#mi verrà il cancro prima o poi
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Vivo un senso di colpa alla volta che nemmeno scaturisce dalla mia persona ma mi viene iniettato in testa da familiari e gente esterna.
#viva la solitudine#mi so rotta il cazzo#io boh#senso di colpa#obblighi#doveri#ulcera#mi verrà il cancro prima o poi
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------- 548 giorni -------
Ciao sono io.
Ti ricordi quel giorno quando un dottore ha detto che non avrei mai più giocato a tennis?
Bene, volevo dirti che ho fatto una cosa.
E che questa cosa l'ho fatta per te.
Volevo dirti che dopo aver scaricato, alzato e rovesciato nella betoniera a mano 1.300 sacchi di cemento, 30.000 palate di sabbione, trasportato e messi uno sopra l'altro 1.800 blocchi di cemento per costruire un muro lungo 38 metri, piantato 190 tondini di ferro nel calcestruzzo, rastrellato 18 tonnellate di macerie, steso 78 fogli di rete, gettato 570 mq di massetto alto 20 cm, averlo lisciato e fatto i tagli per i giunti poi riempiti col silicone, inchiodato una ad una 2.870 canne di bambù, rivestito la scalinata con la palladiana incollando pezzo per pezzo ogni pietra riproducendo una pallina da tennis e due loghi di Batman (per te) montato le copertine, messo a dimora 120 piante di rosmarino, 60 di timo e 60 di elicriso, creato l'angolo relax, cucito i cuscini per l'angolo relax, fissato i gargoyle, predisposto l'illuminazione, montato la recinzione antivento e avendogli dovuto dare ben sette mani di vernice oggi -finalmente- ho finito di costruire il nostro campo da tennis.
Penso che sia venuto carino, penso che ti possa piacere.
Certo, probabilmente non giocheremo mai io e te contro la Sabalenka e la Sharapova però dai...ce ne faremo una ragione.
Un lavoro che un'impresa con sei muratori avrebbe finito in due settimane.
Ecco, invece io ci ho messo 548 giorni.
548 giorni di cui ne ricorderò cinque in particolare.
Il primo quando ero a letto, in catalessi, vuoto e svuotato ma stanco di moribondare e ho pensato timidamente di provare a tornare a fare quello che ho sempre fatto: cioè immaginare, studiare, disegnare e infine realizzare.
Perché il puntiglio muove grandi cose; spesso nel male, talvolta nel bene.
E allora contro il parere del cancro, dei medici, del buon senso, del mio fisico, delle ventiquattro metastasi, dei cinque interventi chirurgici, della chemioterapia, della radioterapia, della stomia, dei follow up, del terrore dei follow up, della Capecitabina, del dolore, della morte, della paura, della nausea, dello sconforto, del formicolio alle mani, del formicolio ai piedi, della debolezza, degli ospedali, del dottorino che mi aveva predetto l'impotenza, del dottorino che se l'è presa in saccoccia, dei cazzi, dei mazzi e delle persone che mi volevano bene ho pensato di costruirmelo da solo questo campo da tennis.
Ho cominciato che trascinarmi fino lì per dedicarci trenta minuti di lavoro era una fatica e ho finito che dopo dieci ore di passione smettevo a malincuore.
A volte alle due di mattina, illuminato da un faro.
Avere uno scopo, il viaggio non la meta, raggiungere il traguardo, un passo alla volta: insomma quella cosa lì.
Perché questa cosa di un passo alla volta funziona sai?
E pensare che io ho sempre provato avversione per le citazioni e le frasi fatte.
Anzi, ogni volta che me le sentivo dire mi son sempre divertito a smontarle, decontestualizzarle e ridicolizzarle.
Stupido me.
Invece un passo alla volta funziona, devi credermi.
Funziona per affrontare una malattia, per costruire un campo da tennis, per scrivere un libro, per perdere peso, per prendere peso, per inventarsi un lavoro, per avviare una relazione, per superare un lutto, per risolvere i problemi, per volersi bene.
E avrebbe funzionato anche se non fossi riuscito a finirlo. Perché certe condizioni ti insegnano a vivere la vita giorno per giorno. Se non ora per ora.
Magari anche con un po' d'ironia e senza solennità.
Il secondo quando una notte sentendo piovere molto forte mi sono chiesto se nei due mesi che avevo impiegato a costruire quel muro mi fosse venuto in mente di predisporre il drenaggio per evitare l'effetto diga oppure causa chemio ero così rincoglionito che no.
La seconda.
E infatti il mattino dopo davanti all'immagine del crollo ho pensato di smettere e tornarmene a letto sotto le coperte.
E così ho fatto per tre giorni.
Il quarto ho affittato una ruspa, ho ripulito tutto e ho iniziato a ricostruirlo. Meglio questa volta.
Ed è stato un po' come giocare una partita a tennis.
Partita di tennis che per questa volta -almeno- non c'è santo che tenga: Monica Rossi vs Cancro 6 0 - 6 0 - 6 0.
Il terzo quando il giorno dopo aver dato la terza e ultima mano di vernice sono andato tutto soddisfatto e compiaciuto a vederlo da vicino e mi è preso un colpo.
Perché tutto il campo era pieno di bolle.
Bolle, orride micro bolle piene d'aria su tutta la superficie.
Uno schifo, un colpo al cuore.
La seconda mano non si era asciugata bene e quindi a causa dell'umidità si era alzata sollevando il terzo strato.
Panico.
Panico per due motivi.
Il primo perché non c'è niente di peggio che finire un lavoro e doverlo rifare e secondo perché avevo la schiena a pezzi.
Perché verniciare un campo da tennis non �� facile.
Prima devi pulirlo con l'idropulitrice. Poi devi mettere il nastro di carta sulle linee di gioco avendo cura che siano perfettamente dritte, parallele e perfette, poi devi preparare la vernice (il primer l'hai dato il giorno prima) e poi devi metterti lì con il rullo e passarlo su tutti i 570 mq.
E devi farlo bene, e non si devono vedere le rullate, e non devi andare oltre i confini, e non deve andarci neppure una goccia.
E devi farlo in un'unica mano.
E per ogni mano ci impieghi otto ore.
Otto ore in cui non ci deve essere sole battente, ovviamente non deve piovere e però non ci deve essere neanche vento perché altrimenti ogni folata potrebbe portare foglie, aghi di pino, insetti e tutto quello che andrebbe a incollarsi sulla vernice appiccicaticcia che hai appena dato.
Non è facile. Anzi, è proprio una rottura di coglioni epocale.
E quindi mi sono messo lì a schiacciare ogni bolla e scartavetrarla.
Ma che bello. Ora vedo un campo blu pieno zeppo di chiazze biancastre.
E allora con il pennellino, in ginocchio, avanti a ridare il primer bolla per bolla.
Pennellino. 570 mq. Puntiglio.
E il giorno dopo, claudicante, alle 5 di mattina, iniziare prima a passare il soffiatore per poi a dare la quarta mano.
E' venuto bene.
E' venuto bene si, ma questa vernice è una resina particolare che fa spessore quindi da vicino la differenza si vede.
E ma come sei pignolo, chi vuoi che se ne accorga?
Io. Me ne accorgo io. Anzi, non solo me ne accorgo, ma lo so proprio. E non mi sta bene.
E non mi sta bene perché il confine fra un lavoro soddisfacente e un lavoro ben fatto dipende solo da me, dal tempo da dedicarci e dalla voglia di farlo.
E io non voglio che sia né bello né soddisfacente, io voglio che sia perfetto.
Perché tutto, ma la mediocrità mai.
Si, bravo. E quindi? Cosa intendi fare?
Semplice: continuerò a verniciarlo finché non verrà come dico io.
E avanti con la quinta mano.
Bene. Sempre meglio.
Dai che con due mani ancora avrò finito.
O cavolo guarda, inizia a piovere.
Non è un problema, la vernice è asciutta.
Si la vernice è asciutta, ma io preferirei aspettare per dare le altre mani.
Sai, non vorrei che l'umidità facesse ancora brutti scherzi.
Ma il tempo è molto instabile. Sole, pioggia (ma perché poi è giallastra questa pioggia? Polline? Sabbia?) poi di nuovo sole, poi di nuovo pioggia.
E ogni giorno che aspettiamo è un problema perché se si deposita la polvere siamo fregati.
E infatti è uno schifo.
Detriti, insetti morti, foglie, cagate di uccelli. C'è di tutto.
Uso l'idropulitrice? Uso l'idropulitrice.
Si, abbastanza bene. Solo che lo sporco sembra solo essersi spostato.
Meglio di prima ma non ancora benissimo.
E poi ora è davvero bagnato fradicio. Altro che umidità.
Devi aspettare almeno un paio di giorni che si asciughi bene.
Ho capito ma fra due giorni sarà tutto asciutto, ok, ma di nuovo tutto sporco.
E' un incubo, non ne usciamo più.
Senti, vaffanculo, vai a comprare 570 mq di teli e lo copriamo tutto.
Si, bravo, così l'umidità ti batte le mani.
Dammi retta: va bene così. E' perfetto. Nessuno andrà mai a guardarlo con la lente d'ingrandimento.
Ancora? Quel nessuno sono io.
E io non mi accontento.
Può venire perfetto? E allora verrà perfetto.
Ed è così che ho passato due giorni a passare l'aspirapolvere su tutto il campo (in cemento, ruvido) avanti e indietro con dolce metà che mi guardava incazzata nera mentre le devastavo la sua amata Dyson.
Però sai, alla fine non c'è più un granellino di polvere.
E neanche l'ombra di una bolla.
E men che meno differenza di spessore.
E si, dopo sette mani questo campo da tennis non è né bello né brutto.
E' perfetto.
Il quarto momento che ricorderò è quando quasi ogni mattina vedevo mio papà oltrepassare il cancello e nonostante i suoi settant'anni e vestito da perfetto muratore chiedermi se volevo una mano sentendosi sempre rispondere che no, che non era il caso, che volevo fare da solo, che era una cosa solo mia.
E allora si sedeva sul muretto e nonostante la musica dei Misfits a tutto volume mi sorrideva, mi incitava, mi portava la colazione, mi mostrava il pollice alzato, mi faceva l'occhiolino.
E qualche volta mi guardava con gli occhi lucidi. Gli occhi di chi guarda un figlio che non sa fino a quando avrà ancora il piacere di vedere vivo.
Ma forse il giorno che ricorderò di più è quello in cui, un pomeriggio, sotto una leggera pioggerella, sono scivolato e sono caduto sul manico della carriola che si è infilato proprio fra la pancia e il sacchetto della stomia strappandolo di netto.
Ero a terra, solo, preoccupato di vedere cosa fosse successo a quel disgustoso pezzo d'intestino che mi usciva dalla pancia, circondato dalla merda che si era spantegata dappertutto quando a un certo punto mi sono voltato a guardare quel muro, ho alzato gli occhi al cielo, ho riso e mi sono domandato chi me l'avesse fatto fare di costruire un campo da tennis che io e te non useremo mai.
Ma poi, soprattutto, mi sono chiesto chi l'avrebbe mai detto che un giorno mi sarei ritrovato in quelle condizioni.
E allora ho sorriso e ho pensato che va bene così; che la vita è davvero meravigliosa.
Ed è meravigliosa sempre.
Tranne forse quel giorno di settembre quando alle otto di mattina, un mese dopo la diagnosi e prima d'iniziare ogni terapia, mi sono dovuto chiudere a chiave in uno squallido bagno al piano terra di un ospedale, dare un'occhiata a delle riviste appoggiate lì per l'occasione, stendere degli asciugamani per terra e con la schiena appoggiata al muro e i piedi puntati contro il water nonostante i continui "ha finito? ha finito?" iniziare a piangere e masturbarmi perché potessi metterti dentro un contenitore affinché ti congelassero.
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HUNATI
(da Edmond Hamilton, “HUNATI”)
“L'uomo morto se ne stava ritto in piedi in una piccola radura nella giungla rischiarata dalla luna, quando Farris lo vide. Era un tipo piccolo, di carnagione scura e vestito di bianco, un tipico indigeno del Laos in quella che era allora l'Indocina francese. Se ne stava ritto senza appoggiarsi a niente, gli occhi sbarrati che fissavano senza batter ciglio innanzi a sé, un piede leggermente alzato. E non respirava. — Ma non può essere morto! — esclamò Farris. — I morti mica se ne vanno in giro per la giungla. Fu interrotto da Piang, la sua guida. Quel piccolo annamita presuntuoso aveva cominciato a perdere la sua impudente sicurezza non appena si erano allontanati dalla pista, e lo spettacolo di quel morto – ritto e immobile – aveva finito per deprimerlo completamente. Da quando erano capitati tra i kapok di quella zona così folta della foresta e per poco non erano finiti addosso al morto, Piang non aveva fatto che fissare con tanto d'occhi, terrorizzato, la figura impietrita. Ma ora sbottò, impetuosamente: — Quell'uomo è hunati! Non toccatelo! Dobbiamo andarcene subito. Siamo finiti in una brutta parte della giungla!”
