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"Lo Scricciolo" di Kristy McCaffrey: Un'avventura d'amore nel selvaggio West. Recensione di Alessandria today
Il primo capitolo della serie "Ali del West" intreccia passione, coraggio e una storia di rinascita.
Il primo capitolo della serie “Ali del West” intreccia passione, coraggio e una storia di rinascita. Recensione: Kristy McCaffrey, già nota per le sue storie ambientate nel selvaggio West, ci regala una nuova avvincente avventura con “Lo Scricciolo”, primo libro della serie “Ali del West”. Ambientato in un’epoca di grandi cambiamenti e forti passioni, il romanzo segue la vita di Emma Hart, una…
#Alessandria today#Ali del West#avventura e romanticismo#Avventura nel West#avventure storiche#cowboy e frontiera#Google News#italianewsmedia.com#Kristy McCaffrey#letture coinvolgenti#letture per appassionati del West#Letture per sognatori#letture romantiche#libri consigliati#libri d’amore epici#libri di Kristy McCaffrey.#libri sul selvaggio West#Lo Scricciolo#narrativa americana#narrativa d’amore#narrativa di coraggio#narrativa intensa#narrativa romantica#narrativa storica accurata#narrativa storica americana#Pier Carlo Lava#romance western#romanzi ambientati nel West#romanzi con colpi di scena#romanzi con protagoniste forti
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Lista di romance con protagonisti cuochi, chef e pasticceri - Seconda parte
Poichè mi sentivo in colpa di non avervi dato abbastanza titoli in italiano nella prima parte delle lista sullo stesso argomento, ho cercato di rimediare, stavolta tutti i libri citati sono disponibili anche nella nostra lingua:
La locanda di Jane,di Cassandra Austin
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Trama: Kansas, 1879 Gli uomini sono solo una scocciatura, Jane Sparks ne è assolutamente convinta, e ci vuole ben altro che un attraente dottorino con la testa piena di fantasie sul selvaggio West per farle trascurare la locanda a cui dedica tutte le proprie energie! Tanto più che è solo merito della sua abilità di cuoca e dell'impeccabile pulizia che regna nel locale se guadagna abbastanza per pagare le rate del prestito che ha chiesto alla banca. Eppure il dottor Hart è così generoso e simpatico che Jane non può fare a meno di sognare... Poi però l'arrivo di Peggy, un'orfanella di cui nessuno, a parte lei, sembra volersi occupare, fa salire la tensione tra la giovane e l'intrepido medico, al punto che...
Schiavi d'amore, di Margareth Moore
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Trama: William Powell, fedele alla causa degli abolizionisti, collabora in segreto con il reverendo Bowman per salvare gli schiavi fuggiaschi dall'atroce destino che li attenderebbe se fossero rispediti nelle piantagioni del Sud. Nella sua vita non c'è posto per futili distrazioni, e men che meno per la passione bruciante che Bronwyn Davies ha saputo risvegliare nel suo cuore solitario. Ma quando quella dolce e battagliera fanciulla gallese, per aiutarlo nella causa, perde il lavoro e con esso la possibilità di mantenere la famiglia, William si sente moralmente obbligato a offrirle un posto come cuoca in casa propria. All'alba della guerra civile, in una terra tormentata, popolata da traditori ed eroi, si dipana la struggente storia di Bronwyn e William e di un amore, il loro, destinato a durare in eterno.
Qualcuno da amare, di Kate Rothwell
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Trama: America, New York. Araminta Woodhall, bella e sensuale chef, sogna di aprire un suo ristorante. Rifiutati i capitali del nonno, lavora in una casa da gioco in Park Avenue di proprietà di un uomo losco e misterioso. Proprio lì, una sera, ritrova una vecchia conoscenza, il fratello della sua ex datrice di lavoro: Griffin Calverson, ricco magnate delle ferrovie. Immediatamente la passione li travolge, ma davvero gli inattesi pregiudizi saranno un ostacolo alla loro felicita'?
