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La poesia nel Metaverso
La poesia nel Metaverso Ricordo l’avvento di Google, di Facebook, degli smartphone, dei tablet: rivoluzioni vere e proprie. Che spaventavano tanto ed anche entusiasmavano tanto. Ed ero bambino quando si passò dal tv in bianco a nero a quello a colori. L’idea che mi sono fatto, vivendo questi cambiamenti e diventata poi una convinzione, è che non bisogna mai avere paura, di nulla. Soprattutto di…
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#adeguamento non significa abbandono bensì discernimento del buono e bello#adeguamento poesia alla contemporaneità#approdo dinamico metrica poesia#autenticità del poetare del versarsi#belle poesie d amore#bellissime poesie d amore#capoversi maiuscole a capo doppi a capo#contemporaneità non significa cedimento ma co evoluzione#cosmica poesia facebook page#desiderio di contemporaneità#discontinuità sillabe estetica non forzata non ricercata grazia passione per la vita l amare l essere l essersi poesia#ebe divinità giovinezza#ebe mitologia#endecasillabi#evolversi musicalità linguaggi#frasi poesie d amore#inclinaziona agli accenti#la più bella poesia d amore#La poesia nel Metaverso | Francesco Nigri poeta e autore del libro di poesie IL SEGRETO DI EBE Edizioni Albatros Il Filo#lasciare libera l oralità interiorità della declamazione lettura a compenetrazione riflessione confronto#le piu belle poesie d amore#libri di poesie d amore#libro libri poesie d amore#libro per riscaldare il cuore#libro per tutti#metafore attachment geografici risvolti interiori poesia#metafore poeta poesia#metrica libera#metrica poesia istintiva#metrica tradizionale
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Link video https://youtu.be/hFyk1TN1DJ4
L'Impromptus in La bemolle maggiore op.29 fu scritto nel 1837, pare che fosse la composizione preferita dal celeberrimo musicista, quella che suonasse liberamente e che convinse successivamente numerosi pianisti ad eseguirla meno libera, pensando alla sua composizione metrica terzinata privandola di sfumature copiosamente presenti in altre realizzazioni. Oggi propongo al grande pubblico questa bellissima opera perla prima volta, elaborandola anche per violoncello e pianoforte ensemble vicino ai sentimenti profondi del grande genio.
a brevissimo disponibile!
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SUMMARIUM'
Inter primos oratores Romanos Ap. Claudius Caecus nominandus est. Praeter oratorem, vir politicus, aliquoties consul, dux victor Etruscorum et Samnitium, auctor tractationum et proverbiorum versibus. Haec personalitas multifaceta magna etiam munus egit in orthographia et in munere colligendi normas iuridicas quae tunc vigent in corpore. Primus casus est in quo testimonium habemus auctoris et operis ei attributi in cursu Latinarum litterarum.
Inter primas expressiones artis litterariae Romanae theatrum erat. Priusquam auctoritas dramatis Graecae sentiretur, variae theatrales formae Romae excultae sunt. Inter antiquissimas commemorandum est fescenninis expressiones scenicae rudimentares ponendae occasione festivitatum religiosarum cum opere agriculturae coniunctae, cuius origo probabiliter coniungenda est cum ritibus pro fertilitatis gratia.
Alia forma pervetustis theatralis satur erat, in qua risores ludicra et obscena Fescennini iocos cum choro concinebant.
Exodium denique Atellanum memorandum est, quod nomen habet a civitate Campaniae Atellae. Repraesentatio scaenica inter populos Oscanos diffusa est, cuius insidiae in vitae cotidianae scaenae fundatae sunt et in quibus quattuor species certae ludebant: Maccus, Bucco, Pappus et Dossennus.
Duplex tibicen, 6 aCn Saeculum Tarquinia, Sepulcrum Triclinii, Archaeological Superintendence.
BIBLIOGRAPHIC
Editiones textus
GB PIGHI, Poemata religiosa Romana, Bononiae, Zanichelli, 1958.
A. DEGRASSI, Inscriptiones Latinae liberae rei publicae, Fi-Patron, 1973. A.G. DUMEZH, Archaica religio romana, trans. illud. by F. JESI, Mediolani, Rizzoli, 1977 .
renze, Nova Italia, 1963-1965. B.F. FR., Libri annales pontificum maximorum. Origines Annalisticae Traditionis, Roma, American Aca- AA.V., Lapis Satricanus, Romae, 1980.
demy, Romae, 1979. W. MOREL, Fragmenta Poetarum Latinorum epicorum et ly recurum praeter Ennium et Lucilium, Leipzig, Teubner, editio tertia edita a J. Blansdorf, 1995.
Studies
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University, 1967. E. PERUZZI, Origines Romae, voll. 1-11, Bononiae, Patron, 1970-1973.
G. PASQUALI, Historia traditionis et criticae textualis, Firenze, Le Monnier, 1971 .
P. MAAS, Critica textus, transl. by N. Martinelli, Firenze, Le Monnier, 1972a.
C. QUESTA, Metrica latina arcaica, in Introductio ad studium culturae classicae, vol. II, Milano, Marzorati, 1973. A. TRAINA, De alphabeto et pronuntiatione latinae, Bononiae,
G. PASQUALI, Praehistoria poeseos Romanae, Firenze, Le .
Monnier, MCMLXXXI.
AA.V., Historiae Romanae, edited by A. MOMIGLIANO - A. SCHIAVONE, vol. 1, Turin, Einaudi, 1988. M. SORDI, Historia Troiana et Etruscae urbis Romae, Mi.
lano, Jaca Book, 1989. G. DEVOTO, Historia linguae Romae, Bologna, Cappelli, 1991.
A. CARANDINI, Romae, Turin, Einaudi, 2002 F. CUPAIOLO, Bibliographia linguae latinae (1949-1991). Neapoli, 1993, suppletus ab ipso Cupaiolo, Biblio- theca studiorum linguae latinae (1992-2003), in - Bulletin de studiis latinis » 2003, pp. 620-23.
Tabella concessa ab Publisher ad personalem usum Prof.ssa Orrú Maria Rosa - cod.fisc. RROMRS55L62E464F
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Perdere
È tua la mia violenza
È mio invece l' ombrello
Di questa pioggia
Di amare sentenze
Faccio il giocoliere
Con i pronomi possessivi
Dimenticando il tuo parere
Mi perdo l'artista che potrei essere
E divento un ragioniere.
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Panthera redolens. La lingua della poesia italiana [*]
• Venerdì 21 ottobre (ore 21:15): Lapo Lani legge versi scritti tra il I sec. a.C. e il XIII sec.
• Sabato 22 ottobre (ore 21:15): Andrea Matucci legge versi scritti nel XIX e XX sec.
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Teatro Comunale Pietro Aretino
Via Bicchieraia, 32 - Arezzo
Le due serate sono organizzate dall'Associazione Castelsecco APS e dalla Fondazione Guido d'Arezzo, con il contributo di SemAr S.r.l.
[*] “Panthera redolens” (“pantera profumata”) è l’immagine con cui Dante Alighieri definisce, nel "De vulgari eloquentia", la nuova lingua poetica italiana, il "volgare illustre".
