#carcere Alessandria
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Ennesimo atto di violenza nei confronti della Polizia Penitenziaria al Don Soria di Alessandria: dieci agenti feriti, uno grave
Maurizio Sciaudone: “Serve una risposta immediata a un problema che si ripresenta con drammatica frequenza” Un nuovo grave episodio di violenza all’interno della Casa circondariale Don Soria di Alessandria ha scosso l’intera comunità cittadina. Venerdì 28 marzo, tre detenuti si sono barricati nella loro cella e, in pochi minuti, hanno aggredito brutalmente diversi agenti della Polizia…
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Redattore Sociale
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Alessandria: Operazione Antidroga alla Casa di Reclusione San Michele, Arrestato Cinquantenne e Sequestrati Telefoni e Droga
Colpo significativo inferto dalla Polizia Penitenziaria alla Casa di Reclusione San Michele di Alessandria. Durante un’operazione di controllo e contrasto all’introduzione di sostanze stupefacenti nell’istituto, il Reparto Cinofili ha portato a termine un’azione di successo grazie all’infallibile fiuto di “Shining”, un Pastore belga malinois. L’operazione, condotta dal Personale di Polizia…
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Alessandria, il 'Fantabruco' dipinto in carcere entra a scuola
Sette mesi di lavoro per le sei tavole dipinte nel Laboratorio Artiviamoci, all’interno del carcere San Michele di Alessandria, a comporre il lungo corpo del ‘Fantabruco’, creatura fantastica. Insieme a Pietro Sacchi, maestro della Bottega di Pittura, sono stati impegnati 5 detenuti. Già esposta in carcere, l’imponente opera (750×180 centimetri) è stata donata alla scuola…
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L'immagine sul suo profilo non la trovo ma scriveró ugualmente quello che volevo scrivere

Anche in carcere a Lanciano c'é una grata simile, anche sulla mia proprietà c'era una grata simile, poi il comune di Belluno ha deciso di cambiarla, quella che era in carcere a Lanciano c'era fino al momento in cui é scoppiata la rivolta,
all'epoca non capivo perche i Magistrati dopo aver letto la mia domanda di trasferimento presso il carcere di Alessandria per seguire l'università, abbiano rifiutato il trasferimento spedendomi a Lanciano modificando il mio percorso, non capivo nemmeno perché tutte quelle persone avessero creato quella rivolta carceraria aggiungendo due anni di carcere alla loro pena detentiva,
e non capivo nemmeno perché c'era tutto quel sangue per terra lungo i corridoi,
ora l'ho capito,
ringrazio tutti i rivoltosi che hanno creato la rivolta carceraria, e ringrazio i Magistrati che hanno fatto quella scelta al posto mio.
capito idioti che state a Trecenta a chi state rompendo i coglioni e chi vi stá controllando?
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< Sei compagni sono in carcere per l'art. 270.
Alcuni solidali nei cortei spontanei di ieri sono stati arrestati.
L'Asilo di via Alessandria dove per anni si è incessantemente provato a lottare contro questo mondo di miseria, reclusione e sfruttamento è stato sgomberato.
Ma non finisce qui, non è una promessa, è la nostra vita. >
Silvia, Antonio, Larry, Beppe, Giada e Nicco liberi!