A Farris verrà in seguito inoculata, contro la sua volontà (meglio non svelare perché per non rovinare lo sviluppo), la sostanza che trasforma gli umani in hunati…
“Farris si svegliò e restò un attimo stordito, domandandosi che cosa lo sgomentasse tanto. Poi capì. Era la luce del giorno. Arrivava e spariva a distanza di pochi minuti. La camera da letto era avvolta nell'oscurità della notte, poi l'alba esplodeva improvvisa. Un breve istante di sole splendente e ancora notte. Andava e veniva (mentre lui guardava, allibito) come il battitio lento e regolare di un gigantesco polso... sistole e diastole di luce e oscurità. Giorni ridotti a minuti? Ma come poteva essere? Poi, quando si svegliò completamente, ricordò. - Hunati! Mi ha iniettato la droga alla clorofilla nelle vene! Sì, era proprio hunati, ora. Viveva con un ritmo cento volte inferiore a quello normale. Per questo, giorno e notte gli sembravano cento volte più veloci di quanto non fossero in realtà. Erano già passati parecchi giorni. Si alzò in piedi barcollando e urtò la pipa, che cadde dal bracciolo della poltrona. Però non la vide cadere: sparì per un istante e l'istante dopo era là, per terra. - È successo tanto in fretta, che non ho potuto vederla. Farris sentì la sua ragione vacillare per l'impatto contro l'assurdo e si accorse di tremare violentemente. Lottò per riacquistare il dominio di sé. Questa non era stregoneria. Era una scienza segreta e diabolica, ma niente di soprannaturale. Si sentiva normalissimo. Solo dall'ambiente, soprattutto dal rapido susseguirsi di notti e giorni, capiva di essere cambiato”.
(...)
“Si addentrarono nella foresta, salendo verso il plateau di alberi giganteschi. Ora c'era un'orribile atmosfera di irrealtà in quel mondo assurdo. Farris non sentiva nessuna differenza in sé, nessuna sensazione di rallentamento. I suoi movimenti e le sue percezioni gli sembravano normali. Solo che tutto intorno a lui la vegetazione aveva acquisito una capacità di movimento frenetica, animale, nella sua rapidità. Le erbe gli spuntavano sotto i piedi come sottili lance verdi che si protendevano verso la luce. I boccioli si gonfiavano, esplodevano, allargavano nell'aria i petali dai colori vivaci, emanavano la loro fragranza e...morivano. Le foglioline novelle balzavano fuori gioiosamente da ogni rametto, vivevano intensamente il loro breve istante, poi appassivano e morivano. La foresta era un caleidoscopio di colori che mutava di continuo dal verde pallido al giallo-bruno e che fremeva quando le rapide ondate della crescita e della morte gli passavano sopra. Ma la sua vita non era pacifica e serena. Prima era sembrato a Farris che le piante vivessero in una placida inerzia, completamente diversa da quella degli animali che devono di continuo uccidere o essere uccisi. Ora capiva di essersi sbagliato. Lì presso, un'ortica tropicale strisciava verso l'alto, accanto a una felce gigantesca. I suoi tentacoli, simili a quelli di una piovra, si protesero di scatto, avvincendo la pianta vicina. La felce appassì, le sue fronde si agitarono con violenza, gli steli lottarono per liberarsi. Ma la morte pungente la sconfisse. Le liane strisciavano come grossi serpenti tra gli alberi, aggrappandosi ai tronchi, attorcigliandosi rapidamente sui rami, affondando le dure radici da parassita nella corteccia viva. E gli alberi si ribellavano. Farris vedeva i rami frustare e colpire i rampicanti assassini. Era come assistere alla lotta di un uomo contro un pitone che lo stesse stritolando tra le sue spire. E il paragone calzava. Perché gli alberi e le piante capivano. In un modo singolare, diverso, erano esseri senzienti come i loro fratelli più veloci. Cacciatore e cacciato. Le liane che strangolavano, la bella e mortale orchidea che come un cancro rodeva il tronco sano, i funghi striscianti come lebbra...erano i lupi e gli sciacalli di quel mondo fronzuto. Perfino tra gli alberi - Farris se ne rendeva conto - l'esistenza era una squallida lotta senza tregua. Anche il kapok, il bambù e il ficus conoscevano il dolore, la paura e il terrore della morte. Li udiva. Ora che il suo nervo acustico aveva acquisito una sensibilità straordinaria, udiva la voce della foresta, la vera voce che non aveva niente a che fare con il fruscio ben noto del vento fra gli alberi. La voce primordiale della nascita e della morte che parlava prima ancora che l'uomo fosse giunto sulla Terra e che avrebbe continuato a parlare quando se ne sarebbe andato. Dapprima aveva captato solo un tumulto frusciante. Ora riusciva a distinguere i suoni separati... il grido sottile dei fili d'erba e dei germogli dei bambù che schizzavano fuori dal terreno, il gemito dei rami strangolati, la risata delle foglie novelle alte nel cielo, il sussurro infido dei rampicanti che si attorcigliavano. E quasi riusciva a udire i pensieri parlargli nella mente. I pensieri antichissimi degli alberi. Si sentì invadere dal terrore. Non voleva ascoltare i pensieri degli alberi. E il lento, costante pulsare di ombra e luce continuava. Giorni e notti che passavano a velocità vertiginosa sopra l'hunati”.
Se vi ha sedotto, buona caccia per le bancarelle dei libri usati...
#harry kipper#weird#science fiction#hunati#alfred elton van vogt#zonen van guttusen#racconti fantastici#racconti fantascienza#avvincente
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Un articolo di Luca Perri, fisico, dottorando all'Università dell'Insubria e all'Osservatorio di Brera.
Procederò con ordine e calma interiore.
- 1,3 miliardi di anni fa, dopo un bel balletto a spirale, un buco nero (una cosa invisibile perché risucchia tutto, luce compresa) la cui massa era 29 volte quella del Sole si è "fuso" con uno di 36 volte la massa solare. Tutto questo ha dato origine ad un bucone rotante di 62 masse solari. Ma 29+36=65, quindi che fine ha fatto la massa rimanente? È stata convertita, in una frazione di secondo, in onde gravitazionali. Immaginando lo spazio-tempo come l'acqua di uno stagno, il processo è stato simile alla formazione di increspature circolari sulla superficie a seguito della caduta di un sasso. Solo che stavolta il processo ha avuto un picco la cui potenza era 50 volte quella di tutte le stelle dell'Universo visibile.
- 100 anni fa, nel 1916, un sociopatico dall'aspetto simpatico e tutto sommato intelligente, tale Albert Einstein, pubblica una teoria all'apparenza astrusa ed insensata. Fra le altre cose, prevede che la luce possa essere influenzata dalla gravità, spianando la strada verso la nascita dell'idea di buco nero. La teoria prevede inoltre l'esistenza di onde gravitazionali, capaci di deformare lo spazio-tempo. Non solo: le sue equazioni ne descrivono per bene il comportamento. Un po' come se io prevedessi che il lardo di Colonnata curerà il cancro, e vi dicessi anche nello specifico in che modo. Io sono esperto di suini tanto quanto Einstein lo era di fisica, quindi secondo me dovreste fidarvi della mia previsione e basta. So però che non lo farete, e vorrete verificarlo, prima di regalarmi la gloria e la fama eterna. Anche i fisici non si fidarono di Albert. Grazie al cielo, la Scienza funziona così. Se però un consiglio lo volete accettare, il lardo è tutta salute.
- Nei decenni successivi, le varie buffe previsioni di Einstein vengono tutte verificate, a parte 'sta cosa delle onde gravitazionali. Allora sono anni che ci fidiamo di Einstein senza avere un qualcosa di certo al 100%? Posto che nella Scienza le certezze non esistono, in realtà quella teoria ci ha portato ai satelliti, ai cellulari, ai laser e a qualche fonte di energia (pure a una bomba, ma quella è mica colpa di Albert...), quindi diciamo che era abbastanza affidabile. Il problema è che le deformazioni da misurare per verificare le onde gravitazionali hanno dimensioni di frazioni di un atomo (frazioni minuscole di un atomo) e vanno misurate con strumenti enormi e complicatissimi.
Sempre negli stessi decenni, gli scienziati provano a verificare l'esistenza dei buchi neri, e qualche metodo indiretto lo trovano pure. Ma dannazione, sono neri. E lo spazio pure. Si avanza l'idea che possano esistere dei buchi neri rotanti e anche sistemi di due (binari) o più buchi. Ma indovinate un po'? Anche tutta 'sta roba è nera.
- 32 anni fa, nel 1984, tali Rainer Weiss e Kip Thorne (quello che ha spiegato a Nolan come fare il buco nero di Interstellar e prendersi un premio Oscar per gli effetti speciali) decidono di fondare LIGO, un progetto per costruire due rivelatori di onde gravitazionali da 4 km di lato.
- 14 anni fa, nel 2002, si inizia a costruire queste due orecchie per mettersi all'ascolto del cosmo. Ci vorranno due anni per far partire la versione di prova degli aggeggi. LIGO verrà poi spento per 7 anni, in modo che 1000 scienziati possano potenziarlo e dare vita ad Advanced LIGO.
- 5 mesi fa, il 14 settembre 2015, proprio nei giorni in cui si accendeva Advanced LIGO, le due orecchie hanno captato un segnale. Un'onda gravitazionale prodotta 1,3 miliardi di anni prima e che, proprio in quel momento, stiracchiava la Terra. Quando si dice il tempismo con la C maiuscola! Poiché, si diceva, nella Scienza fidarsi è bene ma col cavolo che lo faccio, gli scienziati frenano gli entusiasmi e si analizzano per bene i dati per mesi, giorno e notte, prima di dire cose smentibili e fare figure barbine tipo dire che i neutrini sono più veloci della luce mentre percorrono un tunnel sottovuoto che collega le orecchie di un ministro della Repubblica.
- Ieri, 11 febbraio 2016, durante una conferenza in diretta mondiale, 5 persone hanno mandato in visibilio migliaia di fisici nel mondo, facendo quelli che ce l'hanno più lungo degli altri, l'interferometro. Ci sta, io sarei stato molto meno composto.
Dunque, ricapitolando, in un colpo solo abbiamo:
1) l'esistenza provata delle onde gravitazionali;
2) la conferma sperimentale dei sistemi binari di buchi neri;
3) la conferma che i buchi neri possono fondersi;
4) la prova dell'esistenza dei buchi neri rotanti;
5) un tizio dalla barba improbabile che, dopo essersi preso un Oscar, si prenderà un Nobel.
Ora, se davvero non cogliete la poesia di tutto ciò e il motivo della nostra gioia, se davvero pensate che sia tutta un'inutile perdita di tempo e soldi (ma poi non avete nulla da ridire, ad esempio, sul cachet di Gabriel Garko a Sanremo o sullo stipendio di Cristiano Ronaldo), se davvero tutto ciò che vi viene in mente non è un "Poffarbacco che puffata puffosissima!" ma un "Ma a me cosa serve?", beh, mi spiace davvero per voi.
Lasciate però che sia io a farvi un paio di domande. A cosa serve la musica? A cosa serve lo sport in tv? E Masterchef? A cosa servono la letteratura e la lingua? In fondo non si viveva malaccio, quando si grugniva nelle savane centroafricane mangiando carne cruda.
Comunque, la prossima volta che vi guarderete Interstellar grazie a un laser che legge un Blu-ray (e che funziona con l'energia elettrica proveniente dai reattori francesi) o al satellite di Sky, magari commentandolo con gli amici al cellulare, pensate gran parte di ciò che avete deriva da quei fisici disadattati sociali che oggi festeggiano mentre voi li insultate perché bruciano i soldi che vorreste giocarvi sulla schedina del campionato.
Ah, un'ultima cosa: quel luogo in cui fate i leoni da tastiera sputando giudizi, quella cosa che si chiama internet, ve l'hanno dato i fisici. E anche la tastiera. E il computer.
Ora scusatemi, vado a stappare un'altra Tassoni e a continuare i festeggiamenti.
