#la sicilia degli dei
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sciatu · 3 months ago
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TINDARI - IL PICCOLO MUSEO GRECO-ROMANO
Uno dei personaggi più importanti e affascinanti che nel 400 a.C. segnò la storia del bacino Mediterraneo, fu sicuramente il tiranno siracusano Dionisio primo. Dionisio, nato da famiglia non aristocratica si convinse che la democrazia che guidava Siracusa, non era più in grado di impedire il decadimento politico e militare della città, per cui, abile oratore, si fece eleggere generale e, una volta inviato a Gela per risolvere una controversia locale, simulò un attentato nei suoi confronti, richiese la possibilità di avere un esercito mercenario ai suoi ordini per difesa personale, diventando ben presto il padrone di Siracusa. Per dimostrare la noncuranza che aveva per l’aristocrazia, una volta protetto dal suo esercito personale, imprigionò e giustiziò tutti gli aristocratici di Gela, con il loro oro pagò i mercenari spartani che comandava e donò le terre degli aristocratici alla popolazione locale. Così facendo ottenne un consenso assoluto ed una base molto forte per diventare il padrone assoluto della Sicilia orientale. Per restare tale dovette contrastare per tutta la sua vita il desiderio dei Cartaginesi di invadere la sua isola. Dovette inoltre fermare l’espansionismo degli italioti provenienti dalla Calabria, consolidare il rapporto con il resto delle colonie della Magna Grecia e rafforzare l’alleanza con Sparta. Fondò inoltre colonie lungo tutto l'adriatico. In tal modo garantì potere e ricchezza a Siracusa che sotto di lui divenne una delle maggiori città greche del mediterraneo. Tra le tante colonie che fondò per motivi economici e strategici vi fu anche Tindari, ai confini settentrionali del suo dominio siciliano in una località che era abitata già nell’età del bronzo, più di mille anni prima. La posizione e il nome di Tindari non sono casuali. Tindari come Tindaro re di Sparta padre della Elena per cui scoppiò la guerra di Troia, padre di Castore e Polluce i semidei dioscuri che erano tanto onorati in Siracusa. La posizione della colonia Tindari, era inoltre estremamente importante essendo in cima a un promontorio facilmente difendibile, con accanto una grande baia e pianura in cui potevano trovare riparo le navi di allora. La città era inoltre di fronte alle isole Eolie da cui riceveva ossidiana per preparare gioielli e armi e pietra pomice che era la carta vetrata di allora e utilissima nell’ingegneria civile e navale. Finito il dominio di Dionigi il vecchio, Tindari ben presto, come il resto dei possedimenti del vecchio tiranno, fu presa di mira dai Cartaginesi e per questo motivo si affidò a Roma diventando una città romana, molto ben considerata e molto amata. La prova della benevolenza dei romani fu nel dedicare la città all’imperatore Augusto. La “nobilissima civitas” si riempì quindi di statue dell’imperatore, di un teatro, di un porticato (propileo) da cui si accedeva all’Agorà e di tutta quell’architettura che distingueva l’era imperiale romana. I reperti rinvenuti negli scavi, mostrano una civiltà elegante, dove ogni piccolo strumento d’uso comune, nella sua semplice funzionalità, ha una bellezza che va oltre il tempo e le mode. Questa stessa bellezza circonda ancora oggi Tindari, preziosa perla racchiusa tra l’azzurro immenso del cielo e il purissimo e trasparente blu del mare.
One of the most important and fascinating characters that in 400 BC marked the history of the Mediterranean basin, it was certainly the Syracusan tyrant Dionysius I. Dionysius, born into a non-aristocratic family, was convinced that the democracy that led Syracuse was no longer able to prevent the political and military decay of the city, so he was elected general and once sent to Gela to resolve a local controversy, simulated an attack against him, required the possibility of having a mercenary army on his orders for personal defence, soon becoming the master of Syracuse. To demonstrate his indifference to the aristocracy, once protected by his personal army, he imprisoned and tried all the aristocrats of Gela, with their gold he paid the Spartan mercenaries he commanded and gave the aristocratic lands to the local population. In doing so he obtained an absolute consensus and a very strong basis for becoming the absolute master of Eastern Sicily. To remain so he had to resist throughout his life the desire of the Carthaginians to invade his island. He also had to stop the expansionism of the Italians from Calabria, consolidate relations with the rest of the colonies of Great Greece and strengthen the alliance with Sparta. He further founded colonies all along the Adriatic. He thus guaranteed power and wealth to Syracuse, which under him became one of the largest Greek cities in the Mediterranean. Among the many colonies he founded for economic and strategic reasons was Tindari, on the northern borders of his Sicilian domain in a town that had been inhabited already in the Bronze Age, more than a thousand years earlier. The location and name of Tindari are not accidental. Tindarius as Tindarus king of Sparta father of Helen for whom the Trojan War broke out, father of Castor and Pollux the demigods who were so honored in Syracuse. The location of the Tindari colony was also extremely important being on top of an easily defensible promontory, with a large bay and plain next to it where the ships of that time could find shelter. The city was also opposite the Aeolian islands from which it received obsidian to prepare jewelry and weapons and pumice stone which was the sandpaper of that time and very useful in civil and naval engineering. After the rule of Dionysius the Elder, Tindari soon, like the rest of the possessions of the old tyrant, was targeted by the Carthaginians and for this reason relied on Rome becoming a Roman city, very well regarded and very loved. The proof of the Romans’ benevolence was in the dedication of the city to Emperor Augustus. The “noblest civitas” was therefore filled with statues of the emperor, a theater, a portico (propileo) from which one accessed the Agora and all that architecture that distinguished the Roman imperial era. The finds found in the excavations show an elegant civilization, where every small tool of common use, in its simple functionality, has a beauty that goes beyond time and fashion. This same beauty still surrounds Tindari today, a precious pearl enclosed between the immense blue of the sky and the pure and transparent blue of the sea.
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arreton · 4 months ago
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Sto rivalutando il mio aspetto. Se prima mi sentivo ai minimi storici della mia bellezza – che diventerebbe appunto bruttezza, se non lo fosse già stata da sempre – adesso, con questo nuovo taglio e questo nuovo colore mi sento invece all'inizio della creazione di una nuova immagine di me: ho un certo carattere ed un certo “stile” anche vestendomi in maniera abbastanza anonima e senza un filo di trucco, la mia figura inizia ad acquisire dei bordi. Da qui, allora, mi sembra che io possa iniziare a modellare quegli aspetti che vorrei cambiare di me o meglio, mi sembra che possa iniziare a lavorare sulla mia immagine senza necessariamente apparire “bellina”. Il viso dolce e gli occhi buoni non mi appartengono, ma non significa che non possa averli e riservarli a pochi eletti. Il viso fresco e puro di chi cerca disperatamente di farsi amare e accettare non mi appartiene, ma voglio imparare a guardare senza pregiudizio nella maniera più spietata – ovvero reale – possibile chi e ciò che mi circonda per accettarlo per quello che è. Ho l'impressione che mi sia passata la necessità di badare ossessivamente a quello che mi circonda, del giudizio delle persone. Voglio vedere solo ciò che mi interessa e che mi eleva. Faccio mia la frase della parrucchiera, mia coetanea, “per me sono questi gli anni migliori”. Ed in un certo senso lo sono anche per me. Sono appena iniziati gli anni migliori, dove finalmente sono arrivata ad un punto in cui mi sto scrollando di dosso il giudizio degli altri, l'ansia da prestazione, le esperienze passate che mi hanno segnata. O almeno l'obiettivo è questo, e cioè non continuare a vivere nel passato. Ed è per questo che sono tornata in Sicilia: per chiudere i conti con questa terra maledetta, per chiudere i conti con l'educazione fallimentare ricevuta dalla mia famiglia. Passati i trent'anni ormai non posso nemmeno far finta di essere una ragazzina con i daddy issues ma non significa che non possa acquisire una bellezza tutta mia che non passa necessariamente dalle mancanze del passato, da figure e situazioni mancate, e soprattutto sto vivendo in maniera quasi più spensierata adesso che quando avevo vent'anni ed ero un cumulo di paure ambulante. Adesso ho ancora paura, ma alla fine chi se ne fotte.
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blogitalianissimo · 7 months ago
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In realtà il silenzio della Sicilia è dato dal fatto che a noi non cambia nulla, autonomi e senza fondi c'eravamo già...
