#lo Stato dell’Arte
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Alessia Pignatelli: Talento Giornalistico Premiato al Premio Seneca
Un trionfo per l'articolo sull'arteterapia che unisce introspezione e filosofia nell'VIII edizione del Premio Accademico Internazionale Lucius Annaeus Seneca
Un trionfo per l’articolo sull’arteterapia che unisce introspezione e filosofia nell’VIII edizione del Premio Accademico Internazionale Lucius Annaeus Seneca. Alessia Pignatelli si distingue nuovamente come una delle voci emergenti nel panorama giornalistico e artistico, ricevendo il prestigioso Premio Seneca per il suo articolo “Riflessioni e messaggi dal nostro ‘Io’ osservando ‘La Creazione di…
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Storia Di Musica #289 - Genesis, The Lamb Lies Down On Broadway, 1974
Quando si parla di dischi dove davvero si sente quanto siano bravi i musicisti, non si può non pensare all’epopea del progressive (che come quelli che mi sopportano in questa rubrica da più tempo sanno, sia uno dei miei pallini musicali). Il prog, che vorrei sottolineare è una definizione che negli anni è diventata sempre meno descrittiva e precisa, ma che per consuetudine e anche affetto si continua ad usare, è stato il primo e significativo della gioventù europea di creare musica pop fuori dallo schema del blues americano d’importazione. Sembra un particolare secondario, ma è fondamentale, come lo è l’estrazione sociale dei protagonisti: tutti baby boomer (termine che vuol dire la prima generazione nata dopo la guerra, non il sarcastico e odioso epiteto di oggi contro chi non è “giovane”), sospinti dalla crescita economica e, particolare importantissimo, la prima generazione che fa musica studiando a livelli superiori; quasi tutti i grandi gruppi progressive sono formati da ragazzi laureati, spesso in materie scientifiche (l’esempio più famoso è Brian May, laureato con lode in Astrofisica, ma ricordo anche i componenti dei mitici Van Der Graaf Generator tutti dottori in materie scientifiche). Tutto questo portò ad un approccio molto serio e tecnico alla musica, e al netto delle preferenze personali i capolavori del prog sono tutti dischi suonati magistralmente, e potrebbero essere tutti citati in questo mese. Aggiungo, in primis, disseminati nei post di questa ve ne sono tanti, e in secundis per celebrare degnamente i dischi stato dell’arte ho scelto uno dei più famosi dischi prog, capolavoro di una delle band leggenda del movimento.
I Genesis sono stati i principi del progressive, una dei gruppi mitici di quel periodo. Eppure l’inizio fu tutt’altro che promettente: dopo una scrittura per la Decca e due singoli, esce From Genesis To Revelation (1969), che ha così poco successo che tutti i membri della band, Peter Gabriel, Tony Banks, Chris Steward, Anthony Phillis e Michael Rutherford tornano a fare gli studenti universitari. Fu però l’intuito di un grande discografico, Tony Strattor-Smith, che fondò la Charisma, la casa discografica motore del prog, a intuire il potenziale: entra a fare patte della band John Mayhewm con cui registrano Trespass (1970), che sebbene non ha vendite confortanti è apprezzato e ha il primo, grande brano, The Knife. Ma il meglio deve ancora venire: Mayhew se ne va con Phillips, e tramite un annuncio sulla famosissima rivista Melody Maker, vengono scelti due nuovi musicisti, Steve Hackett alla chitarra e Phil Collins alla batteria. Nasce qui la line up leggendaria, e piano piano inizierà a prendere forma il loro mondo di testi colti, ironici e surreali, con tanti riferimenti letterari e alla mitologia non solo classica ma anche del folklore locale, una musica maestosa e a tratti magicamente ipnotizzante con largo uso di tastiere e sintetizzatori, creando o anticipando stili futuri, tipo il rock sinfonico. Nursery Crime, Foxtrot, Selling England By The Pound sono i primi tre capitoli di una tetralogia magnifica di capolavori che impongono lo stile musicale del gruppo ma anche l’istrionismo di Gabriel, cantante superbo, e da ricordare soprattutto che fu il primo ad introdurre l’aspetto teatrale e scenografico nei concerti, usando travestimenti, trucchi in volto, caratterizzando la voce dei vari personaggi delle canzoni. Il disco di oggi è l’apoteosi di questo concetto, un disco che è molto di più di Gabriel che dei Genesis, nella stessa misura di The Wall disco di Roger Waters che dei Pink Floyd.
The Lamb Lies Down On Broadway, che esce nel 1974, è il primo, e unico, concept album dei Genesis. Racconta la storia di Rael (anagramma di Real, reale, ma anche parziale di Gabriel), un ragazzo portoricano fuggito dall’orfanotrofio di Pontiac che va a New York a scrivere graffiti, unica forma per esprimere i suoi sentimenti. Camminando per Broadway, Rael si imbatte in un agnello sdraiato fra i vapori dei riscaldamenti sotterranei, che si trasformano in una nebbia che lo trasporta in un'altra dimensione spazio-temporale, quasi interamente ambientata sottoterra. Qui troverà mostri mitologici, uomini mezzi rettili, personaggi grotteschi, ma troverà anche suo fratello John. Proprio per salvare la vita di John, al culmine della storia, Rael rinuncerà a tornare nella sua Manhattan, magicamente riapparsa oltre una finestra nella roccia, per gettarsi fra le rapide di un fiume. Subito dopo il salvataggio tuttavia Rael si accorge sgomento che John ha assunto le sue stesse sembianze, rivelandosi di fatto una proiezione del suo io, e appena capito cosa sta per succedere immediatamente dopo i "due Rael" scompaiono in una misteriosa foschia purpurea assieme a tutta la scena e alla storia stessa. Non esiste un brano “killer” come ci sono stati in altri lavori precedenti, ma basta il brano omonimo che apre il disco, che raccoglie come una ouverture di musica classica tutti i temi del disco ( il doppio LP dura oltre 90 minuti), la dolcezza di Hairless Heart o The Carpet Crawlers, o la forza di In The Cage o di Counting Out Time per decretare questo disco di una tale ricchezza di spunti, sia lirici che sonori, da dare il capogiro. La storia di Rael è l’ennesimo, e più sofisticato, tentativo di Peter Gabriel di critica al consumismo, alla imminente globalizzazione, agli idoli fallaci di un mondo dove i confini tra illusione e realtà sono sempre più fittizi, dove essere e apparire si fondono perdendo di contorno e significato, e molto più di altre occasioni c’è una dimensione personale di racconto emozionale per dar forma a temi che riguardano la sua interiorità, come il rapporto col sesso (The Lamia, The Colony Of Slippermen), con la paura o con la morte (Anyway, Here Comes The Supernatural Anaesthetist), visti con gli occhi di Rael. E se per qualcuno c’è il dubbio, in It, misterioso e sarcastico brano di chiusura, Gabriel canta “Se pensi che sia pretenzioso, sei stato preso per un viaggio\Guarda attraverso lo specchio figliolo, prima di scegliere, decidi” e finisce con “it's only knock and know-all, but I like it", che storpia il titolo di It's Only Rock 'n Roll (But I Like It), degli Stones, traducibile pressappoco: «criticare e [fare il] saccente su tutto», quasi a profetizzare le future critiche delle riviste musicali al lavoro, accusato di essere uno spaccato di megalomania, per la storia così complicata (che ha, per essere precisi, un finale aperto, come a sospettare un continuazione prevista). Gabriel dopo il tour successivo questa faticaccia se ne va, nel 1975, anche perché gli animi degli altri non vedevano bene il suo protagonismo. Ci sono le ultime tre cose da dire: i Genesis ne volevano fare un film con William Friednik, recentemente scomparso, ma non se ne fece mai niente; il disco fu accompagnato da 102 concerti, dove Gabriel cambiava vestito per decine di volte, ed è un peccato che non ne sia mai stato fatto un live come si deve; i Genesis, dopo l’addio di Gabriel, passano le redini a Phil Collins, che dopo la bufera del punk (che odiava la maestria del prog, a cui opposero i suoni viscerali e spesso sgangherati), specializzerà il gruppo in una sorta di pop d’autore, che regalerà risultati di vendita mai visti, soprattutto negli Stati Uniti, che ovviamente non capirono mai del tutto il prog. Ma il passaggio tra le due epoche equivale a passare in una strada dove prima sorgeva una cattedrale maestosa, tra le più grandiose di sempre per meraviglie, al cui posto adesso c’è una villetta in riva al mare, che accoglie l’ondeggio lento delle onde. Un cambiamento non da poco.
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Una delle peggiori manifestazioni di cinica indifferenza e di crudeltà di questi ultimi anni è stato impedire ai parenti stretti di stare vicino al morente nel momento della fine. In quegli ultimi istanti di vita, che nella dimensione soggettiva del tempo equivalgono all’eternità, è di fondamentale importanza che chi sta per andarsene senta l’amore di chi gli sta vicino, ed il dolore condiviso da entrambi. Potremmo vedere, nell’assenza di tale estrema consolazione, l’equivalente laico del concetto religioso della solitudine e della “dannazione eterna” dell’inferno.
Questo riguardo a chi muore. Riguardo a chi rimane, lo star vicino al morente è condizione indispensabile per poter svolgere, e poi portare a compimento, il “lavoro del lutto”: questo esige che la scomparsa della persona cara sia “toccata con mano”, e che tale esperienza non venga evitata. Solo se vissuto fino in fondo, il lutto può essere elaborato; e non si pensi di sopperire alla mancanza di tale fondamentale esperienza con una pura e semplice terapia farmacologica antidepressiva.
Uno dei maggiori capolavori della storia dell’Arte c’illustra cosa significhi l’amore di chi ci accompagna fino alla fine, quando tutti gli altri, quelli che ci amano poco o non ci amano, si guardano bene dallo starci vicini.
Sabino Nanni
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Era il 4 maggio 1949
quando la tragedia di Superga spezzò la leggenda del Grande Torino.
L'aereo con a bordo l'intera squadra si schiantò sul colle di Superga non lasciando scampo a nessuno dei suoi 31 passeggeri. Una delle squadre più forti della storia del calcio improvvisamente sparì lasciando sgomenta un'intera nazione.
Simili indimenticabili tragedie, al di là della ricerca di ogni possibile spiegazione, ci toccano a livello umano facendo sorgere in noi importanti domande tipo:
Perché le disgrazie capitano anche alla brava gente?
Siamo predestinati, oppure esiste un karma?
E soprattutto, dove sono i morti?
Cosa accade quando si muore?
Molti non sanno che la risposta a queste domande esistenziali sono alla portata di tutti in un libro antico ma sempre attuale: la Bibbia.
#curiosità
Le antiche origini del calcio.
I cinesi sono stati i primi a divertirsi calciando palloni nelle reti per sport nel III secolo a.C., e il gioco del calcio come lo conosciamo oggi è stato formalizzato in Inghilterra nel XIX secolo. Ma il predecessore della maggior parte dei moderni giochi con il pallone è nato nelle Americhe.
“Il concetto di sport di squadra trova le proprie origini in Mesoamerica”, afferma Mary Miller, docente di storia dell’arte all’Università di Yale che ha studiato numerose testimonianze di questo sport.
In Mesoamerica, la vasta regione storica che si estende dal Messico al Costa Rica, le civiltà fiorirono ben prima che Colombo le “scoprisse”, e molti di questi popoli praticavano uno sport che prevedeva l’uso di una pesante palla fatta di una sostanza ricavata dalla resina degli alberi.
📚 Alcune considerazioni.
Il gioco del calcio da secoli affascina intere generazioni e nazioni, talvolta fino al punto di dettare comportamenti sociali, instillare rivalità,addirittura odio per gli avversari, e/o diventare una vera e propria ludopatia.
Questo perché, anche se il calcio e lo sport hanno i loro lati positivi, per goderne i benefici bisogna mantenere il giusto equilibrio.
Come ci si può riuscire?
Tenendo conto di alcuni fattori che hanno a che fare anche con la salute mentale/fisica.
📚🔍Tutti i links di riferimento alla trattazione, li trovi nel mio Threads.
It was May 4, 1949
when the Superga tragedy broke the legend of Grande Torino.
The plane with the entire team on board crashed on the Superga hill, leaving no escape for any of its 31 passengers.
One of the strongest teams in the history of football suddenly disappeared, leaving an entire nation dismayed.
Such unforgettable tragedies, beyond the search for any possible explanation, affect us on a human level, raising important questions in us such as:
Why do misfortunes happen to good people too?
Are we predestined, or is there karma?
And above all, where are the dead?
