#lo Stato dell’Arte
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pier-carlo-universe · 2 months ago
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Alessia Pignatelli: Talento Giornalistico Premiato al Premio Seneca
Un trionfo per l'articolo sull'arteterapia che unisce introspezione e filosofia nell'VIII edizione del Premio Accademico Internazionale Lucius Annaeus Seneca
Un trionfo per l’articolo sull’arteterapia che unisce introspezione e filosofia nell’VIII edizione del Premio Accademico Internazionale Lucius Annaeus Seneca. Alessia Pignatelli si distingue nuovamente come una delle voci emergenti nel panorama giornalistico e artistico, ricevendo il prestigioso Premio Seneca per il suo articolo “Riflessioni e messaggi dal nostro ‘Io’ osservando ‘La Creazione di…
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thegianpieromennitipolis · 8 days ago
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CONFERENZE - POLIS di Gianpiero Menniti racconta la Comunicazione l'Arte e la Politica
IL SACRO NELL'ARTE CONTEMPORANEA - di Gianpiero Menniti
Il racconto dell’arte e dell’arte occidentale in particolare, rimane aperto a domande irrisolte.
Tra queste, il rapporto con il sacro nel modello di rappresentazione del fervore religioso è forse il percorso di ricerca più proficuo per tentare di comprendere le singolarità e le contraddizioni di espressioni artistiche di straordinaria intensità.
Così, correndo lungo i secoli della cristianità, mutando ed esplorando sempre nuove vie, quelle antiche aporie hanno lasciato il segno anche nell’arte contemporanea, nonostante celate nei tratti caotici del tumultuoso “Secolo Lungo” e poi di un Novecento ancora vibrante nelle coscienze del sentire artistico.
Per questa ragione ho voluto che due apprezzate e premiate opere di due pregevoli artisti fossero accanto a me durante la dissertazione: "La Madonna della Consolazione di Dasà", mirabilmente dipinta da Corradino Corrado e la rappresentazione della croce che vede la marcata espressività di Antonella Di Renzo.
Così s'è snodata la conferenza tenuta a Vibo Valentia lo scorso 17 Dicembre, nella Chiesa del Rosario il cui impianto risale al 1284: sono stato accolto con rimarchevole gentilezza dal Rettore, Mons. Filippo Ramondino e dal Priore dell'Arciconfraternita di Maria SS. del Rosario e San Giovanni Battista, Pino Mirabello.
Di suggestivo interesse e indubbio pregio la "Cappella De Sirica-Crispo" che nell'occasione ho visitato: stile gotico angioino, fu eretta nel 1346 nell'allora tempio dei Frati Conventuali di San Francesco d'Assisi, unica superstite delle quattro cappelle monumentali originariamente presenti sul lato destro del luogo sacro.
La cappella che ospita un suggestivo sarcofago marmoreo con un altorilievo raffigurante il cavaliere angioino Domenico De Sirica, è dedicata a Santa Caterina e rappresenta uno dei più significativi esempi di gotico meridionale.
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abr · 13 days ago
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Lontani ma vicinissimi: L'Oltralpe Tedesco.
Ricordate il voto austriaco del 29 settembre scorso? (Ndr: ah si sono tenute elezioni in Austria? I media sono così: se non c’è di mezzo il Cremlino, tendono a dimenticarsi delle notizie).
Anche in quel caso, fiumi di inchiostro e retorica mainstream da caccia alle streghe contro l’onda nera annunciata della Fpo. La quale ha stravinto lo stesso le elezioni, ma ha patito un trattamento alla francese da parte del presidente della Repubblica e dei due principali partiti "normali", Popolari e Socialisti: cordone sanitario antifascista, esclusi dai colloqui per la creazione di un nuovo Governo. Appestati. Che meraviglia la democrazia!
Ebbene, a tre mesi da quel voto, qual è lo stato dell’arte nel Paese alpino? Nessun Governo. Nessun accordo. Simil Francia, guarda caso. Ma lo stesso insistono nella politica di esclusione della Fpo. (...)
Se mai La Repubblica decidesse di trattare il tema Austria, certamente il taglio dell’articolo (sarebbe) un misto di delirio woke e rievocazione dei valorosi carnefici di Hitler.
La realtà? E' arrivato il freddo. (E)ssendo l’Austria dipendente al 70% dal gas russo, i prezzi in rialzo e la prospettiva di ulteriore impennata a partire dall’anno nuovo, quando l’Ucraina negherà come annunciato il transito del gas russo Gazprom via pipeline (sinora ha sempre continuato a passare dall'Ucraina come nulla fosse, ndr), han fatto lievemente irritare gli austriaci (e impennare i sondaggi di) Fpo, da sempre contraria alle sanzioni contro la Russia. Gli altri due Partiti invece, sono favorevolissimi. Insomma, sinistra e popolari non capiscono come il Fuhrer tiri meno del calorifero.
In seconda battuta, conta l’immigrazione. Altro tema cavalcato da sempre da Fpo, ovviamente fra le accuse di xenofobia. Difficile però per Popolari e Socialisti proseguire nel copione, poiché appena caduto di regime di Assad, Vienna ha immediatamente bloccato gli ingressi a nuovi profughi siriani. (...) Tradotto, porte chiuse. Ipocrisia fino al midollo.
Ma lo stesso i sondaggi non perdonano. Esattamente (come quelli che) a due mesi dal voto spartiacque in Germania, dove la leader di Alternative fur Deutschland è vista dalla maggioranza degli interpellati come il miglior Cancelliere possibile.
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A livello di partiti, la Cdu si attesta sul 31% e Afd attorno al 19,5%, ma quando si chiede quale sia la persona giusta per governare, anche gli elettori dei democratici-cristiani non (pensano) al tifo di stampo calcistico. Guardano alle ricette. Pragmatici. E Alice Weidel le ha riproposte con forza nel suo comizio dopo l’attentato di Madgeburgo: porte chiuse, espulsioni di massa ed extrema ratio di addio all’euro, se la permanenza nella moneta unica compromettesse ulteriormente il profilo industriale della Germania.
via https://www.ilsussidiario.net/news/spy-finanza-i-sondaggi-scomodi-che-arrivano-da-austria-e-germania/2784603/
Tranqui, in caso di affermazione di AfD, mainstream e soloni del Deep DemoState alla Draghi-Macron sono già pronti: a parte i cordoni sanitari alla francese (chi se lo ricorda "l'arco costituzionale"? Noi bizantini siam sempre avanti a tutti in queste cose), sono già scritte anche le articolesse: tutta colpa non più degli hacker di Putin, stavolta sarà di X di Musk. Perché il primo l'han già sanzionato, il secondo invece minaccia di far danni, di sputtanare ...