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Rimane di grande fascino il processo linguistico e culturale che ha segnato, tra il I secolo a.C. e il II secolo d.C., la trasformazione del latino letterario nelle numerose varianti del latino volgare, lingue parlate dalle diverse popolazioni della penisola italica. Da questo momento iniziarono a farsi sempre più evidenti le divergenze fonetiche e lessicali tra la lingua scritta e parlata dalle persone più colte e autorevoli, e la lingua parlata dal popolo. Ma ancora più affascinante rimane il processo che, a partire dal III secolo d.C., portò le varie forme del latino volgare, attraverso un lento e incontrollabile processo evolutivo dotato di un'energica propulsione espressiva, ad assumere la complessità di vere e proprie lingue, chiamate lingue neolatine o lingue romanze. Questo enorme patrimonio di idiomi, nato spontaneamente dagli strati non elitari della popolazione, fu codificato, a partire dal XIII secolo, da alcuni letterati e poeti attraverso un minuzioso e lento processo intellettuale, al termine del quale verrà creata la lingua letteraria chiamata "Volgare illustre", da cui nascerà la lingua italiana, la stessa che, attraversando i travagli del tempo, diverrà l'italiano moderno e contemporaneo.
I nostri interventi, articolati in due giornate, non indugeranno molto sulle cause di questo lento e inesorabile processo, e neppure cercheranno troppo di evidenziare le trasformazioni fonetiche, lessicali e grammaticali che hanno segnato le svolte della lingua italiana. È nostro interesse, invece, rievocare, attraverso la lettura e l'ascolto, la materia musicale che ha caratterizzato alcune fasi del processo di metamorfosi.
Nella prima giornata si ascolterà il suono della metrica latina di tipo quantitativo, leggendo versi di Virgilio, Ovidio, Properzio, Catullo, una musica virile, decisa, materica, quasi del tutto priva di assonanze, allitterazioni, anafore; per poi soffermarsi sul suono della prosa di Andrea Cappellano, scritta in un ammorbidito mediolatino, e sui versi di Guglielmo d'Aquitania, uno dei primi trovatori, il cui linguaggio, segnato dalla morbidezza delle vocali e delle sillabe in rima, si adeguava alla musicalità delle canzoni e delle ballate; finiremo con la lettura di alcuni versi scritti in lingua volgare nel XIII secolo, caratterizzati da una metrica di tipo accentuativo, e dolcificati dalla sistematica presenza della rima e dell'allitterazione, forme espressive capaci di rendere fortemente orecchiabili, e quindi memorizzabili, i sonetti, i poemi, i poemetti, le ballate, le laudi: udiremo le voci di Giàcomo da Lentini, Giuttone d'Arezzo, Brunetto Latini, Cecco Angiolieri, Iacopóne da Todi, Guido Guinizzelli, Guido Cavalcanti, Dante Alighieri.
Nella seconda giornata si percorrerà il secolo della crisi e del progressivo abbandono delle forme metriche chiuse e regolari (sonetto, canzone, ballata) per arrivare, dal Leopardi dell’Infinito (1819) all’Ungaretti di Natale (1919), alla riconosciuta affermazione del verso e della metrica libera. Con ulteriori letture (Rebora, Gatto, Montale) si mostrerà poi come l’abbandono della regolarità del ritmo e della rima abbia avuto una compensazione nel vertiginoso aumento delle figure stilistiche musicali e del fonosimbolismo, in una ricerca di disarmonia espressiva adeguata alla modernità, simile a quella che i musicisti della prima metà del '900 sperimentarono, e che la musica, e con lei la poesia, sta tuttora sperimentando. Tutto si potrà dire o pensare della poesia contemporanea, ma di una cosa siamo certi: se non è musica di parole, e quindi non fa esprimere alle parole ciò che normalmente non esprimono, non è poesia, è solo prosa che va a capo.
Noi non sapremmo dire se il processo di facilitazione, avviato dai letterati e dai poeti che hanno pazientemente codificato la lingua italiana a partire dal XIII secolo, sforzo teso a rendere accessibile a tutti il nuovo linguaggio, abbia, piegandosi a ulteriori semplificazioni e riduzioni avvenute nelle epoche successive, ricoperto la superficie materica e tragica del mondo con una pellicola liscia e cromata, fino a nasconderla e a renderla irriconoscibile. Un mondo che certo oggi non è più lo stesso dei secoli scorsi; forse è addirittura peggiore, ma sicuramente è molto più grande, più complesso, più profondo, più imprevedibile. Potremmo dire più "dantesco".
Lapo Lani e Andrea Matucci Milano/Arezzo, settembre 2022
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L'immagine della locandina è un particolare di "Panthera redolens", un disegno di Lapo Lani.
Fotomontaggio ritoccato con acrilici e successivamente elaborato con processi digitali. Anno: settembre 2022. Collezione privata.
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Per il ritorno della #RedZone (seria) ho deciso di comperare dei nuovi libri di poesia. Vuoi perché non si spende più un euro in concerti, teatri, cinema..., vuoi perché stare minimo due settimane in casa non fa più per me e devo assolutamente sopravvivere alla pesantezza del fermarsi.
Anni fa decisi di leggere -assolutamente in cartaceo- più poeti possibili, reclutare dai continenti menti pure e libere (è così che immagino quasi tutti i poeti) e perdermici, carpire e, perché no, utilizzare questa conoscenza per creare reading e/o eventi che si colleghino ad essi
Dalle rime baciate alla tecnica metrica e le figure retoriche, come metafore, assonanze, allitterazioni e anfore, per strofe e sonetti oppure "semplicemente" a mano libera.
Questi tre sono i numeri 98, 99 e 100 e, non mi sarei mai aspettato, di riuscire ad arrivare a questa cifra. Non perché siano tanti in fondo, ma perché si tratta solo di raccolte poetiche ed avere due scaffali in casa di sola poesia è prima di tutto un orgoglio e poi una morbida sicurezza.
E non mi basta mai.
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Scusa la domanda, forse è solo una mia impressione per cui sentiti libera di smentirla o di confermarla perché son davvero curiosa di capire, è come se tu (ma anche altre fan di Ermal che dicono di tenere particolarmente a lui anche come persona) vedessi l'uscita di un disco nuovo come un'intera occasione per psicanalizzarlo, vedere se sta bene, se è felice, ecc. Ora sarò io che forse concepisco l'arte in maniera diversa, ma... Davvero, chi se ne importa? Perché vi sta tanto a cuore?
Mi spiego meglio, per me analizzare la sua nuova musica sta tutto nel vedere le sperimentazioni interessanti che fa a livello di sonorità, che ispirazioni ha preso, a livello di testi mi piace leggerli e studiarli come fosse un testo letterario universitario, quindi metrica, figure retoriche, cose così! Non sto a chiedermi per niente robe tipo Hmm, in questa canzone mi sembra così triste, cuccioletto, cuoricino, voglio solo che sia felice ecc ecc....
È ironico in un modo un po’ perverso trovare queste ask giusto dopo la sua ultima diretta. Comunque: per quanto mi riguarda direttamente, si, è proprio solo una tua impressione. Per quanto riguarda altre persone chiedi a loro, ti risponderanno loro.
Non ho le competenze per psicanalizzare nessuno, tantomeno una persona che di fatto non conosco e non mi conosce. Anzi, evito con accuratezza quelle esegesi dei suoi testi in cui si cerca(va?) di trovare a tutti i costi una serie più o meno campata in aria di riferimenti a luoghi, persone, situazioni etc. L’ho fatto pure io eh, non mi nascondo certo dietro un dito, tanto chiunque potrebbe spulciare il mio archivio e mettermi di fronte alle (tante) minchiate che ho scritto negli anni, e mi ci sono anche “divertita” per un certo periodo. Poi mi sono resa conto che tutto quel proiettare diventava fin troppo spesso una sorta di “delirio” in cui alcune persone si illudevano veramente di poter sapere delle cose meglio di quanto non le sapesse lui.