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Drama Challenge
The Oath of love (ep. 3, 4, 5, 6)
Questo drama non è qualcosa di eccezionale o un capolavoro, ma devo dire che sto continuando a guardarlo con un certo piacere.
È carino, alcune volte divertente, mi piace che il ritmo sia scorrevole, e tratta anche alcune tematiche serie e interessanti.
Dunque, vado con pensieri sparsi (tutti con SPOILER):
Ovviamente la diagnosi del bravo dottor Gu si rivela esatta e il padre della lead ha dunque il cancro. E via a pianti, lacrime e disperazione. Ma dai, non l'avrei mai detto che Xiao avrebbe avuto ragione!
Gu e l'altro dottore si ritrovano ad avere opinioni contrastanti riguardo l'operazione da eseguire: uno vorrebbe asportare soltanto una parte dello stomaco, l'altro vuole rimuoverlo completamente. Indovinate chi ha avuto ragione alla fine?
Oltre ad essere freddino e germofobico, Gu parla come se fosse un dottore anche nella vita reale e non sa come consolare le persone. Sembra un po' un manichino che non ha mai dato un abbraccio in vita sua (dopo aver conosciuto la madre comincio a capire da dove viene tutto questo). Devo ancora capire se Xiao mi convince o meno in questo ruolo.
Finora non mi fa impazzire la second lead, semplicemente perché continua a guardarlo con aria triste da lontano. Poi vabbè, io non amo i second lead a prescindere, quindi... Si è già potuto vedere come la madre di lui faccia il tifo per questa second lead, ragion per cui temo che non darà vita facile quando Gu le presenterà la lead.
Capirei se qualcuno mi venisse a dire di averla trovata insopportabile, ma siccome vedo questo drama per quello che è e con molta leggerezza, mi sono fatta due risate nella parte in cui la lead comincia a stalkerare Gu per convincerlo ad eseguire l'operazione del padre. Lo riempie di regali, lo segue ovunque, pure in bagno...
Trovo semplicemente assurdo come tutti sapessero del cancro e dell'operazione... tranne il diretto interessato. Cioè il caro e bravo dottor Gu sarebbe andato ad operare un paziente senza dirgli cosa andava a fare realmente. Non solo è assurdo, ma è anche illegale. Ma capisco perché la sceneggiatura abbia virato su tale assurdità.
Gu si confida sul mentore con la lead. In quel momento ho pensato "di già?", però è meglio così. Alla fine si era già intuito cosa fosse successo e non aveva senso continuare a mantenere il segreto sulla faccenda. Apprezzo molto come la serie non si fossilizzi troppo sulle cose ma che scivoli via che è un piacere.
A me la lead piace molto, e non pensavo che l'avrei mai detto con questa attrice. Mi piace molto come, almeno finora, non sia soltanto la lead innamorata e amata della serie, quindi mero interesse amoroso. Oltre alla certa storia d'amore che si verrà a creare con il lead, segue altre storyline, come il rapporto con il padre e la musica. E mi piace un sacco come non sia un talento, come non sia partita come una violoncellista di successo, ma che deve impegnarsi e lavorare sodo per diventarlo.
Carini i due lead che si incoraggiano a vicenda: prima lei ridandogli la fiducia perduta, poi lui facendola allenare quando la fa suonare in ospedale.
Carine le scene che condividono i due: la scappatella notturna al conservatorio, le scene sul tetto e quella della panchina. In quest'ultima c'è stato un momento in cui ho pensato che lui avesse voluto baciarla. E non se è soltanto la mia immaginazione perché comunque lui... se la spizza di brutto! Io devo ancora capire se Xiao mi piace o meno in questo ruolo, ma gli faccio i miei complimenti per come riesce a guardare le/i sue/suoi partner. Lo guardi e dici: vorrei che guardasse me così.
L'amica della lead ha già capito tutto. E ovviamente la lead sarà l'ultima a capire che Gu la guarda come se fosse una Madonna 2.0.
Mi piace molto il rapporto complicato tra la lead e suo padre, che sembra un cerbero severo e insopportabile, e che ha un modo tutto suo di voler bene alla figlia.
Mi piace come stiano costruendo il rapporto tra i due lead. Si supportano a vicenda, si incoraggiano, si confidano, si stanno conoscendo. Insomma, non penso si potrà mai dire che è una storia d'amore frettolosa basata sul nulla.
Ovviamente l'operazione del Professor Lin è un successo: non avevo dubbi sulle eccezionali capacità del dottor Gu. Sarebbe stato un colpo di scena da applausi se qualcosa fosse andato storto o se l'uomo sotto i ferri fosse addirittura morto. E invece.
Il cugino di Xiao mi sta simpatico, e finalmente sembra voler fare qualcosa di interessante nella sua vita, e forse lui e l'amica della lead la smetteranno di sfidarsi in alcoliche bevute e si metteranno a fare qualcosa di più interessante. Lo sapevo che il cuginetto non era un ragazzino viziato e scansafatiche come sembrava. Bravo lui.
Comunque non importa quale sia il drama o quale sia la storia: l'amore di Xiao per i tetti è sempre onnipresente.
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++MADONNA CHE PIPPONE OH++
Come i più affezionati avranno notato nelle ultime settimane mi sono praticamente astenuto dal commentare i lavori in corso del governo Frankenstein Lega e 5 Stelle,
Lungi dall'essere disinteressato agli incestuosi amoreggiamenti, piuttosto ero preoccupato per quello che avrebbero generato, al punto di perdere il consueto smalto anche nel cazzeggio, sostanzialmente perché non vedevo come potesse finire bene.
In queste ore sto assistendo ad un (comprensibile) sbocciare di SE, MA e PERO' sulla scelta di Mattarella di esercitare - e tener fermo - il Veto Presidenziale sul Prof. Savona all'Economia e, dato che nella mia bolla non ci sono i soliti ryt4rd4ty, vale la pena provare a capire cos'è successo.
Innanzitutto, come testimonia la pioggia di meme sul capoluogo di provincia ligure della scorsa settimana, il Veto del Presidente non è una mattonata tirata giusto ieri sul grugno di Salvini e Di Maio, ma era una delle condizioni poste da Mattarella sin dall'inizio.
"E CHI È QUESTO MATTARELLA PER DETTARE CONDIZIONI A CHI HA VINTO LE ELEZIONI??!"
È la prima carica dello stato. Non la sedicesima, non la terza. La Prima.
E sapete - per dire - che carica dello stato ricoprono invece i capi politici dei partiti vincitori delle elezioni? Proprio nessuna.
Mentre questi ultimi rappresentano esclusivamente se stessi ed i rispettivi elettori (ma - anche questi - solo fino ad un certo punto), il primo rappresenta letteralmente Tutti meno che se stesso. Tutti.
Ora, ristabilite le proporzioni, nel merito il Veto del Presidente è stato motivato in ragione delle posizioni profondamente antieuropeiste del Prof. Savona che, in caso di nomina, avrebbero allarmato i mercati che hanno investito ed investono nel nostro paese, bruciando soldi che potrebbero e dovrebbero essere impiegati altrove, incidendo anche sull'innalzamento dei tassi dei mutui e dei finanziamenti in generale, con danni sulla macro e micro economia nazionale.
"MA COSI' SIAMO SCHIAVI DELL'EUROPA E DEI MERCATI!! E ALLORA LA SOVRANITA' NAZIONALE? EH? EH??"
Ni. Siamo schiavi dell'Europa e dei Mercati nella misura in cui non solo ci hanno fatto credito per centinaia di miliardi di Euro, ma anche - e soprattutto - perché abbiamo bisogno continuino a prestarci soldi (per non parlare delle transazioni commerciali).
Poi, in quanto paese sovrano, siamo liberissimi di rinnegare pagliaccescamente gli impegni assunti e sputare in faccia a quelli che ci tengono a galla, ed andare ad esercitare la nostra sovranità in fondo al Mediterraneo.
Il punto però è che il Programma di governo approvato dal Presidente prima di dare l'incarico a Conte non contempla la rinegoziazione dei Trattati o la fuoriuscita dall'Euro che - come faceva notare ieri Mattarella - sono temi che non sono stati neppure sottoposti agli elettori in campagna elettorale: la preoccupazione, secondo me fondata, che il Governo del Cambiamento facesse entrare dalla finestra temi su cui il tanto sbandierato Popolo Sovrano non si era pronunciato, peraltro sulle gambe di uno che "non è stato eletto da nessuno".
D'altronde, sarebbe stato ipocrita sostenere che la nomina del celebre antieuropeista non fosse funzionale a portare avanti posizioni antieuropeiste, e infatti i capi politici di Lega e 5 Stelle non hanno smentito né in alcun modo rassicurato il Presidente.
"MA ALLORA L'EUROPA È UN DOGMA CHE NON PUO' ESSERE MESSO IN DISCUSSIONE??!"
Può essere messo in discussione, ma dai Cittadini, o almeno dalla Politica, mentre il Prof. Savona, non è stato votato dai primi, né risulta riconducibile ad alcuno dei partiti che le elezioni le hanno vinte.
Mattarella - infatti - lungi dall'entrare nel merito dell'antieuropeismo o dettare la linea del futuro Ministro dell'Economia, ha semplicemente chiesto di indicare una persona che fosse espressione delle forze politiche del futuro Governo così che il suo operato fosse riconducibile a questo o a quel partito, che così ne sarebbe stato, almeno politicamente, responsabile.
Mettici poi che il Professore, classe '36, 82 anni suonati, difficilmente giungerebbe a concludere la Legislatura sulle proprie gambe, il suo operato sarebbe ricaduto nella totale irresponsabilità.
Che evidentemente era quello a cui puntavano Salvini e Di Maio, dato che hanno ignorato apertamente gli inviti del Presidente ad indicare per il Ministero di Via XX Settembre un esponente di uno dei due partiti.
Il punto non era tanto COSA avrebbe dovuto fare il futuro Ministro, ma a CHI andasse imputato il suo operato.
"EH MA COSI' ORA CHE TORNIAMO ALLE URNE LEGA E M5S PRENDONO IL 40% A TESTA"
E 'sti cazzi?? Bene ha fatto il Presidente della Repubblica a non farsi influenzare da valutazioni politiche che non possono e non devono interessarlo.
E poi, a questo punto, non c'era modo che finisse bene, come nel più classico degli stalli alla messicana.
Mattarella - secondo me eroicamente, di quell'eroismo alla Salvo D'Acquisto - ha interpretato fino in fondo il proprio ruolo di Garante della Costituzione, dello Stato e del Popolo Italiano, dandosi in pasto alle stolide masse di beoti che non potranno mai comprendere il senso ed il valore del suo sacrificio.
Poco gli - e mi - importa se non verrà capito, o se domani si torna al voto dopo una campagna elettorale per uscire dall'Euro e cacare sui Trattati e finalmente le metastasi del cancro democratico che ci affligge da decenni saranno troppo gravi da potervi porre rimedio. Era la cosa giusta da fare e io ammiro il coraggio, l'abnegazione ed il Senso dello Stato che ha dimostrato nel farla.
Era in ogni caso troppo tardi per salvarci.
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I 10 momenti in cui ho pensato di non guardare più Grey’s Anatomy.