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diceriadelluntore · 1 year ago
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Storia Di Musica #289 - Genesis, The Lamb Lies Down On Broadway, 1974
Quando si parla di dischi dove davvero si sente quanto siano bravi i musicisti, non si può non pensare all’epopea del progressive (che come quelli che mi sopportano in questa rubrica da più tempo sanno, sia uno dei miei pallini musicali). Il prog, che vorrei sottolineare è una definizione che negli anni è diventata sempre meno descrittiva e precisa, ma che per consuetudine e anche affetto si continua ad usare, è stato il primo e significativo della gioventù europea di creare musica pop fuori dallo schema del blues americano d’importazione. Sembra un particolare secondario, ma è fondamentale, come lo è l’estrazione sociale dei protagonisti: tutti baby boomer (termine che vuol dire la prima generazione nata dopo la guerra, non il sarcastico e odioso epiteto di oggi contro chi non è “giovane”), sospinti dalla crescita economica e, particolare importantissimo, la prima generazione che fa musica studiando a livelli superiori; quasi tutti i grandi gruppi progressive sono formati da ragazzi laureati, spesso in materie scientifiche (l’esempio più famoso è Brian May, laureato con lode in Astrofisica, ma ricordo anche i componenti dei mitici Van Der Graaf Generator tutti dottori in materie scientifiche). Tutto questo portò ad un approccio molto serio e tecnico alla musica, e al netto delle preferenze personali i capolavori del prog sono tutti dischi suonati magistralmente, e potrebbero essere tutti citati in questo mese. Aggiungo, in primis, disseminati nei post di questa ve ne sono tanti, e in secundis per celebrare degnamente i dischi stato dell’arte ho scelto uno dei più famosi dischi prog, capolavoro di una delle band leggenda del movimento.
I Genesis sono stati i principi del progressive, una dei gruppi mitici di quel periodo. Eppure l’inizio fu tutt’altro che promettente: dopo una scrittura per la Decca e due singoli, esce From Genesis To Revelation (1969), che ha così poco successo che tutti i membri della band, Peter Gabriel, Tony Banks, Chris Steward, Anthony Phillis e Michael Rutherford tornano a fare gli studenti universitari. Fu però l’intuito di un grande discografico, Tony Strattor-Smith, che fondò la Charisma, la casa discografica motore del prog, a intuire il potenziale: entra a fare patte della band John Mayhewm con cui registrano Trespass (1970), che sebbene non ha vendite confortanti è apprezzato e ha il primo, grande brano, The Knife. Ma il meglio deve ancora venire: Mayhew se ne va con Phillips, e tramite un annuncio sulla famosissima rivista Melody Maker, vengono scelti due nuovi musicisti, Steve Hackett alla chitarra e Phil Collins alla batteria. Nasce qui la line up leggendaria, e piano piano inizierà a prendere forma il loro mondo di testi colti, ironici e surreali, con tanti riferimenti letterari e alla mitologia non solo classica ma anche del folklore locale, una musica maestosa e a tratti magicamente ipnotizzante con largo uso di tastiere e sintetizzatori, creando o anticipando stili futuri, tipo il rock sinfonico. Nursery Crime, Foxtrot, Selling England By The Pound sono i primi tre capitoli di una tetralogia magnifica di capolavori che impongono lo stile musicale del gruppo ma anche l’istrionismo di Gabriel, cantante superbo, e da ricordare soprattutto che fu il primo ad introdurre l’aspetto teatrale e scenografico nei concerti, usando travestimenti, trucchi in volto, caratterizzando la voce dei vari personaggi delle canzoni. Il disco di oggi è l’apoteosi di questo concetto, un disco che è molto di più di Gabriel che dei Genesis, nella stessa misura di The Wall disco di Roger Waters che dei Pink Floyd.
The Lamb Lies Down On Broadway, che esce nel 1974, è il primo, e unico, concept album dei Genesis. Racconta la storia di Rael (anagramma di Real, reale, ma anche parziale di Gabriel), un ragazzo portoricano fuggito dall’orfanotrofio di Pontiac che va a New York a scrivere graffiti, unica forma per esprimere i suoi sentimenti. Camminando per Broadway, Rael si imbatte in un agnello sdraiato fra i vapori dei riscaldamenti sotterranei, che si trasformano in una nebbia che lo trasporta in un'altra dimensione spazio-temporale, quasi interamente ambientata sottoterra. Qui troverà mostri mitologici, uomini mezzi rettili, personaggi grotteschi, ma troverà anche suo fratello John. Proprio per salvare la vita di John, al culmine della storia, Rael rinuncerà a tornare nella sua Manhattan, magicamente riapparsa oltre una finestra nella roccia, per gettarsi fra le rapide di un fiume. Subito dopo il salvataggio tuttavia Rael si accorge sgomento che John ha assunto le sue stesse sembianze, rivelandosi di fatto una proiezione del suo io, e appena capito cosa sta per succedere immediatamente dopo i "due Rael" scompaiono in una misteriosa foschia purpurea assieme a tutta la scena e alla storia stessa. Non esiste un brano “killer” come ci sono stati in altri lavori precedenti, ma basta il brano omonimo che apre il disco, che raccoglie come una ouverture di musica classica tutti i temi del disco ( il doppio LP dura oltre 90 minuti), la dolcezza di Hairless Heart o The Carpet Crawlers, o la forza di In The Cage o di Counting Out Time per decretare questo disco di una tale ricchezza di spunti, sia lirici che sonori, da dare il capogiro. La storia di Rael è l’ennesimo, e più sofisticato, tentativo di Peter Gabriel di critica al consumismo, alla imminente globalizzazione, agli idoli fallaci di un mondo dove i confini tra illusione e realtà sono sempre più fittizi, dove essere e apparire si fondono perdendo di contorno e significato, e molto più di altre occasioni c’è una dimensione personale di racconto emozionale per dar forma a temi che riguardano la sua interiorità, come il rapporto col sesso (The Lamia, The Colony Of Slippermen), con la paura o con la morte (Anyway, Here Comes The Supernatural Anaesthetist), visti con gli occhi di Rael. E se per qualcuno c’è il dubbio, in It, misterioso e sarcastico brano di chiusura, Gabriel canta “Se pensi che sia pretenzioso, sei stato preso per un viaggio\Guarda attraverso lo specchio figliolo, prima di scegliere, decidi” e finisce con “it's only knock and know-all, but I like it", che storpia il titolo di It's Only Rock 'n Roll (But I Like It), degli Stones, traducibile pressappoco: «criticare e [fare il] saccente su tutto», quasi a profetizzare le future critiche delle riviste musicali al lavoro, accusato di essere uno spaccato di megalomania, per la storia così complicata (che ha, per essere precisi, un finale aperto, come a sospettare un continuazione prevista). Gabriel dopo il tour successivo questa faticaccia se ne va, nel 1975, anche perché gli animi degli altri non vedevano bene il suo protagonismo. Ci sono le ultime tre cose da dire: i Genesis ne volevano fare un film con William Friednik, recentemente scomparso, ma non se ne fece mai niente; il disco fu accompagnato da 102 concerti, dove Gabriel cambiava vestito per decine di volte, ed è un peccato che non ne sia mai stato fatto un live come si deve; i Genesis, dopo l’addio di Gabriel, passano le redini a Phil Collins, che dopo la bufera del punk (che odiava la maestria del prog, a cui opposero i suoni viscerali e spesso sgangherati), specializzerà il gruppo in una sorta di pop d’autore, che regalerà risultati di vendita mai visti, soprattutto negli Stati Uniti, che ovviamente non capirono mai del tutto il prog. Ma il passaggio tra le due epoche equivale a passare in una strada dove prima sorgeva una cattedrale maestosa, tra le più grandiose di sempre per meraviglie, al cui posto adesso c’è una villetta in riva al mare, che accoglie l’ondeggio lento delle onde. Un cambiamento non da poco.
