#mancanza di risorse
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" Non puoi togliere speranza alle persone ". Si che si può togliere alle persone la "speranza in mondi ultraterreni" dove potranno vivere gioie che oggi sono loro negate da malattie, handicap, mancanza di risorse, persone care scomparse...
Si deve tassativamente togliere loro speranza, in primo luogo per non essere più oggetto della truffa religiosa e perché solo le persone che non si aspettano soluzioni dall'alto e da terzi si danno da fare per migliorare se stessi e la società indirettamente; le altre, invece, vegetano.
#vegetare#soluzioni#mondi ultraterreni#speranza#religione#spiritualità#dio non esiste#gioie#gioie negate#malattie#handicap#mancanza di risorse#persone care scomparse#truffa religiosa#soluzioni dall'alto#società#migliorare la società
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C'è la Scienza e la Scienzah (priva di Etica).
L'80% delle morti nel mondo è causato dalla mancanza di accesso alle risorse, dalla povertà.
E la "scienzah" non si preoccupa di questo, ma sforna solo soluzioni di longevità e benessere per la piccola parte più benestante della popolazione mondiale.
L'analfabetismo funzionale di chi si occupa del "settore scientifico" è oggettivamente imbarazzante.
L'analfabetismo funzionale di chi si occupa di settori importanti come la scienza è decisamente imbarazzante.
Non ha alcun valore umano una scienza, e gruppi di ridicoli "ricercatori", che si occupino soltanto di prendersi cura degli esseri umani più privilegiati.
#scienzah#80%#morti nel mondo#mancanza accesso alle risorse#povertà#risorse#preoccuparsi#sfornare#soluzioni#longevità#benessere#parte benestante#popolazione mondiale#mondo#etica#mancanza di etica#popolazione#mondiale#la scienza che non è scienza#Aureliano Stingi#analfabeta funzionale#analfabetismo funzionale#ricercatori#ricercatori analfabeti funzionali#Nicola Marino#ridicolo#imbarazzante
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Rinuncia al ruolo di Salvatore e ritorna ad essere “semplicemente” un uomo. Imprescindibile per te stesso. Unico per te stesso. Integro per te stesso.
Noi non salveremo nessuno. E nessuno salverà noi.
Non abbiamo potere sull’Altro. E l’Altro non può avvalersi di alcun potere su di noi.
La manipolazione si basa sul bisogno ferito e inascoltato di Riconoscimento e di Amore. Sulla ancestrale mancanza delle cure emotive e fisiche di accudimento. Siano esse state fornite in maniera inadeguata o totalmente assente.
Ma ciò non giustifica comportamenti predatori nei confronti degli altri Esseri Umani. Non può avvallare una bieca e miserabile pretesa Risarcitoria.
Tutto ciò che non appartiene a noi, va sempre restituito all’Altro.
E l’Altro deve compiere lo stesso atto altruistico.
Nessuno di noi può arrogarsi il ruolo di "strumento di guarigione".
Nessuno può insediarsi sul piedistallo della Risoluzione. Nessuno può aggiustare.
Non ci si può sostituire al dolore e all’impotenza dell’Altro,. Non siamo qui per ricomporre Umani rotti, ne’ per controllarli. Non siamo genitori surrogati e non siamo detentori di alcuna magia trasformativa.
Scendiamo dal piedistallo, dall’illusione, dalla simbiosi e dalla dipendenza affettiva ed emotiva.
L’Altro non ci appartiene e non ci apparterrà mai.
Se rinunciamo a questo ruolo salvifico improprio e dannoso, possiamo concederci relazioni sane. In caso contrario continueremo a perpetrare e perseverare meccanismi compensativi disfunzionali e tossici.
L’Altro non è un oggetto. E’ una persona. E’ un essere indipendente da noi. Appartiene solo a se stesso. E lo farà per sempre, finché avrà respiro.
E’ libero.
Se pensiamo di guarirci attraverso l’Altro, saremo condannati a ingabbiarlo nel gioco della perversione affettiva, con ricatti subdoli e manipolatori.
Essi porteranno a schemi sofferenti e denigratori.
La Vita è sacra. Noi siamo Sacri. I nostri spazi sono Sacri.
Ed entrare in relazione con l’Altro significa rispettarne i confini, chiedere di volta in volta il permesso per entrare, accogliere il suo atto volitivo, riportare la relazione ad uno scambio e non ad un movimento di “depredazione assistita".
L’Altro non è lì per colmare i nostri vuoti, né per disinfettare le nostre Ferite.
E’ lì per condividere Amore.
Non sarà mai nostro. Non sarà mai obbligato a restare. Nè dovrà essere ingannato, ricattato, posto in una condizione di colpa o di vergogna. Non può assurgere a distributore energetico, né a “sostanza d’abuso”.
E’ semplicemente “se stesso”. E merita di preservare il suo talento umano e spirituale, il suo respiro vitale, la sua riserva energetica.