What happens when you die?
Many do not know that the answers to these existential questions are within everyone's reach in an ancient but always current book: the Bible.
#curiosity
The ancient origins of football.
The Chinese were the first to enjoy kicking balls into nets for sport in the 3rd century BC, and the game of football as we know it today was formalized in England in the 19th century.
But the predecessor of most modern ball games originated in the Americas.
“The concept of team sport has its origins in Mesoamerica,” says Mary Miller, a professor of art history at Yale University who has studied numerous examples of this sport.
In Mesoamerica, the vast historical region that extends from Mexico to Costa Rica, civilizations flourished well before Columbus "discovered" them, and many of these peoples practiced a sport that involved the use of a heavy ball made of a substance obtained from tree resin.
📚 Some considerations.
The game of football has fascinated entire generations and nations for centuries, sometimes to the point of dictating social behavior, instilling rivalry, even hatred for opponents, and/or becoming a real gambling addiction.
This is because, even if football and sport have their positive sides, to enjoy their benefits you need to maintain the right balance.
How can this be achieved?
Taking into account some factors that also have to do with mental/physical health.
📚🔍All the reference links to the discussion can be found in my Threads.
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Un corpo che nella sua ipertrofica perfezione ha influenzato l’immaginario del canone maschile è stato quello di Arnold Schwarzenegger, colui che è riuscito a scavalcare gli argini di un settore ghettizzato e criticato dall’opinione pubblica. I palestrati, fino ad allora derisi come fenomeni da baraccone, attraverso l’ultracorpo di Arnold hanno ottenuto un nuovo status. Arnold era il corpo muscoloso ma non mostruoso. Ipertrofico ma bello. Il faccione sorridente col ricciolo sulla fronte, accoppiato ai pettorali guizzanti, diventava glamour.
Arnold era l’adone. Il semidio. Solare, riuscito, vincente. E così seduceva non solo la nicchia, ma anche il pubblico main stream. La mania per il fitness, che si imporrà nel nostro stile di vita, non farà altro che prendere la spinta estrema del body building e ammorbidirla, imborghesirla un po’. “Muscolosità, dieta, controllo, allenamento, routine, diventeranno gli imperativi del corpo contemporaneo. Il bisogno di stare dentro una forma tonica diverrà sinonimo non solo di bellezza in termini puramente estetici, ma di un sentimento di compiutezza per l’individuo, che di conseguenza acquisterà forza e sicurezza migliorando l’autostima”. Il corpo di Arnold è l’eccezione che indica la strada affinché i nostri corpi comuni si votino al corpo bello in quanto sportivo, sportivo in quanto sano, e sano in quanto: felice? Per certi versi, il canone dominante femminile ha creato maggiore pressione. I nostri corpi di donna, storicamente vessati e considerati minori, ancora si trovano a dover fare i conti con un’idea di perfezione estetica stereotipata, asfittica e ossificata nel tempo. Il movimento di emancipazione femminile prende avvio dal corpo, lo teatralizza e ne fa luogo scenico di rivoluzione e liberazione dai dogmi. Il corpo della donna rivendica parità, eguaglianza e s-classificazione della forma. E così diventa politico. Rivendicare la libertà del corpo, ostentandone l’esibizione, crea un diabolico cortocircuito. L’atto che nasce come slogan progressista, il sono-libera-di-mostrarmi-nuda, paradossalmente non fa che riattizzare il pensiero maschilista. Nel momento in cui vorremmo fare del corpo un simbolo della nostra soggettività individuale, ne stiamo anche mostrando il suo simulacro, in tutta la sua appetibile dimensione sessuale. Il pericolo è che, se sbandierarlo in nome della libertà vuol dire fare politica, in un certo senso stiamo optando per del mero populismo. La magrezza non è solo sinonimo di bellezza. Qualità e virtù morali nei secoli hanno strutturato il concetto di donna ideale. Magra in quanto bella. Bella in quanto perfetta. Perfetta in quanto proba, pura, irreprensibile. Il valore etico ha consustanziato una forma fisica. I corpi delle ballerine hanno vissuto questo percorso iniziatico. Qualcosa di sacro brucia nella loro magrezza. Discendenti delle sante anoressiche, anomale eredi del corpo cavo immacolato, attraverso il sacrificio, la privazione, l’esercizio di volontà, esse si sono donate alla dea Tersicore e hanno vissuto l’estasi e il tormento dell’arte. Emblema della divina leggerezza rimane Carla Fracci. Modello e prototipo imperituro della danza. Eterna fanciulla danzante, la definì Montale.
La Fracci, cristallizzata nella grazia del pudore, con il suo monacale e ligio senso del dovere, getta coordinate etiche ed estetiche sull’immaginario novecentesco del femminile mischiandosi ai corpi patinati di modelle e soubrette televisive. Il corpo leggero e sottile diventa sacro e profano al tempo stesso. E risulta vincente e desiderato. Con l’avvento del virtuale l’entusiasmo per la sottigliezza diventa estremo. Si impone il corpo s-materiale. In assenza di peso, nello schermo, abbiamo creato il corpo che bramavamo. Perfetto a tal punto da eliminare il corpo stesso e rinascere a sua sola immagine. Nel tentativo di estirpare il difetto reale, nuovi corpi galleggiano vitrei nell’etere, mai nati e mai morti, perfettamente utopici. Corpi inesistenti, scartavetrati dai filtri, incamminati sulla strada della reinvenzione. E così facendo corteggiamo proprio quella spinta alla perfezione da cui stiamo cercando di affrancarci. Ci siamo incaricati di rinascere a nuova forma e un delirio di onnipotenza ci attraversa. Si rinasce a sé stessi nella sanificazione della forma. E a questa siamo devoti. Santifichiamo un ultracorpo che non a nulla di religioso ma che profanamente trasuda disumana perfezione.
Ultracorpi, disumane perfezioni
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[...] Come giornaliste, giornalisti, video e fotoreporter siamo sconvolti dal massacro dei nostri colleghi, delle nostre colleghe e delle loro famiglie da parte dell'esercito israeliano. Siamo al fianco dei nostri colleghi e delle nostre colleghe di Gaza. Senza di loro, molti degli orrori sul campo rimarrebbero invisibili. Ci uniamo alle nostre colleghe e ai nostri colleghi statunitensi e francesi nel sollecitare la fine delle violenze contro i e le professioniste dell’informazione a Gaza e in Cisgiordania, e per invitare i responsabili delle redazioni italiane ad avere un occhio di riguardo per le ripetute atrocità di Israele contro i palestinesi. Le nostre redazioni, senza il lavoro di chi ora è sul campo, non sarebbero in grado di informare il pubblico italiano rispetto a ciò che sta accadendo nella Striscia. Eppure, la narrazione quasi totalitaria della nostra stampa sembra essere poco oggettiva nel riportare le notizie. Molteplici redazioni italiane e occidentali stanno continuando a disumanizzare la popolazione palestinese e questa retorica giustifica la pulizia etnica in corso. Negli anni sono state diverse le accuse di doppio standard. Tra le più eclatanti il caso della BBC, analizzato dalla Syracuse University nel 2011 e lo studio di come, negli ultimi 50 anni, la stampa statunitense ha coperto le notizie relative alla questione palestinese con una predilezione per il punto di vista israeliano. Nel 2021 più di 500 giornalisti hanno firmato una lettera aperta in cui esprimevano preoccupazione per la narrazione dei fatti di Sheikh Jarrah. Nelle stesse settimane, diversi accademici italiani hanno inviato una lettera aperta alla Rai in merito alla copertura delle stesse notizie. Le nostre redazioni hanno in troppi casi annullato le prospettive palestinesi e arabe, definendole spesso inaffidabili e invocando troppo spesso un linguaggio genocida che rafforza gli stereotipi razzisti. Sulla carta stampata e nei programmi di informazione, la voce palestinese è troppo spesso silenziata. Non è stato dato abbastanza spazio a giornalisti e giornaliste arabofone esperti ed esperte sul tema, che sarebbero in grado di dare anche il punto di vista dei Paesi della regione. La copertura giornalistica ha posizionato il deprecabile attacco del 7 ottobre come il punto di partenza del conflitto senza offrire il necessario contesto storico - che Gaza è una prigione de facto di rifugiati dalla Palestina storica, che l'occupazione di Israele dei territori della Cisgiordania è illegale secondo il diritto internazionale, che i palestinesi sono bombardati e attaccati regolarmente dal governo israeliano, che i palestinesi vivono in un sistema coloniale che usa l’apartheid e che in Cisgiordania continuano i pogrom dei coloni israeliani contro la popolazione indigena palestinese. Gli esperti delle Nazioni Unite hanno dichiarato di essere "convinti che il popolo palestinese sia a grave rischio di genocidio", eppure diversi organi di informazione non solo esitano a citare gli esperti, ma hanno iniziato una campagna denigratoria contro esperti indipendenti delle Nazioni Unite, come Francesca Albanese, Relatrice speciale sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati. Il nostro compito, però, è fare informazione, fare domande scomode e riportare i fatti. L’omissione delle informazioni e il linguaggio che incita alla violenza, come la richiesta della bomba atomica su Gaza, sono comportamenti che rischiano di diventare complicità di genocidio, ai sensi dell’art. II.c della Convenzione di Ginevra del 1948 sul genocidio. [...]
Via - Lettera aperta: Condanna della strage di giornalisti a Gaza e richiesta di una corretta copertura mediatica della pulizia etnica e del rischio genocidio in corso.
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Avevo, anni fa, un collega d’ufficio, architetto come me (o meglio io lo sarei diventato molti anni dopo) di cui avevo molto stima, tanto da pensare di poter essere suo amico (e così non è stato ma questa è tutta un’altra storia). Grande eloquio, buona cultura, gran conoscitore d’arte, collezionista, anche di opere di un certo valore. Grazie a lui ho conosciuto il mondo dei galleristi napoletani di livello: la galleria Lucio Amelio a Piazza dei Martiri, dove ho visto per la prima volta, da vicino, un Andy Warhol famosissimo - il Vesuvius - rimanendo già allora sbalordito per la sua quotazione; lo Studio Trisorio dove ho conosciuto Ferdinando Scianna, che, a causa della mia ignoranza e una parola sbagliata, mi fanculizzó cordialmente; e altre gallerie minori. Ho conosciuto pittori che dopo sono diventati quotatissimi, ho visto mostre, ho apprezzato la sua piccola ma ben fornita collezione (sapeva spendere con oculatezza e ogni tanto azzeccare il colpo gobbo che in seguito gli avrebbe fatto fruttare bei quattrini). Insomma ci sapeva fare: un pessimo lavoratore, si, della serie potrebbe fare di più ma non si applica, ma dell’arte faceva il suo punto di forza.
Oltre a collezionare, il collega dipingeva pure. Nel suo piccolo studio accumulava tele di “buona speranza” ma scarsa fortuna: non mi dispiacevano affatto anche se peccava di scarsa originalità. Come tutti i pittori, buon conoscitori d’arte, aveva avuto diversi “periodi” artistici, inseguendo ora questa ora quell’altra corrente artistica. I suoi inizi erano stato “elementari” e figurativi, ma il tocco era già buono e l’uso del colore sapiente. C’era un quadro, tra questi, che mi piaceva non poco: uno scorcio di quel che sembrava una stanza con finestra, alla luce del crepuscolo (??), un letto disfatto su cui era (é) distesa una donna nuda, rivolta di spalle, una gran massa di capelli, un sedere sodo ma un po’ sceso. Una cromia tra l’ocra e qualche punta di turchese. Mi colpiva ma non capivo il perché. Quando mi sposai e lo invitai al matrimonio, il collega artista mi chiese cosa volessi per regalo: voglio quel quadro - gli dissi senza indugio e lui me lo regalò.
Questo quadro campeggia da anni nella mia camera matrimoniale, di lato al letto, in posizione discreta. Quando mi giro verso la parete finestrata, me lo ritrovo di fronte, ed ogni volta me lo guardo con attenzione e mi piace come allora. Il perché l’ho capito anni dopo, dopo il divorzio, dopo la convivenza con la mia seconda compagna, il mio amore, dopo esserci lasciati ed essere ritornato nella mia casa e dopo aver provato a riprendere, infruttuosamente i rapporti con lei.