#torino#via alessandria#asilo occupato#sgombero#arresti#repressione#carcere#resistenza#libertà#corteo#piazza castello#vita
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Patrick Zaki, il silenzio degli ignavi. E il loro capo è alla Farnesina Il silenzio è calato di nuovo su quel giovane “italiano” rinchiuso in un carcere di massima sicurezza egiziano. Condannato, senza processo, ad un “ergastolo” amministrativo. Patrick Zaki non fa più notizia, se mai l’ha fatta per la stampa mainstream. Un “silenzio” che il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha “elevato” a strumento diplomatico. Il silenzio degli ignavi. "Dall'ultima udienza, i 45 giorni di carcere preventivo per Patrick Zaki sono ampiamente scaduti. Ora veniamo a sapere che almeno fino alla fine di maggio non ci sarà una data. Questo è un ulteriore aspetto illegale in una vicenda che è illegale di per sé: scadono i tempi e nessun giudice pensa a una nuova data, e va avanti così da 15 mesi e mezzo. Questa strategia del silenzio per non far capire cosa succede è funzionale al regime egiziano". Così commenta all'agenzia Dire Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International, organizzazione che monitora il caso dello studente egiziano di Bologna incarcerato da febbraio 2020 per sedizione. Per Noury, tale "strategia del silenzio" è "preoccupante", così come allarmante "è che sembra che stia prendendo piede anche nelle istituzioni italiane: si dice o si fa qualcosa ogni 45 giorni, e poi si tace e si aspetta la successiva udienza". A proposito di Italia, il portavoce di Amnesty avverte ancora: "È passato oltre un mese da quando il parlamento ha impegnato il governo sulla questione della cittadinanza e sulla questione del negoziato per attivare la Convenzione Onu contro la tortura. Vorremmo sapere cosa è stato fatto finora" (...) Scrive Antonio Mazzeo su Il Manifesto: “Non conosce limiti il cinismo e l’ipocrisia delle autorità politiche di governo e delle forze armate italiane. Mentre si invoca verità e giustizia sull’efferato omicidio del ricercatore Giulio Regeni e si assicura l’opinione pubblica di aver ‘congelato’ la cooperazione militare con l’Egitto del dittatore-generale al-Sisi, la Marina da guerra italiana non trova di meglio che inviare ad Alessandria d’Egitto uno dei suoi ‘gioielli’, la fregata missilistica ‘Carlo Margottini’ per condurre un’esercitazione a fuoco con un’unità della Marina egiziana fresca di consegna da parte di Fincantieri S.p.A. (...) Umberto De Giovannangeli
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Quando sento parlare di Carlo Alberto Dalla Chiesa… | Polvere da sparo
Quando sento parlare di Carlo Alberto Dalla Chiesa penso ad un corridoio stretto.
Quando sento parlare di Carlo Alberto Dalla Chiesa penso a 4 cadaveri in fila.
Via Fracchia, 28 marzo 1980
Giustiziati.
Ogni volta che sento parlare di Carlo Alberto Dalla Chiesa sento decine di colpi d’arma da fuoco ad interrompere il sonno di 4 persone.
Ogni volta che sento parlare dell’eroe di Stato Carlo Alberto Dalla Chiesa penso a come si dorme profondamente alle 2.42 di notte, anche da clandestini.
E penso ad Annamaria Ludmann, 32 anni , a Lorenzo Betassa, 28 anni, a Piero Panciarelli, 25 anni, a Riccardo Dura di 30 anni,
il cui sorriso e simpatia sono arrivati ai giorni nostri dai racconti di TUTTI quelli che hanno diviso con lui anche solo un caffè…
Quando penso a Carlo Alberto Dalla Chiesa sento un brivido lungo come quel corridoio e il silenzio piombato su una strage palese.
Quando sento parlare di Carlo Alberto Dalla Chiesa vorrei tanto, perdio se lo vorrei, sentir parlare dell’eccidio di Via Fracchia, in quella triste notte genovese del 28 marzo 1980.
Quando sento il nome di Dalla Chiesa penso a Giancarlo Del Padrone, morto nel carcere delle Murate, durante la rivolta, da lui sedata.
Quando sento il nome di Dalla Chiesa penso alla rivolta nel carcere di Alessandria del 1974, sedata a colpi di fucile, con 5 morti a terra.