La Sicilia ha avuto l'autonomia per motivi diversi, e comunque, proprio perché buona parte delle regioni non era autonoma, anche la Sicilia ha usufruito nel corso degli anni del gettito fiscale che lo Stato redistribuiva a seconda dei bisogni delle regioni
Perciò, se adesso avete 3 ospedali funzionanti, quando ogni regione tratterrà i propri soldi ne avrete ZERO. Niente scuola niente ospedali, niente strade, niente infrastrutture, e se già la situazione ti sembra tragica adesso, tra 5/10 anni sarà completamente irrecuperabile.
Lasciamo stare la popolazione che si beve tutto e va avanti col solito "tanto non cambia niente", ma i politici siciliani sono perfettamente coscienti di quello che stanno facendo alla Sicilia, ed è loro compito protestare davanti a questo scempio
PS anche la Sardegna è autonoma, ma si sta mobilitando
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schizografia · 5 months ago
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Qualche notizia sull’Ucraina
Tra le menzogne che vengono ripetute come se fossero verità ovvie, vi è quella che la Russia avrebbe invaso uno stato sovrano indipendente, senza precisare in alcun modo che quel cosiddetto stato indipendente non soltanto era tale solo dal 1990, ma era stato fin allora per secoli parte integrante prima dell’impero russo (dal 1764, ma già fra il XV e il XVI secolo era incluso del Granducato di Mosca) e poi della Russia sovietica. Ucraino era del resto forse il più grande degli scrittori in lingua russa del XIX secolo, Gogol’, che, nelle Veglie della fattoria di Dikanka, ha meravigliosamente descritto il paesaggio della regione che si chiamava allora «Piccola Russia» e i costumi della gente che vi viveva. Per la precisione occorre aggiungere che, fino alla fine della Prima guerra mondiale, una parte rilevante del territorio che ora chiamiamo Ucraina era, col nome di Galizia, la provincia più lontana dell’impero austro-ungarico (in una città ucraina, Brody, nacque Joseph Roth, uno dei maggiori scrittori in lingua tedesca del novecento).
È importante non dimenticare che i confini di quella che chiamiamo dal 1990 Repubblica Ucraina coincidono esattamente con quelli della Repubblica socialista sovietica Ucraina e non hanno alcun possibile fondamento anteriore nelle continue vicende di spartizioni fra polacchi, russi, austriaci e ottomani che hanno avuto luogo nella regione. Per quanto possa apparire paradossale, un’identità dello stato ucraino esiste dunque soltanto grazie alla Repubblica socialista sovietica di cui ha preso il posto. Quanto alla popolazione che viveva in quel territorio, essa era un insieme variegato costituito, oltre che dai discendenti dei cosacchi, che vi erano migrati in massa nel XV secolo, da polacchi, russi, ebrei (in alcune città, fino allo sterminio, più di metà della popolazione), zingari, rumeni, huzuli (che fra il 1918 e il 1919 costituirono una repubblica indipendente di breve durata).
È perfettamente legittimo immaginare che, agli occhi di un russo, la proclamazione dell’indipendenza dell’Ucraina non risulti pertanto troppo diversa dall’eventuale dichiarazione di indipendenza della Sicilia per un italiano (non si tratta di un’ipotesi peregrina, dal momento che non si dovrebbe dimenticare che nel 1945 il Movimento per l’indipendenza della Sicilia, capeggiato da Finocchiaro Aprile, difese l’indipendenza dell’isola ingaggiando scontri con i carabinieri che fecero decine di morti). Per non pensare a quello che accadrebbe se uno stato americano si dichiarasse indipendente dagli Stati Uniti (ai quali appartiene da molto meno tempo di quanto l’Ucraina fosse parte della Russia) e stringesse alleanza con la Russia.
Quanto alla legittimità democratica dell’attuale repubblica Ucraina, è a tutti noto che i trent’anni della sua storia sono stati segnati da elezioni invalidate per brogli, guerre civili e colpi di stato più o meno nascosti, al punto che, nel marzo del 2016, il presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker ebbe a dichiarare che ci sarebbero voluti almeno 25 anni perché l’Ucraina potesse soddisfare i requisiti di legittimità che avrebbero permesso il suo ingresso nell’Unione.
Giorgio Agamben, 2 agosto 2024
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aitan · 3 months ago
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"Il fatto che un'opinione sia ampiamente condivisa, non è affatto una prova che non sia completamente assurda. Anzi, considerata la stupidità della maggioranza degli uomini, è più probabile che una convinzione diffusa sia balorda che sensata."
Da "Marriage and Morals", Bertrand Russell, 1929
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"È nota la definizione della democrazia come sistema pieno di difetti ma di cui non si è ancora trovato nulla di meglio. Da questa ragionevole assunzione discende, per la maggior parte della gente, la convinzione errata che la democrazia (il migliore o il meno peggio dei sistemi di governo) sia quello per cui la maggioranza ha sempre ragione. Nulla di più falso. La democrazia è il sistema per cui, visto che è difficile definire in termini qualitativi chi abbia più ragione degli altri, si ricorre a un sistema bassamente quantitativo, ma oggettivamente controllabile: in democrazia governa chi prende più consensi. E se qualcuno ritiene che la maggioranza abbia torto, peggio per lui: se ha accettato i principi democratici deve accettare che governi una maggioranza che si sbaglia.
Una delle funzioni delle opposizioni è quella di dimostrare alla maggioranza che si era sbagliata. E se non ce la fa? Allora abbiamo, oltre a una cattiva maggioranza, anche una cattiva opposizione. Quante volte la maggioranza può sbagliarsi? Per millenni la maggioranza degli uomini ha creduto che il sole girasse intorno alla terra (e, considerando le vaste aree poco alfabetizzate del mondo, e il fatto che sondaggi fatti nei paesi più avanzati hanno dimostrato che moltissimi occidentali ancora credono che il sole giri) ecco un bel caso in cui la maggioranza non solo si è sbagliata ma si sbaglia ancora. Le maggioranze si sono sbagliate a ritenere Beethoven inascoltabile o Picasso inguardabile, la maggioranza a Gerusalemme si è sbagliata a preferire Barabba a Gesù, la maggioranza degli americani sbaglia a credere che due uova con pancetta tutte le mattine e una bella bistecca a pasto siano garanzie di buona salute, la maggioranza si sbagliava a preferire gli orsi a Terenzio e (forse) si sbaglia ancora a preferire "La pupa e il secchione" a Sofocle. Per secoli la maggioranza della gente ha ritenuto che esistessero le streghe e che fosse giusto bruciarle, nel Seicento la maggioranza dei milanesi credeva che la peste fosse provocata dagli untori, l'enorme maggioranza degli occidentali, compreso Voltaire, riteneva legittima e naturale la schiavitù, la maggioranza degli europei credeva che fosse nobile e sacrosanto colonizzare l'Africa.
In politica Hitler non è andato al potere per un colpo di Stato ma è stato eletto dalla maggioranza, Mussolini ha instaurato la dittatura dopo l'assassinio di Matteotti ma prima godeva di una maggioranza parlamentare, anche se disprezzava quell'aula «sorda e grigia». Sarebbe ingiusto giocare di paradossi e dire dunque che la maggioranza è quella che sbaglia sempre, ma è certo che non sempre ha ragione. In politica l'appello alla volontà popolare ha soltanto valore legale ("Ho diritto a governare perché ho ricevuto più voti") ma non permette che da questo dato quantitativo si traggano conseguenze teoriche ed etiche ("Ho la maggioranza dei consensi e dunque sono il migliore").
In certe aree della Sicilia e della Campania i mafiosi e i camorristi hanno la maggioranza dei consensi ma sarebbe difficile concluderne che siano pertanto i migliori rappresentati di quelle nobilissime popolazioni. [...]"
