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Viola il divieto di avvicinamento nei confronti della madre maltrattata e i Carabinieri lo arrestano: ora è in carcere. Casale Monferrato
Casale Monferrato – Non è bastato l’allontanamento e il divieto di avvicinamento alla casa familiare disposto dall’Autorità Giudiziaria a seguito dei ripetuti episodi di maltrattamenti nei confronti della madre
Casale Monferrato – Non è bastato l’allontanamento e il divieto di avvicinamento alla casa familiare disposto dall’Autorità Giudiziaria a seguito dei ripetuti episodi di maltrattamenti nei confronti della madre, un 26enne, già noto alle forze dell’ordine per i suoi precedenti, è stato nuovamente sorpreso dai Carabinieri del Nucleo Radiomobile della locale Compagnia presso l’abitazione della…
#abusi familiari.#Arresto#Arresto in flagranza#autorità competenti#Autorità Giudiziaria#Carabinieri#carcere di Vercelli#Casale Monferrato#codice di procedura penale#coercitiva#cronaca giudiziaria#diritti delle vittime#divieto di avvicinamento#escandescenza#giustizia penale#Google News#https://alessandria.today/#italianewsmedia.com#legge italiana#madre maltrattata#maltrattamenti familiari#maltrattamenti in famiglia#misura cautelare#misura imposta#norme giuridiche#Nucleo Radiomobile#opporsi al controllo#Pier Carlo Lava#prevenzione della violenza#procedura penale
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Hai dovuto combattere con i suoi dubbi, le sue diffidenze e sciogliere i suoi pudori di madre single. Non puoi scherzare, con lei. Esige serietà e impegno. È una giovane donna che pretende dalla vita un uomo con gli attributi.
Ne ha diritto, perché ha sofferto molto. Ogni giorno lei affronta cento draghi, indossando di volta in volta differenti maschere di invincibilità e fierezza. Combatte: per sé e per i figli piccoli che protegge da mille pericoli.
Mentre in segreto sogna di cedere le redini, di essere dominata e maltrattata. Vuole godere soffrendo e piangendo lacrime di soddisfazione: per la cera bollente colata sul seno, per il culo arrossato dagli schiaffi e i capezzoli stritolati dai baci e morsi dai denti.
Punita, umiliata e sfruttata per il piacere da parte del suo uomo. Desidera con tutta l'anima obbedirgli, servirlo ed essere infine semplicemente accarezzata. Tu hai... oro puro tra le mani: lei ha scelto te. L'hai capito. Adesso sii grato al cielo e gioca con lei. In modo leale.
Aliantis
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Punizione adorata
Ti basta un pretesto minimo, una mia sia pur piccola digressione o non scrupolosa osservanza della linea di condotta che tu hai stabilito per me, affinché tu mi comunichi in modo ufficiale che devi punirmi. Io al solo sentire le tue parole di disapprovazione nella nota vocale che mi spedisci già comincio a godere. E le conservo tutte, le tue note vocali: le riascolto spesso, per capire fino a che punto ti amo.
Per me il fatto che le tue mani vogliano posarsi sulle mie natiche, seppur in modo irrispettoso, sfacciato, guascone e crudele, è un premio: personalmente lo considero un vero dono del cielo. Il dolore che mi fai provare schiaffeggiandomi è la tua implicita dichiarazione d'amore nei miei confronti. Castighi la mia carne, ma nutri il mio cuore. Sento che mentre lo fai mi desideri e che non puoi fare a meno di infliggermi sofferenza, che poi non è altro che amore in embrione.
È il rito puntuale di ogni nostro sabato ed è da me agognato. Sogno tutta la settimana di farti godere e non vedo l'ora di sottomettermi a te. Mio marito è un uomo debole e in casa chi comanda e prende tutte le decisioni sono io. Ma proprio per questo ho un dannato bisogno di sentirmi dominata da un maschio vero. Voglio sentirmi profondamente donna. Ho bisogno di essere guidata, apprezzata ma anche castigata. Il motivo devi trovarlo tu ogni volta. Non ha una vera importanza. Voglio solo essere umiliata e maltrattata.
Da qualcuno che abbia dei modi spicci e che quindi sappia come e quando rimettermi in riga. E tu sei molto bravo, intelligente, discreto, sensibile ma anche inflessibile. Ti adoro, per questo: sebbene tu sia di dieci anni più giovane di me. La santa punizione del mio corpo prelude invariabilmente al godimento del tuo. Quindi io, pur soffrendo fisicamente nel ricevere il duro trattamento, stringo i denti e sopporto.
Verso certamente qualche lacrima di frustrazione, ma sono comunque massimamente felice per te. Senza eccessivi riguardi per la mia persona, a un certo punto del nostro appuntamento passi dalla sonora sculacciata ad amare brutalmente la mia carne di madre e moglie di un altro uomo; mi tratti male e mi adoperi per il tuo comodo.
Quando poi hai fatto di tutto il mio corpo il tuo uso solito, allorché mi hai spremuta e hai lungamente goduto ovunque dentro di me, io sfinita e riempita del tuo seme, mi raggomitolo sazia e contenta sul tuo grembo. Me lo lasci fare, perché è un mio privato vezzo con te; sai che così mi sento protetta, amata.
Accarezzo il tuo torace, poi il tuo inguine e mi beo del tuo odore forte di maschio. Ti lecco languidamente ovunque e assaporo il tuo gusto virile. Prendo in bocca il tuo uccello: avida, grata e lentamente lo slinguo, me lo succhio, ma senza fretta alcuna. Voglio che duri, questa assoluta, dolcissima, nostra intimità. Dio: che croce che sei per me! Una vera condanna, ma allo stesso tempo anche la mia unica, segreta, rovente passione.
E riposo davvero solo così, col tuo uccello tra le labbra, per molto tempo: innocente nell'anima e maliziosa porca nella mia mente oscena di sposa fedifraga. Godo anche molto, nell'esserlo. L'amore vero è anche questo, tra noi. Prego affinché tu non ti stanchi mai di punirmi. E di desiderarmi, mentre amorevolmente spalmi la crema rinfrescante sul mio bellissimo culo di gran puttana, moglie di ancor più grande cornuto.
RDA
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«Ti guardo mentre dormi. Sono accanto a te, sono al tuo letto di morte. Ti dico addio, il più lungo di tutti gli addii, bambolina mia. Così ti ho sempre chiamata: bambolina.
