#leggi sul carcere
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pier-carlo-universe · 3 days ago
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Ennesimo atto di violenza nei confronti della Polizia Penitenziaria al Don Soria di Alessandria: dieci agenti feriti, uno grave
Maurizio Sciaudone: “Serve una risposta immediata a un problema che si ripresenta con drammatica frequenza” Un nuovo grave episodio di violenza all’interno della Casa circondariale Don Soria di Alessandria ha scosso l’intera comunità cittadina. Venerdì 28 marzo, tre detenuti si sono barricati nella loro cella e, in pochi minuti, hanno aggredito brutalmente diversi agenti della Polizia…
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vintagebiker43 · 3 months ago
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Ieri Cecilia Sala, la giornalista de Il Foglio e di Chora Media detenuta nel carcere di Evin in Iran ha potuto fare tre telefonate. Al padre, alla madre e al compagno ha raccontato le sue condizioni in carcere. Nessuna delle rassicurazioni fatte dagli ayatollah al governo italiano è vera.
Evin è un girone infernale per Sala come lo raccontano tutti quelli che ci sono passati. Perfino la consegna pacco con i beni di prima necessità inviato dall’ambasciata è stata una truffa del regime.
Il regime si comporta da regime, con i giornalisti italiani come con i tedeschi, gli europei gli iraniani stessi, quelli non allineati. Il regime usa Sala come leva per trattare la liberazione di Mohammad Abedini-Najafabad, l’ingegnere iraniano esperto di droni e detenuto in Italia dal 16 dicembre per conto degli Stati Uniti
Meloni, Crosetto e Tajani raccontano da due anni che l’Italia è “tornata protagonista sul palcoscenico internazionale” e da ieri sera sappiamo che il governo è stato irriso dall’Iran. La credibilità internazionale italiana non riesce a consegnare un pacco di cioccolato, sigarette e maglioni.
A Cecilia Sala sono stati sequestrati anche gli occhiali da vista. Il governo iraniano non s’è preso nemmeno la briga di formalizzare accuse specifiche, al di là di una presunte “violazione delle leggi della Repubblica islamica” generica e strumentale.
La priorità umana e politica è riportare Cecilia Sala a casa. Anche se dovesse costare l’adombramento di qualche alleato a cui s’è promessa irrazionale fedeltà. Ora conta questo, solo questo. È un obbiettivo che viene prima di qualsiasi disquisizione di qualsiasi credibilità. Salvare le persone, prima di ogni altra cosa.
Giulio Cavalli
#LaSveglia per La Notizia
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elizabethwill · 8 months ago
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Lasciamo scegliere Elizabeth: risposta alle obiezioni più frequenti di chi tifa per la coppia Jack-Elizabeth (J/E)
Premessa: se pensi che Jack Sparrow sia il miglior partner per Elizabeth Swann e sei particolarmente sensibile alle critiche rivolte alla tua coppia ideale, anche se argomentate, ti sconsiglio di leggere questo post. Non offendo le persone né giudico i loro gusti e non m’interessa prendere parte alle “guerre tra fan”; inoltre, mi ritengo capace di esprimere la mia opinione in maniera civile e rispettosa. Tuttavia, so anche quanto possa diventare suscettibile e “protettiva” la gente nei confronti del proprio personaggio preferito e delle proprie coppie del cuore. 🙂
In sintesi: no agli insulti gratuiti, sì alle critiche costruttive. Se la vedi così anche tu, allora leggi pure il resto del post, indipendentemente da ciò che pensi della coppia J/E. Se, invece, tendi a evitare qualsiasi tipo di critica alle tue coppie del cuore, ti suggerisco di fermarti qui e non proseguire la lettura. Fan avvisato, mezzo salvato! 😉
Post molto lungo ⚠️ 🚧
[Parte 1 qui]
Parte 2: Il rapporto fra libertà e amore
C’è un messaggio fondamentale contenuto nella saga “Pirati dei Caraibi”, o perlomeno nei primi tre film (ovvero quelli che ci mostrano l’evoluzione del personaggio di Elizabeth), e si può riassumere così: amare una persona significa volerla libera. Ciò implica combattere per la sua libertà e, se necessario per garantirla, rinunciare a una parte della propria.
La relazione fra Elizabeth e Will esemplifica questo concetto ed è chiaramente improntata alla reciprocità. Ad esempio, quando Elizabeth viene fatta prigioniera nel primo film, Will si dimostra disposto a tutto per liberarla, rischiando come minimo il carcere; ma è altrettanto vero che, nel momento in cui tocca a lui essere tenuto prigioniero, è grazie a Elizabeth che diventa possibile la sua liberazione, dopo che lei riesce a convincere il Commodoro a cambiare rotta accettandone la proposta di matrimonio.
Faccio notare, inoltre, che Will ed Elizabeth, benché sperimentino problemi di comprensione (il che è realistico in una coppia… Com’era quel discorso sulla “favoletta”?), non si manipolano mai a vicenda. Il peggio che fanno è nascondersi delle cose (Elizabeth non dice a Will che ha baciato Jack per darlo il pasto al Kraken, Will non dice a Elizabeth che ha intenzione di tradire gli altri pirati per impadronirsi della Perla e tentare di liberare il padre). Sbagliano? Certamente. Eppure nessuno dei due inganna deliberatamente l’altro per perseguire scopi egoistici: il silenzio di Elizabeth è causato dalla vergogna e dal senso di colpa, quello di Will dall’idea errata che lei non lo ami più e gli preferisca Jack. Al contrario, Jack manipola Elizabeth per indurla a “orientare” la bussola verso il Forziere di Davy Jones e non sembra mai pentirsene.
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Ma non era su questo che volevo soffermarmi, bensì sul ruolo del personaggio di Will nella questione della libertà di Elizabeth.
Ho già menzionato qualcosa che accade del primo film. Nel secondo Will è nuovamente impegnato a cercare di liberare Elizabeth, questa volta dalla prigione in cui l’ha fatta rinchiudere Beckett. In seguito, quando sospetta che lei stia soffrendo per la morte di Jack e provi qualcosa per lui (a causa del bacio che li ha visti scambiarsi), chiede se sia possibile far tornare Jack ed è probabile che sia un tentativo di consolarla.
Nel terzo film non solo le salva letteralmente la vita due volte, a Singapore e quando Davy Jones la disarma, ma si schiera senza esitazione al suo fianco nel momento in cui lei ribadisce di voler affrontare Beckett in uno scontro aperto.
In generale è quasi sempre attento ai suoi desideri e alle sue necessità: le insegna a tirare di scherma e rispetta eventuali confini da lei posti. Nel primo film, nel corso del tête-à-tête nella stiva dell’Interceptor, rinuncia a baciarla (benché i loro volti siano vicinissimi!) allorché lei si ferma; nel terzo film, durante il confronto che segue al salvataggio di Jack dallo Scrigno di Davy Jones, prova a trattenerla perché ha bisogno di spiegazioni, eppure la lascia andare quasi subito, dimostrando di comprendere e rispettare la sua volontà di allontanarsi da lui, malgrado la cosa non gli faccia per nulla piacere.
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Will ed Elizabeth, inoltre, collaborano sempre durante le battaglie, a cominciare da quella fra Interceptor e Perla Nera  – durante la quale coordinano insieme la difesa, con il supporto di Anamaria e Mastro Gibbs – per finire con la leggendaria danza-combattimento che contraddistingue la Battaglia del Maelstrom.
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Jack salva la vita di Elizabeth nel primo film, mentre nel terzo dà prova di altruismo aiutando Will morente a pugnalare il cuore di Davy Jones, per poi allontanare la stessa Elizabeth dall’Olandese che sta affondando. Una persona vendicativa le avrebbe reso pan per focaccia, dato che lei l’aveva consegnato al Kraken, ma Jack agisce nel modo più giusto e sceglie di proteggerla e soccorrerla. Tuttavia, al di là di queste rispettabili operazioni di salvataggio, dei flirt maliziosi e dell’astuta manipolazione, si può dire che non c’è altro.
Non riesco a trovare nemmeno una scena, in nessuno dei tre film, in cui Jack si espone per garantire la libertà di Elizabeth.
Il suo gesto più eroico potrebbe essere la decisione di tornare sulla Perla dopo aver tentato di sfuggire al Kraken a bordo di una scialuppa, ma non si tratta di un’azione il cui scopo diretto è assicurare a lei la libertà, quanto di una dimostrazione che anche Jack ha una propria coscienza e moralità, e che abbandonare nave e ciurma in un momento di massimo pericolo lo porta a confrontarsi con la parte meno coraggiosa e più egoista di sé.
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Lui torna indietro perché sente che è uno sbaglio scappare tanto vigliaccamente, perciò sceglie di agire come un vero Capitano (e un brav’uomo), ricongiungendosi all’equipaggio che sta rischiando la vita. L’ha fatto anche per Elizabeth? Certo, se non altro perché lei era su quella nave. La sua presenza potrebbe averlo motivato, ma basta questo per dedurre che la libertà di Elizabeth è una priorità per lui? Non credo.
La propria libertà è una priorità assoluta per Jack. Non quella di qualcun altro.
E non c’è nulla di male, perché il personaggio è caratterizzato in questa maniera. Il suo essere così libero, spregiudicato, non tagliato per le relazioni serie che richiedono un impegno reciproco, incapace di restare fuori da guai e al tempo stesso abbastanza furbo da tirarsene fuori… fa parte del suo fascino. È ciò che lo rende iconico e divertente.