Da una "Bustina di Minerva" di Umberto Eco del 27 Maggio, 2010
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"Alta sui naufragi, dai belvedere delle torri
China e distante sugli elementi del disastro
Dalle cose che accadono al di sopra delle parole
Celebrative del nulla, lungo un facile vento
Di sazietà, di impunità
Sullo scandalo metallico di armi in uso e in disuso
A guidare la colonna di dolore e di fumo
Che lascia le infinite battaglie al calar della sera
La maggioranza sta, la maggioranza sta
Recitando un rosario di ambizioni meschine
Di millenarie paure, di inesauribili astuzie"
Da "Smisurata preghiera”, brano di Fabrizio De André tratto da "Anime Salve", 1996
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diceriadelluntore · 4 months ago
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Platee Sconfinate
Chi ha frequentato il Liceo Classico, probabilmente, ricorderà una versione tratta da un testo di Plutarco dal titolo Il Teatro di Euripide salva gli Ateniesi prigionieri a Siracusa. Si racconta infatti che dopo la disfatta, inaspettata, dell'esercito ateniese giunto in Sicilia per conquistare le colonie dell'Isola, i prigionieri guerrieri vennero stipati nella latomie: cave di pietra prima, furono poi "convertite" a mega carcere per le centinaia di prigionieri. Fredde d'inverno e torride d'estate, essere imprigionati nelle latomie equivaleva a una condanna a morte: i prigionieri ateniesi furono lasciati morire di fame e di stenti, senza alcuna possibilità di fuga. Plutarco racconta però che i Siracusani, popolo colto e ricco, "amavano Euripide più di tutti gli altri Greci delle colonie" dando ristoro, o addirittura liberando, i guerrieri che ne conoscevano a memoria qualche brano. I sopravvissuti, narra l'aneddoto, quando fecero ritorno a casa, andarono a ringraziare persino il grande drammaturgo.
Questa vicenda ha una parte vera e una falsa: la vera, è che i prigionieri ateniesi davvero morirono di fame nelle latomie di Siracusa. La falsa è che l'aneddoto, divenuto celeberrimo, è appunto falso, e prima di Plutarco ne scrisse uno simile un biografo di Euripide, Satiro di Callatis, autore di molte biografie, quasi tutte perdute, ma di cui è rimasta una parte di quella di Euripide. Tuttavia il nostro Satiro è famoso principe del Metodo Cameleonte, dal nome del peripatetico Cameleonte di Eraclea, che iniziò a scrivere biografie basate a pure combinazioni e deduzioni, ai pettegolezzi e alle cronache scandalose della commedia, e al romanzesco e al leggendario (che non vuol dire che sia sempre fonte inattendibile, ma che va presa con non una ma tre pinze).
Eppure questa leggenda ha ispirato un filologo libano-irlandese, Ferdia Lennon, per scrivere un romanzo, che ho amato tantissimo, che tramite il Mito affronta situazioni davvero profonde, attualissime, usando una scrittura vivace, elettrica e piena di soprese.
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Lennon immagina che due vasai disoccupati, il brillante Gelone e Lampo, zoppo e frugale, presagendo che la sconfitta di Atene possa portare alla perdita del grande patrimonio culturale della stessa, si mettano in testa di fare una rappresentazione teatrale con gli atenesi prigionieri nella latomie. Ma non una cosa qualsiasi, bensì un pastiche tra Medea e Le Troiane, le due tragedie leggendarie di Euripide, opere che furono rappresentate la prima poco prima della Guerra del Peloponneso nel 431 a.C., la seconda ebbe la prima ad Atene nel 415 a.C., proprio pochi mesi prima della disfatta di Siracusa. Il progetto è già arcigno, dato lo stato cadaverico degli Ateniesi prigionieri, delle pressioni dei Siracusani e dalle difficoltà nell'allestimento, ma con una serie di imprese al limite dell'eroico, i nostri riescono a farsi fare i costumi, le maschere, le scene e mettono su lo spettacolo. Non vi dico di più, perchè la storia va avanti e di molto, e spero di incuriosirvi con questi altri aspetti per andare da soli a leggere come va a finire.
Innanzitutto la lingua di Lennon, resa magnifica dalla traduzione di Valentina Daniele: peculiare per ogni protagonista, ricca di immagini potentissime, a volte aulica a volte sporca, le invenzioni di traduzione (gli aristo, per definire le classi ricche, o l'uso del mi' ma', mi' pa' per definire colloquialmente i genitori) rende la lettura piacevolissima. La costruzione dei personaggi, soprattutto i principali, il retto e saggio Gelone contro lo spirito intraprendente, al limite del furbesco, di Lampo. Le metafore che quell'impresa offre: il rapporto con l'altro, il ruolo del ricordo, la guerra e le sue conseguenze, persino il ruolo e la potenza dell'Arte come linguaggio universale. Ne esce fuori un libro gioiello, edito tra l'altro da una casa editrice, NN, che nella quarta di copertina ha questo passo: In questo libro c'è un Uomo Nudo. Ciò vuol dire offrire ai lettori storie di uomini che si concepiscono diversi e lottano per questa diversità, lontano da modelli e maschere di padri e pari. C’è, in sostanza, la volontà di stimolare una riflessione collettiva sul maschile, quindi quando troverete questo segnale in copertina, sapete a cosa state per andare incontro.
Che è un ulteriore buon motivo per leggere un libro che mi ha affascinato come pochi.
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chez-mimich · 3 months ago
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VERMIGLIO
Quando nelle sale cinematografiche uscì “L'albero degli zoccoli" di Ermanno Olmi, Maura Delpero aveva solo tre anni, non so quindi se abbia potuto immaginare che tipo di dibattito pubblico scatenò il film (ricordo solo en passant la polemica sul "leopardo"). Fatto sta che anche "Vermiglio" rientra in quella nutrita categoria di film sul mondo dei tempi andati, di cui l'Italia vanta una nobile e ben nutrita tradizione (a cominciare da Olmi e Pupi Avati). Anche qui, come nel recente "Campo di Battaglia" di Gianni Amelio (ancora nella sale), mentre in quest’ultimo tempo raccontato è quello della Grande Guerra, in Vermiglio siamo nella Seconda guerra mondiale e più o meno siamo anche nella stessa area geografica. In cima ad una montagna nei pressi del paesino di Vermiglio, nella Val di Sole in Trentino, Lucia, Ada e Flavia, figlie femmine della prolifica famiglia Graziadei conducono la loro esistenza fatta di lavoro e poco altro. Il padre, maestro elementare del paese, cerca di inculcare, con rigore e con rassegnata consapevolezza ai propri alunni e ai loro famigliari, che la vita dello spirito ha una parte importante. Piero, un disertore di origine siciliana rifugiatosi nel paese per sfuggire alla guerra, dopo qualche timidissima avances riesce a far breccia nel cuore di Lucia. I due giovani convoleranno presto a nozze e dalla loro unione nascerà un “popo" (in dialetto trentino, un bambino). Ada, la figlia irrequieta e un po' ribelle si rifugia nelle braccia di Agata, donna spregiudicata del paese, mentre un figlio maschio della numerosa famiglia, timido ed indomito, sembra intraprendere una vita di dissoluzione casalinga per via della sua dedizione all'alcol. Ma naturalmente, la tragedia è in agguato e così su Pietro, il bel disertore tornato in Sicilia, si scopre che è già maritato e con moglie siciliana la quale non aspetta di meglio che ucciderlo a sangue freddo (o caldo). Il bambino di Lucia, come prevedibile, finisce in orfanotrofio poiché la ragazza deve andare a lavorare “in città” e fare la serva. Ecco, se a Vermiglio sostituiamo Palosco nella pianura bergamasca e magari alla famiglia Graziadei sostituiamo la famiglia Batistì e, volendo azzardare, se a Lucia e Pietro sostituiamo Maddalena e Stefano, il clima e la temperie che si respira è la stessa. Olmi vinse la Palma d’oro a Cannes per aver portato sullo schermo il mondo dei vinti, tutti coloro che lo hanno fatto dopo sono inesorabilmente condannati ad imitarlo.
