#ma sul serio non faccio niente per sei mesi
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elipsi · 3 months ago
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secondo giorno di lezioni e sono un po' allibita dalla qualità delle lezioni
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tempestainmare · 1 year ago
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Capo Vaticano
03.07.23.20
Sale time...
Capirai, Silicon Valley risponde. "Non compriamo in tempi di NATALE figuriamoci nel SUMMERTIME".
Lido Capri e chiacchiere sotto l'ombrellone. "Ci siamo conosciuti tra i banchi di scuola, avevamo appena 8 anni a testa... ognuno la sua strada e la notte di Capodanno ci siamo rivisti, uno sguardo, un bacio appassionato e WEDDING PARTY fu". A che età si smette di essere figli e si diventa #humankind?
La Signora Pina, la mia vicina di casa, ha un figlio che vive all'estero ormai da sei anni. Dottorato a Oxford e premio per la fisica in nove Stati. Chi se la scorda quella sua specialità. L'anno in cui ha detto "mamma ho una fidanzata". Il peccato e la vergogna. Mia nonna, vi ho mai parlato della sua ossessione per le fiction? Soap Opera, sorelle di Manuela, amiche di Valentina, il decimo nono marito di Stefania e...
Fatto è: NULLA.
L'AMORE è anche questo, a casa con i tuoi. Nella testa con chi vuoi.
E se scopri che abiti a Giugliano e hai la residenza a Pordenone? Di dove sei? Lavoro. Cosa fai nella vita? Roma.
Cara Maga Matilda sei mitica,
ho fatto il botto. Vivo una vita altra e poi ancora e ancora OLTRE. Mamma e babbo finanziano le mie spese dalla nascita nonostante il posto fisso ad Oxford Upon. Come fare? Ti spiego. Mamma lo sa che faccio la ricotta, babbo mio pure. Mi leggono everyday. Social Addiction.erg every moment act. Scrivo scendo e sono a casa. Non mi dicono niente proprio e non sono del sud. Come fare?
Elena, sei un po' confusa o non sai come fare una cosa che fai? Cosa ti serve realmente? Un telefilm, uno serio però. Nessuno ti toccherà mai, tantomeno il Regno di Svetonia, finirà. Sei capace nelle tue capacità a scrivere cosa necessiti?
Lei, quella verità che non sono io e sono non io in quella casa sul lago e mai vista mare ma solo alba locale... NULLA.
L'AMORE è anche questo, una tazzina di caffè e un fenicottero rosa.
Non comprendo tutta quest'ammorbamento. Mai visto tanto OLTRE e tanta lagna. Elena siamo in estate, tempo di relax, mare, uscite serali. Tempo di BELLEZZA ASSOLUTA. Tu pensi realmente che gente come me stia a piangere con te la tua sorte avversa? Eppure la casa al mare con piscina extra lusso... mi hai mai invitata?
Quelle come te sono qualcosa di talmente luccicante che neanche l'occhiale NERO TOTAL riuscirebbe a distogliere l'attenzione. Mai inosservata, vacanza da sogno, spa extra lusso, famiglia allargata, villa, casa al mare, casa in montagna, la REGINA delle QUEEN.
Cura il tuo aspetto fisico, riempi la casa di... TE.
Asia scrive: sto pulendo casa da stamattina. Primo giorno di vacanza e pulizie generali. Rientro a scuola a settembre e mi godo la mia famiglia. Sono rientrata a casa dai miei ed è sempre come avere 14 anni. Buone vacanze a tutti voi.
Silvana scrive: Due mesi di meritate vacanze per me che lavoro poco e niente. Soliti amici e... USCITE SERALI.
L'AMORE è anche questo, se bella vuoi apparire MOLTO MOLTO devi soffrire.
Come si fa ad essere femmina e ad avere una repulsione tale alla cura della propria persona? SI FA.
Che poi, stiamo insieme da sempre. Ci siamo conosciuti su una chat di meeting e facciamo coppia fissa sui social.
"Cosi deve essere. Specchio delle mie brame. A me tutto e a te solo la malattia. Io sono GRIMILDE".
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Alle persone più importanti della mia vita, io ho associato una canzone. Non sempre gliel’ho detto, non sempre gliel’ho dedicata davvero. Alle volte è solo un ritornello che avevo in testa in un momento condiviso. Il mio migliore amico, ad esempio, per me è Those nights degli Skillet; mio fratello True love di P!nk. Beh ecco, tu non lo sai, ma per te io ho fatto una playlist intera. Ho ritrovato te, noi in troppe canzoni. Non me ne sono neppure accorta, l’ho fatta inconsciamente; senza cercarle, senza sforzarmi. Dapprima erano solamente due (Superclassico e Ferma a guardare), che ho ascoltato a ripetizione per settimane; poi se ne sono aggiunte altre, nuove, che volevo sentire subito dopo quelle. Così, in un battito di ciglia, si è creata una vera e propria raccolta.  E sai, non sono canzoni inglesi, nonostante io ami i testi stranieri, ne cerchi il significato quando mi sfugge e poi le impari a memoria per saperle cantare correttamente. Sono tutte canzoni italiane; di nuovo, è stato probabilmente il mio subconscio ad agire per me, pensando che avresti colto la bellezza e i riferimenti di quei testi solo se li avessi compresi. E visto che tanto non avrò mai modo di dedicartele, ascoltarle con te sottolineando una frase particolare o cantarle assieme, ho deciso che raccoglierò qui le strofe più belle. Ma anche quelle che sono un pugno nello stomaco ogni volta.
Superclassico, Ernia “Ora che fai? Mi hai fregato, così non si era mai sentito. Io dentro la mia testa non ti ho mai invitata. Vorrei scappare che sei bella incasinata... Ma poi ti metti sopra me e mi metti giù di forza, Sembra che balli ad occhi chiusi, sì, sotto alla pioggia. Poi stai zitta improvvisamente... Ti chiedo, «Che ti prende?» Tu mi rispondi, «Niente» Dio, che fastidio.”
Ferma a guardare, Ernia ft. Pinguini Tattici Nucleari “Poi lo facevamo forte, in piedi sulle porte Dici: «Non ti fermare» Però io guardo le altre E so che d'altra parte Non lo puoi perdonare. Sotto il tuo portone tu m'hai chiesto se ci sto A salire ed era solo il primo appuntamento. Nello stesso punto dopo mesi io ti do Dispiaceri e tu mi stai mandando via dicendo «Non mi fare mai più del male. Ora non voglio più parlare Perché non so restare Ferma a guardare Te che scendi giù dalle scale e te ne vai»”
Pastello bianco, Pinguini Tattici Nucleari “Ti chiedo come stai e non me lo dirai, Io con la Coca-Cola, tu con la tisana thai Perché un addio suona troppo serio E allora ti dirò bye bye. Seduti dentro un bar poi si litigherà Per ogni cosa, pure per il conto da pagare. Lo sai mi mancherà, na-na-na-na.”
Ridere, Pinguini Tattici Nucleari “E non ho voglia di cambiarmi, Uscire a socializzare... Questa stasera voglio essere una nave in fondo al mare. Sei stata come Tiger: Non mi mancava niente E poi dentro m'hai distrutto Perché mi sono accorto che mi mancava tutto. Però tu fammi una promessa Che un giorno quando sarai persa Ripenserai ogni tanto a cosa siamo stati noi.”
Nonono, Pinguini Tattici Nucleari “E spettinata resti qua Perché la più grande libertà È quella che ti tiene in catene. I pugni in faccia che mi dai Li conservo nell'anima Accanto a tutti i "ti voglio bene". Ieri mi sono svegliato (no, no, no) Erano circa le tre. Quando il telefono non ha squillato, Io l'ho capito che eri te. Hai detto: «Impara a vivere da solo» (No, no, no) Ma solo ci sapevo stare. La mia solitudine era un mondo magico Che io ti volevo mostrare.”
L’odore del sesso, Ligabue “Si fa presto a cantare che il tempo sistema le cose, Si fa un po' meno presto a convincersi che sia così. Io non so se è proprio amore Faccio ancora confusione. So che sei la più brava a non andarsene via. Forse ti ricordi... ero roba tua. Non va più via L'odore del sesso, che hai addosso. Si attacca qui All'amore che posso, che io posso... E ci siamo mischiati la pelle, le anime e le ossa Ed appena finito ognuno ha ripreso le sue. Tu che dentro sei perfetta Mentre io mi vado stretto. Tu che sei la più brava a rimanere, Maria, Forse ti ricordi, sono roba tua.”
Andrà tutto bene, 883 “Io e te chi l'avrebbe mai detto. Io che avevo giurato che non avrei fatto Mai più il mio errore di prendere e via Buttarmi subito a capofitto In un'altra storia impazzire per la gloria, Io no. Mi spiace ho già dato E l'ho pagato. Però sta di fatto che adesso son seduto con te In un'auto a dirti all'orecchio che Andrà tutto bene non può succedere Niente di male mai a due come noi.”
Ad occhi chiusi, Marco Mengoni “Da quando ci sei tu Non sento neanche i piccoli dolori. Ed oggi non penso più A quanto ho camminato per trovarti. Resto solo adesso, mentre sorridi e te ne vai Quanta forza che mi hai dato non lo sai e spiegarlo non è facile. Anche se non puoi tu sorridimi; Sono pochi, sai, i miracoli Riconoscerei le tue mani in un istante. Ti vedo ad occhi chiusi e sai perché Fra miliardi di persone ad occhi chiusi hai scelto me.” Sai che, Marco Mengoni “Eravamo davvero felici con poco, Non aveva importanza né come né il luogo. Senza fare i giganti E giurarsi per sempre... Ma in un modo o in un altro Sperarlo nel mentre.” Sembro matto, Max Pezzali “Il tempo si ferma quando siamo assieme Perché è con te che io mi sento bene. Voglio quei pomeriggi sul divano In cui mi stringevi e respiravi piano. Ho perso te e la mia armatura di vibranio. Sembro strano... Sembro matto, matto. Come un tornado hai scompigliato tutto, Mentre dormivo lì tranquillo a letto Hai fatto il botto, dopo l'impatto.” La paura che, Tiziano Ferro “La lacerante distanza Tra fiducia e illudersi È una porta aperta E una che non sa chiudersi. E sbaglierà le parole Ma ti dirà ciò che vuole. C'è differenza tra amare Ed ogni sua dipendenza. "Ti chiamo se posso" O "Non riesco a stare senza". Soffrendo di un amore raro Che più lo vivo e meno imparo. Ricorderò la paura che Che bagnava i miei occhi Ma dimenticarti non era possibile e Ricorderai la paura che Ho sperato provassi, provandola io Che tutto veloce nasca e veloce finisca.”
Vivendo adesso, Francesco Renga “A te che cerchi di capire E che provi a respirare aria nuova. E non sai bene dove sei. E non ti importa anche se in fondo lo sai che ti manca qualcosa. Amami ora come mai, Tanto non lo dirai. È un segreto tra di noi. Tu ed io in questa stanza d'albergo A dirci che stiamo solo vivendo adesso.”
Duemila volte, Marco Mengoni “Vorrei provare a disegnare la tua faccia Ma è come togliere una spada da una roccia. Vorrei provare ad abitare nei tuoi occhi Per poi sognare finchè siamo stanchi. Vorrei trovare l'alba dentro questo letto, Quando torniamo alle sei, mi guardi e mi dici che Vuoi un'altra sigaretta, una vita perfetta Che vuoi la mia maglietta. Che vuoi la mia maglietta. Ho bisogno di perderti, per venirti a cercare Altre duemila volte, Anche se ora sei distante. Ho bisogno di perdonarti, per poterti toccare Anche una sola notte.”
Ma stasera, Marco Mengoni “Senza di te nei locali la notte io non mi diverto. A casa c'è sempre un sacco di gente ma sembra un deserto. Tu ci hai provato a cercarmi persino negli occhi di un altro, Ma resti qui con me.”
Dove si vola, Marco Mengoni “Cosa mi aspetto da te? Cosa ti aspetti da me? Cosa sarà ora di noi? Cosa faremo domani? Potremmo andarcene via, dimenticarci Oppure giocarci il cuore, rischiare. Fammi respirare ancora, Portami dove si vola, Dove non si cade mai. Lasciami lo spazio e il tempo E cerca di capirmi dentro. Dimmi ogni momento che ci sei. Che ci sei, che ci sei.”
Venere e Marte, Marco Mengoni “Certe storie brilleranno sempre ed altre le dimenticherai. Ci sono cose che una volta che le hai perse poi non tornano mai. E se già ti dico porta le tue cose da me Non dirmi è troppo presto perché Io ti prometto che staremo insieme, senza cadere, E ogni mio giorno ti appartiene. Ti prometto che inganneremo anche gli anni Come polvere di stelle filanti. E sarà scritto in ogni testo Che niente può cambiare tutto questo. Incancellabile... ogni volta che mi guardi. Posso farti mille promesse o ingoiarle come compresse E mandare giù queste parole senza neanche sentirne il sapore. Questo mondo da soli non è un granché; sì ma neanche in due. Però con te è un po' meno buio anche quando il cielo è coperto di nuvole. E aspettavi smettesse di piovere, ma sei rimasta tutto il giorno, Io speravo piovesse più forte perché è bello riaverti qui intorno. Certe storie diventano polvere, non ti resta nemmeno un ricordo. Altre invece nonostante il tempo ti restano addosso.”
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Ciao mamma, vorrei dirti davvero tante cose ma come al solito non so da dove iniziare, né ora, né in generale nella vita.
La certezza è però che la leggerò tante di quelle volte e cambierò tante di quelle cose che poi te la manderò totalmente diversa da come l’avevo iniziata.
Mi sono svegliata con un senso di vuoto, di insoddisfazione che sinceramente non volevo più sentire e ho deciso di iniziare da capo, tutto; ed eccomi qui, a Londra, a scrivere un nuovo capitolo, partendo da zero, forse breve, forse lungo, chissà.
Comprendo che tu non capisca, perché nemmeno io troppo bene, però so io quello che sento e so che se mi sono spinta a partire è perché forse evadere da tutto era quello di cui avevo realmente bisogno, non si sa per quanto, Dio sa cosa mi riserva e non penso di meritare male.
Sai pensavo che finito il liceo mi sarei sentita soddisfatta di aver raggiunto il traguardo che ho aspettato per 5 anni e poi sarei stata più invogliata di andare avanti, ma non é stato così purtroppo, perché gli ultimi mesi mi sono accorta che quel diploma per me non avrebbe avuto un vero valore perché non era frutto del mio totale impegno, avrei potuto fare di meglio e invece no e a me le cose a metà non piacciono proprio, davvero mamma, sono sincera.
Poi boh non so cos’è successo nel dopo, so solo che mi sono proprio persa, ho perso di vista gli obbiettivi, i miei principi, la mia famiglia, un po’ tutta me in generale e in compenso non so cosa ho trovato, non posso dire niente, in ogni caso, nonostante tutto, giuro, non cancellerei assolutamente nulla, perché ho la forte convinzione che gli errori siano le fondamenta del futuro che si crea in seguito.
Non sono mai riuscita a chiederti scusa davvero per quest’anno che ti ho fatto passare, la verità è che si chiede scusa per qualcosa che si fa consapevolmente e fa doppiamente male il fatto che in realtà non mi accorgessi di come mi comportavo e questo per me annulla ogni tipo di scusa.
Scusami mamma per tutto, per aver deluso le tue aspettative, per essere stata un pessimo esempio per i miei fratelli, per averti dato mille pesi in più invece di alleviarli, essendo la maggiore sarei dovuta essere un appoggio.
La verità é che ti devo tutto, ma proprio tutto e non sono stata capace di darti niente.
Scusami davvero se pensi sia stata egoista, in realtà odio esserlo, ma il mio non star bene influenzava tutto quello che avevo intorno e non ne potevo più.
Scusami se nell’ultimo anno mi sono chiusa così tanto con te e se ancora in questo periodo sono rimasta così, ho la convinzione che se ti avessi parlato sarebbe stato più facile, la verità è che non mi riesce parlare, faccio un sacco fatica è come se non volessi più parlare per non pensare, non parlo nemmeno con me stessa, cioè evitavo.
Era un periodo mamma, in cui non mi andava di aprirmi, perché parlare non aiutava, ascoltare quello che aveva da dirmi una persona esterna era solo la conferma che le cose andassero male e non volevo accettarlo.
Scusa se ho scelto un po’ così, un po’ di fretta, un po’ di nascosto, un po’ senza pensare troppo bene, anche se in realtà ci ho pensato molto, e come un po’ sempre, come a te non piace, mi sono lasciata portare da quello che sentivo, dall’istinto, poi ci ho messo la testa però, giuro.
Però se c’è qualcosa che so e che mi porto dietro, anche se forse non è positivo, è che la fiducia l’ho persa, le promesse non vengono mantenute ed è un dato di fatto, perché ormai le persone non danno più importanza alle parole e lo dico in generale per tutti, io compresa. Nessuno si sente realmente in compromesso con quello che dice, proprio per questo motivo non vi è una connessione e tra parole e fatti. Me ne sono andata un po’ con questa convinzione, che per me è davvero toccante, davvero orribile, siccome sono sempre stati i valori che mi sono stati trasmessi e a cui davo importanza, forse esagerata, la fiducia e le promesse. Spero che qui, qualcosa o qualcuno mi faccia cambiare idea.
Ammetto che avrei di gran lunga preferito che mi accompagnassi nella mia scelta e averti potuto chiamare e raccontare tutto; forse avevo un po’ la sciocca convinzione che la distanza avrebbe rafforzato il nostro rapporto, invece il contrario, ma non ti biasimo, capisco il tuo dolore e ti chiedo scusa per essere così testarda.