Una passione scandalosa, di Ann Lethbridge
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Trama: Fuggita di casa per inseguire quello che credeva fosse amore, Lady Claire Montague si ritrova da sola e senza mezzi con una figlia da crescere. Così, soffocando l'orgoglio, torna a Castonbury Park a cercare l'aiuto della potente famiglia e una nuova rispettabilità. Non si aspetta certo di essere tentata dallo sguardo magnetico e dai deliziosi piatti dell'affascinante chef francese del duca suo fratello! Claire sa di rischiare molto, cedendo ai forti sentimenti che nutre per Monsieur André, ma potrà fidarsi dell'istinto che già una volta l'ha tradita?
Sfida segreta, di Cartland Barbara
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Trama: Una storia basata su un inganno, che, contro ogni pronostico, si rivelerà terreno fertile per un amore tanto improbabile quanto passionale.Nell'Inghilterra appena uscita dalle Guerre Napoleoniche, la vita della giovane Araminta Sinclair viene sconvolta dai debiti di gioco del fratello, che ha perso seicento sterline contro lo spietato marchese di Wayne. Araminta, però, non è certo una ragazza che si piange addosso e, sfruttando le sue abilità di cuoca, riesce a farsi assumere come chef alla corte del perfido marchese, scoprendo non solo che è in corso un terribile complotto omicida, ma anche che il nobiluomo, a dispetto delle voci che circolano sul suo conto, non è affatto quello che sembra... -
Serie Below stairs mysteries, di Jennifer Ashley
1. ALLA RICERCA DELLA VERITA’
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Trama: Inghilterra, 1881. La schietta e pratica Kat Holloway, cuoca richiestissima, è appena stata assunta in una lussuosa villa di Mayfair. E poco le importa che gli abitanti della casa, dai nobili padroni alla servitù, siano oltremodo singolari: finché staranno alla larga dalla cucina, le loro stravaganze non saranno un suo problema. Tuttavia lo diventano nell'istante in cui lei trova nella dispensa il corpo senza vita della giovane assegnatale come assistente. Intenzionata ad andare a fondo alla questione, Kat chiede aiuto alla persona di cui più si fida, il sorprendente e camaleontico Daniel McAdam, in grado di trasformarsi da sgherro dei bassifondi a nobile gentiluomo, da fattorino... ad amante.
2. D'ARTE e D'AMORE
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Trama: Kat Holloway, cuoca richiestissima e mente acuta con una sfortunata propensione a finire invischiata in situazioni quanto meno ingarbugliate, è davvero delusa e amareggiata. Non certo dal suo lavoro, visto che si trova piuttosto bene nella villa a Mayfair, ma dall'incorreggibile e affascinante Daniel: nonostante le avesse promesso di rivelarle finalmente qualcosa di sé e del suo passato, lui non si fa vedere da ben due mesi. È ancora una volta un caso da risolvere a far sì che le loro strade si incrocino di nuovo. Entrambi stanno infatti indagando sulla sparizione di numerose opere d'arte e antichi reperti, non solo da collezioni private, ma addirittura dal British Museum. Coinvolti in una girandola di indizi e colpi di scena, insieme dovranno riuscire a scovare i colpevoli prima che la situazione si complichi in maniera irreparabile..
3. IL SEGRETO DELLE FOGLIE DI TE'
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Trama: La brillante e acuta Kat Holloway, cuoca di professione e investigatrice per caso, viene ricompensata per un semplice atto di gentilezza offerto a un passante con il dono di una rara e preziosa scatola di tè cinese. Nei giorni seguenti, non ha più modo di pensare al riconoscente Li Bai Chang, sino a quando la sua cucina non sembra impazzire a causa di una terribile notizia: il vicino di casa è stato trovato senza vita. La vittima era un gentiluomo noto per la sua collezione di manufatti cinesi, e le autorità accusano proprio Mr. Li del crimine. Kat decide allora di intervenire per scagionarlo, aiutata come sempre dall'amato e insostituibile Daniel, ma si ritrova invischiata in un'intricata rete di segreti che dalle dorate case di Mayfair arriva fino ai suggestivi Kew Gardens.