Quanto al conformismo che Will rappresenterebbe… sinceramente non capisco questa critica. È conformista un uomo che libera un pirata rinchiuso in prigione e ruba una nave con lui per lanciarsi in un’operazione di salvataggio, in barba alle autorità che gli hanno ordinato di starsene al suo posto? È conformista un uomo che nel XVIII secolo dà lezioni di scherma a una donna aristocratica che è anche la sua fidanzata? (E le lezioni sono state piuttosto efficaci, a giudicare dai risultati…)
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Fine Parte 2 🚧 [continua…]
Immagini tratte da: moony-clo, owenhcrper, daeneryssansa, PoTC - Jack Sparrow Imagines, frodo-sam, Google Immagini.
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carmenvicinanza · 10 months ago
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Kikue Yamakawa
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Kikue Yamakawa, scrittrice e politica, ha dedicato la sua vita alla liberazione delle donne giapponesi e al miglioramento della loro condizione domestica, lavorativa e sociale.
Pioniera del femminismo socialista nipponico, ha contribuito a fondare l’associazione Sekirankai (l’Onda Rossa) e pubblicato un famoso manifesto in sei punti per chiedere tutela e pari diritti per le donne del suo Paese.
Nata a Tokyo il 3 novembre 1890, col nome di Kikue Aoyama, discendeva da una nobile famiglia di samurai da parte di madre. Ma lo spirito nazionalista e conservatore non ha mai attecchito sulla sua indole rivoluzionaria. Grazie al suo status privilegiato ha potuto frequentare l’accademia di lingua inglese Joshi Eigaku Juku. Il tipo di insegnamento limitante rispetto al sistema di istruzione maschile, aveva ben presto, provocato in lei critiche e dissenso.
Durante gli anni universitari, le si è spalancato il mondo del pensiero femminista e, grazie a Raichō Hiratsuka, fondatrice della prima rivista letteraria di sole donne Seitō, che ha illuminato i movimenti femminili nel primo ventennio del XX secolo, ha potuto pubblicare i suoi primi scritti.
Laureatasi alla Tsuda English Academy nel 1912, aveva 17 anni quando ha sposato Hitoshi Yamakawa, futuro professore di economia all’Università di Kyoto, leader sindacale e uno dei primi membri del movimento comunista clandestino poi passato alla fazione Rōnōha (Gruppo dei lavoratori e agricoltori) del movimento socialista. La coppia ha avuto spesso problemi con la legge a causa delle loro posizioni.
Kikue Yamakawa è passata da teorica ad attivista nel momento in cui, nell’aprile 1921, ha contribuito alla fondazione dell’associazione socialista femminile Sekirankai il cui scopo principale consisteva nell’abolizione del capitalismo, visto come fonte primaria dell’oppressione nei confronti delle donne. Dopo una vita breve e tumultuosa, due anni dopo, l’organizzazione è definitivamente sciolta.
La condizione delle donne e, in particolare, quella delle lavoratrici è stata al centro del suo interesse. Ha contribuito a organizzare una serie di conferenze sui diritti femminili al Kanda Seinen Kaikan e nel 1925, quando si è ristabilito il partito comunista, ha pubblicato un manifesto in sei punti, ancora attuale:
Abolizione del sistema familiare patriarcale e delle leggi a favore dell’ineguaglianza fra uomini e donne.
Uguali opportunità nel campo dell’istruzione e del lavoro.
Abolizione del sistema di prostituzione autorizzata.
Garanzia di salario minimo indipendentemente da sesso ed etnia.
Parità di retribuzione a parità di lavoro.
Tutela della maternità inclusa l’assistenza post natale e il divieto di licenziamento delle donne in gravidanza.
Il partito aveva accettato tutti i punti del suo programma tranne quello riguardante la prostituzione.
Visto che le donne continuavano a essere relegate alle sezioni femminili dei partiti e dei sindacati, ha continuato a esporsi per espandere l’identità delle donne da oggetto a soggetto, costante comune tra tutti i partiti, conservatori o liberali.
Dopo l’allargamento della guerra del Giappone contro la Cina nel 1937 e contro l’Occidente, sebbene di sinistra, è stata più incline a interagire con lo stato sempre più autoritario in tempo di guerra che ad opporsi o sfidarlo. Sostenere le posizioni di governo erano da lei considerate come un modo per ottenere vantaggi sociali migliori per le donne. 
Contro le politiche di assistenza finanziaria che forniscono solamente soluzioni parziali, non ha partecipato al movimento per il suffragio femminile chiamato Shin Fujin Kyōkai (Associazione delle Nuove Donne), ritenendo  che concentrarsi sul diritto di voto, senza alcuna critica costruttiva su ciò che la società doveva essere, avrebbe perpetuato la disuguaglianza delle donne, utilizzandole come armi della dittatura.
Quando il movimento socialista giapponese venne dichiarato fuorilegge, il marito venne arrestato. Rimase in carcere per due anni e dopo la guerra, si unirono entrambi al Partito Socialista Giapponese.
Dal 1947 al 1951 è stata a capo dell’Ufficio Donne e Minori del Ministero del Lavoro.
Durante la sua direzione venne prestata notevole attenzione alla parità salariale, la tutela dei diritti delle lavoratrici e la riduzione del lavoro minorile. È stata anche responsabile del lancio della Settimana della donna, a partire dall’aprile 1949.
In un’intervista sul Tokyo Times, del 12 novembre 1948, ha dichiarato che dovere del suo dipartimento era proteggere e dare dignità a donne e minori, per fare questo era necessario conoscere e indagare sulla reale vita quotidiana della popolazione per scoprire quale fosse il problema più urgente delle  lavoratrici o delle vedove di guerra.
In Giappone le leggi sono cambiate e alle persone sono stati concessi uguali diritti, ma la popolazione non ne conosce il vero valore. Auspichiamo che tutte le donne abbiano abbastanza buon senso da rivolgersi al tribunale per le relazioni domestiche quando si presenta una causa di divorzio e che le leggi svantaggiose per le donne vengano riviste.
Prolifica scrittrice di saggi e libri, la sua vita, il suo pensiero e il suo impegno politico sono stati importanti per mostrare il contributo delle donne all’evoluzione del movimento socialista giapponese e per l’attuazione di riforme significative per lavoratrici e minori in un’economia ancora impoverita del primo dopoguerra.
Ha continuato a scrivere e impegnarsi fino alla sua morte, avvenuta il 2 novembre 1980.
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agrpress-blog · 1 year ago
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“Non sono nata per condividere l’odio, ma l’amore” dice Antigone al re Creonte prima di essere portata in carcere. Quella dell’Antigone, tragedia scritta da Sofocle nel 442 a.C.,è una storia nota: una donna, sola, lotta contro un re deciso a far rispettare le proprie leggi. Antigone ha perso due fratelli. La sua è perciò la figura di una donna addolorata, avvolta nelle nebbie scure del lutto. I suoi fratelli, Eteocle e Polinice, si sono dati la morte a vicenda nel tentativo di conquistare il trono di Tebe, e, di conseguenza, il pieno dominio sulla città. Creonte, però, decide di dare degna sepoltura solo ad Eteocle. Polinice, infatti, assediando la città di Tebe, si è comportato come un nemico: per lui non ci sarà nessun funerale. È qui che entra in gioco Antigone, la sorella di questi due uomini che ora giacciono sul territorio tebano, riversi e morti. Non celebrare un funerale equivale, nella mentalità greca, a condannare l’anima del defunto ad un peregrinare nel mondo doloroso ed eterno. Non c’è pace per coloro i quali non vengono sepolti e commemorati, ed essi vagano sulla terra senza trovare rifugio. Creonte e Antigone si scontrano. Da un lato, il potere e l’onore; dall’altro, l’attaccamento a delle leggi che valgono più del sangue. Antigone rifiuta un comando che pure viene dall’alto per aderire a una missione che sente più umana e più urgente: lasciare che i morti trovino riposo, che il perdono suggelli la pace, che la terra possa tornare ad essere un luogo ospitale per coloro che la abitano. La storia della giovane donna non finirà bene: costretta nel carcere dalla volontà ferrea del sovrano, si darà la morte subito dopo. Il figlio di Creonte, innamorato di Antigone e suo promesso sposo, non sopportando la perdita della donna amata e colmo di rabbia nei confronti del padre, seguirà Antigone sulla stessa strada. E Creonte rimarrà solo, seduto sui cocci della propria intransigenza, a chiedersi il perché di tanto male. Oggi, tutto il pianeta è Tebe. Tutti gli individui sono Eteocle e Polinice, che sono morti a causa di una guerra fratricida che ha tolto loro il respiro. E tutti siamo – o forse dovremmo essere – Antigone, che lotta affinché ai discorsi su regole e strategie si anteponga il desiderio genuino della pace. Dovremmo tutti essere Antigone.
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bergamorisvegliata · 1 year ago
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STUDIO DELLA COSTITUZIONE ITALIANA
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Scusandoci per il periodo abbastanza prolungato dall'ultimo articolo pubblicato nel blog che ha preso in esame gli articoli dal 25 al 28 della Costituzione Italiana, sintetizziamo qui alcuni aspetti-esempi nei quali trovarci per affrontare poi eventuali complicanze giuridiche.
