#la ragazza col cuore a metà
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*eri una di quelle persone.
E nonostante tutto, mi manchi da morire.
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Parte 2
"Speciale deriva da species, che significa spettacolo, scena vista, qualcosa che risalta agli occhi di chi sa guardare"- è quello che mi disse guardandomi negli occhi con quella luce soffusa che proveniva dalla luce del corridoio, lasciata accesa per la fretta di cogliere al balzo l'occasione di sdraiarsi accanto a me. "Immagino che tu sia colui che sa guardare" -dissi- "non è forse speciale anche la persona che riconosce chi altri lo sia?" -non perdeva mai l'occasione per esaltare le sue qualità, pure troppo, forse anche fino a risultare odioso a volte. Ma a quel punto cominciò a sfiorarmi il viso, io risultai sicuramente infastidita, perché mi girai meglio dalla parte opposta, in ogni caso gli facilitai la presa, in quella posizione poteva tenermi stretta, con una mano sulla guancia, toccandomela meglio, c'era più contatto. Il mio cuore iniziava a battere più veloce ma riuscivo a tenere la calma, forse facilitata dal sonno, che ancora la sua presenza non mi permetteva di prendere. Mantenni quella posizione per tanto, dopo qualche minuto mi iniziava a piacere la sensazione della sua mano calda posta quasi sulla mandibola, a sfiorare la parte del viso a metà tra guancia e collo, tra castità e desiderio. Cominciavo a rilassarmi e quasi ad addormentarmi, quando la sua mano cominciò a spostarsi, scese giù, nel tragitto per qualche secondo mi sfiorò il seno, scese ancora giù. Per un attimo ebbi paura o forse sperai, forse lo pensai perché in realtà lo volevo, che cominciasse a toccarmi meglio. La sua mano cercava qualcosa, disperatamente quasi, era la mia mano, la prese, incastrò le sue dita con le mie, ci giocò per qualche minuto e poi la portò al suo viso. Ovviamente la posizione iniziale, in cui lui mi stava abbracciando da dietro, così non era più comoda per me, dovetti girarmi.
Se la teneva stretta, come a dire "accarezzami, non togliere la mano", è quello che feci: iniziai a sfiorare la leggera ombra di barba che aveva col dorso della mano, i suoi occhi iniziarono ad addolcirsi, non erano come al solito e passai a delle carezze migliori. Ora mi trovavo lì, quasi a pancia in giù, per metà appoggiata al suo petto, con il braccio che mi faceva da cuscino e la mia mano che smetteva di accarezzargli il viso solo per passare qualche secondo sul suo petto. Lui vide nel mio sguardo la paura di caderci ancora, la paura di crederci, di stare davvero bene a causa della mancanza di fiducia nei suoi confronti. Non potevo fidarmi, ogni volta che ero stata bene lui spariva, né un messaggio, né una chiamata, come potevo credere al suo bisogno di ricevere il mio amore, le mie attenzioni... Mi conosceva, leggeva nel mio sguardo ognuna di queste domande e iniziò a parlarmi di quello che lo portava a essere in quel modo.
Da un ragazzo così cosa vi aspettereste? Nulla di specifico, non mi raccontò del perché lo faceva da sempre, né cosa successe nel particolare: si limitò a parlarmi della sua unica relazione, avuta qualche anno prima, quindi comunque dopo che aveva già l'abitudine di sparire. Aveva sofferto, tradito dal suo migliore amico, non aveva perso solo la sua ragazza, sentiva che tutto quello che aveva fatto per entrambi non era stato apprezzato, si sentiva perso e un po' abbandonato. Io ero lì ad accarezzarlo nel tentativo di calmare il suo sfogo, a guardare nei suoi occhi mentre mi raccontava la sua storia, quando mi colpì una frase specifica "per me tu sei un mondo". Vi spiego: non stava parlando di me, ma era uno di quelli che ci metteva anima in quello che faceva, anche io, per cui lo capivo benissimo, e il fatto di non essere apprezzato o che nulla gli veniva riconosciuto lo minava dall'interno, parlava di questa ragazza come un mondo conquistato dopo tanto e che lui aveva contribuito a costruire, un luogo dove trovare rifugio, benessere, qualcosa di enorme, che lo avvolgesse e in cui perdersi, con le sue piccole e uniche caratteristiche. Per lui ero così, con altre diverse piccole e uniche caratteristiche: realmente eravamo dei mondi, dei piccoli pianeti, ognuno differente dall'altro, compresi appieno ciò che voleva dire. Tuttavia, la frase mi colpì perché dolorosa, mi immaginai nella mente un piccolo astronauta, che pur avendo scoperto un pianeta bellissimo per lui, decise di scoprirne un altro e focalizzarsi su questo, considerando il primo solo quando aveva voglia. Pertanto, presa un attimo dall'impulsività, gli risposi "un pianeta che però hai frequentato a intermittenza", lo avevo beccato. Sembrava realmente dispiaciuto della scelta che aveva fatto ma il secondo mondo, a quanto disse, era per lui l'unico che all'epoca poteva frequentare. Effettivamente anche io ero spesso sfuggente, lato che alla lunga poteva dare fastidio, scambiandolo per volontà di non ricambiare i suoi sentimenti. Continuavo a guardarlo negli occhi, quella sera c'è stata un'intimità che in 10 anni non si era mai creata. Mi disse che avrebbe tanto voluto stare con me così da tempo e che non si era mai creata l'occasione, ma che se quell'attesa fosse stata necessaria per provare quello che provava in quel momento, ne valeva la pena. "Sto bene" -disse guardandomi negli occhi- "sto proprio bene, con te così, non ho mai guardato nei tuoi occhi così a lungo e tu non hai mai guardato così i miei, tutto questo mi rende colmo di benessere". Era vero, c'era una strana magia che rendeva diversi i nostri sguardi quella sera, io sentivo la sua gioia, la sua sincerità e il suo reale senso di benessere nello stare così.