Era estate, un giorno caldo e afoso come questi, stanza in penombra, quel tanto da non essere accecati dalla luce e osservare bene. Eravamo a casa mia, sul mio letto, nudi dopo aver fatto l’amore (non all’amore). Lei adorava, dopo averlo fatto, mettersi di spalle ed io a cucchiaio, incollato a lei, con la testa immersa nella sua massa di capelli. Stavamo bene, non pensavamo a nulla. Era il momento del silenzio, delle coccole. Il ventilatore andava piano ed io mi beavo, come facevo spesso, a seguire il suo profilo con le dita, partendo dal lungo collo, una delle sue parti del corpo migliori, lungo la sagoma delle spalle, poi sul linea della schiena, fin giù alle natiche. Su e giù, solleticandola piano piano mentre lei si agitava lentamente, riprendendo le voglie sopite. Ecco che a un tratto alzo lo sguardo: il quadro è lì, di fronte a me e a lei, dove è sempre stato. Mi soffermo per un attimo sulla massa di capelli ritratta sulla tela, su quel culo sodo ma un po’ sceso, quelle gambe lunghe e sottili, pari pari alla donna che avevo accanto a me.
- M. ma sei tu, nella tela. Cazzarola, non ci avevo mai fatto caso. Sei proprio tu!
- Oddio, è vero, mi somiglia molto
- Si, sei proprio tu. Che assurda coincidenza!
Dopo 25 anni, venticinque santiddio, mi si rivelava ai miei occhi il perché di quel quadro e del perché probabilmente mi fosse sempre piaciuto.
Quel quadro è ancora qui, davanti a me, potrei fotografarvelo volendo: lo guardo sempre e mi piace come il primo giorno. Una delle poche cose che non mi provoca tristezza ma solo un leggero velo di malinconia. Non volendo, Lei, è sempre qui con me, in questa stanza, da trent’anni, o meglio per me un po' meno perché io sono andato via e poi tornato, sempre qui, nella medesima posizione, a vegliare quello che è stato il mio avamposto dei giorni felici. Lui, il quadro, e Lei sono qui accanto a me a vegliare silenziosamente sulle mie notti. E la cosa non mi dispiace affatto.
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SENSI DELL’ARTE - di Gianpiero Menniti
LA TRASFORMAZIONE
La pittura è un fenomeno umano: affermazione banale. Ma l'umano della figurazione pittorica, in cosa consiste? La storia dell'arte s'è impegnata lungamente a classificare, a distinguere, a raggruppare le espressioni creative su tela come su ogni altro supporto, fornendo una risposta "tecnica" e strumenti pratici per memorizzare stili, tendenze, paradigmi. La domanda rimane. E si estende: in cosa si evidenzia il carattere tipicamente umano della pittura? E cos'è tipicamente umano rispetto alle altre forme di vita? Il linguaggio. L'essere umano può esprimersi attraverso significanti dotati di significato. Ma non lo possiede: lo usa, ne ha fatto strumento di organizzazione razionale. Eppure, ne avverte l'abisso dell'origine. Questa apparizione di una profondità oscura, inattingibile, costituisce la relazione con l'atto pittorico. Si tratta di un'aporia, di una strada che non presenta vie d'uscita, che non conduce in un altrove rispetto al suo corso. La pittura, come la "parola poetica" è dunque una permanenza che non ha sbocchi. "Ut pictura poesis". Tenta di fare cenno all'abisso, di condurre l'osservatore su un piano nel quale il significante è muto. Afferma il principio di una "ragione insufficiente" a spiegare. Così, coglie le tracce del reale e le trasforma, straniandole, in appello all'ascolto del silenzio.
Sovvengono i versi di Samuel Beckett (da "Cosa farei mai" in "Poèmes", 1946-1949):
"Cosa farei mai senza questo mondo senza volto né domande dove essere non dura che un istante in cui ciascun istante si rovescia nel vuoto nell’oblio d’essere stato senza quest’onda dove infine sprofonderanno insieme corpo e ombra..."
- Luigi Russolo, "Paesaggio ai primi raggi di sole", 1940, collezione privata
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angela vettese: "la rivolta del corpo" (laterza, 2024)
Sandro Ricaldone ANGELA VETTESELa rivolta del corpo Gli artisti che lo hanno usato, spinto al limite, liberato Laterza, 2024 Da Marcel Duchamp a Josephine Baker, da Yves Klein a David Bowie, da Marlon Brando a Nan Goldin, una grande conoscitrice e critica dell’arte contemporanea ci racconta come il corpo è stato un campo di battaglia per la libertà e l’emancipazione, con ripercussioni…
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Papa Giulio II: meglio essere temuto che amato
Papa Giulio II, al secolo Giuliano della Rovere, è sempre stato considerato come un pontefice dalla grande personalità, terribile insomma. Lo storico dell’arte Alessandro Luzio, vissuto a cavallo dell’Otto e del Novecento, ebbe modo di raccontare qualcosa di insolito del carattere di Giulio II mediante il ritrovamento di un dispaccio risalente al 1510 inviato da un suo fedelissimo da Bologna,…
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#arte#bellezza#Bologna#capolavoro#cappellasistina#english#Giulio II#inartwetrust#life#madeinitaly#masterpiece#Rovere#storytellig#storytelling
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Se lo vedi da lontano non sembra niente di che: una spirale sovraimpressa ad un immagine di un villaggio. Con un semplice filtro Photoshop si fa senza problemi. Ma poi se provate ad ingrandire l'immagine si vede che è tutto un gioco di orientamento dei tetti, dei palazzi, di ombre e di nuvole. Una cosa che avrebbe potuto fare pure un essere umano, ma fa sempre impressione.
Nella giornata di domenica, un utente di Reddit noto come “Ugleh” ha condiviso un’immagine straordinaria generata dall’IA: un villaggio medievale a forma di spirale. Questa creazione ha rapidamente catturato l’attenzione dei social media grazie alle sue straordinarie qualità geometriche. I post successivi hanno raccolto ancor più consensi, compreso un post su X con oltre 145.000 mi piace. Ugleh ha realizzato queste immagini sfruttando Stable Diffusion, una tecnologia IA avanzata, e una tecnica di guida denominata ControlNet.
La reazione online a quest’opera d’arte generata dall’IA è stata variegata, oscillando tra meraviglia, ammirazione e rispetto per l’innovazione nell’ambito dell’arte generativa basata sull’IA. Un utente ha scritto: “Non ho mai visto immagini di questo genere. È qualcosa di completamente nuovo nell’arte.” Allo stesso modo, l’artista AI Kali Yuga ha commentato: “Sinceramente, ho visto molta arte generata dall’IA, sono in questo campo da molto tempo, e questa è una delle opere più straordinarie che abbia mai visto. Hai fatto un lavoro eccezionale.”
Un commento particolarmente significativo è giunto da Paul Graham, co-fondatore di Y-Combinator e noto commentatore tech sui social media, che ha affermato: “Questo è stato il punto in cui l’arte generata dall’IA ha superato il Test di Turing per me.” Pur facendo riferimento al Test di Turing in senso figurato, Graham ha chiaramente espresso la sua impressione verso questa creazione.
Naturalmente, non tutti sono rimasti impressionati, con alcuni utenti che hanno cercato di analizzare in modo critico gli elementi compositivi del villaggio a spirale generato dall’IA. Un graphic designer, di nome Trent, ha osservato: “È bello, ma ci sono molte decisioni che un essere umano non prenderebbe. Molte delle ombre non sono corrette e posizionare i camini proprio sopra le finestre non ha senso. Ingrandendo l’immagine, si possono notare anche i tipici modelli di rumore associati all’arte generata dall’IA.”
La tecnica utilizzata da Ugleh per creare quest’opera d’arte si basa su Stable Diffusion e ControlNet. In precedenza, si erano già viste opere con una tecnica simile, la quale utilizzava il modello di sintesi di immagini IA Stable Diffusion e ControlNet, per creare QR code che rappresentassero lavori inediti raffiguranti personaggi di manga e fumetti occidentali. Tuttavia, in questo caso, Ugleh ha adottato la stessa rete neurale ottimizzata per la creazione di QR code geometrici e l’ha applicata a immagini semplici di spirali e pattern a scacchi.
Nonostante l’immensa attenzione e le numerose offerte per trasformare quest’opera d’arte in NFT, Ugleh ha scelto di mantenere un profilo basso, affermando di non voler trarre profitto dalle sue creazioni e di voler evitare interviste ufficiali. Ha dichiarato di essere semplicemente un appassionato di tecnologia, e IA, che si è divertito a sperimentare..
Infine, nonostante l’opera d’arte sia straordinaria e totalmente inedita, la legge sul copyright negli Stati Uniti suggerisce che le opere digitali di Ugleh, potrebbero non soddisfare gli standard necessari per ricevere protezione del copyright, potendo, quindi, risultare di pubblico dominio.
(via L’IA ha generato un tipo di arte mai visto prima, il villaggio a spirale)
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Vertigini Letterarie
Leggendo Robinson, l'inserto domenicale de la Repubblica, mi è capitata nella sempre bellissima intervista a fine inserto di Antonio Gnoli questa risposta: la letteratura è insieme all'arte il più straordinario serbatoio di immagini e di suggestioni. Certi romanzi spiegano la geografia meglio di un geografo. Queste parole sono state dette, appunto, da un grande geografo italiano, Franco Farinelli. E mi sembrano perfette per parlare un po' di questa carta geografica della letteratura del '900 che è questo libro, che mi ha tenuto tutto il mese di Settembre sulle sue pagine.
Ho scoperto il nome di William Gaddis anni fa, dopo aver letto quel capolavoro che è L'Incanto del Lotto 49 di Thomas Pynchon. Del misterioso autore di quel libro non si sanno che poche cose, fotografie solo da giovane studente, tanto che alcuni sospettarono che fosse uno pseudonimo di Gaddis. Questa è leggenda, Pynchon esiste davvero, ma è vero invece che tutti e due sono i pilastri del post-modernismo letterario americano, che ha incantato tutta una serie di scrittori diventati iconici, con romanzi quali L’arcobaleno della gravità di Thomas Pynchon (1973), Infinite Jest di David Foster Wallace (1996) e Underworld di Don De Lillo (1997) o Le Correzioni di Jonathan Franzen (2001).
Le Perizie è un libro mondo, scritto nel 1955 (1220 pagine) che è stato riproposto da Il Saggiatore dopo quasi 50 anni dalla prima edizione Mondadori, che all'epoca lo divideva in due volumi (1967). Racconta la storia di Wyatt, un giovane del New England cresciuto dal padre pastore protestante e la Zia Mary, ultra calvinista, nel ricordo di sua madre Camilla, morta in un viaggio in Spagna. Wyatt scopre di avere un talento particolare nel disegno, tanto che una volta arrivato a New York viene ingaggiato come falsificatore di antichi quadri rinascimentali fiamminghi da un ricco uomo d'affari, Recktall Brown (il cui nome è tutto un programma). Tutto intorno a questa vicenda gira un gruppo di personaggi secondari e delle loro storie, tra scrittori in cerca di successo, attrici, artisti, poeti, critici d'arte che tra feste senza senso e dissertazioni esistenziali si interrogano sul ruolo dell'arte, degli artisti e del loro senso nel mondo. Le perizie del titolo è un sottile gioco semantico: sono sia quelle tecniche che certificano l'autenticità di un'opera d'arte, ma sono anche in senso più ampio una disamina infinita che vede i personaggi coinvolti in un interrogarsi minuzioso sulla crisi del pensiero filosofico occidentale, dalla metafisica aristotelica alla storia dell’alchimia, dalla storia delle dottrine religiose alla storia dell’arte moderna.
Quello di Gaddis fu volutamente un tentativo di scrivere un libro che andasse oltre, sia in termini strutturali che soprattutto linguistici. È l'apoteosi della citazione, di oscuri pittori fiamminghi del 1500, di testi scritti da santi eretici, di luoghi veri e immaginari, in un mix che si pone a metà strada tra il Faust e Finnegans Wake. All'epoca fu un fiasco, tanto che Gaddis per oltre venti anni abbandonerà la letteratura e lavorerà come pubblicitario per grandi gruppi industriali americani, come l'IBM. Ritornerà al romanzo solo venti anni dopo, con un'opera forse ancora più audace, JR, che però stavolta fu un successo, tanto che vincerà nel 1976 il prestigioso National Book Awards, premio che Gaddis vincerà ancora nel 1994 con A Frolic Of His Own (non tradotto in Italiano).