Penso anche che è la prima volta in vita mia che ti vedo quieta e serena. Si potrebbe dire che una mano delicata abbia lavato via dal tuo viso paure e dissidi.
Ti guardo mentre dormi. Mi dicono che tu sia morta. In che modo ne sono colpevole io? ...Ci si pone sempre questa domanda davanti a qualcuno che si è amato e si ama ancora. Questa emozione ci sommerge, poi torna indietro e alla fine ci si convince che tutto sommato non si è colpevoli. Non colpevoli, ma comunque responsabili.
Ecco. Lo sono anch'io. È a causa mia che la notte scorsa il tuo cuore ha cessato di battere. A causa mia, perché 25 anni fa fui scelto per essere il tuo partner in "Christine".
Tu arrivavi da Vienna e io ti aspettavo a Parigi con un mazzo di fiori in mano che non sapevo come tenere. Ma i produttori mi avevano detto: "Appena scende dalla passerella, vada da lei e le porga i fiori". Io aspettai con i fiori in mano come un imbecille, in mezzo a un'orda di fotografi.
Tu scendesti dall'aeroplano, io mi avvicinai. Dicesti a tua madre: "Deve essere Alain Delon, il mio partner!" Nient'altro, nessun colpo di fulmine a ciel sereno. Così andai a Vienna, dove si girava il film, ed è stato là che mi sono innamorato follemente di te. E tu ti sei innamorata di me.
Spesso ci siamo posti a vicenda la tipica domanda degli innamorati: "chi è stato di noi due ad innamorarsi prima, tu o io?".....contavamo: "uno...due...tre..." e rispondevamo "nè tu ne io.......entrambi..." Mio dio come eravamo giovani e felici!
Alla fine del film ti dissi: " vieni con me, andiamo a vivere insieme in Francia" e tu rispondesti subito:"si, voglio vivere con te, in Francia"....[..] Io un francese, che non parlava una parola di tedesco. E tu, bambolina, che non parlavi una parola di francese.
All'inizio ci amavamo senza scambiarci una parola. Ci guardavamo e ridevamo. Bambolina.... e io ero "Pepè". Dopo qualche mese io ancora non parlavo tedesco, ma tu parlavi francese così bene che potemmo recitare in teatro. Quella volta il regista fu Visconti. Ci diceva che ci assomigliavamo, che avevamo fra le sopracciglia la stessa "V" che si increspava per la collera, per la paura di vivere, per il terrore. Adesso non hai più paura. Non stai più in agguato, non sei più preda di cacciatori. La caccia è finita e tu finalmente riposi.
Come si può spiegare chi eri tu e chi siamo noi, i cosiddetti "attori", come si può far capire che noi, recitando, interpretando, essendo qualcun altro da quello che realmente siamo, impazziamo e ci perdiamo? Come si può far capire la difficoltà, il bisogno di possedere un carattere forte ed equilibrato per riuscire a rimanere in qualche modo in piedi? Ma come possiamo noi, trovare questo equilibrio in questo mondo... noi, i giocolieri, i clown, i trapezisti da circo ai quali i riflettori indicano la strada dorata?
Dicesti una volta "Non so cosa io debba fare nella mia vita, ma in un film sono in grado di fare tutto".
No, gli altri non possono capire. Non possono comprendere che più un attore è grande e più diventa inadatto alla vita.
Non possono capirci loro, gli "altri". Gli attori si, gli altri no.
E' inspiegabile. E quando si è una donna come te, non possono comprendere che di questo ci si può anche morire. Loro dicono che tu fossi un mito.... si certo, ma il mito non è che una maschera, un riflesso, un apparenza, ma quando viene la sera il mito si dissolve e rimane solo Romy, ancora Romy, soltanto una donna incompresa, maltrattata, maldescritta sulla stampa, indebolita, braccata.
E' nella solitudine che svanisce il mito, succede per paura.
Questo cuore è stato maltrattato, sballottato, questo cuore che apparteneva ad una donna che la sera si metteva a sedere davanti ad un bicchiere...
Alla fine ci fu il film "La piscina", ci siamo ritrovati con il fine di lavorare insieme. Venni a prenderti in Germania, conobbi David, tuo figlio. Da quel film in poi tu sei mia sorella, io tuo fratello.Fra di noi tutto era chiaro, schietto. Nessun'altra passione. La nostra amicizia risiedeva nel sangue, nella somiglianza e nelle parole.
Fino alla morte di David c'era il lavoro a tenerti la testa fuori dall'acqua, poi David se ne è andato e il lavoro non ti è stato più sufficiente.
Non mi ha stupito affatto la triste notizia che anche tu ci avevi lasciato. Di cosa avrei dovuto stupirmi? Del tuo non-suicidio, forse. Ma non del tuo cuore distrutto. Mi sono detto: "Eccola, la fine del tunnel!"
Ti guardo mentre dormi. Sono di nuovo solo. Mi dico: tu mi hai amato. io ti ho amata. Io ho fatto di te una francese, una star francese. Si, è per questo che mi sento responsabile. E questa terra che tu hai amato per causa mia, è diventata anche la tua patria. La Francia. Wolfie ha deciso, e anche Laurent ne ha espresso il desiderio, che tu rimanga qui per sempre in suolo francese. A Boissy.
Là, dove fra un paio di giorni verrai raggiunta da tuo figlio David. In un piccolo luogo dove hai appena ricevuto le chiavi per la tua casa. Là dormirai per sempre. In Francia. Vicino a noi, vicino a me.
Ma non sarò presente né in chiesa né alla tomba. Perdonami. Verrò il giorno successivo e staremo da soli.
Riposa in pace. Io ci sono.
Da te ho imparato un po' di tedesco.
Le parole:" ich liebe dich".
Ti amo, ti amo, bambolina mia.
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L'essere femminile è fatto per ricevere, accogliere. Una volta stabile questo, esso si apre come una fontana e nutre in abbondanza. Altrimenti sarebbe malsano, sofferenza.
Perció uomini, esseri maschili, nutrite le vostre donne come regine. Donate voi stessi pienamente.
Non chiedete loro niente. Siete voi a dover dare i vostri frutti, che avete seminato e coltivato con amore.
Loro lo accoglieranno e con amore se ne prenderanno cura.
Sapranno versare il loro amore, nel momento in cui il vostro cuore sarà capace di darlo.
Il nostro amore infinito sgorga dall'interno, se le svuotate chiedendo, pretendendo non resterà piú niente. Soprattutto a loro.