4. LE VERITA SVELATE
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Trama: Quando la brillante, giovane cuoca Kat Holloway, investigatrice per vocazione, sente che i bambini del London's Foundling Hospital stanno misteriosamente sparendo e che una delle loro infermiere è stata uccisa, non può di certo voltarsi dall'altra parte. Così, per assicurare l'assassino alla giustizia chiede aiuto al suo innamorato di sempre, l'enigmatico e affascinante Daniel McAdam, che ha legami con Scotland Yard, e al losco Errol Fielding. Le indagini li portano dal lusso di Mayfair ai bassifondi dell'East End e, inaspettatamente, anche alla scoperta di verità sulla vita e l'identità di Daniel che lui ha cercato strenuamente di tenere segrete
5. INTRIGHI AL CRYSTAL PALACE
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Trama: Durante una mostra al Crystal Palace, Kat viene avvicinata da una ricca vedova convinta che tutta la sua famiglia stia cercando di ucciderla. Risultando subito evidente che il pericolo è reale, Kat promette di aiutarla, anche se purtroppo non potrà contare sull'esperienza e il supporto dell'amato Daniel. E tutto sommato forse è meglio così, poiché è sempre più chiaro che il crescente coinvolgimento emotivo fra loro potrà portare solo guai.
Se vi è piaciuto questo video vi piacerà anche: Lista di romance storici con protagonisti cuochi, chef e pasticceri 1°PARTE: https://youtu.be/NOUsSNPsDf0
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Unlock! Secret Adventures: Tombstone Express review
Per quanto non abbia avuto l’occasione di giocare a molti escape games, adoro questo genere. Finora la mia esperienza si era limitata a qualche escape room, per cui ero curiosa di vedere come potesse svilupparsi un gioco di carte di questo tipo: come spesso succede le regole sono più semplici di quel che sembra a prima vista e giocando si impara in fretta. Mi è piaciuto molto l’utilizzo dell’app come ausilio sia per il tempo ma soprattutto per capire se si sono indovinati i codici o per utilizzare dei cosiddetti congegni. Inoltre l’uso dell’applicazione penso che permetta di variare maggiormente gli enigmi.
Tombstone Express è ambientato nel selvaggio West e la vicenda si svolge interamente sul treno. I giocatori sono chiamati ad interpretare un ufficiale, con l’ordine di scortare una gemma, il Cuore di Geronimo, da consegnare agli Apache per suggellare il trattato di pace. Ovviamente il prezioso carico sparisce e bisogna indagare sull’accaduto prima che il treno arrivi a destinazione. Si hanno esattamente 60 minuti ma il tempo a propria disposizione può diminuire a causa di alcune penalità: difatti se si compiono scelte sbagliate si rischia di pescare delle carte che aumentano il tempo. Ci sono diversi personaggi, alcuni danno indicazioni utili, altri meno, ma tutti contribuiscono a creare l’atmosfera. Mi ha colpito l’idea di ricreare una sparatoria lanciando i proiettili ai cartonati dei nemici ma, per quanto interessante, l’ho trovato un po’ estraniante dalla vicenda e penso sia stato inserito solo per far perdere tempo ai giocatori.
Nel complesso ho trovato la vicenda molto intrigante, nonostante in un paio di enigmi non fosse subito molto chiaro cosa si dovesse fare, sicuramente si tratta di un’esperienza che consiglio a tutti gli appassionati del genere.
Elementi che reputo necessari per le storie da escape games:
Sarà banale, ma penso che l’obbiettivo sia molto importante per determinare l’atmosfera dell’intera esperienza. È il motivo che spinge gli utenti a prenotare un’escape room o a comprare il gioco e deve portare i fruitori ad impegnarsi al massimo per risolvere gli enigmi.
La storia non dovrebbe essere troppo complessa: il tempo a disposizione è limitato, la trama perciò deve essere semplice e limitata all’essenziale. Penso che possa essere molto suggestivo o di grande interesse utilizzare e riadattare alcune parti di storie famose, conosciute da tutti (per esempio Alice nel Paese delle Meraviglie).
Penso sia importante avere un ritmo crescente, con un aumento delle difficoltà mano a mano che si avanza nel gioco.
Così come per la trama, anche i personaggi devono essere abbastanza semplificati e in numero limitato. La quantità penso sia variabile a seconda che si tratti di un’escape room o un gioco di carte, meno nel primo caso (cinque o sei all’incirca) e maggiori nel secondo (non più di una decina comunque). Nel caso di un numero elevato l’interazione che si deve avere con quelli meno importanti deve essere breve.