Chiunque depredi volontariamente o inconsciamente il dono dell’Altro senza restituire nulla, compie un atto dissacrante e violento, dimostrando disprezzo per la salute e per l’incolumità di chi lo circonda.
Nessuno è il metadone di nessuno. Nessuno può essere considerato un mezzo di sopravvivenza o di esaltazione dell’Ego. Nessuno è il trofeo di nessuno.
Se la persona manca di autostima o integrità, umilmente dovrà corrispondere al suo viaggio evolutivo nelle sedi deputate, evitando di interferire pesantemente con il suo irruento e insaziabile bisogno di piacere, di esaltazione e di riconoscimento.
Il sistema prevalente, nonché la malattia del millennio, è la depredazione energetica associata al consumismo bulimico, impersonale e asettico delle risorse altrui.
E’ triste che, nonostante all’oggi ci sia ampia possibilità di divulgazione e informazione, ci siano innumerevoli corsi e strumenti esperienziali di evoluzione e cambiamento, ci si ritrovi ancora a “predicare” le basi del processo di maturazione umana.
Significa che siamo ancora totalmente disconnessi da noi stessi. Dalle nostre emozioni. Dalle nostre movimentazioni energetiche.
Non ci conosciamo. Non sappiamo cosa creiamo. Siamo ignari delle conseguenze che addossiamo agli Altri quando tentiamo di relazionarci a loro.
Ci vuole responsabilità. E volontà. Non spocchia e non arroganza. Non vittimismo, né esaltazione.
Noi siamo tutti dotati di risorse illimitate.
Possiamo accedere ad un mondo interiore infinito di doni e strumentazione energetica. Siamo già predisposti per “l’autosufficienza”. Se così non fosse, possiamo ripristinare l’equilibrio perduto, evitando di rivolgerci alle svariate e insane formule compensative e predatorie.
Abbiamo tutto dentro. Tutto ciò che ci serve è già presente. Saperlo utilizzare e farne esperienza è l’unico compito a cui dovremmo porre attenzione, prima di correre dall’Altro a rifocillarci di ciò che ci manca e che non vogliamo riconoscerci dentro.
Comprendere questo è vitale.
E per prenderci carico di noi stessi, dobbiamo prima inchinarci alle nostre fragilità umane. E prendere visione di ciò che ancora pretendiamo dall’Altro in termini di risarcimento o di diritto acquisito.
Nessuno vi deve nulla.
Nessuno è obbligato a dare.
Rimane una libera scelta. Basata sulla disponibilità all’incontro e alla condivisione sincera ed equilibrata.
Perciò basta.
Qui c’è in gioco il Destino dell’Umanità.
Non è più un movimento sostenibile “la tossicità nei rapporti”.
Va scardinata. E denunciata. A noi stessi in primis.
Le regole sono semplici: si chiede il permesso prima di entrare. Ci si pulisce le scarpe. Si riconosce all’Altro il diritto in ogni istante di rifiutare un dono indesiderato e non richiesto.
Sono le basi.
Basi che pare il Mondo abbia totalmente smarrito, svalutato, disincentivato e manipolato secondo il proprio bisogno compulsivo e famelico di gratificazione immediata e incontrollata.
Non funzionerà alcuna relazione se non si rispettano le regole essenziali dell’affettività e della dignità.
Ciascuno di noi ha pieno diritto all’Esistenza e alla Libertà.
Nessuno è migliore di nessuno. Ma tutti possiamo migliorarci giorno dopo giorno nella piena consapevolezza che se siamo tutti soli in questo viaggio, è anche vero che possiamo scambiarci gentilezza, comprensione, vicinanza, senza calpestare alcun fiore dell’aiuola del nostro vicino.
Guardatevi dentro. Con attenzione e umiltà. E risolvete.
Con le scarpe pulite poi bussate. E se all’Altro farà piacere, aprirà porte e finestre.
Lo Spirito nulla può contro le barbarie dell’Essere Umano. Ma l’Essere Umano può rendersi in ogni momento degno di accogliere lo Spirito.
Mirtilla Esmeralda
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Nel dedalo delle relazioni umane, esiste una violenza silente, impercettibile ai radar convenzionali, ma devastante nella sua essenza: L'arte simulata dell'ascolto, dove le parole sono udite ma non accolte.
Rivela una mancanza di generosità nell'attenzione, un deserto emotivo che supera la semplice avarizia di tempo o risorse materiali.
Non c'è crudeltà superiore a quella di far sentire gli altri trasparenti, ignorati da chi sembra presente, ma in realtà, ha la mente altrove, impaziente di fuggire verso altri impegni.
Il dolore di essere trascurati, di dover mendicare frammenti di presenza autentica, è un'umiliazione che rafforza il senso di solitudine e inadeguatezza.
Questo tipo di disattenzione, quando si è costretti a supplicare per quell'interesse che dovrebbe essere offerto liberamente e con piacere, cristallizza la violenza in un solo attimo.