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susieporta · 1 year ago
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Una delle peggiori manifestazioni di cinica indifferenza e di crudeltà di questi ultimi anni è stato impedire ai parenti stretti di stare vicino al morente nel momento della fine. In quegli ultimi istanti di vita, che nella dimensione soggettiva del tempo equivalgono all’eternità, è di fondamentale importanza che chi sta per andarsene senta l’amore di chi gli sta vicino, ed il dolore condiviso da entrambi. Potremmo vedere, nell’assenza di tale estrema consolazione, l’equivalente laico del concetto religioso della solitudine e della “dannazione eterna” dell’inferno.
Questo riguardo a chi muore. Riguardo a chi rimane, lo star vicino al morente è condizione indispensabile per poter svolgere, e poi portare a compimento, il “lavoro del lutto”: questo esige che la scomparsa della persona cara sia “toccata con mano”, e che tale esperienza non venga evitata. Solo se vissuto fino in fondo, il lutto può essere elaborato; e non si pensi di sopperire alla mancanza di tale fondamentale esperienza con una pura e semplice terapia farmacologica antidepressiva.
Uno dei maggiori capolavori della storia dell’Arte c’illustra cosa significhi l’amore di chi ci accompagna fino alla fine, quando tutti gli altri, quelli che ci amano poco o non ci amano, si guardano bene dallo starci vicini.
Sabino Nanni
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daniela--anna · 8 months ago
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Era il 4 maggio 1949
quando la tragedia di Superga spezzò la leggenda del Grande Torino.
L'aereo con a bordo l'intera squadra si schiantò sul colle di Superga non lasciando scampo a nessuno dei suoi 31 passeggeri. Una delle squadre più forti della storia del calcio improvvisamente sparì lasciando sgomenta un'intera nazione.
Simili indimenticabili tragedie, al di là della ricerca di ogni possibile spiegazione, ci toccano a livello umano facendo sorgere in noi importanti domande tipo:
Perché le disgrazie capitano anche alla brava gente?
Siamo predestinati, oppure esiste un karma?
E soprattutto, dove sono i morti?
Cosa accade quando si muore?
Molti non sanno che la risposta a queste domande esistenziali sono alla portata di tutti in un libro antico ma sempre attuale: la Bibbia.
#curiosità
Le antiche origini del calcio.
I cinesi sono stati i primi a divertirsi calciando palloni nelle reti per sport nel III secolo a.C., e il gioco del calcio come lo conosciamo oggi è stato formalizzato in Inghilterra nel XIX secolo. Ma il predecessore della maggior parte dei moderni giochi con il pallone è nato nelle Americhe.
“Il concetto di sport di squadra trova le proprie origini in Mesoamerica”, afferma Mary Miller, docente di storia dell’arte all’Università di Yale che ha studiato numerose testimonianze di questo sport.
In Mesoamerica, la vasta regione storica che si estende dal Messico al Costa Rica, le civiltà fiorirono ben prima che Colombo le “scoprisse”, e molti di questi popoli praticavano uno sport che prevedeva l’uso di una pesante palla fatta di una sostanza ricavata dalla resina degli alberi.
📚 Alcune considerazioni.
Il gioco del calcio da secoli affascina intere generazioni e nazioni, talvolta fino al punto di dettare comportamenti sociali, instillare rivalità,addirittura odio per gli avversari, e/o diventare una vera e propria ludopatia.
Questo perché, anche se il calcio e lo sport hanno i loro lati positivi, per goderne i benefici bisogna mantenere il giusto equilibrio.
Come ci si può riuscire?
Tenendo conto di alcuni fattori che hanno a che fare anche con la salute mentale/fisica.
📚🔍Tutti i links di riferimento alla trattazione, li trovi nel mio Threads.
It was May 4, 1949
when the Superga tragedy broke the legend of Grande Torino.
The plane with the entire team on board crashed on the Superga hill, leaving no escape for any of its 31 passengers.
One of the strongest teams in the history of football suddenly disappeared, leaving an entire nation dismayed.
Such unforgettable tragedies, beyond the search for any possible explanation, affect us on a human level, raising important questions in us such as:
Why do misfortunes happen to good people too?
Are we predestined, or is there karma?
And above all, where are the dead?
What happens when you die?
Many do not know that the answers to these existential questions are within everyone's reach in an ancient but always current book: the Bible.
#curiosity
The ancient origins of football.
The Chinese were the first to enjoy kicking balls into nets for sport in the 3rd century BC, and the game of football as we know it today was formalized in England in the 19th century.
But the predecessor of most modern ball games originated in the Americas.
“The concept of team sport has its origins in Mesoamerica,” says Mary Miller, a professor of art history at Yale University who has studied numerous examples of this sport.
In Mesoamerica, the vast historical region that extends from Mexico to Costa Rica, civilizations flourished well before Columbus "discovered" them, and many of these peoples practiced a sport that involved the use of a heavy ball made of a substance obtained from tree resin.
📚 Some considerations.
The game of football has fascinated entire generations and nations for centuries, sometimes to the point of dictating social behavior, instilling rivalry, even hatred for opponents, and/or becoming a real gambling addiction.
This is because, even if football and sport have their positive sides, to enjoy their benefits you need to maintain the right balance.
How can this be achieved?
Taking into account some factors that also have to do with mental/physical health.
📚🔍All the reference links to the discussion can be found in my Threads.