L'articolo 25 dice che "nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge.
Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso.
Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge."
Cioè: detto giudice dovrà appartenere -in caso di contenzioso "giustizia-reo"- al luogo vicinorio del "sospetto" e non può essere affidato a un secondo che appartenga a un luogo diverso o comunque lontano da quello di nascita del "reo".
E dove non sia acclarato che il fatto non sia stato commesso, nessuno può essere punito/sottoposto a giudizio così come nessun individuo può essere "tradotto" in strutture penitenziarie prima di un equo processo e comunque se non in casi di gravi reati ("previsti dalla legge").
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Per l'articolo 26 " l'estradizione del cittadino può essere consentita soltanto ove sia espressamente prevista dalle convenzioni internazionali.
Non può in alcun caso essere ammessa per reati politici."
Fatte salve le libertà di opinioni, nessun cittadino che debba essere giudicato colpevole di reato potrà essere trasferito in un carcere di un paese diverso da quello di origine e financo per reati politici, a meno che non si sia "macchiato" di gravi reati (diffamazione, violenza, ecc...) per il quale saranno gli accordi, convenzioni, leggi/normative internazionali a decretarne il trasferimento.
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Secondo l'articolo 27 " la responsabilità penale è personale.
L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.
Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.
Non è ammessa la pena di morte."
Fa il paio con gli articoli precedenti, in quanto fino all'emissione del giudizio in fase processuale, nessun cittadino può essere definito colpevole, e comunque -anche in caso di riconosciute colpevolezza e responsabilità- le pene devono essere commisurate in base alla gravità del reato stesso e tendenti alla rieducazione del condannato e al suo reinserimento nella società civile. La pena di morte non è consentita nell'ordinamento giudiziario italiano.
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Infine, con l'articolo 28 "i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici."
Ossia: in fase di dibattimenti giudiziari, gli operatori di giustizia non possono travalicare il senso dello Stato e dovranno argomentare le loro decisioni senza commettere il reato di abuso d'ufficio: in tal caso la responsabilità civile potrebbe ricadere sullo Stato e sui funzionari degli enti pubblici.
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E con questi articoli, si esaurisce la parte dedicata al "Titolo I - Rapporti civili".
Con il prossimo "studio" andremo a esaminare gli articoli che riguardano il "Titolo II - Rapporti etico-sociali".
Intanto, per uno studio ulteriori della Costituzione Italiana, questo è il link:
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giancarlonicoli · 2 years ago
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4 giu 2023 16:15
“CONSIDERANDO LE LEGGI ITALIANE, OGGI MI GIREREI DALL’ALTRA PARTE” – MASSIMO ZEN, L’EX GUARDIA GIURATA CHE PER DIFENDERSI SPARÒ PER DIFENDERSI DA TRE RAPINATORI, A TREVISO, UCCIDENDONE UNO, PRESTO SARÀ IN CARCERE. LA CASSAZIONE LO HA CONDANNATO A NOVE ANNI E LUI ESPRIME TUTTA LA SUA AMAREZZA: “SONO DELUSO DALLA GIUSTIZIA, DALLA MIA AZIENDA, DALLA POLITICA”. E RACCONTA COME ANDARONO LE COSE: “VEDO LA VETTURA DEI RAPINATORI VENIRE DRITTA VERSO DI ME E PER NON FARMI AMMAZZARE, PREMO IL GRILLETTO..."
Estratto da www.open.online
«Considerando le leggi che ci sono in Italia oggi mi girerei dall’altra parte». Questo è il verdetto di Massimo Zen […] mentre aspetta, ancora per poche ore, la sua incarcerazione. Il 22 aprile 2017, Zen ex guardia giurata di Cittadella mise la sua auto di traverso per fermare la fuga di tre uomini che dopo aver rapinato diversi bancomat della provincia di Treviso si stavano dirigendo dritti verso di lui […] con l’intenzione di investirlo. L’auto non si fermava, e Zen reagì esplodendo due colpi. Uno colpì il cofano del mezzo dei ladri, un altro finì addosso a Manuel Major, uno degli autori delle rapine.
«Oggi, o al massimo lunedì», le forze dell’ordine porteranno Zen in carcere, dove dovrà rimanere per 9 anni e mezzo, come deciso dalla corte di Cassazione, contro l’opinione della procura generale.
[…] L’uomo 51enne si dice «deluso dalla Giustizia, che non ha tenuto conto della situazione in cui mi sono trovato a operare. Deluso dall’azienda per la quale lavoravo che, dopo aver promesso sostegno, mi ha lasciato a spasso appena mi è stata tolta la possibilità di lavorare col risultato che, da ormai un anno e mezzo, tiro avanti con l’assegno di disoccupazione.
E deluso anche dalla politica», dato che «nei giorni seguenti alla sparatoria diversi politici dichiararono ai giornali la loro solidarietà […]. Eravamo in periodo elettorale ma, nel giro di breve, la loro vicinanza non si è più fatta sentire», racconta in un’intervista a cura di Andrea Priante per il Corriere del Veneto.
[…] «[…] Fino a quel giorno, per oltre vent’anni ho indossato una divisa e i malviventi ero abituato a catturarli. Invece ora tocca a me andare in carcere e non so cosa aspettarmi».
Zen fornisce la sua versione dei fatti […]: «Quella notte sono di servizio, devo controllare una serie di aziende. Mi fermo a parlare con una pattuglia di carabinieri, quando ricevono l’allarme che un bancomat è stato assaltato e, subito dopo, […] mi segnalano che anche una filiale nostra cliente è stata presa di mira. I militari corrono sul posto e io continuo il mio solito giro, rimanendo in contatto con loro.
Al quarto bancomat svaligiato, i carabinieri riescono […] a intercettare i banditi e si mettono all’inseguimento. Io mi trovo a Vedelago quando, all’improvviso, me li vedo spuntare davanti e metto l’auto di traverso […]». […] «Scendo dal veicolo e mi sono posiziono di lato. Questione di secondi. Vedo la vettura dei rapinatori venire dritta verso di me e mi convinco che vogliano investirmi: tempo dopo, uno dei due nomadi sopravvissuti ammise che se avessero voluto mi avrebbero abbattuto “come un birillo”.
Ho avuto anche la percezione che esplodessero un colpo di pistola, ma quell’arma non è mai stata trovata e quindi è la mia parola contro la loro. Ad ogni modo, per non farmi ammazzare, premo il grilletto due volte: il primo proiettile finisce nel cofano, l’altro attraversa il parabrezza e uccide l’uomo alla guida». Una versione per cui la Corte di Cassazione ha deciso la condanna per omicidio volontario.
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gregor-samsung · 2 years ago
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“ Nella mia camerata, che era la migliore e aveva due panorami, stettero per qualche giorno i capi fascisti, avvocati e dottori, dopo il 18 Settembre; qui vennero alcuni grossisti di olio e di grano negli anni delle leggi sui granai e sugli oleari del popolo: uno di questi, anzi, guardando fuori dalla finestra, comodamente perché la persiana un giorno si trovò asportata o cadde e le pratiche per rimetterla andarono per le lunghe, s’innamorò di una sontuosa fanciulla che si affacciava al suo balcone ad innaffiare le piante grasse sulle lastre di marmo, e che per la prima volta alzava gli occhi al nido dei serpenti, quando il giovane grossista cantava. Dopo pochi giorni si sposarono. Con i fascisti entrarono piatti in quantità, il maresciallo chiese aumento di forza, tanto le guardie erano occupate. “Uscirete presto, la galera non è fatta per voi”. Dicevano i comuni che s’ingrassarono in quei giorni. Io ero tenuto come quelli dai contadini e dagli altri: un calzolaio, un camionista, un ambulante, un piccolo proprietario. Il camionista che disse al commissario: «Non so niente. Sono stato chiamato a caricare paglia». La paglia se n’era caduta alla grande velocità che lui andava ed erano spuntate sul carro le corna dei buoi rubati, lui però non ne sapeva niente. Anche lui mi diceva: «Uscirai presto, la galera non è fatta per te!». Volevo che non fosse così. Non c’erano certi miei signori che avevano ucciso, sia pure per colpa, avevano rubato, violentato la servetta di dodici anni? Stavano protetti nel loro castello e ricevevano le autorità in salotto con la fotografia del genitore, il defunto senatore del Regno, secondo istruttore del processo Matteotti. Il maresciallo non sarebbe venuto qui per i suoi soprusi, i suoi reati, nemmeno il maresciallo del carcere se io l’avessi denunciato per concussione continuata offrendo le prove, l’Esattore mai più, che guadagnava cinque milioni all’anno per legge, i veterinari, che denunciavano l’afta epizootica quando avevano bisogno di soldi, i segretari comunali, il dottore delle prefetture, che, per un sopraluogo finito in un’ora, si faceva pagare tre giorni di trasferta e il segretario asseriva essere doveroso e solito da parte dei sindaci liquidare, il medico che non visitava il giovane, presunto omicida, ridotto con la carne nera in caserma per tre giorni fino alla scoperta del vero autore. E tanti, ma chi può nominarli? Degli Enti, dei Consorzi, degli Istituti, delle Banche. Se quelli commettono un reato, sono trasferiti di autorità con le spese di trasporto a carico del denaro pubblico: così girano anche l’Italia da una provincia all’altra. E se sono licenziati, prendono una liquidazione che li fa milionari. E se restano allo stesso posto, nella stessa città, prendono la tredicesima, la quattordicesima e la quindicesima mensilità perché l’anno lo allungano loro come vogliono. E, ripresi, sanno difendere la causa dei figli e della famiglia piangendo e furiosamente accusando le api regine, gl’intoccabili superiori d’ufficio. Quando quei signori sono colpiti, diventano tutt’al più comunisti per il tempo necessario a rimettere le cose a posto nella santità del lavoro, dello Stato, dello straordinario, della pubblica funzione. Ogni giorno, solo al paese mio, si dicono dieci messe nelle chiese nello stesso momento in cui la carovana dello Stato inizia la sua giornata di crimini e gli uomini forti calpestano le strade. “
Rocco Scotellaro, L' uva puttanella-Contadini del Sud, Laterza (collana Universale, n° 4; prefazione di Carlo Levi), 1977⁴, pp. 92-94.
