#linguaggio della luce
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pier-carlo-universe · 5 days ago
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Lumoris contro l’oscurità: la battaglia per la luce. La civiltà dei Lumoriani affronta l’invasione dei Nyxariani, cercando alleati per difendere la propria armonia
La pace della civiltà di Lumoris, dove la luce è linguaggio, cultura e spiritualità, viene infranta da una minaccia oscura e inaspettata.
La pace della civiltà di Lumoris, dove la luce è linguaggio, cultura e spiritualità, viene infranta da una minaccia oscura e inaspettata. I Nyxariani, una razza aliena proveniente dal pianeta Ombrax, emergono dalle profondità dell’universo, determinati a conquistare Lumoris. Questi invasori, incapaci di percepire la luce, si nutrono di energia luminosa per sopravvivere, prosciugando i cristalli…
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libriaco · 10 months ago
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Quando la lingua fa male
Quel malessere improvviso Lo hanno sperimentato un po’ tutti quel fastidio che si prova ascoltando o leggendo un errore di grammatica da matita blu. È un disagio che suscita una sensazione tra il disgusto e l’imbarazzo ed è ancora più viscerale quando l’errore (il più gettonato è un congiuntivo sbagliato) è commesso da un politico che si suppone, in Parlamento, rappresenti l’Italia intera. Qualcuno lo ha anche studiato questo malessere improvviso (assomiglia tanto al disagio provato quando si sente stridere il gesso sulla lavagna) che cresce subito dopo aver ascoltato un «che io vadi» o qualcosa di simile. Due professori dell’Università di Birmingham, in Inghilterra, Dagmar Divjak, docente di linguistica cognitiva e Peter Milin, professore di psicologia del linguaggio, hanno scoperto che il nostro organismo entra in «modalità stress» quando si ascoltano errori di grammatica, mettendo in luce una nuova dimensione nell’intricata relazione tra fisiologia e cognizione. Il fastidio, dunque, si ripercuote anche su un parametro organico [...]
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neropece · 10 months ago
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“the chinese dress” photo by Fabrizio Pece (tumblr | 500px | instagram)
Le strade lastricate di ciottoli grezzi e le facciate logore dei palazzi antichi costituivano lo sfondo mutevole per la sua passeggiata senza meta. Lei, una figura solitaria in un abito cinese bianco ornato da eleganti pavoni colorati, si muoveva con una grazia discreta, i suoi lunghi capelli lisci e neri scivolavano lungo la schiena come un fiume d'ebano.
Nessuno poteva dire chi fosse o da dove venisse. La città, con la sua atmosfera intrisa di storia e di segreti, sembrava accoglierla con un sussurro sommesso di benvenuto. Era come se fosse destinata a vagare tra le strade tortuose, un'estranea ammaliante in un mondo di sogni e illusioni.
I suoi passi erano misurati, una danza silenziosa tra i vicoli tortuosi e le piazze affollate. Non c'era fretta nei suoi movimenti, solo una calma contemplativa mentre assorbiva l'atmosfera della città che viveva e respirava intorno a lei.
Attraversò antichi vicoli lastricati, dove le pietre portavano i segni indelebili del tempo. Il profumo del pane appena sfornato si mescolava con l'odore pungente del caffè, che si alzava dalle piccole caffetterie nascoste tra gli edifici storici. La vita quotidiana pulsava nelle strade, una sinfonia di voci, odori e movimenti che creava un tappeto vivente sotto i suoi piedi.
La donna bruna si fermò di fronte a una chiesa antica, le sue guglie si stagliavano contro il cielo color turchese. Un sorriso sottile sfiorò le sue labbra mentre osservava i dettagli scolpiti nella pietra, testimoni silenziosi di secoli di storia e devozione umana.
Continuò il suo cammino, incrociando sguardi fugaci con gli abitanti della città. Ogni sguardo raccontava una storia, un frammento di vita vissuta, di speranza e di dolore. C'erano occhi luminosi pieni di gioia e occhi stanchi segnati dalla fatica, ma tutti parlavano lo stesso linguaggio universale dell'umanità.
La luce del pomeriggio si attenuava gradualmente mentre la donna bruna si avvicinava al fiume che attraversava la città. Le acque scure riflettevano timidamente i raggi del sole, creando un gioco di luci e ombre sulle sue sponde. Si sedette sul parapetto di pietra, lasciando che il suono rilassante del flusso d'acqua cullasse la sua mente.
Chissà cosa avesse portato quella donna bruna nelle strade di quella città? Forse era alla ricerca di qualcosa o forse semplicemente seguiva il flusso della vita, senza sapere cosa il destino avesse in serbo per lei. Ma in quel momento, sotto il cielo che si tingeva di arancione e rosso, accanto al fiume che scorreva placido, era semplicemente una presenza, un'anima in viaggio nel labirinto delle esperienze umane.