Tra i suoi più grandi ammiratori c'è Jonathan Franzen, che ha intitolato il suo podcast e blog personale Mr Difficult, non a caso, dato che era il soprannome di Gaddis per via del suo stile barocco, a tratti schizofrenico, imperscrutabile e con la caratteristica, unica e singolare, di caratterizzare i personaggi per uno stile riconoscibile nel linguaggio (per spiegarmi meglio, come quei tic linguistici che si hanno, il ripetere spesso un intercalare, un modo di dire e così via). Nel 2002 Franzen scrisse sul New Yorker un articolo, intitolato Mr. Difficult: William Gaddis and the Problem of Hard-to-Read Books, in cui divide i lettori in due gruppi: gli Status Model, che cercano in un romanzo una forma d'arte, e i Contract Model, che cercano in un romanzo una forma di intrattenimento. In Gaddis lo sfoggio, nel caso de Le Perizie, di citazioni erudite, rimandi all'antropologia, all’esoterismo, alla teologia cristiana o alla pittura fiamminga sono segnali paradigmatici di Status Model, e fu questa analisi stilistica che portò lo stesso Franzen a passare dal romanzo forbito (e a tratti indimenticabile) ma "difficile" da leggere che fu Le Correzioni a quello più semplice strutturalmente e più godibile che fu il successivo Crossroads.
Leggendolo, ho detto alle mie amicizie di lettura che non lo avrei consigliato a nessuno, sebbene sia stata una delle letture più incredibili della mia vita. Perchè c'è uno sforzo intellettuale che, e non so nemmeno se sia in fondo un problema, non è solitamente più richiesto per lo meno in un momento personale di riflessione come può esserlo una lettura.
Lascio l'ultima riflessione alla traduzione: fu opera già nel 1967 del grande Vincenzo Mantovani, uno dei più grandi traduttori di autori anglofoni della nostra editoria, scomparso l'anno scorso. Lui aveva un amore viscerale per Gaddis, che mi rendo conto era una sfida da rompicapo per un traduttore ma che per lo stesso motivo era amatissimo da chi queste sfide le accettava. Lo stesso Mantovani lavorò per 15 anni alla traduzione di JR, che è in pratica un romanzo dialogo su un giovane genio adolescente che scopre un modo per fare soldi nella finanza, ma non trovò mai un editore disposto a pubblicarlo. Ci riuscì solo nel 2009, grazie alle Alet di Padova, che tra l'altro non pubblica più, rendendo introvabile questo altro romanzo così sui generis e forse per questo così fondamentale.
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Anno 1821. Il poeta inglese Percy Bysshe Shelley risponde a un saggio dell’amico Thomas Love Peacock, nel quale si dichiara la morte dell’arte e della poesia in un’epoca di progresso sociale dominato dalla scienza e dalla tecnica, e scrive una “difesa della poesia” in cui ribadisce e rilancia con passione il valore eterno dell’arte poetica nell’elevazione spirituale dell’umanità e il ruolo dei poeti quali "istitutori delle leggi, fondatori della società civile, inventori delle arti di vita, veri maestri che conducono a una certa prossimità con il bello e il vero quella parziale conoscenza delle forze del mondo universale che è chiamata religione."
Anno 1902. Lord Chandos, giovane aristocratico elisabettiano, alter ego immaginario dell’austriaco Hugo von Hofmannsthal, scrive al suo vecchio mentore Francis Bacon, padre del metodo scientifico, per denunciare una crisi personale irreversibile che lo ha portato all’incapacità di prendere posizione sul mondo e, tanto più, di fissarla in un testo che aspirasse a una qualsiasi rivelazione universale, provando al contrario “un inspiegabile disagio solo a pronunciare le parole ‘spirito’, ‘anima’ o ‘corpo’.”
In ottant’anni il grande salto romantico è precipitato in un crollo rovinoso, alla fede nella poesia come rivelazione ed elevazione è seguita la presa d’atto dell’incomunicabilità e dell’afasia.
In due incontri centrati sui due testi si esploreranno le ragioni dell’uno e dell’altro, due fari per gettare una luce chiarificatrice sullo stato della poesia oggi.
"Il salto e il crollo."
Un seminario di Valerio Massaroni
Info e iscrizioni su
www.centroscritture.it
#poesia#poesia contemporanea#letteratura contemporanea#corsionline#letteratura#percy bysshe shelley#poesia romantica#modernismo
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ANTONELLO DA MESSINA - PARTICOLARI DELLE SUE MADONNE
IL LINK SBAGLIATO
Lo so, è colpa mia! Ma non ci potevo fare niente: l’uomo esperto della vita e delle situazioni, una volta che finisce in un guaio ne esce più forte, mentre un bradipo esistenziale quale sono io, rende il problema ancora più grosso! E questo è quello che è capitato a me: da uno stupido errore, ho creato un immenso casino che mi ha sconvolto la vita. E tutto è successo per uno stupidissimo e insignificante link spedito all’indirizzo sbagliato. Ora, è importante che ti spiego il contesto in cui tutto è accaduto. Io sono un restauratore, dono una nuova bellezza ad oggetti creati da artisti ormai morti, ad opere d’arte la cui luce è stata offuscata dal tempo e dagli uomini. Ecco si, questo è importante per conoscermi: io salvo e proteggo la bellezza nella sua perfezione ed idealità. Quindi, per dover lottare contro il tempo che tutto distrugge e annulla, i miei modi di fare sono lenti e studiati. Per cui non ho quell’approccio che hanno i giovani o gli uomini comuni con le cose e con le persone. Metabolizzo accadimenti e situazioni con il giusto passo, ne troppo lento, ne troppo veloce, per gustarne e capirne l’estetica e attraverso di essa, il senso unico che li caratterizza. Ma di questo cercare l’attimo che definisce il tutto, ora capisco e comprendo che vedevo e consideravo solo una superficiale, benché elegante, inutile apparenza. Questa mia abiura della vacua contemporaneità e illusorio modernismo è dovuta al fatto che la vera forza della natura che ci domina, perché rende vani i nostri sogni, non è il cielo, o il vento o il mare, ma quel Tempo contro cui lotto! Noi siamo quello che il Tempo ci permette di essere nel momento in cui dobbiamo mostrare noi stessi. Una sedia costruita nel 1800 era una sedia, adesso è un’opera d’arte, il simbolo di un’epoca. Per cui per me un oggetto antico, una poltrona, un settimanale, un ex voto, sono un testimone di quella vita che una generazione passa a quelle successive. Sono la prova di una o più esistenze e meritano rispetto, considerazione e la giusta valutazione. Per cui, dando più valore alle cose che alle persone, tratto (o dovrei dire trattavo) le donne, che sono la totalità dei miei clienti, in modo schietto e diretto, senza perdermi in manfrine o complimenti ipocriti e soprattutto senza considerarle importanti. Per motivi che poi spiegherò, ogni volta che permettevo ad una donna di diventare per me importante, ho poi dovuto pagare un prezzo altissimo fatto di infelicità e disperazione. Ma torniamo agli avvenimenti. Per fare contenta Mara, una mia vecchia amica che mi presentava sempre nuovi clienti e opportunità di lavoro, avevo accettato di dare delle lezioni di pittura a lei e ad alcune sue amiche. Non è che io sia un pittore eccezionale, me la cavo un po’ per via del lavoro che faccio e per la buona conoscenza che ho di storia dell’arte; in fondo, come si dice: in mezzo agli analfabeti chi sa scrivere il suo nome è già un letterato. Siccome all’epoca del Covid, ero rimasto senza lavoro, per riprendere i contatti e farmi qualche soldo, avevo accettato di fare qualche corso per allargare la clientela. Mi organizzai con Mara e riuscimmo a interessare alcune sue amiche di cui tre vennero un paio di volte e poi si persero dietro corsi di bachata o fiori di carta, mentre altre tre erano diventate assidue frequentatrici delle mie lezioni. Arrivammo quindi all’ultima lezione prima della pausa estiva e proposi di farla in un posto molto scenografico verso punta Faro, dove si domina lo stretto di Messina, subito dopo Ganzirri, in modo che dopo un paio d’ore di spennellate d’acquarello, potevamo sederci in uno dei tanti ristoranti locali e farci una sbafata di cozze fresche. Ovviamente a spese delle mie allieve. Essendo stato il promotore della uscita con mangiata, promisi di mandare qualche giorno prima dell’evento, l’indirizzo dove potevamo trovarci. Ovviamente me ne dimenticai e il mattino del giorno in cui dovevamo vederci, di fretta e furia, a causa di un quadro che stavo pulendo, mandai in fretta e furia quello che pensavo fosse il link della spiaggia dove dovevamo vederci e quindi continuai tranquillamente la pulizia del quadro che stavo eseguendo senza pensare ad altro. Ed ero tanto preso dal lavoro che arrivai sul luogo dell’incontro in ritardo, solo per scoprire che non c’era nessuno. Fu allora che guardai il cellulare che da quando avevo mandato il messaggio era rimasto chiuso nello zaino usato per portare colori e i quaderni dove dipingevo. Con mia grande sorpresa vi era una sfilza di messaggi “Ma Renzo, sei diventato matto? Non me lo sarei mai aspettato da te” Aveva scritto Mara due minuti dopo aver ricevuto il messaggio “Renzo, che cattivo gusto !! dovresti vergognarti” Aveva scritto Pinuccia aggiungendo una sfilza di faccine disgustate “Renzo ma niscisti pacciù?” Mi chiedeva Emma, la più grande delle gemelle Finocchiaro, mentre sua sorella Edda aggiungeva “si vidi chi jè tantu chi nun fai….” Stupito da quei commenti che le mie alunne mi avevano mandato andai ad osservare il link e notai subito che non era di Google-Map ma di Tumbrl. Eppure ero sicuro di aver copiato il link giusto. Aprii il link e mi trovai a vedere una scena di sesso spinto che neanche Rocco Sifreddi avrebbe mai concepito nei suoi momenti di maggior vigoria. C’era una signora con solo una parte dei vestiti, che dopo essersi deliziata leccando il cannolo del partner, ne faceva uso ed abuso, concedendo all’energumeno ogni suo orifizio ed evidenziando le prestazioni del mandrillo con un piacere urlante anche quando si lasciava tirare i capelli e ricevere grandi manate nel considerevole posteriore, mentre l’infoiato verro, citando i racconti del Decamerone, la possedeva “come in uso tra i cavalli dei Parti”. Provai una enorme vergogna pensando alle mie attempate signore della Messina bene che assistevano stupite e schifate al messaggio che avevo mandato loro. Una profonda e immensa vergona! In quale abisso ero finito: da maestro d’arte a viscido spacciatore pornografico. Avevo poi dato a quelle annoiate e insipide signore la possibilità di ridicolizzarmi agli occhi di tutti i nostri conoscenti. Che orribile malafigura!! Cercai di capire come avevo mandato quel link assurdo e volgare, che solo quello stupido e fancazzista del mio amico Salvatore avrebbe distribuito tra i suoi conoscenti di ambo i sessi. Fu questa constatazione che mi fece risalire alla dinamica del mio sbaglio. Salvatore, appunto, mi aveva mandato uno dei suoi laidi link, aggiungendovi il solito commento ambiguo e di bassa lega. Mi era sembrato però un link fasullo, perché clickando non faceva partire la pagina web. Lo avevo quindi copiato per incollarlo sul web e vedere di cosa si trattasse. La pagina però veniva caricata molto lentamente ed io l’avevo chiusa, stanco di stare dietro alle stronzate di Salvatore. Probabilmente il link era rimasto in memoria e, preso dalla fretta, lo avevo incollato al posto dell’indirizzo della riunione e li era successo il patatrac, facendomi cadere addosso il mare di escrementi vari in cui stavo affondando. Io non sono un tipo ansioso, ma sapermi ridicolizzato nei salotti bene di Messina mi inquietava. Presto l’inquietudine divento ansia e l’ansia terrore! Passai la notte a pensare a tutti i miei clienti trattarmi da idiota; le confraternite religiose, di cui curavo gli antichi quadri e le tarlate suppellettili, mettermi al bando e cacciarmi con ignominia dai loro circoli; i prelati di campagna che mi portavano vecchi crocifissi anneriti ed ex voto infantili pagandomi con capretti e uova fresche, li immaginavo maledire il mio studio, quella stanza dall’odore di acquaragia e resine pregiate in cui avevo rinchiuso la mia vita per proteggerla dalla barbaria e dal cattivo gusto che la circondavano. Dopo il periodo del covid che aveva asciugato le mie risorse, tutto mi stava crollando addosso per uno stupido, maledetto