[Prime Edizioni originali, postume: Laterza (collana Libri del tempo), 1956-1954]
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ilpianistasultetto · 2 years ago
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CONSIGLI PER L'OPPOSIZIONE
Dopo anni e anni di cdx e csx, stavolta ha vinto la dx dx. A questo punto non ci sono piu' scusanti. Per anni e anni li ho sentiti strillare ricette che mai nessun altro governo aveva portato fino in fondo, un po'per comodo, un po' perche' leggi, norme europee e Costituzione le rendono impossibili da attuare. Via tutti gli occupanti abusivi dalle case popolari, via i Rom, via gli stranieri illegali. Da un sondaggio recente il primo punto da cui gli elettori di dx si aspettano risposte e' l'immigrazione abusiva (secondo me anche quella regolare non la digeriscono tanto). Ecco, su questi temi il csx e i 5s devono battere il tasto, non sul fascismo o sul pronome personale con cui la Meloni vuole essere appellata. Si sanno bene dove sono le baraccopoli di schiavi abusivi arrivati in Italia e che la malavita sfrutta. Si conoscono bene le aziende agricole dove viene usata solo manodopera irregolare e sfruttata. Si sanno bene anche le piazze di spaccio e si fa presto anche a fare un censimento di chi abita dentro gli alloggi popolari. Sei in regola? No! Allora un calcio in culo e via per strada (se sei italiano) ; in carcere in attesa di essere messo su un aereo e rispedito al tuo Paese (se sei immigrato). Fossi io il segratario di qualche partito di opposizione, invece di parlare di massimi sistemi, starei a scattare diverse foto al giorno e ad ogni intervista ricorderei alla Meloni e agli italiani " Giorgia, quando la sgombri questa baraccopoli abusiva a Cerignola? E questa di Castelvolturno? E quando cacci tutti questi indiani e bangladini abusivi da queste aziende agricole di Latina e dintorni? E questi spacciatori neri del Pigneto a Roma? E questi ai Navigli a Milano?" Un bombardamento mediatico giornaliero per dimostrare che cosi era prima, cosi e' adesso e cosi' sara' domani, altro che le cazzate facili da sparare quando stai all'opposizione. Ogni giorno bisognerebbe andare a suonare i citofoni degli abusivi e chiedere se la Meloni ha mandato la polizia a sgombrarli. E mai rivolgersi ai ministri di questo governo, tanto gli italiani da questi non si aspettano niente. No! L'opposizione deve chiamare in causa sempre e solo Giorgia la patriota. La facilona, quella dei "1000 euro a tutti con un click". Perche' se non gli smonti il giocattolo, questo presidente del consiglio rimarra' li per altri 20 anni. @ilpianistasultetto
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corallorosso · 3 years ago
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Perché il divieto di aborto in Polonia è una guerra contro tutte le donne di Jennifer Guerra Le strade di Varsavia sono tinte di rosso. È così che le donne del movimento Strajk Kobiet hanno decido di protestare: versando secchi di vernice su se stesse e sui marciapiedi della città, a simboleggiare il sangue di tutte quelle donne che potrebbero morire – e in alcuni casi sono già morte – per le leggi repressive che il governo ha approvato negli ultimi anni nei confronti delle donne e delle minoranze sessuali. Non è la prima volta che le polacche scendono in piazza per questo motivo: Strajk Kobiet è nato nel 2016, per protestare contro un progetto di legge che aveva l’obiettivo di impedire l’interruzione di gravidanza in ogni circostanza. Sono tornate a riempire le strade alla fine del 2020, con la più grande protesta della storia del Paese: quella legge è infatti diventata realtà, e non attraverso un iter parlamentare, ma grazie alla sentenza di una Corte costituzionale giudicata imparziale e collusa con il governo. L’ultimo capitolo di questa storia è l’annuncio dell’introduzione di una nuova figura, un superprocuratore che dovrà vigilare sul comportamento dei polacchi – e in particolare delle donne – accedendo ai loro dati personali e sanitari. Il governo vuole infatti istituire un Istituto per la famiglia e la demografia, guidato dal cattolico fondamentalista Bart łomiej Wróblewski. “Potranno sorvegliare le donne per capire se vogliono abortire o prendere la pillola del giorno dopo, perseguitare le famiglie arcobaleno, strappare i figli alle persone LGBTQ+, impedire divorzi. Stanno chiudendo il cerchio”, ha commentato la co-fondatrice di Strajk Kobiet Marta Lempart, che per il suo attivismo ora rischia fino a 8 anni di carcere e che è stata costretta a lasciare casa sua per le continue minacce. Il ministro della Salute starebbe infatti compilando un database di tutte le gravidanze, con una prassi che ricorda il monitoraggio forzato del regime di Ceausescu. Il dittatore romeno nel 1965 vietò infatti l’aborto e per assicurarsi che il divieto fosse rispettato istituì uno stretto programma di sorveglianza che includeva anche visite ginecologiche obbligatorie, affinché nessuna gravidanza potesse passare inosservata e quindi essere interrotta. La direzione in cui sta andando la Polonia sembra proprio questa: dopo aver inutilmente tentato di far passare una delle leggi più restrittive sull’aborto in Europa, il partito di governo PiS (Diritto e Giustizia) ha aspettato una pronuncia della Corte costituzionale che ha stabilito che l’aborto, a esclusione dei casi di stupro e del pericolo di vita della madre, non rispetta i valori della carta fondamentale polacca. Da anni l’imparzialità della Corte è messa in dubbio dall’opposizione polacca e dall’Unione europea, la cui Corte di Giustizia ha recentemente condannato la Polonia a pagare una multa di un milione di euro al giorno proprio per questo motivo. Diversi tra i giudici della Corte costituzionale polacca – tra cui il portavoce Aleksander Stepkowski – non solo solo vicini al PiS, ma fanno anche parte del gruppo fondamentalista religioso Ordo Iuris. Ordo Iuris si è fatto promotore di alcune delle peggiori leggi varate negli ultimi anni in Polonia dal punto di vista dei diritti civili, come quella che equipara l’educazione sessuale alla pedofilia, la creazione delle “zone libere da LGBTQ+” e la fuoriuscita della Convezione di Istanbul, la convenzione europea contro la violenza sulle donne, da sostituire con una nuova carta intitolata “Sì alla famiglia, no al gender”. Queste leggi, oltre che importanti conseguenze sul piano simbolico e ideologico, stanno avendo esiti ancora più tragici nella vita di milioni di polacchi e polacche: oltre all’omofobia dilagante, gli aborti clandestini sono all’ordine del giorno e a novembre Izabela, una donna di 30 anni, è morta di sepsi nell’ospedale di Pszczyna dopo che i medici si sono rifiutati di praticarle un aborto terapeutico per paura delle conseguenze penali che avrebbero potuto dover affrontare. “Grazie alla legge sull’aborto, aspetteranno che io muoia”, ha scritto in un messaggio alla madre poche ore prima del decesso. Chi se lo può permettere, va ad abortire in Germania o addirittura nei Paesi Bassi, che per aiutare le donne polacche hanno passato una risoluzione che permette loro di abortire gratuitamente nel Paese, un’iniziativa che di solito si riserva in caso di crisi umanitarie. Si stima che più di 34mila donne abbiano compiuto questa scelta da quando la legge è in vigore. Quella polacca è a tutti gli effetti una crisi non solo politica ma anche umanitaria, che si consuma ai danni delle fasce più vulnerabili della popolazione. Il 14 e il 15 dicembre, il Senato polacco discuterà una nuova legge sull’aborto che, se approvata, introdurrà il divieto totale alle interruzioni di gravidanza, compresi i casi di stupro, incesto e pericolo di vita della donna. Anche dietro questa legge c’è naturalmente la mano di Ordo Iuris, che secondo un’indagine del sito di giornalismo investigativo Oko Press riceverebbe anche ingenti finanziamenti statali. Se è vero che lo stato di una democrazia si misura soprattutto dal modo in cui tratta chi è ai suoi margini, di fronte a ciò che accade in Polonia vale la pena notare non solo la vergognosa repressione del governo, ma anche il modo in cui chi ne è vittima la sta combattendo: milioni di donne polacche stanno lottando con coraggio e con ogni mezzo. Non possiamo permettere che quel sangue di vernice che oggi macchia le strade di Varsavia si trasformi in sangue vero.