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dinonfissatoaffetto · 2 months ago
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Giacomo Leopardi a quindici anni scrive una storia dell'astronomia di straordinaria erudizione, in cui tra l'altro compendia le teorie newtoniane. La contemplazione del cielo notturno che ispirerà a Leopardi i suoi versi più belli non era solo un motivo lirico; quando parlava della luna Leopardi sapeva esattamente di cosa parlava. Leopardi, nel suo ininterrotto ragionamento sull'insostenibile peso del vivere, dà alla felicità irraggiungibile immagini di leggerezza: gli uccelli, una voce femminile che canta da una finestra, la trasparenza dell'aria, e soprattutto la luna. La luna, appena s'affaccia nei versi dei poeti, ha avuto sempre il potere di comunicare una sensazione di levità, di sospensione, di silenzioso e calmo incantesimo. In un primo momento volevo dedicare questa conferenza tutta alla luna: seguire le apparizioni della luna nelle letterature d'ogni tempo e paese. Poi ho deciso che la luna andava lasciata tutta a Leopardi. Perché il miracolo di Leopardi è stato di togliere al linguaggio ogni peso fino a farlo assomigliare alla luce lunare. Le numerose apparizioni della luna nelle sue poesie occupano pochi versi ma bastano a illuminare tutto il componimento di quella luce o a proiettarvi l'ombra della sua assenza: 'Dolce e chiara è la notte e senza vento, e queta sovra i tetti e in mezzo agli orti posa la luna, e di lontan rivela serena ogni montagna'.
- Italo Calvino, Lezioni americane
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mynameis-gloria · 3 months ago
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Questo è quello che mi riempie
Che mi scombussola e mi migliora
Che mi fa stare bene
Che suscita nella mia testa nuovi pensieri
O forse mi fa sentire così piccola e così spaesata che li dimentico
E scattano mille domande e riflessioni
Non so come sia possibile che basti della luce
Un sole infuocato
Un paesaggio
Il silenzio
Niente parole, solo il linguaggio della natura
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schizografia · 6 months ago
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Le Belle Lettere minacciano ogni linguaggio che non sia puramente fondato sulla Parola sociale. Rifuggendo sempre più da una sintassi del disordine, la disintegrazione del linguaggio conduce inevitabilmente al silenzio della scrittura. L’agrafia finale dei Rimbaud e di certi surrealisti (caduti per questo nell’oblio), questo sconvolgente autoannientamento della Letteratura, insegna che, per certi scrittori, il linguaggio, prima e ultima risorsa del mito letterario, finisce col ricomporre ciò che pretendeva di evitare, che non c’è scrittura capace di mantenersi rivoluzionaria, e che ogni silenzio della forma sfugge all’impostura solo col mutismo completo. Mallarmé, sorta di Ámleto della scrittura, esprime bene questo fragile momento della Storia, in cui il linguaggio letterario si regge soltanto per meglio cantare la sua necessità di morire. L'agrafia tipografica di Mallarmé vuol creare intorno alle parole rarefatte una zona di vuoto in cui la Parola, liberata dalle sue risonanze sociali e colpevoli, cessa felicemente di destare echi. Il vocabolo, liberato dalle scorie delle formule abituali, dei riflessi tecnici dello scrittore, è allora pienamente irresponsabile di tutti i possibili contesti; si avvicina con un gesto breve, isolato, la cui opacità attesta una solitudine, dunque un'innocenza. Quest'arte ha esattamente la struttura del suicidio: in essa il silenzio è un tempo poetico omogeneo che si incunea tra due strati e fa esplodere la parola, ancor piú del frammento di un crittogramma, come una luce, un vuoto, un omicidio, una libertà (si sa quanto questa ipotesi di un Mallarmé uccisore del linguaggio abbia influito su Maurice Blanchot). Questo linguaggio mal-larmeiano, è Orfeo che può salvare chi ama solo rinunciandovi e che tuttavia osa voltarsi un po' indietro; è la letteratura condotta alle porte della Terra Promessa, cioè alle porte di un mondo senza Letteratura, di cui tuttavia sarebbe ancora compito degli scrittori dare testimonianza.
Roland Barthes, Il grado zero della scrittura
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diceriadelluntore · 6 months ago
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Padronanza e Linguaggio
La campagna di trasformazione dei miei pomodori e pomodorini quest'anno, complice la variabile meteorologica (inverno mite, primavera anticipata) è partita esattamente 40 giorni prima del 2023. Lo scrivo perchè mi ha un po' impedito di dedicarmi appieno al blog, soprattutto riguardo le mie ultime letture.
Vorrei segnalarvi, en passant, due libri tra le ultime letture: uno, magnifico, è la ristampa con nuova traduzione di un romanzo, Qui Il Sentiero Si Perde di Peskè Marty, che Adelphi ha pubblicato di recente: il nome dell'autore è uno pseudonimo di una coppia di scrittori francesi, Antoinette Peské e il marito Pierre Marie André Marty. Scritto negli anni '50, ambientato tra la Mongolia e la Siberia, il romanzo racconta le avventure leggendarie dello zar Alessandro I, vincitore di Napoleone, che nel 1825 avrebbe messo in scena la sua morte. Una diceria, quella della fuga dello zar e delle sue successive metamorfosi, che aveva intrigato anche Tolstoj, il quale vi dedicò un racconto (Memorie Postume dello Starets Fëdor Kuzmìč).
L'altra segnalazione è un piccolo saggio scritto da uno dei massimi esperti di Storia Della Musica Classica, Giorgio Pestelli, che ne Il Genio di Beethoven (Donzelli) percorre, attraverso l'analisi non solo tecnica ma anche emozionale, delle nove leggendarie sinfonie del maestro, un ritratto unico e profondo del grande compositore.