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superfuji · 4 months ago
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Un corpo che nella sua ipertrofica perfezione ha influenzato l’immaginario del canone maschile è stato quello di Arnold Schwarzenegger, colui che è riuscito a scavalcare gli argini di un settore ghettizzato e criticato dall’opinione pubblica. I palestrati, fino ad allora derisi come fenomeni da baraccone, attraverso l’ultracorpo di Arnold hanno ottenuto un nuovo status. Arnold era il corpo muscoloso ma non mostruoso. Ipertrofico ma bello. Il faccione sorridente col ricciolo sulla fronte, accoppiato ai pettorali guizzanti, diventava glamour.
Arnold era l’adone. Il semidio. Solare, riuscito, vincente. E così seduceva non solo la nicchia, ma anche il pubblico main stream. La mania per il fitness, che si imporrà nel nostro stile di vita, non farà altro che prendere la spinta estrema del body building e ammorbidirla, imborghesirla un po’. “Muscolosità, dieta, controllo, allenamento, routine, diventeranno gli imperativi del corpo contemporaneo. Il bisogno di stare dentro una forma tonica diverrà sinonimo non solo di bellezza in termini puramente estetici, ma di un sentimento di compiutezza per l’individuo, che di conseguenza acquisterà forza e sicurezza migliorando l’autostima”. Il corpo di Arnold è l’eccezione che indica la strada affinché i nostri corpi comuni si votino al corpo bello in quanto sportivo, sportivo in quanto sano, e sano in quanto: felice? Per certi versi, il canone dominante femminile ha creato maggiore pressione. I nostri corpi di donna, storicamente vessati e considerati minori, ancora si trovano a dover fare i conti con un’idea di perfezione estetica stereotipata, asfittica e ossificata nel tempo. Il movimento di emancipazione femminile prende avvio dal corpo, lo teatralizza e ne fa luogo scenico di rivoluzione e liberazione dai dogmi. Il corpo della donna rivendica parità, eguaglianza e s-classificazione della forma. E così diventa politico. Rivendicare la libertà del corpo, ostentandone l’esibizione, crea un diabolico cortocircuito. L’atto che nasce come slogan progressista, il sono-libera-di-mostrarmi-nuda, paradossalmente non fa che riattizzare il pensiero maschilista. Nel momento in cui vorremmo fare del corpo un simbolo della nostra soggettività individuale, ne stiamo anche mostrando il suo simulacro, in tutta la sua appetibile dimensione sessuale. Il pericolo è che, se sbandierarlo in nome della libertà vuol dire fare politica, in un certo senso stiamo optando per del mero populismo. La magrezza non è solo sinonimo di bellezza. Qualità e virtù morali nei secoli hanno strutturato il concetto di donna ideale. Magra in quanto bella. Bella in quanto perfetta. Perfetta in quanto proba, pura, irreprensibile. Il valore etico ha consustanziato una forma fisica. I corpi delle ballerine hanno vissuto questo percorso iniziatico. Qualcosa di sacro brucia nella loro magrezza. Discendenti delle sante anoressiche, anomale eredi del corpo cavo immacolato, attraverso il sacrificio, la privazione, l’esercizio di volontà, esse si sono donate alla dea Tersicore e hanno vissuto l’estasi e il tormento dell’arte. Emblema della divina leggerezza rimane Carla Fracci. Modello e prototipo imperituro della danza. Eterna fanciulla danzante, la definì Montale.
La Fracci, cristallizzata nella grazia del pudore, con il suo monacale e ligio senso del dovere, getta coordinate etiche ed estetiche sull’immaginario novecentesco del femminile mischiandosi ai corpi patinati di modelle e soubrette televisive. Il corpo leggero e sottile diventa sacro e profano al tempo stesso. E risulta vincente e desiderato. Con l’avvento del virtuale l’entusiasmo per la sottigliezza diventa estremo. Si impone il corpo s-materiale. In assenza di peso, nello schermo, abbiamo creato il corpo che bramavamo. Perfetto a tal punto da eliminare il corpo stesso e rinascere a sua sola immagine. Nel tentativo di estirpare il difetto reale, nuovi corpi galleggiano vitrei nell’etere, mai nati e mai morti, perfettamente utopici. Corpi inesistenti, scartavetrati dai filtri, incamminati sulla strada della reinvenzione. E così facendo corteggiamo proprio quella spinta alla perfezione da cui stiamo cercando di affrancarci. Ci siamo incaricati di rinascere a nuova forma e un delirio di onnipotenza ci attraversa. Si rinasce a sé stessi nella sanificazione della forma. E a questa siamo devoti. Santifichiamo un ultracorpo che non a nulla di religioso ma che profanamente trasuda disumana perfezione.
Ultracorpi, disumane perfezioni
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curiositasmundi · 1 year ago
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[...] Come giornaliste, giornalisti, video e fotoreporter siamo sconvolti dal massacro dei nostri colleghi, delle nostre colleghe e delle loro famiglie da parte dell'esercito israeliano. Siamo al fianco dei nostri colleghi e delle nostre colleghe di Gaza. Senza di loro, molti degli orrori sul campo rimarrebbero invisibili. Ci uniamo alle nostre colleghe e ai nostri colleghi statunitensi e francesi nel sollecitare la fine delle violenze contro i e le professioniste dell’informazione a Gaza e in Cisgiordania, e per invitare i responsabili delle redazioni italiane ad avere un occhio di riguardo per le ripetute atrocità di Israele contro i palestinesi. Le nostre redazioni, senza il lavoro di chi ora è sul campo, non sarebbero in grado di informare il pubblico italiano rispetto a ciò che sta accadendo nella Striscia. Eppure, la narrazione quasi totalitaria della nostra stampa sembra essere poco oggettiva nel riportare le notizie. Molteplici redazioni italiane e occidentali stanno continuando a disumanizzare la popolazione palestinese e questa retorica giustifica la pulizia etnica in corso. Negli anni sono state diverse le accuse di doppio standard. Tra le più eclatanti il caso della BBC, analizzato dalla Syracuse University nel 2011 e lo studio di come, negli ultimi 50 anni, la stampa statunitense ha coperto le notizie relative alla questione palestinese con una predilezione per il punto di vista israeliano. Nel 2021 più di 500 giornalisti hanno firmato una lettera aperta in cui esprimevano preoccupazione per la narrazione dei fatti di Sheikh Jarrah. Nelle stesse settimane, diversi accademici italiani hanno inviato una lettera aperta alla Rai in merito alla copertura delle stesse notizie. Le nostre redazioni hanno in troppi casi annullato le prospettive palestinesi e arabe, definendole spesso inaffidabili e invocando troppo spesso un linguaggio genocida che rafforza gli stereotipi razzisti. Sulla carta stampata e nei programmi di informazione, la voce palestinese è troppo spesso silenziata. Non è stato dato abbastanza spazio a giornalisti e giornaliste arabofone esperti ed esperte sul tema, che sarebbero in grado di dare anche il punto di vista dei Paesi della regione. La copertura giornalistica ha posizionato il deprecabile attacco del 7 ottobre come il punto di partenza del conflitto senza offrire il necessario contesto storico - che Gaza è una prigione de facto di rifugiati dalla Palestina storica, che l'occupazione di Israele dei territori della Cisgiordania è illegale secondo il diritto internazionale, che i palestinesi sono bombardati e attaccati regolarmente dal governo israeliano, che i palestinesi vivono in un sistema coloniale che usa l’apartheid e che in Cisgiordania continuano i pogrom dei coloni israeliani contro la popolazione indigena palestinese. Gli esperti delle Nazioni Unite hanno dichiarato di essere "convinti che il popolo palestinese sia a grave rischio di genocidio", eppure diversi organi di informazione non solo esitano a citare gli esperti, ma hanno iniziato una campagna denigratoria contro esperti indipendenti delle Nazioni Unite, come Francesca Albanese, Relatrice speciale sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati. Il nostro compito, però, è fare informazione, fare domande scomode e riportare i fatti. L’omissione delle informazioni e il linguaggio che incita alla violenza, come la richiesta della bomba atomica su Gaza, sono comportamenti che rischiano di diventare complicità di genocidio, ai sensi dell’art. II.c della Convenzione di Ginevra del 1948 sul genocidio. [...]