È spesso l’ultimo segnale di allarme, l’indicatore finale che qualcosa nel tessuto di quella particolare relazione si è irrimediabilmente strappato.
La dinamica della non-curante superiorità, travestita da normale distrazione, è una danza macabra attorno al fuoco dell'egoismo assoluto, dove la fiamma dell'autoconservazione brucia ogni speranza di connessione autentica.
Eppure, in questo scenario di apparente desolazione, emerge un sentiero di resistenza, non pavimentato di inutile rancore, ma di autostima.
All’ennesima e ultima richiesta di attenzione non concessa la consapevolezza di sé come entità indipendente, la cui stima non dipende più dall'ascolto altrui, diventa un bastione contro l'indifferenza.
Inizia allora un percorso di autoaffermazione che porta a spezzare le catene dell'elemosina emotiva, insegnandoci che la vera unione di sentimenti nasce dall'equità, non dalla supplica.
Tutte le vere crudeltà più spesso risiedono non in gesti manifesti ma in angoli dell'indifferenza.
Riconoscere questo è il primo passo per costruire un'esistenza dove l'attenzione indivisa diventa il dono più prezioso, una dimostrazione d'amore che trascende parole e persino molti altri fatti, riaffermando la sacralità dell'essere visti e sentiti, ovvero del bisogno assolutamente umano di connetterci gli uni con gli altri.
Chi trascura l'ascolto, trascura l'amore.
Luca Pani
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A conti fatti, ormai, credo proprio che era inevitabile che andasse così visto il contesto socio-economico e culturale in cui sono cresciuta ed il tipo di persona a cui sono incline e che ne è venuto fuori dal contesto di cui sopra. Era inevitabile che a trentanni non avessi "qualifiche" (che facciano curriculum almeno), che non avessi una "carriera". Ma a me non pesa. Nel senso che andare a fare lavori socialmente etichettati come "umili" (che poi sono pure i più necessari: se fate i signorotti turisti di sto cazzo è perché c'è gente che si sbatte per prepararvi da mangiare, pulire la stanza, servirvi e riverirvi vendendovi l'illusione che siete importanti! E no, non potete dire nemmeno "eh ma vengono pagati", perché non vengono pagati abbastanza!) non mi pesa, non la vedo come una umiliazione né come mancanza di aspirazione. Io bado solo allo stipendio, a quante risorse di tempo e mentali mi chiedono. A parità di stipendio, ad esempio, preferirei di gran lunga fare le pulizie negli hotel piuttosto che fare la segretaria in qualche studio di staminchia, se è mentalmente meno usurante e se mi lascia più tempo libero a disposizione. A me interessa solo campare bene, tranquilla, avere i miei soldi da poter spendere in libri o roba totalmente "inutile" e queste cose non è detto che li hai solo con una "carriera" (ed infatti si è visto che fine fanno tutti sti laureati da 110elode).
Oltretutto il mio animo utopistico resta sempre rivoluzionario, crede ancora in una rivoluzione, crede ancora di poter "convincere la gente", di poterla "cambiare" e allora mi dico che vado a fare dei lavori "umili", mi unisco ad altra gente come me e facciamo la rivoluzione. Qualche giorno fa lo dicevo a proposito di un lavoro in Germania: "dai" dicevo "andiamo in Germania così vado a lavorare là e vado a fare la rivoluzione. Ché la rivoluzione deve partire dalla Germania. Realizziamo la visione di Marx".
Su questo forse voglio campare di illusione: sebbene mi renda conto che sono circondata da gente che ha i propri bias cognitivi del tutto sfasati, però voglio credere che arriverà una narrazione efficace – e dall'alto della mia umiltà sarò io ad elaborare questa narrazione efficace – e allora inizieremo tutti a lottare per la dignità ed i diritti che ci siamo fatti togliere.
E poi io sto sempre con l'idea che prima o poi mi iscriverò all'università. Pure se andrò a pulire i cessi.
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Quali sono le principali barriere al cambiamento?
Attualmente le aziende si trovano in un ambiente complesso e dinamico, che può essere visto anche come un Mondo V.U.C.A.. Di conseguenza, la vita aziendale quotidiana è sempre più caratterizzata dal cambiamento. In questo contesto, la Gestione del Cambiamento è diventato un compito costante ed ha acquisito sempre più importanza.
Come ci ricorda...
J.P. Kotter, i principali ostacoli sono:
Non creare un senso di urgenza
Non creare una coalizione di governo che remi nella stessa direzione
Mancanza di una visione
Inefficacia nel comunicare la meta del cambiamento
Non rimuovere gli ostacoli alla nuova visione
Non creare piccoli successi a breve termine
Dichiarare troppo presto il successo del progetto di cambiamento
Non incorporare il cambiamento nella cultura aziendale
In generale, un processo di cambiamento è quindi efficace se è chiaro il punto di arrivo, se ci si dota delle giuste competenze e risorse, se vi è un piano d'azione e un adeguato sistema di incentivi.