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autolesionistra · 5 years ago
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Uscire dal welfare dickensiano
E' un fatto, piove pupù. La reazione istintiva davanti alla pioggia di pupù è tipicamente lo struzzismo blindato ma vale la pena recuperare uno scafandro dalla cantina e uscire con una pala per liberare dalla pupù alcuni concetti di base.
Prendiamo il welfare. Il welfare è una parola evocativa che si presta all'enunciazione tramite rutto e suona più fresca e meno trombona di "politiche sociali" o "attuazione dei diritti sociali" o l'altra ventina di sinonimi italiani perfettamente calzanti che però ostacolano l'enunciazione a rutto.
Ora, se uno volesse guardare verso l'alto, si potrebbe anche azzardare che sia un concetto derivabile più o meno direttamente dall'articolo 3 della costituzione:
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Ma questo approccio presenta due problemi: il primo, che è una frase impossibile da leggere ad alta voce senza ridere o piangere (provateci). Il secondo, che quando si parla di welfare nessuno guarda verso l'alto, lo sguardo crolla inevitabilmente verso il basso.
Test clinici dell'università di Stantufford dimostrano che ogni misura tecnica catalogabile alla voce "welfare" tipicamente innesca nella Persona Media™ le seguenti reazioni:
1) posso usufruirne? (se sì, la misura è considerata all'istante Buona e Giusta salvo apporti di benefici ritenuti risibili) 2) se non posso usufruirne, potrei farlo in futuro? (ad es.: se mi capitano Sfighe Grosse, se sforno figli, etc...) 3) se proprio non posso usufruirne, chi può farlo siamo sicuri che se lo meriti?
Questi punti restano validi per ogni provvedimento che riguardi previdenza sociale, istruzione pubblica, cultura, eccetera, ma è il terzo in particolare che tende a farmi venire come un leggero desiderio di passare dalla tessera di emergency a quella dell'isis.
Ora, se fermi uno per strada e gli leggi l'articolo 32 della costituzione (la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti) difficilmente ti dirà che è una fesseria. Il problema è che se vai ad analizzare il concetto di indigente ti esce fuori Oliver Twist.
L'indigenza non è una condizione umana ma è un titolo da guadagnarsi con il seguente curriculum: - situazione di povertà dovuta esclusivamente a cause esterne - rigore morale cristallino, accettato un numero relativo di trasgressioni solo se dovute ad angherie di terzi - assenza di vizi degni di nota (alcool, giuoco, droghe) - situazione penale e amministrativa priva di ombre - immunità totale alle lusinghe del consumismo. se hai uno smartphone cesso o un paio di nike tarocche chiaramente puoi permetterti un tetto dove dormire e pasti vari
Ora lungi da me qualsiasi tipo di determinismo calvinista del tipo chi-è-povero-se-l'è-cercata, però, per scippare le parole a Capriccioli/Metilparaben:
Perché i poveri italiani non sono sono soltanto l'imprenditore fallito che dorme in macchina, il padre separato che va a mangiare alla Caritas, il caso eccezionale di quello che viene da Scampia e adesso ha un dottorato di ricerca. È facile, troppo facile fare gli amici di questi poveri qua. I poveri italiani sono soprattutto i tanti, tantissimi che nelle borgate e nei quartieri ghetto ci nascono e ci rimangono, quelli attanagliati dall'ignoranza, dalla miseria e dalla sottocultura, quelli che si arrangiano come possono, che infrangono la legge, che fanno dentro e fuori dal carcere, che cercano di sopravvivere coi mezzi che hanno.
Io andrei per piccoli passi. Piccolissimi. Non vi chiedo una donazione a piazza grande o di dare due euro ad uno che dorme sotto al portico di sanLùca e odora di trebbiano marsalato , neanche di sostenere forze politiche che facciano finta di considerare un principio costituzionale la rimozione di ostacoli di ordine eocnomico e sociale che impediscano libertà e uguaglianza dei cittadini (è un periodo che mi vengono tutti questi termini desueti tipo mobilità sociale, classismo, non so come mai). Io partirei da una lenta uscita dall'immaginario dickensiano iniziando anche per pochi minuti a pensare che le persone descritte da Capriccioli, banalmente, esistono. E continueranno ad esistere a prescindere da cosa vi raccontino. E che se proprio vi stanno sul culo, se proprio volete farle calare, è molto più efficace (ri?)mettere le basi per una società inclusiva che promuova mobilità sociale, attuazione e tutela dei diritti piuttosto che illudersi che ghettizzazione, militarizzazione e daspi servano a qualcosa.
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levysoft · 5 years ago
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Quando si comincia ad affrontare lo studio della filosofia, uno dei primi testi in cui ci si imbatte è l’Apologia di Socrate scritta da Platone. Un libro piuttosto breve e semplice, che anche a scuola spesso si assegna agli studenti proprio perché permette di addentrarsi agilmente nel pensiero di Socrate.
Se ancora non l’avete letto e volete qualche notizia al riguardo, siete nel posto giusto. Nell’articolo qui sotto troverete infatti tutto quello che c’è da sapere su questo libro, che vi presenteremo legandolo anche al pensiero di Socrate.
Infine, in chiusura, troverete anche il testo completo da scaricare in diversi formati, in modo che possiate scegliere quello che vi fa più comodo e passare a scoprire il racconto dalla vivida voce di Platone. Iniziamo.
1. Di che libro stiamo parlando
Diamo prima di tutto una presentazione generale dell’opera. L’Apologia di Socrate venne composta da Platone all’incirca tra il 399 e il 388 a.C. ed è la prima opera del grande filosofo greco. Fu, anzi, l’opera che in un certo senso convinse Platone a darsi alla filosofia.
Quest’ultimo, infatti, era stato ad Atene allievo di Socrate, con lo scopo inizialmente di dedicarsi poi, una volta adulto, alla carriera politica. Gli eventi che capitarono però al suo maestro, ben descritti nell’Apologia e in alcuni dialoghi successivi, gli fecero presto cambiare idea.
Il titolo, infatti, rende chiaro che nel testo vengono raccontati eventi drammatici: il libro non è altro che una raccolta dei discorsi che Socrate tenne per difendersi dalle accuse che gli venivano rivolte nel tribunale democratico ateniese.
Fu proprio Platone a mettere per iscritto queste arringhe, compiendo un’impresa importante sotto diversi punti di vista. Da un lato, infatti, il testo costituisce un interessante documento storico, utile per capire la vicenda che portò alla morte di Socrate; dall’altro, ci permette di conoscerne anche il pensiero.
Socrate, infatti, non scrisse mai nulla, convinto che si potesse filosofare solo oralmente. Platone – pur conservando l’impianto del dialogo o, come in questo caso, del monologo in cui il protagonista si rivolge a interlocutori fittizi – decise però di lasciare ai posteri il racconto di quanto avvenne allora.
2. Il riassunto dell’opera
Il testo si apre con la prima difesa di Socrate, in cui il filosofo risponde a Meleto, che probabilmente aveva appena pronunciato la sua arringa d’accusa. Subito il pensatore si rivolge alla giuria, sfoderando la propria ironia e presentandosi come un uomo poco avvezzo alle dinamiche dei tribunali.
Detto questo, spiega – rivolgendosi ad interlocutori immaginari – di non essersi mai interessato a cose di scienza e quindi di non aver mai potuto insegnare nulla di empio. Lui infatti non è un sofista, anche perché non si abbassa a farsi pagare per gli insegnamenti.
Passa quindi a citare il celebre episodio di Cherefonte, suo amico, che si era recato dall’oracolo di Delfi chiedendo se vi fosse qualcuno di più sapiente di Socrate. E la risposta dell’oracolo era stata che nessuno era più sapiente di Socrate.
Il sapiente è chi sa di non sapere
Questo dà all’ateniese l’occasione per spiegare il suo percorso filosofico, che l’aveva portato a chiedersi come fosse possibile quel responso dell’oracolo, visto che Socrate stesso si riteneva ben poco sapiente. E così il filosofo aveva interrogato politici, poeti, oratori ed altri sapienti, accorgendosi però che la sapienza di queste persone era superficiale.
Nei dialoghi, infatti, Socrate aveva posto frequenti domande che avevano messo in difficoltà i suoi rispettivi interlocutori, fino a farli crollare. Questo gli aveva attirato molte inimicizie, ma l’aveva portato anche a comprendere la vera natura della risposta dell’oracolo.
Leggi anche: So di non sapere: cinque citazioni di Socrate (tramite Platone)
Socrate era davvero il più sapiente perché a differenza degli altri – che si credevano sapienti, pur non essendolo – sapeva di non sapere.
Le accuse
Il processo però verte su alcune accuse ben precise. Socrate è accusato di corrompere i giovani, di non riconoscere gli dei della città e di introdurne di nuovi.
Riguardo ai giovani, il filosofo sfrutta le stesse parole del suo accusatore Meleto, che sosteneva che le persone stanno solo con chi apporta loro dei beni e rifuggono da chi apporta dei mali. Pertanto, se Socrate è circondato da giovani dev’essere perché apporta loro dei beni.
Al massimo, potrebbe insegnar loro cose sbagliate senza volerlo (altrimenti si condannerebbe volontariamente alla solitudine), ma secondo le leggi ateniesi chi sbaglia senza saperlo non deve essere processato, ma casomai corretto.