Tutto ciò mi aveva inebriato: le sue parole, i suoi occhi, un suo sorriso sincero che non avevo mai visto prima, lo stare vicini, le carezze, il suo entusiasmo nel parlare dei suoi sentimenti verso me, tutto. Mi persi anche io nel suo entusiasmo, mi feci prendere, i miei pensieri legati ai suoi e non mi accorsi che era a un millimetro da me che cercava di baciarmi. Non me la sentivo di baciarlo, ma era lì e un po' di desiderio c'era, comunque realizzai quello che stava accadendo realmente solo quando le sue labbra erano già sulle mie e di colpo andai via. Quello che ne risultò fu un mezzo bacio a stampo, storto, con uno schiocco a vuoto, orribile, perché subito mi allontanai, mi tolsi il piumone di dosso e, messe le scarpe e il cappotto, corsi via, lasciandolo lì, solo nel letto.
Continua
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BACK FROM THE BRINK
Altro giro, altra corsa, altro drama.
Devo dire che avevo messo in lista questa serie solo perché avevo beccato qualche immagine divertente che mi avevano fatto pensare che la serie fosse non troppo pesante. Che potesse essere leggero e divertente.
E così - almeno per la prima parte della serie - è stato.
Prima di tutto la trama:
Dopo il tradimento della sua amante, l'antico drago Tian Yao si ritrovò gravemente ferito e con il cuore spezzato. La donna che amava lo tradì smembrandolo, spogliandolo delle sue scaglie di drago e poi sigillando le sue parti del corpo in cinque punti. Solo la sua anima è scappata. Ora rinato, Tian Yao incontra Yan Hui, che giura di proteggerlo mentre recuperano assieme le sue parti mancanti. Lungo il viaggio, Tian Yao trova una parte del suo corpo e scopre anche che Yan Hui possiede la sua scaglia di drago e che quindi può rompere il sigillo che blocca le sue parti del corpo nascoste per il mondo. Tian Yao allora, usa Yan Hui per recuperare le parti del suo corpo rubate. La ragazza terrorizzata, pianifica la sua fuga solo per fallire e scoprire che la loro relazione si approfondisce durante il tempo passato assieme. Tian Yao ammira i ripetuti sforzi di Yan Hui per salvarlo, mentre Yan Hui apprezza il forte legame che hanno creato. I misteri abbonderanno man mano che Yan Hui scoprirà la sua vera origine.
(L'ultima frase la metto in grassetto perché sta roba dell'origine è una cazzata. Non solo non si scopre NULLA della sua origine ma ai fini della trama manco importa. Per dire.)
Dunque: la trama è interessante. C'è un drago innamorato che è stato tradito e ammazzato malissimo. C'è una donzella che trova il drago dopo anni ed formano una coppia che evolve tra alti e bassi. C'è un corpo da recuperare e tante altre cose...
Ammetto che ho iniziato questa serie perché ero curiosa di vedere come avrebbero gestito la parte di Tian Yao che usa Yan Hui: i personaggi grigi e ambigui saranno sempre la mia passione a quanto pare!
Ma prima di parlare dei personaggi, tornando alla trama, essa di evolve lungo la strada e verso la fine parlerà di tutt'altro. E' una storia epica, piena di personaggi e di tecniche magiche. E' una storia che riprende da un libro che, a quanto ho capito, mai e poi mai leggerò poiché col caiser che verrà mai tradotto in italiano!
Ma nonostante questo, la trama mi è piaciuto ed ho veramente annusato l'odore dell'epicità.
Ci stanno tutte le cose care ai drama wuxia: i temi del bianco e nero, cultori, tecniche proibite, oggetti con funzioni strane, roba con nomi lunghissimi... il solito insomma. Ma soprattutto ci stanno cose magiche che non spiegano mai, tecniche che certe volte funzionano e certe no, artefatti che vengono trovati ad minchiam... la cosa che mi fa sempre tagliare in queste serie, quando si parla della magia, è come i personaggi enuncino cose magiche, strumenti ecc ecc con una nonchalance e sicurezza come se anche lo spettatore sapesse di cosa stiano parlando. Cosa che non è vera!
" adesso useremo La Tecnica della Tigre Bianca per bloccare l'Energia Oscura dell'Elogio Spettrale, grazie al Sigillo Delle Nove Spade ecc ecc..."
Io comunque gli do ragione e accetto qualsiasi cosa per partito preso ma ammetto che metà cose di come funzioni la magia, me le sono perse.
