#lo dico con tutto il cuore andate in culo!
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oh è tutto uno scherzo tutto cuor leggero ah ma che permalosi i rubentini. ora non possono nemmeno girare i coglioni se la moglie di gravina posta -15 e il pm dice porcate in pubblico. perdenti carini e coccolosi
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"Non più di un'ora dopo eravamo già in vista della casa del Maremmano. Avevamo spinto sui pedali con foga, senza lamentarci e senza troppe parole. Persino quella salita infame ci era sembrata meno infame della volta passata. E Schizzo ci era rimasto sempre a fianco, senza prenderci in giro, anzi, fingendo pure di faticare. Il primo che scorgemmo nel cortile fu Antonio, come si poteva non vederlo. Era a torso nudo e stava armeggiando con un trattore che doveva avere la stessa età di Matusalemme. Certo che era grosso, perdio! Non il trattore. Cioè, anche il trattore era grosso, ma Antonio metteva paura. A ripensarci, credo che anche Sansone in persona ci avrebbe pensato due volte prima di attaccare briga con lui. Appena si accorse di noi, lasciò andare gli attrezzi che stava usando, si pulì le mani sui pantaloni da lavoro e ci illuminò con un sorriso a trentadue denti. Cazzo, pure i denti mi sembrarono giganteschi. “Ma bentornati, amici miei! Sono davvero felice di rivedervi.” E felice lo sembrava davvero. E ci aveva anche chiamato amici! Non vedevo l'ora di tornare in paese e raccontarlo a tutti. Col cazzo che qualcuno avrebbe ancora osato trattarci male o, peggio, malmenarci. Se la sarebbero vista con lui. Se li sarebbe mangiati vivi! Ma quello non era un giorno per le fantasticherie, avevamo un dovere da compiere. Una missione. Tagliai corto ed imboccai la via maestra delle parole: “Ascolta, Antonio, siamo venuti a parlare con…” Mi interruppe prima di aver finito. “Pietro sta giù alla vigna, giovanotti. Deve zappare l'erba sotto a tutti i filari. E noi abbiamo una vigna sterminata. Si è beccato una bella punizione stavolta. Nostro padre ha avuto la mano pesante.” Poi si abbassò sulle ginocchia e si guardò intorno con circospezione esagerata, tanto da strapparci un mezzo sorriso. “Credo che il vecchio voglia fargli pagare anche un po’ delle mie colpe. Cose vecchie, di qualche anno fa. Ma, personalmente, posso farci ben poco, in compenso il vostro amico è uno tosto e se la caverà senza danni.” Concluse, facendo l'occhiolino. “Veramente non siamo venuti per parlare con lui. Non subito almeno. Siamo venuti per parlare con tuo padre.” Mi voltai verso i miei amici, come a cercare conforto e appoggio. Loro annuirono contemporaneamente, indossando delle facce serie, adatte alla circostanza. “Dove possiamo trovarlo?” Antonio si alzò in piedi, oscurando il sole. Cazzo, nella sua ombra ci stavamo comodi anche tutti insieme. Forse c'era abbastanza posto anche per qualcun altro. “Andiamo, è giù alla stalla che sta terminando di mungere le mucche. Vi accompagno.” Lo seguimmo in silenzio fino alla stalla. Lui si fermò sulla porta e ci fece segno di entrare. “qualunque cosa dobbiate dirgli, credo sia una faccenda privata. Vi aspetterò qui fuori, ma vi dico fin da ora che sono dalla vostra parte.” Disse. E ci scompigliò i capelli, uno per uno. Uno per uno nel senso di ad ognuno di noi; non nel senso dei capelli. Entrammo in fila indiana, non ci prendemmo per mano solo perché era roba da femminucce, non che non ne avessimo avuto voglia. Il vecchio maremmano era seduto su uno sgabello di legno, con un secchio di metallo tra le gambe divaricate e le sue mani viaggiavano veloci sulle enormi mammelle di una mucca pezzata, che non sembrava affatto infastidita. Anzi, ogni tanto, si voltava a guardarlo, come a volerlo ringraziare. Segno che quelle tettone gonfie da scoppiare qualche problema glielo davano. Il vecchio ci dava le spalle e si accorse del nostro arrivo solo all'ultimo, quando potevamo quasi toccarlo. Si voltò di scatto e gli lessi la sorpresa sul volto, ma si riprese subito. Ci sorrise. Anche lui, come Antonio, sembrò felice di rivederci. “Che piacere vedervi ragazzi! Benvenuti di nuovo in casa mia. Cosa posso fare per voi?” Lo sapeva. Sapeva il motivo della nostra visita, ma non sapeva tutto. “Siamo venuti per parlare con lei, signore.” Dissi, non riuscendo ad impedire alla mia voce di tremare. Smise di mungere, diede un colpo a mano aperta sull'enorme culone della mucca, che si avviò pigramente verso l'uscita della stalla, ci fissò uno per uno e rispose: “Bene, vi ascolto. Prima però perché non bevete un bicchiere di questo latte appena munto? E’ delizioso e vi farà digerire meglio tutta la strada che avete dovuto fare per arrivare quassù.” Non fece in tempo a terminare, che Bomba aveva già sposato la proposta, seguito a ruota dal Tasso, da Tonino e da Sergetto. A me non piaceva molto il latte, figurarsi quello appena munto, con quel sapore così prepotente, ma annuii lo stesso, per cortesia, senza troppo entusiasmo. Schizzo ci pensò sopra qualche secondo, a cercare parole che, evidentemente, non trovò, visto che disse, senza mezzi termini: “A me il latte fa schifo. Signore.” “Per prima cosa, non chiamarmi signore, sembra che tu voglia tenermi a distanza. E mi fa sentire più vecchio di quello che sono. Chiamami Giovanni, che è così che mi chiamano tutti. Anche perché è il mio nome. Seconda cosa: come può farti schifo il latte? Anche tu, come tutti noi, sei cresciuto grazie al latte. E sono sicuro che, da piccolo, non ti bastava mai.” “Si, ma ero piccolo. Ed era di mia madre! non era di mucca appena munta!” “Certo, non era di mucca, ma a mungere, se mi lasci passare il termine, tua madre ci pensavi tu stesso e la tua voglia di diventare grande. Ma non serve discutere. Hai ragione anche tu: se non ti piace non devi berlo per forza.” Prese cinque bicchieri da una vecchia credenza che, sicuramente, aveva vissuto momenti migliori, ed iniziò a riempirli. “Ditemi allora. Cosa volevate chiedermi?” Ci fu un attimo di panico a quella domanda diretta, mi accorsi che le parole proprio non volevano uscire. Fu Tonino il più lesto a reagire: “Senta signor Giovanni, abbiamo saputo della punizione. Di quella che ha dato a Pietro. Siamo venuti a chiederle di ripensarci.” Lui continuava a guardarci, ma senza parlare. Segno che c'era bisogno di altre parole. Dovevamo convincerlo. Tonino aveva rotto il ghiaccio, ora potevo proseguire: “Si, lui non merita di essere punito. Ci ha difesi, è stato coraggioso. Lo ha fatto per noi. Non ha avuto paura di battersi per una cosa che riteneva giusta. Ed era giusta, cazz…volo! E quelli erano in tre e lui da solo. E se le avesse prese, nessuno di noi si sarebbe sognato di dargli una mano. Me ne vergogno ancora, ma è così. Mai nessuno di noi ha mai osato mettersi contro i grandi, invece Pietro le ha suonate a tutti e tre. Anzi, a due, perché il terzo se l'è fatta sotto. Merita un premio, non una punizione. Si è comportato meglio di tutti noi messi insieme. È un amico vero! Per questo la preghiamo di lasciarlo andare. Basta punizione. Ma se non è di questo parere, se è deciso a continuare, allora punisca anche noi. Al campo c'eravamo tutti. Stavolta non ci nascondiamo e la punizione la dividiamo in parti uguali. Questo dovrebbero fare dei buoni amici.” Parlai tutto d'un fiato, senza nemmeno una pausa. Forse evitando persino di respirare, per non permettere alle parole di nascondersi. Il vecchio ci fissò a lungo, quasi a voler saggiare la fermezza della nostra