Annamaria, Riccardo, Lorenzo, Piero: A PUGNO CHIUSO
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Cerca di sottrarsi a un ordine di cattura ma i Carabinieri lo intercettano e lo arrestano. Alessandria
Alessandria – Per un anno è riuscito a sottrarsi a un ordine di cattura emesso dalla Corte d’Appello di Brescia l’uomo arrestato dai Carabinieri della Sezione Operativa del NORM mentre stava rientrando in un’abitazione presa in affitto in una zona residenziale della città. Residente in un paese dell’astigiano, si era reso irreperibile da tempo, avendo iniziato a spostarsi tra le regioni del nord…
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Carcere "Cantiello e Gaeta" Alessandria: detenuto con problemi psichiatrici aggredisce violentemente tre Poliziotti
Nell’evento critico accaduto ieri, 2 maggio 2024, presso la Casa Circondariale Alessandria “Cantiello e Gaeta”, un detenuto italiano con problemi psichiatrici ha perpetrato una violenta aggressione contro tre Agenti di Polizia Penitenziaria in servizio nel reparto detentivo, di cui uno ricopriva il ruolo di “Capoposto”. L’attacco è avvenuto improvvisamente e senza alcun motivo apparente, mettendo…

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Domande
Eleonora Elvira Zanrosso, 68 anni, una distinta signora appena arrivata da Bologna con il suo avvocato, ha continuato a macinare parole: "Non dormo più la notte da quando mi sono resa conto di cosa ho fatto, non dovevo insultare in quel modo su Facebook il capo dello Stato". Il pubblico ministero Gery Ferrara le chiede: "Perché l'ha fatto?". Risposta, a verbale: "Era un periodo molto caldo, in cui gli animi erano surriscaldati da alcuni parlamentari dei Cinque Stelle di cui ero simpatizzante. Mi sono lasciata contagiare stupidamente da questi fatti. Io che sono madre, nonna, amante della pittura e degli animali".
Era il maggio del 2018, il presidente Mattarella aveva respinto la nomina come ministro dell'Economia di Paolo Savona, la signora Zanrosso scriveva: "Ti hanno ammazzato il fratello, cazzo... non ti basta?". E così è finita indagata, insieme ad altri otto "odiatori" del web, per attentato alla libertà, offesa all'onore e al prestigio del presidente della Repubblica, ma anche per istigazione a delinquere.
Ora, l'inchiesta è chiusa, i nove indagati vanno verso il processo, rischiano fino a 15 anni di carcere. Ma l'indagine coordinata dal procuratore aggiunto Marzia Sabella è tutt'altro che finita: ci sono altri trenta hater nel mirino della Digos, è già partita una richiesta d'informazioni alle autorità americane, per identificare i profili social che in questi mesi si sono distinti per offese pesanti al capo dello Stato. Gli odiatori hanno dai 30 ai 74 anni, abitano da Nord a Sud. Ma, al momento, solo Eleonora Zanrosso ha avuto il coraggio di confessare e chiedere scusa. Nel suo interrogatorio ha ricordato che in quel periodo "c'era Grillo che gridava da una parte, Di Battista dall'altra. Dicevano: "Prepariamoci a scendere in piazza. Buttiamo giù tutto il governo". Era davvero un tam tam tremendo". La signora ha ammesso: "Uno tante volte non legge neanche i commenti sopra, vede il post pubblicato e si lancia con il commento". Dopo quel messaggio offensivo e l'avvio dell'inchiesta, è finita lei nel mirino del Web, con altri messaggi pesanti. "Mi hanno uccisa - dice - Alla mia età ho capito veramente che cos'è la gogna mediatica". Una storia emblematica, questa. La nonna bolognese che risiede nell'elegante quartiere Savena ha dovuto chiudere il suo account Facebook. "Ho quasi 70 anni, faccio parte di quella generazione che non è certo composta da geni della tastiera, ho la terza media, sono istintiva. È stata la mia inesperienza, eravamo tutti su di giri in quel momento". E racconta al magistrato di aver preso solo tre multe nella sua vita di viaggiatrice che utilizza molto l'auto: "Ecco tutto il mio rapporto con la legge". (fonte)
È davvero necessario scrivere su FB quello che il comportamento di Grillo e Di Battista ha scatenato in sè?
Gli elettori di Pescara e Predappio hanno votato i propri sindaci perchè nel loro programma elettorale c’era, in ordine, il non riconoscimento della cittadinanza onoraria a Liliana Segre e la cancellazione del viaggio premio per gli studenti ad Auschwitz?