Detto questo comunque, il problema più grave per me è stata la scenografia, fotografia e CGI che ho trovato barbinissime, davvero di bassa qualità. Ad esempio, la foresta dove i nostri sovente si recavano: gli alberi, i sassi e tutta l'ambientazione sembravano dei cartonati da recita di paese. Anche nel finale quando il male ormai corre lungo tutto il mondo, il "mondo" era costituito da 10 persone, forse 20 a stare larghe.
E' difficile farmi sentire la tensione, l'epicità del mondo in pericolo quando su schermo ci sono 4 tizi scarsi.
Di buono però c'è anche la storia è si epica, ma anche molto divertente. Soprattutto inizialmente: Yan Hui è spettacolare, divertente e tosta ed insieme a Tian Yao creano dei siparietti molto spassosi.
Veniamo ora ai personaggi. Ho adorato la protagonista Yan Hui sia come recitazione sia come caratterizzazione. Solare, entusiasta, avida, leale ma anche umana quando scappa da Tian Yao dopo quello che le ha fatto o quando quasi cede al lato oscuro. Zhou Ye tratteggia una protagonista forte e comica ma che sa anche commuoversi e far commuovere, rendendo Yan Hui realistica e credibile.
Al pari della lead, anche Bai Xiao Sheng - il second per intenderci - è meraviglioso. All'inizio grigio e sospetto piano piano s'affezionerà ai protagonisti, soprattutto a Yan Hui e mi regalerà una terribile sindrome da second lead che difficilmente andrà via. Ho infatti trovato l'innamoramento di Bai per la protagonista molto semplice ma funzionale e logico: quando tutti lo avevano abbandonato, Yan Hui è stata l'unica che è andata a cercarlo, mostrando di tenere a lui.
Inoltre Bai è interpretato da Riley Wang , attore bravissimo che regge lo schermo come pochi. Fluido, naturale, con una recitazione credile e vera che rende Bai quasi un personaggio in carne ed ossa.
Chi invece non ha questa grazia è Tian Yao. Se è vero che inizialmente il nostro protagonista usa Yan Hui per riprendersi il corpo, successivamente ritorna ad essere un esempio di santità e bontà. Chiesto scusa per il brutto comportamento verso la sua amata, Tian mostra tutta la sua virtù facendo sempre la cosa giusta, combattendo il male e colando miele di romanticismo pure dagli occhi.
Oltre a ciò, Neo Hou non mi ha convinto per niente. Ha reso Tian Yan troppo rigido e statico. Un pezzo di marmo. Bello sì. Ma ancora immobile come la pietra. E ho capito che impersonava un essere sovrannaturale e al di sopra di tutti i mortali e immortali ma la grazia e eleganza che doveva mostrare era davvero troppo asettica.
Veniamo poi alla storia d'amore. Come sempre, avendo il cuore in pietra lavica soprattutto per le storie che diventano facilmente melense, ad una certa ho skippato tutte le loro scene d'amore: alla quinquesima immagina di loro due che si professavano eterno amore, il mio cuore non ce l'ha fatta ed ho premuto "avanti 10 secondi" più volte.
Chiariamoci... la storia d'amore non ha nulla che non va. E' che tra la recitazione poco convincente del lead, il ti lascio e ti ripiglio ,ma ti amo e sposiamoci ,ma no, ma sì dai! la storia che andava avanti ed io che invece volevo sapere cosa era successo a Bai, ho davvero messo poco impegno nel seguire la vicenda amorosa.
Mi sono invece piaciute le altre coppie, come quella di Xian Ge e Feng Qian Shuo: ad esempio: una coppia semplice e normale che si faceva forza uno con l'altro. Lui poi innamoratissimo! Mi portava in scena sempre feels amorosi. <3
Altra cosa per me negativa è stata la resa delle relazioni, soprattutto quelle del lead. Alla notizia che il suo vecchio amico è in realtà il braccio destro del nemico, Tian Yan non dice bau. Niente. Nada. Manco in confronto, un conflitto, un espressione di dolore per il tradimento. Niente.
Oppure: Tian Yao è stato tradito, ammazzato e fatto a pezzi dalla sua presunta futura moglie. Presumo che lui l'abbia amata prima di questo, visto che l'ha chiesta in moglie. E per tutto il drama questa relazione d'amore non verrò mai affrontata. Mai. Anche quando i due si incontrano e scontrano non c'è un richiamo romantico alla loro vita assieme.
I personaggi parlano con Tian ma non c'è davvero una relazione amichevole e intima tra loro, rendendo tutto molto asettico tipo lista della spesa.
Detto questo, Back From the Brink non è stato male. Si vede l'impegno messo dagli autori nel creare la storia e tratteggiare i personaggi con il consueto " bianco e nero style alla the Untamed" con alcuni di loro che svettano come recitazione e caratterizzazione. Altri... svettano meno. Ma che sia il lead ha farlo è più grave secondo me.
Peccato per l'ambientazione e gli effetti speciali così come certe cose che sembrano state tirate via e raffazzonate, cosa che un drama "epico" serio non dovrebbe mai fare.
VOTO: 7.6
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22/05/23
non ho niente di quella sera.
non ho foto, non ho scontrini, non ho biglietti.
ho solo ricordi: nella mente, nel cuore, nella pancia, sulla pelle.
e scriverli su un pezzo di carta mi aiuterà a tenerli vivi.