volontà. “Quello che hai appena detto ti fa onore giovanotto. Anzi, vi fa onore, perché immagino che la pensiate tutti allo stesso modo, vero?” Non ricevette risposte, ma i segni di assenso fatti con la testa non lasciavano spazio a diverse interpretazioni. “Si, lo immaginavo,” Proseguì, “Sembrate decisi ad andare fino in fondo. Anche se, in cuor vostro, ne sono sicuro, sperate che non ce ne sia bisogno. Che mi commuova. Ma avete dato la vostra parola e, tra uomini, la parola è sacra. E’ un impegno che va mantenuto a tutti i costi. Mai mancare alla parola data, è questo l'insegnamento che riceverete oggi. Ne va della vostra credibilità e della vostra dignità di persone.” La cosa non sembrava prendere una bella piega. Si avvicinò ad una cassapanca tutta tarlata e ne tirò fuori una scatoletta di metallo, dalla quale estrasse un gigantesco sigaro toscano. Lo accese con esasperante lentezza fino a farne uscire una nuvola di fumo azzurrino e puzzolente. “Sapete già dove ho spedito il vostro amico?” “Si, lo sappiamo, signor Giovanni.” Rispose Tonino preoccupato. “E sapete anche cosa sta facendo?” “Sappiamo anche questo.” Disse il Tasso, tradendo una crescente impazienza. Sembrava lo stesso gioco che fa il gatto con il topo. Con i topi, in questo caso. Eravamo tutti impazienti. Ci stava mettendo alla prova, ma se sperava che avremmo mollato, si sbagliava di grosso. Eccome se si sbagliava. Aveva intenzione di punirci tutti? Bene, che lo facesse allora. Anzi, male, ma non ci avrebbe messo paura. Tutti per uno! Ci indicò, con la punta del sigaro, un angolo ben preciso della stalla. “Laggiù ci sono cinque zappe, prendetene una a testa e raggiungete il mio ragazzo. Uno di voi rimarrà senza, così potrete darvi il cambio e riposarvi a turno. Su, andate, che c'è molto da fare. Ricordate che oggi si pranza alle due in punto. Vedo che non portate orologi, quindi regolatevi con il sole. Se non sapete come si fa, chiedete al vostro compagno di sventura, lui ha imparato.” Dovette godersela un mondo ad ammirare le nostre facce smarrite. Non era certo quello il risultato che speravamo di ottenere quella mattina. Aveva ragione mio padre: il vecchio maremmano era bello tosto. Ci fece un mezzo sorriso, non saprei dire se per confortarci, o per prenderci per il culo, poi ci congedò: “ Andate pure, fuori c'è Antonio che sarà lieto di indicarvi la strada. Buon lavoro, ragazzi!” Si, ci stava decisamente prendendo per il culo. “Buon lavoro una bella sega!” Pensai, mentre con la mia zappa in spalla uscivo mogio, mogio, dalla stalla.
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+++BREAKING NEWS+++
Quando finisce un’epidemia
Dato che non mi fido, meglio che ve lo dica subito. E vi chiedo, dato che mi seguono parecchie persone, di cominciare a condividerlo e a ripeterlo da adesso ai vostri contatti, reali e virtuali.
Ma veniamo al punto.
Già oggi vedrete qualche curva che si discosta lievemente dall’andamento esponenziale che l’epidemia in Italia (e soprattutto in Lombardia, per i numeri) ha avuto fino a un paio di giorni fa.
Potrebbe (POTREBBE) essere un buon segno.
E potrebbe (POTREBBE) ottimisticamente accadere che tra una decina di giorni o giù di lì il numero dei contagi diminuisca di molto, se TUTTI facciamo la nostra parte.
Ecco, ve lo dico dal cuore: non c’è un cazzo da festeggiare, né oggi né tra dieci o quindici giorni.
E soprattutto non c’è da scaraventarsi fuori di casa gridando “Campioni del mondooo! Poropoporopoporo!” e abbracciando sconosciuti sudati in canottiera.
Se non mi credete, andate a vedere i criteri con cui l’Organizzazione mondiale della Sanità dichiara conclusa un’emergenza epidemica. Vediamo quella di Ebola, per esempio. L’emergenza finisce dopo DUE PERIODI DI INCUBAZIONE COMPLETI in cui non si registrano nuovi contagi. Sono 42 giorni per Ebola. Potrebbero essere 30 per SARS-CoV-2. Dopo di che, è richiesto a ogni passe di mantenere un’elevata sorveglianza per 90 giorni.
Non so se mi sono spiegato, ma spero che sia chiaro. Quando vedremo la luce in fondo al tunnel mancheranno ancora diversi chilometri per essere fuori. Perciò, travolti dall’euforia, non baciate i vicini che detestavate fino a un mese prima. Continuate a farvi i cazzi vostri. Rimanete a casa il più possibile ANCHE DOPO. Finché davvero gli epidemiologi non ci diranno che possiamo tornare alla normalità. Che arriverà piano piano, riapriranno le attività, torneremo a sussurrarci pettegolezzi all’orecchio, con prudenza, torneremo in ufficio anziché lavorare dal divano (premuratevi di rendervi riconoscibili, nel frattempo, almeno dai vostri familiari), a cenare al ristorante, magari.
Ma prima di cantare vittoria dovremo rimanere in allerta per un po’.
Mettiamola così. Se tutto va bene, ma proprio bene, facciamo una festa a Ferragosto (ma proprio se ci dice culo eh, a essere molto ottimisti, ma meglio pochi e selezionati e senza gli amici stranieri).
Ditelo ai vostri amici, ai vostri parenti, ai semplici conoscenti. Proviamo a non fare i coglioni, perché resistere a una seconda botta sarebbe molto, molto più dura. - Marco Cattaneo
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Quante cose che non sai
Le persone, anche quelle che mi conoscono relativamente bene, credono che io non abbia peli sulla lingua. Tutti pensano che io dica tutto ciò che mi passa per la testa. Ebbene, ci credete davvero? Cioè, sul serio?! No perchè non è così! Però ho deciso di accontentarvi.
A te che pretendi che la tua vita cambi senza nemmeno il bisogno di schioccare le dita (perchè sì, c’è chi pretende di cambiare la propria vita solo schioccando le dita, ma tu sei un livello pro, tu non vuoi neanche fare questo sforzino), vorrei dire un sonoro “CRESCI! VACCAPUTTANA” allegato ad un soave vaffanculo. Perchè, ATTENZIONE SPOILER, nella vita devi farti il culo per ottenere qualcosa e spesso comunque non basta per gli obiettivi che hai deciso di porti. Mi spiace dirtelo, ma i capricci dopo i 10 anni non sono contemplati. C’est la vie.
A te che stai cambiando atteggiamento nei miei confronti, vorrei chiedere perchè; sono pazza o vuoi farti i cazzi tuoi? Entrambe le risposte vanno bene, ma almeno dammele, non tenermi sul filo del cazzo di rasoio.
A te che ci sei sempre e allo stesso tempo non ci sei mai, non so che dire. Ti voglio bene, ma non so mai che momento sia della tua vita. Parlare di più non ci farebbe male... forse.
A te che sei un pozzo di conoscenza per me, come cazzo fai a non capire che dopo un po’ hai rotto i coglioni? Cioè, parli, parli, parli... Parli di tutto e di niente, con altri, non con me. Abbiamo interessi diversi e lo accetto, ma deve farti ben schifo parlare di qualcosa che piaccia anche a me senza dovermi giudicare. Tu sei la perferzione. Hai ragione sempre e solo tu. Sei bravo sempre e solo tu. Eppure (perchè c’è un eppure) non ti accorgi che rompi il cazzo. Che parli di cose che interessano quasi solo a te, che mi interrompi quando parlo o che mi interrompi in maniera “più aggressiva” se, oltretutto, sto parlando e la mia idea risulta diversa dalla tua. Perchè non va bene. Come oso, io, piccola comune plebea, dar contro ad un’idea del Sommo rappresentante del giusto e della perfezione. Scherzi sempre su quanto il tuo ego sia grande e forse non ti rendi conto che lo è realmente. Per non parlare di quando accade un fatto e tu lo ingigantisci; da una briciola di pane sapresti costruire un grattacielo. Un vaffanculo, sonoro, di quelli gridati a pieni polmoni, lo meriteresti.