Ora, stiamo parlando di un cantautore che comunque non ha mai fatto mistero di mettere molto di sé in quello che scrive. Da un certo punto di vista, se scrive pezzi dichiaratamente tristi, è umano chiedersi perché. Non per correre a portargli il tè con i pasticcini, una coperta calda ed un abbraccio, ma per un naturale (almeno per me, per te forse no) sentimento di empatia. Niente di più, niente di meno. Se ho stima di una persona anche a livello umano, oltre che artistico, è naturale che le auguri di star bene e di essere felice. A me importa, mi sta a cuore. Davvero, è semplice empatia. D’altro canto, è sempre bene guardarsi dentro e cercare di capire se una certa lettura sia oggettiva o meno.
Dal 12 Marzo non ho smesso di dire che sono consapevole di quanto almeno metà della malinconia che sento in Tribù Urbana sia mia e non di Ermal, ma non è che possa smettere a comando di sentirla. Magari. C’è, sta lì, fa parte del mio modo di sentire (più che con le orecchie) non solo la sua musica, ma proprio la musica in generale. Per me è un fatto molto emozionale. Per te, evidentemente, no. Per te è un fatto più “tecnico”, mi dici. Ok. Voglio dire, va bene.
Fare quel tipo di analisi tecniche, musicali e letterarie, personalmente non mi interessa molto. Anche in questo caso, innanzi tutto non ne ho le competenze, e secondariamente è per me davvero un fatto molto relativo. Detto in parole molto povere, a me non interessa più di tanto che un pezzo sia composto musicalmente a regola d’arte, che abbia una metrica perfetta e sia cantato senza sbavature: mi interessa che mi susciti qualcosa. Non a caso non faccio certo la critica musicale, neanche per hobby.
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DANTE, è ora di scriverlo
Mai stato depresso, mai avute crisi. Si è scontrato coi propri limiti, sì, come tutti quelli che osano e si mettono alla prova. Ha sfidato se stesso con una intensità che di certo lo ha stressato, ma aveva in testa solo una cosa: «dire». Dicer di lei quello che mai fue detto d'alcuna non è mai stata né una fissazione né un dovere. Non è un censore, Dante, non è severo, nemmeno con se stesso. È che dopo quello che ha visto non ha potuto impedirsi di cercare la strada più avvincente e adeguata per raccontarlo.
L’ineffabilità è un tema costante: non si riesce a dire quello che si vive. Non c’è un modo! Le emozioni si esprimono, è semplice, ma la vita: come si imprigiona la vita, come la si libera con le parole? È un’intuizione, quindi è un entusiasmo che lo ha agitato tutta la vita: trovare il modo migliore, il più adeguato (adaequatio intellectus ad rem, che è la definizione di verità) per esprimere quel che si è visto. È come se una gratitudine lo avesse costretto ad andare sempre più su, a sfidare vita e talento in una impresa impossibile: dire l’ineffabile… È una vertigine su cui si è applicato diligentemente, all’inizio. Ha scritto rime sempre più perfette, ha sfidato i migliori della sua epoca e del passato, è entrato nella lingua, nella metrica, nelle immagini. È salito sempre più su, sempre più su, verso Rime perfette. Così perfette, così adeguate all’altezza verso cui era diretto da diventare… Petrose, incomprensibili. Difficili. Lontane dalla vita di tutti, troppo elevate, come i mosaici di Ravenna così meravigliosi e perfetti, elevano Dio a una regalità talmente alta da esser lontana da ogni vita possibile. No, non era quella la strada.
Doveva “dire”, doveva mostrare, era troppo bello quel che aveva scoperto e che aveva nel cuore. Il suo padre poetico, Guinizzelli, gli aveva donato una scintilla così preziosa che si sentiva chiamato a incendiare tutta la vita, la vita di tutti. Quindi fa la seconda cosa che faremmo tutti: spiega. Prende il proprio talento, tutto il meglio della propria arte e scrive il Convivio. Poesia, altissima poesia, e filosofia, l’arte più alta di tutte, per guidare i propri lettori verso la conoscenza. La poesia è l’unica forma adeguata alle altezze che gli riempiono il cuore, è l’unico modo di avere rispetto per quella meraviglia che gli ha riempito la vita. Però è difficile, non è immediata, e allora serve la prosa, serve spiegare, che è leggere tra le pieghe. È come aumentare il testo, prendere i versi uno a uno e rivelarne i segreti, accendere una luce sulle profondità che li animano e giustificarne il senso. Il Convivio è una meraviglia, l’opera più grande della letteratura fino a quel punto, vera perfezione. Ma per Dante non è abbastanza. La depressione ti porta a distruggere tutto, a non finire, a lasciare incompiuto. Ingigantisci il tuo limite, gridi la frustrazione della tua natura imperfetta al destino e spacchi, rompi, seppellisci. Ma per Dante non è davvero questa la questione. Ha un debito di meraviglia troppo grande con il destino e la vita. Vita che, tra l’altro, non smette di mettergli bastoni tra le ruote e impicci. È sempre così, quando cerchi di far qualcosa di grande. Ma forse è anche il segreto della vera grandezza, attingere dalle sfortune e trovare ancora più energia, gridare il bello con ancora più vita. E a Dante di questo non è mancato nulla davvero. Proviamo a immedesimarci e a dimenticare tutte le ricostruzioni più fantasiose sulla sua frustrazione: riesci a immaginar di raccontare il Paradiso solo con per la voglia di venir incoronato poeta? È chiaro che non è abbastanza. Torniamo sulla terra: stai scrivendo un’opera incredibile che sta venendo benissimo e finalmente si avvicina a esprimere, a chiarire il segreto che fa scorrere nella tua poesia un’energia mai vista prima e… E cambi strada. Sì, perché nemmeno questo è abbastanza (Dante non è un perfezionista, è semplicemente sincero). Vedere non è solo capire. Capire è importante, ma non è ancora abbastanza. Vedere è come un viaggio, la vita è un viaggio. Quando sei nel buio di un bosco non è che sei triste o depresso, è che non vedi niente, non capisci dove sei, non riesci a dare una direzione, rimani in balia di quello che succede, bestie feroci o quel che ti pare, e non puoi andare né avanti né indietro. Anche salire una collinetta diventa un’impresa. Dante lo sa, si immedesima fino in fondo, sa che “non” vedere è così e capisce che quando uno è nel buio non basta avvisarlo che c’è luce più in là. Bisogna andarlo a prendere.
Lascia il Convivio che non è neanche a metà (che meraviglia, il Convivio) e viene a prenderci. Sì, tanti parlano del suo ego smisurato, dell’aver voluto anche esser personaggio eccetera. Faccio la stessa domanda: un ego smisurato riesce a raccontarvi il paradiso? Dante fa il viaggio insieme a noi, sulla stessa barca, con le stesse paure e gli stessi limiti. Ci prende per mano e ci porta con sé. Prima scende in fondo a quel buio, il buio della selva. Poi ribalta tutto e inizia a salire. Un viaggio, finalmente, è adeguato a dirci quella meraviglia. Un viaggio di incontri dove da uomo a uomo si vedono limiti e verità (non è un censore, non è uno che salva e condanna, Dante. Incontra, guarda, vede e cammina). Si cammina, si sale, si sale verso quella meraviglia. Intera, complessa, che mette alla prova i limiti di ogni cuore e li sfida a non fermarsi (fermarsi non è abbastanza, è evidente all’Inferno). Il sommo poeta si fa tutto meno che distante, è così libero da lasciare tutto e accettare di fare un viaggio con me. Di scendere giù, quando invece il cuore vorrebbe salire subito, e poi lentamente scalare la montagna. Un passo alla volta, dentro il mistero del cuore e verso la meraviglia della verità. O della bellezza. O della giustizia… Sant’Agostino su questo è da ascoltare.