20:27, viale d'Annunzio 48, fermata dell'autobus, sto aspettando il 23.
eccola, l'ansia, è arrivata.
21:09, ancora viale d'Annunzio 48, ancora alla fermata dell'autobus, ancora aspettando il 23.
l'ansia è ancora qui.
in più è arrivata la decisione di raggiungerla a piedi, 20 minuti, ce la posso fare, no? si.
la luna è così piccola.
21:30, arrivata, piazza Oberdan.
vedo una ragazza, no non è lei.
più avanti ce n'è un'altra, forse un po' le somiglia, ma non tanto.
forse non la riconosco.
21:32, "io attraverso adesso".
mi giro, eccola, la vedo, il cuore sta per scoppiarmi.
faccio pochi passi per andarle incontro.
ce l'ho davanti, la guardo negli occhi per la prima volta, sorrido.
"tu vai di là e io vado di qua"
e poi l'abbraccio.
e il cuore invece di esplodere si tranquillizza.
d'altronde erano 6 anni che aspettava questo momento, il cuore.
d'altronde è sempre stato questo l'effetto.
ci incamminiamo, andiamo a prendere il gelato.
Gelateria Zampolli, via Carlo Ghega.
la guardo negli occhi per la seconda volta.
"ma a me non piace il gelato"
"come non ti piace il gelato? giura"
"giuro"
"e allora perché mi hai detto di si?"
"sto scherzando, ovvio che mi piace il gelato"
e poi all'uscita
"me lo ricordavo che ti piaceva il gelato".
camminiamo mentre mangiamo il gelato e nel mentre parliamo di come mi sembra trieste, dell'università, del lavoro.
Canal grande, statua di James Joyce.
"aspetta aspetta"
"devi fare la foto, giusto, tu sei turista"
prendo la reflex, cade la mia scimmietta portafortuna.
volevo che la scattasse lei la foto.
avrei avuto un suo ricordo, avrei avuto una foto da riguardare nel tempo sapendo l'avesse fatta lei.
niente, non ha voluto.
"domani devi farmi tornare qui per scattarla?"
la guardo per la terza volta negli occhi.
si, la sera dopo sono tornata lì per scattarla.
continuiamo a camminare, mi sto sporcando tutta col gelato.
sapevo sarebbe successo.
succede sempre.
"ti passo un fazzoletto, aspetta"
"ce l'ho ce l'ho, eccoli, no non volevo questi, eccoli, si, questi"
"perché questi?"
"sono più profumati"
"mi piace questa cosa"
pulisco la coppetta del gelato.
"me la tieni un attimo? è pulita ora"
"avrei potuto tenertela anche prima"
mi pulisco anche le mani.
riprendo la mia coppetta.
riprendiamo a camminare.
"non ho un bel ricordo di roma"
"come non hai un bel ricordo di roma, me ne hai sempre parlato benissimo"
ho sbagliato.
non tutti i ricordi associati a roma sono belli.
poi lo esprimo meglio dopo, mentre siamo sedute al molo.
verso il Molo Audace.
"guarda c'è una fontana se vuoi sciacquarti"
apro.
mi sciacquo.
mi bagno.
"sono impedita nel fare determinate cose"
mi avvicino a lei con le mani bagnate come se volessi lanciarle l'acqua addosso.
"no no no, lo sapevo"
cerca di allontanarsi.
cammina dietro di me.
"dai suu che ormai sono asciutte"
molo Audace, ci sono delle scale.
"per me possiamo sederci qua"
scende uno scalino.
"ma perché l'acqua è così alta?"
si siede, mi siedo.
la guardo per la quarta volta negli occhi.
nave da crociera, abitanti di trieste, biglietti che loro studenti non comprano per davvero.
si è fatto tardi, andiamo via.
"mi aiuti ad alzarmi?"
le porgo la mano.
non mi piace chiedere aiuto.
ma mi è piaciuta la sua mano che mi ha tirato su.
mi accompagna fino a quasi metà strada, ci abbracciamo, ci salutiamo.
mi allontano.
"ora quando ci vedremo un'altra volta? tra altri sei anni?"
non risponde, consapevoli, entrambe, che probabilmente sarà stata la prima e l'ultima.
mi giro un'ultima volta.
la guardo negli occhi l'ultima volta.
"ciao"
"ciao"
sono nell'autobus e penso, in ordine:
mi è sembrato di conoscerla da una vita.
beh ovvio, è così, è come se fosse una vita.
sono riuscita a guardarla negli occhi solamente 5 volte.
è l'unica persona al mondo con cui mi è successo.
di solito guardo tanto le persone negli occhi, mi piace.
con lei non riuscivo.
incrociavo i suoi occhi.
troppo forti.
dovevo per forza distogliere lo sguardo.
il mio primo amore.
quel cerchio si è chiuso.
e si è chiuso lì davanti al mare.