A te che mi parli alle spalle con le tue amiche, cosa dovrei dire? Fate cagare, vi parlate dietro pure tra voi (e, ripeto, vi considerate amiche, quindi di cosa stiamo parlando?!), non avete rispetto e stima per voi stesse figurarsi per gli altri. A causa vostra ho scelto di andare in terapia, volevo capire se ero io il problema. ATTENZIONE SPOILER: non era così. Mi avete fatto carico delle vostre frustrazioni, ma non ero io il problema, non lo sono mai stata. Il fatto è che avete trovato qualcuno che vi teneva testa e non eravate preparate. Ma prego eh, continuate pure a farmi le facce di porcellana, a me sta bene. Tanto, voglio dire, prima o poi ci cadrete dallo scaffale, no?
A te che dovresti essere il mentore, la guida di tutti noi. MA LEVATI! Sei in una posizione di potere che non sai gestire. Non sai gestire le persone sotto di te, né le situazioni che esse ti presentano ogni giorno. Non fai altro che casini, crei tensioni, ci metti l’uno contro l’altro e quando potresti effettivamente risolvere un problema te ne lavi le mani. Passi il tempo a sgridarci su whatsapp, “chi ha fatto questo, chi ha fatto quello” poi quando ci vedi di persona sei tutto amicone. Hai una cinquantina d’anni, moglie e figlio e fai battutine a sfondo sessuale a delle poco meno che venticinquenni. Sei solo un vigliacco. E un coglione. Non c’è altro da dirti.
A te, a voi, che condividete il patrimonio genetico con me, eppure con me c’entrate pochissimo. Dite un sacco di cose, pretendete di sapere un sacco di cose, volete sapere cosa succede nella mia vita ma poi non vi informate e, se lo fate, non ascoltate. Andate d’accordo con la prima persona che ho citato. Pretendete botte piena e moglie ubriaca. Non funziona così e sarebbe il momento di rendersene conto.
E, infine, a me. A me che tutte queste cose non le dico. Un po’ perchè penso di essere esagerata, un po’ perchè magari per voi sono periodacci, un po’ perchè al vostro posto non vorrei sentirmi dire queste cose da una persona a cui voglio bene, un po’ perchè non posso dirle se non voglio rimanere a spasso. Così mi tengo le mie frustrazioni, i miei rancori (perchè ormai lo sapete, io non dimentico quando mi fate del male) e non vi dico un cazzo. Però vi meritereste di sentire tutto ciò che non vi dico. Così mi considerate “tossica”, se vi dicessi tutto questo probabilmente mi allontanereste e io non voglio perchè, almeno ad alcuni di voi, voglio bene. Bella merda, eh?
Quindi ve lo dico qui: ANDATEVENE A FANCULO e non serve che io vi dica per cosa. In cuor vostro, se vi dico di andare a fanculo, sapete perchè.
Però un vaffanculo, proprio per tutto questo, me lo merito anche io.
QUINDI VAFFANCULO!
#a te#vaffanculo#fuck everything#fuck#fuck off#a voi#fanculo#tutti#frustrazioni#rancore#vita#frasi#frasi tumblr#lettera aperta#lettera
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Non mi aspettavo grandi cose da questo nuovo anno, a giudicare da come si è concluso quello passato, avevo portato il livello delle mie aspettative ai minimi storici, ciononostante, non ero preparata. L'unica stabilità degli ultimi 3 anni se n'è andata esattamente 7 giorni fa portando via con sé il nostro cane, un set di piatti e le mie tenui speranze per il futuro. Ho versato tutte le lacrime che mi sono permessa di lasciar uscire, urlando, ho rotto il portafoto con la polaroid scattata durante la vacanza in Sicilia e maledicendo tutte le sue stramaledette paure ad impegnarsi. Ho lavorato tutte le ore possibili per non tornare al silenzio di questa casa, passando le restanti a pulire per cancellare ogni traccia lasciata da lui e ora, in questa domenica sera, mi aggiro per la casa vuota, con il sottofondo di Elettra Lamborghini che mi ricorda che la musica salva da ogni male. O almeno dovrebbe, perché stasera mi sento triste ad ogni nota, disperata e inconsolabile. Mi domando dove sono finita io? Quella donna forte e indipendente che sono sempre stata, quella che ha aperto il suo negozio di abbigliamento affidandosi solo alle proprie forze, quella che ha comprato questo delizioso appartamento con giardino, quella che ha vissuto sola all'estero realizzando il suo grande sogno. Dov'è tutta quella forza? È annegata nel cesto della biancheria da lavare, quello che il sabato svuotavi tu quando io lavoravo tutto il giorno. È finita nel trovare la cena pronta quando ero troppo stanca anche solo per alzare la forchetta, si è sciolta in quel piede bollente sotto le coperte che mi faceva sentire protetta nelle sere d'inverno. Lì, nella sicurezza quotidiana di condividere i problemi, è finita la mia indipendenza. Mi sono rilassata per la prima volta in vita mia, è stato inaspettato e bellissimo ma adesso, ho nostalgia di tutto. Soprattutto, mi manca sapere di poter crollare in qualunque momento, perché ci sarai tu a raccogliere tutti i miei pezzi disgregati e a strapparmi un sorriso con la tua pungente ironia. Invece, questo è esattamente quello che ti ha portato via di me. Troppa sicurezza si è trasformata in noia per te, troppo rilassamento è diventato banalità e la stabilità ha preso la forma di una gabbia. Così te ne sei andato. Hai detto, come fanno tutti, che si tratta solo di una pausa ma sappiamo entrambi che non tornerai. La libertà ha un sapore troppo dolce per te e dopo 7 giorni, io ho deciso di rimettere insieme i miei cocci da sola. Ne uscirò più forte di prima e rinascerò come solo una donna sa fare. Prometto ora che non lascerò più che un uomo mi allontani da me stessa, resterò fedele a ciò che mi fa brillare gli occhi in qualsiasi condizione. Sto prendendo nota dei miei nuovi propositi, quando sento lo squillo di una notifica sul cellulare, il cuore inizia a battere all'impazzata e la mente sta già galoppando, so chi vuole che sia, so che voglio che sia lui. Afferro il telefono con le mani tremanti e leggo il messaggio sul display, un largo sorriso si apre sul mio volto. "Sto arrivando" e mentre leggo il messaggio, rido e piango insieme. Solo cinque minuti dopo sento il suono del campanello. Apro la porta e mi vedo piazzare una bottiglia di vino in mano, investita da un uragano di capelli ricci. Davanti a me c'è la persona che ogni volta mi tira fuori dai miei abissi senza chiedere niente in cambio, che mi guarda andare con il culo per terra e con pazienza mi aiuta a rialzarmi. Lei è Anna, semplicemente la mia migliore amica. "Hai una pessima cera, lascia che te lo dica!" mi dice con un tono di rimprovero e con uno sguardo di disapprovazione, prima di aggiungere: "Tu adesso vai di là, ti dai una bella ripulita e ti metti uno dei tuoi vestiti da gara. Io nel frattempo stappo questo vino e preparo qualcosa da mangiare, perché tu non hai cenato vero?". Lei è così, autoritaria, sicura e con il cuore più grande che io abbia mai visto. Dopo aver finito di impartire ordini con finta rigidità, mi stringe forte in un abbraccio e lascia che io mi sciolga in quello che, decido, dovrà essere l'ultimo pianto liberatorio di questa sera. Anna mi lascia sfogare, so che è venuta per questo poi con un gesto materno mi asciuga gli occhi e mi sorride. La sua sola presenza mi ricarica, le do un bacio sulla guancia e vado in camera mia, come mi ha ordinato. "Cosa hai in mente?" le grido dalla mia camera mentre passo in rassegna il mio guardaroba. Ha ragione, ho una collezione di abiti da capogiro che non indosso da almeno 3 anni perché lui diceva che mi preferiva semplice. Coglione! Mi aveva convinto che la mia semplicità lo eccitava e poi ha finito per annoiarsi. Stupida io, che ho spento il mio fuoco per adeguarmi alla sua temperatura tiepida. Finalmente sento questa