Una volta determinato l’obbiettivo e la storia, credo sia fondamentale l’environmental storytelling: ogni oggetto, ogni stanza, deve essere lì per un motivo e raccontare un pezzo di storia, non possono essere messe cose a caso solo per riempire lo spazio o, nel caso di un escape deck, carte atte solo a depistare e senza alcuno scopo.
Gli enigmi devono avere un significato ben preciso all’interno della storia: il motivo per cui certi numeri debbano essere utilizzati per aprire un lucchetto, o il fatto che i codici siano nascosti all’interno di certi libri dovrebbe essere giustificato dalla trama. Inoltre i vari enigmi devono essere diversi fra loro per evitare di annoiare gli utenti.
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“Volgiti a me, MacDiarmid, pazzo di scrittura”. Comunista, nazionalista, eccessivo, gran bevitore: ode al poeta geniale che non possiamo leggere
Sono un uomo piccolo, sto sul palmo di una mano, e mi emoziona pensare il poeta che s’incunea a Whalsay, ferita rocciosa delle Shetland. Cercate Whalsay, ora, nel sobborgo metropolitano dove state, e svanite in quel rosario di rocce, in quella mistica oceanica. Il poeta voleva far parlare le pietre, dare nitore al bisbiglio roccioso che le convalida. Anche le rocce sognano.
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“Leggenda vuole che… avesse trascorso tre giorni sulla spiaggia di West Linga dormendo in una grotta e appuntandosi ogni tipo di osservazione sulla geologia del posto, sui colori delle pietre e sui mutamenti di luce di quel cielo nordico” (Marco Fazzini). Era il 1933. L’anno dopo il poeta pubblica Stony Limits and Other Poems. In quella raccolta spicca il capolavoro. On a Raised Beach. Il poeta si chiama Christopher Murray Grieve, ha 42 anni, è un tipo strano, tra il rivoluzionario e il profeta, politico e biblico; i poeti lo conoscono come Hugh MacDiarmid, indossa quel nome dal 1922. In un busto scolpito nel bronzo, Hugh ha capelli che paiono un’aquila, occhi stretti come pugnali. Quell’anno, nel 1922, T.S. Eliot pubblica La terra desolata, e, beh, posto che valgano questi giudizi sommari – ma la vita, in fondo, è una somma di eventi sommari – On a Raised Beach è un poema più grande, selvaggio, possente. Spaventa. Ecco.
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Il poema pare Giobbe ripetuto dalle labbra di Melville, una litania capace di ipnotizzare papà Atlantico. M’impressione il vigore, la forza che ha una cosa viva, con un muso e dei denti. Va letto, perciò, anche, come abbecedario d’etica, questo poema. Ne estraggo alcuni versi, a vortice:
“Dobbiamo essere umili. Siamo così facilmente vanificati dalle apparenze Che non ci accorgiamo che queste pietre sono un tutt’uno con le stelle”
“È misero affare tentare di abbassare L’arduo furore delle pietre alle fantasie futili degli uomini”
“La luna muove l’acque avanti e indietro, Ma non si possono invogliare le pietre a procedere Neanche un pollice al di qua o al di là dell’eternità”
“Sarà sempre più necessario trovare Nell’interesse di tutta l’umanità Uomini capaci di rifiutare tutto ciò che pensano tutti gli altri Uomini, come una pietra rimane Essenziale al mondo, inseparabile da quello, E rifiuta ogni altra forma di vita”.
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Hugh MacDiarmid è la leggenda della letteratura scozzese contemporanea. Piuttosto: ne è l’evocatore, il bardo, il guerriero, il re che ha scelto di deporre la corona per imbracciare il forcone. Giornalista di talento, MacDiarmid diventa poeta per scardinare dalle pastoie inglesi il gergo di Scozia. “L’uso dello scots che MacDiarmid propugnò sin dal 1922 intendeva svincolare questo vernacolo dall’oblio a cui era stato relegato… Ciò che diede forza ed efficacia alla così detta Rinascenza scozzese fu la mistura esplosiva di poetica ed azione politica portate all’eccesso, in definitiva, da un solo intellettuale: Hugh MacDiarmid” (Fazzini). A Drunk Man Looks at the Thistle, pubblico nel 1926 è il punto di svolta della letteratura scots. Per MacDiarmid l’opzione estetica è sostanzialmente politica: nel 1928 è tra i fondatori del National Party of Scotland, da cui viene espulso; dagli anni Trenta s’impegna tra le fila del partito comunista inglese, da cui viene espulso un paio di volte.