Non è che chiamando spesso “fascista” chi non aveva la nostra stessa opinione abbiamo finito per perdere di vista quelli veri che sono sempre più esuberanti?
Che vita fa quella signora che ad Alessandria sul bus ha impedito ad una bimba, solo perchè di pelle diversa, di sedersi sul posto libero vicino a lei?
A che serve questo circolo vizioso di dolore, di violenza, di paura? Deve avere uno scopo, altrimenti il nostro universo è governato dal caso, il che è impensabile. Ma quale? Questo è l’immenso, sempiterno interrogativo al quale la mente umana è ancora lontanissima dal poter dare una risposta. Arthur Conan Doyle
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Carcere senza stress, la meditazione entra nelle carceri italiane
Carcere senza stress, la meditazione entra nelle carceri italiane
Alessandria, 15 ottobre 2019 – Nella Casa di Reclusione San Michele, ad Alessandria, è stato presentato il progetto “Carcere senza stress”, che prevede l’utilizzo del programma di Meditazione Trascendentale per ridurre lo stress, promuovere il benessere psicofisico e una migliore qualità di vita per detenuti, agenti e operatori penitenziari.
Il progetto, della durata di un anno, è iniziato a…
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DOMENICA 26 FEBBRAIO 2023 - 🔸SANT'ALESSANDRO DI ALESSANDRIA - I DOMENICA DI QUARESIMA🔸 Alessandro di Alessandria (Egitto, 250 – Alessandria d'Egitto, 26 febbraio 328) è stato il 7º Papa della Chiesa copta (massima carica del Patriarcato di Alessandria d'Egitto). Occupò la cattedra patriarcale dal 313 fino alla sua morte, avvenuta nel 328. Durante il suo lungo episcopato si verificarono le sanguinose persecuzioni degli imperatori Galerio e Massimino Daia che misero per l'ennesima volta a dura prova il cristianesimo in Egitto. Fu proprio mentre il suo predecessore Pietro era in carcere, in attesa del martirio, che Alessandro ed Achilla si recarono presso il pontefice ed intercessero per Ario, che Pietro aveva scomunicato dichiarando che era destinato alla perdizione. Il pontefice rifiutò di riammetterlo alla comunione, tuttavia, quando Achilla succedette a Pietro, Ario fu ordinato sacerdote e quando, a sua volta, Alessandro divenne vescovo l'eretico era ancora tollerato.Alessandro veniva descritto dai contemporanei come "un uomo tenuto nella massima considerazione dal popolo e dal clero, magnificente, liberale, eloquente, amante di Dio e dell'uomo, dedito ai poveri, al bene e solerte verso tutti; così dedito alla mortificazione, che non ruppe mai il suo digiuno finché il sole brillava in cielo". Da Il Santo del Giorno. Tradizioni Barcellona Pozzo di Gotto - Sicilia Sicilia Terra di Tradizioni #Tradizioni_Barcellona_Pozzo_di_Gotto_Sicilia #Sicilia_Terra_di_Tradizioni Rubrica #Santo_del_Giorno (presso Tradizioni Barcellona Pozzo di Gotto - Sicilia) https://www.instagram.com/p/CpH9wgpoLHy/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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Uccise portiere d'albergo, condannato a 16 anni più 5 di rems
Giuseppe Aiello Proietto colpì Alberto Faravelli nel maggio 2022 (ANSA) – ALESSANDRIA, 19 GIU – Sedici anni di carcere più 5 di Rems (residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza), risarcimento danni a nipote della vittima, sorella e cognato. E’ la sentenza pronunciata, oggi, dalla Corte d’Assise di Alessandria, presieduta da Maria Teresa Guaschino, nei confronti di Giuseppe Aiello…