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inadeguata · 5 months ago
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raccontaci l’appuntamento
cercherò di non romanticizzare troppo la storia (anche se è davvero difficile). il 17 luglio corro per prendere il solito bus che stavo perdendo, salgo negli ultimi posti, ovviamente abbastanza pieno. sale il controllore e si liberano dei posti, mi siedo e avevo accanto una ragazza e di fronte un ragazzo. ad un certo punto arriva un signore molto particolare, con un vestito nero, degli occhiali scuri e un anello fighissimo e io lo scrutavo. arriva e si mette a parlare con il ragazzo, non sentivo niente ma dal linguaggio del corpo sembrava si conoscessero, infatti ero sorpresa. ad un certo punto il signore chiede al ragazzo 'il bus si ferma a zona X?' e il ragazzo dice che era la prima volta che lo prendeva. continuo ad ascoltare la musica assorta nella mia ansia quotidiana e ad un certo punto il ragazzo mi gira il suo telefono con le note. io panico perché ero tipo 'ommioddio mi sta dicendo di stare attenta al tizio oppure mi sta dicendo qualcosa di divertente sul tizio'. in realtà c'era scritto - ti va di darmi il tuo numero per un caffé? -. gli tremava la mano ed era tutto imbarazzato e io ero sconvolta e confusa ma era molto carino e quindi 'why not'. mi scrive subito, gli rispondo a tratti e passa del tempo per vari drammi, cose, non so, non mi sentivo pronta. sennonché una decina di giorni fa si chiudono varie situazioni + ero con la mia collega che cercava persone da seguire con il profilo del lab (con il suo telefono) e mentre cercava un prof dice 'well questo non è sicuramente lui, però che BONO' mi giro a guardare ed era lui. rega io ero sconvolta ahah, cioè boh mi sembrava che tutto il mondo mi dicesse 'escici'. quindi gli ho risposto dopo un po', scusandomi ecc e gli ho detto che da lì a poco sarei andata in sicilia ma che al rientro ci sarei stata e così è stato. ieri ci siamo visti e boh, è stata una di quelle serate che passi e ti sembra di conoscere una persona da sempre. abbiamo ascoltato musica, siamo finiti in un chioschetto con 50-70enni che ballavano qualsiasi tipo di musica lol. La cameriera che ci ha provato con me e io pensavo solo -che bello essere viva- dopo anni di pugnalate varie è stato come prendere una boccata d'aria.
e quindi niente, è stato tutto bello, romantico, dolce e pieno di chimica. non so in realtà dove mi porterà questa cosa, ma mi importa poco. La cosa bella è che mi sono permessa di essere felice, anche solo per una sera. e lui è proprio bello e mi fa ridere tanto (musicista, compositore e insegna canto) e mi sembra un po' uscito da un libro ma va bene così. Ho solo voglia di cose leggere e lui è molto leggero e bello
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pettirosso1959 · 3 months ago
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Ricevo da un mio amico siciliano di Messina:
Nelle scorse settimane, in un condominio adiacente a quello ove abito, sono stati installati un gruppo di pannelli fotovoltaici, tra le mie amare risate.
Per tale installazione è stata necessaria la presenza di una gru di dimensioni assai generose, gru che è dovuta intervenire nella zona per ben 2 volte; la prima per installare la struttura reticolare di supporto, la seconda per l'installazione vera e propria dei pannelli.
Risata amara resa più amara dalla posizione e dalla tipologia di installazione, installazione avvenuta su una terrazza condominiale ubicata in una posizione altimetrica inferiore rispetto ai condomini circostanti, condizione che pone ovviamente in ombra i pannelli FV.
Ancor più grave, i pannelli non godono di alcun orientamento sull'orizzonte, né verticale, né orizzontale; sono montati praticamente "coricati" e paralleli al piano, un assurdo rispetto alle prescrizioni fisiche.
Incuriosito, domando al "legittimo proprietario" di così elevata stortura, il costo di questa operazione. Soddisfattissimo mi risponde: "Nulla! Solo le spese per l'istruzione della pratica! Ed il condominio non si è nemmeno potuto opporre!". MAFIA! Penso e non dico, io!
Veniamo all'atto pratico; per muovere la gru indicata il costo è di 2,5 mila euro/giorno comprese le operazioni dell'operatore di movimento ed il supporto del vettore di trasporto materiali, la creazione dell'impianto elettrico è di, circa, 3 mila euro (dal piano V al piano terra), il costo secco e senza telaio in alluminio dei pannelli FV è di, circa, 3 mila euro per kWp installato, quindi 30 mila euro per 10 kWp! Ignoto il costo del telaio di supporto, ma non inferiore alle 5 mila euro, date dimensioni e posizioni occupate. L'impianto non sembra dotato di accumulo, quindi i costi dovrebbero terminare qui e siamo tra 40 mila e 50 mila euro per servire una sola famiglia nel pieno disprezzo della collettività e delle volontà individuali del condominio!
Alla precisa domanda: "Perché non lo hai fatto a tue spese?!", la risposta è stata ovvia: "A mie spese non lo avrei MAI fatto, costa troppo!".
Ecco le deficienze di una serie di norme dello Stato e di imposizioni della UE: a proprie spese il condomino non avrebbe MAI installato l'impianto, perché ritenuto troppo costoso.
Quindi, non diversamente dal superbonus di grillina memoria, lo Stato sovvenziona opere a costo della collettività e per la collettività non producono alcun vantaggio/ricchezza.
Se realmente l'installazione dei sistemi fotovoltaici/eolici fosse stata conveniente, nessuno avrebbe esitato nell'investire (non sarebbe stato un costo!) in tali opere, nella certezza di un ritorno a medio termine. La realtà dell'esperienza storica indica un tempo medio di 32 anni per il rientro dei costi secchi del solo impianto, senza il supporto di opere accessorie diverse, che possono ridursi a 27 anni se le installazioni vengono effettuate in aree particolarmente irraggiate (Sicilia/Sardegna) ed arrivare a 36 anni per aree come la Lombardia, il Piemonte, il Friuli, giusto per fare degli esempi. Osservando all'estero, in Germania o Regno Unito il fotovoltaico sarebbe del tutto inutile alla causa, con un fattore di capacità di appena il 6%!
La vita media della migliore serie dei pannelli FV non arriva a 30 anni, fermandosi addirittura a 22 anni, ma molti dei pannelli FV installati mostrano problemi già dopo i primi 10 anni di esercizio (in Germania una serie di pannelli da 4 miliardi di euro smise di funzionare dopo appena 2 anni dall'installazione).
Purtroppo queste spese gravano su tutti, Industrie in primis, alla voce ONERI DI SISTEMA, che pesano per oltre il 51% del costo della bolletta, e SPESE PER IL TRASPORTO DELL'ENERGIA, che pesano per un ulteriore 3% - 7% del costo della bolletta funzionalmente alla tipologia di contratto. E poi si fallisce tutti...
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marcoleopa · 2 years ago
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Mafia&Drine ringraziano.
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Sinceramente, è il momento di sperperare miardi di €?
Vivo nell'isola dove per raggiungere in treno, da un capo all'altro (Lilibeo/capo Passero), occorrono 11 ore e circa 4,30 in auto (il sud della Sicilia non ha rete autostradale); dove le opere infrastrutturali incompiute, sono uno scandalo nazionale; dove gli ospedali non hanno uno straccio di piano operativo e le attese per una visita specialistica, sono un miraggio; dove la rete idrica è un colabrodo; abbiamo l'unica autostrada italiana senza pedaggio e senza rifornimenti; un trasbordo aereo per Milano o Roma, costa tanto quello per New York etc...potrei andare avanti all'infinito.
Ribadisco, è il momento di sperperare, o, di utilizzare le risorse finanziarie, per risolvere le incancrenite questioni sopra esposte?
Aggiungiamo i costi dell'opera (fonte WWF italia):
8,5 miliardi di euro,  più del doppio di quello con cui il General Contractor Eurolink, capeggiato da Impregilo, ha vinto la gara (3,9 miliardi rispetto ai 4,4 miliardi di euro posti a base di gara
non si ripaga con il traffico stimato, visto che le previsioni degli stessi progettisti valutano, a regime, un utilizzo del ponte che si aggirerebbe attorno all’11% della capacità complessiva (11,6 milioni di auto l’anno, a fronte, appunto, di una capacità complessiva teorica dell’opera di 105 milioni di auto l’anno nelle due direzioni
il ponte ad unica campata è irrealizzabile dal punto di vista tecnico: si tratterebbe di costruire, in una delle aree a più alto elevato rischio sismico del Mediterraneo, un ponte sospeso, ad unica campata di 3,3 km di lunghezza a doppio impalcato stradale e ferroviario, sorretto da torri di circa 400 metri di altezza (quando allo stato attuale delle conoscenze tecniche il ponte più lungo esistente al mondo con queste caratteristiche è quello del Minami Bisan-Seto in Giappone di 1118 metri di lunghezza
va ad incidere su un’area ampiamente vincolata per gli straordinari valori paesaggistici e severamente tutelata dall’Unione Europea poiché l’opera ricade interamente nell’area di due ZPS – Zone di Protezione Speciale (“Costa Viola”, in Calabria e dei “Monti Peloritani, Dorsale Curcuraci, Antennammare e Area marina dello Stretto”, in Sicilia) e interferisce in entrambe le regioni con 11 SIC – Siti di Interesse comunitario
il progetto ‘definitivo’ presenta gravi carenze tecniche rilevate già dalla Commissione VIA – Valutazione Impatto Ambientale (con ben 223 richieste di integrazione), secondo cui: “gli studi relativi [ad alcuni] interventi … non hanno un livello di approfondimento tale per essere parte di un progetto definitivo
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maimoncat · 11 months ago
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 Gatto Mammone, o Re dei Gatti, è una creatura del folklore italiano, una delle poche che si trova in più o meno tutta Italia. È descritto come un enorme gatto demoniaco, dal pelo nero con una M bianca sulla fronte. Appare in alcune fiabe e leggende, tra l’altro nelle versioni italiane de “La ragazza cortese e quella scortese” , come ne “La fiaba dei gatti”, raccolta da Piero Pellizzari e aggiunta alle Fiabe Italiane di Calvino. Nel Medioevo era sinonimo di qualunque mostro o creatura leggendaria, oggigiorno però è solo un vecchio spauracchio dimenticato. Dino Buzzati scrisse un’articolo su di una signora anziana, che parlò del suo incontro col criptide. Per poi disegnarne una caricatura. È possibile che sia ispirato ad una divinità fenicia della fertilità, Maimone, ma di sicuro è stato unito al demone Mammona biblico e alla parola araba Maymun, scimmia.