In questo momento sono sotto casa (e ti penso, come tutti i giorni da quando sono arrivata) che dire qui c’è una vista pazzesca, sono seduta su un muretto che si affaccia al Tamigi con il computer da cui scrivo e all’orizzonte ci sono tutti i palazzi ed è tutto illuminato come nei film, di sottofondo le onde che tornano sulla sponda.
Questo posto mi trasmette serenità, nostalgia di voi, riflessione; tutto insieme, mi piace.
Parlando di adesso e tralasciando il resto, la mia paura, era il fatto che non cambiasse nulla, ma in realtà non dico che sono arrivata e sono diventata felice, però mi sento finalmente abbastanza serena, io sto meglio, mi sento come se tutto quello che mi dava fastidio quello che mi trasmetteva energia negativa fosse rimasto lì e io qui. Perché realmente sto bene qui lontano da tutti, proprio tutti, tranne voi che mi mancate tantissimo, ma sono sicura che mi servirà anche a guarire tutta la rabbia repressa che avevo senza motivo nei vostri confronti, senza motivo davvero.
Sai non è così facile, perché anche se ho detto che avrei iniziato da zero, il passato segna sempre almeno un po’, in quello che sono, in quello che penso, in quello che faccio e in quello che dico. Questo non mi piace mamma, a volte sono cattiva con le parole e ti prometto, ma soprattutto a me, che lo cambierò.
Mi manchi tantissimo, è tutto diverso senza te, senza qualcuno che ti ama e si preoccupa a che ora torni, dove sei, se hai mangiato, se ti hanno trattata bene, cose che sinceramente quando hai le dai per scontate ma quando non ci sono più queste attenzioni, fa la differenza; anche se sono solo due settimane so che é solo l’inizio e che ci devo fare l’abitudine.
Scusa se non ti ho chiamata, ma oltre al fatto che non penso tu abbia molta voglia di parlare con me, io non ho niente di bello da raccontarti che possa farti sentire felice, se non che sono serena e che non sono sola.
Voglio che tu sappia che nonostante io sappia badare a me stessa, in caso questo non ti facesse sentire abbastanza sicura voglio che tu sappia, che la persona che è con me, ci tiene davvero e ha cura di me sul serio.
Non sono brava a scrivere, perché effettivamente non ha un ordine logico tutto quello che ho scritto, ma è quello che penso e non so come metterlo in ordine.
Voglio ripeterti anche se te l’ho scritto in forse ogni lettera o messaggio, che sei la persona più importante della mia vita, mamma, tu hai reso la mia vita migliore, sei il mondo per me. Voglio che tu sappia che sei la persona che più amo, che mi sento realmente me senza essere giudicata solo con te, unica per me, inimitabile, che nell’ultimo periodo chiunque era scomodo e sentivo il bisogno di tornare a casa; e casa non è a Voltorre, casa, mamma, è ovunque tu sia, anche se non lo dimostravo per niente perché una volta a casa poi non andava più bene nemmeno lì.
Ma in ogni caso, tu sai meglio di me, che, nei peggiori momenti, le tue braccia sono quelle a cui farò sempre ritorno, perché sono casa.
Auguri a te che hai sempre le parole giuste per ogni situazione, per ogni mio dolore, auguri a te a cui io darei la vita, ma non lo do mai a vedere.
Finisco dedicandoti un pezzettino di poesia che ho letto qualche giorno fa, che adesso è la nostra poesia, sperando che ti piaccia:
“C’è stato un tempo in cui respiravo il tuo respiro
Un tempo in cui vivevo perché tu vivevi
Esistevo solo se esistevi
Ed ora che non è più così
Ora che io respiro, io vivo, io esisto
Sembra non dipendere più da te
Ma se ti avvicini l'aria è più pulita
E se mi stringi vivere è meno faticoso.”
Non hai copia mami, buon compleanno, ti amo per sempre.🤍
P.S. Ci rivediamo presto.
-ricordiindelebilidiuntempofinito
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sciatu · 3 years ago
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Siracusa - Ristorante Macallè
Un amore in tre atti unici - Atto terzo
GIUGNO 2021 - CONOSCERSI
Per lei era stata, scusate l’espressione, una giornata di minchia. Al mattino nell’ufficio postale dove lavorava ecco che si presenta una che sembrava una “baraccota” una di quelle che vivono ancora nelle baracche di Messina, a cui la vita ha negato tutto e che affrontano ogni persona con le unghie pronte a graffiare e i denti abituati a strappare il cuore.
“Posso aiutarla?”
Aveva chiesto lei presentendo guai in arrivo
“Grazie no” rispose la belva guardando in cagnesco Concettina, la sua collega. Ti ho già detto nel racconto precedente che quest’ultima aveva una lista di spasimanti che occupava tutta la memoria del telefonino e che identificava i vari soggetti con nomi quali “Vittorio meno di 18” “Enrico più di 24” “Gianni quasi 30” dove il numero non era ovviamente legato all’età dell’individuo ma a particolari caratteristiche anatomiche prettamente maschili. Concettina, che grazie alle sue relazioni ed esperienza conosceva la vita e le figure umane che della vita sono il frutto o i relitti, non esitò e da dietro il bancone dei Pacchi e Raccomandate attaccò immediatamente
“Picchi lei i mia chi boli?”
“Io niente è lei chi non avi boliri nenti i me maritu”
“Mi su tinissi strittu e u sazziassi a so maritu e non vinissi chìù a sconcicari i personi pi beni”
“ A lei si a me maritu u sazziu o menu nun sunnu cosi ca ci ‘nteressanu! Lei pinsassi a fari chiddu chi ci veni megghiu fari stradi stradi e lassassi stari cu teni famigghia”
“È so maritu chi m’avi lassari in paci chi mu trovu sempri a rumpiri chiddu chi mancu iddu avi”
“ Nun mi pari chi nun navi vistu chi ci canusci boni i soi e chiddi i menzu paisi”
“ Cu canusciu o non canusciu, cu rispettu parrannu, su cazzi mei, mi pinsassi a so maritu chi chiuttostu i vidiri u so cuzzaru siccu si spariria, picchì cu jè vecchiu e laidu s’aviria mettiri u cori in paci! ”
A questo punto l’escalation di offese era ormai all’ultimo livello ed il rituale prevedeva che iniziasse la parte violenta dello scambio d’idee, così la parte offesa, cioè la moglie cornuta, partì alla carica per strappare gli occhi alla rivale. Per fortuna però, davanti allo sportello di Concettina vi era una fila di vecchi che dovevano ritirare la pensione; il gregge di capelli bianchi si frappose tra loro due cercando di calmare l’una e l’altra con la paura di perdere il posto in fila e ritardare così il prezioso pagamento della pensione e conseguente pagamento delle bollette arretrate. Lei aveva già chiamato i carabinieri e proprio in quel momento entrò l’appuntato Pino-25-con-gusto che incominciò ad urlare più delle due donne e si portò via la moglie tradita. Vi fu di nuovo calma e Concettina tornò a lavorare in silenzio ricevendo l’approvazione delle vecchie pensionate secondo cui la moglie doveva prendere a bastonate il marito traditore e non una brava ragazza come lei che dava la pensione anche in pezzi da 20 o da 10. Più tardi Simone-non-ne-vale-la-pena prese il posto di Concettina e quest’ultima se ne andò nello sgabuzzino sul retro dell’ufficio a fumare. Lei la raggiunse dopo qualche minuto e vide la sua gran massa di capelli ricci in un angolo, quasi nascosta che fumava guardando per terra.
Tra loro due vi era una forte complicità fin da quando si erano incontrate. Concettina sapeva della violenza che aveva subito da giovane e la rendeva complice di tutte le sue storie in cui trattava gli uomini come giocattoli, forse pensando che questo suo modo di disprezzare gli uomini usandoli, potesse darle un qualche vendicativo piacere.
“tutto bene?”
Le chiese preoccupata.
Concettina sollevò la testa e vedendola sorrise.
“Mariì Tutto bene, non ti preoccupare. Era una scena che quella doveva fare per rispetto a sé stessa.”
Lei la guardò preoccupata.
“Scusa se faccio la mamma, ma non è meglio se lasci stare questa tua collezione di maschietti in calore e ti trovi qualcuno che ti voglia bene veramente?”
Diventò seria
“Mariì, lo so che lo dici perché mi vuoi bene, ma per me va bene cosi”
“Ma alla fine sei sempre sola, nessuno ti dura più di tanto”
Alzo le spalle
“Tutti muoiono soli, nessuno prende mai la tua croce e ne divide il peso – disse di un fiato facendo oscillare i suoi riccioli - l’amore poi è solo un attimo e il sesso è l’unico modo per illudersi che esista qualcosa che ci unisca a qualcuno – restò in silenzio qualche secondo - Gli uomini poi sono i fratelli di Giuda e di San Pietro, tradire per loro è motivo di vanto, perché dovrei fare la santa se chi mi ama pensa solo a se stesso? Io sono così e resterò così: non farò la fine di mia madre maltrattata da suo marito e sfruttata dai suoi figli. Io credo solo all’inferno in cui sono cresciuta, tra botte e litigi e come vita familiare mi è bastata quella – tirò una boccata di fumo che fece uscire lentamente dalle labbra – Allora ero piccola, pensavo che i miei avessero sempre ragione ed avevo paura di tutto. Ora però non ho più paura di niente, faccio quello che voglio e ho capito che sfruttare la mia libertà, è l’unico modo che ho per esistere!”
Simone-non-ne-vale-la-pena apparve sulla porta dicendo che c’era l’appuntato Pino-25-con-gusto che voleva parlare con Concetta. Quest’ultima, buttò subito la sigaretta e si passò il lucidalabbra, che portava nei jeans aderentissimi, mostrando il suo sorriso più seducente. Mariì se ne tornò nel suo ufficetto concentrandosi sulla chiusura di fine mese per non pensare alle parole di Concetta, ed evitando di chiedersi se il suo Giuseppe fosse anche lui fratello di Giuda. Chiuso l’ufficio aveva diverse cose da fare, dall’andare dall’estetista che finalmente riapriva a passare dalla sarta e quindi dal centro commerciale anche lui riaperto di sabato dopo mesi di chiusura per covid. Finalmente si diresse verso il ristorante di Giuseppe che riapriva dopo la triste lunga serrata a causa del virus. Giuseppe aveva aumentato i tavoli fuori dal ristorante ma lei riconobbe subito il suo che aveva nel mezzo, in un piccolo vaso di cristallo, una rosa appena sbocciata. Andò a prendere possesso del suo posto da cui poteva osservare tutti gli altri tavoli, ed aspettò Giuseppe. Arrivò invece il nipote che era il secondo cameriere. La salutò contento e le riempi il bicchiere con in prosecco dell’Etna. Le disse che lo zio era occupato e scomparve a prendere un’ordinazione. Mentre beveva il prosecco vide Giuseppe aggirarsi tra i tavoli poi fermarsi a quello dove era seduta una bionda e mettersi a scherzare con lei mentre le versava l’acqua. Mariì sentì come una fitta nell’anima e l’osservò cercare di essere divertente, sorridere, parlare, cosi come aveva fatto con lei quando l’aveva conosciuto. Aveva ragione Concetta? Era un altro fratello di Giuda? La bionda lo ascoltava quasi indifferente e lui per reazione, cercava invece di interessarla, di farla ridere, perché una donna che ride è sempre più vulnerabile. Osservò la ragazza e la trovò giovane e carina, mentre lei era pure più vecchia di lui. Che futuro avrebbero avuto loro due? In aggiunta, il suo corpo, devastato dalle cicatrici, non sarebbe invecchiato ancora più velocemente? Non si sarebbe stancato di lei prima del dovuto? E se è vero quello che diceva Concetta, che l’amore dura finché dura il sesso, quanti anni avevano davanti a loro? Cinque? Otto? Dieci? E poi? Sarebbe andata anche lei a litigare con l’amante di allora? Era meglio fare come Concetta, vivendo alla giornata, del poco e subito? Ma Mariì dentro di se si diceva che lui non era così come stava vedendo e immaginando ! O forse non lo conosceva veramente perché nessun traditore si palesa per tale! Stava cadendo nella paranoia assoluta. Non sapeva se dovesse andare a prendere a sberle la bionda o prendersi la bottiglia di prosecco e andarsene a casa a piangere sul letto. Se lo ritrovò davanti con un piatto di antipasti misti
“Ciao amore come è andata oggi”
Le chiese tutto serio
“Ah – disse piccata – ti sei finalmente ricordato di me, quale onore…”
E lo guardò severa.
Giuseppe fece finta di niente e si giro a guardare la bionda che osservava fisso il bicchiere vuoto.
“È mia cugina Anto – fece sottovoce – il suo zito l’ha lasciata ieri con un SMS mentre lo aspettava a casa dei suoi per presentarglielo. Non ti dico come si sente…. È apparsa qui e non ha detto una parola. Io lo so che soffre…. Ma cosa le posso dire? Ho impiegato anni a superare quando quell’altra mi ha lasciato e ho trovato pace solo ora con te! Cosa le posso dire per tirarla su? La vita è questa? Pensa alla salute? Qualcuno prima poi lo trovi? A me queste cose mi snervano: vedi qualcuno che annega e non sai come salvarlo”
Lo guardò. Era veramente seccato. Lui per gli altri avrebbe dato l’anima ma quando si trattava di sentimenti si muoveva come un bradipo. Giuseppe Lasciò gli antipasti poi mise a posto il cestino del pane e la bottiglia d’acqua e lei capì che era turbato, che voleva stare con lei perché in lei trovava la sicurezza che gli serviva. Poi qualcuno lo chiamò e lui senza dire o fare scomparve. Lei mangiò lentamente pensando a lui, a come si era comportato e a quello che aveva fatto. Bevve un sorso e guardò la ragazza che fissava il nulla facendo palline di mollica di pane. Ebbe come un flashback e si ricordò che mentre i demoni la usavano sul velluto sporco e attaccaticcio del treno regionale in cui erano, qualcuno aveva aperto la porta che divideva le due carrozze, forse aveva visto, aveva capito, aveva sentito i mugolii con cui gridava aiuto, poi aveva richiuso velocemente la porta ed era scomparso. Non era questo quello che facevano in tanti? Voltarsi dall’altra parte, per non vedere, per non sentire, per stare tranquilli. Forse se qualcuno allora fosse intervenuto prendendo a moffe (sberle) quei tre, la sua vita sarebbe stata completamente diversa. Ripensò alla porta dello scompartimento che si chiudeva mentre diventava tutto buio.
Si alzò con il bicchiere in mano e si diresse verso la bionda. Fece due passi, si fermò e tornò indietro, prese la rosa e andò spedita verso il tavolo di Antonella dove si sedette di fronte a lei che la guardò meravigliata.
“Ciao sono la zita di Giuseppe, tu sei sua cugina Antonella non è vero?”
E dopo aver posato la rosa vicino a lei, allungò la mano per salutarla. Lei la guardò stupita e disorientata, guardandosi intorno per vedere se c’era suo cugino che potesse confermare quell’inaspettata intrusione. Alla fine, allungò la mano e strinse quella che era rimasta ferma e decisa ad aspettare il suo benvenuto.
A Mariì venne il panico? Che cosa aveva fatto? Perché era li?
La porta dello scompartimento si stava chiudendo….
“Non sono il tipo che si fa i fatti degli altri, ma ho capito che stai soffrendo. Una volta ho visto un cane investito per strada e un suo compagno correre tra le macchine e sdraiarsi su di lui per proteggerlo finché qualcuno non fermò la macchina e si occupò del suo compagno ferito. Allora mi sono detta che nessun uomo l’avrebbe fatto. Che a veder qualcuno per strada prima di andare ad aiutarlo si guarda il sesso, il colore, i vestiti, quanti followers ha e poi forse si decide…”
Antonella sorrise
“Per questo sono qui perché se un uomo vede soffrire una donna o scappa, o ne gode o fa finta di niente o resta disorientato e imponente. Giuseppe fa così perché il dolore degli altri lo sente suo e ne rimane prigioniero. È così che mi ha amato ed è per questo che lo amo. Lui, in questo momento non sa cosa dire perché sente che stai soffrendo e la cosa lo disorienta – osservò Giuseppe arrivare al tavolo dove era prima con un piatto di calamari ai ferri, guardò stupito la sedia vuota e si mise a cercarla nei tavoli intorno. Lei alzò una mano per dirgli dov’era e lui si avvio verso di loro sconcertato – Per questo sono venuta. Non perché sono un’esperta di problemi sentimentali ma perché ho sofferto e so cosa vuol dire soffrire da soli. Vivere con dentro l’anima un fuoco che nessuno vede ma che lentamente ti consuma”
Bevve un sorso sorpresa del discorso che aveva fatto. Sorrise a Giuseppe che arrivato al tavolo la guardava stupito
“Amore mi porti anche il vino? Io e Antonella stiamo facendo conoscenza”
Gli disse sorridendo. Lui la guardò e poi osservò lo sguardo incerto di sua cugina
“ Si vado… vado - disse alla fine , poi si voltò verso la cugina – è la mia zita: è una che parla poco ma dice le cose giuste! ”
e si allontanò felice di non dover affrontare il dolore di Antonella.