Per quanto riguarda poi l’accusa di introdurre nuovi dei, Socrate spiega poi che se anche il suo dio fosse nuovo, non potrebbe non essere altro che il figlio di uno degli dei esistenti, e così non starebbe affatto rinnegando gli dei tradizionali, ma continuerebbe a credervi.
L’eventualità della morte
Socrate poi spiega di non aver paura della morte, perché bisogna temere solo ciò che è un male, mentre della morte non si sa cosa sia. Il male, in questo caso, sarebbe invece smettere di filosofare, visto che Socrate è chiamato a farlo dal Dio.
Come in battaglia il filosofo era rimasto fedele al suo posto, così deve rimanere fedele al suo compito ora, compito che è quello di ammonire gli ateniesi, costi quel che costi. Il suo dovere è quello di essere un tafano che punzecchia un cavallo nobile affinché non impigrisca.
D’altronde, spiega anche di sentire dentro un daimon che gli impedisce di compiere il male, e già in passato è rimasto fedele ai suoi insegnamenti. Ad esempio, quando fece parte del consiglio fu il solo a votare contro al processo dei comandanti che non avevano raccolto i naufraghi dopo la battaglia delle Arginuse, perché reputava quel processo illegale.
Inoltre, si rifiutò di uccidere Leonte di Salamina quando ne ricevette l’ordine dal governo dei Trenta Tiranni, ben consapevole che quel suo rifiuto gli sarebbe costato la vita. Fu solo per il rovesciamento del regime che non venne poi ucciso in quell’occasione.
Il verdetto e la pena
Si arriva dunque alla conclusione del processo e al verdetto. Verdetto che però è sfavorevole a Socrate, anche se di poco: di 500 votanti, 220 si esprimono per l’assoluzione e 280 per la condanna. I suoi amici gli prospettano subito di darsi alla fuga, ma Socrate rifiuta, perché non bisogna commettere ingiustizianeppure quando la si riceve.
A quel punto, il filosofo – secondo la legge – ha la possibilità di avanzare una proposta di pena. Socrate, però, sorprende tutti affermando che dovrebbe essere mantenuto dalla città, per il bene che sta facendo ad Atene. D’altronde, le altre opzioni – carcere o esilio – non gli paiono praticabili, perché «una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta».
Al limite, Socrate propone di pagare una piccola multa di una mina d’argento, cosa che indispettisce ulteriormente la giuria. Infatti il verdetto dei 500 per quanto riguarda la pena è ancora più netto del precedente e prevede, alla fine, la condanna a morte dell’imputato.
Il commento di Socrate
Socrate ha un’ultima occasione per esprimere il suo punto di vista. Mostra in primo luogo l’assurdità di un verdetto del genere, che lo trasformerà in una sorta di martire e produrrà vari altri tafani che, seguendo il suo esempio, andranno in giro a punzecchiare gli ateniesi potenti.
Esamina poi la morte, che presenta o come un sonno piacevole, profondo e senza sogni, oppure come un viaggio verso l’Ade, dove potrà incontrare i grandi dell’antichità e coi quali potrà filosofare. D’altronde, «a colui che è buono non può accadere nulla di male». E la morte, dunque, non può essere male.
3. Il significato del testo
Come abbiamo detto, l’Apologia di Socrate è un ottimo sunto non solo delle vicende storiche che colpirono il pensatore ateniese, ma anche dei tratti salienti del suo pensiero. In fondo, c’è tutto quello che è importante sapere: la sapienza, il demone interiore, la virtù.
Socrate è infatti prima di tutto un uomo in ricerca, consapevole che la filosofia può essere condotta solo in due, col confronto e col dialogo. Quando all’inizio si interroga sul significato della frase dell’oracolo di Delfi non fa altro che presentarci le basi del suo metodo, fondato sull’ironia e la maieutica.
Poi ci mostra anche come la sua morale, profondamente radicata nell’uomo, abbia però anche un che di divino, visto che a garantirne la validità c’è sempre la voce del demone, capace di riportare sulla retta via il filosofo quando questi sia propenso a sbagliare.
Infine, il testo è un emblema dell’estrema coerenza dell’ateniese: pur vedendosi condannato ingiustamente, Socrate accetta la condanna del tribunale e rimane fedele alle leggi della sua città, anche se questo comporta la sua morte.
D’altro canto, il saggio non deve temere affatto la fine della vita, perché nulla può effettivamente turbare il filosofo che segue il bene e la virtù.
4. La sua importanza nella storia
Come dicevamo nel primo punto della nostra presentazione, l’Apologia di Socrate è importante sia perché è un documento coevo – fu scritta poco dopo il processo –, sia perché ci permette di conoscere a fondo il pensiero di Socrate.
Questo grande pensatore ateniese, infatti, è stato a lungo piuttosto ostico da decifrare. Da un lato, perché non aveva scritto nulla, ma dall’altro perché le altre fonti che raccontavano il suo pensiero non erano sempre del tutto coerenti.
Ad esempio, a parlare di Socrate fu tra gli altri il celebre commediografo Aristofane, che lo rese protagonista della sua opera Le nuvole, dipingendolo però quasi come un sofista. Oppure ancora ci sono le notizie riportate da Aristotele, che però fu solo un testimone indiretto. Oppure i testi di Senofonte (che scrisse anch’egli una Apologia).
 Lo stesso Platone, poi, non è sempre un testimone attendibile delle vicende di Socrate. Come forse ricorderete se avete studiato un po’ di filosofia greca, infatti, Platone utilizza il personaggio Socrate in molti suoi dialoghi, facendone il portavoce dei suoi ragionamenti.
I problemi critici
Per questo motivo è spesso assai difficile riuscire a capire, leggendo un testo platonico, quali delle parole pronunciate da Socrate siano veramente frutto del pensiero di Socrate e quali invece siano da attribuire in toto a Platone.
Solitamente, i critici ritengono che i dialoghi platonici scritti prima, e quindi più ravvicinati al processo e alla morte di Socrate, siano i più fedeli al pensiero socratico, e quelli scritti dopo siano invece quelli che più si allontanano dalla reale filosofia del maestro.
Leggi anche: Cinque celebri miti di Platone
Per questo motivo, l’Apologia di Socrate di Platone diventa particolarmente rilevante: essendo il primo libro dell’ateniese, è anche quello che probabilmente meglio descrive la reale filosofia di Socrate e quindi quello più attendibile per studiarne il pensiero.
5. Il testo completo da scaricare in PDF e altri formati
Dopo tante parole nostre, forse vorrete anche – e giustamente – leggere direttamente l’opera di Platone, che tra l’altro è molto breve e di agile fruizione. Qui sotto la trovate in formato ePub (adatto a smartphone e tablet) e PDF, ma vi indichiamo anche i link per audiolibri gratuiti e altri formati particolari.
Queste versioni sono infatti quelle del progetto LiberLiber, che vi consigliamo di visitare1. La traduzione è quella di Francesco Acri, curata da Carlo Carena.
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petalididonna · 5 years ago
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Da una parte Alessandra Mussolini, nata a Roma il 30 dicembre 1962.
Note particolari, il cognome. Che rivendica con orgoglio. Punto.
Prova a sfondare in televisione e come attrice, con ruoli “indimenticabili” come una conduzione di Domenica In con Pippo Baudo nella stagione ‘81-‘82, una comparsata in un film con Pozzetto e Montesano e - culmine irraggiungibile - un servizio per playboy nel 1983.
Riprova a sfondare come cantante, con l’Lp “Amore” che però vende solo in Giappone. Dove evidentemente non capiscono i testi.
Si laurea in medicina nel 1992, con uno scandalo mai del tutto cancellato su esami comprati.
Avendole provate tutte, decide di sfruttare il cognome per mettersi a carico dei contribuenti.
Con coerenza fascista.
Per 9 anni è eurodeputata; per un anno senatrice; per oltre un decennio Deputata.
Partiti?
Forza Italia, MSI, AN, AS, PdL, Indipendente.
Con fierezza difende la famiglia “tradizionale”. Pur essendo sposata con un uomo che ha patteggiato un anno per esser stato cliente di minorenni.
Rivendica ancora oggi, con orgoglio, tutto lo scempio - assassino e infame - che è il fascismo.
Dall’altra parte Liliana Segre. Nasce a Milano il 10 settembre 1930 da una famiglia ebraica ma laica. Acquisisce consapevolezza del suo essere ebrea a 8 anni, nel 1938, solo con l’emanazione delle Leggi Razziali (volute dal nonno di quella di prima).
Nel 1943, in seguito all’incancrenirsi delle persecuzioni razziali, prova col padre e i cugini a sfuggire in Svizzera. Vengono respinti e Liliana, dopo un giorno, viene arrestata a Selvetta di Viggiù. Ha tredici anni. E passa - fra Varese, Como e San Vittore - 40 giorni in carcere.
Il 30 gennaio 1944 viene deportata dal binario 21 della stazione di Milano Centrale al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau.
Lì viene separata dal padre, che muore dopo pochi mesi.
Da quel momento, sul braccio e marchiato a fuoco, porta il numero 75190.
Viene liberata il primo maggio 1945. Di 776 bambini, lei è fra i 25 sopravvissuti.
Dopo la Liberazione - e per quasi mezzo secolo - prova a rimuovere.