Ho voluto postarlo qui il Martedì grasso, dato che talvolta è in qualche modo collegato con la stagione del Carnevale (specialmente in Sardegna). Qui eccovi alcuni schizzi concettuali che ho fatto di lui per il fumetto "Tales of the Otherfolk" di @zal-cryptid (molto ispirati al suo aspetto nella pellicola del 2019 "La famosa invasione degli orsi in Sicilia"):
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The Mammon Cat, or Catking, is a creature of Italian folklore, one of the few found in all of Italy. He’s described as a giant demon cat, with black fur and a white M on his forehead. He appears in some legends and fairy tales, like italian versions of “The kind and unkind girls”, as the “the tale of the cats” collected by Piero Pellizzari and included into Italo Calvino’s Italian FolkTales. In the Middle ages he was a synonym of any weird or scary creature, but today he’s only a half forgotten boogeyman. Dino Buzzati wrote an article where an old woman who spoke of her encounter with the cryptid. And then proceded to draw a caricature of it. It’s possible that the mammon cat is based on a phoenician fertility god, Maimone, but he was certainly united with the biblical demon Mammon and the arabic word for monkey, Maymun.
I decided to post this here on Mardi Gras (or Shrove Tuesday), since at times he's connected with the Carnival season (especially in Sardinia). Up there are also some concept sketches for @zal-cryptid 's webcomic "Tales of the Otherfolk". Very much inspired by his depiction in the 2019 movie "the Bears' famous invasion of Sicily".
Der Mammonkater, oder König der Katzen, ist ein Fabelwesen der italienischen Folklore, eins der Wenigen, die in ganz Italien verbreitet sind. Er ist als riesiger Teufelskater, mit schwarzem Fell und einem weissen M auf der Stirn. Er erscheint in einigen Märchen und Legenden, unter anderem in den italienischen Varianten von den „Geschichten von artigen und unartigen Mädchen“ (also Frau Holle), wie in „das Märchen von den Katzen“, das von Piero Pellizzari gesammelt und in Italo Calvinos Italienische Märchen mitgezählt wurde. Im Mittelalter war er das Stichwort für seltsames oder ungeheuerliches Wesen, Heut zu Tage ist er aber nur ein halb vergessenes Schreckgespenst. Dino Buzzati schrieb einen Artikel über eine Frau, die von ihrem Erlebnis mit dem Kryptiden erzählte. Danach zeichnete er eine Karikatur davon. Es ist möglich, dass er auf einem phönizischen Fruchtbarkeitsgott, Maimone, beruht, aber er wurde sicherlich mit dem biblischen Mammon und dem arabischen Wort für Affe, Maymun, vereint.
Ich wollte es am Fastnachtdienstag posten, da er manchmal (vor allem in Sardinien) mit der Faschingszeit verbunden wird. Oben noch ein Paar Skizzen von ihm für @zal-cryptid s Webcomic "Tales of the Otherfolk". Designweise sehr an seiner Erscheinung im 2019er Film "Königreich der Bären" angelehnt.
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sciatu · 4 months ago
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LA BATTAGLIA DI LEPANTO - Nel 1500 la distribuzione della popolazione siciliana era molto diversa dall’attuale. I grandi paesini presenti lungo la costa con la loro caotico agglomerato di case e palazzi, non esistevano a causa delle terribili scorrerie dei pirati turchi. I paesi e paesini fortificati, sorgevano nell’entroterra, spesso su colline o in luoghi ben difendibili. Lungo la costa vi era un sistema di sorveglianza con circa 600 torri che monitoravano il mare a scoprire per tempo la presenza dei temuti pirati. Nei grandi porti e presso i villaggi più grossi, vi erano forze d’intervento che dovevano attaccare le navi dei pirati appena avvistate o i turchi sbarcati che iniziavano una scorreria verso l’interno. I temuti pirati e le loro scorrerie erano una minaccia costante e imprevedibile.
Per questo motivo, quando papa Pio V chiamò alla Guerra Santa contro la flotta turca di Alì Pascià, per soccorrere la guarnigione Veneziana assediata a Cipro, l’adesione da parte dei siciliani fu immediata. Subito fu armata una flotta con i soldi delle città e dei nobili siciliani. Armare una galera all’epoca, non era una cosa semplice ed immediata. I turchi ed i veneziani avevano non solo enormi arsenali ma flotte già pronte conservate in enormi magazzini. Inoltre avevano un sistema di arruolamento collaudato e sicuro per cui non avevano problemi a trovare i rematori (che solo in piccola parte erano galeotti o prigionieri di guerra), gli equipaggi ed i soldati. È da notare quindi la velocità con cui la flotta siciliana (circa una decina di galee) fu allestita e armata, mentre quella spagnola dovette approntarsi con difficoltà recuperando dagli stati italiani materiale per le armi e gli scafi, rematori e marinai.
A Messina si riunì quindi nel luglio del 1571, la grande flotta di poco più di 200 galere formate da veneziani, pisani e genovesi sotto le insegne papali, quindi i cavalieri di Malta, gli spagnoli da Barcellona, quelli del regno di Napoli e la flotta siciliana guidata dall’ammiraglia, la Capitana di Sicilia. La flotta turca, conquistata Cipro nell’agosto di quell’anno, dopo aver messo a ferro e fuoco il basso Adriatico attaccando e conquistando le roccaforti veneziane nella Dalmazia e in Albania, si stava ritirando verso Lepanto, stanca e corto di munizioni, pronta a ricevere l’ordine di ritorno a Istanbul per porre le galere in darsena dato che non potevano affrontare le tempeste autunnali.
Quell’ordine però non arrivò mai.
La flotta della Lega Santa si diresse verso settembre contro la flotta nemica cercando di ingaggiar battaglia prima che il tempo peggiorasse. Le due flotte si ritrovarono a Lepanto, in una insenatura riparata, base dei turchi ma adatta al movimento delle duecento navi della Lega Santa che dovevano affrontare le circa trecento degli avversari. Disposti gli schieramenti gli uni di fronte agli altri, Alì Pascià prese l’iniziativa e puntò la prua direttamente contro la nave di Giovanni d’Austria. La flotta turca lo seguì muovendosi velocemente con il vento a favore. La sua ala destra, guidata dall’esperto capitano Shoraq detto Scirocco, si scontrò contro le navi veneziane e spagnole agli ordini del veneziano Barbarigo che in un primo tempo sembrò soccombere all’urto. Dopo l’arrivo delle navi di riserva venute in soccorso, i veneziani riuscirono a capovolgere la situazione e a catturare e uccidere il comandante avversario.
Sull’ala sinistra i turchi erano principalmente pirati algerini, astuti ed esperti che cercarono di circondare le navi dell’ammiraglio Doria che invece si defilò andando verso il mare aperto inseguito dai pirati che catturarono solo qualche nave rimasta indietro.
Ali Pascià notò che molto avanti rispetto alla linea su cui si era distribuita la flotta nemica erano state disposte sei grosse navi da trasporto chiamate galeazze, lente e tozze, con la murata tanto alta che ne impediva l’abbordaggio. Le galeazze erano scortate dalle galee con le vele rosse della flotta siciliana quasi che quel pugno di navi volesse fermare l’avanzata della potente flotta turca.