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“La mia è la storia di un assolutista, i cui assoluti sono cresciuti a dismisura, fino al dolore nella vita privata”, ha detto. Di lui Kenneth Buthlay ha scritto: “MacDiarmid è il flagello dei Filistei, lo spietato intellettuale che cerca la rissa… era il bardo e il nemico del compromesso”. Il suo comunismo, per intenderci, era il contrario di quello professato dagli educati, cinici, abbienti poeti d’Albione, W.H. Auden, Stephen Spender. MacDiarmid era figlio di un postino, veniva dal sottosuolo, riuscì a leggere perché viveva di fronte alla biblioteca civica; nato nel 1892, durò fino al 1978. “Disprezzava le caste e le categorie, le classi sociali, culturali, l’accademia che, diceva, non è fallimentare, è criminale” (Ian Hamilton).
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Mastico ancora quei versi, un’epica per petroglifi, dal vigore biologico.
Devo entrare in questo mondo di pietra adesso. Fragmenti, striature, relazioni di tessere, Ombre innumerevoli di grigio, Forme innumerevoli, E sotto tutte loro una stupenda unità, Movimento infinito che si difende visibilmente Contro ogni assalto del tempo e dell’acqua…
Penso che del libro mi dissero Andrea Ponso e Gian Ruggero Manzoni. Fu scoperta devastante. On a Raised Beach/Sopra un terrazzo marino. Era il 2001. Editore Supernova. Curatela, impeccabile, di Marco Fazzini. La domanda non sembri cretina: perché questo libro fondamentale di un poeta fondamentale non sta nella ‘bianca’ Einaudi o nello ‘Specchio’ Mondadori? Perché se raspo in Internet mi dicono che non è più disponibile (come se Ii libri fossero ben disposti)? A me pare, questa, seccamente, una idiozia.
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Nella raccolta di saggi oxfordiani La riparazione della poesia Seamus Heaney dedica un testo a Hugh MacDiarmid, La fiaccolata di un singolo. Questo è il dettaglio culturale: “La posizione di MacDiarmid nella letteratura e cultura scozzese è per molti aspetti analoga a quella di Yeats in Irlanda, e le ambizioni indipendentiste degli scrittori irlandesi furono sempre molto importanti per lui. Il suo ardimento linguistico fu ampiamente incoraggiato dall’esempio di Joyce, mentre Yeats e altri scrittori successivi alla rinascita irlandese continuarono a esercitare un ampio influsso sul suo programma di nazionalismo culturale”. Ritratto personale: “Fu comunista e nazionalista, propagandista e plagiatore, bevitore e confusionario, e recitò tutte queste parti con straordinario vigore. Si fece dei nemici con la stessa passione con cui si fece degli amici. Fu stalinista e sciovinista, anglofobo e arrogante, ma la stessa tendenza all’eccesso che manifestava sempre, la qualità esorbitante che segnava tutto ciò che faceva, dava anche forza ai suoi successi e li rendeva duraturi. In altre parole, MacDiarmid possedeva quella ‘forza’ che Sir Philip Sidney giudicava essenziale segno distintivo della poesia stessa”.
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Semus Heaney, al di là del detto accademico, dettò una meravigliosa poesia In Memoriam Hugh MacDiarmid. “Volgiti a me, MacDiarmid, dalle Shetland,/ occhio impietrito dal guardare pietra, sobrio,/ e ostinato”, comincia Heaney, esaltando il poeta “pazzo di scrittura”, con “quell’orgoglio di mettersi alla prova. Di solitudine”, che possiede “l’occhio ciclonico d’una poesia come le stagioni”. La terzina finale ricorda che il linguaggio è scelta di vita, estasi della prova, mai l’ornamento: “Nell’accento, nell’idioma,/ nell’idea come un cardo nel vento,/ un catechismo degno d’esser detto e ridetto in eterno”. Da nessun poeta ho percepito prossimità così chiara, ferina, all’elemento naturale. Questo è un poeta in cui rovinare. (d.b.)