“Lo vedi… lui capisce quanto soffri e la cosa gli fa male perché ti vuole felice. Ecco, a me è capitato di soffrire moltissimo, di provare vergogna per quello che sentivo. Ma il dolore non è mai una fine, il permanere di una punizione immeritata, ma è uno stimolo, è un principio e l’ho capito quando Giuseppe mi ha chiesto di parlarne. Io gli ho raccontato tutto! Proprio tutto e nel dire, nel mettere una dietro l’altra tutte le lacrime che ho avuto ho capito il mio dolore, ho incominciato a fare due più due e ad avere la somma della mia vita, capire quello che ha senso e quello che era il riflesso di quanto avevo avuto e che non era vita, perché la vita è uno scorrere un continuo fluire cambiando giorno dopo giorno: fermarsi in una situazione passata, in un ricordo, non è vivere. Penso che se ti và, puoi fare lo stesso: rivedere quello che è successo insieme a qualcuno che non ti giudica ma semplicemente ti ascolta e che se può, ti consiglia.”
Antonella guardò davanti a sé il cimitero di palline di mollica che aveva fatto.
“Non c’è nulla da dire. Da che c’era a che non c’è più, senza un perché, una ragione… “
e continuò così a dire a descrivere, a parlare e ogni volta che si fermava, Mariì chiedeva, commentava, spiegava e Antonella riprendeva a fare lo stesso racconto in modo diverso. Giuseppe le osservava parlare in modo fitto e ogni tanto si avvicinava e portava la frutta, un dolcetto, il limoncello, i biscotti, un cioccolatino e loro ancora a parlare a dire ora quasi piangendo ora invece ridendo ora tutte serie, ora una stupita e incredula e l’altra che parlava con fare convincente. Giuseppe vide il ristorante svuotarsi ed incominciò a portare dentro tavoli e sedie, ma loro due restavano a parlarsi come se il tempo non passasse. Alla fine disse loro che per il coprifuoco dovevano andare e Mariì propose di accompagnare Antonella a casa e tutti e tre si avviarono verso la casa della cugina, le due donne avanti a parlare e lui dietro come un cane senza un padrone. Lasciata la cugina, Mariì si strinse a lui e camminarono in silenzio per qualche minuto.
“Allora tutto bene?”
Chiese lui per capire come era andata con la cugina
“Questa mattina avevo la sensazione che l’amore non poteva esistere. Ad inizio serata ne ero convinta. Poi però ho capito che non è così. Se non esiste perché ti fa soffrire? Perché ti fa morire e rinascere? E che cos’è alla fine l’amore?”
Restò in silenzio guardando il selciato
“e sei riuscita a darti una risposta?”
Lei sorrise, si fermò e lo baci��
“Si, l’ho capito con Antonella. L’amore è il domani, l’attesa del nuovo giorno che mi porterà a te. Il passato, il presente, sono la vita subita, la vita che scorre spesso travolgendoti e distruggendoti, ma l’amore è la certezza che domani troverai pace, avrai qualcuno che non scomparirà appena ti volti, dimenticherai il dolore di oggi, potrai creare, dare e avere felicità. Il sesso è adesso, un istante che viviamo e muore lasciandoci felici ma vuoti. Ma tutti abbiamo bisogno di un domani per continuare a vivere ed è questo che l’amore ci dona: sapere che ci sarà in altro domani in cui saremo felici come oggi. È l’assenza di questa certezza che ci umilia e ci fa morire.”
Lui la guardò tutto serio.
“avevo ragione a dire ad Anto che parli poco ma che dici le cose giuste…”
Ripresero a camminare verso il loro domani.
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ghiacciointempesta · 3 years ago
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L
Yesterday I got pretty drunk, said something that I shouldn’t have, told you that I really loved you, you do not reciprocate those feelings but that’s ok I’ll be fine anyway.
La televisione è accesa e manda l’ennesimo episodio di una sitcom che sto seguendo senza veramente prestarci troppa attenzione. I miei occhi sono immersi nel contenuto del bicchiere che tengo in mano, piuttosto traballante ora che ci faccio caso. Questo vino che ho comprato fa abbastanza schifo, eppure fa il suo lavoro. Lo lascio roteare un paio di volte nel calice, osservando le bollicine frizzare piano e poi disperdersi veloci nel liquido dorato; poi prendo un sorso, allungando il braccio oltre il bordo del divano per prendere la bottiglia ai miei piedi. L’etichetta - di un pacchiano nero con scritte oro - ne decanta i sentori floreali e le note agrumate, ricamando la denominazione con descrizioni di vitigni e fermentazioni. Faccio una smorfia e ne verso ancora un po’ nel bicchiere: con 12% di grado alcolico non c’era dubbio che mi sarei ubriacata, ed era proprio a questo che volevo arrivare.
Perché non ho il coraggio di affrontare la situazione. Ho passato gli ultimi sei anni della mia vita a parlargli di tutto eppure non riesco a dirgli questo, questo piccolo insignificante dettaglio che mi sta mangiando viva da sei mesi. E ad essere sincera è anche stupido che io mi faccia tutti questi problemi, dato tutto quello che ci siamo detti in precedenza.
Do un’occhiata alla finestra e poi all’orologio che mi brilla sul polso. Sono le due del mattino. È tardi, penso riportando gli occhi alla tv, anche se ormai la mia concentrazione è andata a farsi benedire. Quante notti passate al telefono, a parlare di tutto e di niente, a starci accanto attraverso le linee telefoniche.
Probabilmente lui avrà appena finito di lavorare, magari sta tornando a casa. Ricordo di un paio di anni fa, quando rientrava ad orari assurdi e mi chiamava nel cuore della notte perché gli facessi compagnia; inevitabilmente finivamo col prenderci in giro ma non riattaccavo mai prima che arrivasse a casa sano e salvo.
Ho messo il cellulare a faccia in giù sul tavolino da caffè perché potessi trattenermi dal fare cazzate, ma questo era circa tre bicchieri di Sauvignon fa e adesso sono poco lucida e troppo emotiva per prendere qualsiasi decisione razionale. Comunque, mi trattengo. La nostra ultima telefonata notturna non è stata decisamente la più piacevole, anche se era iniziata così bene.
————
“Ciao. Come mai mi chiami a quest’ora?”
“Ehi è così che mi rispondi? Nemmeno un ‘come stai?’ o un ‘che piacere sentirti’?” Sorrisi come una scema al finestrino dell’auto.
“Te l’avrei detto se fosse stato un piacere davvero”
“Ah si? Va bene, allora non ti chiamo più” e lo sentii allontanarsi dal ricevitore. Per un attimo temetti che riattaccasse, quindi m’affrettai a ripescarlo.
“Dai! Come stai, mio caro? Per quale motivo mi stai chiamando?”
“Bene, grazie. Tu come stai?” Sospirai, vedendo le strade di una notturna Parigi scorrere oltre il vetro.
“Stanca, ho appena finito di lavorare. Allora?”
“Hai lavorato tanto? E comunque niente, volevo rompere le scatole a qualcuno e ti ho chiamato” e di nuovo un sorriso.
“Ah adesso funziona cosi? Mi fa piacere!” punzecchiai, sapendo quanto lo divertisse darmi sui nervi
“Eh si funziona così. Dove sei, ti disturbo?”
“No. Sono in Uber, sto tornando a casa. Tu?”
“Ho staccato da poco, sto bevendo una birretta con dei colleghi”
“Capito.” Ci fu un piccolo momento di silenzio.
“E poi volevo sentirti”Il primo tuffo al cuore.
“Ah si eh?”
“Si. Perché, non posso?” avrei potuto dire che stava facendo un sorrisetto malizioso anche a tutti quei kilometri di distanza, talmente lo conoscevo bene.
“No figurati, ci mancherebbe altro.”
————
Sbatto le palpebre per riprendermi dai miei pensieri e affondo la mano nella ciotola dei popcorn. Adoro mangiarli ma detesto doverli preparare, e mi sono resa conto che dopo averci dedicato più di mezz’ora del mio tempo non li ho quasi toccati per tutta la sera, troppo occupata a bere per pensare a riempirmi lo stomaco.
Un po’ come la mia relazione con Blake: lo amavo ma detestavo come mi faceva sentire, e dopo aver impiegato due anni a cercare di farla funzionare sul serio mi sono accorta tardi che non sarebbe mai andata come volevo io perché ero troppo persa nell’immaginare come avrebbe potuto essere.
La serie prosegue con un nuovo episodio e sembra cadere proprio a pennello con in mio stato d’animo. Uno dei protagonisti si è innamorato dell’altro, che però non lo ha capito. Com’è assurda la vita. Tutto attorno a noi ci bombarda con le definizioni giuste e sbagliate d’amore, ci riempie di film, canzoni, serie, video, storie di amori sbagliati e complicati che però in qualche modo succedono e talvolta funzionano. Ma la verità è che non basta amarsi per essere felici. Non è sufficiente provare un sentimento del genere per qualcun altro, bisogna avere la situazione dalla propria parte. Può succedere come no, e a volte devi combattere perché succeda, faticare per far incastrare pronostici e karma. Ma quando succede, alla fine quello che ti serve è il coraggio. Senza coraggio va tutto a puttane, e mi pare di esserne diventata così esperta da poter tenere delle conferenze a riguardo.
————
“È un peccato che tu non ti fidi.”
“Non ho mai detto che non mi fiderei di te”
“No, però delle relazioni a distanza tu non ti fidi.” a questo punto gesticolai nel vuoto e quasi al buio del mio salotto, mentre mi sembrava di rivivere la stessa conversazione per l’ennesima volta.
“È solo che… è difficile per me dopo...”
“...dopo quello che hai passato con la tua ex. Lo so Blake, ma io non sono come lei”
“Non ho mai detto che sei come lei, assolutamente” come al solito mise le mani avanti, e come al solito la cosa non fece che irritarmi
“E allora qual è il problema vero? Dimmelo. Voglio saperlo.”
“È... complicato” sbuffai esasperata, portandomi una mano nei capelli.
“Ho bisogno di saperlo, me lo devi dire.”
————
Non ero preparata a quello che mi disse dopo, e a ripensarci adesso forse non lo sarei mai stata per come le cose si svelarono. Come si può amare una persona dopo che ti ha fatto tanto male? Puoi amare qualcuno che decide di ferirti consapevolmente, non dettato dalla collera o dalla delusione? È passato poco ma ricordo ancora quella notte, probabilmente è per questo che passo tutte le altre da sola a fissare il soffitto o a bere vino scadente. Può essere che cerchi di affogare nei fiumi dell’alcool per ovviare al bere le mie lacrime. E nel frattempo mi dico che non posso essere davvero incazzata perché l’ho obbligato a dirmelo, ho insistito affinché parlasse. Quindi immagino che sia un concorso di colpe.
E se non posso essere incazzata, e non c’è nulla da vendicare o da rimpiangere, cosa mi resta?
La delusione, forse. La ferita.
E la consapevolezza che se mi avesse amata mi avrebbe risparmiato una tale sofferenza.
————
“Avremmo potuto farla funzionare. Saremmo potuti stare insieme ed essere felici, ma tu ti fai condizionare da una cosa del genere e io non riesco proprio a capire perché. Mi sembra assurdo.”
“Lo so, e tu non centri, è un mio problema. È per questo che volevo venire da te.”
“Per cosa?”
“Per provarci davvero. Nonostante le mie paure io sarei venuto, e ti avrei detto di provarci ma adesso lo so che con quello che ti ho detto è cambiato tutto” Cercai di riprendere il mio respiro perso fra i singhiozzi, invano.
“Saresti venuto qui a dirmi di provarci senza dirmi di questa cosa? E come avresti fatto più avanti, su quali basi avremmo costruito una relazione io e te così?”
“Io... l’avrei superata”
“Quindi l’avresti superata più avanti ma non sei riuscito a farlo negli ultimi due anni...” ci fu un lungo silenzio, riempito dai flebili versi di chi piange da entrambi i lati della cornetta.
“È per questo che non volevo dirtelo, perché sapevo che ti avrei fatto del male.” Piangeva anche lui, e anche nel bel mezzo di quel dolore così opprimente non dubitai che fossero lacrime vere.
“No, va bene. Dovevo saperlo, e poi ho insistito io nel chiedertelo.” Presi il fiato e la dignità necessari per ricompormi e dire qualcosa, qualsiasi cosa mi concedesse di concludere quanto prima quella chiamata, perché sapevo che più tempo restavo al telefono, più pezzi ci sarebbero stati da raccogliere. E allo stesso tempo, masochisticamente, non volevo riattaccare.
“...”
“Va bene, io... io starò bene. Ho solo bisogno di tempo però. Devi darmi un po’ di tempo.”
————
E di tempo me ne aveva concesso, devo riconoscerglielo. Fu la settimana peggiore della mia vita, il mio inferno personale; ancora oggi quando soffro ripenso a quel momento e mi dico che ho attraversato il cerchio di fuoco e son riuscita a non bruciare completamente. Quando lo richiamai aveva una voce sfinita, e devo ammettere che lo feci solo per vomitargli addosso tutta la mia rabbia: ho imparato a posteriori che non serve a niente e che ci vuole tempo per tutto. E quando la sofferenza si è placata ed ho rivisto la pace, ho provato a considerare la situazione da tutte le prospettive.
Quindi, ho capito.
Niente è nero o bianco a questo mondo; e le sfumature te le perdi quando vedi le cose da troppo vicino.
Netflix mi chiede se sto ancora guardando e francamente non ricordo nemmeno quando ho smesso: perciò con non poco sforzo spengo tutto e la stanza cade in penombra. Mi sono accorta che ha iniziato a piovere. Com’è giusto che sia.
Non avrei dovuto bere così tanto; la mia capacità di giudizio è offuscata e tutto quello che riesco a pensare è quanto muoio dalla voglia di risentire la sua voce. Credo che adesso nel mio cuore ci sia solo mancanza: vorrei che mi stringesse e mi dicesse che tra noi non è cambiato niente.
E anche se questo vino fa schifo sta facendo il suo effetto, mannaggia il mondo.
Prendo il cellulare dal tavolino e me lo rigiro tra le mani, stando attenta a non avviare la chiamata quando capito davanti al suo numero in rubrica. Prendo un altro sorso e contemplo le mie opzioni: mi piace pensare di averne molteplici, quando in questa versione della realtà fatta di bollicine aromatiche ne ho - di fatto - solo due.
O lo chiamo. Oppure no.
Lascio che la mia testa ciondoli da una parte all’altra un paio di volte, poi la smetto quando mi accorgo che mi sta salendo una leggera nausea. Ho finito le parti del corpo da torturare: le pellicine sono tutte tirate e sono abbastanza sicura che se non fossi talmente anestetizzata sentirei il labbro inferiore dolere. Non contenta, mi sono anche scavata un solco dietro l’orecchio sinistro, che nonostante tutto brucia parecchio.
È inutile che ci giro intorno, lo so pure da ubriaca.
Che cosa spero di ottenere?
Inoltrare una nuova chiamata adesso sarebbe autoinfliggersi una punizione tutta nuova, e nonostante tutta la mia mancanza di autostima riservo ancora un briciolo di amor proprio necessario a frenarmi.
Che Dio solo sa se ho bisogno di questo adesso.
Scuoto la testa nel tentativo di scacciare i brutti pensieri e chiudo gli occhi, le palpebre diventate pesanti e un po’ umide grazie all’ebbrezza e all’oscurità. Spengo lo schermo del cellulare e, a fatica, mi tiro su dal divano e mi trascino verso la camera da letto.
Questa prima decisione è un buon segno, penso, prendendo un respiro profondo nel buio.
Una delle poche mosse egoistiche della mia vita.
Forse sto iniziando a guarire.
Me lo auguro con ogni frammento di cuore.
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ferrugnonudo · 3 years ago
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Ho pensato per molti mesi che se avessi saputo davvero la verità su certe dinamiche sarei stata meglio, avrei trovato pace. E’ buffa questa cosa del voler sapere a tutti i costi come stiano davvero le cose, da che parte stiano davvero le persone: le bugie che dicono e pensano, cosa pensano davvero. Certe volte mi domando se a questa storia della purezza ci creda sul serio e non mi sembra strano che anche il primo stronzo che mi sia capitato a tiro, si sia sentito nel giusto a domandarmi, Ma tu ci sei o ci fai? Questa forma di sottile ottusità che mi pervade è disarmante immagino, e allora forse anche per gli altri credo potrebbe servire sapere se ci faccio o ci sono.
Poi venerdì è successo e ho sfondato una porta. Ero nera inferocita, tanto che A. con la quale poi me la sono presa di brutto, mi ha anche detto, Quando fai così parti come un toro. E in effetti sono proprio partita come un toro perchè sarà pure che sono piena di idiosincrasìe, ma mi sono stancata di non capirci niente, di non avere mai contezza, neanche con grande approssimazione, di quale sia la situazione reale. Poi, anche se immagino sia una lettura sempre un po’ parziale e offuscata da tanti stati emotivi, in qualche modo sono riuscita a strappare questa “versione del reale” che ho tanto agognato di conoscere e improvvisamente ho capito quello che F. da mesi va dicendomi: Continui a vedere le cose solo dal tuo punto di vista, prova a spostare lo sguardo. E non capivo e anche con F. ho litigato tante volte, perchè non ci capivo niente.
 E’ buffo, improvvisamente dopo avere deposto definitivamente qualsiasi tipo di aspettativa e speranza su una certa questione, mi è venuta voglia di piangere e ho pianto. A dire il vero ho pianto dopo un po’, guardando una fiction in tv con il padrone che abbandona il cane. E poi, dopo avere un po’ pianto, mi sono detta che finalmente basta, che questa cosa del ”chi sei davvero tu” poteva anche smettere di interessarmi tanto al punto da ossessionarmi h24-7 su 7 e finalmente mi sono addormentata. 
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dead-words · 4 years ago
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"Cari mamma e papà,
perdonatemi, scusate il poco preavviso, so che avete già preparato tutto, ma io domani non posso venire a pranzo da voi perché stasera m’ammazzo. So di darvi un immenso dolore, un dispiacere inconsolabile, uno strazio infinito, però vabbe’, non ne farei una tragedia se per una volta non vengo a pranzo.