Alì Pascià, decise di ignorare quel che considerò un diversivo e si diresse prontamente contro l’ammiraglia della flotta nemica. Le navi che lo seguirono approcciarono le galeazze scoprendo che, contrariamente all’uso di allora, quelle grosse e goffe navi erano dotate di cannoni disposte lungo tutto il loro perimetro. Con una potenza di fuoco superiore di sei o sette volte quella di una normale galera, le galeazze incominciarono a bombardare dall’alto i vascelli nemici, distruggendo e affondando navi su navi e scompigliando la flotta turca che perse slancio e forza. A bordo delle galeazze Giovanni d’Austria aveva fatto collocare gli archibugieri che decimarono gli equipaggi di ogni nave nemica che si avvicinava a loro.
Le galeazze, seguite dalla flotta siciliana, incominciarono a girare in tondo rendendo il tratto di mare vicino a loro, un inferno. La Sultana, l’ammiraglia turca raggiunse velocemente Giovanni d’Austria che vedendo arrivare i nemici, lanciò la sua nave contro quella di Alì Pascia così che la sua guardia personale, il Tercio de Cerdena, una compagnia formata da veterani di Castiglia ed Estremadura di base in Sardegna, andò all’arrembaggio della nave avversaria. I castigliani si trovarono di fronte gli giannizzeri turchi, un corpo scelto formato da slavi cresciuti ed addestrati ad Instabul.
Lo scontro fu durissimo.
Per tre volte gli spagnoli andarono all’arrembaggio e furono cacciati indietro, Giovanni d’Austria fu ferito e spesso sul punto di soccombere. Le navi nemiche si concentrarono intorno alla loro ammiraglia, lo stesso fecero quelle della Lega Santa. Ormai era una lotta all’ultimo sangue.
Gli esperti soldati combattevano ormai all’arma bianca, i marinai, i rematori che spesso erano uomini della strada o gente di campagna arruolata a forza o per debiti, si erano uniti a loro e lottarono con rabbia e determinazione. Ormai tutti combattevano per sopravvivere tra i morti e i feriti, in un intreccio di legni rotti, carni tranciate, sangue e fumo di polvere da sparo.
La grande santa battaglia diventò una caotica, sanguinosa, terribile carneficina.
Le navi dell’ala sinistra turca, vedendo l’inutilità di inseguire l’ammiraglio Doria tornarono su i loro passi e veleggiarono verso l’ammiraglia a darle manforte. Se avessero raggiunto il groviglio di navi nel centro della formazione, le truppe spagnole avrebbero avuto la peggio. Fu questo quello che pensò Giovanni Cardona, capitano dell’ammiraglia siciliana, che subito lasciò le terribili galeazze e incrociò con la sua Capitana, le navi nemiche attaccandole, incurante della superiorità numerica, del mitragliare delle archibugiate e del fuoco delle cannonate. Ferito più volte con i suoi uomini riuscì a fermarle spingendole lontano dalla mischia.
In quel momento, le navi pisane, vittoriose sull’ala destra dei turchi, riuscirono a farsi largo tra il groviglio di remi rotti e alberi maestri tranciati dai cannoni ed arrivarono nella mischia delle ammiraglie, buttandosi all’arrembaggio di quella. Ebbero la meglio sui giannizzeri sopravvissuti agli scontri con i castigliani e catturarono, uccidendolo, Alì Pascià. Alla vista della testa del loro ammiraglio che dondolava sul pennone della sua ammiraglia, le navi turche superstiti (ormai poche e malconce) si dileguarono, o almeno ci provarono a causa delle galeazze che le aspettavano al varco, lasciando dietro di loro un mare di relitti e di sangue.
La vittoria fu una di quelle più pubblicizzata dei suoi tempi. Libri, poesie, grandi quadri, narrazioni epistolari si sparsero per tutta Europa a raccontare la grandiosa vittoria e l’immensa carneficina. I turchi rallentarono la loro pressione via mare ed aumentarono quella via terra dirigendo le loro truppe alla volta di Vienna.
In Sicilia l’evento ebbe una grande risonanza. Prova ne è la descrizione della battaglia rappresentata negli stucchi di Santa Cita e persino nelle carceri dello Speri dove un giovane condannato disegnò la battaglia su indicazione di un veterano. Messina, che era una porta del mediterraneo orientale, grata a Giovanni d’Austria, fece fondere una statua in bronzo che lo ricordasse e celebrasse. Le galeazze cambiarono il modo di concepire la guerra per mare. Presto vascelli dalle alte murate e con un gran numero di cannoni sostituirono le galere ed i pirati turchi furono pian piano eliminati, cosa che permise lo sviluppo dei paesi costieri siciliani e, ai Principi di Palermo, di iniziare a costruire le bellissime ville di Bagheria.
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arreton · 8 months ago
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Un'altra cosa che ho conosciuto da quando mi sono spostata qua in provincia di Bergamo è la generosità vera e propria. Ne avevo parlato brevemente in un vecchio post, ma credo che meriti un post a parte.
I padroni di casa dove sono in affitto sono credo le persone più gentili e discrete che io abbia mai conosciuto: persone modeste sebbene benestanti, comprensive, gentili, di una educazione impressionante; generosamente mi regalano le uova delle loro galline (ed io le mangerei ad ogni pasto perché sono credo le uova più buone che io abbia mai assaggiato), mi dicono sempre che se ho bisogno di qualcosa posso scendere e venire a bussare, fino a ieri "se hai bisogno di qualcosa, non comprare, dimmi a me ché io ho molte cose qua". E che siano delle persone generose lo ha dimostrato anche il fatto che qualche anno fa hanno ospitato una famiglia ucraina in fuga dalla guerra. Sono i primi estranei che piuttosto che mettermi davanti problemi irrisolvibili da risolvere mi danno invece delle soluzioni. Tutta la mia vita, fino ad ora, è stata costellata da problemi irrisolvibili: ogni chiacchiera pure la più innocua era formata da dei problemi, da delle polemiche inutili a problemi irrisolvibili, di qualsiasi tipo; stessa identica cosa nella mia famiglia ed io che cercavo di risolverli e alla fine riuscivo solo a piangere la notte e ad ingozzarmi di giorno e spesso di nascosto per alleviare l'angoscia. Questi signori, invece, ci parli un attimo ed è tutto semplice, facile e soprattutto già risolto: il problema non si è posto proprio. La loro discrezione poi è disarmante: mai conosciute delle persone così discrete nei miei confronti e così rispettose dei miei spazi pure se questo è un loro spazio. Da due mesi che sono qua non si sono mai sognati di venirmi a bussare, nemmeno per dirmi delle cose belle: se io scendo loro qualche fetta di dolce la signora mi ridà il piatto lasciandomelo sulle scale; mi fanno trovare il pellet sulle scale, pellet tra l'altro acquistato da loro per noi sebbene non abbiano la stufa a pellet ma quella a legna; non solo mi regalano le piantine di peperoncino, ma anche queste me le lasciano fuori dalla porta per non disturbarmi; hanno la copia del contratto da farmi firmare e non mi chiamano ma aspettano di vedermi uscire. Nella mia famiglia invece è sempre stato il contrario: mai avuto la mia privacy, le mie cose erano anche contro la mia volontà, le cose di tutti a meno che non me le nascondevo; chi mi apriva armadi e cassetti, non potevo nemmeno chiudermi in camera perché si lamentavano e non mi riferisco ai miei, ma agli altri parenti coi quali i miei avevano instaurato un rapporto morboso; non potevo scappare da loro, dovevo starci per forza e soprattutto fare finta di starci bene. Per non parlare della presunta generosità di parenti lontani e vicine di casa: ogni gesto "generoso" significava l'aver contratto un debito con degli strozzini: la volta successiva tu per loro dovevi esserci per forza pena il rinfacciarti quello che avevano fatto per te, maledirti e probabilmente pure toglierti il saluto. Poi il parlare è sempre stato denigratorio: credo che una cosa che accomuna tutti i poveracci che campano di merda perché non tengono soldi ma spendono più di quello che potrebbero permettersi, è l'essere arroganti. Ecco, in sicilia e poi in campania erano tutti arroganti e fondamentalmente gente di merda; in sicilia peggio che in campania dove invece ho conosciuto qualche essere umano ancora leggermente piacevole. Per non parlare poi della tranquillità della gente che lavora in questa zona: nei supermercati, nei negozi, oltre ad essere gentili, sono pure tranquilli (tranne qualche rara eccezione): cassiere sedute che se ne sbattono se la gente si accumula (d'altronde loro che ci possono fare), chiacchierano e non si scompongo e hanno sempre da regalarti un sorriso gentile. Un sacco di estranei, da quando sono in questa zona, mi hanno regalato un sorriso gratuito ed un saluto, entrambi fatti con una bella espressione calorosa e gentile sul volto, come se fossero veramente contenti di salutarti e di vederti.