Non si fideranno piú dell uomo, saranno infelici e voi approfitterete di questa debolezza e chiederete ancora di piú e se loro non ve lo possono piú dare perché non c'è, voi lo chiederete a qualcun altro.
Ma se tutti facessero cosí, morireste di fame.
Cari uomini, pensateci prima di voler qualcosa da qualcuno.
Pensate realmente a cosa state facendo.
Se solo siete abituati ad arrangiarvi e a dare piuttosto che a prendere vi accorgerete che molte cose si apriranno al meglio.
Loro non vi devono niente e questo moto innaturale è contro le leggi della vita.
Potreste mostrare un pó di rispetto e con dare non intendo rose e gioielli. Nessun umano si nutre con petali e metallo.
Dare è inteso come aprirsi alle proprie vulerbilità e accettarle come tali, saperle condividere e aprezzare con lei.
Ascoltare con amore e interesse sincero.
Trattare con degna nota il vostro sè, cosí anche la donna.
Perché sappiamo che l'idea media che si ha di una donna è quella che pulisce casa e cucina, fa la madre e si fa in 10 per tutti, ma è proprio questo che deve finire.
A nessuno piace distruggersi per amore degli altri.
Ovviamente sono daccordo che certe donne devono imparare l'amor proprio, ma chi ha mai detto che la donna è questo? La donna è molto di piú di una credenza abituale dettata dagli stereotipi.
Ritrovare il proprio lato femminile, creativo, empatico, accogliente, vi aiuterà ad avvicinarvi a loro e a comprendere quelle cose che disprezzate, temete, non capite, è uguale, sempre stato fa che siete distanti e le donne non sono solo dei gioielli o delle amanti dello shopping.
Potete capire quale potere inestimabile risiede in esse, appunto conoscendo prima in voi stessi quella parte rinnegata, sottomessa e maltrattata da ormai generazioni, millenni, fa parte della storia e della cultura, ma, concepiamo il fatto che, una donna felice nella storia io non l ho vista fin ora.
Quindi cari uomini fate i vostri conti e risarcite i vostri debiti.
Grazie.
Cordialmente
Una donna
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Voglio un aereoporto di farfalle gialle e viola
Un giardino fatato dove piangere in silenzio
Sento che non provo nulla e ho una paura boia
Voglio stare un po’ da sola ma da me non ho un aiuto
Non sono un terreno stabile per un giardino segreto
I miei segreti devo dirli al mondo che mi rassicuri
Sei normale figlia mia, non stai impazzendo
Hai solo bisogno di amore, hai solo bisogno di tempo...
Ho amato mio fratello da volerci far l’amore,
Le mani di mio padre da staccargliele dal braccio,
Il seno di mia madre da pretenderlo con forza,
Non ho avuto le cure che dovevo.
Dimenticata, per errore
Trascurata, per dolore
Maltrattata, egoismo
Diventata, Narciso
E sto implorando il mio corpo di reagire agli input
Perché a volte non ricorda come stare vivo
Non si riconosce se non lo faccio impazzire
Se non provo dolore
Sto implorando la gola mia di non arrendersi
Ai miei occhi di socchiudersi quando mi sveglio
Al mio sesso di rispondere quando lo sfiorano
Sono daltonica emotivamente
Ho uno spettro di emozioni più ridotto
Rispetto alla palette di riferimento
Sono solo rabbia paura e fomento
Sento l’amore del mio uomo solo se mi sventra
E lo voglio più profondo e forte o non lo sento
Caro mio sono abulica, sono un leone in fuga
Neanche la gabbia mi fa sentire al sicuro
E la mia rabbia frusta sulle serrature
Tu lo sai cosa vuol dire essere cattivi?
Vedere gli altri e soffocarsi per te e non sentirli?
Sentirti dire che ti amano ma non capirli?
Se non provo dolore
Chi non ti educa all’amore, amore, non ti ama
So che un giorno capirai quanto potrai amarti
Mi guarderai con tenerezza senza odiarmi più
MADAME - Se non provo dolore
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"It ends with us - Siamo noi a dire basta"
È tra le pellicole del momento. Storia di una giovane donna - Lilly Bloom - che fatica a relazionarsi con gli uomini perché dentro porta ancora i ricordi della violenza domestica esercitata sulla madre da un padre despota e facile all'ira.
Trasferitasi a Boston dal Maine per inseguire il suo sogno di sempre - l'apertura di un negozio di fiori - Lilly incontra Ryal, un giovane ed avvenente neurochirurgo. Anche se a fatica, se ne innamora ed accetta di sposarlo. Quando sembra che tutto vada per il meglio, il lato più oscuro di lui sale a galla e Lilly vive in prima persona la condizione di donna e moglie maltrattata e violentata dal proprio compagno.
Non aggiungo altri dettagli che arricchiscono la storia e le conferiscono anche un gusto romantico. Vi dico però che il titolo rispecchia in pieno quella che sarà la scelta finale di Lilly.
Scelta che, personalmente, io interpreto come un qualcosa che vada oltre il semplice rifiuto della violenza domestica. Scopo del film penso sia quello di educare al rifiuto di tutto ciò che fa male, che è tossico e non ci rende felici.
Consigliatissimo.
I. Golia
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Maltratta la madre per avere soldi: 27enne arrestato e portato in carcere
Maltratta la madre per avere soldi: 27enne arrestato e portato in carcere Chiedeva ripetutamente denaro alla madre e ad ogni rifiuto l'avrebbe maltrattata pesantemente.... #SiciliaTV #SiciliaTvNotiziario Read the full article
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Teresa Teja Sartoria: dentro c’è un mondo di storie e di stile
Lasciate che vi racconti una storia bellissima… No, il soggetto dell’appello non sono io, la sottoscritta che presta qui la penna, bensì la donna che è racchiusa nel nome col quale il marchio è stato battezzato. E con lei, come fosse un racconto corale, lasciate che a raccontarvi la storia sia il fondatore di questo che a chiamarlo ‘brand’ sarebbe assai riduttivo, perché bisogna davvero sconfinare oltre i limiti delle etichette per guadagnare tutto lo spazio d’intelletto e di gusto, di abilità ad operare secondo l’eccellenza manuale, e di passione profonda per lo stile squisitamente cucito indosso alla personalità, che dà forma e sostanza a questa realtà sartoriale.
Lasciate dunque che vi raccontino una storia, che a suo modo è anche una storia d’amore: sospesa al di là delle epoche storiche, delle generazioni culturali e dei capricci volubili e rapidi delle tendenze.