Via - Lettera aperta: Condanna della strage di giornalisti a Gaza e richiesta di una corretta copertura mediatica della pulizia etnica e del rischio genocidio in corso.
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unfilodaria · 5 months ago
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Avevo, anni fa, un collega d’ufficio, architetto come me (o meglio io lo sarei diventato molti anni dopo) di cui avevo molto stima, tanto da pensare di poter essere suo amico (e così non è stato ma questa è tutta un’altra storia). Grande eloquio, buona cultura, gran conoscitore d’arte, collezionista, anche di opere di un certo valore. Grazie a lui ho conosciuto il mondo dei galleristi napoletani di livello: la galleria Lucio Amelio a Piazza dei Martiri, dove ho visto per la prima volta, da vicino, un Andy Warhol famosissimo - il Vesuvius - rimanendo già allora sbalordito per la sua quotazione; lo Studio Trisorio dove ho conosciuto Ferdinando Scianna, che, a causa della mia ignoranza e una parola sbagliata, mi fanculizzó cordialmente; e altre gallerie minori. Ho conosciuto pittori che dopo sono diventati quotatissimi, ho visto mostre, ho apprezzato la sua piccola ma ben fornita collezione (sapeva spendere con oculatezza e ogni tanto azzeccare il colpo gobbo che in seguito gli avrebbe fatto fruttare bei quattrini). Insomma ci sapeva fare: un pessimo lavoratore, si, della serie potrebbe fare di più ma non si applica, ma dell’arte faceva il suo punto di forza.
Oltre a collezionare, il collega dipingeva pure. Nel suo piccolo studio accumulava tele di “buona speranza” ma scarsa fortuna: non mi dispiacevano affatto anche se peccava di scarsa originalità. Come tutti i pittori, buon conoscitori d’arte, aveva avuto diversi “periodi” artistici, inseguendo ora questa ora quell’altra corrente artistica. I suoi inizi erano stato “elementari” e figurativi, ma il tocco era già buono e l’uso del colore sapiente. C’era un quadro, tra questi, che mi piaceva non poco: uno scorcio di quel che sembrava una stanza con finestra, alla luce del crepuscolo (??), un letto disfatto su cui era (é) distesa una donna nuda, rivolta di spalle, una gran massa di capelli, un sedere sodo ma un po’ sceso. Una cromia tra l’ocra e qualche punta di turchese. Mi colpiva ma non capivo il perché. Quando mi sposai e lo invitai al matrimonio, il collega artista mi chiese cosa volessi per regalo: voglio quel quadro - gli dissi senza indugio e lui me lo regalò.
Questo quadro campeggia da anni nella mia camera matrimoniale, di lato al letto, in posizione discreta. Quando mi giro verso la parete finestrata, me lo ritrovo di fronte, ed ogni volta me lo guardo con attenzione e mi piace come allora. Il perché l’ho capito anni dopo, dopo il divorzio, dopo la convivenza con la mia seconda compagna, il mio amore, dopo esserci lasciati ed essere ritornato nella mia casa e dopo aver provato a riprendere, infruttuosamente i rapporti con lei.
Era estate, un giorno caldo e afoso come questi, stanza in penombra, quel tanto da non essere accecati dalla luce e osservare bene. Eravamo a casa mia, sul mio letto, nudi dopo aver fatto l’amore (non all’amore). Lei adorava, dopo averlo fatto, mettersi di spalle ed io a cucchiaio, incollato a lei, con la testa immersa nella sua massa di capelli. Stavamo bene, non pensavamo a nulla. Era il momento del silenzio, delle coccole. Il ventilatore andava piano ed io mi beavo, come facevo spesso, a seguire il suo profilo con le dita, partendo dal lungo collo, una delle sue parti del corpo migliori, lungo la sagoma delle spalle, poi sul linea della schiena, fin giù alle natiche. Su e giù, solleticandola piano piano mentre lei si agitava lentamente, riprendendo le voglie sopite. Ecco che a un tratto alzo lo sguardo: il quadro è lì, di fronte a me e a lei, dove è sempre stato. Mi soffermo per un attimo sulla massa di capelli ritratta sulla tela, su quel culo sodo ma un po’ sceso, quelle gambe lunghe e sottili, pari pari alla donna che avevo accanto a me.
- M. ma sei tu, nella tela. Cazzarola, non ci avevo mai fatto caso. Sei proprio tu!
- Oddio, è vero, mi somiglia molto
- Si, sei proprio tu. Che assurda coincidenza!
Dopo 25 anni, venticinque santiddio, mi si rivelava ai miei occhi il perché di quel quadro e del perché probabilmente mi fosse sempre piaciuto.
Quel quadro è ancora qui, davanti a me, potrei fotografarvelo volendo: lo guardo sempre e mi piace come il primo giorno. Una delle poche cose che non mi provoca tristezza ma solo un leggero velo di malinconia. Non volendo, Lei, è sempre qui con me, in questa stanza, da trent’anni, o meglio per me un po' meno perché io sono andato via e poi tornato, sempre qui, nella medesima posizione, a vegliare quello che è stato il mio avamposto dei giorni felici. Lui, il quadro, e Lei sono qui accanto a me a vegliare silenziosamente sulle mie notti. E la cosa non mi dispiace affatto.