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Non capiremo mai il delitto di Novi Ligure Vent’anni fa in Italia il presidente del Consiglio era Giuliano Amato, nominato l’anno prima dopo una crisi di governo che aveva portato alle dimissioni di Massimo D’Alema. Nello stesso periodo in tutta Europa veniva attivato un piano per il controllo dell’encefalopatia spongiforme bovina, meglio nota come “morbo della mucca pazza”. Vent’anni fa, in un’Italia per alcuni aspetti simile a quella di adesso, i notiziari della sera diedero la notizia di un delitto che avrebbe segnato l’opinione pubblica per anni. A Novi Ligure, in provincia di Alessandria, una madre di 41 anni era stata trovata morta in casa insieme al figlio undicenne. Susanna Cassini e Gianluca De Nardo erano stati uccisi con quasi un centinaio di coltellate: un modo così brutale da turbare anche magistrati e carabinieri di lungo corso. Carlo Carlesi, procuratore di Alessandria, settantenne con quasi quarant’anni di esperienza, fu tra i primi ad arrivare sul posto: si sentì male dopo aver visto la scena del crimine e fece visibilmente fatica a riferire qualcosa davanti alle telecamere, quella sera: «È uno degli episodi più feroci che abbia visto in vita mia. Senza scopo, senza senso». I soccorsi erano stati chiamati dalla figlia sedicenne, Erika De Nardo, che apparentemente era riuscita a fuggire agli aggressori dal seminterrato allertando i passanti in strada. Secondo la ragazza, alle 20.40 circa due persone erano entrate in casa e avevano ucciso la madre e il fratello minore per poi fuggire nel nulla: «albanesi» aggiunse. La voce si sparse subito. All’esterno della villetta, sigillata dalle autorità in attesa dell’arrivo della polizia scientifica, si radunarono alcuni residenti della zona che all’arrivo del sindaco sfogarono la loro rabbia contro gli immigrati di cui «la città era piena» e ai quali «venivano regalate le case». De Nardo confermò la sua versione, che il procuratore di Alessandria, all’uscita della caserma la mattina seguente, descrisse alla stampa come «lineare e precisa», aggiungendo: «È una ragazza coerente, una ragazza veramente splendida». Aveva anche riconosciuto uno degli aggressori, un ragazzo albanese residente nella zona. Le dichiarazioni del procuratore alimentarono la rabbia degli abitanti del luogo, molti dei quali parteciparono a una fiaccolata contro l’immigrazione promossa dagli esponenti locali della Lega Nord. Da Novi il dibattito sull’immigrazione si spostò presto sui canali televisivi nazionali, dalla mattina alla sera, dove si dava ormai per scontato che i colpevoli fossero «albanesi», «stranieri» o al massimo «una banda di slavi». Ma non era andata così. Tra gli investigatori i dubbi sulla versione della ragazza erano molti. Gli assassini non avevano portato via nulla dalla casa: avevano quindi massacrato una madre e il suo bambino per nulla? E a chi sarebbe mai venuto in mente di rapinare una villetta a schiera al centro di un quartiere residenziale di provincia alle nove di sera, con tutti a casa? Il parere finale del medico legale che eseguì le autopsie eliminò gli altri dubbi: era stata la figlia, aiutata probabilmente dal suo ragazzo, Mauro Favaro, diciassettenne che tutti chiamavano Omar. Per farli vacillare e spingerli a confessare vennero portati entrambi a fare un sopralluogo nella villetta. Al ritorno li fecero stare per quattro ore all’interno di una stanza della caserma dove erano state piazzate telecamere e microfoni: De Nardo, già descritta come incredibilmente fredda e lucida per la situazione in cui si trovava, fu colta a rassicurare Favaro, molto più frastornato e impaurito, e a mimare il gesto di una coltellata, per poi chiedergli: «Ma quante gliene hai date?». Dopo tre giorni dall’accaduto, tutti quelli che stavano seguendo il caso si trovarono per le mani una realtà completamente diversa da quella ipotizzata all’inizio, e altrettanto inspiegabile. Come avevano fatto due minorenni a massacrare in quel modo, senza motivi apparenti, la madre e il fratello minore di lei, e a resistere imperterriti alle conseguenze? A rendere ancora più difficile la comprensione del delitto furono le conclusioni degli investigatori: Erika De Nardo e Omar Favaro progettavano da mesi di uccidere la famiglia di lei, compreso il padre Francesco, tra i responsabili dell’azienda dolciaria Pernigotti. E probabilmente ci avevano già provato con del veleno per topi, le cui tracce furono ritrovate in vari punti della casa durante i rilevamenti. Ci erano poi riusciti la sera del 21 febbraio, aspettando madre e figlio al loro rientro, nascosti al buio. La madre fu uccisa con oltre cinquanta coltellate, inferte da entrambi mentre la donna urlava alla figlia di smetterla, chiedendole perché lo stesse facendo e infine dicendole «ti perdono». Il fratello minore avrebbe dovuto salvarsi, ma dalla sua camera sentì i rumori, fece le scale e vide tutta la scena: De Nardo e Favaro, ritenendo di non poterlo più risparmiare, provarono ad annegarlo nella vasca da bagno. Non ci riuscirono perché continuava a lottare, come confermarono le tracce di sangue trovate sulle pareti del bagno. A quel punto lo uccisero con altre coltellate, lasciandolo poi sott’acqua. De Nardo venne valutata come una ragazza più intelligente della media, affetta però da «un disturbo di personalità di tipo narcisistico e guidata da una logica di controllo dei rapporti». Favaro, di minor quoziente intellettivo, presentava invece «un disturbo da personalità dipendente per cui era portato a compiacere l’altro e ad anticiparne i desideri». Secondo gli esperti i motivi dietro due omicidi così efferati e allo stesso tempo senza un vero e proprio movente «andavano ricercati nella profondità della loro psiche, una dimensione visionaria nella quale si vedevano come una coppia assoluta e ostacolata dalle regole imposte della famiglia di lei». Successivamente, alla domanda sul perché lo avessero fatto, entrambi risposero di non saperlo. (...) Dopo aver letto la sentenza, il giudice si rivolse ai due ragazzi dicendo: ��Questa non è la fine. Se capirete potrete dare una svolta alla vostra vita». Il giornalista inviato di Repubblica che seguì il caso, Meo Ponte, presente in aula, raccontò in seguito: «Credo di aver capito la vera Erika quando, dopo aver cercato per mesi di mostrare un volto umano, al momento della sentenza esplose e aggredì gli avvocati». Le condanne di entrambi vennero confermate in appello nel 2002 e in definitiva dalla Cassazione nel 2003. Favaro uscì dal carcere il 3 marzo 2010 grazie ai benefici dell’indulto e agli sconti per buona condotta dovuti anche ai miglioramenti riscontrati in lui dagli esperti. Salvo un’intervista concessa al programma televisivo Matrix nel 2011, non si è più fatto vedere in pubblico. De Nardo, che in carcere si è laureata in filosofia con 110 e lode, è libera dal 2011. (...) di Pietro Cabrio
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Sono passate quasi 48 ore dalla rivolta messa in atto da parte dei detenuti del carcere Sant’Anna di Modena e il bilancio somiglia sempre più a un bollettino di guerra.
Sette morti. La strage al carcere di Sant’Anna, 48 ore dopo
Sette, in totale, i detenuti morti. Tre sono stati rinvenuti all’interno della struttura modenese. Per gli altri quattro, invece, l’agonia si è prolungata per lunghe ore dato che sono morti al loro arrivo nelle carceri di Parma, Verona, Alessandria e Marino del Tronto (Ascoli Piceno).
Per quest’ultimo caso, si legge, “già al suo arrivo nella struttura ascolana le condizioni erano parse subito gravissime”. 18 i detenuti feriti di cui 6 ricoverati in terapia intensiva (2 al Policlinico di Modena, 3 all’ospedale di Baggiovara e 1 a Carpi).
A scatenare la rivolta è stata la notizia di detenuto risultato positivo al coronavirus e sembra che anche che la notizia fosse nota già dallo scorso fine settimana. All’interno del carcere modenese sono presenti ancora alcuni detenuti. 16 pare siano stati trasferiti a Parma e 15 a Sassari.