rabbia che sta affiorando e ho intenzione di trasformarla in grinta per riemergere. Torno di là e trovo due bicchieri colmi di vino ad aspettarmi. "Non dovevi preparare da mangiare? "le dico con una nota acida che non si merita. "Prima di tutto sei uno schianto! E poi, tesoro, è difficile inventare una cena con la dispensa vuota! Me lo dici da quando non ti fai un pasto decente?" mi guarda con preoccupazione ma non attende la mia risposta, con un dito fa partire la nostra playlist preferita e si avvicina con il bicchiere. "Brindiamo a un futuro pieno di orgasmi!" e con la mano fa il gesto del dito medio. Riesce sempre a farmi ridere, sboccata e sopra le righe mi travolge ogni volta con la sua filosofia genuina. Una single per scelta, ma io so che è ha solo troppa paura di soffrire ancora dopo l'ennesima storia andata male. Noi ci compensiamo, riflessiva io, istintiva lei, alterniamo folli serate passate a bere e ridere, a momenti di interminabili chiacchiere su quanto siamo fragili e inguaribili romantiche. Semplicemente ci siamo l'una per l'altra. Sempre, come stavolta. So già come andrà a finire, dopo il primo bicchiere non avremo più voglia di uscire e lei finirà con il dormire sul mio divano, per questo ho scelto questo abito decisamente troppo corto. È il mio tubino delle grandi occasioni, nero e stretto che fascia le curve, l'ho indossato l'ultima volta per una festa di Capodanno in cui volevo rimorchiare il cameriere, anche se le cose non sono andate come previsto, quella stessa sera ho conosciuto Giovanni. Tre anni fa. Abbiamo parlato tutta la sera, mi ha affascinato con la sua cultura e all'alba del primo giorno dell'anno, con la scusa più vecchia del mondo, mi ha proposto di vedere la sua collezione di libri. Ovviamente, non abbiamo letto nemmeno una pagina. Ecco, questa sarà la serata giusta per sovrapporre un nuovo ricordo a questo vestito. Il brindisi l'ha fatto lei e io non ho nulla da aggiungere, mi godo la sensazione inebriante delle bollicine fresche che scorrono lungo la mia gola e dopo il primo sorso già sento che mi sto rilassando. La musica riempie la mia cucina e la colora di suoni. Anna ha portato con sé tutta la sua l'energia esplosiva. Iniziamo a ballare sulle note di un Vasco d'annata che urla "Rewind" e noi giriamo nella stanza come la ragazza del videoclip, quella con il walkman. Sono passati tanti anni ma certe canzoni mi riportano sempre indietro nel tempo, a quando i problemi li scrivevi sul diario e il giorno dopo scomparivano dentro alla pagina dei consigli di Cioè. Ridiamo e saltiamo per la stanza fino all'attacco di Cindy Lauper e della sua "Girls just wanna have fun", scusa Elettra ma proprio non ci siamo, ora va decisamente meglio! Abbiamo tra le mani i miei cucchiai di legno da usare come microfoni, la bottiglia è finita e la musica è tanto alta da non sentire il suono del campanello alla porta. Al secondo tentativo riconosco il rumore e mi blocco di colpo, guardo Anna, chi può essere a quest'ora? Lei mi sorride di rimando, strizzandomi l'occhio "Vado io!". La seguo sospettosa, non mi sono mai piaciute le sue sorprese! Sulla soglia trovo il fattorino che regge in mano il cartone di una pizza gigante, il fattorino più sexy che io abbia mai visto. Non so se sono più interessata alla pizza o alle mani che reggono la scatola. È giovane, come è ovvio che sia, ma ha un velo di barba che lo fa sembrare più adulto e molto maschio. Occhi intensi, scuri e un sorriso dolce e imbarazzato che mi stimola non poco. Anna lo invita ad entrare e io mi precipito a cercare la borsa per pagarlo. Vago per la casa annebbiata dall'alcool senza ricordare dove cavolo l'ho buttata. Nel frattempo, sento la voce lontana di Anna tempestare di domande il ragazzo e lui balbettare delle risposte confuse. Finalmente mi ricordo di aver lasciato la borsa sulla sedia della cucina e quando torno di là trovo la mia amica che cerca di sfilare con insistenza la giacca del nostro ignaro ospite. Mi viene da ridere, so che sta giocando ma l'imbarazzo sul viso del fattorino è davvero buffo. Mi avvicino con i soldi con l'intento di salvarlo da questo attacco ma quando incrocio il suo sguardo, leggo un certo interesse che mi sorprende e mi lusinga molto. I suoi occhi scendono alla scollatura sfacciata del mio vestito e percorrono tutta la linea del mio corpo. Gli sorrido e penso tra me che non c'è niente di male a giocare un po'. "Puoi tenere il resto, ma solo se ti fermi a farci un po' di compagnia..." nella mia testa è scoppiato il caos, ho davvero detto questa frase ad alta voce?! Anna si avvicina per darmi sostegno: "E' quasi mezzanotte e il tuo turno ormai sarà finito no? sono certa che non ci saranno altre consegne da fare questa sera..." Gli occhi del ragazzo si spostano da me alla mia amica e quel velo di timidezza che prima ostentava a protezione, cala improvvisamente. "In effetti, Signore, come potrei rifiutare una compagnia così interessante?" e senza preavviso, con un movimento sensuale, sfila la divisa che tanto saldamente stava cercando di salvare poco fa. "Come possiamo chiamarti...ragazzo?" Anna ha iniziato il suo gioco di seduzione mentre sta togliendo dal congelatore una bottiglia di Vodka gelata e tre bicchierini da shot. "Mi chiamo Michael" risponde lui e con rinnovata sicurezza si avvicina al tavolo per buttare giù lo shot in un lampo. Le sue braccia piegate lasciano intravedere un fisico giovane ed allenato, con muscoli forti che evocano in me la voglia di essere presa con decisione. Dopotutto, non sono poi così spenta. La musica sta partecipando a questo nostro gioco perché dalla playlist parte la canzone sensuale per eccellenza, sulle note di Bailando, di Enrique Iglesias, io e Anna ci guardiamo con uno sguardo complice e scoppiamo in una risata brilla. Michael sorride e inizia un ballo per noi che fa aumentare la temperatura non di poco. Lo guardiamo mentre muove sensualmente il bacino in pure stile cubano, a pensarci bene potrebbe avere origini sudamericane considerato il nome e la pelle leggermente ambrata. Si muove in un modo dannatamente sensuale e io non resisto, mi avvicino e lascio che le nostre gambe si incrocino. Con una mano all'incavo della mia schiena mi tiene salda e insieme iniziamo una danza lussuriosa dei nostri bacini. Mi abbandono alla sensualità di questa gioventù e lascio cadere il collo all'indietro, sorretta dalle braccia forti di questa distrazione pazzesca e inaspettata. Anna ha buttato giù gli altri due shot e si sta avvicinando alla scena. Si posiziona dietro Michael e ancheggiando segue il movimento dei suoi fianchi. Siamo tre sinuosi corpi rapiti dal ritmo della musica, Le mani di Anna stanno diventando audaci e si spostano a tastare i pettorali del nostro fattorino, mentre io godo del calore delle sue mani che dalla schiena sono scese a riempirsi dei miei glutei. Lo sento, Dio come lo sento! Il suo sesso è pronto e sta spingendo sulla mia gamba, così il mio corpo risponde con il fuoco che brucia tra le mie cosce. La curiosità di Anna si fa sempre più intraprendente e la guardo mentre le sue mani scendono fino a infilarsi nei pantaloni del ragazzo. Michal si volta verso di lei e con impeto la sua lingua prende possesso della sua bocca. Io sono eccitata come non mi capitava da tempo ma osservo la scena da fuori come se non ne fossi davvero una protagonista e mi accorgo che non lo sono. Non è quello che voglio. Mi allontano dalla cucina, improvvisamente sento il bisogno di aria, esco di casa, diretta verso il mio piccolo giardino segreto. Anna è troppo impegnata per accorgersene e va bene così, la ringrazio per questa