link. Passai la notte in bianco, maledicendo Salvatore e le tecnologie moderne. Il giorno dopo uscii di casa molto presto, vagabondando per il quartiere pensando a cosa fare. Arrivai alla chiesa del Gesù e come sempre facevo vi entrai non per un qualche motivo religioso o morale, ma solo perché lì c’era la prima opera che avevo restaurato, la cornice barocca che circondava la statua di San Rocco, un’opera molto venerata. Don Nino, il parroco della chiesa, aveva ricevuto una cospicua donazione dal Commendatore Andò che nella chiesa aveva fatto celebrare le nozze della figlia. Con una piccola parte della donazione, mi aveva pagato per il restauro della cornice. Io avevo accettato di buon grado perché ero proprio agli inizi e fino ad allora non avevo avuto nessun cliente che non fosse un mio parente che, ovviamente, si guardava bene dal pagare. Il restauro attirò su di me l’attenzione dei benestanti del quartiere e piano piano, incominciai ad avere la giusta clientela. Guardavo la cornice di San Rocco quando sentii la voce di don Nino alle spalle “È sempre bella, non è vero?” “Certo – risposi felice di vederlo – sempre più bella. Ma occorrerebbe pulirla un po'” “Magari quando troviamo qualche soldino da spendere per la chiesa: ora abbiamo troppi poveri. Ma dimmi, come và, ti vedo preoccupato” Don Nino riusciva a capire i miei stati d’animo anche se mi fossi messo una maschera. Era per me un buon amico e senza di lui sarei stato solo un fallito per cui decisi di accennargli dei miei pensieri. “È che ho fatto una minchiata, forse ho offeso qualche signora e non so come uscirne” Don Nino salutò una vecchia signora che passò nella navata. “Come stà tua moglie” Chiese improvvisamente con un ghigno che se non l’avessi conosciuto mi sarebbe apparso maligno “Don Nino!! Lo sa che io di quella persona non voglio parlarne, non ne voglio sapere: Quella per me è morta!!!” “Ed è per questo che da quando ti ha lasciato non esci più da tuo laboratorio” “Don Nino ma questo chi ci ntrasi? Stavo parlando di un mio problema e lei mi tira fuori quella … quella … non le dico cosa perché siamo in chiesa…” “Ci ntrasi, ci ntrasi – fece sornione don Nino – perché se tu fossi andato a cercare tua moglie e trovandola le avessi chiesto, guardandola negli occhi perché ti aveva lasciato dopo un mese di matrimonio, uno sposalizio con duecento invitati e otto anni di fidanzamento ufficiale dopo quattro anni di giochi erotici e sbaciucchiamenti da fidanzatini, ora sapresti cosa fare! Andresti da chi hai offeso e guardandolo negli occhi diresti “scusa amico mio, scusa, ho sbagliato!” E invece no, ti perdi a pensare come farti perdonare, cosa dire, perché e percome hai sbagliato! Ti chiuderai nel tuo laboratorio indeciso su come affrontare il problema e pensando e ripensando consumerai i tuoi giorni, la tua vita dentro ad una stanza, come un carcerato! Prendi coraggio e vai da chi hai offeso chiedendo scusa, inginocchiati ai suoi piedi pur di riavere la sua amicizia ed evitare di essere sempre più solo!” La forza con cui don Nino mi disse il suo pensiero rimbombò nella navata ed i sacrestani che stavano mettendo in riga i banchi si voltarono a guardarci. Alzai una mano come per rispondergli ed argomentare quel suo rimprovero che pensavo immeritato. Ma non mi usci parola. Allora mi girai e a passo veloce, furioso e disgustato, me ne andai. Fuori dalla chiesa camminai mormorando tra me e me. Urtavo persone che mi lanciavano improperi e maledizioni, attraversavo strade dove le macchine facevano stridere i freni per non investirmi. Ne dicevo di tutti i colori nei confronti di don Nino, ma sapevo che aveva ragione, che da quando mia moglie mi aveva lasciato il mondo per me era come morto. Se non fosse stato per i pochissimi amici che avevo, non sarei uscito dal mio laboratorio. Vedi all’inizio, quando ho cercato di descrivermi, non ti ho detto di mia moglie perché … perché non ci riesco! Tanto è stato per me il trauma che ancor nel dover parlare di quei momenti mi sale una rabbia che non so trattenere e controllare. Non è solo una persona amata da sempre che improvvisamente ed inspiegabilmente se ne è andata, ma anche tutta la mia giovinezza, tutta una concezione del mondo dove certezze come l’amore, la fiducia negli altri, l’ottimismo, la sicurezza dei rapporti finiva improvvisamente. Come fai a credere negli altri, ad aver fiducia in chi incontri per strada se dall’oggi al domani, chi ti giurava amore infinito se ne va svuotandoti la casa e il conto corrente, dicendo che gli avevi rotto le scatole con la puzza dell’olio dei mobili e le soluzioni di bicarbonato per pulire i quadri. Come fai a credere all’amore, all’amicizia, a tutto quello che ti spinge a vivere se hai capito che non esistono. Non possono esistere. Io lottavo per fermare il tempo, l’estasi della bellezza assoluta. Lei aveva invece cancellato metà della mia vita uscendo da essa. Il suo potere era stato più forte del mio. Fu un periodo orribile, passato a fissare le pareti del mio studio come se fossero le onde del mare al tramonto. Ne sono uscito lentamente grazie all’aiuto di qualche amico. Ad esempio, il corso di pittura richiesto da Mara forse era stato inventato da lei più per aiutare me che le mie allieve a dipingere. Don Nino aveva ragione: dovevo trovare il coraggio di chiedere scusa. Il suono di un clacson mi svegliò dai miei pensieri nel mezzo del Viale San Martino, circondato da macchine impazienti. Mi guardai intorno e vidi che ero vicino alla casa delle gemelle Finocchiaro. Senza esitare mi diressi verso il loro caseggiato e risoluto a contraddire don Nino salì al loro piano suonando alla loro elegante e ricca porta di casa. Sentii un ciabattare e un chiavistello girare più volte e quando la porta di mogano antico si aprì, mi apparve una delle gemelle con un prendisole turchese, pieno di ricami da cui si vedeva balenare la candida pelle. Ora devo dire due cose delle gemelle. La prima è che sono perfettamente uguali. Loro dicevano che era facile riconoscere chi erano perché Emma, quella sposata portava la fede, mentre Edda che non lo era, portava all’anulare un anello con un rubino. Spesso però avevo la sensazione che si scambiassero l’anello per confonderci. La seconda cosa che devi sapere è che si comportano come se fossero una sola persona. Dipingevano sempre insieme usando uno stile che ricordava i pittori naif della Jugoslavia degli anni ‘80. Una di loro iniziava a dipingere da una parte e l’altra dalla parte opposta muovendosi entrambe, in perfetta sincronia, verso il centro del quadro. Benché non si parlassero e non avessero pianificato il quadro, le due parti del quadro si integravano perfettamente e non si vedevano differenze di stile o dimensioni tra la parte di destra e quella di sinistra. Erano quadri dove erano rappresentate isole mediterranee con tante piccole candide case messe una sull’altra, mentre scendevano verso il mare in un rigoglio di palme e buganvillee. Le case e le stradine che le percorrevano, erano popolate da centinaia di piccoli uomini e donne impegnati in mille attività come piccole rosee formiche in un candido formicaio. In basso a destra si firmavano con la figura di una bambina che era formata da due metà ricongiunte, ma per notare questo particolare bisognava guardarla attentamente. “Renzo, che bella sorpresa” Mi disse una gemella in turchese quando mi aprì la porta “Mi fa piacere vederti” Aggiunse l’altra arrivando ciabattando da un lungo corridoio vestita con un coprisole ocra. Entrambe erano vestite come i personaggi dei loro quadri. “Vieni, entra, prendi qualcosa con noi” Fece quella che mi aveva aperto e presa la mia mano, mi tirò dentro casa sua “Meno male che sei venuto mi stavo annoiando” Aggiunse l’altra spingendomi in un lungo corridoio che dava su molte stanze tutte arredate in modo classico con alle pareti i grandi quadri colorati che dipingevano. Mi fecero sedere in un piccolo salotto con un divano molto largo e pieno di grandi cuscini. Sul tavolino in onice erano sparsi disordinatamente libri, riviste e scatole di torroncini e confetti. Sparirono e riapparirono subito dopo portandomi un gran bicchiere di acqua tonica in cui galleggiava della granita al limone. Parlammo del caldo che imperversava e dello scirocco che svuotava le strade e a loro faceva venire il mal di testa, fino a che non misi giù il bicchiere e, schiarendomi la voce, iniziai il discorso che mi ero preparato. “Ecco … sono venuto per quel link che involontariamente vi ho spedito … volevo chiedervi … scusa” “O veru? …. Scusa mi volevi chiedere ….?” Iniziò quella seduta accanto a me a destra e quella seduta a sinistra finì la frase “… E picchì ti scusi per quella stupidata …?” “Mi ha fatto divertire ….” “…. E ti confesso, ma non lo dire a mio marito …” “Lui è all’antica, non capirebbe …” “Mi ha fatto venire un po' di voglia…” “voglia di passione, un fuoco proprio li …” “Intenso ….” “feroce ….” “Una cosa mai provata …” “ma forse desiderata …” “ tu quelle cosa, dimmi … le hai mai fatte ?…”” “… si, si tu sotto sotto chissà quante ne fai…” E sentii una mano scivolarmi lungo la coscia “… magari ti ha spinto a spedire quel filmino un qualcosa di inconscio, un desiderio mai confessato … “ “ma fortissimo! Anche a me capita …” “di provare sanazioni proibite, pensieri libertini…” “ ma in fondo, umani siamo” “le tentazioni, dentro di noi sono” E senti il calore di un paio di generose minne premermi contro il petto “per questo il tuo… è sicuramente un messaggio d’aiuto …” “un messaggio… alle tue amiche …” “ e hai fatto bene a mandarlo!” “Ora sò che quello che sento io anche tu lo senti: hai lo stesso pensiero….” “abbiamo gli stessi desideri” “ e ai desideri non bisogna resistere: fa male … “Fisicamente e moralmente…” “Se un desidero è onesto, perché resistergli?” “… devi soddisfarlo, se vuoi vincerlo… “ “Così staresti meglio … ti sentiresti libero” “e anch’io starei meglio …” “mi passerebbe il mal di testa” “mi rilasserei …?” Sentivo il loro respiro sul collo, una mano era salita alla base della coscia e richiamava l’attenzione del locale residente, mentre un'altra mano, dalla parte opposta aveva vinto la resistenza di un bottone della camicia e stava esplorando con dita calde ed esperte, il mio petto. Non sapevo cosa fare, o meglio, lo sapevo benissimo, mi sarei dovuto alzare e lasciar perdere quelle due sirene assatanate. Ma i loro corpi contro il mio, quel sussurro con cui mi tentavano, la carestia sensuale che provavo da quando quella donna che aveva giocato a fare la moglie per poche settimane se ne era andata (portandosi via corredo e regali di nozze), mi impediva persino di concepire l’idea di muovermi, di fuggire a quell’ipnotico desiderio di essere sbranato sensualmente. “Ma … tuo marito?” Cercai di dire ricordando loro impegni morali e sentimentali così che (loro) finissero quella inattesa e bellissima seduzione di un incapace (io), di un inesperto (sempre io ), di un maschio minchione e fissa (ancora io) e quindi innocente, assolutissimamente innocente. “mio marito è una persona eccezionale” “… lui è in mare, è capitano su una nave…" Fece qualcosa di umido che mi esplorava l’orecchio “… starà li per altri due mesi …” Rispose la mano che apriva la mia cintura “è intelligente, capirebbe” “Poi lui fa l’amore a metà….” “… non accetta il fatto che io sono una… “ “ in due corpi” “Che deve amarmi due volte …” “entrambi i corpi” “… perché io abbia un unico piacere …” “… ma se lo sa mi ammazza” Azzardai come ultima disperata e debole difesa “… non lo saprà mai e poi” “… gli abbiamo detto che sei gay ” “… che tua moglie ti ha trovato a letto con un negro…” Capisci? Oltre la notorietà di possibile cornuto, avevo anche la fama di probabile gay. Ma quello che ero per il marito di Emma, in fondo non mi interessava perché ormai non parlavamo più. Cosa stava succedendo è inutile dirtelo e a ripensarci non ricordo tutto quello che era accaduto, perché il mio cervello è troppo piccolo per ricordare tutto il piacere che le gemelle mi facevano provare. Ricordo solo che l’intimo di una profumava di rose e che quella dell’altra di tuberose e che la prima era dominante esigente, predatrice, un amazzone volitiva e golosa. Tuberosa era invece