«Era molto difficile per i miei parenti convivere con un animale ferito come ero io: una ragazzina reduce dall'inferno, dalla quale si pretendeva docilità e rassegnazione. Imparai ben presto a tenere per me i miei ricordi tragici e la mia profonda tristezza. Nessuno mi capiva, ero io che dovevo adeguarmi ad un mondo che voleva dimenticare gli eventi dolorosi appena passati, che voleva ricominciare, avido di divertimenti e spensieratezza.»
Dal 2018 - a 80 anni dalla emanazione delle Leggi Razziali volute dal nonno di quella di prima - è Senatrice a vita.
E spende il suo tempo, la sua vita, in nome della Memoria. Di ciò che è stato e che non deve essere mai più.
Oggi la prima, quella col cognome “così”, ha detto che Liliana Segre fomenterebbe il pregiudizio contro il fascismo.
MAVAFFANCULO.
Ho finito.
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paoloxl · 5 years ago
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(via Cari amici e compagni - Carmilla on line)
Cari amici e compagni,
sono trascorsi quindici mesi dal mio sequestro a Santa Cruz e dalla successiva deportazione coatta a Roma. Da allora mi ritrovo in un regime d’isolamento normalmente riservato, per un massimo di quindici giorni, ai detenuti sottoposti a una procedura punitiva. Non è ovviamente il mio caso, rappresento infatti un accidente inedito nel sistema penitenziario italiano.
Fin qui ho subito passivamente (avevo scelta?) l’abuso di potere per le seguenti ragioni: non avevo informazioni circa i miei diritti previsti nell’Ordinamento Penitenziario; i mesi dedicati alla stesura del mio ultimo romanzo mi hanno aiutato a sopportare la clausura alla quale sono illegalmente costretto. Oggi queste due condizioni hanno cessato di essere. La stesura del libro, scritto con mezzi di fortuna, è terminata. Un anno d’isolamento è stato abbastanza lungo da rivelarmi gli abusi che il ministero ha orchestrato, con l’evidente obiettivo di farmi “marcire in prigione”, così come un ministro di Stato ha pubblicamente promesso a suo tempo.
Il livello massimo è stato attinto due mesi fa, quando mi sono visto rifiutare il sacrosanto diritto della videochiamata con mio figlio di sei anni che vive in Brasile. Un rigetto ministeriale deciso a scapito delle stesse leggi italiane, nonché della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e delle disposizioni europee in materia.
Il massacro mediatico orchestrato dallo Stato sul “caso Cesare Battisti” ha permesso che una drammatica violazione dei diritti umani si producesse impunemente nel seno di una democrazia europea. Ciò è stato possibile solo perché, avendo dalla loro certi media, le autorità responsabili di abusi si sono credute al riparo da eventuali scandali pubblici.
Io so che ci sono, qui e altrove, uomini e donne che non hanno mai accettato le disinformazioni furbescamente veicolate sul supposto “mostro-mito” Cesare Battisti. È a queste persone che rivolgo questo appello, affinché facciano sentire la loro voce contro la brutalità e l’ingiustizia. Con l’obiettivo di allertare lo Stato affinché siano rispettate le leggi nazionali. Senza eccezioni di sorta e per tutta la popolazione detenuta.
Io so che sarà una battaglia difficile, ma è importante agire, aprire una breccia nel muro del silenzio. Altrimenti, quei figuri sostenitori dello Stato delle urgenze avranno via libera per portare a termine i loro loschi piani, sulla mia pelle e su quella, verosimilmente, di migliaia di altri detenuti.
L’isolamento mi obbliga a far valere solo le mie ragioni. Gli argomenti che posso fornire a coloro che la società la vivono e non la subiscono sono solidi:
Mi si costringe all’isolamento abusivo, senza mai contatti con altri detenuti.
Sottomesso a una sorta di regime di punizione permanente, senza alcuna ragione dichiarata, infrangendo leggi e norme stabilite, mi è concessa appena un’ora d’aria, sempre e solo al momento del pranzo, cioè la scelta dell’uno esclude l’altra.
Mi sono negati gli strumenti necessari per svolgere correttamente la mia attività di scrittore, come lo permette la legge che dovrebbe garantire tutti, inclusi gli appartenenti ai circuiti di alta sorveglianza.
Mi si mantiene nel circuito AS2 (per terroristi), quando platealmente non esiste più de facto un pericolo che giustificherebbe una simile misura (c’è ragionevolmente da chiedersi quanti altri versano nella stessa situazione). Quarant’anni di rifugio politico vissuti in assoluta trasparenza, sempre sorvegliato, non sarebbero rivelatori circa un eventuale profilo a rischio?
Mi si mantiene in un’isola, lontano da tutti gli affetti e possibilità di inserimento, in un carcere che gode fama di rigore eccessivo. Ciò con lo scopo di debilitare le resistenze fisiche e psicologiche e ridurre i contatti con l’esterno, date le difficoltà per raggiungermi.
Al colmo della viltà, mi si impedisce addirittura di mantenere il legame paterno con un bimbo di sei anni.
Primo Levi diceva che si abbassa a bestia l’uomo perché l’aguzzino senta meno grave la sua colpa.
Ecco, cari amici e compagni, la situazione che ho sopportato in silenzio durante questi quindici mesi a Oristano. Dico in silenzio, perché al “mostro” creato a uso e consumo delle pubbliche frustrazioni (con tutto il rispetto per le vittime) è proibito anche lamentarsi, pena il risveglio del linciaggio. Ciò anche quando le ingiustizie in questione ledono il rispetto delle famiglie e della società.
Ringrazio tutti, ancora una volta, per la solidarietà. Un abbraccio.
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internazionalevitalista · 5 years ago
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Tesi sulla ribellione di George Floyd
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Di Shemon e Arturo da https://illwilleditions.com/theses-on-the-george-floyd-rebellion/
1. La rivolta di George Floyd è stata una ribellione multirazziale guidata dai neri. Essa non può essere categorizzata sociologicamente come una ribellione esclusivamente nera. Ribelli provenienti da gruppi di tutte le discendenze hanno combattuto la polizia, espropriato e bruciato proprietà. Inclusi nativi, ispanici, asiatici, e bianchi.
2. Questa sollevazione non è stata fatta da provocatori venuti da fuori. I dati dei primi arresti mostrano che si trattava di gente proveniente dalle zone limitrofe alla ribellione. Se c'era chi si era messo in viaggio dalle periferie, ciò non fa altro che rivelare la geografia scomposta della metropoli americana.
3. Sebbene vi abbiano partecipato molti attivisti ed organizzatori, questa ribellione non è stata organizzata dalla sinistra rivoluzionaria minoritaria e neanche dalle cosiddette ONG progressiste. È stata una ribellione informale ed organica, originata direttamente dall'esasperazione della classe lavoratrice nera nei confronti della società borghese e in particolare della polizia.
4. Lo stato di polizia non solo è stato colto alla sprovvista dalla portata e dall'intensità della ribellione, ma la società civile ha anche esitato e vacillato di fronte a questa rivolta popolare che si è diffusa in ogni angolo del paese e ha creato paura e scompiglio nella polizia.
5. La polizia ha mostrato molte debolezze durante la ribellione. Di fronte ad appena qualche centinaio di manifestanti, i dipartimenti sono stati facilmente sopraffatti e costretti a concentrare le loro forze in alcune zone nevralgiche. Appena la polizia arrivava in una zona di conflitto la gente si ritirava e si muoveva verso un altro posto per fare più danno. L'assetto di guerra tradizionale, con enfasi sulla superiorità di equipaggiamento e di tecnologie, ha fallito nel contrastare una serie di manovre flessibili, decentralizzate e rapide, focalizzate sulla distruzione di proprietà.
6. Dal 26 maggio al primo giugno c'è stata la fase militante della ribellione. Dopo il primo giugno la ribellione è stata non solo repressa militarmente, ma anche politicamente. Oltre alla repressione di polizia, militari e vigilantes, la sollevazione è stata attaccata da elementi della sinistra che hanno reagito ai riot condannandoli a causa dei provocatori venuti da fuori. In alcuni posti, i “buoni manifestanti” sono arrivati a bloccare i “cattivi manifestanti” e a consegnarli alla polizia.
7. Le ONG nere, compresa la fondazione Black Lives Matter, non hanno avuto alcuna relazione con la fase militante della ribellione. Queste organizzazioni, infatti, tendono a recitare un ruolo reazionario, spesso impedendo che riot, espropri ed attacchi alla polizia si diffondano. Le ONG nere sono state la punta di diamante delle forze che dividevano il movimento in buoni e cattivi manifestanti. La base sociale delle ONG nere non è il proletariato nero ma la classe media nera e, soprattutto segmenti della classe media bianca in via di radicalizzazione.
8. Questa ribellione ha riguardato la violenza razzista della polizia e l'ineguaglianza razziale, ma anche l'ineguaglianza di classe, il capitalismo, il COVID-19, Trump e altro ancora.
9. Questa ribellione apre una nuova fase nella storia dell'Isola Tartaruga [termine che designa Il Nord America nella cosmogonìa geografica dei nativi e in particolare dei Lenape, NdT] . Una nuova generazione ha fatto esperienza di un movimento potente e di fronte al perpetuarsi delle ineguaglianze e della crisi ha trovato improbabile starsene
seduti e accettare tutto ciò. La ribellione ha prodotto una nuova soggettività politica - il ribelle George Floyd - dando inizio a una serie di processi dagli esiti molteplici che saranno determinati dalla lotta di classe nel presente. Il proletariato americano è finalmente emerso ed è entrato nella storia.