distrazione, anche se ho realizzato che non sono ancora pronta. Abbracciata al giovane corpo di un ragazzo, ho chiuso gli occhi un solo istante e la mia testa si è riempita dell'immagine di un altro uomo, un uomo che non è più il mio. Mi avvio distratta verso il piccolo portico e trasalisco quando mi accorgo che sul dondolo nell'angolo c'è qualcuno, sto per urlare quando dalla sagoma lo riconosco, è Giovanni, il mio Giovanni. Lo choc si trasforma in rabbia: "Che cazzo ci fai qui? Mi è quasi preso un infarto!" "Elisa! Oddio scusa, non dovevo venire qui ma volevo vederti poi ho capito che non eri sola e non sapevo cosa fare..." " Esatto, non sono sola e mi sto anche divertendo molto! Senza di te ho imparato di nuovo come si fa. Ma poi tu cosa vuoi eh? Ti sei accorto che senza di me ti annoi?" finalmente l'onda della frustrazione sale dalla mia pancia e non ho intenzione di mettere a tacere questa voglia di urlare che ho! "Oppure ti senti solo senza la tua cara quasi-mogliettina che ti fa trovare tutto al suo posto, anzi, lasciami indovinare, sei solo il solito stronzo che..." non mi lasci finire la frase e ti avventi su di me chiudendomi la bocca con un bacio famelico. Non riesco a porre nessuna resistenza, il mio corpo aveva già iniziato a reagire quando ha riconosciuto la curva delle tue braccia stese sul dondolo. È un bacio avido, affamato che sa di rabbia e nostalgia. Le tue mani mi tengono il viso e ora le tue labbra sono scese al mio collo, tracciano la scia della loro voglia che risale fino a succhiare il lobo del mio orecchio, perché lo sai quanto mi fa impazzire. Ci conosciamo, i nostri corpi si sono amati ed esplorati in questi tre anni e insieme siamo cresciuti. Le mie mani sono scese automaticamente ai tuoi fianchi, afferrandosi al quel tuo punto vicino alla cintura che so farti perdere il controllo. Carichi tutto il mio peso e mi fai scivolare sull'erba umida e mentre le tue mani armeggiano con il mio vestito, avverto il freddo della terra sulle mie gambe nude eccitandomi ancora di più. Il tubino è già volato via mentre le tue mani cercano tra le mie gambe il consenso a proseguire. La rabbia si è trasformata in passione animale e io ti sto mordendo ovunque riesco a raggiungerti, collo, spalle e braccia sono marchiati dai miei denti mentre le unghie stanno lasciando solchi sulla tua schiena. Hai liberato quel tuo membro duro e gonfio che mille volte mi ha fatto godere e con un colpo scivoli dentro di me. Di nuovo, come se fosse la prima volta, sento un universo di piacere esplodere dentro me. Stiamo ansimando, gemendo e ringhiando in questo amplesso di passione e dolore che ci sta riportando a casa. I nostri corpi di stanno divorando dalla voglia. Tu spingi e io grido, il mio orgasmo soffiato è soffocato dal mio braccio tra i denti, altre due spinte profonde e sento il tuo seme caldo colarmi dentro, in una sensazione che mi rende confusa e felice. Stiamo ansimando e negli spasmi del piacere appena provato si aggiungono i miei singhiozzi di smarrimento. Mi abbracci forte e una goccia salata cade sul mio viso, stai piangendo anche tu ed è la prima volta che ti vedo così vulnerabile. Alzi la testa per guardarmi negli occhi e io rivedo quella luce della prima volta che ci hanno presentati, quello sguardo che mi ha fatto sentire la donna più bella del mondo. "Questo mi mancava, questo fuoco ardente nei tuoi occhi!" mi dici con una voce graffiata, prima di proseguire "Mi dispiace, io ho avuto paura..." inizi a parlare e la tua solita spacconeria ha lasciato il posto a una dolcezza disarmante che io proprio non mi aspettavo, tu che abbassi tanto le difese da chiedere scusa. Stai per continuare ma ti fermo posandoti un dito sulle labbra. "Va bene, dopo ne parliamo" ti dico. Dopo sì, adesso voglio ascoltare il suono dei nostri corpi rinati nella passione, voglio mettere attenzione su chi sono io quando lascio che la mia energia bruci e non voglio più dimenticarlo. Mi sono adattata a una situazione ma ora so di non volerlo più fare, ora mi ricordo chi sono. Non so come andrà ma adesso sento che ci meritiamo una seconda possibilità. Il freddo della terra sotto di noi inizia a farsi sentire, dovremmo entrare in casa ma mi ricordo di Anna e del fattorino e una grassa risata mi esce dalla gola, se conosco bene la mia amica, la casa non sarà agibile almeno per tutta la notte. "Ciao, io mi chiamo Elisa, ti va di portarmi a casa tua, avrei voglia di leggere un buon libro..." https://www.instagram.com/p/CMt5WhArChGQOwIp3-qdMHX9_UILN9EoJk8gjU0/?igshid=15m9og577cya1
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0:00 1' of june
Innanzitutto buon primo di giugno, spero che sia per voi un mese di rivolta. Almeno per voi.. Continuo a pensare che io debba trovarmi uno scopo nella vita. Mi è arrivata ora la notifica, ringrazio @trashaesthetis per aver messo un like al mio post precedente, per me significa molto. Sono appena scesa dal letto per vedere il cielo da camera mia, credo che sia il mio passatempo preferito Fa caldo, si muore di caldo. Oggi i commenti su di me sono stati molto vari, ringrazio di cuore la gente che mi vuole bene e ringrazio maggiormente la gente che mi odia. -grassa -antipatica -pesante -stressante -penetrante -"amore" -scema il culo -inopportuna -troia -lesbica -stronza -fredda -sdolcinata -persa In un giorno credo di aver ricevuto almeno cinque aggettivi che sono uno l'opposto dell'altro. Ragazzi e ragazze, non per dire eh, ma datevi una regolata! Non mi conoscete, perché nessuno a parte due o tre persone sanno quasi tutto su di me. Avete il coraggio, dopo tutto, di giudicarmi? Senza conoscere poi, perché "Farsi una manciata di cazzi propri" Non è alla moda. Ve ne andate senza dare spiegazioni e sono io quella stronza. Sono fredda e poi voi lo siete più di me. Sono grassa. Sono bassa. Sono tutto quello che si può essere di negativo. Sono troia, ho scoperto pure di aver fatto cose che non sapevo (Ad esempio di essere lesbica ma di stare con uno di 18 anni) MA OKAAY Ti sale l'omicidio e non poco. Perché se ho una giornata storta, non significa che io sia stronza, porco due. Se, cazzarola, ti dico che mi manchi e tu stai facendo lo stronzo, non è per farti pressione. Se ti scrivo una picca dedica la mattina e la sera, non sono noiosa o ripetitiva. In ogni caso, io lo ripeto per chi non lo avesse inteso STATE SU DALLE BALLE, GRAZIE Perché non ne posso più di svegliarmi la mattina e invece di sorridere, perché ne avrei tanti motivi, Cristonare. Basta. Sono tre anni che mi dite di tutto, avrete esaurito pure le cose da dire! No..? In ogni caso non mi abbattete. Barcollo ma non mollo. Magari dormo, o magari no. In ogni caso siete ben accetti per la compagnia @giorgiaa2307
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Uno sguardo dal ponte: riflessioni su Rembrandt digitale, lumaconi e Duchamp
Per la lettura di questo post rimando a quello di Luigi Grazioli, pubblicato qualche giorno fa (La Perfezione come scusa, su grazioliluigimario.blogspot.com ), al mio commento e alla sua risposta, sullo stesso.
Caro Luigi, mi scuso del peso aggiuntivo di cui ti carico costringendoti a questo dibattito (con tutto quello che hai da leggere!), ma precisione vuole che io non mantenga la promessa di non replicare alla tua risposta se tu avessi pubblicato la storia del Lumacone; cosa che puntualmente tu hai annunciato di aver già fatto (naturalmente hai mangiato la foglia della mia sollecitazione, che serviva ai tuoi lettori per capire il mio ragionamento sui pericoli dell'attraversamento stradale da parte di esseri lenti, ai quali penso apparteniamo entrambi).