Libero, certo, invincibile, attento, appassionato, determinato, sicuro. Il suo padre poetico, sempre Guinizzelli, dice che Al cor gentil rempaira SEMPRE Amore. Sempre! Tutto comincia con una certezza, con un incontro che, in un modo che non riesci a dire, ti rende certo di un “sempre” adeguato al tuo cuore. È questo il regalo che ci ha fatto Dante. Rimanere sincero con quella meraviglia che, dietro gli occhi di Beatrice, gli ha fatto vedere un verità così grande, per sé e per tutti, da “costringerlo” a essere sincero con il proprio cuore e accettare il viaggio incredibile che la vita gli ha messo davanti.
È rimasto fedele una passo alla volta, ha bruciato le proprie energie e il proprio talento fino in fondo senza smettere mai di brillare nemmeno in mezzo alle difficoltà più amare. Forse nemmeno le ha viste, le difficoltà, mentre navigava in quella meraviglia. Di cos’altro aveva bisogno, del resto, se di questa verità brillava ogni cosa?
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C’è qualche poveretto in giro che ha acceso la fabbrica dei troll e ha mosso altri disperati per inondare la mia pagina facebook con contenuti da premio nobel del disagio. Da ieri pomeriggio, un post che ho scritto per fare il punto sull’importanza dei vaccini e per informare sulla diffusione delle varianti del covid nel nostro comune è stato invaso da più di 1.000 commenti, sono andati avanti anche la notte scorsa e qualcuno continua ad arrivare anche ora. Hanno scritto pensieri in punta di penna e metrica libera, contro il “sistema nazi sanitario”, la “propaganda vaccinale manipolatoria e perbenista”, le “verifiche naziste sull’efficacia dei vaccini” accusando i “complici”. Di che cosa? Come nel gioco dell’oca – in questo caso dei nadòr – complici del “nazismo sanitario”. Sempre lui. Figuriamoci! Il nazismo sanitario! Ho eliminato oltre 200 commenti tutti simili, rigorosamente scritti interamente in maiuscolo che è la firma grafica dei disadattati. Ad un certo punto ho lasciato perdere perché è anche divertente vedere tanta allegria concentrata in un posto solo. Mi sono preso alcuni minuti stamane per guardare i profili di alcuni di questi signori, vengono tutti dallo stesso gruppo facebook che non cito per non pubblicizzare un luogo di pura disinformazione delirante. Ora devo decidere se denunciarli alla Polizia Postale, ma non mi va molto di perdere del tempo e soprattutto di farlo perdere agli agenti che sicuramente hanno problemi più seri da affrontare. Comunque, voi che dite? (presso Fidenza, Italy) https://www.instagram.com/p/CLz4KEkFFbxPyh_MEQeoYcfVm4mHcJKOmWv09I0/?igshid=1u8bqxfatep3d
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La poesia non si dice
La poesia non si dice Mi è capitato di leggere qualche giorno fa, non ricordo dove, “la poesia si dice, la poesia non si recita”. Si intendeva da parte del poeta. Citando il Treccani, recitare sta per “Dire, pronunciare a voce più o meno alta, con una certa ricerca di espressività interpretativa, un testo imparato a memoria o già preparato, comunque senza leggere”. Il recitare è un pò un dire,…
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I delicati 'Fogli che raccontano' di LaRizzo
Per i cantanti è difficile riuscire a trovare un contesto in cui la propria voce, le proprie metriche, la propria liricità venga messa nella giusta rilevanza.
Troppo spesso ci sono dettagli che minano i diversi progetti rendendo vani gli sforzi espressivi. Non è questo il caso di Alessandra Rizzo, in arte LaRizzo, e del suo Fogli che raccontano.
La cantante, livornese di nascita ma catanese di adozione, è riuscita a trovare il perfetto equilibrio tra base e voce. Arrangiamenti delicati e minimali fanno da sfondo ad una voce naturalmente musicale. Non ci sono arzigogoli o ‘dimostrazioni di forza’.
Il disco è colorato tutto da delicate tinte pastello. Due sono i punti che più colpiscono fin dal primo ascolto: la voce, sempre calda, mai ostentata, e la ricerca metrica. In particolare quest’ultimo aspetto dona all’intero progetto un afflato che lo distingue nel mare del cantautorato.
Ottima la produzione che è riuscita a dare la giusta profondità ai brani e gli arrangiamenti. Stilisticamente sono diversi i generi toccati, da canzoni jazzate ad avvolgenti ballate passando attraverso pezzi dal ritmo country/blues.
I testi, rigorosamente in italiano, rispecchiano il titolo del disco. Sono ricordi che riaffiorano dal diario della vita della cantante. In quanto tali affrontano temi personali, intimi nei quali l’ascoltatore si riconosce.
Nel complesso questo lavoro de LaRizzo è un ottimo prodotto o da ascoltare in silenzio lasciando libera la mente di vagare tra i propri di ricordi, o come sottofondo in una giornata di primavera.
Non adatto a chi ricerca suoni decisi e incisivi.