Tranquilla mamma: prima di suicidarmi mangio. No mamma, non il solito panino. Mi faccio la carne, ok?
Scusatemi se sono così sbrigativo, ma trovo ridicolo e irritante dovervi scrivere questa lettera per spiegarvi il mio gesto. Non occorre
essere depressi per suicidarsi, basta essere vivi. È più che sufficiente. Voglio dire, quello che faccio è normale, spiegarlo è inutile, didascalico e pleonastico. Perché mi suicido? Per lo stesso motivo per cui lo fanno tutti! Per lo stesso motivo per cui lo farete anche voi: perché si soffre. E quindi ci si suicida, è normale. Logico. Consequenziale. Tutto nella vita ti spinge al suicidio. Il suicidio è la vera morte naturale dell’essere umano.
Ecco perché trovo così sciocche le lettere d’addio dei suicidi, compresa questa: non c’è nulla da spiegare, niente da capire, è tutto così ovvio! Piuttosto, chi sceglie di continuare a vivere dovrebbe delle spiegazioni. Chi sceglie di continuare a vivere, ogni giorno dovrebbe scrivere una lettera per spiegare il perché del suo insano gesto. Sarei curioso di leggerne un paio. Lo dico senza ironia. Cosa li spinge? Secondo me non hanno veramente voglia di vivere. Secondo me non gli piace veramente. Secondo me sono solo condizionati dalla pubblicità. Lo ero anch’io, del resto. Siamo bombardati ogni giorno da messaggi di speranza! Film, libri, canzoni; e politici, intellettuali, leader religiosi, sopravvissuti, figure edificanti ed esempi socialmente positivi: tutti che ci dicono che la vita vale sempre la pena di essere vissuta, anche se sei uno storpio handicappato o un deportato nei campi di concentramento, o uno storpio handicappato deportato in un campo di concentramento dove per giunta piove sempre; ci dicono che c’è della poesia nelle piccole cose, come nel sorriso di un bambino, anche se si tratta di una paresi; ci dicono che si può fare
sesso anche da anziani, anzi a maggior ragione perché con il decubito aumentano i buchi e si possono provare nuove posizioni, sciatica e osteoporosi permettendo.
Ma tutto questo ottimismo è solo spam, pubblicità ingannevole, una strategia di marketing per promuovere la vita ai nostri occhi e renderci facilmente suggestionabili e creduloni, per poi fregarci. Io per esempio questa settimana sono stato ingannato per l’ennesima volta, a causa del pensiero positivo nel quale galleggiamo. Sono caduto vittima di una truffa on line: ho acquistato su un sito settecento bicchieri mezzi pieni, erano in offerta, sembrava vantaggioso; poi però quando me li hanno consegnati ho scoperto che quei bicchieri erano mezzi vuoti. Inoltre erano comunissimi bicchieri di carta. E ciò che li riempiva per metà era un liquame denso, non potabile, dal colore putrido e l’odore nauseabondo. Bastardi loro, e coglione io che ci sono cascato.
Ma ora sono stanco di rimanere deluso dalle cose e farmi prendere in giro da chi parla di un futuro migliore, da chi dice di credere nella ripresa, o di vedere il lato positivo della cosa. A proposito, ma è arrivato anche a voi il conguaglio per la luce in fondo al tunnel? Ma avete visto quant’è!?! Almeno di giorno potevano spegnerla! Il governo ci invitava a vederla, ma non ci avevano mai detto che era a carico nostro… Io poi, lo sapete, sono sempre stato contrario anche al tunnel: scavarlo ha avuto un impatto sul territorio disastroso, per non parlare delle conseguenze sociali. E tutto questo perché? Solo per accecarci con una luce, e poi farcela anche pagare.
Ma questa è solo la beffa; il danno è la vita. Sì, quella vita che ci hanno voluto vendere a tutti i costi, quella vita che ci hanno fatto credere fosse bella, potesse cambiare e fosse un valore; quella vita che voi mi avete regalato convinti di farmi un dono, in realtà è una merda. È banale, noiosa, ripetitiva, e troppo corta – questo nella migliore delle ipotesi. Se ti dice anche male, la vita è violenta, tragica e dolorosa. E in entrambi i casi, la vita è cancerogena. Lo so che quando mi avete donato la vita ero piccolo, ma avreste fatto meglio a donarmi semplicemente un maglione – magari lì per lì non avrei gradito, è difficile che un neonato possa apprezzare un maglione, specie se di lana quella che punge, avrei pianto, ma semplicemente perché un neonato non capisce niente, piange per qualunque cosa, e comunque mi pare che io abbia pianto lo stesso appena venuto al mondo e ricevuto il dono della vita, quindi perciò ecco, col senno di poi, se piuttosto che la vita voi mi aveste donato un maglione, io oggi vi ringrazierei. Non ve ne
sto facendo una colpa, sia chiaro: avete ricevuto anche voi lo stesso regalo dai vostri genitori, che a loro volta lo avevano ricevuto dai loro, e così via, era tradizione, convinti di fare una cosa gradita; siamo tutti vittime del marketing da generazioni.
Ci rifilano la vita come fosse una cosa meravigliosa, la rendono accattivante distribuendola come contenuto premium del sesso – che è sempre un ottimo traino e un incentivo efficace – e la estraggono a sorte per spacciarla come una fortuna; ma tutto questo solo perché ci vogliono vendere i loro prodotti. Perché la vita è un colossale pacchetto: sottoscrivendola compri anche tutto il resto  – detersivi, merendine, automobili, etc. Noi pensiamo di essere vivi, e invece siamo solo dei consumatori – della vita, e dei suoi gadget.
Ma io adesso me ne tiro fuori. Ne ho abbastanza, sono stanco. Non m’importa cosa penseranno gli altri di me e del mio gesto, tanto
anche questa millenaria campagna contro il suicidio è solo marketing, “pubblicità progresso”: condannano il suicidio perché temono che la roba gli resti tutta sugli scaffali dei supermercati o degli store digitali, per non parlare del magazzino; perché lo sanno che il suicidio è l’alternativa a tutto questo.
Vorrei tranquillizzarvi: non vi sto chiedendo soldi. Mi sono fatto due conti, e il suicidio me lo posso permettere. Anzi, sul lungo periodo risparmio pure. Vi dirò di più: per un reddito medio come il mio, con il tasso d’inflazione attuale, e visto anche il mio impatto ambientale, il suicidio è l’unica scelta di vita sostenibile.
E non ho paura di morire: in fondo, cosa ne sappiamo noi della morte? Nulla, tranne che nessuno è mai tornato indietro a lamentarsi – né ne ha scritto male sui forum. Di questi tempi, non è poco. Data la vostra natura ansiosa, desidero anche tranquillizzarvi sul fatto che la mia non è una decisione impulsiva. Ho pensato spesso al suicidio, ultimamente. Ho previsto e pianificato ogni cosa – tranne, come vi sarete accorti, questa lettera.
La scelta più difficile da prendere è stato il come ammazzarmi. Questo è il vero problema di un suicida, ciò per cui gli altri dovreb-
bero aiutarlo e stargli vicino. Perché quando si passa dalla teoria del suicidio alla pratica, ecco che cominciano i problemi, le complicazioni, i “vorrei ma non posso”; allora il suicidio si trasforma nell’ennesima impresa frustrante, deludente, incline al compromesso; il suicida si deprime, si avvilisce, vede tutto nero, e si vuole suicidare. E ci risiamo daccapo.
Perché tutti i metodi per suicidarsi sono dolorosi, spiacevoli (ma come, uno si ammazza proprio per smettere di soffrire!) e soprattutto poco pratici, specie per uno poco pratico come me. Voglio dire: dove la trovo io una pistola? Io non ce l’ho, qui nessuno ce l’ha, e non è così facile procurarsene una. Non siamo mica in Texas, o in Colorado. Cosa dovrei fare, andare negli Stati Uniti e fregarla a uno studente?
Per favore, restiamo logici.
Le corde non si trovano più, qui in zona l’ultimo tappezziere ha chiuso mesi fa e nessuno sa più dove trovarne; le uniche, anche su Internet, sono quelle per legarsi a letto, sì insomma, quelle sexy, ma non vorrei scadere nel grottesco. E poi per impiccarsi tocca avere una certa manualità, che io non ho. Neanche a letto. Restiamo pratici.
Anche le lamette non si trovano più, o meglio, adesso fanno quelle apposta per non tagliarsi. Potrei sempre radermi i polsi a morte. Ma restiamo seri.
Pure le buste di plastica sono cambiate: adesso fanno quelle ecologiche, in bioplastica, ottenute dall’amido di mais, e che puzzano di dado da cucina. Tu c’infili la testa dentro per soffocarti – ci ho provato… e quelle cazzo di buste si rompono! Si rompono sempre! Ennesimo danno provocato alla razza umana dal buonismo e dal politically correct…
Di veleni ne mangiamo, beviamo e respiriamo tutti i giorni e in gran quantità, ma sono ancora vivo. Di buttarmi al fiume non se ne
parla: d’accordo morire, ma di bagnarmi, prendere freddo e beccarmi la toxoplasmosi in quello schifo me lo risparmio volentieri. Il gas costa un botto, più di quello è che rischio di far fare a tutto il palazzo – che per altro non coinvolgerei nella mia decisione, non sono un esibizionista. Sotto alla metro non mi ci butto, soffro di claustrofobia. E le finestre, i balconi o le terrazze non posso, non riesco, soffro anche di vertigini.
Inoltre tutti questi sistemi non sono sicuri, possono fallire; e io rischio di restare ancora vivo, ma invalido vegetale, cioè peggio di
adesso. Insomma rischio di fare anche una figuraccia, di quello che manco è stato capace di togliersi la vita. Che poi non dovrebbe essere così difficile; eppure…
C’è solo un modo, possibile e sicuro, con il quale suicidarmi: vivere. Dico sul serio. È lento, e dolorosissimo; ma inesorabile e infallibile. La vita è un suicidio omeopatico, ma senza scampo: nessuno è mai sopravvissuto alla vita.
E lo so che questa mia ultima affermazione la interpreterete come un “la vita va avanti, la vita non muore mai���, e ne ricaverete un messaggio positivo e perbene, di speranza. Perché ormai siete corrotti e vedete il bene dappertutto.
È anche per questo che stasera, come ogni sera, io mi suicido."
-?
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armoniaprivata · 4 years ago
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Gelosia
Era nell'aria da tempo.
Da quando stiamo insieme, circa sei mesi, qualche volta nei nostri giochi e nelle nostre fantasie sono entrate altre coppie, o uomini o
donne non ben identificati, storie fatte un po' per ridere e un po' per eccitarci e, la visita ad un club privé, è stata sempre messa in preventivo.
Cosi questa mattina gliel'ho detto candidamente:
"Elena stasera andiamo al privé?"
Lei, divertita e un po' ironica come al solito, mi risponde: "Mi farai scopare da dieci maschiacci?"
"Perché no? Se ti piace l'idea..."
"Idiota"
Ridiamo insieme e, mentre mi abbraccia, con una mano arriva a toccare il mio sesso, a voler capire se fosse una scusa per far l'amore, un
pretesto.
Ci è sempre piaciuto fantasticare su una donna che la stuzzichi, ed a me piacerebbe da morire vederle e magari, mentre "giocano",  io farei sesso con Elena.
Una fantasia ben radicata nella mia mente. Il discorso cade lì, ma mi ripropongo di riprenderlo nel pomeriggio. Sono le sette di sera quando e ci stiamo preparando per uscire a cena. È il momento giusto e le ripeto la domanda. Questa volta capisce che sono serio, e che stamattina non stavo scherzando.
E' perplessa ma, appena avute tutte le raccomandazioni del caso, accetta.
Cambio di programma allora. Cena veloce a casa con un silenzio molto rumoroso, ma anche eccitazione per una trasgressione mai fatta prima.
Arrivano le dieci e mi chiede come vestirsi.
"Devi essere la più figa di tutte, come sempre"
Sorride, le piace essere al centro delle mie attenzioni.
"Che ne dici del completo in latex? Quello cortissimo? E sopra, l'impermeabile nero, quello che usiamo per andare in giro quando sotto sei completamente nuda! Che ne pensi?"
"Si. Si può fare"
La osservo mentre si veste.
Scelta perizoma.
Apre il primo cassetto del mobile della camera da letto. Decine e decine di perizoma che spuntano.
Il forziere del mio tesoro. E lei è il mio gioiello più prezioso. Comincia a scegliere e a provare.
"Non metterlo. Ti voglio stramaledettamente porca, per la gioia dei miei occhi"
Mi guarda fisso negli occhi, e un misto di amore esensualità mi colpiscono.
Si avvicina e mi stampa un bacio sulle labbra sussurrando:
"Allora sarò porca come piace a te."
Si siede sul letto.
Scelta autoreggenti.
Calze a rete leggere, con
grosso elastico decorato che rimarrà in bella vista sotto il
miniabito.
Arrapante.
Apre l'armadio e prende la scatola in basso a sinistra, la scatola dei nostri giochi, la scatola delle nostre perversioni.
L'apre ed ecco apparire il micro abito in latex. L'abbiamo usato solo una volta, appena comprato, circa tre mesi fa.
Via un po' di polvere ed ecco che lo indossa.
Le calza a pennello e le fa delle curve spettacolari: vita stretta, fianchi precisi, rotondi. Scollatura davanti chiusa da lacci che le stringono il seno e lo comprimono.
Eccitantissimo.
La aiuto a chiudere la lampo posteriore e noto con stupore che è veramente
cortissimo.
Non lo ricordavo minimamente.
Praticamente sopra c'è scritto
"Scopami".
Prende l'altra scatola, quella con gli stivali. Comincia ad
indossarli, non senza difficoltà, ma le calzano come fossero una seconda pelle.
Da leccare.
Passa agli accessori: come ornamento per il collo mette una fascettina di raso nera, mentre, come orecchini, usa due piccoli fili argentati.
Di classe.
Si lega i capelli dietro, con una coda lunga e molto sexy. Selvaggia. La copia sensuale di Eva Kant.
Ora è pronta, si alza e, già sapendo la risposta, mi domanda:
"Sono abbastanza figa così?"
"Quasi quasi non usciamo più, ci ho ripensato e ti butto sul lettone!"
Ridiamo.
Indossiamo i nostri soprabiti e usciamo.
Entriamo nell'ascensore e mi avvicino per baciarla, ma si scosta, usando come
pretesto che le si sarebbe tolto il rossetto appena messo. Colore rosso deciso!
Accetto controvoglia e proseguiamo.
Saliamo in auto e ci avviamo.
"Ci vorranno circa trenta minuti per arrivare".
Dopo una decina di minuti si sbottona il soprabito, come se mi volesse invitare a fare qualcosa, mi fissa e sorride. L'invito è troppo goloso e comincio ad accarezzarle le cosce. Divento sempre più ardito e comincio ad avvicinarmi al pube. Il suo miniabito mi permette di "giocare" senza problemi e, per aiutarmi, allarga un po' di più le gambe e scivola un pochino più in basso sul sedile; è più comoda nel sentire il suo piacere.
Ora posso toccarle senza problemi il clitoride e infilarle anche un paio di dita senza problemi.
Il suo sesso liquido la contorce e, per il piacere, si morde il labbro superiore.
"Ma non è che andiamo a finire fuori strada?"
Mi domanda con voce rotta dal godere.
"Speriamo di non andare addosso a nessuno, altrimenti come faremo a spiegargli come sei vestita?"
Ridiamo insieme.
Siamo giunti a destinazione. Imbocco il cancello segnalato dalle fiaccole e percorro il viale selciato fino al parcheggio.
Non ci sono molte auto, ma in compenso sono tutte di grossa cilindrata. La nostra, in confronto, sembra pronta per la demolizione. Parcheggio, scendo dall'auto e da buon cavaliere le vado ad aprire la portiera. Rimane meravigliata e stupita e mi ringrazia in francese: "Mercì beaucoup".
Le rispondo a modo mio: "Enchantè mademoiselle"
Ridiamo di nuovo insieme.
C'è un misto di allegria e complicità tra noi. Le è sempre piaciuto ridere e questo è un motivo per cui stiamo insieme.
La faccio ridere e la faccio sentire bene.
Entriamo e comincio a scrutare l'ambiente. L'ingresso è luminoso e ci avviciniamo alla reception. Ci chiedono di mostrar loro la tessera di soci e, appena
scoperto che siamo "novizi", ci fanno compilare dei moduli e ci danno tutte le notizie e ci istruiscono sui comportamenti.
Dopo mezz'ora di nenia e dopo che si è formata una fila alla cassa, tra cui quattro ragazzi e due coppie che già allegramente si baciano tutti insieme, passiamo al guardaroba.
Appena Elena si toglie l'impermeabile un misto di
gelosia e di piacere si danno battaglia in me. Vedo gli occhi dei ragazzi dietro noi che la stanno spogliando con lo sguardo e stanno abusando della sua bellezza. Ora ho paura che se la portino via, sento il freddo della gelosia e della paura che mi attanaglia. Dentro me penso che, forse, venire qui è stato un errore...
Proseguiamo.
L'ingresso della sala è ampio e scuro, un sordo rumore di musica nell'aria ma, appena un inserviente ci apre la porta della sala discoteca, siamo avvolti e inghiottiti dalle note musicali ad alto volume. Entriamo sorridenti e affascinati dallo sfarzo del posto. Molte persone ballano ed alcune donne che si esibiscono in eccitanti lap-dance.
La fisso negli occhi, la prendo per mano e la porto in mezzo alla sala. E' bellissima e voglio ballare con lei, voglio che la vedano tutti.
E' eccitante vederla ballare con quel vestito, e vedo che anche gli altri la guardano e commentano fra di loro.