Ma approfitto per parlarvi anche dell'ultima, stranissima ma indimenticabile lettura che è questo libro:
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Adam Thirlwell fa parte dell'ultima generazione di scrittori britannici, e per due volte è stato inserito nella Lista dei Migliori Autori Emergenti dalla prestigiosa rivista Granta, le cui segnalazioni negli anni mi hanno sempre fatto conoscere autori niente male (Tibor Fisher o Scarlett Thomas, i primi nomi che mi vengono in mente). In Il Futuro Futuro (Feltrinelli) Thirlwell immagina un mondo distopico, dove succedono in maniera non lineare avvenimenti storici che somigliano moltissimo a quelli avvenuti negli anni appena precedenti la Rivoluzione Francese. Qui Celine, Marta e Julia sono tre giovanissime ragazze che, in maniera misteriosa, sono vittima di anonimi pamphlet dove vengono descritte con pruriginosa minuzia di particolari le abitudini sessuali delle nostre giovani protagoniste. Celine, Marta e Julia si confrontano quindi con un problema: come si gestisce il rapporto tra linguaggio, arte e potere? e tra potere e genere? Per controbattere, hanno un'idea geniale: organizzano delle feste, a cui piano piano partecipano intellettuali, scrittori, impresari teatrali, miliardari, persino una potentissima Antoniette (che sappiamo a chi si riferisca). Diventano il momento più importante delle sere cittadine. I libri anonimi scompaiono, le ragazze si faranno nuovi nemici ma soprattutto rimangono in Celine e le sue amiche dubbi profondi sui massimi sistemi, in primis sul grande e a tratti inestricabile problema del linguaggio:
Si poteva immaginare un mondo senza linguaggio, o che il linguaggio diventasse una cosa intima e diversa. Era come se nelle conversazioni vere arrivasse sempre il momento in cui emergeva una voce che non era quella di nessuna delle persone che stavano parlando, ma era la voce della conversazione stessa, e quando accadeva era come se si accendesse una piccola lampada, inondando di luce calda un angolino. Altri se lo immaginavano come un dio che si manifestava o parlava attraverso un'altra persona, ma Celine la vedeva diversamente. Era la voce della conversazione, pensava lei, che apparteneva a tutti e a nessuno […] (p. 67-8)
Celine, Marta e Julia hanno anche un problema con il potere dei maschi: sebbene vivano una sessualità libera, sono spesso vittime del potere che è legato ai maschi. Un potere legato ai soldi e al sesso, che Celine tenta spesso di scardinare:
-Come è che uno crede di sapere qualcosa di qualcun altro? disse Celine
-Una volta ci andavo a letto, disse Lorenzo.
-E questo che cazzo vuol dire? fece Celine. - Vuol forse dire che Julia ti conosce, solo perchè sa quanto ti piaceva leccarle il buco del culo?
Lorenzo rimase ancora in silenzio, un silenzio stavolta più greve. Visto? disse Celine. - Tutti odiano sentir parlare di sè. Panico Puro (208).
Celine avrà una figlia, Saratoga, viaggerà, verrà costretta dalla Rivoluzione a scappare via in America. Lì farà degli incontri particolari. Ritornerà, nel modo più strambo, a ricongiungersi con la figlia, cercando di capire cosa sia il futuro:
Ogni volta che si incontravano, gli scrittori non facevano che discutere ossessivamente del futuro, chi avrebbe avuto ancora un pubblico di lettori o come sarebbe stato il futuro - ma non si rendevano conto di quanto fosse limitato il loro modo di pensarlo, il futuro. II vero futuro, diceva Saratoga, non era ciò che sarebbe accaduto di lì a un mese o a un anno, ma il futuro futuro: alieno e incomunicabile. Ma loro non lo vedevano, perché non erano capaci di scatenare il pensiero (150).
Un libro che attraverso una trama fantasiosa, una scrittura asciutta ma implacabile, una serie di eventi di natura fantasiosa ma forse con salti troppo giganti, con pochissimi particolari sui personaggi che non siano le loro conversazioni o i loro pensieri, spazia dal saggio filosofico al fantasy, dalla semiotica al pulp, senza dimenticare i numerosi incontri delle nostre protagoniste non solo con alcuni grandi della Storia, ma persino extraterrestri (non vi anticipo nulla). Un libro strano, pazzo ma che scalda il cuore, non solo per la sua originalità, ma anche per i temi che affronta, tra cui l'amicizia, i rapporti di potere, la comunicazione. Che stuzzica ed estremizza:
Era uno dei problemi di vivere fra la gente - si pensava di sapere un sacco di cose sui propri amici, ma quasi sempre ci voleva una catastrofe perchè le persone si parlassero a cuore aperto. La natura umana era terribile (100-101).
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susieporta · 2 months ago
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Sette di Spade
"La risoluzione dei Patti Esoterici".
Questa Energia dirompente frantuma le Antiche Alleanze.
Non solo "Umane". Ma anche "Esoteriche".
Annulla i "sortilegi" delle precedenti catene dimensionali. Spazza via i legami dell'oscura notte buia dell'Anima. Irrompe e deflagra millenni di "storia strutturale interiore".
Complesso definire i contorni di questo "sacro passaggio".
Difficile esprimere a parole la potenza esplosiva e "resettante" che si sta scatenando dalla "Vibrazione di Do".
Un Suono così gutturale e intenso non era mai stato percettibile prima d'ora dal nostro sistema psichico, sensoriale ed emotivo profondo.
Esso proviene dalle Stelle, dal Cosmo, dall'incontro dell'Energia Cristallina con il nucleo viscerale della Terra.
Questa Sacra Unione, purifica, pulisce, libera, strappa dalla pelle ancestrali patti d'Anima. Porta a risoluzione intere generazioni dell'Albero, siano esse viventi o orbitanti nel Campo Energetico della Coscienza.
Una vera Rivoluzione.
Le relazioni tra l'Energia del Maschile e quella del Femminile si posizionano al centro della "risoluzione evolutiva".
Aria e Fuoco si incontrano e divampano. Bruciano, riducono in cenere le catene del dolore e della schiavitù, si riappropriano dei ruoli e dei doni propri della loro Energia primordiale.