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Un appello per la scuola
Un appello per la scuola Un appello a cui ho aderito convintamente. So che di solito gli appelli si sprecano e difficilmente si leggono ma vale la pena. Dalla Costituzione della Repubblica italiana: Art. 3: " [..]E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese." Art. 33: "L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato." Art. 34: "La scuola è aperta a tutti. L'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi." Rafael Araujo, Blue morpho golden ratio sequence Al Presidente della Repubblica Ai Presidenti delle Camere Al Ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca. Gli insegnanti proponenti: Giovanni Carosotti, insegnante scuola secondaria di secondo grado, Milano. Rossella Latempa, insegnante scuola secondaria di secondo grado, Verona. Renata Puleo, già dirigente scolastico, Roma. Andrea Cerroni, professore associato, Università degli Studi Milano-Bicocca. Gianni Vacchelli, insegnante scuola secondaria di secondo grado, Rho (MI). Ivan Cervesato, insegnante scuola secondaria di secondo grado, Milano. Lucia R. Capuana, insegnante scuola secondaria di secondo grado, Conegliano Veneto (TV). Vittorio Perego, insegnante scuola secondaria di secondo grado, Melzo (MI). La premessa L’ultima riforma della scuola è l’apice di un processo pluridecennale che rischia di svuotare sempre più di senso la pratica educativa e che mette in pericolo i fondamenti stessi della scuola pubblica. Certo la scuola va ripensata e riformata, ma non destrutturata e sottoposta ad un processo riduttivo e riduzionista, di cui va smascherata la natura ideologica, di marca economicistica ed efficientista. La scuola è e deve essere sempre meglio una comunità educativa ed educante. Per questo non può assumere, come propri, modelli produttivistici, forse utili in altri ambiti della società, ma inadeguati all’esigenza di una formazione umana e critica integrale. È quanto mai necessario “rimettere al centro” del dibattito la questione della scuola. Come? In tre modi almeno: a) parlandone e molto, in un’informazione consapevole che spieghi in modo critico i processi in corso; b) ricostituendo un fronte comune di Insegnanti, Dirigenti Scolastici, Studenti, Genitori e Società civile tutta; e, soprattutto, c) riprendendo una lotta cosciente e resistente in difesa della scuola, per una sua trasformazione reale e creativa. Bisogna chiedersi, con franchezza: cosa è al centro realmente? L’educazione, la cultura, l’amore per i giovani e per la loro crescita intellettuale e interiore, non solo professionale, o un processo economicistico-tecnicistico che asfissia e destituisce? 7 temi per un’idea di Scuola da leggere come studente, genitore, insegnante, cittadino Conoscenze vs competenze Innovazione didattica e tecnologie digitali Lezione vs attività laboratoriale Scuola e lavoro Metrica dell’educazione e della ricerca Valutazione del singolo, valutazione di sistema Inclusione e dispersione Il documento Conoscenze vs competenze Una scuola di qualità è basata sulla centralità della conoscenza e del sapere costruiti a partire dalle discipline. Letteratura, Matematica, Arte, Scienza, Storia, Geografia, Filosofia, in tutte le loro declinazioni, sono la chiave di lettura del mondo, della società e del nostro futuro. Una reale comprensione del presente e la trasformazione della società richiedono riferimenti che affondano le radici nella storia, nelle opere, nelle biografie e nell’epistemologia delle discipline. Crediamo che: i)Aggregare compiti e prestazioni degli allievi attorno a competenze predefinite e standardizzate annienti l’organicità dell’educazione, riduca la complessità del mondo ad un “kit di pratiche”, che tali restano, anche con l’appellativo onorifico di “competenze di cittadinanza”. ii)La competenza, unica e trasversale, si consegua nel tempo, nello spazio sociale, nei contesti comunicativi affettivo-cognitivi. La cittadinanza, a cui le competenze comunitarie aspirano, non è un insieme di rituali individuali da validare e certificare. Cittadinanza è “operare in comune”. iii) Non abbia senso misurare “livelli di competenza” degli studenti, da attestare in una sorta di fermo-immagine valutativo. Il sapere non si acquisisce mai definitivamente. È continuamente rinnovato dalla maturazione, consapevolezza, interiorità, ricerca singolare e plurale, approfondimento di contenuti e pratiche. Innovazione didattica e tecnologie digitali Innovare non è bene di per sé, tantomeno in campo educativo. La didattica “innovativa” o digitale, oggi presentata come primaria necessità della Scuola, non vanta alcuna legittimazione scientifica né acquisizione definitiva da parte della ricerca educativa. Innovazioni e tecnologie, nelle varie accezioni global-ministeriali (debate, CLIL, flipped classroom, etc), rappresentano un insieme di “riforme striscianti” che demoliscono pezzo a pezzo l’edificio della Scuola Pubblica dal suo interno. Servono piuttosto innovazioni in tutt’altra direzione, che sappiano valorizzare inoltre l’interculturalità, la creatività e l’immaginazione, il pensiero critico e quello simbolico, nella didattica così come nell’impianto complessivo della scuola. Crediamo che: i)Ogni innovazione metodologica o tecnologia digitale sia un possibile strumento di ampliamento e accesso a contenuti e conoscenze. Sul loro impiego l’insegnante è chiamato a riflettere e valutare in maniera incondizionata e libera. Codificare pratiche e metodi, presentati come la priorità della Scuola, è una semplificazione retorica arbitraria, corrispondente ad un preciso modello culturale preconfezionato, che ridefinisce finalità e ruoli dell’istruzione pubblica in ossequio a un’ideologia indiscussa. ii)L’inflazione di innovazioni didattiche e gli sperimentalismi digitali offrano spesso narrazioni impazienti ed elementari (slides, video, “prodotti”, progetti), propongano procedure stereotipate e associazioni banali, con grave danno per gli studenti e la loro crescita culturale, interiore e sociale. iii) Non sia il mero ingresso di uno smartphone in classe a migliorare l’apprendimento o l’insegnamento. In quel caso si potrà, certo, aderire a un modello, attualmente dominante: quello che sostiene l’equazione cambiamento=miglioramento e digitale=coinvolgimento. Il miglioramento dell’apprendimento e dell’insegnamento passa, però, per altre strade: quelle dell’attuazione del dettame della nostra Costituzione. Lezione vs attività laboratoriale Nell’era di instagram, twitter e dell’ e-learning, la relazione e la comunicazione “viva” allievo/insegnante - nella comunità della classe - rappresentano fortezze da salvaguardare e custodire. La saldatura del legame intergenerazionale, la trasmissione coerente di conoscenze, percorsi e temi, il dialogo incalzante, la maieutica, la circolarità, la condivisione di interpretazioni e scelte linguistiche, il problematizzare insieme, l’attenzione ai tempi, alle reazioni di sguardi e comportamenti. Tutto questo è fare lezione, un incontro fra persone in cammino in una comunità inclusiva. Gli appellativi di “frontale”, “dialogata”, “laboratoriale” sono rifiniture burocratiche che non ne intaccano la sostanza. Una lezione può e deve essere un laboratorio educativo, di crescita e partecipazione, di scambi fra tutti e cambiamenti di ciascuno, insegnante incluso. Crediamo che: i) L’insegnante, come educatore, sia responsabile e garante di quell’ “incontro” che dà senso e valore ai fatti culturali della propria disciplina. La relazione di pari dignità ma asimmetrica tra maestro e studente, nel microcosmo della collettività di classe, permette agli allievi di imbattersi nel non conosciuto, di praticare l’incontro con la difficoltà del reale e del vivere in comunità, di aprire un orizzonte culturale diverso da quello familiare o sociale. ii)Attenzione concentrata, aumento dei tempi di ascolto, siano condizioni per un “saper fare” come “agire intelligente”, che non si consegue assecondando l’uso delle tecnologie o seducendo gli alunni con dispositivi smart, ma in contesti di applicazione laboriosa, tempo quieto per pensare, discussione nel gruppo. Scuola e lavoro Non si va a scuola semplicemente per trovare un lavoro, non si frequenta un percorso di istruzione solo per