Questa, dunque è la storia di Teresa Teja Contessa Leopardi che, con la sua vita intensa, intrisa d’intelligenza cosmopolita e di gusto liberamente sofisticato, ha agguantato la curiosità altrettanto brillante e liberamente appassionata alla moda di Sirio Burini: colui che in lei ha trovato non solo un modello elegante d’ispirazione, ma anche la materia prima narrativa da tradurre in abiti e accessori davvero unici che compongono le collezioni di Teresa Teja Sartoria.
E se già vi steste chiedendo a quale stagione appartenga la collezione ritratta nelle immagini a corollario di questo racconto, il consiglio è di silenziare quell’abitudine a ricercare la norma della scansione stagionale, che in questa realtà non sussiste: perché ogni capo è un piccolo capolavoro di sartoria in grado di attraversare intatto il tempo, e di dialogare con scioltezza con i trend estetici del contemporaneo.
Or dunque, che mondo è quello di Teresa Teja Sartoria? Lo racconta la voce di Sirio Burini: “Teresa Teja Sartoria nasce nel 2014 quando per caso conosco l’esistenza di Teresa Teja: che è vissuta nella seconda metà dell’Ottocento a Recanati. Lei è piemontese, istitutrice di una famiglia nobile e facoltosissima che va a Recanati per passare le vacanze: qui Teresa conosce Carlo Leopardi, fratello del grande Giacomo, s’innamorano, si sposano e lei diventa naturalmente Teresa Teja Contessa Leopardi. Carlo, come regalo di nozze le fa costruire una villa: questa villa oggi ancora esiste, è stata maltrattata dal tempo e dai proprietari che si sono succeduti, ma il fascino è rimasto.
E io ho avuto la fortuna nel 2014 di abitarla, dove mi sono innamorato: ho letto scritti che parlavano di lei e cose che lei stessa scrisse in quanto donna cosmopolita, venuta dal Piemonte e vissuta in casa Savoia, dove la madre era dama di compagnia della Regina. Intanto, Paolina, la sorella Leopardi, “s’innamora” anche lei di Teresa e la rende tenutaria di tutto quello che era rimasto in casa Leopardi degli scritti inediti e dei manoscritti di Giacomo. La famiglia vive ciò come un affronto, perciò nascono delle combutte familiari, di cui Teresa si è sempre disinteressata: preferisce portare avanti la sua storia, dato che non si è mai sentita una ladra, ma semplicemente una che era diventata proprietaria di tutto quello che parlava di Giacomo Leopardi.
Teresa Teja è un personaggio interessantissimo per me perché assieme alla sua storia e all’intelligenza, aveva un grande gusto. Vestiva come la moda dell’epoca, sempre di nero, portava abiti austeri ma molto preziosi, fatti di broccati e pizzi, indossava perle e cristalli neri: mi ha così affascinato che ho deciso di prendere la sua storia e il suo modo di essere e di farla diventare un punto di riferimento per quel che poi è diventata la mia linea. Oggi i miei capi Teresa Teja raccontano e vogliono essere sempre legati a questo mondo: un Ottocento rivisto, un’aura retró che ispira abiti dal gusto anche anni ’20, a volte di gusto anni ’50, però sempre con delle caratteristiche peculiari, ovvero sobrietà di fondo, tessuti importanti, elementi decorativi che esistono, ci sono, ma non sono sfacciati, non si mettono in evidenza in maniera esaltante.”
Et voilà, eccolo il mondo sartoriale di Teresa Teja Sartoria: un condensato di dettagli intrecciati al pregio culturale e artigiano della storia, dove i tessuti non provengono dai negozi canonici, bensì dalla ricerca esplorativa in archivi e botteghe d’antiquari che possono svelare come un tendaggio antico possa poi divenire un meraviglioso capospalla moderno; dove i bottoni sono scovati in mercerie dismesse e si rivelano veri tesori testimoni di manifatture di epoche passate.
Guardate i capi ritratti nelle fotografie splendide (ad opera di Paolo Monina), una serie di abiti in tulle ricamati con saggezza, a volte a punto pieno a volte ad intaglio, a volte operati a mano a volte a macchina, tutti legati dal fil rouge degli anni ’20 e ’30: un momento storico che ispira sì la bellezza fluida, sciolta e intensa delle forme e dei decori, ma che infonde anche la morbidezza intrigante e potente di quando la donna si è liberata da costrizioni stilistiche e sociali.
Un racconto dei passi rigorosi di conquista della femminilità di cui ogni abito è un frammento: definito nella qualità eccellente della sartoria rigorosamente italiana, marchigiana ad esser precisi, eloquente nella dichiarazione d’intenti d’arte stilistica sempre rinnovata e riconfermata. Quella, cioè, di voler sempre cogliere e valorizzare la sensibilità d’apparenza e d’animo femminile nella sua costante evoluzione, e di restituirla ad un pubblico di donne senza età: bensì che ha il dono della volontà di possedere ed indossare capi che son come opere d’arte su misura della propria, unica, identità.
Silvia Scorcella
#Teresa Teja#alta sartoria#Made in Italy#modaecultura#Sirio Burini#storiedaindossare#fashionwriting#webelieveinstyle
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"Georgiana, la terra non è mai stata calpestata da un essere più sciocco e irragionevole di te. Non hai il diritto di stare al mondo, perché non fai un bel nulla della tua vita. Invece di vivere per te, in te e con te stessa, come vorrebbe la ragione, cerchi solo di aggrappare la tua debolezza alla forza di qualche altra persona. E non trovandosi nessuno disposto a caricarsi del fardello di quest'essere grasso, debole e inutile, ti lamenti che sei maltrattata, che sei trascurata, che ti senti infelice. Se la vita non è un susseguirsi di cambiamenti e di piaceri, per te il mondo è una prigione. Hai bisogno di essere ammirata, corteggiata, adulata... hai bisogno di musica, balli e società, se non vuoi languire e sentirti finita. Non hai il criterio di importi una regola che ti renda assolutamente indipendente. Prendi una giornata, dividila in parti; e a ciascuna parte assegna un compito. Non lasciare inoccupati neppure i quarti d'ora, i dieci minuti, i cinque minuti. Compi ogni cosa a suo tempo con metodo, con regolarità. Non ti accorgerai che il giorno è cominciato, che sarà già bello e finito. E non dovrai essere grata a nessuno, e non dovrai andare in cerca di compagnia, della conversazione, della simpatia di nessuno. Avrai vissuto, in poche parola, la vita di un essere indipendente. Ascolta questo consiglio: il primo e l'ultimo che ti offro, e non avrai più bisogno né di me né di nessun altro, qualunque cosa accada. Trascuralo, continua a vivere come hai fatto fin qui, lamentandoti e oziando, e pagherai il fio della tua stupidaggine, anche se triste e insopportabile. Ti parlo chiaro; e ascolta, perché, anche se non ti ripeterò una seconda volta quel che ho detto, non esiterò certo ad agire di conseguenza. Dopo la morte di mia madre, mi laverò le mani di te. Dal momento in cui la sua bara sarà posta nella cappella della chiesa di Gateshead, diventeremo delle estranee, come se non ci fossimo mai conosciute; che l'esser nate dagli stessi genitori, non ti dà nessun diritto su di me. Anzi ti dico che se tutta quanta la razza umana, eccetto noi due, fosse spazzata dalla faccia della terra e rimanessimo solo noi due, ti lascerei nel vecchio mondo e me ne andrei nel nuovo."