***
Mi sono innamorato alfine del deserto, La dimora della serenità suprema è inevitabilmente un deserto. La mia disposizione è per le questioni spirituali, Rese inumanamente chiare; non permetterò che nulla sia interposto Tra la mia sensibilità e la sterile eppur bella realtà; La chiarezza mortale di questo “vedere da affamato” Solo le tracce d’una febbre di passaggio sulla mia visione Varieranno, turbandola davvero, ma turbandola solo In modo che acquisterà per un momento Una chiarezza sovrumana, minacciosa: il riflesso D’una brillantezza attraverso un cristallo bruciante. Una cultura richiede agio e l’agio presuppone Un ritmo di vita auto-determinato; l’abilità di star solo È la sua prova; con ciò il deserto ci conosce. Non è questione di sfuggire alla vita Ma il contrario: questione d’acquisire il potere D’esercitare la solitudine, l’indipendenza, delle pietre, E quello viene solo dal sapere che la nostra funzione permane, Per quanto sembriamo isolati, essenziale alla vita come la loro. Abbiamo perso le fondamenta del nostro essere, Non abbiamo edificato sulla roccia.
Hugh MacDiarmid
*Il brano di Hugh MacDiarmid è tratto dal poema “On a Raised Beach/Sopra un terrazzo marino”, Supernova, 2001, cura e traduzione di Marco Fazzini
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“La fine è tutto fuorché la fine”: su Roy Campbell, il poeta che salvò Giovanni della Croce dal rogo e che Tolkien trasfigurò in Aragorn
Il 6 ottobre del 1944, al figlio Christopher, J.R.R. Tolkien scrisse così: “Si tratta di un discendente dei protestanti dell’Ulster, di famiglia sudafricana. Quasi tutti i suoi avi hanno fatto entrambe le guerre. Lui si è convertito al cattolicesimo dopo aver fatto da scudo ai padri carmelitani di Barcellona contro i comunisti – invano, però, furono tutti catturati e passati per le armi, lui stesso per poco non ci rimise la pelle. Ma ha messo le mani sull’archivio dei Carmelitani e l’ha posto in salvo dagli incendi di guerra, trascinandoselo per tutta la Spagna in mano ai rossi. Impossibile, in ogni caso, darti una idea del suo carattere: soldato e poeta, e per giunta convertito. Quanto di più lontano dalla sinistra-panzer in velluto a coste: tanto panzer che è corsa al riparo negli Stati Uniti”. Poi Tolkien relaziona il figlio in merito alla scrittura del Signore degli Anelli. L’incontro con quel poeta combattente, tra le fiamme della fede, avvenuto qualche giorno prima, lo ha folgorato. Sarà lui l’icona, l’idea primordiale, intorno a cui tessere il personaggio di Aragorn, ‘Granpasso’, l’erede che elude la regalità, il re ridotto a vagabondo.
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Tolkien – nato in Sudafrica pure lui, e non è un dato trascurabile – sapeva guardare oltre l’artiglio dei pregiudizi. Roy Campbell, più giovane di lui di dieci anni, portava il marchio del reietto, pensava che la parola poetica dovesse essere giustificata da scelte radicali, era un vagabondo, ostaggio di incomprensioni e di fraintendimenti, braccato da una colpa che aveva lavorato a lungo, con abilità orafa.
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L’episodio miliare nella vita di Campbell accade nel marzo del 1936. Campbell è in Spagna da tre anni, è un uomo devoto alle vertigini, si dà al morso della Chiesa cattolica. Da Barcellona, passa a Toledo, vive insieme ad alcuni carmelitani, la Spagna arde di guerra. I repubblicani avanzano, assediano Toledo: gli stessi padri che confermano Roy Campbell e la moglie nella fede – a cui si aggiunge la benedizione del Cardinale Isidro Gomá y Tomás, in un rito serale di allucinato valore simbolico – vengono accerchiati, predati, uccisi, “in un’atmosfera che doveva ricordare in modo sinistro le catacombe dei primi cristiani… i diciassette monaci del Carmelo vengono condotti in strada e fucilati. Campbell scopre i loro corpi. Sul muro di una chiesa campeggia la scritta, ‘così colpisce la Cheka’” (Joseph Pearce). Lì, Roy Campbell sceglie. Sta al fianco di Franco – dalla parte sbagliata. Mentre gli intellettuali formidabili pendono ‘a sinistra’, Campbell opta per l’altro mondo. Soprattutto, mette in salvo dai tesori dei carmelitani i libri di Giovanni della Croce, che altrimenti sarebbero stati bruciati insieme agli arredi del monastero. Li tradurrà, con furore mistico che dicono speciale. “Mi è stato maestro”, dice, il poeta, del mistico. Intanto, tutti gli voltano le spalle.