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marcogiovenale · 7 months ago
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angela vettese: "la rivolta del corpo" (laterza, 2024)
Sandro Ricaldone ANGELA VETTESELa rivolta del corpo Gli artisti che lo hanno usato, spinto al limite, liberato Laterza, 2024 Da Marcel Duchamp a Josephine Baker, da Yves Klein a David Bowie, da Marlon Brando a Nan Goldin, una grande conoscitrice e critica dell’arte contemporanea ci racconta come il corpo è stato un campo di battaglia per la libertà e l’emancipazione, con ripercussioni…
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michelangelob · 7 months ago
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Papa Giulio II: meglio essere temuto che amato
Papa Giulio II, al secolo Giuliano della Rovere, è sempre stato considerato come un pontefice dalla grande personalità, terribile insomma. Lo storico dell’arte Alessandro Luzio, vissuto a cavallo dell’Otto e del Novecento, ebbe modo di raccontare qualcosa di insolito del carattere di Giulio II mediante il ritrovamento di un dispaccio risalente al 1510 inviato da un suo fedelissimo da Bologna,…
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thegianpieromennitipolis · 2 years ago
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SENSI DELL’ARTE - di Gianpiero Menniti 
LA TRASFORMAZIONE 
La pittura è un fenomeno umano: affermazione banale. Ma l'umano della figurazione pittorica, in cosa consiste? La storia dell'arte s'è impegnata lungamente a classificare, a distinguere, a raggruppare le espressioni creative su tela come su ogni altro supporto, fornendo una risposta "tecnica" e strumenti pratici per memorizzare stili, tendenze, paradigmi. La domanda rimane. E si estende: in cosa si evidenzia il carattere tipicamente umano della pittura? E cos'è tipicamente umano rispetto alle altre forme di vita? Il linguaggio. L'essere umano può esprimersi attraverso significanti dotati di significato. Ma non lo possiede: lo usa, ne ha fatto strumento di organizzazione razionale. Eppure, ne avverte l'abisso dell'origine. Questa apparizione di una profondità oscura, inattingibile, costituisce la relazione con l'atto pittorico. Si tratta di un'aporia, di una strada che non presenta vie d'uscita, che non conduce in un altrove rispetto al suo corso. La pittura, come la "parola poetica" è dunque una permanenza che non ha sbocchi. "Ut pictura poesis". Tenta di fare cenno all'abisso, di condurre l'osservatore su un piano nel quale il significante è muto. Afferma il principio di una "ragione insufficiente" a spiegare. Così, coglie le tracce del reale e le trasforma, straniandole, in appello all'ascolto del silenzio.
Sovvengono i versi di Samuel Beckett (da "Cosa farei mai" in "Poèmes", 1946-1949):
"Cosa farei mai senza questo mondo senza volto né domande dove essere non dura che un istante in cui ciascun istante si rovescia nel vuoto nell’oblio d’essere stato senza quest’onda dove infine sprofonderanno insieme corpo e ombra..."
- Luigi Russolo, "Paesaggio ai primi raggi di sole", 1940, collezione privata
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levysoft · 1 year ago
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Se lo vedi da lontano non sembra niente di che: una spirale sovraimpressa ad un immagine di un villaggio. Con un semplice filtro Photoshop si fa senza problemi. Ma poi se provate ad ingrandire l'immagine si vede che è tutto un gioco di orientamento dei tetti, dei palazzi, di ombre e di nuvole. Una cosa che avrebbe potuto fare pure un essere umano, ma fa sempre impressione.
Nella giornata di domenica, un utente di Reddit noto come “Ugleh” ha condiviso un’immagine straordinaria generata dall’IA: un villaggio medievale a forma di spirale. Questa creazione ha rapidamente catturato l’attenzione dei social media grazie alle sue straordinarie qualità geometriche. I post successivi hanno raccolto ancor più consensi, compreso un post su X con oltre 145.000 mi piace. Ugleh ha realizzato queste immagini sfruttando Stable Diffusion, una tecnologia IA avanzata, e una tecnica di guida denominata ControlNet.
La reazione online a quest’opera d’arte generata dall’IA è stata variegata, oscillando tra meraviglia, ammirazione e rispetto per l’innovazione nell’ambito dell’arte generativa basata sull’IA. Un utente ha scritto: “Non ho mai visto immagini di questo genere. È qualcosa di completamente nuovo nell’arte.” Allo stesso modo, l’artista AI Kali Yuga ha commentato: “Sinceramente, ho visto molta arte generata dall’IA, sono in questo campo da molto tempo, e questa è una delle opere più straordinarie che abbia mai visto. Hai fatto un lavoro eccezionale.”
Un commento particolarmente significativo è giunto da Paul Graham, co-fondatore di Y-Combinator e noto commentatore tech sui social media, che ha affermato: “Questo è stato il punto in cui l’arte generata dall’IA ha superato il Test di Turing per me.” Pur facendo riferimento al Test di Turing in senso figurato, Graham ha chiaramente espresso la sua impressione verso questa creazione.
Naturalmente, non tutti sono rimasti impressionati, con alcuni utenti che hanno cercato di analizzare in modo critico gli elementi compositivi del villaggio a spirale generato dall’IA. Un graphic designer, di nome Trent, ha osservato: “È bello, ma ci sono molte decisioni che un essere umano non prenderebbe. Molte delle ombre non sono corrette e posizionare i camini proprio sopra le finestre non ha senso. Ingrandendo l’immagine, si possono notare anche i tipici modelli di rumore associati all’arte generata dall’IA.”
La tecnica utilizzata da Ugleh per creare quest’opera d’arte si basa su Stable Diffusion e ControlNet. In precedenza, si erano già viste opere con una tecnica simile, la quale utilizzava il modello di sintesi di immagini IA Stable Diffusion e ControlNet, per creare QR code che rappresentassero lavori inediti raffiguranti personaggi di manga e fumetti occidentali. Tuttavia, in questo caso, Ugleh ha adottato la stessa rete neurale ottimizzata per la creazione di QR code geometrici e l’ha applicata a immagini semplici di spirali e pattern a scacchi.
Nonostante l’immensa attenzione e le numerose offerte per trasformare quest’opera d’arte in NFT, Ugleh ha scelto di mantenere un profilo basso, affermando di non voler trarre profitto dalle sue creazioni e di voler evitare interviste ufficiali. Ha dichiarato di essere semplicemente un appassionato di tecnologia, e IA, che si è divertito a sperimentare..
Infine, nonostante l’opera d’arte sia straordinaria e totalmente inedita, la legge sul copyright negli Stati Uniti suggerisce che le opere digitali di Ugleh, potrebbero non soddisfare gli standard necessari per ricevere protezione del copyright, potendo, quindi, risultare di pubblico dominio.