Nel Rispetto. Nella Presenza. Nell'Amore.
Questi potenti movimenti potrebbero al momento prefigurarsi come "non processabili" a livello raffigurativo-mentale.
Non li vediamo.
Potrebbero non essere traducibili dall'antico linguaggio "comunemente condiviso".
Non riusciamo ad esprimerli verbalmente.
Ma si sentono, si percepiscono, entrano nella Carne e nel Cuore, sconvolgono le viscere, l'intestino, le vertebre, gli assetti posturali, gli strati epidermici profondi.
Sono "tanta intensità, tutta assieme", per alcuni "troppa e troppo impattante".
L'Emotivo scatena la sua forza liberatoria. Il passaggio esoterico e di iniziazione alla fusione tra Spirito e Materia, si risolve in un gesto umile di Resa profonda dell'Umana condizione. Una sorta di atto genuflesso, di inchino regale, di omaggio alla potenza dello Spirito che risuona espansa dentro di noi, attraverso il potente battito del Cuore Cristallino.
Dicembre è straordinario. E' magico.
E' sacro ed esoterico insieme. E' improvviso. E' riconciliatorio.
E' Ombra e Luce. E' Verità e Giustizia.
E' la spaesante sensazione di aver già visto e vissuto tutto, ma di non averlo mai potuto esprimere nella "piena libertà dell'Umano", attraverso il suo respiro più profondo e autentico, il suo battito più potente, la sua pelle più sensibile.
Saranno giorni intensi. Il passaggio di questa Vibrazione ha appena accennato il suo maestoso compito.
Ne usciremo totalmente trasformati dai movimenti sconquassanti delle prossime due settimane.
"Melodia nuova" proveniente dalle Galassie, si propaga nell'Etere, si insinua nel campo magnetico, vibra potente e amplificata e si sintetizza dentro di noi attraverso i nuovi sensori interiori del nostro campo dimensionale di Coscienza.
Preparate l'espressione di stupore più bella che mai potreste immaginare.
Perché, se all'apparenza là fuori tutto sembra ancora "Vecchio", il germe del "Nuovo" sta per sconvolgere le vostre Vite. Per sempre.
Tenetevi forte.
Si decolla.
Mirtilla Esmeralda
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ambrenoir · 2 months ago
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Alessandro Baricco "racconta" Carmelo Bene
Carmelo Bene. Me l'ero immaginato definitivamente ingoiato da una vita quotidiana inimmaginabile, e triturata dal suo stesso genio, portato via su galassie tutte sue, a doppiare pianeti che sapeva solo lui. Perduto, insomma. Poi ha iniziato a girare con questo suo spettacolo anomalo, una lettura dei Canti Orfici di Dino Campana.
L'ho mancato per un pelo un sacco di volte, e alla fine ci sono riuscito a trovarmi una poltrona, in un teatro, con davanti lui. A Napoli, all'Augusteo. Scena buia, solo un leggio. Lui, lì, con una fascia sulla fronte alla McEnroe, e dei segni di cerone bianco sotto gli occhi. Un microfono davanti alla bocca, e una luce addosso. Cinquanta minuti, non di più. Non so gli altri: ma io me li ricorderò finché campo.
Non è che si possa scrivere quel che ho sentito. Né cosa, precisamente, lui faccia con la sua voce e quelle parole non sue. Dire che legge è ridicolo. Lui diventa quelle parole, e quelle non sono più parole, ma voce, e suono che accade diventa Ciò-che-accade, e dunque tutto, e il resto non è più niente. Chiaro come il regolamento del pallone elastico. Riproviamo.
Quando sono uscito non avrei saputo dire cosa quei testi dicevano. Il fatto è che nell'istante in cui Carmelo Bene pronuncia un parola, in quell'istante, tu sai cosa vuol dire: un istante dopo non lo sai più. Così il significato del testo è una cosa che percepisci, si, ma nella forma aerea di una sparizione. senti il frullare delle ali, ma l'uccello non lo vedi: volato via. così, di continuo, ossessivamente, ad ogni parola. E allora non so gli altri, ma io ho capito quel che non avevo mai capito, e cioè che il senso, nella poesia, è un'apparizione che scompare, e che se alla fine tu sai volgere in prosa una poesia allora hai sbagliato tutto, e, a dirla tutta, la poesia esiste solo quando diventa suono, e dunque quando la pronunci a voce alta, perché se la leggi solo con gli occhi non è nulla, è prosa un po' vaga che va a capo prima della fine della riga ed è scritta bene, ma poesia non è, è un'altra cosa.
Diceva Valéry che il verso poetico è un'esitazione tra suono e senso: ma era un modo di restare a metà del guado. Se senti Carmelo Bene capisci che il suono non è un'altra cosa dal senso, ma la sua stagione estrema, il suo ultimo pezzo, la sua necessaria eclisse. Ho sempre odiato, istintivamente, le poesie in cui non si capisce niente, neanche di cosa si parla. Adesso so che c'è qualcosa di sensato in quel rifiuto: rifiuta una falsa soluzione. Quel che bisognerebbe saper scrivere sono parole che hanno un senso percepibile fino all'istante in cui le pronunci, e allora diventano suono, e allora, solo allora, il senso sparisce. Edifici abbastanza solidi da stare in piedi, e sufficientemente leggeri da volare via al primo colpo di vento.