Figueroa giustamente replica che chi scrive è anche Quiroga e Monsieur De Leonardis ora qui (ma anche quando ha scritto il suo commento) teme addirittura che potrebbero saltar fuori anche Ricardo Reis, Alberto Caeiro, Bernardo Soares ecc. Quindi è perfettamente cosciente della cattiveria che ha esercitato insinuando che Grazioli avesse fatto un autoritratto. Ma era a fin di bene, per invitarlo a esercitare con più decisione la sua non solo letterariamente (come aveva fatto prendendo per il culo i perfezionisti). E c'è riuscito, vista la reazione un po scomposta:
Infatti sei scivolato su una buccia di banana: intanto Rembrandt a 23 anni non era povero: il papà mugnaio apparteneva alla classe media benestante e colta (come insegna anche Il formaggio e i vermi) e poi lui, dopo dieci anni di lavoro (si cominciava prestissimo allora a non fare i bamboccioni) era già ufficialmente un maestro, con tanto di bottega, molte commesse da parte di potenti ammiratori e alla vigilia di partire per Anversa (citazione da Benn), pardon Amsterdam, per avere già da subito là uno studio affollato di allievi, tutti paganti fior di fiorini e ansiosi di apprendere la sua maniera. Non era affatto povero e, se non posso mettere la mano sul fuoco circa la sua cattiveria, posso affermare che era un artista perfettamente cosciente del proprio valore e molto deciso a valersene con una certa prepotenza. Virtù dubbia la prepotenza, è vero: i lumaconi non si spintonano, al minimo urto ritirano le antenne e si arrotolano su se stessi, aspettando il momento giusto per ridistendersi e, avanzando, lasciare dietro a sé la famosa bava, preziosissima non solo in letteratura, ma letteralmente (scusami il jeu de mot, ma recentemente a causa della persistenza di una tosse secca mi son sorbito uno schifosissimo sciroppo cavato da quella: informatevi coi vostri whatsup se dico balle!). Adottarla o meno è una scelta legittima, un po' autolesionista nel secondo caso, ma legittima e affonda le radici nella propria storia infantile.
Non è questo che volevo ribattere parlando di banane, ma il fatto che, diffondendo cultura (i social lo sono per antonomasia), condisci i tuoi interventi con foto e immagini varie ai tuoi post e lo fai con competenza e pertinenza: non sono il solo a dimostrarla nel campo avverso - sottolineo l'aggettivo, ma la tua riproduzione dell'autoritratto è decisamente troppo scura). Che male c'è? Dirai. Già. Evviva facebook, evviva il digitale, evviva l'immagine piatta, elettronica e con la luce da dietro: è tanto democratica! Ma noi siamo snob, subiamo molto l’attuale democrazia e amiamo quella diretta (democrazia e luce), riflessa, opaca e tangibile (ti ricordi la mostra di Chardin a Ferrara?).
No, siamo seri, non ho nulla contro le tue immagini, fai bene a condire i tuoi scritti, del resto perfettamente autonomi e indipendenti dalle stampelle visive, ma l'altro giorno, aprendo la tua rivista (00 Doppiozero) mi capita di scorrere (confesso di non aver avuto la pazienza di leggerla attentamente) l'esegesi di un'esegesi: indovina su chi? Ma sì, naturalmente il solito Duchamp. L'esegeta, l'ultimo della serie infinita, era tuo fratello e dell'esegeta dell'esegeta non ho avuto cuore di ricordare il nome: a' nen pei pu (al mio paese: non ne posso più!).
Tornando a noi allora: Rembrandt non era povero (anche se in vecchiaia, per speculazioni finanziarie andate a buca lo era diventato), ma la stanza in cui si ritrae (pare proprio che quel 25x32 sia veramente suo e non di Jan Lievens), sì. Perché è sempre una constatazione della propria miseria il momento in cui da giovani ci si rende conto della caducità della vita e del dominio del tempo. Ma è povera nella forma, attraverso la forma: non mi ricordo più chi ha affermato che per un pittore una qualsiasi tragedia è sempre in definitiva un colore. Non per Duchamp, sia chiaro (e tu, fedele fratello, lasciami spezzare una lancia contro Elio e il suo persistere a commentare l'amato maestro: di scacchi).
Purtroppo noi qui (plurale solo majestatis) ci attardiamo a chiacchierare, mentre quello dipingeva (e come!): opaco, addirittura denso, corposo. Ma il digitale non lo riporta.
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Non più di un'ora dopo eravamo già in vista della casa del Maremmano. Avevamo spinto sui pedali con foga, senza lamentarci e senza troppe parole. Persino quella salita infame ci era sembrata meno infame della volta passata. E Schizzo ci era rimasto sempre a fianco, senza prenderci in giro, anzi, fingendo pure di faticare. Il primo che scorgemmo nel cortile fu Antonio, come si poteva non vederlo. Era a torso nudo e stava armeggiando con un trattore che doveva avere la stessa età di Matusalemme. Certo che era grosso, perdio! Non il trattore. Cioè, anche il trattore era grosso, ma Antonio metteva paura. A ripensarci, credo che anche Sansone in persona ci avrebbe pensato due volte prima di attaccare briga con lui. Appena si accorse di noi, lasciò andare gli attrezzi che stava usando, si pulì le mani sui pantaloni da lavoro e ci illuminò con un sorriso a trentadue denti. Cazzo, pure i denti mi sembrarono giganteschi.
"Ma bentornati, amici miei! Sono davvero felice di rivedervi." E felice lo sembrava davvero. E ci aveva anche chiamato amici! Non vedevo l'ora di tornare in paese e raccontarlo a tutti. Col cazzo che qualcuno avrebbe ancora osato trattarci male o, peggio, malmenarci. Se la sarebbero vista con lui. Se li sarebbe mangiati vivi! Ma quello non era un giorno per le fantasticherie, avevamo un dovere da compiere. Una missione. Tagliai corto ed imboccai la via maestra delle parole: "Ascolta, Antonio, siamo venuti a parlare con..." Mi interruppe prima di aver finito. "Pietro sta giù alla vigna, giovanotti. Deve zappare l'erba sotto a tutti i filari. E noi abbiamo una vigna sterminata. Si è beccato una bella punizione stavolta. Nostro padre ha avuto la mano pesante." Poi si abbassò sulle ginocchia e si guardò intorno con circospezione esagerata, tanto da strapparci un mezzo sorriso. "Credo che il vecchio voglia fargli pagare anche un po' delle mie colpe. Cose vecchie, di qualche anno fa. Ma, personalmente, posso farci ben poco, in compenso il vostro amico è uno tosto e se la caverà senza danni." Concluse, facendo l'occhiolino.
"Veramente non siamo venuti per parlare con lui. Non subito almeno. Siamo venuti per parlare con tuo padre." Mi voltai verso i miei amici, come a cercare conforto e appoggio. Loro annuirono contemporaneamente, indossando delle facce serie, adatte alla circostanza. "Dove possiamo trovarlo?"
Antonio si alzò in piedi, oscurando il sole. Cazzo, nella sua ombra ci stavamo comodi anche tutti insieme. Forse c'era abbastanza posto anche per qualcun altro. "Andiamo, è giù alla stalla che sta terminando di mungere le mucche. Vi accompagno." Lo seguimmo in silenzio fino alla stalla. Lui si fermò sulla porta e ci fece segno di entrare. "qualunque cosa dobbiate dirgli, credo sia una faccenda privata. Vi aspetterò qui fuori, ma vi dico fin da ora che sono dalla vostra parte." Disse. E ci scompigliò i capelli, uno per uno. Uno per uno nel senso di ad ognuno di noi; non nel senso dei capelli. Entrammo in fila indiana, non ci prendemmo per mano solo perché era roba da femminucce, non che non ne avessimo avuto voglia. Il vecchio maremmano era seduto su uno sgabello di legno, con un secchio di metallo tra le gambe divaricate e le sue mani viaggiavano veloci sulle enormi mammelle di una mucca pezzata, che non sembrava affatto infastidita. Anzi, ogni tanto, si voltava a guardarlo, come a volerlo ringraziare. Segno che quelle tettone gonfie da scoppiare qualche problema glielo davano. Il vecchio ci dava le spalle e si accorse del nostro arrivo solo all'ultimo, quando potevamo quasi toccarlo. Si voltò di scatto e gli lessi la sorpresa sul volto, ma si riprese subito. Ci sorrise. Anche lui, come Antonio, sembrò felice di rivederci. "Che piacere vedervi ragazzi! Benvenuti di nuovo in casa mia. Cosa posso fare per voi?" Lo sapeva. Sapeva il motivo della nostra visita, ma non sapeva tutto.