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Aveva già rotto i ponti – e le scatole – prima della guerra civile spagnola, Roy Campbell, rampollo di buona famiglia anglofona, nato a Durban, Sudafrica, nel 1901, approdato in Inghilterra, a Oxford – ma non entrò a studiare – esattamente un secolo fa, subito ben introdotto – piaceva a Wyndham Lewis e a Thomas S. Eliot – con ansie un poco mitomani, di certo suicidali. Campbell pigliava la vita a morsi: diseredato dalla famiglia d’origine, nel 1924 porta all’altare l’audace e selvatica Mary Margaret Garman, ricca, affiliata ai Bloomsbury di Virginia Woolf. Roy diceva che Mary era qualcosa tra Saffo e Santa Teresa d’Avila: di certo, lei si diede, maritata, a una relazione saffica con Vita Sackville-West. La cosa diede noie alla Woolf e mandò in rabbia Roy, poeta volitivo, con i cappelli a tesa larga, un po’ Baudelaire un po’ Indiana Jones. La vendetta fu incisa nell’acido: The Georgiad è una satira spietata contro gli intellettuali inappetenti alla vita, instabili, tutta mente e niente carne, che speculano di vasti temi ‘sociali’ dalla gabbia di cristallo della loro australe austerità. Roy Campbell aveva capito molto della malia e della finzione del letterato. Chiaramente, non gliela perdonarono: nel 1930 Roy, moglie e figli si trasferiscono in Provenza, poi sarà l’ora spagnola. A leggere i ricordi della figlia, Anna, Roy e Mary furono genitori incapaci – “non ci hanno mai spiegato come ci si siede a tavola… o quando bisogna cambiarsi le mutande” – che quasi sempre affidavano i pargoli a tate improvvisate. In ogni modo, il matrimonio durò, fortificato, forse, dall’estetica conversione di entrambi.
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Il punto, piuttosto, è questo. Roy Campbell è uno dei più potenti poeti in lingua inglese del secolo scorso. L’opera più grande la scrive a 23 anni, nel 1924, s’intitola The Flaming Terrapin, è un poema di altisonante vitalità, quasi il controcanto alla pallida Terra desolata di Eliot (che amava molto il bistrattato Roy). Se non avete mai sentito dire di Roy Campbell, non fatevene un cruccio: in Italia non l’ha tradotto nessuno. Anche in UK, in effetti, nonostante la folta bibliografia (e la biografia di Joseph Pearce, Unafraid of Virginia Woolf: The Friends and Enemies of Roy Campbell, 2004), se possibile evitano di pubblicarlo. Eccessivo in tutto – soprattutto nel linguaggio lirico, grave di immagini, pieno di bordate retoriche, magnetico – Roy Campbell, nel 1939, pensa bene di pubblicare un poema satirico che esalta, con verve, la vittoria di Franco, Flowering Rifle: A Poem from the Battlefield of Spain – con cui si garantisce la damnatio memoriae e l’epiteto – tornato di moda – di poeta “fascista”. In realtà, durante la Seconda guerra si scaglia contro i Nazi, prega di essere arruolato nella British Army, continua a sfottere i poeti che blaterano bene di Hitler dagli attici newyorchesi ma non scendono a combattere, fu inviato a Nairobi e a Mombasa, ma invero, falciato dalla malaria, combatterà poco. C.S. Lewis, a differenza di Tolkien, non lo sopportava, “ha il lezzo tipico dei cattolici fascisti”, diceva. Roy trovò da fare alla BBC, diventò amico intimo di Dylan Thomas – più che parlare di affari letterari si gettavano a bere come disperati. Durante una lettura pubblica, diede un cazzotto a Stephen Spender, colpevole, insieme a Auden, di essere un poeta senza spirito, solo parole al vento e condanne rivolte all’aria, sovietico per vezzo. Spender, tuttavia, continuò a dire “è un grande poeta… dovete