Se continua così credo che potrebbe pure passarmi la repulsione per il genere umano, ricordarmi che almeno a grandi linee stiamo messi male, ma poi qualche rara eccezione la si incontra.
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curiositasmundi · 2 months ago
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Palermo torna a pullulare di mafiosi responsabili di efferati omicidi, che sempre più spesso hanno accesso a benefici penitenziari pur non avendo mai aperto bocca sui loro pesanti trascorsi criminali. Nelle ultime settimane, a ottenere la semilibertà sono stati infatti lo “strangolatore” dell’Acquasanta Raffaele Galatolo e lo spietato killer di mafia Paolo Alfano, mentre sono stati elargiti permessi premio allo storico reggente del mandamento di Santa Maria di Gesù, Ignazio Pullarà, nonché ad altri importanti mafiosi come Franco Bonura, Gaetano Savoca e Tommaso Lo Presti. Alla rimpatriata palermitana manca solo Giovanni Formoso, punito con l’ergastolo per aver caricato l’autobomba utilizzata nell’attentato di via Palestro a Milano, il 27 luglio 1993, che causò 5 morti. Anche lui ha ottenuto la semilibertà – è la prima volta per un boss mafioso condannato per strage e mai pentitosi –, ma, almeno per ora, ha il divieto di tornare in Sicilia.
Il caso di Giovanni Formoso è sicuramente quello più altisonante. Il boss è stato infatti condannato all’ergastolo tra gli esecutori materiali della strage di via Palestro, uno degli attentati che, nel 1993, insanguinarono l’Italia nella cornice di una “strategia eversiva” che vide Cosa Nostra in prima linea. Esplodendo nei pressi del Padiglione di Arte Contemporanea, l’autobomba causò la morte di cinque persone. Formoso era uomo dei fratelli Graviano, registi della stagione delle stragi del ’93, nonché organizzatori dell’attentato in via D’Amelio del 19 luglio 1992, in cui perse la vita il giudice Paolo Borsellino insieme ai membri della sua scorta. Anche Raffaele Galatolo, tornato a Palermo, è un profilo di peso: fu uno dei membri di spicco della nota “camera della morte” di Vicolo Pipitone, dove all’inizio degli anni Ottanta venivano uccisi i nemici mafiosi del capo di Cosa Nostra Totò Riina. Centro nevralgico delle attività di Cosa Nostra, il luogo – come emerso dalle testimonianze di molti pentiti – sarebbe stato il punto di incontro tra i mafiosi e vari esponenti dei servizi segreti, tra cui Bruno Contrada, Arnaldo La Barbera e Giovanni Aiello, alias “Faccia da Mostro”. Un altro nome autorevole tra quelli dei mafiosi che hanno ottenuto benefici penitenziari è quello di Ignazio Pullarà, che sarebbe il custode dei segreti sui legami tra l’ex senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri, Silvio Berlusconi e i boss di Cosa Nostra. Nella sentenza con cui la Corte d’Appello di Palermo condannò il braccio destro dell’ex premier per concorso esterno in associazione mafiosa, si legge infatti che Vittorio Mangano – il famoso “stalliere” della villa di Arcore, boss mafioso della famiglia di Porta Nuova – fra il 1988 e il 1989 aveva manifestato lamentele a un altro mafioso per il «comportamento, che aveva giudicato scorretto, tenuto nei suoi confronti da parte di Ignazio Pullarà, reggente della famiglia di Santa Maria di Gesù, che si era appropriato delle somme che erano state versate da Berlusconi e che Mangano riteneva spettassero a lui». Altro mafioso ergastolano che è potuto rientrare nel capoluogo siciliano è poi Paolo Alfano. Condannato a 17 anni di carcere al Maxiprocesso e successivamente all’ergastolo per due omicidi, era ritenuto da Falcone e Borsellino «uno dei killer più fidati e spietati della famiglia di corso dei Mille».
Questo scenario trae origine da un approccio giurisprudenziale molto più permissivo rispetto al passato per i mafiosi che non si pentono, segnato da dirimenti sentenze da parte della Corte Europea dei Diritti Umani e della Corte Costituzionale. Nel 2019, la Corte Europea dei Diritti Umani ha infatti affermato che l’Italia dovesse «riformare la legge sull’ergastolo ostativo, che impedisce al condannato di usufruire di benefici sulla pena se non collabora con la giustizia». Nello specifico, l’ergastolo ostativo – introdotto in seguito alle stragi di Capaci e Via D’Amelio – consiste in un particolare regime carcerario, delineato dall’art. 4 Bis dell’Ordinamento Penitenziario, che esclude dalla possibilità di godere dei benefici penitenziari coloro che hanno subito condanne all’ergastolo per reati particolarmente gravi, tra cui l’associazione mafiosa e il terrorismo. La Consulta si è subito adeguata alla pronuncia della CEDU, sancendo che anche i mafiosi possono accedere ai permessi premio «pure in assenza di collaborazione con la giustizia». Nonostante il decreto con cui il governo Meloni è intervenuto sulla materia abbia eretto dei paletti molto “stringenti” per la concessione dei benefici penitenziari, la strada è segnata: come dimostrano le cronache, infatti, il divieto di permessi premio e libertà condizionale per la mancata collaborazione con la giustizia non è più assoluto, dovendo invece i Tribunali di Sorveglianza valutare caso per caso. Per i mafiosi, dunque, collaborare con la giustizia è sempre meno conveniente.
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aki1975 · 10 months ago
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Napoli - Francesco Laurana - Maschio Angioino - Arco trionfale - 1479
Fondata dai Greci di Cuma, i sovrani che nei secoli si sono susseguiti sul trono di Napoli sono stati:
i Normanni:
- Ruggero I d’Altavilla conquistò la Sicilia nel 1091;
- Ruggero II (1130 - 1154): fu il primo re di una Sicilia multietnica e multireligiosa avendo accorpato in un unico regno tutti i possedimenti normanni nell’Italia Meridionale conquistando Napoli nel 1137;
- Guglielmo I (1154 - 1166)
- Guglielmo II (1166 - 1189): eresse il Duomo di Monreale;
- Tancredi (1189 - 1194)
- Guglielmo III (1194)
- Costanza d’Altavilla (1194 - 1197)
gli Svevi:
- Federico II (1198 - 1250) Stupor Mundi: a Napoli istituì l’università nel 1224;
- Corrado (1250 - 1254): dovette confrontarsi con il potere del fratellastro Manfredi;
- Corradino (1254 - 1258): fu sconfitto nella battaglia di Tagliacozzo e fatto imprigionare a Castel dell’Ovo e decapitare da Carlo d’Angiò nella piazza del mercato a Napoli, poi sepolto nella vicina Chiesa del Carmine. La dinastia degli Svevi scomparve con la morte di Manfredi nel 1266.
gli Angioini:
- Carlo I (1266 - 1285): fratello di Luigi IX il Re Santo, Conte d’Anjou, ricevette in vassallaggio la Sicilia e Napoli dal Papa che difese dagli Hohenstaufen. Edificò il Maschio Angioino, con uno stile che richiama il castello di Avignone, nel 1282;
- Carlo II (1285 - 1309): dovette rinunciare al trono di Sicilia dopo la rivolta dei Vespri Siciliani nel 1302;
- Roberto I (1309 - 1343): figlio di Maria d’Ungheria sepolta nella Chiesa di Donnaregina, fu apprezzato da Petrarca e amante della cultura e delle lettere;
- Giovanna I (1343 - 1382): fu fatta assassinare dal ramo di Durazzo degli angioini e le succedette
- Carlo (1382 - 1386)
- Ladislao (1386 - 1414)
- Giovanna II (1414 - 1435)
- Renato I (1435 - 1442)
gli Aragonesi:
- Alfonso I d’Aragona (1442 - 1458): sconfisse Renato d’Angiò e unì il tono di Napoli a quello di Sicilia e ai possedimenti della Sardegna e della Spagna occidentale. Combattè contro Milano e Genova e dotò il Maschio Angioino dell’attuale arco di trionfo;
- Ferdinando I detto Ferrante (1458 - 1494): all’inizio del suo regno dovette fronteggiare la rivolta angioina e successivamente sedò la rivolta dei baroni e si alleò con gli Sforza contro il re di Francia Carlo VIII d’Angiò. Del suo tempo la Chiesa del Gesù Nuovo;
- Alfonso II: sposò Ippolita Maria Sforza, ma dovette abdicare a causa della calata di Carlo VIII;
- Ferrandino (1494 - 1496)
- Federico I (1496 - 1503) durante il cui regno vi fu la conquista e poi la cacciata di Luigi XII re di Francia;
- Ferdinando III (1504 - 1516) dopo il quale il Regno di Napoli fu incluso in quello di Spagna prima sotto la casata degli Asburgo (con la breve parentesi della Repubblica di Masaniello fra il 1647 e il 1648) poi sotto quella dei Borbone (1700 - 1713) ed ancora sotto quella degli Asburgo d’Austria (1713 - 1734).