succube, generosa, disponibile, pronta a donare quanto la sorella pretendeva, a non negare quanto la sorella non voleva. Ma non farmi dire altro. Ti dirò solo che insieme avevano tutti i desideri, i capricci, le voglie che una donna ha. I corpi di Rosa e Tuberosa erano abbondanti come le donne dei quadri di Rubens eppure leggeri, quasi evanescenti aerei, come le donne del circolo dei canottieri di Renoir, felici come le Mademoiselle d’Avignone di Picasso e oscure, impenetrabili come gli occhi senza anima delle donne di Modigliani. Scoprii nuovamente che le donne sono come il sole a primavera che dona vita agli alberi e ai fiori, come la pioggia nel deserto capace di far fiorire l’arida sabbia. Quando la sera, distrutto nel corpo e rinato nell’animo tornai nel mio laboratorio di restauro, mi accorsi che era piccolo, troppo piccolo per contenere il piccolo pezzo di paradiso che le gemelle mi avevano donato. Compresi anche la loro solitudine, quella che nasce dal non poter essere di fronte al mondo, quello che ci sentiamo di essere, quella disagevole sensazione che nasce dal mostrare a tutti solo una minima parte di quanto siamo. Quella sera nella casa vuota, mentre osservavo allo specchio i graffi, i morsi che mi avevano lasciato sulla pelle, mi sentii anch’io come loro la metà di una persona, privo di quel gemello con cui poter essere un individuo completo. La metà che mi mancava non era quell’essere odiato che mi aveva lasciato, ma tutte quelle anime spaiate che conoscevo o che avrei potuto trovare e che invece, chiuso nel mio laboratorio, non avevo incontrato e forse avevo perso per sempre. Il giorno dopo mi alzai frastornato. Mi misi a lavorare di lena, ma ogni pezzo di legno che scartavetravo era un pezzo della coscia di Profumo-di-Rosa o Tuberosa; ogni pennello che usavo per distendere gli oli o le resine, mi ricordavano i loro capelli, accarezzati, stretti, tirati e rilasciati con i loro sospiri di piacere. Me ne andai a metà mattinata e mi diressi deciso verso casa di Pinuccia. Dovevo ancora chiedere perdono alle altre amiche e lo facevo volentieri perché ormai avevo capito che anche loro potevano essere sole come me e che il link sbagliato che avevo inviato poteva essere un motivo per non esserlo più. Stavo per suonare alla porta di Pina quando questa si aprì improvvisamente e una vecchia signora, seguita da una ragazza down uscirono. “Marti ti sei presa la sciarpa?” gridò la voce di Pinuccia da dentro casa “Si mamma, non ti preoccupare” Rispose la ragazza “Non fare sforzi “ “Si maaa” Rispose seccata Marti “Cercavo la signora Lo Cascio “ chiesi alla vecchia signora stupita di vedermi proprio di fronte a lei “È intra – fece la vecchia, ed alzando la voce gridò – Signora a stannu ciccannu” E presa Martina per mano entrò nell’ascensore “Chi è? - Fece Pinuccia apparendo sulla porta, vedendomi esitò qualche secondo e poi mi disse quasi seccata – entra” Entrai colpito dall’assenza di entusiasmo con cui mi aveva accolto Mi fece entrare in salotto e senza chiedermi di accomodarmi mi chiese “Cosa vuoi?” “Ecco … volevo scusarmi per quel filmetto che ti ho mandato … è stato uno sbaglio un errore deprecabile dovuto alla mia superficialità … scusami …” Lei mi guardò freddamente. Io ti confesso che quello sguardo mi fece male. Pina era una signora dai modi aggraziati, aveva due occhi chiari perennemente tristi sotto una chioma di capelli scurissimi, un naso importante che colpiva e ammaliava. La sua pelle era sempre chiarissima ed il corpo tonico, senza un filo di grasso. L’avevo vista una volta in bikini e mi era apparsa come una di quelle sculture delle ballerine di Francesco Messina: perfetta e seducente. Vederla così fredda e arrabbiata mi dispiaceva “”Scusami”…. Vieni qui e mi dici “scusami” … prima mi mandi quelle cose volgari e degradanti, dove le donne son trattate da bestia e poi mi dici “scusami”” E fece una faccia che mostrava solo di disprezzo “Ma no, è stato uno sbaglio … era un semplice film … “ “Non era un film – gridò feroce quasi saltandomi addosso – non è mai solo un film quando si fa del male è … una porcheria … un sopruso che il vostro egoismo di uomini fa passare per “amore”, per “piacere”” “… ma veramente …” Cercai di difendermi “È stato un atto disgustoso mandare a me che quella violenza l’ho subita, un film che me lo ricordasse” “Ma no Pina io…” “Sei un vigliacco un porco come quello che mi violentò a quindi anni e mi ha messo in cinta di Martina … sei un mostro … siete tutti dei mostri” Urlò disperata e nascondendosi il volto tra le mani incominciò a piangere “Ma io … non …” Balbettavo sopraffatto dalla sua reazione, dalla sua storia che non conoscevo, che non sapevo e volevo quasi quasi andarmene, fuggire da quella situazione imbarazzante e sgradevole. Non sapevo cosa fare e non so perché mi venne in mente don Nino e la sua voce che gridava di gettarmi in ginocchio per chiedere perdono. Preso dalla disperazione mi avvicinai a lei e cadendo in ginocchio ai suoi piedi l’abbracciai stringendole le gambe. “Scusami, scusami, scusami, non volevo farti del male, sono uno stupido, un coglione, ma non voglio, non sarei mai capace di farti del male. Sono venuto solo a scusarmi perché è stata una cosa da imbecille ma non sapevo cosa ti era successo, e mi dispiace che questa bambinata ti abbia fatto tanto male. Non avrei mai voluto, non saprei mai farti del male” ripetei, rallentando quel mio dire esagerato e velocissimo che era il frutto della mia sorpresa, del mio disorientamento di fronte al suo dolore. Continuai più lentamente “tu sei speciale, sei la persona più gentile e generosa che abbia mai conosciuto, io non posso volere o desiderare il tuo male. Soprattutto ora che so quanto hai sofferto, quanto stai soffrendo. Pensavo di essere l’unico ad essere stato preso a schiaffi dalla vita. Ma ora so che tu non sei stata più fortunata di me e questo mi dispiace perché avrei voluto che la vita fosse stata più generosa con chi ritengo migliore di me. Scusami di non aver fatto rinascere il dolore che ti porti dentro.” Lei scivolo tra le mie braccia e mettendosi anche lei in ginocchio mi abbracciò “ La vita mi ha sempre violentato. La prima volta a sedici anni, la seconda quando è nata Martina che malgrado tutto aspettavo con amore, poi quando l’ho dovuta crescere da sola senza l’aiuto di nessuno, quando ho incontrato mio marito che poi è morto in un incidente, privandomi della nuova vita che mi ero costruita. Ed ora, con il tumore che ha Martina l’incubo ricomincia. Lunedì dovrò portarla in ospedale, poi le medicine, la chemio, le visite e lei dovrà pazientemente sopportare tutto ed io con lei! Ora tutto rincomincia, sono di nuovo all’inizio di un altro calvario” Restò in silenzio qualche secondo, sempre stretta a me “Sono stanca. Vorrei che tutto finisse perché non ce la faccio più.” Chiuse gli occhi e appoggiò la testa sulle spalle senza più dire o muoversi Sentivo il suo corpo tra le mie braccia e non era quello delle gemelle, con un calore solare e un desiderio vitale. Era un fragile guscio che conteneva un anima che aveva attraversato tempeste e soprusi , senza un momento in cui avere la giusta pace e la desiderata serenità. “Lunedì vi accompagnerò io. – esordii improvvisamente - Vi starò accanto e affronteremo insieme tutto quello che c’è da fare: non sarà un altro calvario. Tu hai superato tanti momenti brutti, saprai superare anche questo momento, poi hai le tue amiche, ci sono io: ti difenderemo dal destino e gli impediremo di farti del male.” Lo so: le mie erano semplici e probabilmente inutili parole. Esageravo nel sottovalutare il problema e nel vantare la soluzione, ma in quel momento ci credevo veramente. Sapevo fermare il tempo che divorava la bellezza di mobili e quadri, avrei saputo fermare anche il destino perché ancora una volta non travolgesse Pina e Martina. Ma più di tutto, sapevo, perché me lo aveva insegnato l’arte che curavo, che i sogni vivono più a lungo dei sognatori che li avevano creati, e che illudersi e credere nelle proprie illusioni era l’unico modo di santificare la vita, la propria e quella degli altri vincendo quel nulla da cui diamo nati e in cui scompariremo. Lei si staccò da me guardandomi, poi sorridendo anche se aveva gli occhi lucidi “Non ti sapevo così determinato! Vuoi proprio il mio perdono” “Mi hai già perdonato - le dissi asciugandole gli occhi - e hai fatto bene. Chi non sa perdonare è come se volesse fermare la vita, ma questa, non la può fermare nessuno e alla fine, la vita lo schiaccia. A me è successo questo dopo che mia moglie mi ha lasciato. Non volevo che tu facessi lo stesso errore.” Sentimmo girare la chiave nella serratura e ci alzammo velocemente. Martina entrò felice mostrando alla madre le medicine comprate. Io salutai e Pina mi accompagnò alla porta. “Allora lunedì passo a prenderti ed andiamo al Papardo. Non ti dimenticare” “Ma Renzo, non so se è il caso …” “Lo è! Fidati” Ed entrai in ascensore. Per strada camminavo lentamente pensando a tutto quello che era successo. Pina dipingeva di preferenza le nuvole. Quelle di un azzurro purissimo sfumate di rosa simili a quelle degli affreschi del Tiepolo e quelle cupe e color piombo della Tempesta di Giorgione. Ora capivo che nel dipingere cercava un po' di pace e voleva esorcizzare le ansie che l’assalivano. Lei non si era rinchiusa in una stanza perché non poteva, ma non di meno, come i miei, i suoi giorni erano senza sole e serenità. Fino a quel momento avevo tenuto lontano tutto e tutti ritenendo che “gli altri” si fossero presi più di quanto mi avessero dato, lasciandomi in una tribolata solitudine mentre loro vivevano immersi in una normalità viscosa e soporifera ma serena e forse, felice. D’improvviso invece, persone che ammiravo perché parte dello sfondo luminoso che circondava la mia oscurità, mi avevano mostrato le loro inquietudini e difficoltà. Non ero quindi un’anomalia, un diverso obbligato ad un infelice malinconia per tutto quello che avrebbe potuto avere e che gli si era rivoltato contro. Ero solo un comune infelice dei tanti, uno qualunque senza peso e senza alcuna importanza. Infelice come lo era anche chi mi circondava. Avevo bisogno di parlare con Mara. Lei era il mio punto di riferimento, in ogni momento difficile avevo trovato in lei un aiuto a chiarirmi situazioni e persone. Volevo capire cosa dovevo fare con le gemelle, con Pina e soprattutto con me stesso ora che un link del cavolo mi aveva costretto a fare i conti con un insospettato lato nascosto della realtà. Presi il mio furgone e mi diressi verso la casa della mia amica. Arrivato il portiere filippino mi disse che era andata nella casa al mare a Rometta, perché era il compleanno del figlio e volevano festeggiarlo al mare. Mandai un messaggio chiedendole se avesse tempo per me e mi rispose immediatamente di andare a trovarla aggiungendo di entrare dal cancello sul giardino. Andai direttamente a parlarle passando dal giardino senza suonare. Ai tempi del liceo ero stato in quel giardino molte volte per le feste di compleanno di Mara o per le feste estive. All’epoca Mara era una ragazza con le curve delle donne di Botero, abbondanti e sensuali. Malgrado il sovrappeso e un leggero strabismo di venere, mi attraeva in modo particolare e avevo fatto diversi approcci per farglielo capire e passare ad una relazione più intima. Non ero però abbastanza esperto per poterla sedurre o interessare, ed in fondo lei aveva già abbastanza malizia da neutralizzare i miei goffi tentativi. Quello che di lei mi colpiva era la sua capacità di razionalizzare ogni sentimento e persona, una capacità in antitesi con la mia mente creativa e caotica. Era quindi un valido punto di riferimento, una sicura certezza. Non so perché pensai che al liceo non riuscivo a capire come mai quel suo corpo fuori dalle regole della bellezza mi piaceva, mentre ora mi accorgevo che non era il suo corpo ad attirarmi, ma quello che conteneva: la sua costante serenità, la lucidità, la semplicità, la fermezza, la forza con cui affrontava l’ironia dei compagni di classe e le difficoltà della vita. E questo perché riteneva la vita troppo importante per sciuparla in malinconie ed arrabbiature. Entrai nel giardino e camminai tra gli alberi dei limoni