-Jane Eyre, Charlotte Bronte
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Una domenica - 25 giugno, al quanto insolita.
Risveglio lento, saranno state le 9.30 passate, aggiungendo la routine di controllo notizie, dal letto sarò uscito quasi alle 10.
Colazione: caffè e torta, oggi, come ieri in trasferta, quindi va così, in genere yogurtino caffè, e ansia.
Poi però quella sensazione di amaro in bocca, o come disse un fine utente di internet, I feel like having blue balls after the failed coup of yesterday.
Si perché mannaggia la mignotta, ieri era tutto surreale, un altro pelato, fuori di testa, russo, cattivo come il mal di pancia in un ascensore bloccato, sembrava potesse essere ciò che avrebbe riportato, il mai abbastanza compianto, spolverature di sedie di Servizio Pubblico, assieme al nostalgico di quando c’era lei, si i russi sono più romantici, e hanno una lei, non un lui: la madre patria tutta unita.
Ieri non avendo granché da fare, e folgorato dalla cronaca, continuavo a refreshare i tag #wagner , #russia e incrementare le fonti da seguire su mastodon, si con Twitter ho chiuso.
E cristo madonna, video di sti soldati che tra la gente si facevano strada con destinazione Mosca, poi il discorso alle 9 di Putin, difese assenti, arrivati nel primo pomeriggio sembrava solo questione di tempo, l’autostrada che veniva maltrattata dalle ruspe per rallentare l’avanzata, il sindaco di Mosca che prima dichiara che lunedì tutti in ferie, e poi addirittura lo stato d’emergenza con tutti chiusi in casa.
E poi, poi un cazzo, alle 19.30, a 200km da Mosca, la Mariya Delano scrive che il caro Luka ha trovato l’accordo con il pelato, o meglio, con entrambi i pelati, e non se ne fa nulla, per senso di responsabilità si ritirano.
Mo, delle considerazioni su come lo “zar” ne esca indebolito, il “re è nudo” e altre fregnacce mi stanno un po’ strette, si perché questo sono 20 anni che rompe il cazzo con le sue mini e macro invasioni, e per na volta che davvero sembra che debba tirare il calzino ci troviamo con il più grande nulla di fatto dei tempi recenti.
Ma scusa, ma come minimo, bombardate un palazzo della giustizia, anche evacuato, ma qualcosa va fatto. Cioè mo pure sti mercenari, fanno come Netflix che dicono che la stagione 2 non è stata rinnovata.
E quindi niente, #bringbackthecoup , invadi la Russia dalla Bielorussia, ma non possiamo rimanere così.
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oggi ho concluso le lezioni del primo anno di università. la prossima settimana comincia la sessione, e poi questa prima fetta di un lungo percorso sarà terminata. la mia prima lezione la ricordo ancora, era di storia del teatro, ero in auditorium seduta con carlotta, federica, andrew, anna, credo anche francesco. loro erano le persone della mia vita, e forse una parte del mio cuore le considererà sempre come tali. perché senza francesco non sarei mai salita su uno scooter, senza anna non avrei mai capito come ci si sente ad essere fondamentali nella vita di qualcuno, senza carlotta e andrew non mi sarei mai innamorata di milano. e federica era mia sorella. me lo disse qualche giorno prima della fine del mondo e me lo ricordo ancora come se fosse ieri. eravamo a casa sua, sedute per terra, sanremo in sottofondo e due bicchieri di vino rosso. le guance bordò e due sorrisoni. "tu sei mia sorella dile", poi scoppiai in lacrime abbracciandola. quando ho cominciato questo primo anno ero la persona più felice sulla faccia della terra. mai nella vita sono stata così serena e mai nella vita mi sono trovata così bene con delle persone. ero felice di essere una matricola, felice di vivere a milano, felice persino della mia casetta sgangherata, del mcdonald in duomo, felice di mangiare, di bere, di non truccarmi, di vestirmi carina, ero felice dei miei occhiali da sole e l'abruzzo non mi è mai mancato per mesi, nemmeno un po'. nemmeno mia madre, nemmeno il mio gatto o le mie amiche. avevo trovato la mia famiglia. e per un po', tutto è andato bene. poi è arrivata la fine del mondo. poi sì, mi sono comportata di merda ma sono stata tradita nel momento in cui più avevo bisogno di aiuto. mi hanno voltato le spalle tutti, dal primo all'ultimo, nella maniera più meschina che abbia mai visto in vita mia. poi, improvvisamente, ero da sola. io contro milano, sola, senza nessuno. e ho cominciato a bazzicare da un letto a un altro, a dare troppa importanza a chi mi considerava solo un passatempo, è arrivata la droga, il fumo, l'autolesionismo. tutto così in fretta che stento ancora a metabolizzare gli ultimi tre mesi. e anche dopo tempo, in cui ho cercato di trovare distrazioni nello studio, in qualche frequentazione sana, in nuove amiche, nel prendermi cura di me stessa, non sono mai veramente guarita. ogni giorno penso a quello che ho fatto e a quello che mi è stato fatto. ogni notte sogno qualcuno che mi chiede "e ti sei mai ripresa da quello che è successo con gli altri?" e io rispondo sempre "no, mai". perché perdendo loro ho perso la mia vita, ho perso mille opportunità, ho perso la mia salute, il mio equilibrio, ho letteralmente perso un pezzo del mio cuore. ho perso tutto in una notte e ne sto pagando le conseguenze da mesi. è la prima volta che riesco a scrivere di questo ma non ancora sono capace di farlo senza vagheggiare ed evitando di entrare nello specifico, ma sento di dovere delle scuse alla me di settembre che voleva ricominciare da capo per bene, e strabordava di gioia per la sua nuova vita. sento di averla delusa fino al midollo osseo, e se mai un giorno riuscissi a perdonare quello che ho fatto agli altri, mai perdonerò quello che ho fatto a me stessa, al mio corpo, a come ho buttato via tutto ciò che avevo e a come mi sono maltrattata per mesi. mai. perché ero piccola, ero spensierata, ero sulla cima del mondo. avevo un bel sorriso dritto, dei bei capelli lunghi, dei bei polsi puliti, dei begli occhi struccati. ero la persona più bella e felice del mondo e non meritavo tutto questo. oggi ho finito il primo anno e l'unica cosa a cui aspiro non è la felicità. sì, spero che un giorno tornando a milano io possa sentirmi di nuovo a casa. ma quello che spero di raggiungere più di tutto è il perdono. spero di riuscire a perdonare me stessa per tutto quello che ho combinato, e spero che il secondo anno possa guidarmi verso questa redenzione.