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Capitolo 60 - Juke box, granoturco e apparecchi per i denti
Nel capitolo precedente: Angie e Grace visitano il set di Singles e incontrano Cameron Crowe. Grace vorrebbe andare a conoscere gli attori, ma Angie è troppo timida ed evita di incrociarli in tutti i modi, specialmente Matt Dillon. Il regista propone ad Angie una piccola parte nel film e lei ne rimane sconvolta. Non appena sente che Tim Burton dovrebbe fare un cameo nella sua scena, Angie sgattaiola via dal set. Eddie e Angie si vedono la sera stessa sotto casa di lei per fumare una sigaretta e fare due chiacchiere, un breve incontro incastrato tra gli impegni di entrambi. I due flirtano un po’ e Eddie lascia intendere che lei gli manca molto, anche dal punto di vista fisico. Angie si chiede come faranno quando lui sarà in tour con la band per lunghi periodi e Vedder le rivela qual è la sua “soluzione” al problema. Nel frattempo, Jerry ha intenzione di trascorrere una tranquilla serata a casa, ma i suoi piani vengono sconvolti da Layne e Demri, che lo incastrano in quello che pian piano scoprirà essere un appuntamento al buio con una ragazza.
Seattle non è Los Angeles e la First Avenue non è di certo il Sunset Strip, ma percorrere questa via che attraversa quasi interamente la città da nord a sud è la scelta migliore se vuoi entrare nel cuore dell'Emerald City. Se poi vuoi incontrare un musicista o un artista di qualsiasi genere, la zona tra First Avenue e Pike Street, prima del mercato, o l'area di confine tra Belltown e Downtown, sono quelle da tenere d'occhio. Non per i locali di musica dal vivo, che di certo non mancano, ma perché qui si trova la combinazione ideale di beni e servizi particolarmente ricercata dalla categoria appena citata: sexy shop, banchi dei pegni, negozi dell'usato, negozi di dischi, spacciatori e, soprattutto, posti in cui mangiare e bere super economici. Che abbia firmato con una major oppure no, il musicista medio qui è comunque perennemente al verde e non potrebbe sopravvivere senza posti in cui poter fare un pasto decente con pochi dollari. Molti si chiedono come mai proprio a Seattle si sia sviluppata questa scena musicale così fervente, tirando in ballo nella discussione le radio universitarie, le fanzine, le etichette indipendenti da una parte, l'isolamento, il freddo la pioggia e il non avere un cazzo da fare se non stare a casa e ascoltare o fare musica dall'altra. Secondo me però non ci sarebbe Seattle sound senza i caffè, le tavole calde e i bar che sfamano e dissetano gli artisti squattrinati che vivono qui da sempre o che vi si trasferiscono per far parte della scena.
Il Frontier Room è uno di questi santi posti. Apre alle sei del mattino e per le sette e mezza potrebbe benissimo metterti già ko. Bere qui costa poco e i baristi sono noti per avere la mano pesante. Sono al bancone con Layne, per un secondo round dopo il primo giro di presentazioni, chiacchiere e alcol con Demri e Heather. Devo dire che quella ragazza non è male, non è nemmeno come me l'aspettavo. Non so perché, ma dal nome mi immaginavo una specie di bomba sexy tutta tette e permanente... non che io abbia nulla contro le tette o la permanente, ci mancherebbe! E non voglio dire nemmeno che sia brutta, anzi. E' una bella ragazza, alta e magra con gambe kilometriche, occhi chiari e capelli scuri, potrebbe tranquillamente fare la modella e farebbe la sua porca figura, anche sfilando col maglioncino bianco e i jeans che ha su adesso. Sembra anche simpatica e alla mano, insomma, sarebbe anche il mio tipo. Se me ne fregasse qualcosa. Layne si allontana con i gin tonic per lui e Dem, mentre io osservo il barman che prepara i due whisky e coca per me e Heather contemporaneamente. Praticamente riempie i bicchieri di whisky fino a metà, poi prende la coca e, mentre si gira a parlare con un altro tizio, non si accorge che la maggior parte della bevanda che versa manca il bersaglio e finisce per infradiciare lo straccio che sta sopra il bancone. Quando termina lo scambio di parole, nota che i bicchieri sono ancora poco meno che mezzi vuoti e allora ci butta dentro un altro po' di whisky. Questo è il segreto del Seattle sound: i posti che ti danno più whisky che coca, spero vivano per sempre.
Prendo i bicchieri e faccio per andare al tavolo dei miei amici, quando intravedo uno sbaciucchiamento in corso proprio tra Layne e Demri. Nulla di esagerato, ma abbastanza da farmi fare una piccola inversione a U in cerca di un diversivo, che si materializza proprio davanti a me sotto forma di juke box. Appoggio i bicchieri sull'apparecchio e mi metto a spulciare i titoli per perdere un po' di tempo, scusa Heather! Passo un bel po' di musica country, non perché non mi piaccia, ma perché non sono nel mood giusto. Garth Brooks, Bob Seeger, c'è un po' di classic rock, ma continuo a scorrere, un po' perché voglio essere sicuro di trovare labbra scollate al mio ritorno, un po' perché nulla mi colpisce particolarmente. Eagles? Ugh... Scorpions. Mi fermo, per un doppio motivo. Numero uno: amo questa band. Numero due: Angie odia questa band. Credo di non averla mai sentita pronunciare una parola cattiva nei confronti di nessuno, a parte gli Scorpions, Bon Jovi e... ehm, beh, il sottoscritto. C'è Love at first sight, scontato, c'è Animal Magnetism, che è il mio album preferito, c'è pure Crazy world, l'ultimo, un buon lavoro, ma sicuramente il più commerciale. E io proprio lì vado a cadere.