(via L’IA ha generato un tipo di arte mai visto prima, il villaggio a spirale)
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diceriadelluntore · 3 months ago
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Vertigini Letterarie
Leggendo Robinson, l'inserto domenicale de la Repubblica, mi è capitata nella sempre bellissima intervista a fine inserto di Antonio Gnoli questa risposta: la letteratura è insieme all'arte il più straordinario serbatoio di immagini e di suggestioni. Certi romanzi spiegano la geografia meglio di un geografo. Queste parole sono state dette, appunto, da un grande geografo italiano, Franco Farinelli. E mi sembrano perfette per parlare un po' di questa carta geografica della letteratura del '900 che è questo libro, che mi ha tenuto tutto il mese di Settembre sulle sue pagine.
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Ho scoperto il nome di William Gaddis anni fa, dopo aver letto quel capolavoro che è L'Incanto del Lotto 49 di Thomas Pynchon. Del misterioso autore di quel libro non si sanno che poche cose, fotografie solo da giovane studente, tanto che alcuni sospettarono che fosse uno pseudonimo di Gaddis. Questa è leggenda, Pynchon esiste davvero, ma è vero invece che tutti e due sono i pilastri del post-modernismo letterario americano, che ha incantato tutta una serie di scrittori diventati iconici, con romanzi quali L’arcobaleno della gravità di Thomas Pynchon (1973), Infinite Jest di David Foster Wallace (1996) e Underworld di Don De Lillo (1997) o Le Correzioni di Jonathan Franzen (2001).
Le Perizie è un libro mondo, scritto nel 1955 (1220 pagine) che è stato riproposto da Il Saggiatore dopo quasi 50 anni dalla prima edizione Mondadori, che all'epoca lo divideva in due volumi (1967). Racconta la storia di Wyatt, un giovane del New England cresciuto dal padre pastore protestante e la Zia Mary, ultra calvinista, nel ricordo di sua madre Camilla, morta in un viaggio in Spagna. Wyatt scopre di avere un talento particolare nel disegno, tanto che una volta arrivato a New York viene ingaggiato come falsificatore di antichi quadri rinascimentali fiamminghi da un ricco uomo d'affari, Recktall Brown (il cui nome è tutto un programma). Tutto intorno a questa vicenda gira un gruppo di personaggi secondari e delle loro storie, tra scrittori in cerca di successo, attrici, artisti, poeti, critici d'arte che tra feste senza senso e dissertazioni esistenziali si interrogano sul ruolo dell'arte, degli artisti e del loro senso nel mondo. Le perizie del titolo è un sottile gioco semantico: sono sia quelle tecniche che certificano l'autenticità di un'opera d'arte, ma sono anche in senso più ampio una disamina infinita che vede i personaggi coinvolti in un interrogarsi minuzioso sulla crisi del pensiero filosofico occidentale, dalla metafisica aristotelica alla storia dell’alchimia, dalla storia delle dottrine religiose alla storia dell’arte moderna.
Quello di Gaddis fu volutamente un tentativo di scrivere un libro che andasse oltre, sia in termini strutturali che soprattutto linguistici. È l'apoteosi della citazione, di oscuri pittori fiamminghi del 1500, di testi scritti da santi eretici, di luoghi veri e immaginari, in un mix che si pone a metà strada tra il Faust e Finnegans Wake. All'epoca fu un fiasco, tanto che Gaddis per oltre venti anni abbandonerà la letteratura e lavorerà come pubblicitario per grandi gruppi industriali americani, come l'IBM. Ritornerà al romanzo solo venti anni dopo, con un'opera forse ancora più audace, JR, che però stavolta fu un successo, tanto che vincerà nel 1976 il prestigioso National Book Awards, premio che Gaddis vincerà ancora nel 1994 con A Frolic Of His Own (non tradotto in Italiano).
Tra i suoi più grandi ammiratori c'è Jonathan Franzen, che ha intitolato il suo podcast e blog personale Mr Difficult, non a caso, dato che era il soprannome di Gaddis per via del suo stile barocco, a tratti schizofrenico, imperscrutabile e con la caratteristica, unica e singolare, di caratterizzare i personaggi per uno stile riconoscibile nel linguaggio (per spiegarmi meglio, come quei tic linguistici che si hanno, il ripetere spesso un intercalare, un modo di dire e così via). Nel 2002 Franzen scrisse sul New Yorker un articolo, intitolato Mr. Difficult: William Gaddis and the Problem of Hard-to-Read Books, in cui divide i lettori in due gruppi: gli Status Model, che cercano in un romanzo una forma d'arte, e i Contract Model, che cercano in un romanzo una forma di intrattenimento. In Gaddis lo sfoggio, nel caso de Le Perizie, di citazioni erudite, rimandi all'antropologia, all’esoterismo, alla teologia cristiana o alla pittura fiamminga sono segnali paradigmatici di Status Model, e fu questa analisi stilistica che portò lo stesso Franzen a passare dal romanzo forbito (e a tratti indimenticabile) ma "difficile" da leggere che fu Le Correzioni a quello più semplice strutturalmente e più godibile che fu il successivo Crossroads.
Leggendolo, ho detto alle mie amicizie di lettura che non lo avrei consigliato a nessuno, sebbene sia stata una delle letture più incredibili della mia vita. Perchè c'è uno sforzo intellettuale che, e non so nemmeno se sia in fondo un problema, non è solitamente più richiesto per lo meno in un momento personale di riflessione come può esserlo una lettura.
Lascio l'ultima riflessione alla traduzione: fu opera già nel 1967 del grande Vincenzo Mantovani, uno dei più grandi traduttori di autori anglofoni della nostra editoria, scomparso l'anno scorso. Lui aveva un amore viscerale per Gaddis, che mi rendo conto era una sfida da rompicapo per un traduttore ma che per lo stesso motivo era amatissimo da chi queste sfide le accettava. Lo stesso Mantovani lavorò per 15 anni alla traduzione di JR, che è in pratica un romanzo dialogo su un giovane genio adolescente che scopre un modo per fare soldi nella finanza, ma non trovò mai un editore disposto a pubblicarlo. Ci riuscì solo nel 2009, grazie alle Alet di Padova, che tra l'altro non pubblica più, rendendo introvabile questo altro romanzo così sui generis e forse per questo così fondamentale.
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centroscritture · 1 year ago
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Anno 1821. Il poeta inglese Percy Bysshe Shelley risponde a un saggio dell’amico Thomas Love Peacock, nel quale si dichiara la morte dell’arte e della poesia in un’epoca di progresso sociale dominato dalla scienza e dalla tecnica, e scrive una “difesa della poesia” in cui ribadisce e rilancia con passione il valore eterno dell’arte poetica nell’elevazione spirituale dell’umanità e il ruolo dei poeti quali "istitutori delle leggi, fondatori della società civile, inventori delle arti di vita, veri maestri che conducono a una certa prossimità con il bello e il vero quella parziale conoscenza delle forze del mondo universale che è chiamata religione."