È meraviglioso come tutto questo non abbia niente a che fare con l'idea che si ha normalmente della poesia: un poeta soffre, esprime il suo dolore in belle parole, io leggo le parole, incontro il suo dolore, lo intreccio col mio, ci godo. Palle: per anime belle. Tu senti Carmelo Bene e il poeta sparisce, non esprime e comunica niente, l'attore sparisce, non esprime e comunica niente: sono sponde di un biliardo in cui va la biglia del linguaggio a tracciare traiettorie che disegnano figure sonore: e quelle figure, sono icone dell'umano. Le poesie non sono delle telefonate: non le si fanno per comunicare. Le poesie dovrebbero esser pietre: il mare o il vento che le hanno disegnate, sono poco più che un'ipotesi.
Non spiega quasi nulla, Carmelo Bene, durante lo spettacolo. Solo un paio di volte annota qualcosa. E quando lo fa lascia il segno. Dice: leggere è un modo di dimenticare. Testualmente, nel suo linguaggio avvitato sul gusto del paradosso: leggere è una non-forma dell'oblio. Non so gli altri: ma a me m'ha fulminato. L'avevo anche già sentita: ma è lì, che l'ho capita. Scrivere e leggere stretti in un unico gesto di sparizione, di commiato. Allora ho pensato che poi uno nella vita scrive tante cose, e molte sono normali: cioè raccontano o spiegano, e va bene così, è comunque una cosa bella, scrivere. Però sarebbe meraviglioso una volta, almeno una volta, riuscire a scrivere qualcosa, anche una pagina soltanto, che poi qualcuno prende in mano, e a voce alta la pronuncia, e nell'istante in cui la pronuncia, parola per parola, sparisce, parola per parola, sparisce per sempre, sparisce anche l'inchiostro sulla pagina, tutto, e quando quello arriva all'ultima parola sparisce anche quella, e alla fine ti restituisce il foglio e il foglio è bianco, neanche tu ti ricordi bene cosa avevi scritto, solo ti rimane come una vaga impressione, un'ombra di ricordo, qualcosa come la sensazione che tu, una volta, ce l'avevi fatta, e avevi scritto una poesia.
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abr · 11 months ago
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Nei primi secoli del cristianesimo vi fu una diatriba a volte accesa sulla necessità o meno di studiare gli autori greci e romani (si pensi a san Girolamo o a sant’Agostino), durante il Medioevo e soprattutto nei monasteri prevalse una mentalità sostanzialmente aperta.
Bonifacio, apostolo della Germania, compose un’Arte della grammatica nella cui prefazione sosteneva che lo studio dei classici è indispensabile alla formazione religiosa. Ancora, Gerberto, divenuto poi papa col nome di Silvestro II (999-1003), che come direttore della scuola cattedrale di Reims riteneva «impossibile per i suoi allievi elevarsi all’arte oratoria senza conoscere le tecniche di elocuzione che si possono imparare soltanto leggendo i poeti». Insomma, da Gregorio Magno fino ad Alcuino, emblema del Rinascimento carolingio, fu tutto un susseguirsi di lodi verso la cultura classica.
Altro che secoli bui (...). Come l’eccezionale esperienza del Vivarium, il monastero fondato da Cassiodoro, che nel VI secolo «fornì le basi per una compiuta sintesi tra saperi pagani e sapienza cristiana». O il meno noto monastero di Eugippio, abate a Castellum Lucullanum vicino a Napoli, che già alla fine del V secolo consolidò la pratica di copiare e conservare i manoscritti antichi. Per arrivare a Rabano Mauro, che guidò l’abbazia benedettina di Fulda in Germania, autore di uno studio sull’arte del linguaggio e difensore della grammatica, e a (...) Alcuino, al quale si devono due trattati sulla retorica e sulla dialettica, ritenuti fondamentali per lo studio, ma anche per l’evangelizzazione.
Poi si spazia dall’elogio da parte di Agostino dell’aritmetica e dei numeri in quanto voluti da Dio come fondamento dell’ordine dell’universo alla passione di Boezio e di Gerberto per la geometria, per finire con l’astronomia di cui si è già riferito e con la musica, la «scienza del misurare ritmicamente secondo arte» ancora per sant’Agostino, autore di un trattato apposito, il De musica. Boezio poi la riteneva «connessa non solo con la speculazione, ma con la moralità». Un lungo percorso approdato nell’XI secolo a Guido d’Arezzo e alla sua codificazione delle note musicali.
via https://www.avvenire.it/agora/pagine/la-cultura-monastica-luce-del-medioevo
Come in tutte le rivoluzioni del pensiero, anche il cristianesimo rischiò nella sua infanzia l'implosione suicida causa massimalismo fondamentalista, cancellatore di tutta l'eredità del passato nel nome di una nuova ripartenza.
Mentre ad es. islam, blm, wokismo e ambientalismo ci cascano come pere e ne sono fatalmente vittime, il pensiero cristiano dopo qualche iniziale tentennamento - iconoclastia etc. - si salva da se sin dai primi tempi, lasciando tutti i freni fondamentalisti auto imposti alla ortodossia orientale e celebrando Dio per mezzo della CURIOSITA' DEL SAPERE, originando quindi dal suo interno e ponendo le premesse per tutto il successivo progresso positivo del mondo, dal capitalismo al liberalismo alla scienza.
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vecchiorovere · 2 months ago
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“Quale momento della vita non sarebbe triste, difficile, brutto, insipido, fastidioso, senza il piacere, e cioè senza un pizzico di follia?” (Erasmo Da Rotterdam)
“Siate affamati, siate folli” (Steve Jobs)
“Elogio della follia” (Moriae encomium), scritto nel 1509, è una delle opere più celebri di Erasmo da Rotterdam. Questo saggio satirico, pubblicato per la prima volta nel 1511, si presenta come un discorso pronunciato dalla Follia stessa, che si fa portavoce di una critica pungente alla società del suo tempo, denunciandone le contraddizioni e le ingiustizie.