prepararsi ad una professione. Dal liceo del centro storico al professionale di estrema periferia, la scuola era e deve restare, per primo, un “luogo potenziale” in cui immaginare destini e traiettorie individuali, rimettere in discussione certezze, diventare qualcos'altro dalla somma di “tagliandi di competenza” accumulati e certificati. L’apertura alla realtà sociale e produttiva può realizzarsi, volontariamente, attraverso forme e progetti di scambio organizzati autonomamente dagli istituti scolastici. Non imposti ex lege dal combinato Jobs Act e Buona Scuola. Pratiche calibrate in base ai contesti e alle finalità educative, che in nessun modo gravino sulle famiglie o sugli allievi in termini di sostenibilità e gestione. Crediamo che: i)L’alternanza scuola lavoro non rappresenti affatto un’opportunità formativa per i ragazzi, quanto piuttosto una surrettizia sperimentazione del “lavoro reale” che entra fin dentro i curricula scolastici, sottraendone tempo e qualità e distorcendone le finalità. ii) Oltre ad approfondire il solco tra sapere teorico e pratico, alternanza è sinonimo di disuguaglianza. Percorsi ineguali in base a contesti, tessuti sociali e reti familiari, che peggiorano in proporzione alla fragilità delle condizioni economiche e delle opportunità culturali di luoghi e famiglie. iii) Bisogna recuperare l’idea di Scuola come luogo della vita dotato di un tempo e spazio propri, non corridoio di passaggio tra infanzia e adolescenza - considerate età “minori” - e occupazione adulta. iv)Sia necessario portare la conoscenza del lavoro nelle classi, non gli studenti a lavorare. Logiche, dinamiche e problematiche dell’occupazione entrino nel dialogo educativo, per aiutare i giovani ad orientarsi, attrezzarsi a comprenderle e intervenire per modificarle. Metrica dell’educazione e della ricerca Educazione e ricerca accademica sono oggi terreno di confronto tra tutti i soggetti sociali, politici, economici ad esse interessati. Gli orientamenti internazionali delle politiche formative e di ricerca lo testimoniano e innescano una competizione globale in cui ranking internazionali (OCSE) e nazionali (INVALSI, ANVUR) comprimono gli scopi formativi e di studio sulla dimensione apparentemente neutra di “risultato”, oltre ad indurre a paragoni privi di rigore logico. Educazione e ricerca universitaria non sono riducibili ad un insieme di pratiche psicometriche globali, a cui sottoporsi in nome del principio di etica e responsabilità. Il futuro della Scuola e dell’Università sono questioni politiche nazionali, da collocare in un contesto europeo e interculturale di confronto e valorizzazione delle differenze, libero e democratico. Crediamo che: i)Scuola e Ricerca universitaria siano oggetto di vera e propria “ossessione quantitativa”, da parte di organismi internazionali e nazionali. ii)La logica dell’adempimento e della competizione azzerino il lavoro di personalizzazione nella formazione scolastica ed erodano progressivamente spazi di progettualità libera nella ricerca universitaria (attraverso la sottomissione a criteri di valutazione non condivisi). iii) Le scelte operate da MIUR, INVALSI ed ANVUR, modifichino profondamente comportamenti e strategie nelle Scuole e nelle Università, generando condotte di mero opportunismo metodologico-didattico e scientifico nonché la perdita di “biodiversità culturale”, strumento indispensabile per affrontare le complessità del futuro, oggi imprevedibili. Valutazione del singolo, valutazione di sistema La valutazione degli studenti è impegno unico, qualificante e delicato dell’insegnante, condiviso con la comunità dei docenti e dei discenti, consapevoli del cambiamento tipico dei processi di apprendimento. È un’osservazione “prossimale” (e responsabile) modulata su tempi lunghi, sull'evoluzione del singolo allievo, delle pratiche di insegnamento, del gruppo, del contesto. È impensabile che enti terzi, estranei al rapporto educativo, entrino nel merito della valutazione formativa, come previsto dalla Buona Scuola. Singolarmente anacronistico appare che, dopo decenni di ‘crisi del fordismo’ in economia, si voglia introdurre la ‘fordizzazione’ nell'educazione. Le menti, soprattutto durante le prime fasi della formazione, sono delicate, creative e si conciliano con “tempi e metodi” d’antan assai meno delle berline. Crediamo che: i) Accostare una valutazione di agenzie esterne a quella del corpo docente nel “curriculum dello studente”, mini la relazione di fiducia scuola-famiglia, spostando l’attenzione sull'esito, più che sul processo e sul percorso, togliendo ogni significato agli obiettivi di personalizzazione ed inclusione che la Scuola afferma di perseguire; ii)Un’agenzia “terza” (INVALSI) non possa svolgere compiti di valutazione e di ricerca pedagogico-didattica orientanti programmi e curricola: la terzietà non è, inoltre, comparabile con gli incarichi affidati dal MIUR per la valutazione (diretta e indiretta) di docenti e dirigenti attraverso meccanismi di premialità. iii) La presenza di agenzie esterne nella valutazione del singolo rappresenti un’espropriazione di quella responsabilità complessa, raffinata negli anni con l’esperienza e la condivisione collegiale, della professionalità di ogni insegnante: la valutazione dei propri studenti; Inclusione e dispersione La dispersione scolastica, l’inclusione autentica e la riduzione delle disuguaglianze necessitano di interventi politici sistematici, di fondi strutturali, impegni comunitari, di monitoraggio costante, conoscenza e capitalizzazione delle pratiche esistenti. A partire da investimenti e piani territoriali: infrastrutture, associazioni, biblioteche; fino ad arrivare a Scuola, con risorse costanti per costruire una fitta ed efficiente rete di recupero dei disagi, delle solitudini e delle difficoltà degli allievi più fragili. Se è vero che la Scuola e i buoni insegnanti fanno la differenza, è ancor più vero che la dispersione ha una sua mappa che si sovrappone a quella geografica ed economica dei tessuti degradati e delle periferie impoverite, di situazioni e storie difficili da ribaltare e su cui incidere. Dare alle Scuole risorse e spazi adeguati alla costruzione di didattiche di recupero e opportunità di accoglienza non è sperpero di denaro pubblico, ma progettazione politica di inclusione autentica, unica vera prospettiva di crescita e ricchezza del paese. Crediamo che: i) I temi in gioco siano cruciali e non ci si possa limitare a chiedere alla Scuola di fare meglio solo con ciò che ha. Semplificare compiti e programmi, organizzare corsi di recupero pomeridiani che ricalchino quelli antimeridiani, medicalizzare le diversità, sono scorciatoie che restano agli atti come prove burocratiche di adempimenti amministrativi; ii) La Scuola abbia un valore politico. Dunque ha il diritto di chiedere di indirizzare risorse pubbliche su questioni di importanza sociale e morale che ritiene prioritarie. Dispersione scolastica e abbandoni precoci non sono solo capi d’imputazione su cui è chiamata a rispondere, ma problematiche che nelle attuali condizioni assorbe e subisce. --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- In virtù di queste considerazioni: 1) Chiediamo un’azione di moratoria su: Ø obbligo dei percorsi di alternanza-scuola lavoro e del requisito di effettuazione per l’accesso all’esame di Stato conclusivo del II ciclo Ø obbligo di impiego metodologia CLIL (Content and Language Integrated Learning, apprendimento integrato di contenuti disciplinari in lingua straniera) Ø uso dei dispositivi INVALSI a test censuario per la valutazione degli esiti scolastici, obbligatorietà della somministrazione funzionale all’ammissione agli esami di licenza del primo e secondo ciclo Ø modifiche relative all’esame di Stato, che renderebbero di fatto sempre più marginale la didattica disciplinare. 2) Chiediamo l’apertura di un ampio dibattito governo-Scuola di base-organizzazioni sindacali-cittadinanza sulle questioni di cui al punto precedente e su tutto l’impianto della Legge 107/2015. ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- Per aderire: compila il modulo google cliccando il link seguente. contatti: [email protected] Firma anche tu: Appello per la Scuola Pubblica Per scaricare il testo e diffonderlo nella tua scuola clicca qui.