1)QUANDO È MORTO GEORGE O’MALLEY Il momento della quinta stagione in cui George O’Malley, per salvare una ragazza dall’essere investita da un autobus, finisce per essere investito lui stesso dal mezzo e ne resta gravemente ferito e sfigurato è indimenticabile, rimane così tanto sfigurato che nessuno riesce a riconoscerlo finché, scrive con un dito 007 sulla mano di Meredith e sappiamo bene che 007 era uno dei soprannomi che gli avevano dato i tirocinanti. Purtroppo George non sopravviverà e verrà dichiarato morto cerebralmente. In quel momento, esattamente in quel momento, ho pensato che avrei smesso di guardare Grey’s Anatomy perché non riuscivo a sopportare la morte di un personaggio come quello di George. Ah povera e ingenua me! 2) QUANDO IZZIE STEVENS VA VIA Nella sesta stagione, Izzie, dopo una diagnosi sbagliata, viene licenziata. Considerando Alex parzialmente colpevole dell’avvenimento, lo lascia con una lettera e va via. Solo dopo si renderà conto e verrà a sapere che Karev non era responsabile della perdita del suo lavoro e cercherá di ritornare per fare ammenda, ma Meredith la informa che Alex sta cercando di andare avanti. Lei lo mette a conoscenza del fatto che non ha più il cancro e, nonostante lui sia felice per lei, decide di chiudere ufficialmente la loro relazione, dicendole che l’ama, ma sa di meritare qualcosa di meglio di lei. Izzie, dunque, lascia Seattle per ricominciare altrove. Ma Izzie Stevens era uno dei miei personaggi preferiti in Grey’s Anatomy e quando è andata via per me è stata la fine. Mi sono anche ripromessa che non avrei mai più guardato lo show fino a che non sarebbe tornata. Poi sono rinsavita e ho realizzato che non potevo stare senza Grey’s Anatomy e Cristina Yang. 3) QUANDO LEXIE MUORE Nell’ottava stagione c’è stato un altro evento che mi ha fatto pensare di mollare Grey’s Anatomy: la morte di Lexie Grey. Durante l’ultimo episodio della stagione c’è il famosissimo disastro aereo: Lexie, Mark, Meredith, Derek, Cristina e Arizona precipitano in quello che sembra essere un bosco sperduto e non collocabile geograficamente. Tutti sembrano essersi salvati fatta eccezione per la povera ‘piccola Grey’ che rimane schiacciata sotto l’ala del mezzo che li trasportava. Mark, durante gli ultimi momenti di vita della ragazza, non la lascia mai sola e le confessa di amarla rendendosi, purtroppo, conto di averlo fatto troppo tardi. Poco dopo lei muore. Quanto ho pianto per la morte della ‘piccola Grey’, non credo possa essere spiegato a parole! 4) QUANDO MARK MUORE Siccome non c’è mai limite al peggio, e siccome secondo la prima legge di Shonda “se qualche medico in Grey’s ha l’occasione di morire, morirà“, durante le prime due puntate della nona stagione, in seguito alle ferite riportate durante l’incidente aereo e dopo diverse settimane di coma, Mark Sloan, morirà. La cosa davvero brutta è che per un secondo, la cara signora Rhimes, ci dà la speranza che Mark guarisca e che riesca a sopravvivere, ma non è così che andrà a finire. Che senso avrebbe far sopravvivere qualcuno,vero Shonda? Uccidiamo tutti, tanto a chi interessa dei feelings dei poveri fan? Nel momento in cui anche Sloan ci ha lasciati, ho davvero pensato che non avrei mai più guardato Grey’s Anatomy. Mi sono detta: mi hanno distrutto l’OTP, mi hanno distrutto una delle più belle friendship di tutti i tempi, quella fra Callie e Mark, che senso avrebbe continuare a guardare la Serie e non riuscire a riempire tutti quei vuoti lasciati da George, Izzie, Lexie e Mark? Non immaginavo nemmeno lontanamente che il peggio doveva ancora arrivare. 5) QUANDO CRISTINA VA VIA Nella decima stagione, dopo aver perso il premio più prestigioso a cui un medico può ambire, l’Harper-Avery, per via dei rapporti tra la fondazione che lo assegna e l’ospedale per cui la Yang lavora e che possiede (seppur in parte), Cristina parte per Zurigo per una conferenza. A Zurigo incontrerà il suo ex, il dottor Burke che, dovendo trasferirsi con la moglie, le offre il posto di direttore dell’ospedale. In seguito alla delusione di non aver vinto il premio e alla consapevolezza che non avrebbe mai potuto vincerlo se avesse continuato a lavorare nel Grey-Sloan Memorial, Cristina decide di lasciare Seattle e trasferirsi a Zurigo per prendere il posto di Burke. Dopo aver ballato per l’ultima volta con Meredith e dopo aver salutato i suoi colleghi, lascia Seattle. In quel preciso momento potevate sentire il rumore del mio cuore che andava in frantumi e assieme a questi la voglia di continuare a vedere Grey’s Anatomy. 6) QUANDO DEREK MUORE Durante l’undicesima stagione, quando il mio cuore soffriva ancora per la perdita di Cristina, trasferitasi dall’altra parte del mondo, Derek comincia a dirigere un importante progetto di ricerca voluto dal presidente degli Stati Uniti a Washington. Dopo un po’ di tempo, però, decide di tornare a lavorare al Grey-Sloan Memorial. Tuttavia, il giorno in cui deve andare a Washington per rassegnare le dimissioni e per poter finalmente tornare a casa, sulla strada per l’aeroporto, soccorre i feriti di un incidente automobilistico. Proprio mentre sta andando via dal luogo dell’incidente, per rispondere al telefono, si ferma in mezzo alla strada e qui verrà travolto da un camion. Viene portato in un ospedale di dubbio livello e lì morirà cerebralmente a causa di medici incapaci e irreperibili. E quella che sarebbe potuta essere ‘una bella giornata per salvare delle vite’, ma non lo è stata. 7) QUANDO CALLIE VA VIA PER SEGUIRE PENNY BLAKE Durante la dodicesima stagione, Callie, comincia una relazione con Penny, una nuova specializzanda del Grey-Sloan Memorial, che è stata uno dei medici di Derek dopo l’incidente. Dopo aver saputo che Penny era coinvolta, seppur minimamente, nella morte di Shepherd, il loro rapporto va in crisi, anche grazie ai continui tentativi da parte della Torres di difendere Penny da coloro che cercavano di mettere i bastoni fra le ruote alla specializzanda. Nonostante tutto, la Blake riesce a farsi notare tra gli specializzandi e si candida e vince una borsa di studio per un progetto di ricerca a New York. Callie, dopo numerosi problemi e numerose indecisioni, decide di seguirla, cominciando e intentando una causa per l’affidamento di Sofia contro la sua ex-moglie, Arizona. Nonostante perda la causa, Arizona le concede l’affidamento e parte così per la grande mela. Io ancora mi chiedo cosa mi abbia spinto a continuare Grey’s Anatomy dopo questo evento e certamente non capisco cosa abbia spinto Callie a lasciare Seattle per seguire una che conosce da un’ora e mezza e che ha contribuito alla morte di un suo amico e collega. 8) LA SPARATORIA Facciamo un passo indietro. Un altro momento in cui ho pensato di non guardare più Grey’s Anatomy è stato quando ci fu la sparatoria in ospedale. Come dimenticare Gary Clark, il responsabile della sparatoria? Come dimenticare la morte della povera Reed a cui sparò in testa? Come dimenticare Alex che viene ferito, la povera infermiera che viene uccisa solo perché stava seguendo il protocollo, come dimenticare il povero Percy che viene prima ferito gravemente e che in seguito morirà tra le braccia della Bailey, e come dimenticare Derek che viene colpito al torace dall’uomo proprio quando sembra cominciare a ragionare? Come dimenticare Cristina che cerca di salvare Derek mentre il signor Clark la minaccia di fermarsi, puntandole una pistola contro, e come dimenticare l’aborto spontaneo di Meredith? 9) QUANDO MEREDITH RISCHIA DI MORIRE ANNEGATA E quando si parla di momenti in cui ho pensato di non guardare più Grey’s Anatomy, non posso non mettere in elenco l’episodio in cui Meredith rischia di morire annegata. Come dimenticare il disastro del ferry boat scontratosi con una nave al molo? Come dimenticare Meredith che con l’aiuto di una bambina cerca di fermare l’emorragia alla gamba di un uomo, lo stesso uomo che accidentalmente la fa cadere in acqua? Come dimenticare Cristina che cerca Meredith e nessuno sa dove sia finita, come dimenticare quando Derek capisce che è caduta in mare e cerca di salvarla in tutti i modi? Come dimenticare quella linea piatta dell’elettrocardiogramma dopo venti minuti? E come dimenticare l’ansia inspiegabile che provai a fine episodio, quando vediamo Meredith in una sala operatoria assieme all’ormai defunto Danny e al povero artificiere che l’anno prima cercò di estrarre una bomba dall’addome di una paziente che le comunicano che si trova lì perché è morta?! 10) QUANDO TI RENDI CONTO CHE IN GREY’S ANATOMY MUOIONO PIÙ MEDICI DEI PAZIENTI Sì, perché dopo sparatorie, bombe, annegamenti, disastri aerei, blackout e tanto altro, a fine giornata, muoiono più medici che pazienti. Ora non so per quale assurda ragione questo accada, ma parecchie volte mi ha creato un disagio interiore di proporzioni cosmiche. È per me un grande problema, perché non hai il tempo di affezionarti a qualcuno che Shonda te lo fa fuori in qualche modo. Dunque quando ho realizzato questo, ho pensato per un momento di smettere di guardare la serie, ma non ce l’ho fatta. Perché non importa quanto Grey’s Anatomy ci faccia soffrire, Shonda Rhimes troverà sempre un modo per farci rimanere incollati al televisore/computer/whatever. Anche quando pensi che non possa inventarsi più niente per rimediare ai disastri che fa, riesce a trovare o creare una storyline appassionante che ti farà re-innamorare del suo show.
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“Credo negli elementi e in me stesso. Credo in questa vita, vita, vita: ora e per sempre”. Sándor Márai, vita & morte di un grande scrittore (e di un sontuoso poeta, leggete!)
Vorrei parlare dell’ungherese Sándor Márai usando due pezze d’appoggio: la sua opera, la sua vita.
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Si pronuncia Schandor, come Alessandro, diceva l’ungherese castana appena arrivata a Londra, due occhi come uno scudo di bronzo. Era contenta, più che stupita, che al caffè di Marble Arch qualcuno facesse il nome delle Braci, Embers in inglese che è testo sacro nelle scuole ungheresi. Mi disse di fare attenzione che il titolo originale è storpiato nelle traduzioni: Le candele bruciano fino alla fine.
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Le braci è uno dei cinque testi Adelphi più venduti di sempre. È nella hit dei libri di successo ma non per le ragioni che hanno fatto la fortuna di chitarronate come Siddharta o altre leggerezze dell’essere (con relative introspezioni colonscopiche). Le braci è teatro, un dialogo impossibilmente lungo per i canoni del realismo che sta con l’orologio in mano, un alternarsi di due voci tese mentre i sigari dei colonnelli ungheresi scorrono davanti alle immagini di tradimenti impossibili, di tradimenti scampati. Dolore anche solo a leggerle, anche senza che uno sapesse cos’è la vita fuori dalla finestra.
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A breve, il 21 febbraio, ricorre l’anniversario della scomparsa di Márai. Come direbbero i greci, fu una “morte violenta”. Si sparò in California nel 1989, andava per i novanta ma non riusciva a sopravvivere alla morte della seconda moglie. Questo autore mi ha stupito inizialmente, devo dire, perché era stato un consiglio a mia madre di un collega col mio stesso nome che morì in incidente di moto lasciando dietro di sé una moglie fortissima e due figli stupendi. A volte procediamo così, in modo irrazionale. E scaviamo…
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Prima pezza d’appoggio per parlare di Márai. Le opere a catalogo Adelphi. In Italia la casa di Calasso ha fatto la parte del leone (salvo un racconto di viaggio negli USA che fece Mondadori). Sciorino qui il resoconto dei titoli.
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Il macellaio è la solita primizia giovanile raccolta in archivio giusto per pubblicare il nome.
Volevo tacere è invece un resoconto vitalistico, alla Spengler, di come l’Ungheria andò sotto l’invasione dei nazisti interni. Anche questo incartamenti dei primi anni Quaranta è stato recuperato in archivio a Budapest dopo la fine del comunismo (o socialismo reale che dir si voglia).
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Più che nei saggi, però, Márai va forte nel racconto. Meglio quindi, per gli anni della Seconda guerra, Liberazione, una novella sul genere di Grossman. Con tanto di violenze negli scantinati. Non capisco perché si dia ancora tanto brodo a Primo Levi per parlare della cosiddetta “tregua” portata dai Sovietici all’est liberato dai tedeschi.
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Scivolando ancora nel tunnel del catalogo di Calasso, c’è Sindbad torna a casa che è opera della maturità, Márai qui è autore affermato che dipana un vero racconto dei suoi incontri letterari nei caffè degli anni Venti. Senti il passo della Cripta dei cappuccini ma con un’ansia meno funerea.
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Il gabbiano è opera lieve che si dissolve nella memoria del lettore. Forse perché di mezzo ci sono scogli linguistici (l’orribile ceppo ugro-finnico). Lo stesso motivo ci ostacola nel godimento de L’isola e de La sorella che sono lavori di circostanza.
L’isola, poi, è storia di un palco di corna cresciute durante una crociera in Grecia ma vale comunque poco per capire il tema caldo di Marai, il tradimento. La sorella è un viaggio onirico nella Firenze degli anni fascisti.