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Minore picchiata per relazione con ragazzo, genitori allontanati
(ANSA) – MILANO, 12 FEB – Tre famigliari di una ragazza di 16 anni di origine egiziana, picchiata e maltrattata perché si opponevano alla sua relazione con un ragazzo, sono stati raggiunti da un’ordinanza di custodia cautelare su richiesta della Procura di Milano ed eseguita dalla Polizia. Il fratello della vittima è ai domiciliari, mentre per il padre e la madre è stata disposta la misura del…
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Sono una vergogna...
Sono una vergogna per mia madre, la stessa che é stata maltrattata.
Io dovrei essere una stronza del cazzo ed odiare ogni singolo maschio sulla terra
E invece no, sono stata anch'io sottomessa.
Dovevo capire sin da quel giorno che hai giustificato mio padre per le sue azioni che dovevo mandarti a cagare.
Ma non ti preoccupare, sono felice che tu abbia fatto parte della mia vita,
Perché adesso sono quella che dovrei essere
Una che odia il mondo.
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Finalmente aspettavo solo questo
#ovviamente gianni si innamora della tipa maltrattata dal fidanzato esattamente come la madre oh don't let freud see this#mare fuotag
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Siracusa - Ristorante Macallè
Un amore in tre atti unici - Atto terzo
GIUGNO 2021 - CONOSCERSI
Per lei era stata, scusate l’espressione, una giornata di minchia. Al mattino nell’ufficio postale dove lavorava ecco che si presenta una che sembrava una “baraccota” una di quelle che vivono ancora nelle baracche di Messina, a cui la vita ha negato tutto e che affrontano ogni persona con le unghie pronte a graffiare e i denti abituati a strappare il cuore.
“Posso aiutarla?”
Aveva chiesto lei presentendo guai in arrivo
“Grazie no” rispose la belva guardando in cagnesco Concettina, la sua collega. Ti ho già detto nel racconto precedente che quest’ultima aveva una lista di spasimanti che occupava tutta la memoria del telefonino e che identificava i vari soggetti con nomi quali “Vittorio meno di 18” “Enrico più di 24” “Gianni quasi 30” dove il numero non era ovviamente legato all’età dell’individuo ma a particolari caratteristiche anatomiche prettamente maschili. Concettina, che grazie alle sue relazioni ed esperienza conosceva la vita e le figure umane che della vita sono il frutto o i relitti, non esitò e da dietro il bancone dei Pacchi e Raccomandate attaccò immediatamente
“Picchi lei i mia chi boli?”
“Io niente è lei chi non avi boliri nenti i me maritu”
“Mi su tinissi strittu e u sazziassi a so maritu e non vinissi chìù a sconcicari i personi pi beni”
“ A lei si a me maritu u sazziu o menu nun sunnu cosi ca ci ‘nteressanu! Lei pinsassi a fari chiddu chi ci veni megghiu fari stradi stradi e lassassi stari cu teni famigghia”
“È so maritu chi m’avi lassari in paci chi mu trovu sempri a rumpiri chiddu chi mancu iddu avi”
“ Nun mi pari chi nun navi vistu chi ci canusci boni i soi e chiddi i menzu paisi”
“ Cu canusciu o non canusciu, cu rispettu parrannu, su cazzi mei, mi pinsassi a so maritu chi chiuttostu i vidiri u so cuzzaru siccu si spariria, picchì cu jè vecchiu e laidu s’aviria mettiri u cori in paci! ”
A questo punto l’escalation di offese era ormai all’ultimo livello ed il rituale prevedeva che iniziasse la parte violenta dello scambio d’idee, così la parte offesa, cioè la moglie cornuta, partì alla carica per strappare gli occhi alla rivale. Per fortuna però, davanti allo sportello di Concettina vi era una fila di vecchi che dovevano ritirare la pensione; il gregge di capelli bianchi si frappose tra loro due cercando di calmare l’una e l’altra con la paura di perdere il posto in fila e ritardare così il prezioso pagamento della pensione e conseguente pagamento delle bollette arretrate. Lei aveva già chiamato i carabinieri e proprio in quel momento entrò l’appuntato Pino-25-con-gusto che incominciò ad urlare più delle due donne e si portò via la moglie tradita. Vi fu di nuovo calma e Concettina tornò a lavorare in silenzio ricevendo l’approvazione delle vecchie pensionate secondo cui la moglie doveva prendere a bastonate il marito traditore e non una brava ragazza come lei che dava la pensione anche in pezzi da 20 o da 10. Più tardi Simone-non-ne-vale-la-pena prese il posto di Concettina e quest’ultima se ne andò nello sgabuzzino sul retro dell’ufficio a fumare. Lei la raggiunse dopo qualche minuto e vide la sua gran massa di capelli ricci in un angolo, quasi nascosta che fumava guardando per terra.
Tra loro due vi era una forte complicità fin da quando si erano incontrate. Concettina sapeva della violenza che aveva subito da giovane e la rendeva complice di tutte le sue storie in cui trattava gli uomini come giocattoli, forse pensando che questo suo modo di disprezzare gli uomini usandoli, potesse darle un qualche vendicativo piacere.
“tutto bene?”
Le chiese preoccupata.
Concettina sollevò la testa e vedendola sorrise.
“Mariì Tutto bene, non ti preoccupare. Era una scena che quella doveva fare per rispetto a sé stessa.”
Lei la guardò preoccupata.