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Coltivare senza acqua ''resoconto-primo tentativo''
Negli ultimi anni, la domanda di metodi di coltivazione sostenibili è diventata sempre più urgente.
Personalmente, ho deciso di affrontare questa sfida in modo diretto, ispirandomi alle pratiche di Fukuoka, iniziando un progetto di giardinaggio che non dipendesse dall'acqua.
Attraverso questa esperienza, mi sono avvicinata a un modo di vivere più consapevole e rispettoso dell'ambiente.
''Progettare un Orto Sostenibile''
Decidere di progettare un orto per la coltivazione senza acqua è stata una sfida molto stimolante .
Ho iniziato a cercare un’area del mio giardino che potesse soddisfare le esigenze delle piante senza richiedere irrigazione costante.
Dopo aver analizzato attentuali varie zone, ho scelto porzioni di terreno semi-ombreggiate, dove la luce solare non colpiva direttamente le piante per tutto il giorno.
La scelta si è rivelata cruciale per proteggere le mie coltivazioni dal calore estremo. Per preparare il terreno, ho coperto la superficie con paglia e fieno.
Questo strato non solo ha aiutato a mantenere l’umidità nel suolo, ma ha anche ridotto la crescita delle erbacce, permettendo alle piantine di prosperare.
Dopo aver fatto ciò, ho piantato le piantine che avevo acquistato, senza arare la terra, innamorata del pensiero di vedere crescere il mio orto sostenibile.
''La Fortuna della Pioggia''
Sono stata incredibilmente fortunata, poiché da aprile fino a tutto giugno, le piogge sono state frequenti, questo ha alleviato la mia ansia riguardo alla mancanza d’acqua; non ho mai dovuto annaffiare le mie piante.
Anzi, ho colto l’occasione per raccogliere l’acqua piovana attraverso le grondaie del tetto e conservarla in bidoni.
Queste riserve si sono rivelate preziose, permettendomi di mantenere le piante ben nutrite e idratate senza dover dipendere da fonti esterne fino ad ora.
Grazie a queste condizioni favorevoli, fino ai primi di luglio ho avuto ottimi risultati. Fragole dolci e croccanti, insalate di vario genere, finocchi, aglio e cipolle sono cresciuti rigogliosi, e ho potuto raccoglierli con grande soddisfazione.
Ogni raccolto era una piccola vittoria, un segno che il mio approccio alternativo alla coltivazione stava funzionando.
''Le Sfide del Caldo Estivo''
Tuttavia, la fortuna sembra avere un modo di cambiare rapidamente.
Dopo i primi giorni di luglio, le piogge sono cessate e il sole ha iniziato a picchiare con intensità, portando le temperature a sfiorare i 40 gradi.
Nonostante la zona che avevo dedicato all'orto fosse relativamente ombreggiata, le piante mostrano segni di stress idrico.
La mia gioia iniziale si è trasformata in preoccupazione, poiché le piante continuano a chiedere acqua, e io mi sono trovata di fronte a una dura realtà: non ho abbastanza acqua per tutte. In questa situazione, ho dovuto prendere decisioni difficili.
Ho dato priorità ai pomodori, le piante che avevo coltivato con tanto amore e che promettevano di offrire un raccolto abbondante. Con il caldo intenso e la scarsità d’acqua, ho dovuto affrontare la sfida di gestire le risorse in modo intelligente e strategico, cercando di salvaguardare quello che potevo.
''Conclusione''
Ho imparato che, sebbene le condizioni possano essere difficili, la resilienza e la pianificazione possono fare la differenza. Dopo questa esperienza di coltivazione senza acqua, posso affermare con certezza che i cavoli sono particolarmente adatti a questo tipo di pratica agricola.
Probabilmente, il mio terreno si è rivelato ideale: queste piante accusano poco il freddo e, grazie alla mia abbondante pacciamatura, non richiedono annaffiature frequenti.
Nel mio orto, i cavoli verdi, rossi e il cavolo nero hanno prosperato, dimostrando una resistenza sorprendente alle condizioni climatiche avverse.
Purtroppo, non tutte le piante hanno avuto la stessa sorte. Le fragole, ad esempio, hanno risentito molto del caldo e stanno cominciando a seccare, mentre anche le zucchine sembrano soffrire, producendo solo fiori (per fortuna, comunque, molto buoni).
I pomodori, invece, richiedono ancora la mia attenzione quotidiana, necessitando di un litro e mezzo d’acqua per pianta ogni giorno per far fronte al caldo.
'' Se qualcuno ha consigli o pratiche da suggerirmi per migliorare i risultati del mio orto in queste condizioni, sarei molto grata.
La condivisione di esperienze e suggerimenti è fondamentale per crescere insieme e affrontare le sfide della coltivazione sostenibile.''