capirlo”. Dal 1952 si mosse verso il Portogallo di Salazar: conosceva gli stenti, pensava con amore al martirio, scrisse la sua autobiografia, Light on a Dark Horse. Dopo aver letto le sue traduzioni di Giovanni della Croce, pare che Borges fosse stato sul punto di convertirsi seduta stante, poi sbottò, sono migliori dell’originale. Tradusse anche Rimbaud, anche Baudelaire, e morì, in un incidente stradale, vicino a Setúbal, nel 1957, il lunedì di Pasqua. “Al momento dello schianto che lo ha ucciso, la reputazione di Campbell era pari a quella dei più alti poeti del tempo. La sua ruvida personalità, incisa nel diamante, la sua capacità narrativa irrefrenabile, furono accolte con stupore nella Londra del dopoguerra. Anche se ha continuato a maltrattare l’establishment della sinistra in modi eccessivi… fu considerato come uno dei più eminenti personaggi letterari dell’epoca. Per Evelyn Waugh era ‘grande, bello, semplice, dolce e selvaggio’, per Laurie Lee era ‘uno degli ultimi enormi artisti pre-tecnocratici, la cui poesia, come nel caso di Byron o di D’Annunzio, è un impegno fisico con la vita’. Fu ammirato da Thomas S. Eliot, che lo pubblicò, da Sitwell, che lo idolatrava, da Wyndham Lewis e da Charles Tomlinson”, scriveva dieci anni fa Roger Scruton, in un vasto articolo pubblicato su “The American Spectator”, A Dark Horse. “Campbell scrisse pentametri vigorosi, nei quali ha distillato la più prodigiosa serie di immagini, inebrianti di vita, mai letta in altri poeti del XX secolo. Era veemente, spesso satirico, a volte insostenibile. Era un avventuriero spericolato – era un sognatore di sogni”, scrive ancora Scruton. Non penso che esista didascalia più bella per un poeta – che di solito è uno sconfitto, certe volte sceglie la sconfitta, tenta, ingiustificato, una giustificazione estetica, mette il ‘bel gesto’ prima del buon cervello, si lancia, a scartavetrare l’identità. Che sia ancora tabù, che il suo nome sia al bando, è un vanto; che nessuno lo traduca, ancora, è idiozia cristallina, ormai consueta, purtroppo. Questi non sono tempi per i poeti – che sbagliano con ostinata arrendevolezza, perché qualcuno li baci in bocca. (Davide Brullo)
***
Contro il cielo oscurato si sono raccolti innumerevoli avvoltoi bellicosi che vogliono fioccare sul mio corpo; contro il debole arco della trama celeste dietro l’oscurità che incombe sulla notte ancora nascosta; contro il fatto che crediamo che la fine sia tutto fuorché la fine, e che la carne stravolta si sbricioli e che l’animo orgoglioso, preso a nolo dal suo tempio, cada nell’oscurità dove batte contro il vuoto dei venti in un vortice che percorre l’aria come fanno le zanzare – cos’è che ci marchia sulle cime di montagna, così senza paura sul ciglio dell’abisso, dove nello spazio del terrapieno roccioso e sottile sprofondano e sibilano i venti abbandonati? È il cantare, silente, dell’anima: Contro i tempi che cambieranno e le età di tempesta che fluiscono, io sono il vecchio cacciatore delle pianure che affetta la pelle increspata del Bisonte: parola d’ordine: io sono il sognatore che rimane per voi, l’Uomo che si ritaglia nitido sull’ultimo orizzonte!
Roy Campbell
* la traduzione è di Andrea Bianchi
**In copertina: Roy Campbell e la moglie Mary, a sinistra, negli anni Venti, insieme al pittore Jacob Kramer e alla musa, Dolores
L'articolo “La fine è tutto fuorché la fine”: su Roy Campbell, il poeta che salvò Giovanni della Croce dal rogo e che Tolkien trasfigurò in Aragorn proviene da Pangea.
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