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Terra! Terra! è opera di autoaccusa. Senti lo scrittore esule dall’Ungheria comunista che punta il dito contro gli intellettuali venduti e lo vedi alle prese con l’autocensura: avrei voluto sapere ‘altro’ anche quando leggevo i libri degli altri. Adesso sentivo di aver scritto troppo. Molte cose sarebbe stato meglio non scriverle. Molte altre forse andavano scritte, ma sarebbe stato più saggio non pubblicarle e lasciarle seccare nel cassetto. Come capita nella vita: vediamo e sappiamo bene, nei momenti cruciali, le molte cose che sarebbe stato meglio non esternare… Ma poi? Ma poi l’istante del ripensamento passa e rimane, con le tante incertezze, i difetti e i peccati, il ‘tutto’ che è com’è perché non può essere diverso. E alla fine siamo responsabili solo del ‘tutto’, i dettagli non contano.
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Il sangue di san Gennaro lo scrisse appena uscito dall’Ungheria. È debole. Márai non riesce a cogliere la vita italiana, figurarsi quella di Napoli. Più che altro sembra che abbia l’Odissea negli occhi mentre parla dei pescatori. Ma trovi alcuni dettagli memorabili come la nobile napoletana che applaude dal balcone il comizio di Togliatti mentre, dice Márai, i popolani si guardano perplessi tra di loro.
Molto meglio, semmai, questa poesia del 1950 scritta a Posillipo. Si sente un morto che cammina per colpa dell’invasione sovietica e il titolo è netto Orazione funebre.
“Sei ungherese, ecco tutto. Sei estone, lituano, romeno. Ora muto e paga. Alla fine, che sarà sarà. Anche gli Aztechi sono svaniti. Un giorno qualche studioso ti riesuma come fossi la testa di cavallo di un Avaro. Polvere radioattiva seppellisce tutti morti. Accettalo: laggiù saresti un nemico di classe, una non-persona. Accettalo: quaggiù sei nulla, una non-persona. Accettalo: che Dio accetti questo e i cieli selvaggi fatti di bolle Che illuminando non distruggono nessuno: questo è l’uomo saggio. Sorridi quando l’aguzzino ti strappa la lingua E dalla bara ringrazia chi ti seppellisce, se mai ci sarà qualcuno. Abbi riguardo per i tuoi sogni come fanno gli insani Coi tuoi pochi sogni rimasti”.
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La cosa migliore ritengo sia il suo diario L’ultimo dono compilato in seguito alla morte della moglie. C’è un accumulo di dolore. Lui che legge dei suoi antenati Unni & Avari nelle storie di Gibbon. Lui che patisce il caldo dell’estate californiana e sente alla radio notizie idiote sugli alieni. In fondo il suo messaggio è qualcosa del tipo: nella vita è meglio dire “fortuna che non l’ho fatto, chissà come poteva a dare a finire” invece del consueto “che occasione che ho perso”. Per il resto i contorni del diario sono aforistici. Impossibile renderlo. Lo depositai in una villa nobiliare sopra Lucca per cercare di far capire cosa è dolore a chi giocava da anni per mestiere col dolore degli altri.
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Forse un capolavoro assoluto c’è, oltre alle Braci. Un romanzo che sia capolavoro anche per dimensioni, per respiro arioso. È La donna giusta. La scrisse in quattro parti tra Europa e New York. Ha il piglio espressionista, uno stile “tutto cose”. E poi una pagina indimenticabile dove la protagonista dice Un giorno mi svegliai e non sentivo più dolore. Come se una scheggia di luce attraversasse la stanza. Avevo capito che la persona giusta non esiste, perché nella vita ci sono solo le persone, ognuna col suo carico di luci e le sue ombre. Vado a memoria ma la traduzione andava grossomodo così.
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Dopo il successo iniziale delle Braci Adelphi pubblicò Márai giovane. Le Confessioni di un borghese, la storia del cagnolino Truciolo e Divorzio a Buda sono comunque deboli. Le memorie ci raccontano della sua prima compagna. Un amore improbabile, un’attrice con la quale viaggiò in Europa. Poi la storia del divorzio, un incubo.
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Stesso discorso per i libri di genere. I ribelli fa parte di un ciclo che Adelphi non ha ancora tradotto nonostante le promesse. Storie stanche alla Kormendi. Nulla di straordinario. Anche La recita di Bolzano rientra in un cliché austroungarico e precisamente nel filone di Schnitzler. L’eredità di Eszter invece è da regalare a una ragazza ungherese se la conoscete, ma non per i fini che pensate…
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Questa carrellata voleva essere una testimonianza di affetto per un autore che una volta scrisse che abbiamo tutti un infinito bisogno di tenerezza. Un autore buffo, Márai, che fece incazzare Kafka. Leggete le lettere a Brod e trovate Franz intostato perché questo Márai ha fatto una traduzione non autorizzata della Metamorfosi.
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Un paio di anni fa scrissi a Márai. Volevo dirgli che aveva cercato di dare un nome a ogni cosa, a ogni sentimento. Gli dissi che si era dato un obiettivo impossibile. Lo credo anche adesso…
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E ora qualche dettaglio su Márai spulciando un articolo del Los Angeles Times. Márai morì laggiù, un pomeriggio che nella casa di san Diego la domestica non veniva ad aiutare. La nipote americana Jennifer racconta al giornalista del LA Times che per il suo compleanno del 1988 lui le diede tutte le sue enciclopedie, più una mazzetta di 400 dollari. Se li tennero quasi tutti i genitori.
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Nel 1985 se n’era andata sua moglie Ilona per un cancro. A seguire una sventagliata di mitra del fato: muoiono i suoi due fratelli, la sorella e, a soli 46 anni, un figlio. Ogni volta Márai andava con Jennifer a disperdere le ceneri sul Pacifico, a La Jolla. Avrei voluto mettere le mani sulla lettera finale di Márai a un conoscente dove scrive di non aver più pazienza con la vita. Non si trova.
*
In compenso c’è un florilegio di poesie a disposizione del lettore anglofono qui e qui. Ora però siamo su pianeta Pangea e la dottrina bibliografica con annessa storia dell’autore possono anche interessarci, ma non bastano. Perciò ecco la vera pezza d’appoggio: le sue poesie.
Andrea Bianchi
***
Canzone della svestizione
Ora ti dico questo, tutto insieme. Ché è precisamente il segreto pesante e doloroso Del nostro contratto: tempo verrà che dovremo lasciare ad altri la responsabilità – Non solo l’amicizia o il denaro o il silenzio E nemmeno soltanto i treni roboanti o i paesaggi che ti portai a vedere, scene remote quando coi tuoi occhi più grandi di quelli di una bambina già ti volgevi indietro a considerare la nostra vita – di mezzo c’erano migliaia di kilometri – e guardavi la vita come un’avventuriera che fissi lo sguardo fuori dal finestrino del treno. E vedevi piccole pecore brucare, le loro vite minuscoli e i loro sorrisi gentili E noi si andava oltre a cercare un posto dove mangiare, un hotel. E quanti hotel, quanti paesaggi, quanta gente, cara… Come un viaggiatore nervoso che cerchi il suo piccolo portafogli, anch’io troppo spesso ti seguivo, allarmato. E alla fine ci dicevamo tutto. Anche imparammo a tacere. La notte poteva piombarci addosso E ombre gigantesche dividerci, le ombre degli alberi selvaggi. Quindi ci svestivamo, mai toccavamo le parole. Ché c’era sempre un resto nei conti tra noi, la modestia delle nostre parole. Il mantello complicato del silenzio: non eravamo poeti e non andavamo tra le parole perché ne avevamo paura – eccome se ne avevamo paura: erano parenti nostri, le conoscevamo! E ora mi svesto del tutto di queste parole molto pesanti e alla fine c’è il nudo. Ecco perché pronuncio con timore: parole che sono bolle pronte a esplodere, ad accecarci come i grandi fuochi senza nome che la natura accende di notte per caso e nudi ci accoccoliamo tremando, ché è scuro e freddo – mia amata.
**
Madre
Quale mano segreta spinge a scrivere: il tessuto del tuo viso raddolcito è un pezzo di scrittura annodato che va sparendo; lo fisso e le sue lettere incominciano a cadere al posto giusto: cosa vi hanno inscritto gli anni e la vita? Sono io, il mio fato, addirittura, questa linea sottile sul tuo sopracciglio: perdonami, fato non è ciò che scelsi ma quel che venne in essere; ma ora quale fato sto osservando, il mio o il tuo? Non so, ti dico. Nelle camere ogni notte, davanti a specchi sempre nuovi mi fermo, irrisolto: guardami madre, guarda i solchi sul viso ignoto di tuo figlio già assomigliano ai tuoi, così simili e – quando si vestono, quando vanno a pezzi e crollano – entrambi i nostri corpi lentamente si mutano in polvere – un corpo solo, stessa polvere, argilla madre.
*
Credo (quia absurdum)
Credo in una creazione, la mia vita: questa, io credo. Credo nella predestinazione, nella mia predestinazione: me stesso. Credo in un mondo e in un uomo che si appartengono. Credo nella meraviglia dolorosa dei poeti, nella sorpresa che mi portò in vita, credo che l’esistenza mi abbia offerto la sua accettazione. Credo nelle persone perché devo credere di esser parte di loro. Credo nella gioventù che è canzone felice sopra le acque. Credo nell’infelicità ansiogena degli uomini che sono alla ricerca; credo nell’amore rabbioso delle donne che è come gli attacchi degli animali, credo nella morbidezza del loro gesto quando si portano il neonato al capezzolo turgido e piegano la fronte asciutta sopra di lui. Credo nella consequenzialità inflessibile degli oggetti, nella legge primordiale delle linee, nella rapida ed eccitante varietà dei colori, nei legami delle parole, misteriose trappole di verità, credo nelle mani belle e negli occhi degli animali. Credo nella forma interiore della materia eterna e nascosta, credo nell’aria distinta dei gatti viziati e nella bontà dei mari. Credo nella bontà e nella dolcezza dello stupido diavolo avaro che si rallegra per le difficoltà altrui. Credo nel mite aroma di incenso della semplicità, nell’odore di sangue dei crimini, nella pietà a costo zero dei sentimentali. Credo nelle nuvole e nei balzi della stagione che cambia; credo nelle astuzie delle donne nelle capitali che fanno come le puttane e ti prendono al laccio, credo nell’arroganza del denaro che ti dà sempre e ancora sicurezza. Credo nelle code tristi in tempo di guerra, negli incantesimi degli svenimenti Quando le donne al mattino hanno le mestruazioni e sono costrette a letto, credo nel respiro speziato delle piante tropicali, nella spinta dei poteri mondani che inseguono le stelle. Credo nella povertà infinita che è senza rimorsi e puzza di umanità. Credo negli elementi e in me stesso. Credo in chi sa credere da naif. Credo in una vita, vita, vita: ora e poi per sempre.
Sándor Márai
*traduzione di Andrea Bianchi
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Colpa delle stelle: 10 cose che non sai sul film
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Colpa delle stelle: 10 cose che non sai sul film
Colpa delle stelle: 10 cose che non sai sul film
Colpa delle stelle: 10 cose che non sai sul film
Adattamento dell’omonimo e popolare romanzo per ragazzi, Colpa delle stelle è arrivato nelle sale cinematografiche nel 2014 con la regia di Josh Boone. In breve la pellicola è diventata un grande successo in tutto il mondo, ottenendo ottimi riscontri di pubblico anche in Italia. Il merito va anche ai due giovani e apprezzati protagonisti, che hanno saputo attrarre numerosi spettatori verso questa storia d’amore e di lotta contro un destino avverso.
Ecco 10 cose che non sai di Colpa delle stelle.
Colpa delle stelle: la trama del film
1. Racconta una storia d’amore in un contesto difficile. Protagonisti del film sono Hazel e Gus, due giovani adolescenti, anticonformisti e dallo spiccato spirito sarcastico. I due si conoscono durante le riunioni in un gruppo di sostegno per malati di cancro, innamorandosi irrimediabilmente l’uno dell’altro, nonostante le avversità che il destino porrà sul loro cammino.
Colpa delle stelle: il cast del film e i personaggi
2. Ha due giovani attori di talento per protagonisti. Nel ruolo dei due ragazzi protagonisti vi sono gli attori Shailene Woodley, nei panni di Hazel, e Ansel Elgort, in quelli di Gus. I due, già celebri prima, hanno con il film consacrato la loro popolarità. Recitno accanto a loro l’attrice Laura Dern, el ruolo della madre di Hazel, e Willem Dafoe, nel ruolo di un burbero scrittore.