Anno 1902. Lord Chandos, giovane aristocratico elisabettiano, alter ego immaginario dell’austriaco Hugo von Hofmannsthal, scrive al suo vecchio mentore Francis Bacon, padre del metodo scientifico, per denunciare una crisi personale irreversibile che lo ha portato all’incapacità di prendere posizione sul mondo e, tanto più, di fissarla in un testo che aspirasse a una qualsiasi rivelazione universale, provando al contrario “un inspiegabile disagio solo a pronunciare le parole ‘spirito’, ‘anima’ o ‘corpo’.”
In ottant’anni il grande salto romantico è precipitato in un crollo rovinoso, alla fede nella poesia come rivelazione ed elevazione è seguita la presa d’atto dell’incomunicabilità e dell’afasia.
In due incontri centrati sui due testi si esploreranno le ragioni dell’uno e dell’altro, due fari per gettare una luce chiarificatrice sullo stato della poesia oggi.
"Il salto e il crollo."
Un seminario di Valerio Massaroni
Info e iscrizioni su
www.centroscritture.it
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pettirosso1959 · 2 years ago
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Al via firme contro l’invio di armi. Enzo Pennetta (Portavoce “Ripudia la guerra”): “Superare le distanze politiche. Lo chiede la maggioranza degli italiani”
Maurizio Blondet 21 Aprile 2023
Antonio Di Siena
Enzo Pennetta, saggista e docente di scienze naturali, è il portavoce di Ripudia la Guerra, comitato promotore della campagna referendaria contro l’invio di armi in Ucraina e negli altri teatri di guerra. L’Antidiplomatico l’ha intervistato alla vigilia dell’avvio, domani 22 aprile, della raccolta firma su tutto il territorio nazionale.
Come nasce il comitato Ripudia la Guerra?
Ripudia la Guerra nasce per volontà di un gruppo di giuristi che si interroga da tempo sul fenomeno dell’invio delle armi, una deroga a una norma generale. L’idea è intervenire sulla legge che consente l’eccezione. E il comitato ha precisamente questo compito: creare le condizioni per mettere in collegamento tutte le realtà interessate a sostenere la causa. Hanno avviato un meccanismo pensato per essere apartitico e rivolto ai cittadini, di cui io sono il semplice portavoce.
La legge che volete abrogare con il referendum – la 185/1990 che vieta “l’esportazione, il transito, il trasferimento di armi verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite” – non è già palesemente in contrasto con l’articolo 11 della Costituzione?
Nel nostro nome c’è già un chiaro riferimento all’articolo 11, ma l’obiettivo non è certo una dichiarazione di incostituzionalità. Dal punto di vista giuridico siamo testimoni di come l’interpretazione giuridica della Costituzione possa essere molto varia. Il principio del ripudio della guerra è di carattere assoluto oppure è lecito contraddirlo perché l’Ucraina si sta difendendo? Dipende dall’interpretazione. La mia idea è che l’Italia ripudi la guerra in toto. A meno che non ci siano di mezzo i trattati internazionali. Ma è un punto discutibile. Ciò che sappiamo per certo, invece, è che possiamo salvaguardare il principio dell’art. 11 chiedendo l’abrogazione di una legge nazionale. Andando cioè a colpire un articolo di una legge nazionale che è svincolato da qualunque Trattato. Il popolo con un referendum può abrogare qualunque legge. Ci potranno bloccare lo stesso ma non per quel motivo. Non serve far leva sull’incostituzionalità – che probabilmente c’è pure – ma promuovere un atto più diretto: l’abrogazione della norma.
Qualcuno sostiene che un referendum di questo tipo è estremamente rischioso perché sussiste la possibilità che non si raggiunga il quorum. In questo caso il governo avrebbe sostanzialmente mano libera per agire indisturbato.
Inizierei col dire che il governo sta già facendo quello che vuole. Non mi piace scommettere ma raccoglieremo le firme necessarie. E quando 500.000 cittadini dicono “no” è già un segnale fortissimo, che obbliga chi vuole agire diversamente a farlo in maniera sfacciata. Il mancato raggiungimento del quorum è un rischio che possiamo correre, perché se invece lo raggiungiamo la vittoria sarà schiacciante.
Eppure, anche difronte a vittorie inequivocabili, la volontà popolare espressa attraverso la consultazione referendaria potrebbe essere comunque ignorata, disattesa o aggirata con nuovi provvedimenti di legge in nome della ragion di Stato. È già accaduto al referendum italiano sull’acqua pubblica o a quello greco contro la Troika. Ti sembra una valida ragione per non imbarcarsi in questa avventura?
La possibilità certamente esiste, ma dobbiamo guardare la cosa con altri occhi. L’unico risultato utile non è che il referendum passi e la legge venga abrogata, quello è il risultato massimo. Ce ne sono altri, altrettanto importanti, che si ottengono strada facendo. Già oggi abbiamo ottenuto un risultato: l’informazione è obbligata a occuparsi del tema che solleviamo. La dissonanza tra decisione del parlamento e volontà della maggioranza della popolazione è già posta alla loro attenzione, mentre magari sarebbe più comodo fare finta di niente. E sarà così per ogni fase successiva. I banchetti per strada sono una presenza fisica che infastidisce i media, specialmente se l’intenzione è condizionare l’opinione pubblica. E il referendum è uno strumento straordinario, perché anche le persone più distratte si accorgono che sta succedendo qualcosa. Per assurdo se anche ci fermassimo adesso – per il solo fatto che tanta gente ne sta parlando e ha iniziato ad aggregarsi in un corpo solo che non vorrebbero che ci fosse, perché scardina la propaganda e la manipolazione mediatica – ne sarebbe già valsa la pena.
Pochi giorni fa Michele Santoro ha fatto appello per una staffetta contro le armi. Quanto è importante allargare il più possibile il fronte contro la guerra?
Serve allargarlo il più possibile. Tutti possono sostenere Ripudia la guerra senza temere che qualcuno se ne intesti i meriti. Quindi non c’è motivo di valutare le opportunità o le alleanze. Certo, se si presentasse una formazione palesemente delinquenziale starebbe certamente fuori. Ma nell’ambito delle forze politiche, per quanto fra loro molto distanti, il problema non si pone. Restano eventualmente in conflitto ma convergono sulla questione specifica. La pluralità non può che essere un valore aggiunto, d’altronde ci serve il sostegno della maggioranza della popolazione italiana. Un risultato possibile solo coinvolgendo realtà molto differenti.
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