Un appello a cui ho aderito convintamente. So che di solito gli appelli si sprecano e difficilmente si leggono ma vale la pena. Dalla Costituzione della Repubblica italiana: Art. 3: ” [..]E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva…
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Ho studiato come scrivere poesie. Rime baciate, sonetti… Haiku… Belle, precise, d’effetto. Scegli un argomento, lo ricami e lo rendi stilisticamente sublime, ecco. La puoi scrivere su tutto. Piovono applausi… Le rileggi…. E non ti piacciono. Cosa c’è che non va? C’è che manca qualcosa… Sono fredde, spazzate da una tramontana che le rende statiche, immobili, stantie Finisci per chiederti cosa volessi dire con quelle belle parole agghindate… Allora ci metti una stilla di sangue e una lacrima, e lasci il cuore a briglia sciolta lungo quegli angoli inesplorati di te stessa, là dove covi le parole che da anni tieni nascoste… Bruciano come il fuoco, le lasci volare e danzare insieme, si prenderanno per mano, si legheranno strette l’una a l’altra, magiche e silenziose, mentre dentro di te si mescolano i sentimenti che le agitano! Sembrano un intreccio dall’ordito preciso eppure sono uscite dal caos, dal profondo. Alcune non sapevi neppure di averle messe là sotto, credevi di averle dimenticate, altre te le hanno dette mille volte. Quanto sono belle, sembrano tutte sorelle. Le devi solo scrivere e cantare, così come sono venute… Io mi sento figlia di tutto questo, è la mia poesia sporca, fatta di cielo, libera, umana. Non voglio ingabbiare quest’anima, sa dire solo la sua verità, senza numeri, senza metrica, fatta solo d’emozione che colora e impiastra la mia vita.[Yelena b.] Diritti intellettuali protetti
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Giuseppe Ungaretti. Mi tengo a quest’albero mutilato
È il verso che apre la poesia I fiumi, di Ungaretti. Il titolo ha, come per gli altri testi poetici di Il porto sepolto, un sottotitolo relativo al luogo e alla data di composizione: in questo caso, Cotici il 16 agosto 1916. Un titolo, un luogo, una data: la poesia come parola che accoglie la situazione, ovvero la fisicità del tempo e la visibilità dello spazio, ed è a partire da questa presenza che prende movimento il sentire, oltre che la pronuncia del sé. Che può essere un sé tumultuante o quieto o indecifrato. Cotici è località prossima a San Michele del Carso, teatro di guerra, dunque di trincee, di notti insonni, di assalti nel fumo del fuoco nemico e amico, di caduti, di feriti. Questi e altri versi del Porto sepolto sono scritti, come racconterà il fante Ungaretti, su foglietti: “cartoline in franchigia, margini di vecchi giornali, spazi bianchi di care lettere ricevute”, ma anche, come dirà ancora, “pezzetti di carta strappati agli involucri delle pallottole”. Foglietti conservati via via nel tascapane, e consegnati un giorno al giovane tenente Ettore Serra (fu costui, in una licenza, a stampare quei versi, a Udine, sul finire del 1916, in un’edizione di 80 esemplari). Nella successiva guerra mondiale, nel corso della Resistenza, un altro poeta, René Char, nel maquis in Provenza, scriverà anch’egli i suoi versi su foglietti casuali: nascosti, prima della notturna partenza in volo per l’Algeria, negli anfratti di un muretto a secco, i versi saranno poi recuperati, e avranno il titolo di Feuillets d’Ypnos. Li tradurrà in italiano Vittorio Sereni.
Il primo verso di I fiumi, Mi tengo a quest’albero mutilato, apre la scena della desolazione, la scena del terreno di guerra, con il disegno di due figure congiunte, appoggiate l’una all’altra in un prima o in un dopo della furia bellica, in una sorta di momentanea sospensione del tempo tragico, che però manderà via via, lungo i versi, i suoi cupi bagliori. Due figure, dicevo: il mi che delinea la presenza di un corpo – il corpo che prende la parola – e l’albero che si mostra nella sua nudità offesa, nella sua mutilazione, corpo d’albero che in quanto anch’egli vivente è dalla guerra ferito, come altri corpi umani che sono fuori dalla scena. Un appoggio – tenersi a un albero – ma anche una solidarietà con un elemento della natura che qui, in questo suo mostrarsi ad apertura di scena, raccoglie come in un emblema il dolore della guerra, il dolore di tutti i corpi dilaniati o feriti nella guerra. Il mi e il questo di un primo verso endecasillabo rinviano a un altro primo verso del poeta più amato da Ungaretti, quel Leopardi che insieme a Mallarmé è stato all’origine della stessa vocazione alla poesia: “Sempre caro mi fu quest’ermo colle”. Sia il mi sia il questo, un riflessivo e un deittico, come è accaduto nell'Infinito leopardiano, si rifrangeranno come un’onda nel resto della poesia, a dire sia la presenza corporale da cui muove la parola poetica sia la presenza forte e la prossimità del visibile da cui muove il rapporto con l’oltre. In Leopardi questo oltre è l’odissea di una rappresentazione impossibile, e tuttavia tentata, dell’infinito nel pensiero; in Ungaretti questo oltre è l’altrove che nel vuoto del sentire spalancatosi col tragico prende la forma dell’appartenenza a quel che è lontano e che, inattingibile, è memoria e figura sensibile: i propri fiumi, ai quali è un fiume prossimo, il fiume della guerra, l’Isonzo, a rinviare.
Il suono del primo verso dà rilievo alla presenza dell’albero, posto al centro: l’accento sulla quinta (la a di albero), ritenuto perlomeno inconsueto dalla tradizione dell’endecasillabo, mostra subito che sulla misura metrica prevale il ritmo, e questo in relazione con un dire che dà alla parola la sua evidenza di segno: segno di un’interiorità immaginativa e riflessiva. Ma ecco la strofa cui appartiene il verso:
Mi tengo a quest’albero mutilato
abbandonato in questa dolina
che ha il languore
di un circo
prima o dopo lo spettacolo
e guardo
il passaggio quieto delle nuvole sulla luna
Il “mutilato” è seguito, nel nuovo verso, da un altro participio, “abbandonato”, riferito al soggetto che parla: per tutta la poesia il tempo verbale del compimento designa un movimento verso la quiete, verso lo stare o il riposare, che è sottrazione, o desiderio di sottrazione, al tumulto incessante e distruttivo dell’agire bellico (“disteso”, “riposato”, “accoccolato”, “chinato”, ecc.). Alla guerra che è cancellazione del vivente, della sua percezione, e della singolarità corporea e senziente – le ultime pagine di Der Zauberberg di Thomas Mann descrivono con grande efficacia questa abolizione dell’umano nell’assalto che muove dalla trincea –, alla guerra la poesia oppone un corpo che riconosce e nomina il proprio sentire, i propri gesti, e leva lo sguardo sulla scena e sul paesaggio: qui, un notturno lunare che illumina non le rovine ma un amaramente fantasticato circo “prima o dopo lo spettacolo”. In questa scena il racconto del poeta nomina le azioni che indicano, con lentezza d’abbandono, il ritrovamento del proprio corpo, la ripresa della percezione di sé, sottratta, per poco, alla gelida e delirante astrazione della guerra. Una percezione che muove dalla contiguità con la natura: una descensio, un’abolizione dell’io, un farsi reliquia e sasso, che dischiudono la sacralità di una ritrovata appartenenza di sé come vivente nella vita del fiume. All’opposto di quel che accade nella poesia di D’Annunzio, in cui il vivente è di volta in volta affermazione di un io panico che mima la metamorfosi (“d’arborea vita viventi”), in Ungaretti il senso del vivente è attinto a partire dall’abbandono dell’io in una temporanea quiete (una sorta di Gelassenheit, direbbe un lettore in vena di filosofare), ed è per questo che il ritrovamento di sé, nel circo desolato che è la dolina, è raffigurato con il passo magico dell’acrobata sull’acqua:
Stamani mi sono disteso
in un’urna d’acqua
e come una reliquia
ho riposato
L’Isonzo scorrendo
mi levigava
come un suo sasso
Ho tirato su
le mie quattr’ossa
e me ne sono andato
come un acrobata
sull’acqua
Un fiume, un corpo: il soldato ha dimesso i suoi “panni /sudici di guerra”, si è chinato e disposto “come un beduino /…a ricevere il sole”, ha tentato la consegna di sé alla percezione di un’armonia con l’elemento naturale, si è lasciato accarezzare, anzi intridere, dalle “occulte / mani” del fiume. Ed è questa resa, questa collaborazione con la natura – per sospendere, almeno per poco, il tragico della guerra – che apre la teca della memoria e libera il sentimento del legame, ma anche mette in moto un nostosfantastico che è ritrovamento delle radici, dell’infanzia, della giovinezza: “Ho ripassato / le epoche / della mia vita // Questi sono / i miei fiumi”. Le mani di un fiume sul corpo di un soldato sottratto al delirio della guerra hanno “regalato” la felicità (“la rara /felicità”) di un rammemorare che è un trascorrere di nomi – nomi di fiumi – percepito come succedersi di stagioni e insieme di segni lasciati sulla pelle del proprio sentire. L’anafora, la ripetizione del “questo”, inaugura la litania dell’appartenenza, la declinazione della memoria, la scansione del tempo, del tempo nominato nell’intimo della propria singolarità: “Questo è il Serchio”, “Questo è il Nilo”, “Questa è la Senna”. Il tempo immemoriale dell’origine legato alla terra (“gente mia campagnola”), il tempo dell’infanzia (“ardere d’inconsapevolezza”), il tempo della giovinezza, che è tempo di un cammino difficile verso la conoscenza di sé (“e in quel suo torbido / mi sono rimescolato / e mi sono conosciuto”).