Dopo alcuni tentativi di approccio, anche di cattivo gusto, ci andiamo ad accomodare su un divanetto rosso. Ci sediamo e noto che, appesi ai muri, ci sono centinaia di quadri di natura erotica e che, in ogni posto e in ogni dove, è pieno di kleenex.. Sorridiamo, facendo un paio di battute sulla mania della pulizia. Ci si avvicina una coppia all'apparenza nostra coetanea e chiede se possono accomodarsi vicino a noi.
"Naturalmente" è la mia risposta.
Si presentano e noi facciamo altrettanto, e cominciamo a parlare del più e del meno, per rompere il ghiaccio. Lei è una ragazza molto bella: bionda, occhi azzurri, labbra carnose e peccaminose. Il suo vestito è molto scollato e si nota che è senza reggiseno come Elena.
Porta una quarta, è molto abbondante di seno ed Elena sa che una donna cosi mi piace molto. Avrà una trentina d'anni, li porta bene ma non è molto alta, al massimo arriverà al metro e settanta grazie ai dieci
centimetri di tacco che le guarniscono una caviglia sottile; nulla a che vedere con la però.
In piedi Elena è alta come me. i suoi piedi e le sue gambe sono inguainate da stivali col tacco alto undici centimetri.
Da vertigini.
Lui, invece, è un uomo sulla quarantina, rasato a zero come la moda impone, con una giacca e una camicia firmate e con un paio di mocassini di pelle che, nell'insieme, mi fanno pensare che sia un imprenditore o qualcosa del genere.
Faccio un confronto con
me stesso. Io jeans e camicia fuori. Al massimo sembro un impiegato di quarto livello. Mentre chiacchieriamo vedo le occhiate dell'uomo
insinuarsi tra le gambe di Elena; cerco di intromettermi, mi alzo, faccio un po' di confusione per distoglierlo dal suo fare.
Ancora gelosia.
Ancora stupore in me.
Niente, continua a guardarla lì e lei non sembra affatto indispettita, anzi allarga leggermente le gambe affinché Fulvio, mi pare quello il suo nome, possa sbirciare meglio.
Gelosia, ma anche piacere nel constatare che Elena è desiderata da altri. Fulvio e Gloria ci spiegano come funziona il locale, e ci fanno notare che ci sono delle camere preposte a fare
sesso, dove i singoli possono solo guardare attraverso delle grate e possono entrare solo se invitati da una coppia. Gloria si alza dal divanetto, si avvicina a me e mettendomi una mano sulla gamba mi chiede se vogliamo andare a provare una di quelle stanze tutti e quattro insieme.
Le rispondo affermativamente ma che, al momento, non vogliamo fare assolutamente uno scambio di coppia. Mi sale l'idea di fare sesso con Elena, mentre gli altri ci guardano e mentre noi guardiamo altri che scopano. Siamo al centro del mondo. Ci guardano e desiderano, ma solo noi decidiamo il gioco. Sento uno strano potere in me.
Ci alziamo e ci avviamo al piano superiore. La musica dietro di noi si fa più debole. Ora sento solo il mio cuore battere e domando a Elena
cosa ne pensa.
"Ti scoperò come non ho mai fatto!"
Mi fulmina con i suoi occhi verdi.
Diabolica espressione.
Mai vista cosi, sembra eccitata come non mai, forse solo quella volta che ci
siamo messi a fare sesso al terrazzo del Gianicolo con la gente che passava e che non capiva se quello che vedeva fosse realtà o immaginazione. Ora la mia sensazione di potere si trasforma in paura.
Mi volto e vedo una decina di uomini seguirci, alcuni con le mani sopra la patta dei pantaloni, i più sfacciati addirittura dentro. Arriviamo in un corridoio dove ci sono molte stanze. Ognuna ha il suo nome e il suo tema: Kamasutra, Etrusca, Olimpo, Antica Roma, S/M, Medioevo,
Inferno.
Ognuna, sicuramente, ha la sua storia da raccontare.
Ci dirigiamo, o meglio Fulvio ci conduce in quella che per lui è la sua preferita: Kamasutra.
Una porta rossa, grande, contornata da colonne
romane o greche. Non le riesco a distinguere perché l'architettura non è mai stata il mio forte.
Poco più in là le famose grate. Fulvio fa entrare prima le donne e poi fa passare me, entra e chiude la porta.
Appena entrato il blu mi acceca, la luce è soffusa, ma si riflette nei miei occhi attraverso il grande specchio che ho di fronte. Alle altre
due pareti quadri di Manara mi fanno capire il perché del nome della stanza. Ora mi sento un po' in imbarazzo mentre i nostri due "amici"
cominciano a scambiarsi effusioni. Le mani di Gloria cominciano a sbottonare la camicia e slacciare la cravatta di Fulvio. Lui invece comincia a levarsi la giacca. Io guardo Elena, i suoi occhi sono sempre diabolici e mi si avvicina all'orecchio e mi dice:
"Spogliati amore che stanotte ti faccio rinascere!" e, mentre lo fa, mi da un piccolo morso al lobo dell'orecchio destro. La mia mente è confusa ed eccitata; le salterei addosso e me la scoperei, ma penso
anche alla grossa quantità di sperma che quel letto e quel divanetto hanno dovuto subire.
Cazzo sono confuso.
Mi volto di nuovo e ora vedo
anche i sei uomini di prima che si masturbano allegramente bofonchiando
qualcosa.
Mi gira la testa mentre mi si avvicina Elena e mi da un bacio passionale spingendomi la lingua in bocca. Gloria è rimasta in perizoma e sbottona i pantaloni al suo partner mentre lui bacia e morde il suo seno e i suoi capezzoli ambrati. Le sue areole sono scure e grosse come quelle di una ragazza mulatta e il suo capezzolo largo ma non lungo. Ora che ha finito il suo lavoro si inginocchia davanti a Fulvio e gli sfila il cazzo dalle mutande.
Comincia a prenderlo in
bocca mentre mi guarda fisso negli occhi. Elena non si spoglia, d'altronde quel vestito è stato indossato per quel motivo. Mi prende
per mano e mi conduce vicino al divanetto. Si siede e comincia a slacciarmi i jeans. Gloria continua a muoversi sul cazzo del suo compagno, ma i suoi occhi sono fissi su di me, per farmi eccitare, per
farmi forse andare da lei affinché le faccia leccare anche il mio.
Elena imita la sua nuova amica, e mi guarda negli occhi. Vede che il mio sguardo è fisso sull'altra e, mentre continua a masturbarmi, mi chiede se voglio che Gloria la aiuti nel suo lavoro. Mi volto e guardandola fissa nel suo verde, le confermo che non la cambierei con nessuna donna al mondo.
Gloria intanto si stacca da Fulvio e si avvicina a me, come se telepaticamente avesse colto l'invito.
Ora lei è dietro di me, in piedi, e mi passa una mano sul sedere scoperto; passa un dito nel solco e con la punta delle dita arriva a toccare i
miei testicoli: "Posso giocare con voi?" chiede guardando Elena.
Il diavolo che si è impossessato di lei risponde affermativamente. Mi fanno sedere sul divanetto e cominciano a leccarmi in due; vedo le loro lingue toccarsi più volte, e forse non solo per caso. Elena lo riprende in bocca, mentre l'altra si dedica con minuziosità assoluta ai miei testicoli.
Fulvio è nell'angolo che si masturba da solo, e ci osserva divertito.
La mia mente comincia a pensare, troppo per quel momento.
Già immagino che lui chieda di fare la stessa cosa a Elena, e mentre vedo che Gloria
sprofonda tutto il mio cazzo nella sua gola, la vedo alzarsi e dirigersi verso l'altro. Gli altri al di fuori della stanza continuano a masturbarsi, chiedendo di poter partecipare a scopare "queste due gran troie".
Così le chiamano.
Un no si alza flebile dalla mia bocca, ma è troppo basso il mio tono, o forse è stato detto soltanto dalla mia mente. Vedo Elena che si inginocchia davanti a lui e che comincia a toccarlo, comincia a leccargli la cappella e poi tutta l'asta. La mia eccitazione cresce, incredibile.
Non pensavo che vederla spompinare un altro provocasse tanto piacere in me. Gloria continua a lavorare sul mio cazzo, se lo passa sulle areole e sui capezzoli. Mi chiede se voglio scoparla. Non so cosa le ho risposto, so solo che si è alzata e mi si è seduta sopra. Il suo culo ha inghiottito il mio cazzo senza problemi; comincia a cavalcarmi, ma il mio sguardo è solo per Elena,
che continua a spompinare quel bastardo.
So che fra un po' anche lui se
la scoperà, ma non riesco a fermarli. Non riesco e non voglio.
I nostri sguardi si incrociano e vedo che le sue labbra mi sussurrano "Ti amo".
Si alza, appoggia le mani alla testa del divano, alza una gamba e mi fa godere del suo spettacolo. Il bastardo è dietro di lei e comincia a leccarla. Ora Elena mi guarda attraverso lo specchio e
controlla che ancora mi stia inculando la porca. Vedo Fulvio alzarsi e infilarsi un preservativo e affondare il suo cazzo dentro di lei. Geme, e ogni gemito è una spada che mi trafigge lo stomaco.
Mi sento trafitto, ferito, e intanto mi inculo questa tizia che non conosco e che vorrei non aver mai conosciuto. Un paio di minuti e non ce la faccio più, faccio alzare Gloria, che mi guarda sbigottita, vado verso Fulvio che continua a spingere il suo sesso dentro di lei.
"Lascia! Ora abbiamo finito di giocare"
Lei si volta, e ancora il suo
volto diabolico mi guarda e mi sfida.
"Inculami".
Non me lo faccio ripetere e in quella posizione, una volta scansato il "bastardo", la penetro con forza, quasi con rabbia. Sento il piacere
crescere in lei, ad ogni spinta violenta inarca sempre di più la schiena, abbassa il culo per goderne appieno.
La scopo e dallo specchio vedo la coppia che ora tromba allegramente dall'altra parte della stanza, mentre i masturbatori incalliti fuori della stanza sono ancora lì, nel pieno della loro attività, nel pieno delle loro godute e sborrate. Io ora non penso a niente, voglio solo Elena, e scopiamo. Si masturba mentre cede sotto i miei colpi, sento che sta per venire e anch'io sto per farlo. Il suo urlo di piacere si diffonde nella stanza mentre il mio seme le inonda completamente lo sfintere.
Ci rilassiamo per un paio di secondi, sfilo il mio cazzo e un rivolo di sperma le esce dal buchino. Mi inginocchio dietro di lei e la pulisco con la lingua; le lecco anche la fica per assaporare i suoi umori, mentre i suoi occhi sognanti mi ripetono in silenzio l'affermazione fatta poco prima.
"Ti amo anch'io Elena."
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allora c’era questa persona, che comincia un giorno a stalkerarmi  “simpaticamente” sul sito. una, due volte, più volte... mi manda questi anonimi tipo, mi vai a sangue, quando scrivi penso a quanto vorrei fare l’amore con te. sento che potrei scopare da dio con te.
va bene...anons che scherzone. rido.   poi un giorno “esce dall’anonimo” e mi dice “che dice sul serio”. va bene... si sa che sono erotico, no? (sicuro) ma che c’è di serio in una cosa detta così? Ma  mi parla. Parliamo. per giorni e  giorni dice che non sta tanto lontano. parliamo per settimane. ci scambiamo il telefono
perchè io non ci credo alle distanze, e sono stanco di essere menato. che le botte fanno male dentro soprattutto. e mi spiego, ok ma guarda che non sto proprio solo, sì è una situazione anomala, assurda. e parliamo parliamo parliamo
Mi parla di sè, del cane, della famiglia. di me, di quel che vuole da me mi parla dolcemente, a volte eroticamente
la sera la mattina la  notte e insomma io quasi ci penso.
passa l’estate si appropinqua l’autunno e parliamo ancora e io comincio a pensarci
. e lei sempre, ti penso, mi vai a sangue, ti voglio e io dico meglio che mi vedi prima e  che ti calmi. no ma io ti penso,  dice Ma guarda che stai idealizzando. no ma io ti penso. allora,  vengo lì in zona. se vuoi. prendiamo tipo un caffè, parliamo. e  così lo vedi che non sono il tuo tipo. perchè non lo sono, credimi.
no ma io ti penso! Ma guarda che .... no ma io ti penso.
passa il tempo, e stanco di questa tiritera, le dico sabato sono in zona tua. se vuoi sarò in questo posto;  sai dove sono: due passi mi raggiungi, un caffè all’ aperto, se vuoi porta qualcuno...
lei fa chicken out. eh ma devo tagliarmi le unghie mettere l’ombretto, i bigodini al cane. e allora penso va bè vedi che avevo ragione, e glielodico, “vedi che ho ragione, è una fantasia la tua”
vabene non importa, penso, anche se hai detto ti penso ti voglio vieni qua, per mesi, ok erano solo stronzate. pazienza.
te lo dico,  senti niente di male,  ma  è chiaro che sei solo una conoscente, e le parole vanno usate con un minimo di decenza, o  di coerenza intendo.
e ti tratto da amica. e tu cominci a dirmi, ma come non reagisci più...quando ti dico te lo succhierei.
e io mmm sì, ma come lo dice un amica, cioè non ci do peso: sono scemenze che dici per te e basta no non e vero sì è vero no non è vero
e io torno  sulle mie e penso ad altro: cose che mi opprimono. e tu, ma sei cambiato, mi mandi ai matti mi devi dire come la pensi.
penso che scherzi. no io ti voglio non mi vuoi. sì! no. sì!! allora, se sei seria,  vediamoci da te e  prendiamo un caffè no, quel giorno ho da fare quale giorno che non ho detto niente... la settimana dopo. va bene quella e  anche l’ altra settimana. no mi lavo i capelli poi dopo devo andare a fare ricamo con le amiche e pulire il cane e buttare la spazzatura.
e vedi? cosa??
che stai scherzando. che sogni. che sogni come sempre. sei una amica una conoscente, va bene così, ma basta. va bene ma basta. basta usare le parole a vanvera. no non va bene, non dire mai più va bene ok. comandi, dico. e tu mi fai male, sai, dice ah  - rispondo - tu, parli a vanvera per mesi, e “banfi” ...e io ti faccio male dicendoti che  scherzi, che mi stai pure prendendo un po’ in giro ah - replica - non è vero. colpa tua! Io ti blocco!  ti blocco! “blocco del sito”
Ok. Va bene.