Il testo è scritto in un periodo di grande fermento culturale e religioso in Europa, caratterizzato dalla nascita dell'Umanesimo e dai primi segnali di riforma religiosa. Erasmo, figura centrale di questo movimento, si opponeva alle pratiche corrotte della Chiesa e alla superstizione popolare. “Elogio della follia”riflette queste tensioni, utilizzando l'ironia per mettere in luce le ipocrisie della società.
L'opera è strutturata come un discorso in cui la Follia, personificata, elogia se stessa e i vantaggi che porta agli esseri umani. La Follia si rivolge direttamente al lettore, creando un senso di intimità e coinvolgimento. Utilizza un linguaggio vivace e provocatorio, ricco di giochi di parole, paradossi e riferimenti classici. La narrazione è caratterizzata da un tono ironico e spesso sarcastico, che invita il lettore a riflettere sulle norme sociali e sui valori condivisi.
Erasmo utilizza la Follia per mettere in discussione le convenzioni sociali, la corruzione della Chiesa, l'ipocrisia dei nobili e la stupidità dei cittadini comuni. Sotto il velo della Follia, l'Autore critica i teologi dogmatici, i filosofi razionali e gli ecclesiastici, evidenziando il loro distacco dalla realtà e dalla vera saggezza. La Follia afferma che molti dei più rispettati membri della società sono, in effetti, i più folli.
L'opera elogia la follia come una condizione che porta alla gioia e alla spensieratezza, mentre razionalità e saggezza spesso portano alla sofferenza. La Follia sostiene che vivere senza il peso della razionalità e delle aspettative sociali consente di apprezzare la vita in modo più profondo. Erasmo esplora, dunque, l'idea che la follia possa essere una forma di saggezza. Questo paradosso invita il lettore a riconsiderare il valore della razionalità in contrapposizione alla libertà di pensiero. L’Autore sottolinea la vulnerabilità e le contraddizioni dell’essere umano. La Follia mette in luce come tutti, in un modo o nell'altro, siano soggetti a follie e illusioni. Questo riconoscimento dell'umanità comune serve a smantellare la presunzione di superiorità dei "saggi" e a promuovere un senso di umanità condivisa.
“Elogio della follia” ha avuto un impatto significativo sulla letteratura e sul pensiero occidentale. La sua critica sociale e religiosa ha ispirato generazioni di pensatori e scrittori, contribuendo al dibattito sulla ragione e la follia. La sua pubblicazione ha anche suscitato reazioni contrastanti, da ammirazione a condanna, soprattutto da parte dei sostenitori della Chiesa.
“Elogio della follia”è un'opera fondamentale che combina satira, filosofia e critica sociale. Con il suo stile incisivo e la sua profonda introspezione, continua a essere rilevante nel contesto contemporaneo, invitando il lettore a riflettere sulla natura della follia e sulla società in cui vive. La Follia, con la sua ironia, rimane una figura potente che ci sfida a riconsiderare le nostre convinzioni più radicate.
La Follia non è solo un tema, ma un invito a esplorare nuove prospettive, a riconoscere la bellezza del vivere e a considerare che, in fondo, tutti portiamo un po' di follia dentro di noi.
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pier-carlo-universe · 5 days ago
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Lumoris: la civiltà aliena che comunica attraverso la luce (Fantascienza)
Nel vasto universo delle possibilità immaginate dalla fantascienza, la civiltà aliena dei Lumoriani si distingue per la sua straordinaria particolarità: un linguaggio fatto di luce.
Nel vasto universo delle possibilità immaginate dalla fantascienza, la civiltà aliena dei Lumoriani si distingue per la sua straordinaria particolarità: un linguaggio fatto di luce. Originari di un pianeta ricoperto da cristalli bioluminescenti e avvolto da cieli in penombra, i Lumoriani comunicano tramite fasci di luce emessi dal loro corpo, una danza luminosa che trasmette emozioni, pensieri e…
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ypsilonzeta1 · 1 year ago
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Qual è la parola per dire che non si hanno più sentimenti
negativi verso chi ti ha ferito?
Perdono, mi hanno risposto. Ma io volevo, al contrario, parlare
del rancore.
Questo è stato l’inizio e può valere come esempio.
Ogni giorno c’è una parola nuova di cui non ricordo il senso
e il cui suono tintinna un motivo percepito a brani
familiare una volta, ora perduto.
La sua luce abituale cade. Di colpo non importa,
provo rancore, perdono chi prova rancore, mi perdono?
C’è un alfabeto incomprensibile, un linguaggio dimenticato.
I nomi ruotano privi della loro materia fin dal mattino.
Come chiamare la stoffa bianca che il vento muove davanti
alla vetrata?
Tenda, tende. Il riso mi si annida in gola.
Lei, cioè io, tende a cosa?
Qui so rispondere: tendo alla terza persona
alla grazia sperimentata una volta sola
di un dolore sdoppiato e spinto fuori
poi fissato, ascoltato perfino nello scroscio delle lacrime
ma da un’altra me stessa
capace di lasciare la sua vecchia pelle sulla terra.