i Borboni:
- Carlo I (1734 - 1759): già Duca di Parma, conquistò e riunificò il Regno delle Due Sicilie anche grazie alla madre Elisabetta Farnese, seconda moglie del re di Spagna, che da Madrid influenzò la prima parte del suo regno. Riformò con Bernardo Tanucci l’amministrazione, promosse la musica (fondò il Teatro di San Carlo nella patria di Paisiello e Pergolesi), l’arte (promosse la ceramica di Capodimonte, fece costruire al Vanvitelli la reggia di Caserta del 1751 e quella che oggi è Piazza Dante oltre alla Reggia di Capodimonte dove installò la collezione Farnese) e sostenne gli scavi a Pompei ed Ercolano che iniziarono nel 1738);
- Ferdinando (1759 - 1799 e 1816 - 1825): sposò una figlia di Maria Teresa d’Austria, Maria Carolina che lo allontanò dall’influenza spagnola di Bernardo Tanucci, promosse la Marina Militare (nel 1787 fu fondata la Nunziatella), ma dovette subire una rivoluzione filo-francese (Eleonora Fonseca Pimentel, Mario Pagano, …) nel 1799 contrastata dal Cardinale Ruffo e da Fra Diavolo e la conquista napoleonica che insediò Giuseppe Bonaparte dal 1806 al 1808 e Gioacchino Murat dal 1808 al 1815 prima di diventare, con il Congresso di Vienna, Re delle Due Sicilie ed essere sepolto al Monastero di Santa Chiara;
- Francesco (1825 - 1830)
- Ferdinando II (1830 - 1859): fondò la prima ferrovia d’Italia (1839), ma fu reazionario e soprannominato il Re Bomba per come represse i moti rivoluzionari del 1848 a Messina;
- Francesco II (1859 - 1861): era figlio di Ferdinando II e di Maria Cristina di Savoia e sposò la sorella di Sissi, Maria Sofia di Baviera.
Con l’Unità, Napoli confluì nel Regno d’Italia: ecco perché la statua di Vittorio Emanuele II è presente a Palazzo Reale.
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parmenida · 1 year ago
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⚜️ 𝟭𝟯 𝗗𝗜𝗖𝗘𝗠𝗕𝗥𝗘 𝟭𝟮𝟱𝟬:
⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀𝗔𝗗𝗗𝗜𝗢 𝗔 𝗙𝗘𝗗𝗘𝗥𝗜𝗖𝗢 𝗜𝗜
⠀⠀⠀⠀⠀⠀ 𝗦𝗧𝗨𝗣𝗢𝗥𝗘 𝗗𝗘𝗟 𝗠𝗢𝗡𝗗𝗢 ⚜️
Pochi avanzi di mura sul dorso di una collina invasa dalle sterpaglie. È quel che oggi resta di 𝗖𝗮𝘀𝘁𝗲𝗹 𝗙𝗶𝗼𝗿𝗲𝗻𝘁𝗶𝗻𝗼, una rocca che nella prima metà del XIII secolo sorgeva nelle campagne della Capitanata, 9km a sud di Torremaggiore, a ovest di San Severo e Lucera.
Qui, nel giorno dell’anno con meno luce, il 𝟭𝟯 𝗗𝗶𝗰𝗲𝗺𝗯𝗿𝗲 𝗱𝗲𝗹 𝟭𝟮𝟱𝟬, festa di Santa Lucia, a soli 56 anni, morì 𝙁𝙚𝙙𝙚𝙧𝙞𝙘𝙤 𝙄𝙄 𝙙𝙞 𝙎𝙫𝙚𝙫𝙞𝙖.
La mattina del 13 Dicembre (secondo una cronaca agiografica) l’Imperatore volle indossare l’umile tonaca grigia dei cistercensi del terzo ordine di cui faceva parte. Chiese di essere sepolto nella cattedrale di Palermo, accanto al padre e alla madre.
Ma l’annuncio della morte, forse per ordine dello stesso Federico, venne tenuto nascosto per un certo tempo. Fino al Gennaio del 1251 la cancelleria emanò dispacci e documenti come se l’imperatore fosse ancora vivo.
Il giovane Manfredi comunicò la scomparsa al fratellastro Corrado per lettera, con parole accorate:
“𝙏𝙧𝙖𝙢𝙤𝙣𝙩𝙖𝙩𝙤 𝙚' 𝙞𝙡 𝙨𝙤𝙡𝙚 𝙙𝙚𝙡 𝙢𝙤𝙣𝙙𝙤 𝙘𝙝𝙚 𝙧𝙞𝙡𝙪𝙘𝙚𝙫𝙖 𝙞𝙣 𝙢𝙚𝙯𝙯𝙤 𝙖𝙡𝙡𝙚 𝙜𝙚𝙣𝙩𝙞”
Il cadavere, con ogni probabilità, fu imbalsamato. Il 28 dicembre il corteo con il feretro dell’imperatore attraversò per l’ultima volta le città di Foggia, Canosa, Barletta e Trani e gli altri centri della costa. A Bitonto, Matteo di Giovinazzo notò “sei compagnie de cavalli armati” e “alcuni baroni vestiti nigri insembra (insieme) co’ li Sindaci de le Terre de lo Riame”. A Taranto la salma fu imbarcata per la Sicilia.
⠀⠀𝘾𝙚𝙣𝙩𝙞𝙣𝙖𝙞𝙖 𝙙𝙞 𝙫𝙖𝙨𝙘𝙚𝙡𝙡𝙞, 𝙥𝙞𝙘𝙘𝙤𝙡𝙞 𝙚 𝙜𝙧𝙖𝙣𝙙𝙞, 𝙨𝙖𝙡𝙪𝙩𝙖𝙧𝙤𝙣𝙤 𝙞𝙡 𝙛𝙚𝙧𝙚𝙩𝙧𝙤 𝙘𝙤𝙣 𝙙𝙧𝙖𝙥𝙥𝙞 𝙣𝙚𝙧𝙞.
Così Federico tornò a Palermo, la città dell’infanzia e della giovinezza, che 38 anni prima aveva lasciato per affrontare la straordinaria avventura che lo portò a diventare prima re di Germania e poi imperatore.
La salma dell’imperatore fu tumulata nel Duomo, accanto ai genitori e alla prima moglie Costanza, in un maestoso sarcofago di porfido color amaranto.
Carismatico e scomodo. Colto e spietato. Feroce eppure tollerante. Federico parlava sei lingue (latino, siciliano, tedesco, francese, greco e arabo). Diventò adulto in una società multirazziale. Comprese e studiò il pensiero islamico. Si appassionò alla scienza e alla poesia. A Napoli fondò una grande università che porta ancora il suo nome. Fu curioso del mondo e degli uomini: alla sua corte trovarono alloggio intellettuali di ogni lingua e religione.
Con le “𝗖𝗼𝘀𝘁𝗶𝘁𝘂𝘇𝗶𝗼𝗻𝗶 𝗠𝗲𝗹𝗳𝗶𝘁𝗮𝗻𝗲” (1231), raccolta di norme fondata sul diritto romano e normanno, Federico sognò di dare ordine, a scapito della Chiesa e dei nobili, a tutti gli aspetti dello Stato, dalla giustizia alla sanità, fino al diritto e all’economia.
Federico mise in discussione, dalle fondamenta, il potere temporale dei pontefici. Tornò vincitore da una crociata alla quale era stato obbligato, senza combattere nemmeno una battaglia.
L’Impero finì con la sua morte. In appena venti anni la dinastia degli Hohenstaufen si estinse
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