Wise man said just walk this way
To the dawn of the light...
Kenny Rogers finisce proprio quando arrivo al tavolo con i drink, Send me an angel comincia e i miei tre compagni di serata mugugnano quasi in contemporanea. E non sono i soli perché posso quasi sentire un unico lamento percorrere tutti gli avventori del bar uno dopo l'altro mentre ascoltano la ballad e riflettono sul senso della propria vita. Un po' troppo deprimente forse, eh? La serata sembra tutto d'un tratto più silenziosa e più fredda e forse nemmeno il whisky e coca super carico è abbastanza forte per questa canzone. Penso di aver ufficialmente rovinato la serata a tutti, almeno finché Heather non si alza, e a quel punto penso di averla rovinata soprattutto a lei. E a Dem e Layne che in fondo vogliono solo che socializzi come una persona normale e non mi sembra chiedano troppo, ma perché è diventato tutto così difficile tutto d'un tratto? La ragazza però non tira su giacca e borsa per alzare i tacchi e andarsene con una scusa come pensavo, ma prende solo un paio di monete dalla tasca, mi fa l'occhiolino e con poche falcate raggiunge il juke box. Con lo stesso sorrisetto stampato in faccia scorre i titoli, inserisce i suoi quarti di dollaro, preme i pulsanti e torna al tavolo, mentre la mia canzone sfuma, lasciando il bar in un silenzio quasi totale e surreale. Heather non si siede, ma ci guarda, si guarda attorno e si rivolge a tutto il locale proprio mentre partono degli accordi decisamente più grintosi di Rudolph Schenker.
“Gli si sono accavallate le dita e ha sbagliato a schiacciare, tutto qui!” Heather alza le braccia e poi punta lo sguardo su di me, prende il bicchiere e bevendo un bel sorso di whisky praticamente puro e inizia a cantare, qui, in mezzo al bar, come se nulla fosse. La cosa mi stupisce, ma quello che mi sorprende di più è che io la seguo a ruota.
I look in your eyes, I really think you're fooling me
You're pretty and nice, it doesn't matter don't you see
Cantiamo Falling in love degli Scorpions in un duetto, ma solo fino al primo ritornello, perché da lì in poi diventa un coro, prima del nostro tavolo, poi di tutto il bar. La mia memoria potrebbe tranquillamente tradirmi, ma penso sia la prima volta che contribuisco a dare il via a un coro da bar. E' facile far cantare il pubblico ai tuoi concerti, ma molto più difficile svegliare un gruppo di ubriaconi in locale anonimo una sera freddina e umida di marzo. A volte bastano le dita giuste per risolvere una serata.
“Adoro quell'album” commento con Heather che annuisce, un bel pezzo dopo la fine del coro.
“E' il disco della svolta.” fa lei, poco prima che Dem e Layne si allontanino con la scusa delle sigarette “La mia preferita è The Zoo, ma quella era più orecchiabile”
“Eheh sì, più da karaoke. Comunque The Zoo è un pezzone, sei la prima ragazza che incontro che conosca così bene gli Scorpions” tralasciando Angie che, proprio perché li conosceva bene, vomitava solo al sentirli nominare, davvero non mi ricordo di nessuna fan in particolare. Beh, a parte lei, ma non era così sfegatata.
“Oh cavolo, Jerry, mi dispiace” Heather si fa subito seria e appoggia la sua mano sulla mia, che riposa accanto al posacenere dopo averci appena spento una sigaretta.
“Eheheh beh, non è grave, insomma, ben vengano i buoni gusti musicali, ma non sono tutto, cioè, mi fa piacere quando trovo qualcuno che condivide i miei interessi, ma non è fondamentale”. Insomma, la musica è la mia vita, ma ho smesso di scegliere gli amici in base ai gusti musicali nel 1980, più o meno.
“No, intendevo dire, mi dispiace... ma non verrò a letto con te” scuote la testa e mi guarda con aria contrita, come se mi stesse facendo le condoglianze.
“Che?”
“Non ci vengo a letto con te, non farti strane idee”
“Oh. Ok. Ma cosa c'entra?”
“Volevo essere onesta con te, prima che iniziassi a provarci. Ma non potevo dire niente prima, davanti a Demri, ci teneva così tanto a questa uscita”
“Chi ti dice che volessi provarci?”
“Lo stai già facendo... Sei la prima ragazza che incontro che ama gli Scorpions, uh!” dopo questa sorta di imitazione mi spinge via la mano ridacchiando e finisce il suo drink.
“Allora, capisco che possa sembrare una frase di pseudo-rimorchio e ammetto di aver usato qualcosa del genere in passato, ma ti giuro che in questo caso l'intenzione non era assolutamente quella”
“Seh come no! Guarda che non devi fare finta con me, è normale che uno si aspetti qualcosa da un appuntamento al buio, non te ne faccio mica una colpa” Heather allunga le mani sul mio pacchetto di sigarette senza chiedere, ne prende una e se l'accende col mio accendino.
“Certo che è normale, ma la normalità non mi appartiene molto ultimamente. Ti assicuro che era una semplice osservazione, non ci stavo provando. Se vuoi saperlo, visto che è il momento della verità, non ci volevo neanche venire stasera”
“Ma davvero?”