Antonella Anedda
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seduction-fatale78 · 9 months ago
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Il mio tesoro. La mia casa ha un gioiello che custodisco gelosamente. Non serve che lo metta in cassaforte, sono io la sua fedele custode. Non è freddo al tatto, non serve lucidarlo, brilla di luce propria, guardandolo mi perdo nella sua bellezza. Chi lo ha disegnato è riuscito a farne un'opera d'arte, lavorando nei dettagli, dai quali si coglie la preziosità. La ditta è Madre Natura che lo ha fornito di un linguaggio fatto di suoni deliziosi (fusa, miagolii), intercalati da silenzi pieni di mistero. Ogni giorno ho voglia di indossarlo sul cuore, colorando la mia vita. Ha un valore inestimabile, ma si trova in offerta nei gattili, dove stretti in un angolo contano le ore, i giorni, aspettando un viso, una mano che si apra accarezzandoli, una voce che dica loro: guardami, andiamo a casa, non ti lascio qui, non sei più in compagnia della tua paura. Si paga poco, con la moneta che ha inciso in conio la parola "amore".
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rideretremando · 1 year ago
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"Lasciamo per un attimo da parte “politicamente corretto” e “cancel culture”, termini troppo elastici con cui si indicano situazioni molto differenti in contesti culturali diversissimi. Rem tene: limitiamoci a osservare ciò che intorno a noi è accaduto negli ultimi anni. Io ho visto parecchie persone, in ogni senso vicine o lontane, adattarsi in pochissimo tempo alle più improbabili forme di ‘rieducazione posturale’ del linguaggio, del dibattito letterario, dell’umorismo. Lo hanno fatto secondo il tipico contagio da febbre ideologica: con la paura di non risultare altrimenti abbastanza progressiste, e spesso col tono inquisitorio di chi è già pronto ad accusare gli avversari di essere delle specie di vittorifeltri. Vorrei ribadire che, al contrario, in tutto ciò non c’è nulla di progressista né di emancipatorio; si tratta soltanto di una vecchia attitudine fondamentalistica, oggi risorta in forme particolarmente misere, e di una grave confusione tra politica e cultura (le quali non sono indipendenti, ma non sono nemmeno collegate nei modi che suggeriscono i nuovi chierici). L’arte, la cultura, l’eros, l’umorismo, il vissuto - sono cose che cambiano senza dubbio nella storia; ma NON secondo lo stesso processo con cui cambiano i nostri dibattiti civili o le nostre idee. Oggi si sta diffondendo questa convinzione, con conseguenze potenzialmente - attualmente – violente e regressive. Come ha notato Giacomo Pontremoli, siamo tornati a un’epoca pre-freudiana: stiamo cioè sinistramente abolendo ogni differenza tra il giudizio sull’espressione e quello che si dà su un’azione. Si cerca ad esempio di far credere che l’immaginazione, riferita a certi oggetti o situazioni, implichi una determinata concezione del mondo, magari discriminatoria – mentre avere, che so, fantasie erotiche di riduzione estrema di una donna a oggetto non equivale affatto a essere misogini. Oppure si finge che di fronte a temi delicati (minoranze, ecc.) le brave persone ridano unicamente “di secondo grado, degli stereotipi” – e così si tradisce la natura profonda quanto antintellettualistica del fenomeno comico. Ogni tanto mi compaiono su Facebook i video di uno stand up (ma qui la parola suona beffarda) che gioca di continuo sulla sua disabilità. E’ piuttosto bravo, e il pubblico applaude di gusto. Ora, affermare che i suoi spettatori (e lui per primo, del resto) ridano unicamente per come porta alla luce le contraddizioni dei comportamenti diffusi davanti alla disabilità, e non anche, assai più ambiguamente, della disabilità in quanto tale, significa o mentire o essere divenuti dei pericolosi robot. Se non ci rendiamo conto di questo, nessun galateo ci ripagherà di ciò che perdiamo al livello della comprensione di noi stessi, e quindi anche della capacità di ridurre sul serio la violenza contro gli esseri umani emarginati."
Matteo Marchesini
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artemideofficial · 8 months ago
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Il piccolo Tommy
Il 2 marzo 2006 due banditi incappucciati fecero irruzione in casa Onofri, a Parma, e rapirono il piccolo Tommy, 17 mesi. Il sequestro terrà tutta Italia con il fiato sospeso per circa 30 giorni. e i sospetti cadranno anche sulla famiglia. Il 2 aprile l’edizione straordinaria del Tg darà la notizia del ritrovamento del corpo del piccolo.
A Casalbaroncolo, dieci minuti da Parma, nella nebbia di una gelida sera di marzo del 2006, la famiglia Onofri è seduta a tavola per cena. Paolo, sua moglie Paola, Sebastiano, 7 anni e il piccolo Tommaso, 17 mesi, sono riuniti nel tinello del casolare. Mentre mamma Paola dà da mangiare a Sebastiano e il piccolo Tommy scalcia nel seggiolone perché non vuole più la pappa, improvvisamente va via la luce. Paolo si alza meccanicamente, abituato a riattivare l'elettricità ogni volta che si verifica il guasto. Dopo aver acceso le candele sul tavolo, esce dalla stanza diretto verso l'interruttore, ma torna indietro con un balzo, respinto da qualcuno. Due uomini con il volto coperto fanno irruzione nel tinello. Uno dei due punta una pistola sulla nuca di Tommy, che scoppia in lacrime, mentre l'altro intima agli Onofri di dargli dei soldi. I coniugi mettono insieme 150 euro che consegnano ai due malviventi, poi vengono fatti sdraiare sul pavimento e legati con il nastro adesivo. Sentono i ladri fuggire, l'incubo è finito. Il pianto di Tommy però non si sente più: distesa a terra Paola intravede i piccoli piedini che si allontanano. La rapina era un bluff: quello è un rapimento.