La mia avventura continua, e ogni giorno rappresenta una nuova opportunità per imparare e adattarsi.
un abbraccio a tutti
#pratica#sostenibilità#fattoria#orto#natura#orto sostenibile#coltivare senza acqua#agricoltura sostenibile#biodiversità#permacultura#orto senza fatica
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un giorno
Un giorno io avrò la Partita Iva e pagherò un sacco di tasse, ma avrò anche i miei bigliettini da visita e un portfolio da spavento che porterò in tutti i posti di Bari.
Bar, ristoranti, edicole, scuole, parrucchieri, studi medici, fruttivendoli, supermercati, bancarelle: qualunque cosa o persona abbia bisogno di vendere avrà il mio biglietto da visita sotto il naso e il mio sito web nella cronologia di Google.
Un giorno, anche se tra dieci anni, io sarò una delle migliori copywriter della mia regione e per ogni svolazzo su un foglio sarò pagata migliaia di euro.
Un giorno potrò chiudere il computer alle 18 spaccate e non dovrò più annuire e sorridere a nessuno.
Un giorno avrò dei dipendenti, sarò nella posizione di insegnare a nuove persone tutto quello che ho imparato io. E quel giorno non farò ostruzionismo, non lascerò che loro navighino nell'incertezza e nei dubbi e nella paura.
Un giorno sarò una buona datrice di lavoro: farò contratti, contratti veri, e pagherò le tasse che devo pagare. I miei dipendenti avranno accesso alle risorse formative più eccellenti, conosceranno a menadito tutti i tool gratuiti esistenti e mai, mai, mai riceveranno una mia chiamata o un mio messaggio nel fine settimana.
Un giorno dimostrerò a tutte le persone per cui ho lavorato che non sono io quella pazza, non sono io quella stupida, non sono io quella cocciuta e non sono io quella che ha sempre la luna storta. Dimostrerò a tutte le persone per cui ho lavorato e da cui ho ricevuto stipendi da fame, gatekeeping, lassismo, menefreghismo e mancanza di rispetto mascherata da retorica spiccia che si può offrire un modello di lavoro migliore.
Si può e si deve.
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Crisi industriale per sovrapproduzione di acciaio in Cina
La siderurgia cinese è sull’orlo del precipizio. L’era delle grandi infrastrutture in Cina è finita, e ora il settore dell’acciaio deve affrontare un’enorme sovrapproduzione. Una transizione cruciale all’interno dell’industria siderurgica cinese, che sta esacerbando le preoccupazioni di sovracapacità, ha portato a temere che una mancanza di disciplina possa rischiare di far "cadere da un precipizio" questo settore industriale e danneggiare la posizione a lungo termine della nazione nel commercio globale. La produzione di acciaio della Cina è aumentata rapidamente negli ultimi decenni, diventando il principale produttore ed esportatore mondiale.
Ma la prolungata flessione del mercato immobiliare e il rallentamento della spesa infrastrutturale da parte di alcuni governi locali per contenere i rischi di indebitamento, significa che l’industria sta affrontando una realtà non piacevole. I prezzi sono crollati bruscamente dal 2021 e alcuni produttori di acciaio hanno chiesto di limitare la produzione, citando le crescenti perdite e i rischi di flusso di cassa dovuti alla sovracapacità.
Cina: produzione di acciaio Fine dei consumi su larga scala “In passato, era sostenuta principalmente da investimenti come il settore immobiliare, la costruzione di infrastrutture e il rinnovamento delle attrezzature delle fabbriche”, ha dichiarato Tang Zujun, vicepresidente della China Iron and Steel Association, durante un incontro con i maggiori produttori di acciaio del Paese alla fine di aprile. In futuro, sarà guidato dai consumi e dalle industrie strategiche emergenti e future basate sull’innovazione”. “L’era della costruzione su larga scala nel nostro Paese è finita”. Tang ha chiesto una migliore disciplina e allocazione delle risorse, nonché uno sviluppo “sano” del settore, aggiungendo che l’eccesso di investimenti in alcuni prodotti peggiorerebbe ulteriormente la sovraccapacità. ‘ “Se questo problema non viene gestito bene, avrà un enorme impatto sull’ecosistema, sullo sviluppo sostenibile e sulla competitività internazionale dell’intero settore” . Solo che la situazione è diventata talmente complessa ed eccessiva che è molto difficile quali siano gli impianti che dovrebbero sopravvivere e quali dovebbero chiudere. L’export non può più essere una valvola di sfogo Anche la possibilità di utilizzare l’estero, anche con il dumping, per scaricare l’acciaio in eccesso, non è più affrontabile. A metà aprile, Biden ha detto che le tariffe sulle importazioni di acciaio e alluminio cinesi dovrebbero essere triplicate, nella prima proposta tariffaria importante sui prodotti cinesi da parte della sua amministrazione. A marzo, due grandi produttori di acciaio in Vietnam hanno richiesto un’indagine antidumping sulle esportazioni di acciaio laminato a caldo dalla Cina. La settimana scorsa, il Cile ha dichiarato che avrebbe imposto tariffe antidumping temporanee sui prodotti siderurgici cinesi utilizzati nell’industria mineraria, nel tentativo di sostenere i produttori locali in crisi. Il Messico aveva già imposto tariffe sull’acciaio cinese.