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armeliastrife · 4 years ago
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Oggi non parlerò di cosplay, e non scriverò in inglese, cosa che purtroppo farà floppare questo post malissimo, di un blog già morto perché quest’anno la voglia di continuarlo è stata pari allo zero assoluto. Difatti ho intenzione di resettarlo completamente e farlo diventare il mio angolino sicuro di sfogo. Lasciare questo come primo post. Perciò cominciamo con il discorsone. Vi è mai capitato di sentire questa frase? “I panni sporchi si lavano in casa. “ Io un’infinità. Tanto che nella mia infanzia ero fermamente convinta che fosse una regola della società, da tenere segreta e ben custodita. I panni sporchi si lavano in casa. Quello che non ti dicono, da piccolo, è che se nascondi troppa polvere sotto il tappeto alla fine diventa una montagna.  Ed è così che è cominciata. Se vi aspettate tutti i dettagli della mia vita mi dispiace, dovrete tirare fuori un po’ di p*lle e venirmele a chiedere. Non ho nulla da nascondere, se chiedete vi verrà risposto. D’altronde sto facendo questo post sia per sfogarmi che per , magari, aiutare qualcun’altro.  Posso dire sommariamente che c’è un motivo se non menziono spesso mio padre, che mia madre ed io abbiamo iniziato ad avere un rapporto semi civile adesso, che molte cose nella mia vita mi hanno portata spesso a chiudermi in me stessa, o a buttarmi a capofitto in decisioni sbagliate, oltre che a sentirmi sempre un peso per il prossimo. In sostanza: prendete un bello shacker, mixatelo, ed avrete un bel margarita alla depressione. Qual’è il problema?  Semplice, non volevo ammetterlo con me stessa. O, almeno, non fino in fondo. Sono sempre stata convinta, in cuor mio, di essere uscita abbastanza bene da ogni situazione. O che, comunque, avrei faticato di meno ad andare avanti se avessi mentito a me stessa, e così ho fatto. Purtroppo non per un giorno, questa cosa è stata perpetrata per anni. Anni in cui mi trascinavo avanti, senza sapere bene il perché. Anni in cui mi sentivo una fallita, inutile, sola, sbagliata e che se fossi scomparsa dal mondo sarebbe stato meglio. E non vi mentirò, quella sensazione non svanisce una bella mattina con il canto degli uccellini che ti svegliano dopo un sonno ristoratore da tutta la merda. Ancora mi sento così, diciamo solo che abbiamo iniziato a spazzare quella polvere sotto al tappeto con uno spazzolino. Ma, al contempo (perché sono gemelli e YEY ho una doppia personalità [?] ... Oh, dai, concedetemi almeno la battuta.), mi buttavo a capofitto sul lavoro, o in progetti che iniziavo per tenermi la mente impegnata. Per crearmi dei bei ricordi, per ribellarmi dal mio stesso essere che mi diceva che ero 0, ripetendosi in cacofonia con delle voci esterne che non riuscivo a scacciare. Anche questo lo faccio tutt’ora. E odio che i piani si scombinino, in quel caso.  Non vi nego che questo mi ha portato a sbagliare, con molte persone. (E delle volte mi ha salvato da certe altre.)  Qual’è il punto? Il punto della questione è “semplice”, vorrei aiutare chi si ritrova davanti una testina di minchia come me, o dare una pacchetta alla testina di minchia come me e dire “Ehy, lo so, non sembra. Mi prenderai per stupida, o solo una che ti vuole sbolognare presto perché non crede che hai un vero problema. Ma è vero, cazzo. C’è una luce in fondo al tunnel. E’ piccola, sembra quasi inarrivabile. Dovrai alzare le chiappe da quel letto/sedia proprio come ti dicevano se vuoi averla. Ma, ehy, ne sono riuscita a vedere uno spiraglio e... Non è L’eden, ma cazzo se è meglio di questo schifo.” Per chi cerca di aiutare: Se la testina è come me, non proponete soluzioni estreme al problema. Molte persone, forse, si offenderanno. Me lo hanno detto in tantissimi negli anni.  “Vai via da quella casa” “Dagli un pugno” “Reagisci” “Chiama la polizia” “Fregatene e ---*continuare a parlare del problema*” Sembra la soluzione più ovvia e logica, e non dico di non farlo per nulla: è un vostro consiglio da amici. Ed in molti, molti casi può essere giusto. Quel che succede però nel momento della crisi è violento e fa un male boia. La soluzione PER ME, e che sono riuscite a carpirla solo le mie amicizie più strette, è parlare a voce. Devo sfogarmi, anche piangendo sapendo che c’è qualcuno all’altro capo del telefono che mi ascolta solo singhiozzare in silenzio. Pian piano riesco a calmarmi, ad aprirmi... E parlare anche di qualcosa di divertente quando la situazione si è appena sbollentata, esterna al problema principale, mi aiuta.  A voi amici aiutanti non vi mentirò: le testine sono snervanti. Perché per un completo check del “lo facciamo stare meglio” avranno bisogno di contatto continuo, anche fuori dalla situazione di crisi. Basta poco, un meme, un messaggio ogni tanto, parlare relativamente di cagate... Ma sappiate che se non sono loro i primi a cercarvi, non lo fanno apposta. Noi testine ci sentiamo di troppo. Un peso. Delle volte tentiamo di non mostrare i disagi fino al crollo massimo. Non forzate troppo la conversazione, ma non abbandonateci. E soprattutto non traditeci. Nel mio caso... le seconde possibilità non sono contemplate. Si diventa come fantasmi, perché se vi abbiamo lasciato avvicinare e dopo ci scaglierete contro pietre, con quelle pietre ci costruiremo un muro per tenervi fuori, come se non foste mai esistiti. E per quelli che rispondono con:-E’ solo un momento, passerà -Sei solo un po’ tragico -Stai provando sul serio ad essere felice? -Prova a cambiare il tuo stile di vita -E’ tutto nella tua testa, sei tu che decidi -Sei tu che non vuoi stare meglio, è colpa tua. -C’è chi sta peggio. -Non ti servono i farmaci! Esagerato/a ....Abbiamo detto di non mentire, no? Bene. Allora sappiate che delle volte, se non si ha nulla di utile o intelligente da dire, è meglio tacere. Peace and love. Per le testine: Ciao, anche tu qui nel girone della cacca? Bene ma non benissimo. Anche a te non mentirò, è uno sbatti di quello potente. Ma proprio potente. Il mio tipo di depressione era quello disordinato: Avevo camera che era una giungla. Sistemavo le minime cose e mi sembrava di aver fatto tanto, faticavo come se avessi fatto tanto, ed invece non riuscivo a fare un cazzo di niente. Certo, fuori in casa aiutavo tranquillamente, facendo brillare anche una stanza intera. Ma la mia stanza? Pf. Non solo. Mi sono chiusa in me stessa, e mi sono al contempo sempre affidata agli altri. Mostravo una faccia sorridente, da piccola mutavo anche il mio carattere per provare a farmi accettare. Poi ho capito che fa schifo. Così, verso le medie, ho provato ad essere asociale. Spoiler:fa schifissimo anche quello. Ho donato tutta me stessa alle persone, ma indoviniamo? E’ pericolosissimo e FA SCHIFO ANCHE QUELLO YUHUUUU. Perciò, come si può fare? Semplice: ammettiamo di avere bisogno di aiuto. Ci sembrerà un crimine gravissimo, che gli altri ci possano prendere per vittimisti, perché abbiamo osato disturbarli, esternare che stiamo male. Perché ce lo insegnano da bambini che stare male è una brutta cosa e va nascosta. Ma non è così. E’ normale. E’ DAVVERO normale. E chiedere aiuto non è sbagliato. Chiedere aiuto è davvero la soluzione. I vostri amici/parenti/san crispini non ci credono? Lo so, non è facile. Ma se in fondo, molto in fondo, vi vogliono bene lo capiranno che state dicendo la verità. Soffro di tricotillomania da quando avevo 8 anni. Fortunatamente non in maniera grave, mi tolgo giusto un po’ le sopracciglia. Mia madre lo sapeva, e non ci ha mai dato troppo peso. Fino a due mesi fa, quando in una delle crisi ha visto proprio il gesto, a cui prima non aveva mai fatto, volontariamente o non. Ha visto che era un mio modo per autolesionarmi. Si, mi faceva scaricare lo stress,come mangiare le unghie può essere per qualcun’altro, ma non era sano. Ora? Ora ho una cura di prova. Sto un pochino meglio. La mia camera sta prendendo una forma carina. Pulire ancora mi pesa (forse sono un po’ disordinata anche nell’animo) ma riesco a dormire di più, a mangiare meglio, a svegliarmi la mattina. (WAH) La cosa più importante per me, però, è che io e mia madre riusciamo ad avere un contatto umano, fisico e non, senza che implichi il litigio o i soldi. Riesce a non guardarmi più solo con disprezzo, ma ad apprezzare tutto ciò che non vedeva prima perché ero sommersa da questa coltre nera di schifo, ed io che percepivo da lei quella negatività e rigetto che mi faceva ancora più male.  Sono solo due mesi, sono ancora all’inizio. Lo spiraglio non è ancora abbastanza grande per farmi passare, è piccolo come una mandorla. Ma ho iniziato, e voglio continuare. Non mi basta un assaggio, voglio tutta la fottuta torta, cazzo.  Non so se ci riuscirò, delle volte mi sento ancora giù.. E ad i miei amici ancora fatico a chiedere aiuto se non nei momenti di stremo. Ma non è una cosa che va fatta di fretta. Un passo alla volta, piano piano. E non importa se vorrai esternarlo come ho fatto io o meno. Decidi tu dove vuoi lavarli i tuoi panni sporchi <3
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intotheclash · 4 years ago
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"Che c'è, Pietro, non sai cosa dire?"
"No." Risposi con una vocetta appena udibile. Davvero non sapevo cosa cazzo dire. Guardai anche mia sorella, in cerca di una qualche illuminazione, di un appiglio qualsiasi, mi sarei aggrappato a tutto, pur di uscire indenne da quella pericolosa e niente affatto chiara situazione, ma lei rispose picche. Si voltò verso il televisore e mi lasciò solo contro tutti. Non voleva immischiarsi e non si sarebbe immischiata. Se se la prendevano con me, avrebbero lasciato in pace lei; la legge della giungla. Schifosa di un'egoista! Ma, alla prima occasione, me l'avrebbe pagata. Come si suona si balla.
"Allora, visto che non sai cosa dire," Iniziò mio padre, "Lo faccio io per te. Ti racconto la mia parte di storia, quella che ho dovuto ascoltare stasera, prima di cena. Dopodiché sarai tu a raccontare la tua e bada bene di raccontarla tutta. E soprattutto precisa. Se mi accorgo che mi stai fregando, o soltanto me lo fai pensare, ti darò una di quelle strigliate che te la ricorderai finché campi. E potrai anche dire addio ai tuoi amici per tutta l'estate, visto che non ti farò più uscire di casa. Ci siamo intesi?" Dovetti acconsentire. Non è che fossi poi tanto d'accordo, ma cosa potevo farci? Comandava lui! Lui prendeva le decisioni e io le subivo. Non avevo alternativa. Per quanto riguarda il dove volesse andare a parare era ancora buio totale. Dovevo pazientare.
"Stasera, prima di venire a cena," Iniziò, "mi sono incontrato al bar con Mario, il papà del tuo amico Sergio, abbiamo deciso di giocarci l'aperitivo a scopa. Una partita secca, chi perde paga, naturalmente. Consuetudine, lo facciano sempre. Ad un certo punto entra nel bar quella gran testa di cazzo dell'avvocato Terenzi..."
Quel cognome mi scoppiò in testa come una bomba a mano. Ora si che era tutto chiaro. Riuscivo a vedere solo disgrazie. Pensai al sangue che zampillava dal naso di Alberto Maria, il figlio dell'avvocato, pensai... Oh no! Peloroscio! Sembrava che si fosse ripreso, che stesse meglio quando lo avevamo lasciato al campo. Invece... Invece doveva essere morto, porco cane! Ecco perché mio padre era incazzato nero! Era finita! Sarei stato sbattuto in prigione per tutta la mia miserabile vita.  Probabilmente anche i carabinieri sapevano già tutto e stavano venendo a prendermi. Forse i miei amici li avevano già rinchiusi. Ero disperato, avevo voglia di piangere. Gli occhi mi si arrossarono e iniziò a tremarmi il labbro inferiore. Era finita! Il vecchio se ne accorse, fece un mezzo sorriso di vittoria e proseguì: "Vedo che non sei del tutto stupido, che stai iniziando a riflettere. Ma non è ancora il tuo turno di parlare, prima devo finire io. Dicevo: entra nel bar l'avvocato Terenzi. Un fatto strano, perché quel figlio di una puzzola è tirchio come un genovese di origini ebraiche e, là dentro, non ci mette mai piede, neanche per un caffè. La cosa ancor più strana, però, è stata che, appena entrato, si è diretto deciso verso il nostro tavolo. Sputava fiamme come un drago. Prima ci ha vomitato addosso una catasta di insulti, almeno dal tono sembravano insulti,  le parole non si capivano bene, quel borioso idiota parla una lingua che solo lui capisce. Ed è stata la sua fortuna, altrimenti sarei tornato a casa con una collana fatta con i suoi denti. Ma quando ha deciso di farsi capire, si è fatto capire bene e ci ha raccontato una storia. Una storia che tu dovresti conoscere bene e che, tra poco, sarai costretto anche tu a raccontare. L'avvocato ha detto che, giù al campo sportivo, tu e i tuoi amici siete saltati addosso a quel bastardo del suo adorato figliolo, lo avete caricato di botte e, non contenti, gli avete pure fregato il pallone. Adesso sta all'ospedale di Civita Castellana con il naso rotto e tutto gonfio. Un bel lavoro, non c'è che dire. Ha detto anche vi denuncerà tutti e a noi ci toccherà pagare una barca di soldi. Il Bastardo!"
Le lacrime trovarono finalmente la strada e sciamarono fuori. Un torrente di montagna dopo mesi di pioggia intensa. Portava con se un sacco di detriti, paura, rabbia, ma anche sollievo. A pensarci bene, soprattutto sollievo. Peloroscio non era morto e, per la seconda ed ultima volta nella mia vita, ne fui felice. Ero scampato di nuovo alla prigione. Subito dopo venne la rabbia. Ci mise un attimo a prendere il sopravvento.
"Non è vero!" Urlai "E' un bugiardo! Bugiardo lui e bugiardo suo figlio! Il pallone era mio. Quello che mi hai regalato tu, quello di cuoio. Noi stavamo già giocando, poi è arrivato il figlio dell'avvocato, insieme a Peloroscio e a Ringhio, mi hanno gettato in terra e mi hanno fregato il pallone. Il mio pallone, non il suo!
"Se le cose stanno in questo modo, allora avete fatto bene a suonargliele. Domani mi sente quel lurido verme! Erano pure in tre i figli di bagascia. E tutti più grandi di voi." Vidi lo sguardo del mio vecchio e capii che stava rispolverando l'idea della collana fatta con i denti dell'avvocato Terenzi. La cosa non mi dispiaceva affatto.
"Veramente, papà, non siamo stati noi a dargliele..."
"Ascolta, stronzetto, ho detto niente bugie! Cosa vorresti farmi credere? Che si sono picchiati tra di loro? Che il naso a quel prepotente figlio di prepotenti lo hanno rotto i suoi compari?"
"Non dico bugie! E non ho detto neanche questo! Il naso all'avvocatino lo ha rotto Pietro il Maremmano. E le ha suonate anche ai suoi amici. Anzi, solo a Peloroscio, perché Ringhio se l'è fatta sotto ed è rimasto paralizzato dalla paura." Dissi tutto d'un fiato.
Mio padre non ci stava capendo più un cazzo. Guardò prima me, poi mia madre, che lo mise al corrente su chi fosse questo Maremmano, che lui non aveva mai sentito nominare, né aveva idea di chi fosse figlio, o dove abitasse. Volse ancora una volta lo sguardo verso di me e, con una calma che proprio non gli riconoscevo, disse: "Ascolta, piccolo, raccontami di nuovo tutto daccapo, senza tralasciare nulla. Poi deciderò il da farsi." Ed io raccontai. Daccapo. Con dovizia di particolari. Dalla mattina. Raccontai delle biciclette, del pranzo, della partita e infine dello scontro. Il vecchio non mi interruppe mai. Si limitò a seguire il racconto, accompagnandolo con cenni di approvazione, o di disapprovazione, a seconda dell'evolversi degli eventi. Alla fine ero stremato. Stremato ma sollevato. Mi sentivo stranamente leggero. La paura era scomparsa. Mi sentivo bene.
La risata di mio padre piombò giù dalla cima del monte, come una valanga, con lo stesso frastuono e la stessa forza dirompente. Dapprima, io, mia madre e mia sorella, restammo pietrificati, poi ci lasciammo contagiare e fu risata liberatoria per tutta la famiglia. Non capivo bene cosa ci fosse tanto da ridere, ma me ne guardai bene dal protestare; poi era bello ridere tutti insieme. Non riuscivamo più a smettere e papà era quello che rideva più forte. Come suo solito, rideva e piangeva e menava delle manate sul tavolo e sulle mie spalle, facendomi anche male, ma non protestai.
"Certo che questo ragazzino deve essere un bel fenomeno!" Disse quando si fu calmato, "Hai detto che ha la tua stessa età, vero?"
"Si."
"E ha lisciato il pelo a tre ragazzi più grandi di lui?"
"Si."
"Davvero un bel fenomeno. Solo mi sfugge una cosa: nel frattempo, tu e quegli altri stronzetti dei tuoi amici, cosa facevate? Non gli avete dato una mano? Anche se, da quanto ho capito, non è che ce ne fosse bisogno. Casomai potevate darla a quegli altri tre perdigiorno!" E giù un'altra mitragliata di risate.
"No." Risposi molto timidamente.
"No? E perché no? Se le avesse buscate?" Era di nuovo serio.
"Perché avevamo paura! Lui non è di qui. Lui non sa come vanno le cose. Quelli erano più grandi e quelli grandi si approfittano sempre dei piccoli. Guai a protestare. Non era la prima volta che ci fregavano il pallone. Lo fanno sempre. E se ti azzardi a protestare, giù botte."
Aveva capito. Fece segno di si con la testa. Sicuramente anche quando era un ragazzino lui funzionava così. "Capisco, ci sono passato anch'io. E' così che va il mondo, perdio! Pesce grosso mangia quello piccolo. E' una legge di natura. Non ci sono santi. O, forse, no, sembra che il meccanismo si sia inceppato. Credo sia un buon segno." Sentenziò. Si alzò dalla sedia, si infilò una camicia a quadri sopra la canottiera d'ordinanza, mi fece l'occhiolino e: "Infilati una maglietta pulita e andiamo." Disse.
"Dove?" Chiesi. La paura stava tornando a farsi sotto. Non ero mai uscito con lui dopo cena.
"Voglio conoscere questo fenomeno del tuo amico. Subito."
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lonleysometimes · 4 years ago
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Eccomi qua, anche io con una relazione difettosa, o forse quella difettosa sono io.
Sono una ragazza di 30 anni, indipendente, ambiziosa e che sa il fatto suo e il suo valore nella vita e nel lavoro che sto intraprendendo. Sto cercando di costruirmi una carriera. Viaggio tanto, ho un giro di amicizie fantastiche, tanti interessi e una famiglia che mi ama e mi supporta in tutto quello che faccio. Le relazioni amorose però, per un certo verso, non sono il mio forte.
Ti faccio una premessa, ho perso mia madre quando avevo 10 anni e mio padre a 19. Genitori che ho amato/amo alla follia. In particolare mio padre. Un uomo che ad oggi, con un po’ di complesso di Elettra, vedo perfetto e inarrivabile. Un padre che però mi ha insegnato che non avrei mai dovuto dipendere da uomo, ma quest’ultimo doveva essere un compagno di vita che sceglievo per amore indipendentemente dal resto. Dovevo insomma essere felice.
Ti tralascio i dettagli di storie passate andate male, una miriade di amori non corrisposti in cui mi sono persa inutilmente, non sono riuscita a stare con uomini che non amavo, ma loro mi avrebbero portato la luna. Relazioni brevi e fugaci, mai nulla di veramente serio, ma sono sempre loro che mi lasciano e poi trovano una nuova che sembra “l’amore della vita”. Mi chiedo come mai, dove sbaglio, perché sono l’eterna seconda e che cosa mi manca per non essere scelta. Troppo super donna? Troppo indipendente? Troppo incasinata? Troppo ingestibile? O forse no, forse sono solo io che mi vedo così e in realtà non c’è grande valore in tutto quello che ti racconto di me.
Eppure io cerco qualcuno con cui costruire una vita e chissà magari una famiglia e più cresco più ho voglia di questo.
Arriviamo alla mia ultima relazione difettosa.