3. La Woodley ha costretto Elgort a leggere il libro. Prima del primo incontro per la lettura collettiva della sceneggiatura, la Woodley ha insistito affinché il suo amico e co-protagonista leggesse il romanzo da cui è tratto il film. Pur di non farla arrabbiare, Elgort ha infine letto il libro per lei.
4. Shailene Woodley ha donato i suoi capelli. Per il ruolo l’attrice si è realmente tagliata i capelli, preferendo fare così piuttosto che indossare una parrucca. L’attrice ha poi donato i capelli tagliati ad un ospedale locale, dove ne avrebbero fatto una parrucca per i bambini malati.
5. I due attori avevano già recitato insieme. Nel film Divergent (2014), la Woodley e Elgort interpretano il ruolo di due fratelli, mentre in Colpa delle stelle tornano a lavorare nuovamente insieme, ma nel ruolo di due innamorati.
Colpa delle stelle: il libro
6. Il titolo si ispira ad un verso di Shakespeare. Per il titolo del romanzo, l’autore si è ispirato al primo atto, scena 2, del Giulio Cesare di William Shakespeare, in cui Cassio dice a Bruto: “la colpa, caro Bruto, non è delle nostre stelle, ma nostra, se siamo dei subalterni”.
Colpa delle stelle: le canzoni del film
7. Contiene numerose celebri canzoni. La storia d’amore tra i due protagonisti è accompagnata da alcuni popolari brani musicali, tra cui si annoverano All of the Stars di Ed Sheeran, Simple As This di Jake Bugg, All I Want dei Kodaline, No One Ever Loved di Lykke Li e What You Wanted dei OneRepublic.
Colpa delle stelle è in streaming
8. È disponibile in streaming. Per gli amanti del film, è possibile rivedere il film su alcune popolari piattaforme streaming, le quali presentano il titolo nel proprio catalogo. Tra questi ci sono Rakuten TV, Chili, Google Play, Apple iTunes e Infinity. Per vederlo basterà sottoscrivere un abbonamento o noleggiare il singolo film.
Colpa delle stelle: ecco alcuni film simili
9. Numerosi sono i film simili a questo. Colpa delle stelle si inserisce in un ricco filone di film romantici per ragazzi, di cui titoli simili sono Città di carta (2015), Tuo, Simon (2018), Il sole a mezzanotte (2018), Resta anche domani (2014), The Spectacular Now (2013), Ogni giorno (2018), A un metro da te (2019) e Noi siamo tutto (2017).
Colpa delle stelle: le frasi più belle del film
10. Contiene numerose frasi divenute celebri. Il film è celebre anche per via delle sue numerose frasi, divenute simbolo del difficile amore tra i due protagonisti. Ecco alcune delle frasi più belle.
– Mi sono innamorata di te come quando ci si addormenta: piano piano poi… Profondamente. (Shailene Woodley)
– Se vuoi vedere l’arcobaleno, devi sopportare la pioggia. (Shailene Woodley)
– Sono innamorato di te, e non sono il tipo da negare a me stesso il semplice piacere di dire cose vere. Sono innamorato di te, e so che l’amore non è che un grido nel vuoto, e che l’oblio è inevitabile, e che siamo tutti dannati e che verrà un giorno in cui tutti i nostri sforzi saranno ridotti in polvere, e so che il sole inghiottirà l’unica terra che avremo mai, e sono innamorato di te! (Ansel Elgort)
– Puoi scegliere di non soffrire in questo mondo, però puoi scegliere per chi soffrire. E a me piace la mia scelta, spero che ad Hazel piaccia la propria. (Ansel Elgort)
– È questo il problema del dolore. Esige di essere sentito. (Ansel Elgort)
Fonte: IMDb
Cinefilos.it – Da chi il cinema lo ama.
Colpa delle stelle: 10 cose che non sai sul film
Adattamento dell’omonimo e popolare romanzo per ragazzi, Colpa delle stelle è arrivato nelle sale cinematografiche nel 2014 con la regia di Josh Boone. In breve la pellicola è diventata un grande successo in tutto il mondo, ottenendo ottimi riscontri di pubblico anche in Italia. Il merito va anche ai due giovani e apprezzati protagonisti, che […]
Cinefilos.it – Da chi il cinema lo ama.
Gianmaria Cataldo
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Parliamo dall’account Facebook “Tommaso Ciarponi“, quello che in un post (rimosso) si dichiarava dispiaciuto “che sotto il ponte non ci siano rimasti schiacciati quei vermi di Salvini e Di Maio!“:
Tommaso Ciarponi: “Lo sapete qual’è l’unica cosa che mi dispiace dell’incidente di Genova? E’ che sotto il ponte non ci siano rimasti schiacciati quei vermi di Salvini e Di Maio! E ora blaterate pure analfabeti funzionali.”
Klaus Nozza: “Sei un coglione”
Tommaso Ciarponi: “Io me ne frego dei morti di genova come voi ve ne fregate dei nostri fratelli morti in mare.“
Il post prima privato e poi pubblico
Quello sopra riportato è uno dei tanti screenshot diffusi online per denunciare il suo post Facebook, un’immagine che ci permette di curiosare un primo elemento utile a comprendere alcune dinamiche. Il primo elemento è l’impostazione della privacy del post, rivolta solo agli amici dell’account stesso:
L’impostazione della privacy del post a 23 minuti dalla pubblicazione.
Chi commentava il post poteva essere, dunque, suo “amico” su Facebook. Klaus, in questo caso, poteva esserlo come i tanti amici sostenitori della Lega e di Matteo Salvini presenti nella lista amici dell’account “Tommaso Ciarponi“.
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Non c’erano solo leghisti tra i suoi amici 708 amici, seppur in particolare prevalenza (quelli sopra riportati sono solo alcuni), ma anche sostenitori di Casapound, Movimento 5 Stelle e Partito Democratico.
Solo in seguito (circa 3 ore) il post diventa pubblico, come possiamo notare da altri screenshot circolati in seguito:
Dopo 3 ore le impostazioni della privacy del post vengono cambiate dal proprietario dell’account e diventa pubblico.
L’orario di pubblicazione e il logo del PD
Siamo a tre ore dalla pubblicazione originale, ma a che ora è stato pubblicato? Per questo ci viene in aiuto un altro screenshot:
Lo screen dove possiamo cercare l’ora di pubblicazione
Come potete notare, nello screenshot l’orario di pubblicazione è posto a “3 ore” così come l’aggiornamento dell’immagine di profilo dell’account. Quindi, poco prima di pubblicare il post, il gestore dell’account aveva posto come immagine del profilo quella prelevata dalla pagina Facebook del Partito Democratico di Forlì:
L’immagine del profilo con il logo del PD era stato caricato poco prima del post contestato
L’orario di pubblicazione è chiaro, il 15 agosto 2018 alle ore 12:09 e corrisponde con l’orario di pubblicazione del post. _Essendo stato cancellato il post contestato, come possiamo sapere con certezza che è avvenuto tutto nello stesso momento o minuto? Con gli archivi digitali (foto e post):
Sia l’immagine di profilo che il post contestato sono stati pubblicati lo stesso giorno e lo stesso minuto.
Secondo le informazioni del profilo, il presunto “Tommaso Ciarponi” avrebbe studiato a Firenze e vivrebbe a Forlì. Visto che aveva usato il logo del PD di Forlì (che ha preso le distanze dal “Tommaso“) ho chiesto se era un loro iscritto:
Pd Forlì: “Buonasera, non è assolutamente un nostro iscritto“
Il deputato di Forlì, Marco Di Maio, pubblica un post Facebook dove annuncia (oltre a prendere le distanze per il post del “Tommaso“) probabili azioni legali: “Il Pd Forlivese si è attivato subito in tutte le sedi opportune“.
Le attività social dell’account
Una volta vista la lista dei 708 amici ho provveduto a contattare coloro che avevano qualche amico in comune con me, riuscendo ad ottenere alcuni post Facebook dell’account con l’impostazione della privacy che permetteva la visione solo agli amici. Scopriamo, ad esempio, che l’account sarebbe stato creato il 13 aprile 2018:
Il post di Facebook con la data di creazione dell’account
Nell’arco di tempo tra il 13 e il 16 aprile vengono pubblicati i seguenti post, del tutto “normali” con video curiosi, calcio e le foto di una “vacanza“:
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Nei giorni successivi, il 23 e il 24 aprile, inizia a parlare di politica:
“Governo PD-M5S a guida Fico. AHAHAHAHAHAH che penosi che sono i grillini, ma qualcuno vuole ancora votare costoro?”
“Non so se mi faccia più cagare Fico, Di Maio o gli ignoranti e analfabeti grillini che difendono a spada tratta le decisioni dei loro “ducetti” prive di logica…“
Nello stesso periodo, il 23 aprile 2018, l’utente interveniva nel gruppo Facebook “MOVIMENTO 5 STELLE GOVERNIAMO L’ITALIA” (dove risulta ancora iscritto) con il seguente post:
Dato che l’alleanza M5S + PD avverà grazie a Fico, il Movimento 5 Stelle è ufficialmente morto. E’ stato bello, ADDIO!
Il 24 aprile, in un altro post del gruppo dove si parla dell’alleanza M5S-PD, commenta così:
Alessandro: “Di Maio non sbaglia mai, neppure quando qualcuno, anche elettore del M5S, lo pensi. Le sue scelte riflettono quelle di una classe politica nuova e rivoluzionaria che rompe un progetto col passato. Un accordo col PD sarebbe una scelta di governo per l’Italia, che potrebbe anche durare cinque anni, e in ogni caso resta l’unica possibile per dare corso immediatamente ad alcuni punti programmatici nodali del M5S inclusa la nuova legge elettorale per non consentire mai più a un Berlusconi di vincere in Molise con l’8%, quando il Movimento Cinque Stelle prende il 38%. Un accordo col PD non sarebbe quell’incesto politico che genera creature contro natura, ma darebbe inizio ad un percorso utile per estirpare sistemi politici di cui il Paese deve disfarsi prima possibile. Auguri Luigi, so che anche adesso non sbaglierai.”
Tommaso Ciarponi: “DI MAIO VERGOGNATI“
C’è un commento ancor precedente, risalente al 21 aprile, dove commenta così un meme con raffigurante Berlusconi che definisce in malo modo i 5 Stelle:
Meme Berlusconi: “I 5 Stelle a Mediaset pulirebbero i cessi – Rispondetegli nei commenti”
Tommaso Ciarponi: “Ha ragione i grillini sono analfabeti“
A proposito, ecco un commento in un immagine pubblicata nella pagina di Matteo Salvini:
Tommaso Ciarponi: “I grillini sono un cancro dio santo“
I “mi piace” ai post Facebook
Come abbiamo visto in precedenza, l’utente definiva già in malo modo i votanti del M5S e non solo ed era contrario ad un Governo con il Partito Democratico. Che fosse un “piddino“? Proviamo a vederci chiaro partendo da alcuni dei post dove ha messo i “mi piace“:
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Se scorrete nella ricerca troverete contenuti legati a Matteo Salvini, come questo del 19 maggio 2018:
Questo Governo s’ha da fare. Ricordo ai sapientoni che contestano Salvini, che se non si farà questo governo automaticamente Mattarella creerà un governo Tecnico contrario alla volontà popolare. Altro appunto: Ricordo a tutti che Berlusconi in passato ha appoggiato i governi Monti, Letta e Renzi.
I commenti pubblici di “Tommaso”
Possiamo vedere anche i commenti pubblici dell’account “Tommaso“. Ecco come commentava un articolo dell’HuffPost che poneva l’attenzione sull’uso della giacca Pivert da parte di Matteo Salvini:
Tommaso Ciarponi: “Articolo penoso“
Ecco come commentava il 9 maggio 2018 un un post della pagina di Matteo Salvini:
Tommaso Ciarponi: “Ma come mai tanti grillominchia qui?”
Gioia: “Li sguinzagliano apposta per influenzare negativamente su Salvini. Ho la sensazione che la diffamaziane sia gestita e indotta attraverso chat.” [Tommaso mette “mi piace”]
Tommaso Ciarponi: “Usano molti account fake magari dietro ci sono 10 persone con centinaia di account con nomi improbabili“
Il 18 aprile commenta in un post pubblicato nel gruppo Facebook “NOI con Matteo Renzi e con il PD” dove veniva condiviso un articolo dal titolo “Perché il PD deve andare al Governo“:
Tommaso Ciarponi: “Vergogna“
Il 19 maggio interviene in un post del gruppo “Amici della Lega di Matteo Salvini” dove vengono criticate le parole di Silvio Berlusconi nei confronti di Matteo Salvini:
Tommaso Ciarponi: “Lui è il vero traditore“
Ancora nel gruppo “NOI con Matteo Renzi e con il PD” commenta un post dove vengono criticate le scelte di Martina nei confronti del M5S per la formazione di Governo:
Tommaso Ciarponi: “Che delusione Martina e pensare che lo stimavo”
Marina: “Tommaso è tutta una tattica, se Martina non andava essendo stati chiamati da Mattarella sarebbe stato uno sgarbo verso il Presidente della Repubblica. Da bravi democratici sono andati a parlare con i 5* ma vedrai non si farà niente. Verrà reso ai 5* Pan per focaccia. Non ci siamo dimenticati della figuraccia di Bersani, questa volta toccherà ai 5*.”