Export cinese di ferro e acciaio Il governo cercherà sicuramente di ridurre la produzione di acciaio in modo organico ed organizzato. Sicuramente potrà riuscirci con i grandi gruppi a controllo statale, ma le piccole acciaierie private, queste ridurranno la produzione per obbedire agli ordini di governo, salvo poi aumentarla non appena i prezzi inizieranno a riprendersi. Anche la Cina ha una sua economia di mercato, perfino più caotica di quella Occidentale. Mettere ordine al mercato cinese dell’acciaio non sarà un lavoro facile. Read the full article
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comunque del leone a ladispoli si potrebbero dire tante cose. Per esempio si potrebbe dire che l'impiego degli animali nel circo è figlio della stessa retorica coloniale che ha portato l'europa ha distruggere mezzo mondo: quel mondo "esotico" che hanno conosciuto con le navi e con le armi, non appena hanno iniziato a girare il mondo, e di cui si sono presi tutto: uomini, risorse, e animali. L'impiego degli animali nel circo è figlio del delirio di onnipotenza occidentale, dei ricchi improvvisati naturalisti, archeologi, botanici, zoologi, dei nobili che partivano mesi e mesi all'avventura nella profonda africa e nel profondo oriente, tutte cose che in veste diversa fanno ancora. E il circo, che senza animali è un'arte nobile, bellissima, ha implementato gli animali in epoche storiche in cui l'uomo comune un leone o un elefante sapeva a malapena come fossero fatti e non aveva certamente alcuna possibilità di vederli in movimento. Non è certo una giustificazione a questo schifo, solo una contestualizzazione storica, il circo con gli animali era popolare perché faceva leva sulla curiosità e sulla mancanza di altri mezzi mediali. È da 50 anni che non è più così. È la cosa più anacronistica del mondo.
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Perché non riusciamo a cambiare? Il modello transteorico del cambiamento
Transtheoretical Model of Change Il "Modello transteorico del Cambiamento”, noto anche come "Stages of Change Model" o "TTM", è un modello psicologico sviluppato da Prochaska e DiClemente nel 1983 per comprendere come le persone affrontano e attraversano i processi di cambiamento in vari aspetti della loro vita. Tra questi, sono incluse anche le abitudini dannose per la salute (fumo, l'assunzione di cibo non salutare, mancanza di esercizio fisico ecc.)… Il modello quindi prende anche in considerazione quelle pratiche dure a morire, quegli aspetti che rendono faticoso il nostro cambiamento. Perché è così difficile cambiare? Il Modello transteorico del Cambiamento di Prochaska e DiClemente riconosce che il cambiamento comporta una serie di fasi attraverso le quali le persone passano. Ci sono certamente due elementi che dobbiamo prendere in considerazione seriamente per attuare un cambiamento concreto: la motivazione e la consapevolezza. Foto da pixaby Il Modello transteorico del Cambiamento: le prime tre fasi La motivazione è lo stimolo all’azione concreta mentre la consapevolezza è la capacità di comprendere la condizione in cui ci si trova. Perché un cambiamento diventi autentico ( e non solo intenzionale) è necessario partire proprio dall’analisi di questi due aspetti. Per poterli comprendere appieno è necessario contestualizzarli all’interno del Modello transteorico del Cambiamento, perché quest’ultimo individua alcune fasi che sono alla base della comprensione del cambiamento stesso.Prochaska e DiClemente parlano di 6 fasi: La Pre-contemplazione: siamo nella fase iniziale, in quella fase cioè in cui le persone non sono consapevoli o non riconoscono il bisogno di cambiare. Non considerano attivamente il cambiamento e possono essere difensive rispetto ai suggerimenti che ricevono. La Contemplazione: è il momento in cui si inizia a riconoscere che c'è un problema e a considerare i pro e i contro del cambiamento. Tuttavia, possiamo essere indecisi, restare in stanby perché non siamo del tutto disposti a impegnarci. Tale considerazione è dettata spesso da un atteggiamento “atavico” del nostro cervello, che per mantenere lo status quo, la nostra comfort zone, ci suggerisce di non agire. Ovviamente, non dobbiamo ascoltarlo! La Determinazione: in questa fase, le persone sono pronte a iniziare il cambiamento. Ci si muove con timidi passi verso la direzione giusta, si cercano informazioni e risorse per agevolare il processo di cambiamento. Ma attenzione: determinazione NON è sinonimo di cambiamento. La persona determinata non è detto che arrivi al traguardo. Certo, la volontà di cambiare è fondamentale , ma è necessario avere anche un obiettivo perché, per riprendere