Il “questo” dell’albero mutilato, quella sua presenza che nella desolazione della dolina era emblema della ferita, del vivente ferito, ha aperto la catena dei deittici che portano altre figure, quelle dei fiumi, e, con i fiumi, le morte stagioni. “Questi sono i miei fiumi /contati nell’Isonzo”: il trascorrere dell’acqua sul corpo liberato dai panni del soldato è l’onda di una memoria che è esperienza di una nostalgia (“Questa è la mia nostalgia”), cioè esperienza del dolore per un ritorno impossibile (nostos – algos). E, allo stesso tempo, ritrovamento, nella parola della poesia – nella sua energia che dà presenza e vita – di un sé che, sottratto al furore e all’astrazione violenta della guerra, è relazione di un vivente con il vivente della natura e con il vivente che pulsa in ogni gesto, o parola, rammemorante.
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GROTTAMMARE – La giuria del Premio Letterario Nazionale Città di Grottammare, ha selezionato i vincitori dell’undicesima edizione del concorso letterario, organizzato dall‘Associazione Pelasgo968 di Grottammare, con il patrocinio della Regione Marche, del comune di Grottammare, della Fondazione Carisap, Centro Nazionale di Studi Leopardiani e dell’Omphalos, che vede quale Presidente onorario Franco Loi.
PRIMI CLASSIFICATI: Sez. D- D2 – Libro Edito di Narrativa/Saggio GORRET DANIELE (CHATILLON/AO) DISINGANNI SENILI DI ANSELO SECOS – PEQUOD EDITORE
Sez. A–Poesia inedita in lingua italiana a tema libero DALLA LIBERA EMANUELA (SUVERETO/LI) RICORDO DI UN PADRE
Sez. B–Poesia inedita in vernacolo a tema libero. COVINO ANTONIO (NAPOLI) ‘E NOTTE
Sez. C–Racconto/Saggio breve/ Inediti a tema libero DANIELE LAURA (ROMA) SE SON ROSE PUNGERANNO
Sez. D–D1-Libro Edito di Poesia VIVINETTO GIOVANNA CRISTINA (ROMA) DOLORE MINIMO – INTERLINEA EDIZIONI
Premi speciali
Premio Speciale METRICA: FREDDI ELISABETTA (CESANO DI SENIGALLIA/AN) NON VOGLIO ARARE IL CAMPO
Premio Speciale OMPHALOS alla miglior Opera CON TEMA L’AUTISMO: LA ROVERE GABRIELLA (MARSCIANO/PG) MI DISPIACE, SUO FIGLIO E’ AUTISTICO EDIZIONI GRUPPO ABELE
Premio Speciale UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TERAMO LIBRO INEDITO/OPERA PRIMA EDITA (LIBRO): AMICO ANGELA GIOVANNA (CURNO/BG) LA VERITA’ E’ UNA ROTTA TRACCIATA A MATITA EDIZIONI CONVALLE
PREMI SPECIALI.
MIGLIOR OPERA A TEMATICA:
SOCIALE (PREMIO DANIELE DONATI): GEMITO FRANCESCO (CASORIA/NA) DALLA POLVERE DA SPARO ALL’INCHIOSTRO TREDITRE EDITORI.
UMORISTICA (PREMIO GIOACCHINO BELLI): MONACHESI ENNIO (MACERATA) LA VENA UMORISTICA EDIZIONI SIMPLE
MIGLIOR SAGGIO: LENTI LUIGI (TERAMO) VINCITORI E VINTI ROBIN EDIZIONI FANTASY/PER RAGAZZI: PACCANI FEDERICO (BRESCIA) LOKI E IL DRAGO DEL LAGO GERUNDO – EDIZIONI A.CAR
PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA: PIERPAOLI ERMANNO (PESARO) UN’ISOLA PER OGNI UOMO – INEDITO
PREMIO SPECIALE ALLA CARRIERA: SERPENTINI ELSO SIMONE (TERAMO) Storia della Massoneria in Abruzzo ARTEMIA NOVA EDITRICE.
La situazione di emergenza sanitaria legata al coronavirus fa slittare la cerimonia di premiazione, che era stata fissata a sabato 9 maggio, al Kursaal a Grottammare; momentaneamente rinviata a sabato 6 giugno.
Sono state 733, complessivamente, le opere pervenute alla 11^ edizione, dai 528 autori (+36 rispetto alla 10^ edizione) che hanno scelto di partecipare: 258, le poesie in lingua italiana pervenute, 49 quelle in dialetto; racconto e saggio breve 127, libro poesia 62 e libro narrativa/saggio 237. Per un totale di 299 libri e 434 poesie + racconti.
Sono state valutate dalla giuria, presieduta dal critico letterario e saggista Filippo La Porta è il Presidente per la giuria tecnica dal punto di vista dell’opera edita.
Presidente sezione giallo/noir è Massimo Lugli, leggenda nell’ambiente giornalistico romano, cronista di nera, sempre in trincea sulla strada e nei bassifondi della metropoli, Presidente sezione romanzo storico Andrea Frediani, consulente scientifico della rivista «Focus Wars», ha collaborato con numerose riviste specializzate e ha pubblicato numerosi saggi.
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Una mente libera dalle catene Libera di pensare il pensabile Senza restrizioni e censure Un mondo di parole proprie Scritte senza un motivo apparente E senza alcuna intenzione Senza nessuno o niente che le può giudicare È questo ciò che voglio Niente metrica, niente schema Solo libertà
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