Nel giro di qualche ora i carabinieri stanno pattugliando la zona e l'indomani, tutta Casalbarolo, tutta Parma, tutta l'Italia, parlano del rapimento del piccolo. I genitori rivolgono diversi appelli pubblici dando a chiunque tenesse Tommy in ostaggio precise indicazioni su come debba essere accudito. È epilettico e assume quotidianamente un farmaco con una siringa senza ago. Il piccolo chiama l'iniezione ‘il mommo', ed è importante, si raccomandano – rivolgersi a lui con quel linguaggio, per non spaventarlo. Eppure mentre si rivolgono ai sequestratori del figlio, Paolo e Paola Onofri hanno negli occhi la terribile consapevolezza che quel bimbo cagionevole nelle mani di estranei non sopravviverà.
Gli inquirenti intanto cominciano a farsi alcune domande. Se quello è un rapimento a scopo di estorsione, lasciando da parte l'anomalia della mancanza di qualsiasi trattativa per la liberazione del bimbo, a quali soldi mirano i sequestratori? Gli Onofri non sono una famiglia ricca, posseggono solo il casale in cui vivono e che hanno acquistato con i soldi di un'eredità e in parte con il mutuo. Paolo dirige un ufficio delle Poste Italiane e anche Paola lavora alle Poste. Una delle prime piste investigative seguite, a quel punto, è quella della ritorsione. Gli inquirenti vagliano la posizione del secondo marito di Francesca Traina, la prima moglie di Paolo Onofri. Una strada che però non porta a niente, mentre altri aspetti del privato degli Onofri verranno presto approfonditi. Esiste un immobile che Paolo usa come pied-à-terre a solo un chilometro da dove lavora, in Via Jacchia, quartiere Montanara.
Lo aveva acquistato nel 2002, senza dirlo a nessuno, neanche alla moglie Paola. Dentro i carabinieri ci trovarono poltrone, una lampada, un diploma e un personal computer con 391 fotografie, 92 file e decine di filmati. Si tratta di materiale pedopornografico. Paolo Onofri si difende dicendo che stava raccogliendo del materiale per una denuncia. Gli inquirenti gli offrono di accettare una reprimenda in cambio della piena collaborazione sul caso del rapimento di Tommy. Rifiuta e parte l'indagine che si concluderà con un patteggiamento. Da quel punto in poi la figura di Paolo Onofri diventa oscura, ambigua, anche a causa di una telefonata scambiata con il capocantiere che aveva eseguito i lavori di ristrutturazione del casolare di famiglia. Dopo il sequestro Pasquale Barbera chiede a Onofri: "Hai fatto i nomi?". "Sì, ho fatto i nomi, ma non quei nomi" risponde Paolo. "Hai fatto bene se no mi avresti creato problemi".
L'attenzione allora si sposta sugli operai che hanno eseguito i lavori in casa Onofri. Fondamentale si rivela il ritrovamento di un'impronta su un frammento di nastro adesivo lasciato la sera del rapimento di Tommaso. Mario Alessi, manovale, viene indagato per falsa testimonianza e concorso in sequestro. Quell'uomo dal sorriso cinico ha un passato che fa venire i brividi: è stato condannato agli arresti domiciliari per aver violentato una ragazza davanti al fidanzato carabiniere, che aveva costretto ad assistere. Alessi confessa di aver rapito Tommy, ma non vuole dire dov'è e tira in ballo un complice, Salvatore Raimondi, pregiudicato. Sono sue le impronte sullo scotch. Dopo aver negato di aver toccato quel bambino, infine, Alessi ammette: "Non cercatelo più, è morto. È stato ucciso un’ora dopo essere uscito di casa".
La verità si abbatte come una cascata ghiacciata sulle spalle di chi per quasi 30 giorni aveva cercato ovunque quel bambino. La notizia viene data dal telegiornale in un'edizione straordinaria, prima  che la famiglia sia stata avvertita. Paola lo scopre così, anche se in cuor suo, sapeva, da quando lo aveva visto portare via dal casolare, che non lo avrebbe più rivisto. Il piano messo a punto da Alessi con la complicità della compagna Antonella Conserva e di Raimondi, era quello di rapire il bimbo e chiedere ai familiari un riscatto di 5 milioni di lire. Dopo aver preso Tommy, però, qualcosa è andato storto e Alessi, rimasto solo col piccolo, lo ha ucciso. Tommy è stato strangolato fino a fratturargli la mandibola, peso a calci e a pugni, ha sofferto tantissimo. Impossibile stabilire il movente. Tutti e tre gli artefici del piano vengono condannati dal tribunale di Bologna. Ergastolo per gli esecutori materiali, 24 anni per la Conserva. La storia finisce lì, in quella discarica di materiali edili che è la tomba di Tommy a Sant’Ilario D'Enza, dove i suoi assassini lo hanno scaricato. Le indicazioni di Alessi hanno portato sul posto sono medici, poliziotti, magistrati. Per cercare il corpicino sotto rovi e sterpaglie gli agenti usano un forcone. Lo conficcano nel terreno piano piano, con prudenza, con delicatezza, quasi nel timore di fare male al piccolo. Ogni movimento è carico di dolore, di emozione, di tenerezza. Alla fine, sotto 30 centimetri di terra spunta il pigiamino di Tommy. È intatto, la terra lo ha protetto dalle intemperie, gli animali selvatici non lo hanno sfiorato. Dilaniata resta solo la famiglia di Tommy, le loro vite sventrate dalle indagini, i segreti scoperchiati, la fiducia reciproca spezzata. Paolo Onofri morirà di infarto qualche anno dopo.
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