Seneca, “Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare”. foto di dominio pubblico Transtheoretical Model of Change: verso il traguardo L’Azione: siamo in un punto cruciale del nostro percorso verso il cambiamento. Abbiamo le energie giuste, siamo pronti. Ma quando? Subito. Nessun vero cambiamento è immediato, ma se mai iniziamo…E’ necessario partire per arrivare! Durante questa fase, le persone si mettono in moto per attivare il cambiamento, facendo sforzi consistenti per modificare il comportamento problematico. Questa fase quindi, richiede impegno e, ovviamente, azione! Il Mantenimento e le Ricadute: siamo in un momento molto difficile. Dopo aver adottato il nuovo comportamento, le persone lavorano per mantenerlo nel tempo e prevenire le ricadute. Il nostro percorso potrebbe essere costellato di successi ma anche di sconfitte. Fa parte del processo verso il cambiamento. Quest’ultimo non è lineare e dobbiamo aspettarci alti e bassi. Quando arrivano le sconfitte, non bisogna demoralizzarsi, perché non significa che il nostro percorso verso il cambiamento stia fallendo ma semplicemente che dobbiamo “riposizionare la mira”. Questa fase è fondamentale per la creazione di nuove abitudini a lungo termine. E’ molto complicato liberarsi dei vecchi modi di fare e di pensare, ma il nostro cervello è dotato di un’enorme flessibilità. Sfruttiamola! Foto d Mikhail Nilov da Pixeles Termine: il traguardo è stato raggiunto! il comportamento modificato è diventato la nuova norma e il rischio di ricadute è minimo. In questa fase le persone hanno raggiunto un nuovo stato di equilibrio. Abbiamo capito che nulla di quello che abbiamo fatto è stato inutile o andato perduto, anche durante quelle che consideriamo le nostre sconfitte. La sconfitta è un’opportunità per rimettersi in carreggiata e capire dove abbiamo sbagliato. Il modello transteoretico del cambiamento è ampiamente utilizzato nel campo della psicologia della salute e del benessere con l’obiettivo di aiutare le persone a comprendere come adottare nuovi comportamenti e aiutare gli operatori sanitari a intervenire in modo efficace per sostenere il processo di cambiamento. Vogliamo smettere di fumare? Abbiamo deciso di perdere chili? Vogliamo cambiare alcuni aspetti del nostro carattere? Per iniziare da soli, potremmo certamente pensare di seguire questa interessantissima tabella di marcia! Read the full article
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Chi trascura l'ascolto,
trascura l'amore.
Nel dedalo delle relazioni umane, esiste una violenza silente, impercettibile ai radar convenzionali, ma devastante nella sua essenza: L'arte simulata dell'ascolto, dove le parole sono udite ma non accolte.
Rivela una mancanza di generosità nell'attenzione, un deserto emotivo che supera la semplice avarizia di tempo o risorse materiali.
Non c'è crudeltà superiore a quella di far sentire gli altri trasparenti, ignorati da chi sembra presente, ma in realtà, ha la mente altrove, impaziente di fuggire verso altri impegni.
Il dolore di essere trascurati, di dover mendicare frammenti di presenza autentica, è un'umiliazione che rafforza il senso di solitudine e inadeguatezza.
Questo tipo di disattenzione, quando si è costretti a supplicare per quell'interesse che dovrebbe essere offerto liberamente e con piacere, cristallizza la violenza in un solo attimo.
È spesso l’ultimo segnale di allarme, l’indicatore finale che qualcosa nel tessuto di quella particolare relazione si è irrimediabilmente strappato.
La dinamica della non-curante superiorità, travestita da normale distrazione, è una danza macabra attorno al fuoco dell'egoismo assoluto, dove la fiamma dell'autoconservazione brucia ogni speranza di connessione autentica.
Eppure, in questo scenario di apparente desolazione, emerge un sentiero di resistenza, non pavimentato di inutile rancore, ma di autostima.
All’ennesima e ultima richiesta di attenzione non concessa la consapevolezza di sé come entità indipendente, la cui stima non dipende più dall'ascolto altrui, diventa un bastione contro l'indifferenza.
Inizia allora un percorso di autoaffermazione che porta a spezzare le catene dell'elemosina emotiva, insegnandoci che la vera unione di sentimenti nasce dall'equità, non dalla supplica.
Tutte le vere crudeltà più spesso risiedono non in gesti manifesti ma in angoli dell'indifferenza.
Riconoscere questo è il primo passo per costruire un'esistenza dove l'attenzione indivisa diventa il dono più prezioso, una dimostrazione d'amore che trascende parole e persino molti altri fatti, riaffermando la sacralità dell'essere visti e sentiti, ovvero del bisogno assolutamente umano di connetterci gli uni con gli altri.
Chi trascura l'ascolto, trascura l'amore.