Tommaso Ciarponi: “Speriamo io la vedo buia“
Il 16 aprile commentava in un altro post dove si parlava dell’alleanza M5S e PD:
Giuseppe: “AI MIEI CARI AMICI. Ho spesso notato dei post in cui qualcuno chiede ad altri amici se è d’accordo che coloro che oggi sono minoranza nel partito vengano espulsi perché non in linea con la maggioranza , con riferimento a Orlando ,boccia ,Emiliano. DISSENTO PROFONDAMENTE . Ricordo a tutti che il nostro è il partito DEMOCRATICO dove si discute e si ci confronta nel reciproco RISPETTO. Il partito Democratico non fa liste di proscrizione e non espelle nessuno ,chi va via lo fa perché non condivide le idee e la politica ,ma spontaneamente .”
Tommaso Ciarponi: “Se sei con Emiliano e simili traditori vattene anche tu loro sono dei grillini mascherati“
I “mi piace” alle foto su Facebook
Ecco alcune delle foto a cui ha messo “mi piace” (tutti son legati a Salvini):
Alcune delle foto apprezzate da “Tommaso”
I “mi piace” e i commenti ai video su Facebook
Passiamo ora alcuni video a cui ha messo “mi piace” (tutti di Matteo Salvini):
Alcuni dei video apprezzati da “Tommaso”
Ora vediamo a qualche commento pubblico ai video, come questo del 28 maggio 2018 in diretta dalla pagina Facebook di Matteo Salvini dove “Tommaso” scrive “Forza Capitano“:
Tommaso Ciarponi: “Forza Capitano“
Riporterò altri commenti in seguito perché fanno parte di un’altra situazione da raccontare.
Le pagine che piacciono a “Tommaso”
Ecco tutte le pagine che piacciono a “Tommaso“:
Pagine che piacciono a “Tommaso” – Blocco 1
Pagine che piacciono a “Tommaso” – Blocco 2
La ricerca dell’attenzione
In ben due video l’account “Tommaso Ciarponi” commenta con il testo del post contestato. Lo fa alle 12:24 del 15 agosto, poco dopo il post sul suo profilo:
Lo sapete qual’è l’unica cosa che mi dispiace dell’incidente di Genova? E’ che sotto il ponte non ci siano rimasti schiacciati quei vermi di Salvini e Di Maio! E ora blaterate pure analfabeti funzionali.
Allo stesso tempo pubblica copia incollando anche in un altro video:
Ancora lo stesso commento, ma in un altro video
Poco prima, alle 12:23, in questo video:
Ancora lo stesso commento
Alle 14:20 anche qua:
Lo stesso commento nella pagina “SCL 7”
Stava attirando l’attenzione, è evidente. Del resto, dopo una breve sparizione l’account torna a pubblicare:
Dopo le mie parole di ieri centinaia di populisti si sono riversati nel mio account per attaccarmi. Ma non mi interessa. Ringrazio anche quelle poche decine di compagni del PD che hanno supportato la mia dichiarazione, quello che conta è continuare questa battaglia contro il Populismo acefalo fasciogrilloleghista.
E ancora (1–2):
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L’ultimo post, al momento, è il seguente:
CHIARIMENTO NECESSARIO:
Da parte mia nessuna offesa né accusa verso le vittime di Genova. Ho solo detto che avrei voluto che ci fossero finiti Salvini e Di Maio. Non ho niente contro le vittime né le loro famiglie. La mia è una battaglia contro l’ignoranza e il populismo che dilagano ovunque.
Rimane da capire qualcosa
Chi è questo “Tommaso” che denigra il Movimento 5 Stelle (fin dall’inizio, sperando che non creasse un Governo con il PD), che usa improvvisamente il logo del PD di Forlì per poi postare quel contenuto osceno e che scriveva “Forza Capitano” ed era molto attivo a favore di Matteo Salvini? È lui quello nelle foto pubblicate nel profilo creato pochi mesi fa?
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Come nel caso “Lara Pedroni“, c’è ancora qualcosa da cercare.
Lo strano profilo Tommaso Ciarponi e la sua attività social Parliamo dall'account Facebook "Tommaso Ciarponi", quello che in un post (rimosso) si dichiarava dispiaciuto "
#Facebook#Fake#Lega Nord#Luigi Di Maio#Matteo Salvini#Partito Democratico#Ponte Morandi#Tommaso Ciarponi#Troll
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“Il clan ‘Trigila’, egemone nella zona sud della provincia aretusea, da oltre un ventennio gestisce tutta l’attività di spaccio di sostanze stupefacenti, sottopone ad estorsione i titolari di esercizi commerciali ed imprese e si è immessa, soprattutto, negli ultimi anni, attraverso una ‘lungimirante’ opera di infiltrazione, anche nelle attività economiche lecite. Ne sono emblematico esempio (…) il recente avvio di attività commerciali direttamente gestite da familiari di esponenti di primaria importanza del gruppo, come i bar gestiti dalla famiglia Waldker a Noto oppure il chiosco-bar gestito ad Avola dal figlio di Michele Crapula, Aurelio detto “Cristian” o, ancora, l’attività di pompe funebri e rivendita di fiori gestita, sempre ad Avola, dalla figlia di Michele Crapula, Desireè”.
Quanto si legge è contenuto nella richiesta cautelare che porterà, lo scorso autunno, all’arresto di due esponenti del Clan Trigila, a seguito della cosiddetta operazione “Ultimo atto”, eseguita dalla Polizia di Avola.
Pubblichiamo questo e, a seguire, altri atti pubblici che vedono citati i familiari del boss di Avola, Michele Crapula, pur non coinvolti in provvedimenti di restrizione di libertà.
Speriamo, così, di far chiarezza sul coinvolgimento degli stessi familiari del boss di Avola, facendo capire pubblicamente che i nostri articoli non sono “cose assurde ed infondate di un giornalista squilibrato”, come chi vi scrive è stato definito (testualmente) dai diretti interessati, bensì la ricerca della verità e la voglia di informare una collettività che, solo conoscendo, sarà libera di decidere da che parte stare.
Facciamo un passo indietro, il boss Michele Crapula è in galera da anni, più volte accusato e condannato per mafia. Allo stesso Crapula, o meglio al suocero, Aurelio Magro, è stata prima sequestrata e poi confiscata la mega villa della quale ci siamo occupati più volte (LEGGI ARTICOLO), frutto di attività illecite e marchiata con le iniziali del boss MC.
Il boss Michele Crapula è sposato con Venera (detta Vera) Magro, figlia del defunto (e anche lui coinvolto per mafia) Aurelio Magro ed insieme hanno tre figli, tutti citati nelle “carte” che pubblichiamo: Rosario (detto Saro), Cristian e Desirè.
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Michele Crapula
Venera (detta Vera) Magro
Aurelio Magro (suocero Michele Crapula)
Rosario Crapula
Desirè Crapula
Cristian Crapula
Sempre da “Ultimo atto”, troviamo le dichiarazioni di alcuni collaboratori di Giustizia (per la loro tutela non li citeremo per nome, riportando solo le dichiarazioni). Entrambi i collaboratori sono stati reputati attendibili da diversi uffici giudiziari.
Il primo collaboratore riferisce che:
Il gruppo Crapula si occupa di droga ed estorsioni, io mi sono sempre occupato prevalentemente di droga ma ho anche perpetrato qualche estorsione.
Sono affiliato al gruppo criminale facente capo a Michele Crapula e sono entrato nel gruppo nel 2008. Preciso che detto gruppo è inserito nel clan Trigila di Noto, nel senso che i proventi delle estorsioni e dei reati vengono mandati in parte a Noto. Il gruppo Crapula, però, gode da sempre di una certa autonomia, nel senso che non occorre l’approvazione dei vertici del clan Trigila quando si deve decidere, ad esempio, se sottoporre un esercizio ad estorsione. Lo stesso accadrebbe qualora il gruppo Crapula decidesse di commettere un omicidio, ma questa cosa non è mai capitata da quando io ne faccio parte.
Non tutti i componenti del gruppo Crapula sono noti ai vertici del clan Trigila.
Rosario Crapula, figlio di Michele, è legato al gruppo di suo padre. Non so se spacci droga, ma raccoglieva i proventi delle estorsioni e li divideva per fare gli stipendi.
Il secondo collaboratore dichiara che:
Fra gennaio e marzo del 2015 ho fatto sapere a Trigila che” il gruppo “Crapula faceva estorsioni ad Avola senza che il clan ne fosse informato”. Come ritorsione “rubai un mezzo ad una delle ditte che stavano lavorando ad Avola e pagando il pizzo a Crapula”.
In un’altra importante operazione, questa volta dei Carabinieri, relativa a spaccio di sostanze stupefacenti e risalente al 2012, venivano citati ancora una volta i familiari del boss Michele.
Dall’intercettazione di tre soggetti legati allo spaccio della droga, i militari riferiscono che:
“l’uomo avrebbe avuto già un’autorizzazione ad effettuare l’illecita attività da “Saro”, cioè “Crapula Rosario”.
Precisando poi, che lo stesso è
“figlio di Michele esponente della locale cosa mafiosa”.
Un’altra importantissima operazione coordinata dalla Dda di Catania e condotta dalla Polizia, prese il nome di “Nemesi”.
In “Nemesi”, la Polizia riassume alcune conversazioni e, in una prima, riferisce che “il Di Stefano (ovvero, Antonino Di Stefano, detto “Iano ra vedova”) fornisce al Caruso in ordine al prossimo versamento delle somme a vantaggio del Crapula.
Effettiva consegna, da parte del Di Stefano, ai familiari del Crapula, nella persona della moglie Magro Venera, della somma di 10mila euro verrà effettivamente accertata sulla scorta delle conversazioni intercettate”.
Nelle intercettazioni – per la Polizia – Di Stefano corrisponde:
“al Crapula Michele una percentuale mensile del 7% su tutti gli introiti dell’organizzazione criminale. Nel corso del dialogo, in particolare, il Di Stefano – afferma la Polizia – faceva espresso riferimento alla moglie di Crapula Michele, Magro Venera ed al suocero, Magro Aurelio, come soggetti deputati ad ottenere il versamento della menzionata quota pretesa dal Crapula”.
Di seguito una delle tante intercettazioni (in questo caso ambientale) allegate nel fascicolo del Processo “Nemesi“:
CATANIA Sebastiano informa DI STEFANO Antonino che “ANGELO” ha convocato “AURELIO”, con il quale vuole incontrarsi perché “… gli deve parlare …”. Per tutta risposta, il DI STEFANO, meravigliato dalla notizia, chiede al CATANIA su chi dovrà provvedere ad informare l’ “AURELIO”, precisando che lui stesso, poco prima, era stato da “VERA” alla quale “… Le ho portato quelle cose”. Intervenendo a sua volta, il CATANIA chiede al DI STEFANO se lo stesso le aveva precisato “… che ci siamo fatti il prestito per darglieli ?”.
Paolo Golino (cognato Michele Crapula)
Infine c’è il ruolo del cognato del boss Michele Crapula e di Venera Magro (detta Vera), Golino Paolo.
Paolo Golino, di mestiere meccanico, è stato coinvolto nell’operazione “Nemesi”. Lo stesso Golino avrebbe – secondo le carte dell’operazione Nemesi – aiutato il clan, in particolare il cognato Michele Crapula, nella raccolta di proventi di estorsioni.
Come si potrà vedere, tutto ciò che abbiamo pubblicato da quasi un anno (LEGGI PRIMO ARTICOLO – SECONDO ARTICOLO – TERZO ARTICOLO) è perfettamente aderente alle parole dei collaboratori ed ai documenti ostensibili (quindi pubblici) che caratterizzano le ultime operazioni di Polizia e Carabinieri nella zona meridionale della Provincia di Siracusa. Cogliamo l’occasione per precisare inoltre che, il chiosco gestito dal figlio di Michele Crapula, Cristian, venne sequestrato dalla Polizia e poi dissequestrato, il caso è stato archiviato (abbiamo pubblicato la notizia qualche settimana fa).