"Siamo venuti per parlare con lei, signore." Dissi, non riuscendo ad impedire alla mia voce di tremare.
Smise di mungere, diede un colpo a mano aperta sull'enorme culone della mucca, che si avviò pigramente verso l'uscita della stalla, ci fissò uno per uno e rispose: "Bene, vi ascolto. Prima però perché non bevete un bicchiere di questo latte appena munto? E' delizioso e vi farà digerire meglio tutta la strada che avete dovuto fare per arrivare quassù." Non fece in tempo a terminare, che Bomba aveva già sposato la proposta, seguito a ruota dal Tasso, da Tonino e da Sergetto. A me non piaceva molto il latte, figurarsi quello appena munto, con quel sapore così prepotente, ma annuii lo stesso, per cortesia, senza troppo entusiasmo. Schizzo ci pensò sopra qualche secondo, a cercare parole che, evidentemente, non trovò, visto che disse, senza mezzi termini: "A me il latte fa schifo. Signore."
"Per prima cosa, non chiamarmi signore, sembra che tu voglia tenermi a distanza. E mi fa sentire più vecchio di quello che sono. Chiamami Giovanni, che è così che mi chiamano tutti. Anche perché è il mio nome. Seconda cosa: come può farti schifo il latte? Anche tu, come tutti noi, sei cresciuto grazie al latte. E sono sicuro che, da piccolo, non ti bastava mai."
"Si, ma ero piccolo. Ed era di mia madre! non era di mucca appena munta!"
"Certo, non era di mucca, ma a mungere, se mi lasci passare il termine, tua madre ci pensavi tu stesso e la tua voglia di diventare grande. Ma non serve discutere. Hai ragione anche tu: se non ti piace non devi berlo per forza." Prese cinque bicchieri da una vecchia credenza che, sicuramente, aveva vissuto momenti migliori, ed iniziò a riempirli. "Ditemi allora. Cosa volevate chiedermi?"
Ci fu un attimo di panico a quella domanda diretta, mi accorsi che le parole proprio non volevano uscire. Fu Tonino il più lesto a reagire: "Senta signor Giovanni, abbiamo saputo della punizione. Di quella che ha dato a Pietro. Siamo venuti a chiederle di ripensarci." Lui continuava a guardarci, ma senza parlare. Segno che c'era bisogno di altre parole. Dovevamo convincerlo. Tonino aveva rotto il ghiaccio, ora potevo proseguire: "Si, lui non merita di essere punito. Ci ha difesi, è stato coraggioso. Lo ha fatto per noi. Non ha avuto paura di battersi per una cosa che riteneva giusta. Ed era giusta, cazz...volo! E quelli erano in tre e lui da solo. E se le avesse prese, nessuno di noi si sarebbe sognato di dargli una mano. Me ne vergogno ancora, ma è così. Mai nessuno di noi ha mai osato mettersi contro i grandi, invece Pietro le ha suonate a tutti e tre. Anzi, a due, perché il terzo se l'è fatta sotto. Merita un premio, non una punizione. Si è comportato meglio di tutti noi messi insieme. E' un amico vero! Per questo la preghiamo di lasciarlo andare. Basta punizione. Ma se non è di questo parere, se è deciso a continuare, allora punisca anche noi. Al campo c'eravamo tutti. Stavolta non ci nascondiamo e la punizione la dividiamo in parti uguali. Questo dovrebbero fare dei buoni amici." Parlai tutto d'un fiato, senza nemmeno una pausa. Forse evitando persino di respirare, per non permettere alle parole di nascondersi. Il vecchio ci fissò a lungo, quasi a voler saggiare la fermezza della nostra volontà. "Quello che hai appena detto ti fa onore giovanotto. Anzi, vi fa onore, perché immagino che la pensiate tutti allo stesso modo, vero?" Non ricevette risposte, ma i segni di assenso fatti con la testa non lasciavano spazio a diverse interpretazioni. "Si, lo immaginavo," Proseguì, "Sembrate decisi ad andare fino in fondo. Anche se, in cuor vostro, ne sono sicuro, sperate che non ce ne sia bisogno. Che mi commuova. Ma avete dato la vostra parola e, tra uomini, la parola è sacra. E' un impegno che va mantenuto a tutti i costi. Mai mancare alla parola data, è questo l'insegnamento che riceverete oggi. Ne va della vostra credibilità e della vostra dignità di persone." La cosa non sembrava prendere una bella piega. Si avvicinò ad una cassapanca tutta tarlata e ne tirò fuori una scatoletta di metallo, dalla quale estrasse un gigantesco sigaro toscano. Lo accese con esasperante lentezza fino a farne uscire una nuvola di fumo azzurrino e puzzolente. "Sapete già dove ho spedito il vostro amico?"
"Si, lo sappiamo, signor Giovanni." Rispose Tonino preoccupato.
"E sapete anche cosa sta facendo?"
"Sappiamo anche questo." Disse il Tasso, tradendo una crescente impazienza. Sembrava lo stesso gioco che fa il gatto con il topo. Con i topi, in questo caso. Eravamo tutti impazienti. Ci stava mettendo alla prova, ma se sperava che avremmo mollato, si sbagliava di grosso. Eccome se si sbagliava. Aveva intenzione di punirci tutti? Bene, che lo facesse allora. Anzi, male, ma non ci avrebbe messo paura. Tutti per uno! Ci indicò, con la punta del sigaro, un angolo ben preciso della stalla. "Laggiù ci sono cinque zappe, prendetene una a testa e raggiungete il mio ragazzo. Uno di voi rimarrà senza, così potrete darvi il cambio e riposarvi a turno. Su, andate, che c'è molto da fare. Ricordate che oggi si pranza alle due in punto. Vedo che non portate orologi, quindi regolatevi con il sole. Se non sapete come si fa, chiedete al vostro compagno di sventura, lui ha imparato." Dovette godersela un mondo ad ammirare le nostre facce smarrite. Non era certo quello il risultato che speravamo di ottenere quella mattina. Aveva ragione mio padre: il vecchio maremmano era bello tosto.
Ci fece un mezzo sorriso, non saprei dire se per confortarci, o per prenderci per il culo, poi ci congedò: " Andate pure, fuori c'è Antonio che sarà lieto di indicarvi la strada. Buon lavoro, ragazzi!" Si, ci stava decisamente prendendo per il culo.
"Buon lavoro una bella sega!" Pensai, mentre con la mia zappa in spalla uscivo mogio, mogio, dalla stalla.
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"Dobbiamo aiutare il Maremmano! E dobbiamo farlo subito. Lui si è messo nei guai per noi. Per salvarci il culo da quei prepotenti e per farsi restituire il tuo pallone, Pietro, ricordatelo."
Eccome se me lo ricordavo, E chi se lo sarebbe scordato più. Ancora mi pesava l'averlo lasciato da solo. Il Tasso aveva ragione. Dovevamo aiutarlo, era nostro amico ed eravamo in debito con lui. Il problema era: come? Cosa potevamo fare per aiutarlo? Certo, non si trattava di un dettaglio trascurabile. Tonino sembrò leggermi nel pensiero e diede voce ai miei dubbi muti. "Hai ragione, Tasso, ma come possiamo fare?"
"A questo non ci ho ancora pensato."
"Non sarà facile."