(Luca Pani - da "Prove di Volo: Manuale di Psiconautica Elementare")
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chissà perché proprio quando ho tolto ig per due mesi ho avuto le prese a male più chiarificatrici che abbia mai avuto, quelle in cui riesci a metterti in prospettiva e ad uscire un secondo dai pensieri comodi della quotidianità, quelli che pensi involontariamente come coping mechanism, quelli che ti assillano ma che tutto sommato non sono che cazzate. chissà perché proprio quando ho tolto ig mi è iniziato questo longing verso la comunità, il lavoro comunitario e il fatto che alla base del mio malessere c’è proprio la mancanza di questo tipo di bene, il bene che smette di essere appannaggio del partner e fuoriesce nell’amore comunitario, condiviso, fatto di mutua attenzione e ascolto e condivisione delle proprie risorse. mi chiedo veramente come siamo arrivati a questo oppio così malefico e insidioso, che non ci fa pensare, non ci fa desiderare
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Sono affascinato dalle tue escursioni urbane tra vecchi ruderi. Mi chiedo come ce ne possano essere in tale quantità e del perché alcune bellezze vengano lasciate in stato d'abbandono. Ho messo in pratica qualche incursione dalle mie parti ma le risorse sono al minimo... Scusa questa intrusione, è da un po' che avrei voluto scriverti.
😊grazie.Mi fa molto piacere.Purtroppo non tutto viene recuperato ,non si riesce per mancanza di fondi o altro .
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[...]L’aggressività, lo stalking, il mobbing, il bullismo, la spettacolarizzazione della violenza sono forme del vivere quotidiano e l’avvento di internet ha permesso contatti sempre più vicini e frequenti creando, contemporaneamente, la possibilità di provocare «dolori» sempre più intensi e permanenti. Nell’era di internet i rapporti tra gli «umani» sono frequentemente caratterizzati dalla rabbia verso l’altro, comunicata tramite i social, e moltiplicata all’infinito. Più che parlare di «rapporto» via internet è corretto perciò parlare di sharing, condivisione globale. La condivisione globale è una forma di comunicazione, ma non è detto che sia anche una forma di relazione. Seguire un blogger, una webstar, un digital leader, e condividerne i diversi momenti della vita, seguire le storie su Instagram, i profili Facebook sono attività che si basano sulla condivisione delle informazioni da parte di chi le posta, di chi le legge e di chi le commenta, ma tutto questo è molto lontano dal rappresentare una relazione di amicizia tra le persone. È probabile che uno dei motivi per cui la rabbia, l’aggressività via internet, vada oltre ogni misura sia l’assenza di relazione e la mancanza dell’equilibrio che nasce dallo scambio emotivo-affettivo interpersonale.
Torna in mente, in modo quasi paradossale, l’apologo di Schopenhauer: «Una compagnia di porcospini, in una fredda giornata d’inverno, si strinsero vicini per proteggersi, col calore reciproco, dal rimanere assiderati. Ben presto, però, sentirono le spine reciproche; il dolore li costrinse ad allontanarsi di nuovo l’uno dall’altro». In tutto il resto del racconto se avevano freddo si avvicinavano e si pungevano, se si allontanavano sentivano nuovamente freddo. Il filosofo dirà che è necessario trovare una giusta distanza, una misura che consenta di stare in relazione, senza farsi del male. La società di oggi ha perso la misura.
Forse potremmo dire che ne conosce solo una, rispondere reattivamente in maniera violenta e scomposta all’azione che pensiamo ci abbia provocato un danno, che ci si trovi nel traffico, al lavoro, a scuola, in famiglia. Lo psichiatra Eugenio Borgna, in una sua opera del 2013, afferma che alla base dell’«ordinaria violenza alla dignità dell’uomo» che si perpetra nella società moderna, ci siano la mancanza di lavoro, le difficoltà della famiglia e le incomprensioni a scuola. A queste considerazioni possiamo ricollegare la quasi totale assenza, nella nostra società, di un altro sentimento reattivo, la riconoscenza. Nonostante sia stretta parente della rabbia, la riconoscenza sembra non solo una figlia minore, ma proprio in via di estinzione. La riconoscenza cerca il bene, la rabbia il male. La rabbia è proiettata verso il passato, la riconoscenza verso il futuro. La rabbia ha una memoria indelebile, la riconoscenza soffre di amnesia. Si parla anche di «rancore del beneficato» a sottolineare come chi, ottenuto un bene dall’altro, si arrabbi invidiosamente, in quanto sapere e sentire di essere in debito richiede una notevole maturità personale.
La nostra è una società rabbiosa, diseguale, fragile, in grado solo di assicurare un futuro precario ai giovani, poco propensa ad accogliere chi è diverso. Una società in cui prevale una «povertà vitale». Con povertà vitale s’intende non la privazione materiale, bensì una restrizione della capacità relazionale, affettiva, valoriale, morale, religiosa. La povertà vitale, sebbene teoricamente condizionata dalla povertà economica, è un concetto più ampio, che fa riferimento a un impoverimento delle qualità e delle risorse umane generali dell’individuo, a un’involuzione sociale che preclude una prospettiva a lungo respiro. Questa condizione è caratterizzata da un sentimento di vuoto interiore, da un’angosciante mancanza di significato della propria vita.
— A. Siracusano
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