e mandarini, ognuno chiuso in un quadrato di terra circondato da piastrelle di lucido cotto. Quella razionale disposizione mi ricordava i quadri di Mara dove paesaggi e persone erano suddivisi in forme geometriche perfette come quadrati, cerchi, triangoli equilateri, quasi la rassicurasse la perfetta disposizione spaziale di tutto quello che vedeva. La trovai sul dondolo che osservava il suo cellulare . Era vestita con un kimono leggero, di fiori rossi su un fondo crema. Il kimono era stretto ai fianchi da una cintura che lo faceva aprire sul davanti mostrando, l’abbondanza del petto rinchiuso nella parte superiore di un bikini rosso. Mi fece segno di sedermi accanto a lei “Allora come và?” Esordi sorridendo e guardandomi da sopra i suoi occhiali che controllavano e bloccavano il suo strabismo di venere. “È che ho mandato quello stupido link e sono venuto a chiedere scusa.” “hai fatto tutta questa strada solo per questo? Ma era chiaro che non era cosa tua” “No, non è solo per questo. Ho chiesto scusa anche alle gemelle e a Pina e hanno reagito in un modo strano! Ognuna di loro in modo personale e comunque diverso da quello che mi sarei aspettato.” “È normale : ognuno reagisce per il carattere che ha, siamo in fondo tutti diversi” “Ecco è proprio questo: è normale che ognuno reagisca secondo il proprio carattere, ma la loro reazione mi ha fatto capire che non avevo compreso le loro personalità che non erano per come le pensavo o le conoscevo.” Sorrise allargando le rosse labbra lunghe quanto un sogno. “Ce lo hai spiegato tu: ognuno vede un quadro in un modo diverso perché lo interpreterà sulla base della sua esperienza: tu forse, le hai sempre giudicate sulla base del rapporto superficiale che avevi con loro. “Certo! Questo è normale ma, pur conoscendole da tempo si sono comportate come se non le avessi mai conosciute mentre invece è da un anno che le frequento. La continuità di una relazione fanno si che abitudine e consuetudine rivelano chi ci stà accanto. Invece non è così. A questo punto mi chiedo: ma allora non conoscevo nel suo profondo intimo neanche la mia ex moglie, non conosco te, non conosco nessuno: e quindi non è possibile conoscere veramente qualcuno per quello che è, con i suoi problemi, manie, nevrosi? Vi sono sempre dentro di noi delle porte che non apriamo a nessuno, per questo nessuno in questo mondo riesce ad essere cristallino, trasparente: vero. E allora che senso hanno le frequentazioni, l’amicizia … l’amore? Se tutti nascondiamo agli altri quello che siamo veramente? Se siamo tutti fragili e prigionieri delle illusioni che ci creiamo per vincere la nostra solitudine? Che senso ha la vita, se è solo un palcoscenico dove tutti recitano di essere un altro e mai se stessi e mostriamo agli altri nei social o per strada, quello che è solo una nostra l’illusione creata per non essere schiacciati dalla realtà?” Restai qualche secondo in silenzio “Ecco, sono confuso” Lei sorrise di gusto “Sei confuso perché sei un uomo, hai la testa piena di rotelline che girano dove ognuna si muove spinta da quella prima per muovere quella dopo, per cui uno più uno è sempre e solo uguale a due. A noi donne questa logica non serve, noi sappiamo leggere anche quello che non è scritto, sappiamo già se il risultato è buono o cattivo indipendentemente dal dover sommare o sottrarre. Noi non avevamo bisogno del tuo link per capire chi sei.” La guardai aspettando che continuasse “E allora chi sono io?” “Un bietolone – rispose sorridendo allegramente - uno che si perde dietro a un tavolo stile direttorio o un quadro di De Pisis senza considerare la donna che lo osserva accanto a lui” “Io non sono così” Osservai per difendere la mia dignità virile “E allora cos’è per te una donna?” “Un opera d’arte come le Madonne di Antonello da Messina, con lo sguardo che rivelano un anima e delle labbra che promettono l’estasi” Si mise a ridere poi si avvicinò e appoggio la testa con la lunga chioma al suo braccio destro e con la mano sinistra aggiustò il colletto della mia camicia rimasto a mezzaria dopo l’ultimo incontro con Pinuccia. “Una donna non può essere una statua o un quadro da ammirare. Una donna è anche emozione, sensualità, eleganza, passione, armonia, tenerezza, forza, istinto e mille altre cose. Tu di tutto questo hai deciso di vederne solo una piccola parte. Hai ridotto tutto ai minimi termini in esteriorità e coiti, per paura o disillusione e non ci capisci più. Quand’è l’ultima volta che hai vissuto desiderando, o sognato amando?” La guardai disorientato “E cosa dovrei fare per non essere il bietolone che sono?” “Quello che le gemelle e Pinuccia ti hanno detto di essere” Capii che lei sapeva tutto forse anche le cose più intime delle gemelle o che mi ero vergognosamente abbracciato alle gambe di Pina “ vuoi dire amante e amico…?” Chiesi dubbioso “Sei un restauratore, un signore di una certa cultura che restaura le cose e che non ha capito che anche le persone devono essere restaurate, devono essere pulite dalla patina dell’ipocrisia, dalla stanchezza del vecchiume che copre ogni esperienza per riavere le loro emozioni e far nascere delle speranze. Ognuno di noi è abbruttito dalla disillusione e dalla solitudine che ricopre, soffoca i suoi giorni, ognuno di noi vorrebbe levarsi le maschere che indossa per proteggersi o nascondersi e con te questo è possibile perché sei come un bambino onesto e sincero. Tu eri l’unico in classe che mi guardava dentro, cercando di capire cosa c’era in quel mio corpo orribile. E questo ti è rimasto. Non hai però capito che tutti noi vogliamo che il tempo si fermi; vogliamo tornare a provare i colori, i sentimenti della nostra gioventù, le sfumature nascoste delle nostre personalità e splendere come i vecchi quadri che tu pulisci facendoli tornare alla loro bellezza. Questo tu, sei abituato a farlo. Tu non fermi il tempo che divora un quadro! Tu ricrei le emozioni che quel quadro dona, ed è questo quello che le gemelle o Pina volevano e che tu hai dato loro: le emozioni che non riescono più ad avere” Era questo quello che mi era sfuggito: quello che le mie donne cercavano. Volevano riprovare le emozioni delle stagioni passate, riscoprire le certezze che la vita aveva sfigurato o cancellato. Volevano ritrovare quello che era stato rubato loro e per fare questo dovevano vivere, con il mio aiuto, le emozioni che la quotidianità gli negava. Le gemelle avevano bisogno di sentirsi quell’unica persona divisa in due metà come la firma nei loro quadri. Pinuccia voleva una presenza, un sostegno fidato, un amico affidabile e Mara? Mara cosa cercava ? Una donna è emozioni, aveva detto, ma lei era sempre stata neutra, imperturbabile, anche quando la prendevano in giro per le forme tonde e il leggero strabismo di venere. Aveva fatto del non mostrare emozioni il suo scudo invincibile. Con il tempo si era costruita una forma da elegante donna matura, con i fianchi larghi e con gli occhiali, ma anche con due gambe da ventenne e due spalle da campionessa di nuoto che potevano sostenere l’abbondanza del seno, quelle forme che, nell’insieme, la facevano sembrare una intramontabile fotomodella, con un fascino discreto ed intenso. Ma ancora, come al liceo, non mostrava mai emozioni e forse era proprio questo quello che dentro di se avrebbe voluto: mostrare e vivere quanto provava, quanto le dava piacere facendole gustare ed apprezzare la vita. La guardai ed osservai le lunghe labbra piegate in un sorriso ironico. Quelle labbra lunghe, sempre rosse e serene, mi erano sempre piaciute fin da quando eravamo al liceo, e forse il modo migliore per farla uscire allo scoperto era proprio farle capire cosa lei era per me “Ti ricordi quando con gli altri compagni di classe, siamo andati a fare il bagno a Falcone? In quarta superiore” Lei mi guardò stupita da quell’improvviso cambio di argomento “Si … Perché? Cosa c’entra ora?” “Ti ricordi che abbiamo fatto il gioco della bottiglia? Facevamo girare la bottiglia e chi la bottiglia indicava quando si fermava doveva baciare chi aveva di fronte?” “Si – rispose ridendo – abbiamo fatto baciare Carlo e Giovanni” “Ecco vedi – dissi facendo la faccia innocente e spostandole con un dito la falda del chimono – io mi ero allenato il giorno prima e avevo studiato come far fermare la bottiglia su chi volevo” Lei osservò la mia mano scivolare dentro il kimono e e alzò gli occhi a guardarmi severa, ma non mi fermò “Allora quando toccò a me far girare la bottiglia gli diedi il colpo che avevo studiato e sei uscita tu” Mi guardò ancor più sorpresa mentre con l’indice scendevo sotto il costume e lentamente giravo intorno al suo capezzolo “Mi piacevi tantissimo ma mi evitavi sempre allora sono ricorso a questo trucco per baciarti, ed è stato bellissimo. All’inizio hai fatto resistenza, poi però la tua lingua è scivolata tra le mie labbra. Me lo ricordo ancora. Fu come un fulmine mi fosse entrato nel cervello illuminandomi l’anima e mi sembrò di esplodere, di essere diventato enorme tanto da abbracciare tutto l’immenso blu del mare. Fù la cosa più bella che ricordo di tutto il liceo.” Chinai la testa e appoggiai le mie labbra sulle sue mentre il suo capezzolo si irrigidiva, duro e complice del mio dito. Fu un bacio stranamente lungo e quando mi staccai continuai. “È passato tanto tempo ma quello che eravamo resta ancora in quello che adesso siamo. Io quel momento non l’ho dimenticato ed ogni volta che ti vedo, anche arrivare da lontano mi sembra ancora di sfiorare le tue labbra e di abbracciare l’immenso blu del mare. Se ti sognassi non vorrei più svegliarmi.” “Magari se avessi avuto lo stesso pensiero con tua moglie, lei non ti avrebbe lasciato” Osservò lei senza accidia o cattiveria “Se ne sarebbe andata in ogni caso. I nostri corpi si amavano ma tra le nostre anime non c’era quella amicizia, intimità e complicità che serve a riempire tutto il tempo di chi sta insieme. L’amicizia è il seme dell’amore, è una piccola, primordiale, forma d’amore e senza di essa, l’amore non può esistere.” “Adesso, quella nostra amicizia del liceo, è diventata altra cosa. Il tempo passa per tutti” “Lo hai detto tu che sono un restauratore, che posso fermare il tempo e per me quel tempo e le emozioni che mi ha dato, sono rimaste esattamente per come le ho vissute” Mi chinai ancora una volta e la baciai con maggiore intensità. Per pochi secondi senti che lei mi rispondeva con la sua passione, ma subito le sue mani mi spinsero indietro. Quando stupito incontrai i suoi occhi, mi sembravano felici, ma la sua bocca mi gelò “Lunedi accompagno io Pinuccia e sua figlia al Papardo.” La guardai stupito. Sapeva ovviamente tutto e ora, al suo solito, stava riprendendo le redini della situazione. Prese la mia mano immersa nel calore del suo seno con due dita e la fece uscire da sotto la sua vestaglia “Pinuccia ha apprezzato molto la tua disponibilità e tutto quello che le hai detto - continuò con un tono tranquillo mentre chiudeva il kimono - Le hai ridato la fiducia nelle persone e nel destino. Ma quello della figlia è un problema di donne e preferisce che con lei vi sia una donna” “Ho capito. – feci seccato – da donna hai letto in noi due qualcosa che non andava bene, anche se non era scritto?” “Si, non possiamo tornare completamente indietro e saltando troppo in avanti faremmo solo del male a noi stessi e a chi vogliamo bene. Il restauro migliore è quello in cui si lasciano le cicatrici del tempo, le rotture i tagli sull’oggetto restaurato. Forse in quello che provi, ci credi, ma devi viverlo secondo le cicatrici ed i doveri che la vita ha lasciato dentro di noi: per ora va bene così, non c’è bisogno di forzare la mano. Ho due figli, un marito che lavora per darmi tutto quello che io o i figli vogliamo. Loro hanno più importanza di quello che provavamo o che provo io adesso o che potremmo provare domani. Di egoismo si muore ed io non posso essere egoista e pensare solo a me stessa.” Devo aver fatto una brutta faccia perché sorrise e continuò “Anch’io, come Pinuccia ho apprezzato le parole e il gesto, ma la vita non risparmia chi si illude” Aveva ragione, la vita premia solo chi ha coraggio, io dovevo averlo allora quando mi ero accorto che lei era il mio immenso, infinito blu. Si alzò “È meglio che vai. Quello che proviamo al di fuori dell’amicizia non ha un futuro e quindi non può avere neanche una ragione o un motivo. Tra tutti i nostri obblighi ed impegni non ha né uno spazio per crescere ne un senso per vivere” Eccola li: razionale e indifferente, nemica di ogni passione ed emozione. Mi alzai seccato. Il suo volto era serio, forse turbato dalla conclusione che aveva tratto da sola per entrambi e per il nervosismo si mise con le braccia conserte quasi a tenermi lontano. La guardai. La odiavo mentre sentivo di non poterne fare a meno e questo me la faceva odiare ancora di più. “Oh capito ciao” Risposi seccato. Mi girai e mi incamminai incazzato verso il cancello. Era una presuntuosa, boriosa e seccante, come faceva suo marito a sopportarla? Mi fermai davanti al cancello. Il pensare a suo marito fece girare le rotelline del mio cervello. Un pensiero mi illuminò. Mi dissi che ero il solito bietolone che credeva a tutto quello che gli dicevano. Avevo ancora una volta riassunto una relazione in sesso e apparenze come avevo fatto con quella stronza di mia moglie. Ma Mara non voleva solo la felicità di un attimo donata dalla carne anche se, a sentire il suo capezzolo, l’apprezzava. Avevo sbagliato nel semplificare i suoi bisogni, nel pensare troppo solo ai miei, nell’essermi alzato e nell’andare via offeso nella mia presunzione. Se si è capaci solo di fuggire e non si è disposti a fermarsi, a capire, a lottare per chi si ama, che amore è? Era questo quello che in fondo don Nino voleva dirmi. Mi voltai e tornai da lei sorridendo. Incominciai a parlare velocemente “Lunedi vengo con voi al Papardo e vi aspetto fuori. Quando Pina e Martina escono le accompagno a casa così puoi andare a prendere i tuoi ragazzi a scuola. Ora chiamo le gemelle e chiedo loro se sabato vogliono venire a Taormina. A Palazzo Corvaia c’è una bella mostra e penso che a loro piacerà. Inviterò anche Pina e Martina. Penso che faccia bene a Martina vedere Taormina e riempirsi gli occhi di sole e di mare prima di vedere le corsie dell’ospedale. Assumo che tu venga perché da quando mia moglie mi ha lasciato tu sei stata sempre presente, la prima a chiamarmi, l’unica a considerarmi e da allora non ti ho mai sentito parlare di tuo marito, non ti ho mai visto insieme a lui da nessuna parte a Messina, su Instagram o Facebook e nessuno di tutte le tue amiche, ne ha mai parlato al presente. I tuoi figli hanno più diritto di me, è chiaro, ma io sono il tuo unico diritto, quello a cui non puoi, non devi rinunciare se vuoi dare un senso ai tuoi giorni. Ai nostri giorni. Sei sempre stata quella che passava i compiti senza che nessuno te li chiedesse: hai sempre pensato per gli altri e mai per te stessa come adesso fai con i figli o con un marito che non lo è più. Hai sempre nascosto ogni emozione perché provavi solo quelle che ti facevano male. Ma sei una donna. Tu le emozioni le fai nascere, sai renderle eterne e sublimi: non puoi ignorarle. Io sono un restauratore e come hai detto faccio rinascere le emozioni invecchiate. Ma per me, le uniche emozioni che voglio rivivere sono quelle che mi hai dato quando ti ho rubato un bacio. Se tu il giorno dopo il primo bacio avessi accettato di venire ai falò, io non avrei incontrato mia moglie e non avremmo perso anni della nostra vita per una stronza. Non fare lo stesso errore di allora: se sai leggere anche quello che non è scritto, leggi quello che avrei voluto dirti ma che non vuoi sentire: la prima cosa che leggeresti sarebbe “non aver paura a voler vivere le tue emozioni, la tua vita.”” Le sorrisi e me ne andai. In macchina pensavo che per un link della minchia ero stato sedotto da una donna che era la somma di due donne, ero l’amico fidato di una donna che la vita non aveva mai rispettato, ed ero l’ingenuo seduttore di un’altra donna generosa e pronta ad aiutare tutti, tranne che se stessa. Un casino. Come avrei fatto a gestire tutto? Come mi sarei diviso tra l’una e l’altra e il mio lavoro. Da che ero più solo di una bottiglia vuota che galleggiava in mezzo al mare, a che mi trovavo a condividere intimità e problemi con un harem di anime più sole della mia. Quasi mezz’ora dopo mi arrivò un messaggio, come al solito imperativo e pragmatico: “A Taormina vengo anch’io con Pina e Martina. Andiamo con il tuo furgone!” Passò qualche secondo e apparve un’altra parola come se prima di essere scritta dovesse essere razionalmente pesata e valutata, prima di essere irrazionalmente spedita “un bacio” Aveva fatto la sua scelta. Sapevo che sarebbe venuta anche lei. Perché a Mara le mostre d’arte sono sempre piaciute e chi ama il bello, non può fare a meno dell’amore. Ne ero sicuro perché come ti ho detto, l’amicizia è sempre un principio d’amore un seme che in un modo o in un altro diventa sempre un fiore e perché, come diceva don Nino, una vita, non può restare chiusa in una stanza piena solo di rimpianti.
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Tre settimane fa, i poliziotti della Sezione Antiterrorismo erano piombati a casa di Yussef – completamente incensurato sia in Italia che in Algeria – al fine di effettuare una “perquisizione urgente” ai sensi dell’art. 41 del T.U.L.P.S. (dunque senza preventiva autorizzazione del magistrato), alla ricerca di armi ed esplosivi. E nonostante la perquisizione abbia dato esito negativo, non essendo stato rinvenuto alcunché nella camera di Yussef – lo abbiamo certificato leggendo direttamente il verbale –, il giovane è stato portato in Questura, dove, come ha raccontato, gli sarebbe stato intimato di far visionare ai poliziotti i contenuti del suo cellulare, tenendolo nelle sue mani. Gli uomini della polizia gli avrebbero dunque chiesto conto di due contenuti pubblicati sui social network Whatsapp e Instagram – un’immagine dei bambini palestinesi massacrati a Gaza accompagnata la scritta “fino a oggi 10.000 bambini morti e una foto del leader di Hamas – nonché un’immagine, rinvenuta nella sua galleria fotografica, ritraente Ursula Von der Leyen. Immagini che, secondo il racconto del ragazzo, sarebbero state fotografate dai poliziotti. Tornato a casa, Yussef ha poi ricevuto una chiamata da parte del preside della sua scuola: il ragazzo ha spiegato che il suo capo gli ha comunicato di non tornare sul posto di lavoro, dal momento che la polizia gli avrebbe chiesto di tenerlo lontano per “motivi di sicurezza”. La Polizia, nei giorni successivi alla nostra pubblicazione, avrebbe smentito questo particolare, affermando di non aver fatto segnalazioni alla scuola. L’ufficializzazione dell’interruzione temporanea del rapporto di lavoro è poi arrivata con una ratifica via mail. A distanza di una settimana, senza attendere alcuna inchiesta formale, ecco pervenire la raccomandata di licenziamento.
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Al via firme contro l’invio di armi. Enzo Pennetta (Portavoce “Ripudia la guerra”): “Superare le distanze politiche. Lo chiede la maggioranza degli italiani”
Maurizio Blondet 21 Aprile 2023
Antonio Di Siena
Enzo Pennetta, saggista e docente di scienze naturali, è il portavoce di Ripudia la Guerra, comitato promotore della campagna referendaria contro l’invio di armi in Ucraina e negli altri teatri di guerra. L’Antidiplomatico l’ha intervistato alla vigilia dell’avvio, domani 22 aprile, della raccolta firma su tutto il territorio nazionale.
Come nasce il comitato Ripudia la Guerra?
Ripudia la Guerra nasce per volontà di un gruppo di giuristi che si interroga da tempo sul fenomeno dell’invio delle armi, una deroga a una norma generale. L’idea è intervenire sulla legge che consente l’eccezione. E il comitato ha precisamente questo compito: creare le condizioni per mettere in collegamento tutte le realtà interessate a sostenere la causa. Hanno avviato un meccanismo pensato per essere apartitico e rivolto ai cittadini, di cui io sono il semplice portavoce.
La legge che volete abrogare con il referendum – la 185/1990 che vieta “l’esportazione, il transito, il trasferimento di armi verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite” – non è già palesemente in contrasto con l’articolo 11 della Costituzione?
Nel nostro nome c’è già un chiaro riferimento all’articolo 11, ma l’obiettivo non è certo una dichiarazione di incostituzionalità. Dal punto di vista giuridico siamo testimoni di come l’interpretazione giuridica della Costituzione possa essere molto varia. Il principio del ripudio della guerra è di carattere assoluto oppure è lecito contraddirlo perché l’Ucraina si sta difendendo? Dipende dall’interpretazione. La mia idea è che l’Italia ripudi la guerra in toto. A meno che non ci siano di mezzo i trattati internazionali. Ma è un punto discutibile. Ciò che sappiamo per certo, invece, è che possiamo salvaguardare il principio dell’art. 11 chiedendo l’abrogazione di una legge nazionale. Andando cioè a colpire un articolo di una legge nazionale che è svincolato da qualunque Trattato. Il popolo con un referendum può abrogare qualunque legge. Ci potranno bloccare lo stesso ma non per quel motivo. Non serve far leva sull’incostituzionalità – che probabilmente c’è pure – ma promuovere un atto più diretto: l’abrogazione della norma.
Qualcuno sostiene che un referendum di questo tipo è estremamente rischioso perché sussiste la possibilità che non si raggiunga il quorum. In questo caso il governo avrebbe sostanzialmente mano libera per agire indisturbato.
Inizierei col dire che il governo sta già facendo quello che vuole. Non mi piace scommettere ma raccoglieremo le firme necessarie. E quando 500.000 cittadini dicono “no” è già un segnale fortissimo, che obbliga chi vuole agire diversamente a farlo in maniera sfacciata. Il mancato raggiungimento del quorum è un rischio che possiamo correre, perché se invece lo raggiungiamo la vittoria sarà schiacciante.
Eppure, anche difronte a vittorie inequivocabili, la volontà popolare espressa attraverso la consultazione referendaria potrebbe essere comunque ignorata, disattesa o aggirata con nuovi provvedimenti di legge in nome della ragion di Stato. È già accaduto al referendum italiano sull’acqua pubblica o a quello greco contro la Troika. Ti sembra una valida ragione per non imbarcarsi in questa avventura?
La possibilità certamente esiste, ma dobbiamo guardare la cosa con altri occhi. L’unico risultato utile non è che il referendum passi e la legge venga abrogata, quello è il risultato massimo. Ce ne sono altri, altrettanto importanti, che si ottengono strada facendo. Già oggi abbiamo ottenuto un risultato: l’informazione è obbligata a occuparsi del tema che solleviamo. La dissonanza tra decisione del parlamento e volontà della maggioranza della popolazione è già posta alla loro attenzione, mentre magari sarebbe più comodo fare finta di niente. E sarà così per ogni fase successiva. I banchetti per strada sono una presenza fisica che infastidisce i media, specialmente se l’intenzione è condizionare l’opinione pubblica. E il referendum è uno strumento straordinario, perché anche le persone più distratte si accorgono che sta succedendo qualcosa. Per assurdo se anche ci fermassimo adesso – per il solo fatto che tanta gente ne sta parlando e ha iniziato ad aggregarsi in un corpo solo che non vorrebbero che ci fosse, perché scardina la propaganda e la manipolazione mediatica – ne sarebbe già valsa la pena.
Pochi giorni fa Michele Santoro ha fatto appello per una staffetta contro le armi. Quanto è importante allargare il più possibile il fronte contro la guerra?
Serve allargarlo il più possibile. Tutti possono sostenere Ripudia la guerra senza temere che qualcuno se ne intesti i meriti. Quindi non c’è motivo di valutare le opportunità o le alleanze. Certo, se si presentasse una formazione palesemente delinquenziale starebbe certamente fuori. Ma nell’ambito delle forze politiche, per quanto fra loro molto distanti, il problema non si pone. Restano eventualmente in conflitto ma convergono sulla questione specifica. La pluralità non può che essere un valore aggiunto, d’altronde ci serve il sostegno della maggioranza della popolazione italiana. Un risultato possibile solo coinvolgendo realtà molto differenti.
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