10. Questa ribellione è la punta dell'iceberg della lotta alla pandemia. La ribellione mostra al mondo che la lotta rivoluzionaria può avvenire anche durante una pandemia. La pandemia peggiorerà solamente le condizioni di vita in tutto il mondo; come risultato possiamo aspettarci altre ribellioni in giro per il globo.
11. Ad oggi la ribellione di George Floyd è stata soppressa. In molti delle ONG e della classe media racimoleranno le briciole degli sforzi coraggiosi dei ribelli che hanno combattuto in quella settimana. Ma queste ribellioni torneranno. Sono parte della lotta di classe in corso negli Stati Uniti e a livello globale dall'ultima recessione mondiale (2008-2013). Ora l'economia mondiale è di nuovo in recessione.
12. Le attuali proteste diurne sono un prodotto contraddittorio della ribellione, caratterizzate da grandi folle, più classe media e più bianca. Questa composizione sicuramente aiuta a creare una atmosfera di tipo non violento e del “manifestante buono”, ma ciò è imprescindibile dai leader neri che sostengono questo tipo di politica. Allo stesso tempo, l'espansione delle proteste diurne consente una partecipazione più ampia, che è importante.
13. Gli scontri notturni hanno un limite nel senso che non trascinano larghi settori della società. Scontri, saccheggi, e attacchi alla polizia sono forme di azione di giovani e poveri. Molti lavoratori provano simpatia, ma stanno a casa. Questo mostra che gli scontri da soli non bastano.
14. Molte lotti importanti si sono mescolate con questo movimento, compresi i lavoratori dei trasporti che si sono rifiutati di collaborare con la polizia. Tuttavia, non è chiaro come questa ribellione si connette con le lotte che ribollono nei posti di lavori, con le lotte nelle carceri, e con le lotte per la casa che sono emerse nel contesto della pandemia. Qui sembra ci siano storiche e future connessioni da stabilire. In quale misura sono stati coinvolti negli scontri coloro che erano stati coinvolti nelle precedenti lotte nei posti di lavoro? E in quale misura i ruoterà torneranno al lavoro e sul lavoro continueranno la lotta?
15. I sindacati spesso considerano la polizia e le guardie penitenziarie come lavoratori bisognosi di protezione, invece di vederli come i mazzieri armati della borghesia che sono. A dispetto di una lunga storia di poliziotti repressori di scioperi, resta ancora molto da fare sul fronte del lavoro quando approccia alla questione dell’abolizione della polizia e del carcere. Senza lavoratori dei trasporti, lavoratori della logistica, lavoratori delle pulizia, lavoratori della sanità e altri, la lotta abolizionista è bloccata.
16. Considerando i bassi tassi di sindacalizzazione, molte lotte nei posti di lavoro saranno caotiche, esplosive, e senza mediazione dei sindacati o di qualsiasi altra organizzazione ufficiale. I sindacati cercheranno di stabilire un controllo su di esse e di cooptarle. Possono le lotte nei posti di lavoro corrispondere alle lotte nelle strade? Se sì, entreremo in una nuova fase di conflitto.
17. Nel tentativo di riconsolidare il suo potere e prevenire la rivoluzione, la borghesia corre a garantire riforme e concessioni. Alcuni poliziotti vengono licenziati e incriminati; i fondi di qualche dipartimento di polizia vengono tagliati; varie scuole e università cancellano i loro contratti con la polizia; diverse statute di razzisti sono rimosse; Trump firma un ordine esecutivo che stanzia maggiori risorse per la responsabilità penale della polizia; il Consiglio comunale di Minneapolis vota lo smantellamento del suo dipartimento di polizia. Questa sequenza segue un canovaccio comune nella storia capitalista - la classe dominante risponde alle crisi rivoluzionarie riorganizzandosi e ristrutturandosi in una forma che le garantisca di restare al potere.
18. Ciò che deve essere conseguito attraverso l’azione autonoma del proletariato, altri elementi della società cercano di agirlo con petizioni, leggi e cambiamenti nella polizia. Le riforme sono un obiettivo lodevole in un sistema capitalista razziale che dà in modo chiaro priorità alla polizia piuttosto che alla vita. Tuttavia, dobbiamo tenere a mente che la società borghese vuole mantenere questa ribellione più circoscritta possibile: perimetrandola solo su George Floyd, sulla diminuzione dei fondi della polizia e sulla redistribuzione delle risorse su altri settori sociali. Ma questa ribellione ha a che fare con molto di più. Ha a che fare con la profonda ingiustizia che un popolo percepisce e che nessun grado di riforma può estinguere.
19. L’abolizione comporta la distruzione materiale della gamma di infrastrutture costruite nell’era del capitalismo razziale. L’abolizione è avvenuta dal 26 maggio al primo giugno. Come conseguenza della rivolta dilagante, in una settimane è avvenuto molto di più in termini di discredito e limitazione della polizia che in tanti decenni di attivismo. Qui vediamo il potenziale dell’abolizione nel suo senso pieno, nell’apertura di un veloce momento di solidarietà tra differenti settori razzializzati del proletariato, nella genesi di una crisi nazionale, e nello spalancare la porta a un nuovo mondo, in un istante.
20. Non tutto quello che ha avuto luogo durante l’insurrezione ha rafforzato e liberato. Gli stessi problemi che esistevano prima hanno continuato ad esistere durante la ribellione - razzismo, transfobia, omofobia, competizione per procacciarsi risorse. Tutto questo non scompare improvvisamente in una ribellione. Il cruciale lavoro di costruzione di un mondo nuovo resta da fare.
21. Dobbiamo chiederci quale sia il significato ultimo di questa rivolta. Il tema è Black Lives Matter solo riguardo a coloro che sono razzializzati come neri o la lotta dei neri assume un contenuto più esteso?
22. I paragoni tra questa rivolta e il 1968 sono errati. Questa rivolta è differente su molti piani. Ci sono sindaci neri e dirigenti neri della polizia che governano in molte città. A ribellarsi è stato un proletariato multirazziale.
23. Può il proletariato nero guidare gli altri settori razzializzati del proletariato negli anni a venire’ Questa è una domanda vecchia di un secolo, con Du Bois, Haywood, James, Jones e Hampton che hanno tutti cercato di individuare differenti coalizioni con gli altri settori in questo paese e fuori nel tentativo di battere il capitalismo razziale e l’impero. Tutti loro sapevano che il proletariato nero può far esplodere una vasta ribellione, ma non può battere i suoi nemici da solo.
24. L’unificazione del proletariato in una lotta comune per eliminare il capitalismo è la sola speranza che ha l’umanità di salvare sé stessa e il pianeta. Il suo contropotere è fondato su tutte le persone che concorrono a combattere contro il razzismo, il patriarcato e tutto ciò che il capitalismo porta con sé.
25. Il desiderio di una solidarietà multirazziale è sempre pregno, come le storie del razzismo hanno mostrato. Lo sviluppo della solidarietà sarà teso difficile e dipenderà dalle circostanze oggettive e dalle scelte strategiche. Tra le maggiori preoccupazioni ci deve essere che di questa solidarietà non finisca per fare le spese la liberazione dei neri. Per prevenire ciò, ogni sforzo deve essere fatto per rispettare e sostenere l’autonomia della lotta rivoluzionaria dei neri.
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mezzopieno-news · 5 years ago
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L’OLANDA DIVENTA IL PRIMO PAESE AL MONDO SENZA RANDAGISMO
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L'Organizzazione Mondiale della Sanità stima che ci siano circa 200 milioni di cani randagi nelle città e nelle periferie di tutto il mondo. Questi animali vivono con difficoltà nell'ambiente urbano e rappresentano un fenomeno di difficile gestione in diversi Paesi.
La prima nazione al mondo a eliminare il fenomeno del randagismo è l’Olanda. Nessun cane nei Paesi Bassi è abbandonato in città e ognuno ha un padrone e una casa. Questo risultato è stato ottenuto in seguito a una campagna durata molti anni che ha portato a importanti riforme alla legislazione e introdotto leggi per il benessere degli animali. Tutti i cani di strada hanno ricevuto un esame medico e le vaccinazioni necessarie e un programma di sterilizzazione mirata ha permesso di ridurre la diffusione di malattie come la rabbia. Oggi le vaccinazioni e la sterilizzazione per i cani domestici sono gratuite e l’Olanda ha adottato il metodo PSVIR (prelievo, sterilizzazione, vaccinazione, identificazione e ritorno) che ha permesso al Paese di raggiungere per primo al mondo la quota zero cani randagi.
Il governo olandese ha inoltre adottato delle rigide leggi sul benessere degli animali al fine di migliorare i loro diritti e proteggere la loro salute. Già dalle scuole si educa al rispetto per gli animali e qualsiasi atto di abbandono o crudeltà nei confronti di un animale è punito con 3 anni di carcere e una multa di circa 16.000 euro. L'abbandono è considerato fuori legge e una divisione speciale di agenti di polizia è stata creata per prevenire le crudeltà sugli animali.
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Fonte: Dutch Review
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