"Lo so io come." Disse timidamente Sergetto. Gli era uscito appena un filo di voce, ma, nella circostanza, somigliò ad un urlo. Sergetto era uno che aveva sempre paura di tutto, che non prendeva mai iniziative, che preferiva seguire a ruota. Il fatto che volesse esprimere una sua idea era una vera novità, ovvio che la nostra attenzione fu catturata all'istante. "Si, insomma, " Proseguì, " Lui ci ha difesi, lo sappiamo tutti che, altrimenti, le avremmo buscate di santa ragione. Invece è toccato a lui solo buscarle. Dal padre. E si è beccato la punizione per colpa nostra. Noi adesso andiamo dal padre e gli facciamo capire bene come sono andate le cose. E se è proprio duro di comprendonio, se insiste a non voler capire, che punisse pure noi! Perché aiuteremo il Maremmano fino a quando non saranno finiti tutti i lavori. E partiamo subito, non aspettiamo altri cazzo di giorni. Andiamo a prendere le biciclette e partiamo. Subito!"
Ci aveva colti di sorpresa. Aveva fatto un discorso da grande. Afferrai con tutte due le mani la faccia arrossata di Sergetto e gli schiacciai un bel bacio sulla fronte. "Sei un genio, amico mio!" Gli dissi. Lui mi spinse via con foga, si pulì la fronte col dorso della mano e: "Ma che cazzo fai, Pietro? Mica sarai diventato frocio?" Disse, con un disappunto formale. "Da oggi in poi tu sarai il mio amore!" Dissi ridendo e:" Su, di corsa, si va a prendere le biciclette e si va. Ci ritroviamo qui il prima possibile." Aggiunsi.
Stavamo per muoverci, quando fummo stoppati dalla voce di Bomba: "Aspettate un momento! "
"Ora che c'è, Bomba?" Reagì spazientito il Tasso.
"Che dico a mia madre?"
"Perché? Vuoi portare anche lei? Che prenda la sua bicicletta allora!"
"Te non capisci una sega, Tasso! Voglio dire che, ammettendo che partiamo subito, come facciamo ad essere qui per l'ora di pranzo? Se faccio tardi, si incazza come una iena."
"Tua madre è una iena. Anche quando non si incazza."
"Fottiti!"
"Sei duro di zucca, Bomba! Oggi non si pranza!"
"Come non si pranza?"
"Certe volte sei come un bambino piagnucoloso, Bomba. Inventale una scusa qualsiasi. Fai come cazzo ti pare, ma devi venire con noi. Dobbiamo essere tutti uniti. Racconta a tua madre che non hai fame!" Suggerì Tonino, senza starci troppo a pensare. Scoppiammo a ridere come se avesse detto la barzelletta più divertente del mondo. Bomba che non aveva fame, faceva troppo ridere. Anche lui ci rise sopra. Era una cazzata spaventosa, nessuno se la sarebbe mai bevuta.
"Di a tua madre che sei invitato a casa mia, così la facciamo corta. Me la vedo io con i miei." Non avevo ancora la più pallida idea di cosa dire ai miei, ci avrei pensato sul momento. qualcosa mi sarebbe venuto in mente di sicuro. Corremmo a casa a recuperare le nostre cavalcature. Ognuno di noi, consapevole dell'importanza della missione, se la sarebbe cavata egregiamente. Saper dire le balle ai propri genitori è un lavoro fondamentale per un ragazzino. Ne va della buona riuscita della crescita, sia fisica che mentale. Incrociai mio padre sulle scale di casa, aveva le mani sporche di grasso. Evidente che era stato in garage ad armeggiare con il motore della sua auto. sperai che non avesse avuto problemi, altrimenti avrebbe avuto un umore di merda e potevo pure scordarmi la possibilità di squagliarmela. non sapevo ancora come iniziare il discorso. Fu mio padre stesso a trarmi d'impaccio, cogliendomi, ancora una volta, di sorpresa.
"Allora? Cosa ti succede? Qual è il problema?" Disse senza neanche guardarmi.
Diavolo di un uomo! Ma come aveva fatto? La mia faccia colpita a tradimento dallo stupore, lo fece sorridere. Guardò l'orologio e proseguì: "Mancano quasi due ore per il pranzo e tu non arrivi mai in anticipo. Mai, nemmeno di un minuto. Veramente non arrivi mai nemmeno in orario. E' per questo che le buschi di continuo e ricevi le punizioni, ma tu niente. Hai la testa dura come il marmo. Ed ora che ci rifletto, forse, voi ragazzini vi assomigliate tutti. Tutte teste di marmo. Spiegherebbe pure perché vi si chiama anche marmocchi!" E via una sonora risata. Cazzo quanto adorava il proprio lato comico. "Quindi se ti fai vivo a quest'ora, è segno evidente che c'è qualcosa che non va. Perciò ora saliamo in casa e, mentre mi faccio un bel bicchiere di bianco ghiacciato, tu sputi il rospo. Poi ti darò la punizione che meriti. Tanto va sempre a finire così." E giù un’altra scarica di risate.
Non saprei dire in quale momento presi la decisione, fatto sta che gli raccontai la verità. Tutta. Senza tralasciare nulla, compresa la bugia che avrebbe dovuto dire alla mamma per coprire Bomba. Mio padre si sorbì l'intero resoconto senza aprire bocca. E non l'aprì neanche quando ebbi finito. Non subito, almeno. Se ne stava lì senza fiatare e mi fissava. Mi fissava e stava zitto. Ero sulle spine. probabilmente l'idea di metterlo al corrente della faccenda non era sta una bella idea. Improvvisamente mi afferrò per le braccia e mi strinse forte a se. E, cosa inaudita, mi baciò pure. Doveva essere impazzito. Cazzo se era impazzito! Colpa del sole, forse. O del vino, più probabile.
"Credevo che non sarebbe mai successo," Disse a voce bassa, "Ma devo ammettere che oggi mi hai davvero sorpreso. Sono orgoglioso di te, marmocchio! Stai facendo la cosa giusta, perdio! Ed anche quei puzzoni dei tuoi amici la stanno facendo. Per quanto resto convinto che siano degli idioti. E nessuno potrà mai convincermi del contrario. Bravi! Tutti per uno, uno per tutti. Così si fa! Come i tre moschettieri. Che poi erano quattro. Come cazzo si fa a mettere un titolo del genere? Qualcuno, prima o poi, me lo dovrà spiegare. Sai scrivere, ma non sai fare i conti più elementari.
Ora vai a darti una sciacquata e mettiti i vestiti più vecchi che hai. Che ho idea che il papà del tuo amico cazzuto sia un vero duro e vi farà il culo a tutti quanti. Ma sono sicuro che la lezione vi sarà molto utile. Eccome se lo sarà. Su, di corsa a lavarti, con tua madre me la vedo io. Ma, sia ben chiaro, comunque vadano le cose, ti voglio a casa per l'ora di cena. Intesi?"
"Certo, papà. Ti voglio bene!" Il ti voglio bene mi sfuggì senza pensarci. Forse era la prima volta che glielo dicevo. Lui sorrise bonariamente e: "Certo che sei proprio un bel paraculo!" Mi disse.
Mi fiondai in bagno. Lasciai la porta aperta per poter origliare cosa avrebbe detto mia madre; intanto lasciai scorrere l'acqua. L'idea di lavarmi di nuovo non mi passò neanche per l'anticamera del cervello. Mi ero già lavato quella mattina stessa. Che bisogno c'era di farlo di nuovo? Era una mania quella di doversi sempre lavare. Peggio: una persecuzione! Una condanna a vita. Udii mio padre spiegare, con calma, il piano a mia madre. mia madre che, stranamente, non fece osservazioni. Valle a capire anche le madri. Era più che sicuro che se fosse toccato a lui parlare, col cazzo che lo avrebbe lasciato uscire! Neanche per un motivo importante come quello. L'unica cosa che non la convinceva era di dover mentire alla madre di Bomba. Anche se se lo meritava, pensai. Ma il suo vecchio aveva pensato anche a questo: avrebbe parlato lui alla matta scatenata, le avrebbe detto che ci portava con lui a fare un giro in campagna. fine delle trasmissioni. Stavo per uscire dal bagno, ma, per fortuna, attesi qualche altro secondo e riuscii ad ascoltare l'ultima frase del mio vecchio. Usò un tono che mi era del tutto sconosciuto: "Sta crescendo il nostro pulcino, donna. Sta crescendo e, ne sono sicuro, diventerà una gran bella persona." Queste furono le sue parole. Precisamente. Ed io volai fuori di corsa con il cuore che mi cantava in petto.
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