“Ero a tanto così dal tirarti un pacco clamoroso”
“Disse la volpe che non poteva arrivare all'uva...” Heather ammicca e mi soffia il fumo in faccia.
“Ahahah so cosa sembra, ma non è così. Farei sicuramente una figura migliore se ti assecondassi e andassi dietro alla tua storia, invece no. Sono molto più patetico di così” non so per quale motivo, forse è perché in fondo non la conosco, è un'estranea, ed è più facile essere onesti con gli sconosciuti; un po' sarà anche il suo modo di fare, molto schietto, ma dire la verità mi sembra la cosa più facile del mondo in questo momento, al tavolo con Heather.
“Patetico? Che vuoi dire?”
“Che fino a qualche mese fa non solo ci avrei provato con te, ma ci sarei anche riuscito e a quest'ora staremmo già guidando verso casa mia”
“Ahahah anche se ti avessi detto che non avevo la minima intenzione di dartela?”
“Certo e l'avrei fatto in un modo talmente sottile da farti credere di essere stata tu a cambiare idea, anzi, ti avrei convinta che anch'io non ci pensavo proprio e che il tutto stava succedendo totalmente per caso”
“Che poi è... quello che stai facendo adesso? O sbaglio?” mi sorride curiosa e anche se pensa di avermi sgamato, non sembra irritata. E' perché mi crede? E' perché sta al gioco? Boh.
“No no, adesso mi sto proprio mettendo a nudo, non sto usando tattiche, te lo giuro”
“E allora cos'è successo in questi mesi che ti ha cambiato così drasticamente?” ecco, la domanda fatidica. Prendo la giusta rincorsa con un bel respiro profondo e vado.
“Mi sono innamorato di una ragazza, le ho spezzato il cuore, sono stato mollato e non mi sono più avvicinato a un altro essere di sesso femminile da allora, che poi sarebbero tre mesi fa, più o meno”
“Oh. Beh, hai fatto una bella sintesi”
“Sono andato dritto al sodo, almeno nei discorsi sono ancora capace di farlo” cos'è, ho iniziato il percorso dell'autoironia? Beh, un po' funziona, mi viene da ridere e lei sghignazza con me.
“Sai, la tua sintesi è molto simile alla mia. Beh, nella sostanza, intendo. Anch'io mi sono innamorata, sono stata mollata da un po' e non mi sono ancora ripresa”
“Mi dispiace”
“Solo che io sono quella a cui è stato spezzato il cuore. Beh, mi ha mollata per un'altra, insomma”
“Capisco cosa stai passando, davvero. Non è una tattica di rimorchio!” ribadisco cercando di farla ridere ancora.
“Ho ucciso il mood, vero? Come tu con quella cazzo di canzone di prima!”
“Nah, io ti ho battuta su tutta la linea, mi spiace! E ti batto anche come storia triste, perché sono così messo male che i miei amici mi presentano ragazze sperando di tirarmi su e invece io finisco per farle scappare parlando della mia ex”
“Ahah e perché io? Cosa credi sia qui a fare stasera? Demri non ne può più di vedermi piangere in pausa un giorno sì e l'altro pure. E non è la sola. Le mie amiche mi spingono a conoscere tipi, ma non capiscono che così è peggio!”
“Esatto! Non so se è così anche per te, ma... è difficile da spiegare. Quando devi dimenticare qualcuno la soluzione migliore sarebbe evitare tutto ciò che ti fa pensare a quel qualcuno, no? Ecco, un appuntamento con un'altra è la prima cosa che mi fa pensare alla mia ex perché...”
“Perché è la cosa che facevi con lei! Anch'io la penso così. Esci con uno e ti vengono in mente le stesse situazioni e...”
“E fai i confronti!”
“Ovvio, come cazzo fai a non farli!”
“Sai perché ho scelto gli Scorpions al juke box?”
“Perché hai dei ricordi di lei con quella canzone?”
“Perché le stanno sul cazzo, li odia!”
“Ahahah”
“Era da un po' che scorrevo tutti i titoli di quel cazzo di juke box e non c'era un nome che mi facesse sentire qualcosa, e la musica è la mia vita, sia chiaro. Poi è bastato che mi cadesse l'occhio su quel nome e ciao”
“E poi ti ho pure detto che a me piacciono”
“Già! Dimmi come potrebbe questa serata farmi dimenticare Angie, non può”
“Io dopo cinque minuti che sei arrivato avevo già fatto il confronto mentale tra le tonalità di biondo dei tuoi capelli e quelli di Rob, oltre che delle vostre altezze e del modo di ridere”
“Siamo messi proprio male, qua ci vuole un brindisi!” esclamo, mentre verso un po' del contenuto del mio bicchiere nel suo, per poi tornare serio per un attimo “Se non ti fa schifo”
“Ahahah no, figurati! Brindiamo, ai cuori infranti e patetici!”
“Cin cin” i nostri bicchieri si toccano per poi essere svuotati alla goccia da noi.
“Sei simpatico, se non fossi a pezzi ci sarei stata con te. Sei anche carino”
“Ah sì?”