“Scusa se faccio la mamma, ma non è meglio se lasci stare questa tua collezione di maschietti in calore e ti trovi qualcuno che ti voglia bene veramente?”
Diventò seria
“Mariì, lo so che lo dici perché mi vuoi bene, ma per me va bene cosi”
“Ma alla fine sei sempre sola, nessuno ti dura più di tanto”
Alzo le spalle
“Tutti muoiono soli, nessuno prende mai la tua croce e ne divide il peso – disse di un fiato facendo oscillare i suoi riccioli - l’amore poi è solo un attimo e il sesso è l’unico modo per illudersi che esista qualcosa che ci unisca a qualcuno – restò in silenzio qualche secondo - Gli uomini poi sono i fratelli di Giuda e di San Pietro, tradire per loro è motivo di vanto, perché dovrei fare la santa se chi mi ama pensa solo a se stesso? Io sono così e resterò così: non farò la fine di mia madre maltrattata da suo marito e sfruttata dai suoi figli. Io credo solo all’inferno in cui sono cresciuta, tra botte e litigi e come vita familiare mi è bastata quella – tirò una boccata di fumo che fece uscire lentamente dalle labbra – Allora ero piccola, pensavo che i miei avessero sempre ragione ed avevo paura di tutto. Ora però non ho più paura di niente, faccio quello che voglio e ho capito che sfruttare la mia libertà, è l’unico modo che ho per esistere!”
Simone-non-ne-vale-la-pena apparve sulla porta dicendo che c’era l’appuntato Pino-25-con-gusto che voleva parlare con Concetta. Quest’ultima, buttò subito la sigaretta e si passò il lucidalabbra, che portava nei jeans aderentissimi, mostrando il suo sorriso più seducente. Mariì se ne tornò nel suo ufficetto concentrandosi sulla chiusura di fine mese per non pensare alle parole di Concetta, ed evitando di chiedersi se il suo Giuseppe fosse anche lui fratello di Giuda. Chiuso l’ufficio aveva diverse cose da fare, dall’andare dall’estetista che finalmente riapriva a passare dalla sarta e quindi dal centro commerciale anche lui riaperto di sabato dopo mesi di chiusura per covid. Finalmente si diresse verso il ristorante di Giuseppe che riapriva dopo la triste lunga serrata a causa del virus. Giuseppe aveva aumentato i tavoli fuori dal ristorante ma lei riconobbe subito il suo che aveva nel mezzo, in un piccolo vaso di cristallo, una rosa appena sbocciata. Andò a prendere possesso del suo posto da cui poteva osservare tutti gli altri tavoli, ed aspettò Giuseppe. Arrivò invece il nipote che era il secondo cameriere. La salutò contento e le riempi il bicchiere con in prosecco dell’Etna. Le disse che lo zio era occupato e scomparve a prendere un’ordinazione. Mentre beveva il prosecco vide Giuseppe aggirarsi tra i tavoli poi fermarsi a quello dove era seduta una bionda e mettersi a scherzare con lei mentre le versava l’acqua. Mariì sentì come una fitta nell’anima e l’osservò cercare di essere divertente, sorridere, parlare, cosi come aveva fatto con lei quando l’aveva conosciuto. Aveva ragione Concetta? Era un altro fratello di Giuda? La bionda lo ascoltava quasi indifferente e lui per reazione, cercava invece di interessarla, di farla ridere, perché una donna che ride è sempre più vulnerabile. Osservò la ragazza e la trovò giovane e carina, mentre lei era pure più vecchia di lui. Che futuro avrebbero avuto loro due? In aggiunta, il suo corpo, devastato dalle cicatrici, non sarebbe invecchiato ancora più velocemente? Non si sarebbe stancato di lei prima del dovuto? E se è vero quello che diceva Concetta, che l’amore dura finché dura il sesso, quanti anni avevano davanti a loro? Cinque? Otto? Dieci? E poi? Sarebbe andata anche lei a litigare con l’amante di allora? Era meglio fare come Concetta, vivendo alla giornata, del poco e subito? Ma Mariì dentro di se si diceva che lui non era così come stava vedendo e immaginando ! O forse non lo conosceva veramente perché nessun traditore si palesa per tale! Stava cadendo nella paranoia assoluta. Non sapeva se dovesse andare a prendere a sberle la bionda o prendersi la bottiglia di prosecco e andarsene a casa a piangere sul letto. Se lo ritrovò davanti con un piatto di antipasti misti
“Ciao amore come è andata oggi”
Le chiese tutto serio
“Ah – disse piccata – ti sei finalmente ricordato di me, quale onore…”
E lo guardò severa.
Giuseppe fece finta di niente e si giro a guardare la bionda che osservava fisso il bicchiere vuoto.
“È mia cugina Anto – fece sottovoce – il suo zito l’ha lasciata ieri con un SMS mentre lo aspettava a casa dei suoi per presentarglielo. Non ti dico come si sente…. È apparsa qui e non ha detto una parola. Io lo so che soffre…. Ma cosa le posso dire? Ho impiegato anni a superare quando quell’altra mi ha lasciato e ho trovato pace solo ora con te! Cosa le posso dire per tirarla su? La vita è questa? Pensa alla salute? Qualcuno prima poi lo trovi? A me queste cose mi snervano: vedi qualcuno che annega e non sai come salvarlo”
Lo guardò. Era veramente seccato. Lui per gli altri avrebbe dato l’anima ma quando si trattava di sentimenti si muoveva come un bradipo. Giuseppe Lasciò gli antipasti poi mise a posto il cestino del pane e la bottiglia d’acqua e lei capì che era turbato, che voleva stare con lei perché in lei trovava la sicurezza che gli serviva. Poi qualcuno lo chiamò e lui senza dire o fare scomparve. Lei mangiò lentamente pensando a lui, a come si era comportato e a quello che aveva fatto. Bevve un sorso e guardò la ragazza che fissava il nulla facendo palline di mollica di pane. Ebbe come un flashback e si ricordò che mentre i demoni la usavano sul velluto sporco e attaccaticcio del treno regionale in cui erano, qualcuno aveva aperto la porta che divideva le due carrozze, forse aveva visto, aveva capito, aveva sentito i mugolii con cui gridava aiuto, poi aveva richiuso velocemente la porta ed era scomparso. Non era questo quello che facevano in tanti? Voltarsi dall’altra parte, per non vedere, per non sentire, per stare tranquilli. Forse se qualcuno allora fosse intervenuto prendendo a moffe (sberle) quei tre, la sua vita sarebbe stata completamente diversa. Ripensò alla porta dello scompartimento che si chiudeva mentre diventava tutto buio.