Queste le informazioni che trapelano dai giornali che sono gli unici, al momento, a fornire qualche dato. Le famiglie dei detenuti, infatti, dopo quasi 48 ore dall’inizio della rivolta, non sanno ancora dove siano stati trasferiti i propri cari e quali siano le loro condizioni di salute. Le informazioni che ora dopo ora stanno venendo fuori, inoltre, smentiscono tutto quello che era stato riferito loro domenica sera. I familiari, infatti, erano stati rassicurati sull’assenza di casi di contagio da coronavirus all’interno della struttura carceria. Oggi, in realtà, sappiamo che un primo detenuto contagiato era già stato individuato tra venerdì e sabato. “Perché, prima della cancellazione dei colloqui, a noi familiari è stato imposto di mantenere il metro di distanza durante gli incontri con i detenuti e il personale penitenziario invece non è stato dotato di alcun mezzo protettivo? Il corona virus poteva entrare nel carcere anche attraverso un poliziotto, non solo attraverso noi familiari”.
Eppure era la stessa Ausl di Modena a confermare le voci di uno dei detenuti trovati positivi al coronavirus. (Info da Modenatoday)
È stato questo, con buona probabilità, l’ultimo fatto che si è rivelato decisivo per l’inizio della rivolta dei detenuti che altro non chiedevano se non maggiori garanzie contro il contagio, soluzioni alternative per mantenere i contatti con i propri familiari e seri provvedimenti contro il sovraffollamento. Rimangono, ad oggi, due dati che vanno dunque sottolineati: da 48 ore i familiari non hanno alcuna notizia dei propri cari. Non sanno né dove si trovino adesso né in che condizioni siano. I detenuti stessi non hanno ancora avuto modo confrontarsi con i propri legali i quali, anche loro, aspettano notizie. Un vero e proprio limbo, insomma.
Nel mentre, anche i sindacati degli agenti della polizia penitenziaria del carceri di Marino del Tronto si dicono “preoccupatissimi e ritengono gravissimo che il Dipartimento abbia preso questa decisione senza avvertire” e anche al carcere di Sassari, dove sarebbero in arrivo 15 detenuti provenienti da Modena, non sembrerebbero averla presa affatto bene, come riportato qua.
“Se l’Amministrazione non blocca immediatamente questi trasferimenti scellerati, e prosegue con queste scelte scellerate, ci ritroveremo il contagio negli istituti penitenziari sardi. Il Ministro e il capo del Dap non fanno altro che prendere decisioni sbagliate. E’ gente che si deve dimettere subito perché stanno mettendo in grave pericolo tutto il sistema penitenziario. I fatti di Modena, con sei morti, ne sono l’espressione eloquente”, afferma Villa. Il segretario della Fns Cisl sarda afferma “che il Ministro e il Dap devono fermare immediatamente le traduzioni”. Chiaro che il rischio c’è, ed è concreto: “Se arriva un detenuto asintomatico dalla ‘zona rossa’ e dopo il periodo di incubazione invece risulta malato, contagia nel frattempo tutta la popolazione carceraria, compresi gli Agenti. L’unitarietà che stiamo mostrando qui in Sardegna tra Provveditorato, comandanti e sindacati – prosegue Villa -, devono dimostrarla a Roma, a livello centrale. Invece siamo in mano a gente che sta prendendo decisioni folli, in barba al Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri, dove sono citate più volte gli inviti a diminuire le movimentazioni da una regione all’altra. Negli Istituti stanno entrando persone senza controlli, altro che triage”.
L’ultimo dato invece, quello più grave, riguarda i sette detenuti morti. La Procura di Modena, infatti, ha avviato le indagini per i tre deceduti nella carcere di Sant’Anna. Per gli altri quattro, invece, viene meno la competenza territoriale e dunque sarà compito delle procure di Alessandria, Verona, Ascoli Piceno e Parma fare luce su quanto accaduto e soprattutto sulle responsabilità di chi ha permesso lo spostamento di queste persone senza verificarne lo stato di salute.
Misura che, con buona probabilità, avrebbe risparmiato loro la vita.
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