Noi continueremo a fare il nostro lavoro di ricerca della verità e, prossimamente, pubblicheremo un approfondimento-inchiesta sull’acquisizione dei Crapula dell’attività della signora Cancemi, utilizzata per allargare la propria influenza commerciale nel campo delle onoranze funebri.
Tutto affinché la gente di Avola sappia con chi ha a che fare e decida, come spesso ripetiamo, da che parte stare. Se stare dalla parte del clan Trigila (e con i Crapula) o se stare dalla parte dello Stato, delle Forze dell’Ordine e di chi cerca di lottare il cancro della mafia.
LA MAFIA AD AVOLA, OLTRE CRAPULA
La bella cittadina di Avola che, lo vogliamo precisare, non vede solo la presenza del gruppo di Michele Crapula.
Vi è la presenza di diversi gruppi mafiosi e delinquenziali, come quello legato a Tonino Carbè che gestisce lo spaccio di droga per conto diretto dei Trigila in netta contrapposizione con i Crapula (lo stesso Carbè avrebbe aggredito ed umiliato, poco tempo fa, un importante esponente del gruppo “Crapula”, ridicolizzandolo nei confronti di tutti).
In libertà troviamo Paolo Zuppardo che oggi si occupa di diversi affari delinquenziali, come la droga ed alcune estorsioni nelle realtà locali.
Zuppardo è stato già coinvolto in diverse operazioni di Polizia e si è reso, inoltre, protagonista di minacce pubbliche nei nostri confronti e nei confronti di amministratori della città di Avola.
Entrambi, Carbè e Zuppardo (ed i loro sodali) rappresentano una vera e propria “emergenza criminale“ ad Avola.
Si spera possano essere presto assicurati alla Giustizia, come accaduto con Angelo Monaco da noi denunciato pochi mesi fa ed arrestato dalla Polizia questa settimana, con 70 chili di droga (LEGGI ARTICOLO).
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Tonino Carbè
Paolo Zuppardo
Assicurati alle patrie galere ma per alcuni pentiti ancora molto influenti, troviamo personaggi di spicco della realtà avolese: su tutti parliamo di Antonino Campisi, detto “Toninu u scoppiu” e Marco Di Pietro (detto “Marco Motta”).
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Antonio Campisi (detto Tonino u scoppiu)
Marco Di Pietro (detto Marco Motta)
I Crapula hanno avviato “una lungimirante opera di infiltrazione”. Ecco i documenti sui familiari del boss “Il clan ‘Trigila’, egemone nella zona sud della provincia aretusea, da oltre un ventennio gestisce tutta l’attività di spaccio di sostanze stupefacenti, sottopone ad estorsione i titolari di esercizi commerciali ed imprese e si è immessa, soprattutto, negli ultimi anni, …
#Antonino Campisi#aurelio magro#avola#clan trigila#crapula#cristian crapula#desire crapula#marco di pietro#marco motta#Michele Crapula#paolo golino#paolo zuppardo#saro crapula#tonino carbè#vera magro
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“A Mosca mi elogiavano per ogni verso che scrivevo”: su Vladislav Chodasevič, il poeta della notte europea, del candore nella tragedia
Vladislav Chodasevič il 7 gennaio 1917, al davanzale, durante una tremenda gelata, aveva appena finito la poesia Negli affanni d’ogni giorno… iniziata il 14 dicembre dell’anno prima, “d’un tratto odo il crepitio di un fuoco / che mi fa chiudere gli occhi”, quando gli entra in casa Geršenzon, suo amico e maestro, cioè così riportano le note di commento scritte da Chodasevič stesso sulla copia personale di Nina Berberova dell’opera Raccolta dei versi, stampata a Parigi nel 1927. Una scena, quella dell’arrivo di Geršenzon a ultimazione di poesia, che si ripete dopo pranzo il 17 dicembre del 1917: Chodasevič aveva appena finito la poesia Sogni, “pure mi è chiaro che un nuovo riflesso / riverbera ora su tutto”, quando gli entra in casa Geršenzon, felice, raccontando del decreto sulla nazionalizzazione delle banche, e al ripetersi della scena, questa variazione allo stesso tempo piccola e gigantesca della stessa dinamica, sembra di trovarsi in uno dei giochi dell’eternità di Antonio Moresco, in cui è difficile stabilire cosa viene prima e se viene veramente prima e cosa dopo, ammesso venga dopo sul serio, e allora le note diventano i cartelli più affidabili nella terra di confine per definizione che è la poesia, e l’apparato delle note alla raccolta Non è tempo di essere di Vladislav Chodasevič, per la Bompiani, a cura di Caterina Graziadei, è tutto da leggere, e non me la sento di dire s’è stato più trascinante leggere le poesie di Chodasevič o se le note alle proprie poesie scritte da lui o gli altri scritti di Chodasevič recuperati dalla Graziadei per raccontare le poesie di Chodasevič. Quando tra te e il poeta c’è chi traduce dalla lingua del poeta alla tua, passando per la sua, sua di chi traduce intendo, la poesia di chi si sta leggendo? E qui non mi riferisco solo alle lingue nazionali, al russo e all’italiano, ma alla lingua che ognuno di noi ha sia anatomicamente nel palato sia, in senso appena appena più lato, nella propria mente: ancora, sono tutti piani in movimento, l’instabilità continua sulla quale Moresco fonda i suoi romanzi colossali e tremolanti.
*
Chodasevič scrive in un’altra lingua, ancora di più: in un altro alfabeto. Stare davanti all’originale di una poesia di Chodasevič per me è in parte come stare davanti a un quadro di Joan Miró, e se nel caso di Miró, nel trascriverne il nome, la cura sta nell’accentargli per bene la ó, provatevi voi a trascrivere correttamente e in originale il nome di Vladislav Felicianovič Chodasevič: Владислав Фелицианович Ходасевич. Quali scarabocchi comporrebbe la mano non arresasi alla protesi della tastiera e al suo processore di parole elettronico con tutti i font utili e che ti dispensa da tutto, ti dispensa dall’imparare a scrivere. E come faccio a dire se mi sono attardato più sui primi quattro versi del 18 novembre 1906, “Solo, fra le anse del fiume, / allo stridìo di attardate gru, / oggi di nuovo apprendo/ la muta sapienza dei campi”, o se quando, tra le note, c’è quella del luglio 1923, e si parla della birreria di Berlino, dove andava spesso con Belyi: “Mariechen, bruttina, cagionevole, ricordava in qualcosa Nadja L’vova. Belyi si ubriacava, ballava con lei”. E Nadja L’vova chi è? È una poetessa morta suicida, nel 1913, e questa nota è di postilla alla poesia An Mariechen, “Che fai là, fissa al bancone della birra? Ti si è forse appiccicato?/ Qui servirebbe una ragazza di piglio, / e tu sei pallida e smunta”. Dai sapienti campi russi alle appiccicose bettole tedesche? Tra il 1906 e il 1923 ci sono stati: amori, divorzi, altre fughe d’amore, altre rotture e separazioni, rivoluzioni, emigrazioni, successi, foruncolosi, lauti pasti, indigenze, le stampe clandestine, le nuove liriche, la storia di un uomo incastonata nella storia di un paese, di tutta un’epoca, e di un uomo che si è voluto poeta e che quindi della poesia ha la sensibilità e la malattia, la superbia e la grande miseria. Lo stesso poeta che riporta la reazione alla lettura della sua poesia Un episodio, nel gennaio 1918, “suscitando il ‘tempestoso’ entusiasmo di Vjačeslav Ivanov (con levata di braccia al cielo). In seguito, a motivo di questi versi, gli antroposofi non mi davano più tregua”, e che nella nota alla poesia In riunione scrive “A Mosca mi elogiavano per ogni verso che scrivevo”, dal 1927 decide di smette di essere poeta, incarna la figura dell’intellettuale russo emigrato, studia Puškin e pubblica recensioni e articoli sui quotidiani: Chodasevič è morto, il poeta Chodasevič, Chodasevič è vivo, l’intellettuale russo emigrato Chodasevič, come lo sbirro D’Arco di Moresco in Canto di D’Arco: attraversa la città dei vivi e la città dei morti e la città di confine tra la città dei vivi e la città dei morti perché non si è mai del tutto vivi e basta, del tutto morti e basta (anche se Chodasevič poi muore del tutto il 14 giugno del 1939, come scrive Graziadei nella nota biografica: “Macerato da un cancro non diagnosticato per tempo, il poeta muore dopo lunghi tormenti, quando viene tentata una tardiva operazione, il 14 giugno 1939”).
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Del 27 novembre 1916 è la poesia Al Parco Petrovskij, della sezione Per la via del grano, la prima de La raccolta dei versi, quindi la Notte europea, terza sezione dell’opera, è ancora lontana, eppure nella poesia Al Parco Petrovskij c’è la prefigurazione della notte che sta arrivando, che è già arrivata: Chodasevič è in auto, è l’alba, vede un uomo impiccato nel parco Petrovskij, il parco dei ricordi d’infanzia, Chodasevič ci andava a giocare accompagnato dalla njanja, bisogna far attenzione, non si può tradurre njanja con balia o tata, la njanja è una istituzione russa, è un fuoco della cultura russa, Chodasevič passa in auto all’alba con Anna Ivanovna e Igor’ Terent’ev e vede l’uomo impiccato nel parco Petrovskij della sua infanzia. Nella letteratura russa non mancano gli impiccati. La prima che mi viene a mente: la bimba violata da Stavrogin, che s’impicca nel capitolo censurato de I demoni, romanzo pubblicato nel 1873 ma che verrà stampato con il capitolo censurato, inserito in appendice, solo nel 1926. La bimba impiccata di Dostoevskij e della letteratura russa mi rimanda alla letteratura italiana e a Antinisca, allora, “la bambina che si era impiccata a una trave due o tre appartamenti sopra il mio, e che incontravo ogni giorno sull’ascensore”, così Antonio Moresco in Lettere a nessuno, ma la bambina impiccata attraverserà molte opere di Moresco, come un trauma. La violenza di un trauma ha la poesia Al Parco Petrovskij di Chodasevič, che viene dopo Dostoevskij e prima di Moresco, ammesso in letteratura tengano le coordinate del prima e del dopo. Nella poesia di Chodasevič l’impiccato senza nome è un uomo che indossava un cappello, prima, “Era nero il cappello / rotolato sulla sabbia”. Chodasevič ricorda fosse immobile il corpo dell’uomo impiccato a una cinghia sottile: “Pendeva, senza oscillare”: quanto tempo prima è successo, allora? Per quanto tempo è rimasto esposto e abbandonato a sé stesso quel corpo offeso? Tutta la notte? Ci deve essere voluta tutta la notte per calmare il dondolio della cinghia scossa dalle convulsioni, dal dolore del soffocamento. Quel corpo deve essere rimasto lì per tutta la notte e solo adesso, mentre il sole sorge, comincia a attirare dell’attenzione. “Sotto, la gente s’affollava / in un cerchio ammutolito”. Allora quanto in alto si trova il corpo immobile dell’impiccato? A quale ramo di quale albero di quale altezza? Chiude Chodasevič: “Era quasi invisibile / la cinghia sottile”. Per chi non distingue a colpo d’occhio la cinghia nella luce granulosa dell’alba, dunque, in un primo momento, l’uomo impiccato deve essere parso un uomo sospeso in aria: un uomo impiccatosi al cielo con una corda d’aria. Un uomo immobile, sospeso tra la sabbia del parco dell’infanzia e il cielo all’alba, morto. La notte stava arrivando, la notte era appena arrivata, la notte arriverà, la notte si era capovolta nell’alba, l’alba si capovolgerà nella notte, Moresco nei suoi romanzi prova a instillare poesia scrivendo centinaia di pagine invece che i pochissimi versi scelti, e Chodasevič passando in auto guarda un uomo impiccato e senza nome e, prima che al secolo accadesse di nuovo e per la prima volta tutto quello che ci è successo, il dandy russo Chodasevič, l’ammalato umiliato costantemente dalle sue infermità Chodasevič, scrive una poesia su un uomo impiccata dal niente, nel niente.
Antonio Coda
*In copertina: Vladislav Chodasevič (1886-1939), il poeta prediletto da Vladimir Nabokov
L'articolo “A Mosca mi elogiavano per ogni verso che scrivevo”: su Vladislav Chodasevič, il poeta della notte europea, del candore nella tragedia proviene da Pangea.
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