Si alzò con il bicchiere in mano e si diresse verso la bionda. Fece due passi, si fermò e tornò indietro, prese la rosa e andò spedita verso il tavolo di Antonella dove si sedette di fronte a lei che la guardò meravigliata.
“Ciao sono la zita di Giuseppe, tu sei sua cugina Antonella non è vero?”
E dopo aver posato la rosa vicino a lei, allungò la mano per salutarla. Lei la guardò stupita e disorientata, guardandosi intorno per vedere se c’era suo cugino che potesse confermare quell’inaspettata intrusione. Alla fine, allungò la mano e strinse quella che era rimasta ferma e decisa ad aspettare il suo benvenuto.
A Mariì venne il panico? Che cosa aveva fatto? Perché era li?
La porta dello scompartimento si stava chiudendo….
“Non sono il tipo che si fa i fatti degli altri, ma ho capito che stai soffrendo. Una volta ho visto un cane investito per strada e un suo compagno correre tra le macchine e sdraiarsi su di lui per proteggerlo finché qualcuno non fermò la macchina e si occupò del suo compagno ferito. Allora mi sono detta che nessun uomo l’avrebbe fatto. Che a veder qualcuno per strada prima di andare ad aiutarlo si guarda il sesso, il colore, i vestiti, quanti followers ha e poi forse si decide…”
Antonella sorrise
“Per questo sono qui perché se un uomo vede soffrire una donna o scappa, o ne gode o fa finta di niente o resta disorientato e imponente. Giuseppe fa così perché il dolore degli altri lo sente suo e ne rimane prigioniero. È così che mi ha amato ed è per questo che lo amo. Lui, in questo momento non sa cosa dire perché sente che stai soffrendo e la cosa lo disorienta – osservò Giuseppe arrivare al tavolo dove era prima con un piatto di calamari ai ferri, guardò stupito la sedia vuota e si mise a cercarla nei tavoli intorno. Lei alzò una mano per dirgli dov’era e lui si avvio verso di loro sconcertato – Per questo sono venuta. Non perché sono un’esperta di problemi sentimentali ma perché ho sofferto e so cosa vuol dire soffrire da soli. Vivere con dentro l’anima un fuoco che nessuno vede ma che lentamente ti consuma”
Bevve un sorso sorpresa del discorso che aveva fatto. Sorrise a Giuseppe che arrivato al tavolo la guardava stupito
“Amore mi porti anche il vino? Io e Antonella stiamo facendo conoscenza”
Gli disse sorridendo. Lui la guardò e poi osservò lo sguardo incerto di sua cugina
“ Si vado… vado - disse alla fine , poi si voltò verso la cugina – è la mia zita: è una che parla poco ma dice le cose giuste! ”
e si allontanò felice di non dover affrontare il dolore di Antonella.
“Lo vedi… lui capisce quanto soffri e la cosa gli fa male perché ti vuole felice. Ecco, a me è capitato di soffrire moltissimo, di provare vergogna per quello che sentivo. Ma il dolore non è mai una fine, il permanere di una punizione immeritata, ma è uno stimolo, è un principio e l’ho capito quando Giuseppe mi ha chiesto di parlarne. Io gli ho raccontato tutto! Proprio tutto e nel dire, nel mettere una dietro l’altra tutte le lacrime che ho avuto ho capito il mio dolore, ho incominciato a fare due più due e ad avere la somma della mia vita, capire quello che ha senso e quello che era il riflesso di quanto avevo avuto e che non era vita, perché la vita è uno scorrere un continuo fluire cambiando giorno dopo giorno: fermarsi in una situazione passata, in un ricordo, non è vivere. Penso che se ti và, puoi fare lo stesso: rivedere quello che è successo insieme a qualcuno che non ti giudica ma semplicemente ti ascolta e che se può, ti consiglia.”
Antonella guardò davanti a sé il cimitero di palline di mollica che aveva fatto.
“Non c’è nulla da dire. Da che c’era a che non c’è più, senza un perché, una ragione… “
e continuò così a dire a descrivere, a parlare e ogni volta che si fermava, Mariì chiedeva, commentava, spiegava e Antonella riprendeva a fare lo stesso racconto in modo diverso. Giuseppe le osservava parlare in modo fitto e ogni tanto si avvicinava e portava la frutta, un dolcetto, il limoncello, i biscotti, un cioccolatino e loro ancora a parlare a dire ora quasi piangendo ora invece ridendo ora tutte serie, ora una stupita e incredula e l’altra che parlava con fare convincente. Giuseppe vide il ristorante svuotarsi ed incominciò a portare dentro tavoli e sedie, ma loro due restavano a parlarsi come se il tempo non passasse. Alla fine disse loro che per il coprifuoco dovevano andare e Mariì propose di accompagnare Antonella a casa e tutti e tre si avviarono verso la casa della cugina, le due donne avanti a parlare e lui dietro come un cane senza un padrone. Lasciata la cugina, Mariì si strinse a lui e camminarono in silenzio per qualche minuto.
“Allora tutto bene?”
Chiese lui per capire come era andata con la cugina
“Questa mattina avevo la sensazione che l’amore non poteva esistere. Ad inizio serata ne ero convinta. Poi però ho capito che non è così. Se non esiste perché ti fa soffrire? Perché ti fa morire e rinascere? E che cos’è alla fine l’amore?”
Restò in silenzio guardando il selciato
“e sei riuscita a darti una risposta?”
Lei sorrise, si fermò e lo baciò
“Si, l’ho capito con Antonella. L’amore è il domani, l’attesa del nuovo giorno che mi porterà a te. Il passato, il presente, sono la vita subita, la vita che scorre spesso travolgendoti e distruggendoti, ma l’amore è la certezza che domani troverai pace, avrai qualcuno che non scomparirà appena ti volti, dimenticherai il dolore di oggi, potrai creare, dare e avere felicità. Il sesso è adesso, un istante che viviamo e muore lasciandoci felici ma vuoti. Ma tutti abbiamo bisogno di un domani per continuare a vivere ed è questo che l’amore ci dona: sapere che ci sarà in altro domani in cui saremo felici come oggi. È l’assenza di questa certezza che ci umilia e ci fa morire.”
Lui la guardò tutto serio.
“avevo ragione a dire ad Anto che parli poco ma che dici le cose giuste…”
Ripresero a camminare verso il loro domani.
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