERIALIZZI. IL SUO NOME È LEGATO A PROCESSI FONDAMENTALI NEGLI ANNALI GIUDIZIARI E PER IL NOSTRO PAESE…"
-
Dall'account facebook di Gianluigi Nuzzi
È l'incubo dei ristoratori. Quando lo vedono arrivare alzano rassegnati gli occhi al cielo. Piatti di tonno crudo, primi incantati da tartufo bianco, grandi vini rossi per allietare il palato e le serate con amici: oltre ad essere un esperto di legge, il giudice è di certo un raffinato degustatore di prelibatezze. Certo, i conti alla fine sono super salati ma non e’ un problema: basta non pagarli.
Sembra incredibile ma è la storia di uno dei giudici più conosciuti in città, presidente di collegio in processi penali importanti, che lascia conti in sospeso per migliaia e migliaia di euro.  Nemmeno si possono immaginare incredulità rabbia e imbarazzo di alcuni ristoratori di Milano, che ora sono ben contenti di riaprire ma che temono che il magistrato ancora si materializzi. Nessuno di loro ha il coraggio di denunciare e rendere pubblica questa storia (che dura ormai da parecchi mesi se non addirittura anni).
"Da me venivano parecchi magistrati e avvocati" - afferma uno di questi commercianti, titolare di un grazioso ristorante a qualche minuto dal Palazzo di Giustizia - "e quando arrivava lui alzavo gli occhi al cielo. 'Segna segna che poi ci mettiamo d’accordo’. Ancora aspetto". Sull’identità è mistero fitto, di certo si sa che il suo nome è legato a processi FONDAMENTALI negli annali giudiziari e per il nostro Paese. Ma c’è anche chi si chiede nella cittadella della giustizia perché gli organi competenti, a iniziare dal Csm, non intervengano, dato che ormai è diventato il segreto di pulcinella...
Chi sarà mai? Ah, saperlo...
0 notes
taccuinidicinema · 4 years ago
Text
Orson Welles, Quarto potere, 1941
Tumblr media
L'inizio è folgorante. Una prova di montaggio superlativa. Ad alta velocità si susseguono immagini e voci narranti. Viene data la notizia della scomparsa del magnate Kane, con uno stile telegiornalistico.  Un mix caleidoscopico di filmati di repertorio, prime pagine, fotografie d'annata. A ritmo serrato. Poi una sorta di documentario vecchio stile, di quelli pomposi,  mostra il concepimento e la costruzione della faraonica quanto pacchiana reggia di Kane.
Poi l'incedere si attenua ed inizia il vero e proprio film. Una testata giornalistica apre un'inchiesta su Kane. In particolare si vuole svelare il mistero dell'ultima parola da lui pronunciata sul letto di morte: Rosabella. Chi è costei? Inizia l'indagine, un'indagine quasi poliziesca, che non baderà a mezzi e a spese.
Vari personaggi, il tutore di Kane, il suo caporedattore, il migliore amico, raccontano ciò che sanno. Partono i flashback, che ci mostrano la storia di Kane. La sua prima casa, dell'infanzia precocemente interrotta, la casa povera dei genitori. Che lo cedono in adozione. Kane viene adottato da un magnate, ed è designato come unico erede di un impero finanziario immenso.
Egli da subito vuole fondare un giornale e dirigerlo. I mezzi non gli mancano, ma neanche il carisma e la spavalderia, con la quale gestisce perfettamente l'impresa.
Presto rivela una smania di possesso, che lo spinge a volere tutto, e ad investire ogni dollaro. Non si tratta necessariamente di sperperi, anzi. Spesso acquista opere d'arte, a volte paccottiglia, tutto senza particolare criterio. Ma non è né il primo né l'unico, di certo.
Kane si sposa. Poi si stufa della vita domestica, e si trova un'amante. Una cantante priva di talento. Pensa di condurre una doppia vita, ma viene smascherato. Nel frattempo si era dato alla politica dicendo di voler diventare presidente. I rivali rendono pubblica la tresca sentimentale e lo rovinano. Perderà le elezioni e la moglie.
Ricomincerà una vita con l'amante, costruendogli immensi teatri dove ella possa cantare l'opera, tra continue stroncature e bordate di fischi da parte del pubblico.
Kane costruisce la sua reggia, Kandalù. Una vera e propria città, immersa in un immenso parco privato, con un castello in cima alla collina. Dentro a questo, immensi vuoti saloni.