L’anno scorso ho incontrato P., poco più grande di me, affascinante e intrigante. Già ci conoscevamo, io sapevo che lui non era in cerca di cose serie, ma io, uscita da un’altra storia difettosa, decido di accettare un suo invito. Parte così una relazione friends with benefits, cercata da entrambi ma principalmente imposta da lui (ma dai). Lui mi inizia a piacere sempre di più, quindi arriva un punto in cui questa relazione non è abbastanza per me.
Chiudo la relazione facendomi piano piano di nebbia, con dispiacere ma senza rancore. Incontro un altro ragazzo E., sulla carta il principe azzurro. Fa tutte quelle cose che P. non faceva. “Ti vengo a prendere in stazione”, “Mi manchi”, “Passiamo una giornata insieme”. Insomma tutte quelle cose belle da relazione normale. P. appena scopre che mi sono fidanzata mi cerca e mi ricerca, convinto che mi avrebbe portata tra le sue braccia di nuovo. Ma io non ci casco, non posso farlo a me stessa e al rispetto che ricevo in questa relazione. Lo respingo più e più volte per 8 mesi. Come un fulmine a ciel sereno E. mi lascia con un “non provo sentimenti”. La vera realtà dei fatti è che aveva incontrato un’altra. A quel punto, dopo una delusione iniziale, capisco che questa relazione, che sembrava perfetta e un trampolino verso una vita insieme, in realtà non mi aveva lasciato niente.
Ovviamente cosa faccio, ovviamente torno da P. – Cerco di impormi più leggerezza, “quel che viene viene”.
Non ho aspettative e sono più sicura di me. Per tre mesi ci vediamo, di base sembra solo sesso, ma è tutto diverso rispetto all’anno prima. Parliamo, ceniamo insieme. Io vedo solo lui e lui vede solo me, ma rimaniamo nel limbo. Viviamo e stiamo bene. Accade la quarantena e non ci possiamo più vedere. Il tempo si ferma e siamo alienati. Veniamo sottratti del sesso, ma abbiamo entrambi voglia di sentirci accanto. Parliamo tanto e ci preoccupiamo l’uno dell’altra “mi man
chi” “non vedo l’ora di vederti” “quando finisce tutto stiamo un giorno insieme”. Io ovviamente non sono immune a tutto questo, ma mi ripeto che è il disagio della quarantena che spinge lui a fare questo, per proteggermi
La quarantena volge al termine, torniamo a una vita pseudo normale. Ci vediamo, lui è freddo e distante. Io quindi mi comporto di conseguenza. Di lì a qualche settimana mi dice che ha iniziato a frequentare seriamente un’altra, ma che a me ci tiene, magari “rimaniamo amici”. Di nuovo, l’eterna seconda, quella che non è abbastanza.
Senza rancore, scenate o spiegazioni, gli auguro il meglio e gli dico che possiamo mantenere un rapporto civile. Sono ferita, ma intraprendo la graceful exit, da signora. Lui continua a scrivermi continuamente (ammetto che mi fa pure piacere), io rispondo per educazione ma ovviamente distante e senza provocarlo. Lui rigira la frittata, dicendo che sono fredda, arrabbiata e che non ne ho motivo. Quindi adesso sbaglio pure le reazioni? Troppo dura? Cosa si aspettava l’amicona o la gatta morta che continua a provarci? Niente Ester, vorrei avere la forza di uscire definitivamente da questa storia e abbandonare questa persona, ma una voce dentro di me mi dice di provare il tutto per tutto perché non hai niente da perdere.
Scusami per il papiro.
Grazie mille.
G. 
Cara G.,
insomma siamo sempre qui. Che mi squaderni a fare il curriculum della prima della classe se poi non usciamo dal desiderio somaro di relazione complessa? A che serve aver letto i libri giusti, viaggiare, l’iscrizione al circolo arci?
Devo provare tutto perché non ho niente da perdere. Che invidiabile disprezzo per il tempo, G., hai trovato il negozio che vende vite di riserva a poco prezzo senza intercessione del demonio?
Dannarsi piace e tutte le scuse sono buone. C’è poco da fare a parte ammetterlo.
La prendo con leggerezza, quello che viene, viene – la balla suprema. Chi sa pendere le cose con leggerezza inconsistente è la gattamorta, padrona e gran Ciambellana dei sentimenti. E le gattamorte certo non scrivono, sono offline a comandare il mondo. È una questione di carattere. Per le cose prese con leggerezza ci vuole la mano, il talento, lo spirito, serve fregarsene in fondo dell’amore e serve nascerci. Quelle streghe sono inarrivabili, disinvolte bellissime. Pure io volevo essere una di loro.
Tuo padre aveva totalmente ragione. Serve un uomo perbene, rispettoso, di rette abitudini e sani pensieri, non prepotente, forte, generoso, lucido, intelligente, cresciuto, risolto. Ce ne sono, questa è la buona notizia, non con tutte le qualità in equo bilanciamento, ma ce ne sono. Codesti masculi santi non sono neanche avvolti nelle tenebre, occultati, tenuti a chiavistello. A differenza del marcio, il buono non è qualità che resta nascosta a lungo. Insomma il bravo figliolo di solito lo riconosci, non serve scavare alla ricerca di qualità inabissate.
Gli inutili, quelli che scrivono ma non ti vogliono, pure loro ci tengono a farsi riconoscere, a dirla tutta. Certi (come il tuo) propongono senza tema il contratto di assunzione alla poveracrista: non voglio niente di serio da te. Sei al nero, baby. E il pesce abbocca lo stesso! Senza esca! Alcune automunite si recano anche a casa sua! We deliver!
La verità è che la femmina non vede l’ora: si sente sfidata a riuscirci, tu non mi vuoi ma io ti plagerò – l’eroina, la cretina. Alzi la mano chi l’ha fatto e si scagli la prima pietra da sola.
Parità di genere sarebbe accettare davvero l’accordo “va bene così”. Poi però non va mai bene così e precipitiamo negli eterni anni novanta del “perché non chiama?”.
A complicare le cose ci si mette la fortuna di incontrare per la via gente che invece a te ci tiene. Ogni relazione decente che il padreterno ti manda sarà sempre sfregiata da una domanda: epperò come mai non provo niente? Perché sono invece attratta da eccetera?
Succede perché il buono non garba tanto spesso, G., figurarsi a vent’anni, trenta. Bisogna essere persone con tutti i bulloni a posto per innamorarsi solo degli adatti, servono troppe circostanze fauste: eccellenti genitori, belle amicizie, vita in città con alternative facili – dove basta cambiare quartiere per cambiare gente. E soldi, non parliamo di quanto aiutino i soldi a non innamorarsi male.
Non mi prendo la responsabilità del freddo che sta per scendere su questa pagina, lascio a Flaiano. Che spiega perché molte di noi sono sceme, o sono state sceme per qualche decennio, e in generale perché il mondo va alla rovescia.
Indulgenza per la gente che si comporta male. Chi non suscita né simpatia né compassione è l’uomo medio, onesto e senza grandi inclinazioni al male. L’uomo che lavora per tirare avanti, che mette su famiglia e la mantiene. L’uomo medio è antipatico. (Io sono antipatico. Mi si sopporta). Per diventare simpatico bisogna comportarsi da canaglia, per farsi amare bisogna farsi mantenere. È l’equivoco erotico che continua. Il malvagio dà quelle garanzie sessuali che la persona per bene non dà. Chi si comporta rettamente ammette la sua «ordinaria» attività sessuale e non interessa.
Il seguito, quello che osservo sugli esiti degli amori stracciati, ovvero la convalescenza, come guarisce la testa di femmina che picchia sul muro alla ricerca dell’amore fatto apposta per me, è una lenta convergenza verso uno stato d’animo non troppo definibile, fatto della stessa sostanza della vittoria e della rassegnazione, che s’addensa in luoghi comuni. Sono il patrimonio dell’umanità femminile che viene tenuto nelle stanze segrete, questi luoghi comuni.
Li avrai sentiti pure tu. Più ti allontani dai vent’anni meno sanno di rancido. Eccone alcuni, ho preso i più banali: “Poi subentrano altre cose” “L’amore non è quello dei vent’anni” “se mi mettevo a cercare quello perfetto lo trovavo all’ospizio” “le favole lasciamole alle ragazzine” “leviamole pure alle ragazzine”.
L’amore è fatto di una mezza misura perfetta, G.. E’ una lenta aggiustata delle aspettative, una sudata discesa nelle valli del compromesso. Vedi tu per che via arrivare alla relazione finale. Guerra o pace. Se sei più a tuo agio dentro le dolenti poesie o in un messaggio whatsapp che dice “manca il detersivo per la lavastoviglie”.
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corac3 · 5 years ago
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"Se il link è riferito a me...(benvenuto nelle cazzate te chiazza 🤷‍♀️)
Ovviamente è ironia e basta la mia.
Detto questo, non mi sento di averti mai mancato di rispetto, anzi è stato sempre il contrario. Ho provato sempre grande stima in te sia come uomo che come mio compagno. Sono stata sempre orgogliosa di averti affianco e se ne avessi avuto la possibilità l'avrei gridato ai quattro venti quanto il mio cuore era fiero di te e lo è tutt'ora.
È l'amore che mi lega a te che me lo ha sempre imposto, perché non c è amore senza rispetto ; ma non c'è n era neanche bisogno perché rispettarti mi è sempre venuto spontaneo. Se ti senti mancato di rispetto o cmq trattato male mi dispiace e me ne scuso perché se è successo era lungi da me che accadesse. È facile puntare il dito e dare colpe... Ma tu ti rendi conto di quanto sei effettivamente cambiato nei miei confronti negli ultimi due mesi? Secondo me no.  Hai iniziato ad essere distante (e dico sul serio) e io ho cercato in tutti i modi di comprenderne il perché e se  io ho iniziato a cadere è perché tu hai mollato la mia mano... Mi sono data anche delle colpe, pensando che fosse colpa mia e di tutto quello di cui  la vita mi ha fatto pagare un conto troppo alto per qualsiasi essere umano. E poi ho voluto capirci di più e ti ho messo di fronte alla realtà dei fatti chiedendoti quanto e come volevi esserci nella mia vita! Te lo ricordi? Te l ho chiesto più volte, così come ti ho sempre chiesto sempre e da sempre che se fosse cambiato qualcosa nel nostro rapporto avrei voluto avere la possibilità di scegliere se continuare a stare con te consapevole che tra noi qualcosa era cambiato. E a questo ci tenevo davvero tanto. Ma se  ti do la possibilità di dirmi la verità e tu non lo fai, ti sputtani la mia persona!
A volte, è stato il tuo comportamento a parlare per te e il mio è solo una conseguenza al tuo, perché spesso il calo di interesse lo si capisce anche da un sms. Ma non sono arrabbiata giuro, ma mi sarebbe tanto piaciuto che tu avessi parlato con me così come ho sempre fatto io con te.
Hai scelto di non credere nel sentimento che ci legava, penso che sia successo questo. Si hai scelto e ora mi chiedo se tu non abbia confuso l'amore per me per una stupida infatuazione e quindi poi ti sei ricreduto  o se non era solo per il sesso 🤷‍♀️, ormai metto in conto tutto, perché veramente non so più che credere e mi piacerebbe sul serio saperlo.Non può essere altrimenti se prima fai dei progetti di vita con una persona e poi fai un passo indietro enorme. Forse hai realizzato che non era quello che volevi.
O forse, non ero io alla tua altezza, in fondo cosa vuoi che ti dia una sempliciotta come me 🤷‍♀️.Non ho niente da offrire se non amore. Ma capisco tutto, capisco che ci sono dei rischi che non ti sei sentito di correre, una famiglia da salvaguardare oltre che alla faccia, un tenore di vita tanto diverso dal mio ..e tanti sacrifici che non vanno vanificati stupidamente. Non te ne faccio una colpa, anzi. Ma quel giorno in hotel , quando hai cercato di darmi una spiegazione, dopo tanti giri di parole, mi hai fatto il paragone del tuo conoscente che era rimasto senza nulla per le scelte affrettate fatte. Mi hai detto :" È rimasto senza niente da una parte e dall'altra!"
Questa è paura!!!paura di mettersi in gioco.
E non c è niente di male ad aver paura, siamo esseri umani. Ma questo mi ha fatto pensare a quanto tu abbia creduto poco nel mio amore per te, in noi, perché mai ti avrei voltato le spalle nel bisogno e nelle difficoltà se mai ce ne fosse stato bisogno. Ero davvero disposta a tutto per te, anche a rivoluzionare la mia vita, consapevole delle conseguenze che avrei dovuto affrontare perché ti volevo parte integrante di essa con tutto il cuore.
Ma tu quanto mi volevi nella tua? Te lo sei mai chiesto? Veramente dico. E come mi volevi? Perché a me piacerebbe davvero saperlo, perché ad oggi non l ho ancora capito o forse si, ma mi è difficile accettarlo, e mi sarebbe piaciuto sentirlo da te.
Questo non toglie che io non ti ami, non ho mai smesso di farlo nemmeno per un istante ma un passo io e un passo tu. È così che funzionano i rapporti con la reciprocità, con la presenza. Cinque anni sono tanti, non sono 5 giorni o 5 settimane. Cinque anni in cui non ho chiesto, non ti ho chiesto promesse o altro..ti ho solo chiesto di restare anche quando si sbaglia o si inciampa, xke l amore si rivela soprattutto in questi momenti. Si inciampa, sì cade ma ci si rialza insieme e invece tu nell'ultimo messaggio dove ti dicevo che forse eravamo ai saluti mi hai lasciata andare senza battere ciglio. Non ho visto nessuna voglia di rimanere da parte tua, magari  sbaglio ma ti ho visto forse anche un po' sollevato. Sbaglio? Mi hai augurato gioia, ma non hai mai capito che la gioia nella mia vita eri tu, serenità e amore. Tu la mia casa, da subito e da sempre. Potrei continuare a scriverti all'infinito ma so che non sarai d'accordo con gran parte di tutto ciò che ho detto, perciò mi fermo.
L'orgoglio crea muri purtroppo e se predomina su ciò che è importante x noi , quella cosa o quella persona forse tanto importante poi non era.
Mi ami?
Te l ho sempre chiesto e non ho mai sentito da parte tua un si o un no o un altro ti amo, senza troppi giri di parole. E lo so che pensi che ognuno dimostra in maniera diversa, ma a volte si ha proprio bisogno di sentirsele dire le cose. E dirle le cose salva spesso i rapporti.
Si e no, due piccole sillabe che a volte fanno una grande differenza. Questa sarà l'ultima volta che te lo chiedo. E non prenderla come un imposizione o una mancanza di rispetto, ho solo bisogno di una risposta.
E sentiti libero di rispondere o non farlo, in ogni caso sarà una risposta.
Sentiti libero di voler scoprire ciò che siamo oppure no, se dare le spalle ad un pezzo di vita passata insieme o mettersi in gioco per costruirne una insieme.
Mi ami?".
Non ha mai risposto 💔
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margheritegialle · 5 years ago
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oggi mi sono costretta a prendermi un pò di tempo per me. ma non è poi così vero, sono sola nella mia stanzetta perchè non voglio vederti ecco tutto. ma non voglio vederti perchè ho bisogno di pensare, e quando penso poi scrivo quindi sì, si può dire che ho appositamente ritagliato un pò di tempo per me. pensavo al fatto che tutto resta sempre uguale eppure se guardo indietro a due mesi fa, Dio, è tutto così diverso. ora so che anche tu provi per me quello che provo io, MA io sono stanca di tutti questi ma e dei se e dei forse io voglio e ho bisogno di cose semplici, di persone ed emozioni vere che si lasciano travolgere da quello che sentono, che non cercano scuse giustificazioni io ho passato una vita intera a farlo. a “proteggermi”. e per la prima volta che invece mi volevo lanciare nel vuoto, con te, per la prima volta che non avevo paura, ovviamente ce l’hai tu. per me e per te. io mica lo sapevo cosa significasse stare insieme a qualcuno che fosse come te. eppure c’avrei provato comnque, e sul serio. perchè se mi sono innamorata di te significa che ci sono forze più grandi di noi che non possiamo controllare, e queste forze mi portano a pensare ai nostri occhi quando si mescolano e diventano gialli, alle nostre mani che a notte fonda si sfiorano, alle risate che fuoriescono dal cuore. e dico, non mi posso ribellare. non posso. ho capito che proprio non posso rinnegare quello che sento. poi, però leggo il mio oroscopo di oggi e mi avverte che sto idealizzando un pò il tutto sai, che non sei sto gran pezzo da 90 che decanto io. e allora forse penso che forse accade sempre tutto nella mia testa, che sono io che sento troppo che sento troppo tutto  non riesco ad essere più leggera non riesco ad essere brezza cazzo, sono sempre tempesta, uragano, forza primordiale che distrugge sempre tutto però poi mi fermo di nuovo e ripenso al fatto che, per la prima volta in vita mia, ho anche detto con cuore in mano tutto ciò che sentivo, ho lasciato che qualcuno all’infuori di me vedesse le mie fragilità, il mio essere anche indifesa, a volta ed è stato bellissimo ma più che bellissimo, è stato liberatorio ecco mi ha guarita da quelle ferite che non riuscivano a rimarginarsi da anni ed anni, su cui neanche la luce del sole faceva effetto. certo, ho anche capito che parlare non serve niente, rispetto a te, a noi. ma non importa insomma dai, io non posso permettermi più di distruggermi di farmi del male come tu non puoi più permetterti di soffrire. e allora si. vado contro me stessa e smetto di mollare, mollo. un’altra cosa che non ho mai fatto, la faccio con te. non posso e non voglio continuare a stare dietro ad una persona che dice di provare sentimenti per me -senza entrare nello specifico mai restiamo sul vago- ma per cui io non sono la priorità. nella mia testa e nel mio cuore l’amore vince SEMPRE su tutto. è una forza promotrice di cose sconosciute e violente, a cui io non riesco a non sottostare.  ed io mi fido di te ma mi fido molto più di me stessa, di quello che sento. siamo qualcosa di bellissimo noi e di raro, soprattutto. e questo mi fa incazzare e soffrire parecchio ma ho appena realizzato, adesso adesso eh, che anche io in quanto IO sono qualcosa di bellissimo e di raro, che a volte si perde e va a male perchè ha poca fiducia nelle proprie capacità, ma in ogni caso una luce flebile resta, non si spegne mai. e dunque. basta riaccenderla un pò, e ritorno a brilllare.  io ritorno a brillare. posso dunque trovare qualcun altro con cui correre, e guardare le stelle la notte mentre si parla di tutto e di niente e si ride a crepapelle e si fumano sigarette infinite come noi, e posso trovare altre mani che sanno toccarmi e farmi venire così bene come sai fare tu, e soprattutto, posso trovare qualcuno che mi ami DAVVERO, con tutto se stesso, senza problemi lavorativi, con cose passate, con la mamma, con prospettive future. che mi ami con semplicità e in modo puro e dissoluto. come facevo io, non tu. come ho sempre fatto io. e quindi sì, basta. ma non scappo. non scappo via, non torno a casa, che la mia casa qual è? la mia casa sono io, la mia pelle, i miei ricordi le mie radici, i miei sogni che fanno ancora viaggiare la mia testa fra le nuvole che la mia rinascita, quella vera, abbia inizio. partendo da me, da tutto quello che è stato certo ma soprattutto da quello che è rimasto. luce luce luce come un girasole voglio sentire solo e tutto il calore su ogni cm di pelle ce la farò come ho sempre fatto.  non sono più ossessionata da te e dal nostro futuro insieme che io ancora manco lo so dove sarò fra un mese, come sarò, che faccia nome pelle avrò tu dici tanto di conoscermi, di capirmi, ma io non sono facilmente identificabile e mai lo sarò tu non hai visto ancora niente ero bruco e ti sei innamorato di me ma io farfalla ci divento quando divento libera, e libera così non lo sono stata mai e dunque il momento è giunto per rinascere, rifiorire, spiegare le ali e volare via, nella luce.