Vediamo Kane seduto. Lui solo, sempre solo, qualche domestico che va e che viene. Lui solo in queste stanze sconfinate, sconfinatamente vuote. La sensazione di solitudine che comunicano queste inquadrature è senza eguali. Kane si è costruito un'immensa tomba. Un miscuglio indefinito di marmi scuri e statue ingombranti. Nelle fondamenta ha ammassato migliaia di opere che ha acquistato, senza neanche saperlo, che probabilmente non ha mai neanche visto.  
Un'immensa tomba.
E alla fine sta morendo, e pronuncia quell'ultima parola, Rosabella.
Il mistero viene svelato. Non ai giornalisti, che hanno fallito nell'impresa. Ma allo spettatore. Viene svelato da un'inquadratura, che scruta meravigliosamente con sguardo aereo ed indagante proprio tra i cimeli ammassati.
Una scritta, rivelatoria.
Quarto potere è un'opera virtuosa, ricca di virtuosismi  visivi. Dotata di un'azione frenetica e trascinante. Le immagini sono bellissime, le carrellate sinuose. Lo stile narrativo curato, con il continuo andare avanti e indietro nel tempo.
E c'è una morale di fondo. E' un film di un giornale che racconta la storia di un giornale, e del suo fondatore. Vedo un guardarsi dentro a se stessi, per scoprire le motivazioni delle cose. Di certe cose. Cercando ragioni di fondo, ragioni d'essere. In un mondo che è (sempre più) investito di un potere immenso, incontrollabile. Un mondo corrotto. Pregno di intrighi politici. Di cinismo. Di autentica crudeltà.
Kane è solo una vittima della sete di potere.
Una lezione impartita, ma non raccolta, perché la storia si ripete, ogni volta, in ogni epoca. La speranza è riposta in un altro mondo, contrapposto, genuino, povero, rurale. Innocente.
Luca Terraneo
0 notes
nero-onirico · 5 years ago
Text
Sogno n. 2 / La maga arciera e la fortezza
La fanciulla era ospite presso l'ennesimo castello pullulante di maghi, o forse una fortezza in stile Kaer Morhen, dove venivano addestrati in segreto giovani guerrieri, i quali si rendevano invisibili ai più.
Che fosse in visita per questioni personali o perché qualcuno avesse richiesto il suo aiuto, non è dato saperlo.
All'improvviso, l'irruzione di un troll percuote la tranquillità eterea di quel luogo. La fanciulla combatté al fianco di qualcuno, un ragazzo o un uomo senza volto né identità. Dopo un iniziale inceppamento del suo potere magico, riuscí ben presto a scoccare frecce incantate senza nemmeno bisogno dell'arco: dalle mani fioccavano scintille di fuoco e frecce invisibili impattavano con l'aria creando un'onda d'urto che le scostava i capelli dal viso.
Sconfitto il troll, torna la tranquillità nel luogo misterioso. La direttrice, un'elfa bionda dalla pelle nivea, girava sempre con addosso la sua mantella di pelliccia bianca. Aveva l'aria di chi nasconde qualcosa e, difatti, quel luogo custodiva un mistero che aleggiava attorno a delle segrete inaccessibili, segrete che la fanciulla aveva il bisogno di esplorare, per un motivo relativo alla sua vita, al suo passato. L'elfa-direttrice, però, non aveva la benché minima intenzione di rivelare quanto la fanciulla domandava a proposito delle segrete. L'unico accesso era attraverso quelli che sembravano dei bagni abbandonati all'interno della fortezza stessa. Costretta ad andarvi dinnanzi, sotto le pressioni della fanciulla, l'elfa rifiutò fino alla fine di condurre la ragazza all'interno: era necessaria una formula magica per la cui conoscenza però "non era ancora arrivato il momento".
Con lo sguardo deluso e irato, la fanciulla la lasciò andare tutt'altro che rassegnata: non le ci volle molto a decidere di avventurarvisi comunque. Scrutò il percorso così, cercando la via migliore per penetrarvi, con gli occhi fissi sulle mura marce e sull'oscurità che le nascondeva.
0 notes
lanimadellamosca · 6 years ago
Text
La fame e lo sfizio
Mi son trovato a dire che le donne quando vanno al ristorante sono più criticone; in realtà, a pensarci, non ne so niente, non frequento a sufficienza donne e ristoranti da poterlo dire a ragion veduta, e tuttavia l’ho detto: stereotipo sessuale?
Anche se, al di là del fatto che non ne so niente per esperienza diretta, e non sono nemmeno un buon conoscitore dell’ambiente dei buongustai, mi verrebbe da aggiungere, sempre sulla stessa lunghezza d’onda, che essere buongustaio è un capriccio tipicamente maschile. Potrei azzardare che le donne siano più criticone al ristorante per una questione di gelosia, perché il ristorante mette in discussione la loro capacità di soddisfare la fame del maschio, e che non diventano capricciose buongustaie perché in fondo cucinare è una schiavitù. Mah..! Frasi buttate lì che hanno tutta l’aria di essere degli stereotipi..! Eppure mi pare che i grandi chef siano maschi, e non mi pare di aver letto recensioni gastronomiche firmate da donne… Sarebbe interessante capirne qualcosa, alla redazione della Guida Michelin dovrebbero saperne...
Per parte mia, confesso di avere un sano disprezzo della cosiddetta buona tavola: non cambierei una buona pastasciutta con nient’altro. Anni fa mi ritrovavo di tanto in tanto con un giro di amici in cene organizzate a casa di questo o quello: mangiavano e parlavano di mangiare, insopportabile! Mi era ancora più insopportabile perché era tutta gente di sinistra, ammesso che fosse di sinistra navigare dal defunto partito comunista al neonato partito democratico. Son riuscito a non insultarli prima di cambiare giro: un miracolo, normalmente ho fatto l’inverso.
Essere buongustaio presuppone che uno abbia soddisfatto la fame e che ricerchi lo sfizio; e la fame, per soddisfarla davvero, bisogna essersela lasciata alle spalle da almeno una generazione, quindi potrei azzardare che essere buongustaio sia un esercizio borghese. Chi invece sa cosa sia la fame (come possiamo saperlo da questa parte del mondo, evidentemente..), non punta alla squisitezza, punta alla quantità.
Io non sono mai stato né per l’una né per l’altra, tra i ricordi più belli del mio palato c’è qualche ‘mpanata mangiata in un pagghiaru, accompagnata da una bevuta di pistammutta direttamente dal carratieddu, dove il cibo andava col sole, con la campagna e con gli amici. E con la gioventù..! Non ricordo manicaretti e prelibatezze, ricordo situazioni e persone.
In questo devo essere somigliato a mio padre, per un qualche mistero genetico, dato che quest’uomo io non l’ho né frequentato né conosciuto, era in America. Una delle prime cose che gli sentii dire la prima volta che tornò in famiglia per un breve periodo, fu “Non si vive per mangiare, si mangia per vivere”. Avevo dieci anni. A venti, quando tornò definitivamente, glielo sentii dire in una versione da pubblico adulto: “Alla lunga, tutto quel che mangi va in merda.” Perfetto, ‘mpa’ Raffieli!  
Tumblr media
(Le ‘mpanate erano un piatto unico della cucina agricola, due fogli di pasta di pane farciti di quel che c’era. Pensate a un calzone di pizzeria, tanto per immaginare il genere. Sul web potrete trovare le ricette più disparate, adattate alla sopravvenuta delicatezza dei vostri palati, motivo per il quale vi risparmio le mie, troppo brute. Il pagghiaru era la tipica costruzione di campagna, una capanna di pietre a secco col tetto di canne e paglia: dentro, spazio sufficiente per fare distendere qualche persona, e una mangiatoia per l’asino. Tutti i pagghiara che ho visto avevano la chiave della porta sotto un sasso a destra. Il pistammutta era un potente vino frutto della prima spremitura delle uve; non veniva lasciato fermentare insieme ai graspi ma veniva subito messo nella botte, e da ciò prendeva il suo nome: “pesta e metti nella botte”. Di norma invece il mosto veniva lasciato fermentare nelle vasche per 24 o 48 ore: l’opposto del pistammutta era per l’appunto il quarantotturi. Il carratieddu infine era una botticella “tascabile”, di solito da un litro ma anche meno. Vi si beveva per suzione, tramite un buchino praticato nella sua pancia: passarsi il carratieddu per succhiarvi a turno un po’ di vino era un buon livello di amicizia. Non oso pensare cosa se ne potrebbe dire adesso…!  Sopra ne mostro uno, l’ho trovato su questo blog, molto serio. storiedivignaevigneron)
0 notes