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gloriabourne · 5 years ago
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The one with the punishment
"Devo dirti una cosa."
Fabrizio sollevò lo sguardo lasciando perdere per un secondo la lavastoviglie. Quando Ermal pronunciava una frase del genere con un tono così serio, non era mai nulla di buono.
L'ultima volta che lo aveva fatto era stato quando, qualche mese prima, gli aveva confessato di essersi visto con Silvia per un caffè. E Fabrizio non era un uomo geloso quindi gli stava bene che Ermal fosse rimasto in contatto con la sua ex e che si frequentassero come due buoni amici, ma era pur sempre una donna con cui era stato per nove anni ed Ermal lo sapeva benissimo. Ecco perché aveva aspettato a dirglielo ed ecco perché lo aveva fatto con il tono serio di chi ha fatto qualcosa di terribile.
Quindi Fabrizio non poteva che essere preoccupato sentendo nuovamente quel tono di voce.
Si sedette di fronte a Ermal, fregandosene della lavastoviglie lasciata aperta, e disse: "Che è successo?"
"Niente di grave, Bizio. Te lo giuro."
"E allora perché sei così serio?"
"Perché so che probabilmente non ti farà piacere sapere questa cosa."
"Che cazzo hai combinato, Ermal?" disse Fabrizio, con tono un po' più secco e sempre più preoccupato.
"Ricordi che qualche mese fa Francesco è passato a trovarmi in studio?"
Fabrizio sbuffò sentendo nominare il collega con cui aveva avuto qualche attrito. "Fin troppo bene."
"Ecco. Ti ho detto che era venuto a salutarmi ma non era del tutto vero" disse Ermal.
Si stava torturando le mani, sfilandosi gli anelli dalle dita con fare nervoso.
Fabrizio aggrottò la fronte. "Che vuoi dire?"
"Abbiamo lavorato a un pezzo. Esce la prossima settimana" ammise finalmente Ermal.
Fabrizio rimase in silenzio, immobile, quasi come se non avesse sentito ciò che il compagno aveva appena detto.
Dopo qualche attimo, si azzardò a dire: "Vediamo se ho capito bene: tu hai lavorato a una canzone con Renga qualcosa come tre mesi fa, e me lo dici solo ora?"
"Lo so, scusami. È che avevo paura di come avresti reagito. So che tu e Francesco vi siete chiariti, ma so anche che non ti sta molto simpatico."
"E no che non mi sta simpatico! Sai qual è l'unica cosa su cui andiamo d'accordo? Entrambi teniamo a te, ecco perché abbiamo cercato di chiarirci. Io non voglio problemi con i tuoi amici e lui non vuole averli con il tuo fidanzato, ma la cosa finisce lì" disse Fabrizio alzandosi e finendo di caricare la lavastoviglie, chiudendola poi con un tonfo.
"Sei arrabbiato?" chiese Ermal.
Fabrizio sbuffò. "No. Però sono dispiaciuto. Vorrei che tu mi raccontassi tutto e invece questa volta non l'hai fatto perché di mezzo c'è un tuo amico che io non sopporto. Non va bene, Ermal. Non possiamo nasconderci le cose."
Ermal si alzò e raggiunse Fabrizio, posizionandosi alle sue spalle e circondandogli la vita con un braccio.
"Lo so, amore. Scusami. Mi farò perdonare" disse lasciandogli un bacio sul collo.
Fabrizio si abbandonò tra le sue braccia e sorrise. "Non è necessario."
In quel momento effettivamente non sentiva quella necessità. Ma spesso la rabbia viene fuori in momenti impensabili e forse, qualche giorno più tardi, Ermal avrebbe dovuto davvero farsi perdonare.
  L'uscita della canzone aveva decisamente scosso i social, anche se non proprio in senso buono.
I commenti positivi c'erano stati, ma ce n'erano stati altrettanti - e forse anche di più - negativi.
In un qualsiasi altro momento, Ermal sarebbe tornato a casa di corsa, si sarebbe rifugiato tra i commenti sicuramente positivi di Fabrizio. Ma in quella situazione era certo che Fabrizio sarebbe stato molto più severo di qualsiasi altro commento avesse letto fino a quel momento.
"Ciao!" disse a voce alta entrando in casa, sapendo che Fabrizio probabilmente se ne stava nello studio a rifinire i dettagli per il tour nei teatri.
"Ciao" rispose l'altro andandogli incontro.
Ermal lo guardò sorpreso appendendo il cappotto all'attaccapanni dell'ingresso. "Ero convinto che stessi lavorando."
"Mi sono preso una pausa per ascoltare la canzone" disse Fabrizio con tono annoiato, affondando le mani nelle tasche dei pantaloni.
"E...?" chiese Ermal curioso.
Teneva al giudizio di Fabrizio, anche quando non era positivo. Anzi soprattutto quando non era positivo.
Fabrizio sapeva sempre dirgli le cose chiaramente, senza peli sulla lingua ma senza mai farlo rimanere male.
Anche se aveva il dubbio che in quella circostanza lo avrebbe massacrato, fregandosene di non farlo rimanere male o magari cercando di farlo rimanere male volutamente.
"E, detto onestamente e non perché c'è di mezzo il tuo amico, è un parere del tutto neutrale..."
"Falla breve, Bizio."
"Fa schifo."
Ermal fece una smorfia scocciata. "È così pessima?"
"Un po'. Cioè non è che faccia proprio schifo, però parliamoci chiaro: potevi fare di meglio."
"Inizio a pensare che sarebbe stato meglio non farla 'sta canzone" disse Ermal camminando verso la cucina.
Fabrizio lo seguì e lo osservò aprire il frigorifero e tirare fuori una birra con un'espressione sconsolata sul volto.
Gli dispiaceva vederlo così, anche se in realtà quella storia della canzone aveva riportato a galla una storia che ormai Fabrizio credeva di aver accantonato.
"Magari se l'avessi fatta con qualcun altro, il risultato sarebbe stato migliore" disse Fabrizio.
Ermal bevve un sorso di birra tenendo lo sguardo su di lui, poi disse: "Che vuoi dire?"
"Ricordo che nel periodo di Sanremo parlavamo di scrivere ancora insieme. È passato un anno e mezzo e non lo abbiamo ancora fatto."
"Sai il motivo, Bizio."
Fabrizio sbuffò e abbassò lo sguardo.
Lo sapeva. Lo sapeva fin troppo bene.
Sapeva che Ermal ormai era ossessionato dai gossip che vorticavano attorno a loro e che avrebbe fatto qualsiasi cosa per non alimentarli ulteriormente.
Qualsiasi cosa includeva anche rinunciare a scrivere una nuova canzone insieme.
"Dai, non essere arrabbiato" disse Ermal.
"Non vuoi scrivere con me, ma in compenso lo fai con un amico che proprio non sopporto. Penso di avercelo un po' il diritto per essere arrabbiato."
Ermal abbassò lo sguardo dispiaciuto.
Sapeva quando Fabrizio odiasse quella situazione. Sapeva quanto avrebbe voluto scrivere ancora con lui, cantare con lui su qualche palco e sapeva che non era affatto d'accordo con la sua decisione di lasciare perdere.
"Però magari il modo di farmi essere meno arrabbiato lo troviamo" disse all'improvviso Fabrizio, con un ghigno malizioso stampato in faccia.
Ermal ricambiò il sorriso con aria di sfida, capendo subito dove volesse andare a parare il compagno. "Cosa proponi?"
Lo scatto di Fabrizio fu talmente rapido che Ermal si trovò in un attimo piegato sul tavolo della cucina, senza sapere bene come ci fosse finito.
Fabrizio era dietro di lui, il bacino appoggiato al suo fondoschiena mentre si abbassava fino a sussurrargli all'orecchio: "Credo che questa potrebbe essere una buona idea."
Ma Ermal non era mai stato abituato a essere quello che lasciava il controllo della situazione agli altri, quindi anche in quella posizione non poté fare a meno di dire: "E vuoi prendermi sul tavolo della cucina? Sappiamo entrambi che non vieni se non sei tu quello che lo prende."
"Pensi di essere nella posizione di fare lo spiritoso?" disse Fabrizio, premendosi maggiormente contro di lui.
Ermal trattenne un gemito sentendo chiaramente l'erezione del compagno contro di lui, nonostante gli strati di vestiti che ancora li separavano.
"Non faccio lo spiritoso, è un dato di fatto. Però..."
"Però?" chiese Fabrizio improvvisamente interessato a ciò che passava nella mente di Ermal.
"Però potresti usare quella cosa che ti ho regalato per il tuo compleanno" disse Ermal.
La cosa in questione, Fabrizio la ricordava benissimo.
Si trattava di un vibratore che Ermal gli aveva regalato più come scherzo che come vero regalo - il regalo vero era stato una chitarra che Fabrizio aveva adocchiato qualche tempo prima - e che gli aveva consegnato dicendogli: "Per quando non ci sono."
E Fabrizio doveva ammettere che in effetti l'aveva usato parecchie volte in assenza di Ermal.
"Sai, in realtà non è una cattiva idea" disse Fabrizio scostandosi da lui e correndo in camera.
Ermal si sollevò sorridendo e puntò lo sguardo verso la porta, ansioso di vedere tornare il compagno.
Quando Fabrizio tornò pochi attimi dopo, tenendo in mano il vibratore e vide Ermal che lo fissava con un ghigno stampato in faccia, disse: "Non mi sembrava di averti detto che potevi muoverti."
"Chiedo scusa. Ora che vuoi fare? Punirmi?" disse Ermal ironico.
"Te lo meriteresti, sai" rispose Fabrizio tornando dietro Ermal e obbligandolo e piegarsi di nuovo sul tavolo.
Ermal gemette sorpreso mentre si ritrovava con la guancia premuta sulla superficie di legno e Fabrizio, dietro di lui, che trafficava con la sua cintura e gli abbassava frettolosamente i pantaloni.
"Hai bisogno di una mano per metterti quel coso?" scherzò Ermal. Anche se in realtà di scherzoso c'era poco, lui una mano gliel'avrebbe data volentieri davvero.
"Posso farlo da solo, ma se proprio ci tieni ad aiutarmi..." iniziò Fabrizio lasciando volutamente la frase in sospeso e mettendogli davanti alla faccia il giocattolino.
Ermal non esitò a schiudere la bocca e farselo scivolare tra le labbra, cercando di lubrificarlo il più possibile.
Nel frattempo Fabrizio stava facendo la stessa cosa con le sue dita, per poi portarle alla fessura del compagno.
Ermal non era così tanto abituato a ritrovarsi in quella situazione e Fabrizio, per quanto volesse in effetti un po' punirlo per tutta la faccenda della canzone, non voleva fargli del male.
Ermal si lasciò sfuggire un lamento sentendo le dita di Fabrizio spingersi, ma il fastidio durò appena un attimo. E sapeva che ne sarebbe valsa la pena.
Fabrizio lo preparò con cura, mentre Ermal continuava a riservare le sue attenzioni al sex toy del compagno.
Solo quando sentì Ermal spingersi indietro verso le sue dita, Fabrizio si ritenne sufficientemente soddisfatto.
Estrasse le dita e si chinò fino a lasciargli una profonda leccata sulla sua fessura, ormai aperta e pronta ad accoglierlo, e sentendo Ermal ansimare disse: "Non ti preoccupare, ora ti darò quello che vuoi. Anche se non te lo meriteresti."
Prese il vibratore dalla bocca di Ermal e lo indirizzò verso la propria apertura, mentre il più giovane si voltava leggermente per godersi lo spettacolo del proprio uomo che si penetrava da solo.
Ed era vero che Ermal gli aveva regalato quel sex toy per i momenti di solitudine, ma usarlo insieme era qualcosa che non aveva previsto e che si stava rivelando fin troppo interessante.
Sentì Fabrizio gemere - segno che evidentemente aveva infilato il vibratore fino a toccare la prostata - e a quel punto disse con una nota di divertimento: "Magari la prossima volta me lo fai provare."
"Inizia a provare qualcos'altro" rispose Fabrizio, indirizzando la sua lunghezza verso la fessura del compagno e poi penetrandolo con un colpo secco.
Ermal si morse il labbro inferiore, trattenendo un lamento per il lieve dolore dovuto alla penetrazione tutt'altro che gentile del compagno, ma cercò di non fargli capire in alcun modo che si sentiva infastidito e dolorante.
Sapeva che se lo avesse fatto, Fabrizio si sarebbe fermato immediatamente, abbandonando il suo comportamento autoritario per tornare a essere il solito fidanzato premuroso e gentile. Ed Ermal non aveva alcuna intenzione di fermarsi.
Fabrizio, d'altra parte, si sentiva estremamente in difficoltà sentendo la sua prostata stimolata dal regalo di Ermal e allo stesso tempo la sua erezione stretta dai muscoli del compagno. Ma avrebbe fatto tutto il necessario per far durare quella piacevole tortura il più a lungo possibile.
Dopo qualche attimo sentì finalmente i muscoli di Ermal cedere attorno a lui e capì di potersi muovere.
Iniziò con movimenti lenti, spaventato che altrimenti gli avrebbe fatto male. Era iniziato tutto come una sorta di punizione, ma voleva che fosse piacevole per entrambi.
Ermal intanto aveva iniziato a gemere ad ogni minimo movimento del compagno, ed era stato inevitabile portarsi una mano tra le gambe per cercare sollievo.
Sapeva che Fabrizio avrebbe cercato di far durare tutto il più a lungo possibile, ma sapeva anche che in quelle condizioni sarebbe finito tutto in tempi estremamente brevi.
Fabrizio continuò ad affondare sempre più velocemente, sentendosi ormai prossimo all'orgasmo.
In effetti non poteva essere altrimenti. Tra la stimolazione del vibratore, Ermal che si stringeva attorno a lui e i gemiti che ormai avevano invaso la casa, sarebbe stato davvero difficile durare più a lungo.
Si sentiva esausto e quando finalmente sentì l'orgasmo raggiungerlo fu quasi un sollievo.
Mentre il sex toy continuava a martellargli la prostata, si riversò dentro Ermal senza preoccuparsi di trattenere un gemito.
Un attimo dopo Ermal lo raggiunse svuotandosi nella sua mano e rimanendo piegato sul tavolo, ormai senza forze.
Sentì Fabrizio allontanarsi da lui e la sua essenza colargli tra le cosce, ma non aveva alcuna intenzione di muoversi da lì. Anche perché temeva che anche il più piccolo movimento lo avrebbe fatto finire a terra.
"Cazzo" mormorò Fabrizio spalmandosi sulla schiena di Ermal, ancora avvolta dal maglione che non aveva nemmeno avuto la pazienza di sfilargli.
"Non riesco a muovermi. Avrò bisogno di aiuto per alzarmi" borbottò Ermal, la guancia ancora premuta sulla superficie del tavolo.
"Chi ha detto che devi alzarti? Pensavo di lasciarti qui, con il tuo bel culetto all'aria" disse Fabrizio tirandogli una leggera pacca su una natica.
"Ah, pure? Non è ancora finita la tua punizione?"
"Non la chiamerei punizione. Ti sei divertito quanto me."
Ermal sogghignò. "Forse."
"E poi ho pensato che hai già avuto la tua punizione senza che dovessi pensarci io" disse Fabrizio.
"E cioè?"
"Hai fatto una canzone con Francesco Renga. Se non è una punizione questa!"
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