“Sì, alto, capelli lunghi, musicista... sei praticamente il mio tipo”
“Wow, grazie, ne sono lusingato”
“E almeno mi capisci. Invece dovrò passare per chissà quanti altri appuntamenti al buio”
“Beh, magari prima o poi troverai qualcuno che ti prenderà talmente tanto da farti dimenticare persino come si chiama il tuo ex”
“Eheh dopo quello che ci siamo detti, non sei credibile, mi dispiace”
“Beh, basta dire alle tue amiche che non vuoi uscire con nessuno per il momento”
“Pensi che non l'abbia fatto? Come se fosse indispensabile avere qualcuno, voglio dire, che c'è di male ad essere single?”
“Single e contenti!”
“E poi il sesso è sopravvalutato”
“Beh...”
“Sì, è figo, non dico di no, ma non è che mi manchi poi così tanto. Non è la cosa che mi manca di più di Rob, questa è la prova che non è fondamentale”
“In effetti anch'io non è che stia facendo fatica. E non ero uno che si risparmiava, anzi...”
“Scommetto che il tuo non risparmiarti ha a che fare col modo in cui hai spezzato il cuore alla tua ex, o sbaglio? Non ti sto giudicando, eh! Tutto facciamo degli errori, siamo umani”
“Che dire, hai colpito nel segno. Invece adesso le tipe che girano nel backstage dei nostri concerti nemmeno le guardo, non le vedo, non ne ho voglia”
“SENTI, HO AVUTO UN'IDEA!” Heather batte forte il palmo della mano sul tavolo, tanto da far girare verso di noi anche i tizi seduti al tavolo accanto.
“Che idea?”
“Siamo nella stessa situazione e abbiamo lo stesso problema. Perché non possiamo essere l'uno la soluzione del problema dell'altra?”
“Eh?”
“Mi è venuto in mente in questo momento, magari è una cazzata, ma secondo me no, può essere la svolta!”
“Vuoi spiegarti meglio?”
“Allora, tra poco Demri e Layne torneranno al tavolo, capiranno che non c'è trippa per gatti, vedranno che ognuno di noi tornerà a casa sua e che non ci scambieremo nemmeno i numeri e cosa faranno la prossima volta?”
“Ci romperanno le palle chiedendoci perché non è andata?”
“Questo lo faranno adesso, subito. Ma la prossima volta che faranno?”
“Che faranno?”
“Ci presenteranno qualcun altro! E ancora e ancora e non finirà mai!”
“Io sto per andare in tour coi ragazzi, mi chiederanno di fare il quarto ogni volta che rimorchieranno qualcuna con amica al seguito”
“E perché, Dem? Conosce tutta Seattle, hai idea di quanti musicisti alti e capelloni siederanno al tuo posto?”
“E la tua soluzione quale sarebbe?”
“Lasciare un po' di trippa per i gatti”
“Cioè?”
“Non diciamogli che non è andata” Heather fa spallucce come se mi stesse dicendo la cosa più ovvia del mondo.
“Vuoi fargli credere che ci stai?”
“Gli facciamo credere che ci piacciamo, ci scambiamo qualche effusione...”
“Effusione?”
“Per finta! Ci scambiamo anche i numeri. Tanto tra poco tu vai in tour, no? Al massimo mi chiami una volta o due, giusto per rendere più credibile il gioco anche per la mia coinquilina. I tuoi amici vedono che sei preso da me e sei tranquillo e non ti rompono il cazzo con altre tipe col rischio di incasinarti di nuovo”
“E le tue amiche la piantano con gli appuntamenti al buio”
“Ci guadagniamo tutti e due”
“Mmm”
“Lo so che l'archetipo dei finti fidanzati è stra-abusato e può sembrare un cliché da commedia romantica alla John Hughes, ma ti assicuro che non ho secondi fini. E qui sarebbe per una giusta causa: la nostra sanità mentale” Heather mi guarda tutta speranzosa. Tutto sommato non sta dicendo una cazzata e, finzione o meno, ha degli occhi a cui è difficile dire di no.
“E' talmente assurdo che potrebbe funzionare”
“CHE COSA?” sono così concentrato sul piano diabolico di Heather che non mi accorgo del ritorno dei nostri amici, né di Demri che si avvicina per urlarmi nell'orecchio.
“Che cosa, cosa?” domando facendo il finto tonto.
“Cosa potrebbe funzionare?” ripete lei riaccomodandosi assieme al suo bello.
“Tra noi! Abbiamo scoperto di essere molto diversi, ma anche molto simili, vero Jerry?” Heather mi strizza l'occhio e si avvicina un po' di più a me con la sedia.
“Vero! Hai fatto bene a trascinarmi qui, amico, sai?” allungo il braccio attorno alle spalle della mia nuova complice mentre Layne mi guarda meravigliato.
“Sul serio? Beh, bene...” ma non senza sospetto.
Non mi sto andando a cacciare in un altro casino, vero?
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"Il tuo primo bacio? Quando è successo? Con chi? Racconta un po'..."
Io e Grace siamo nel pieno della nostra sessione quasi quotidiana di Domande random post-coito per conoscerci meglio, ospitata come sempre dal divano di casa sua. Il divano di Grace è la sede ufficiale di tutto ciò che facciamo, in pratica, che abbia a che fare col sesso, il post-sesso, il niente sesso, ascoltare dischi, mangiare, guardare la tv, guardare gli acquari o cazzeggiare. Io per altro ci dormo anche, perché il letto di Grace ahimè è ancora offlimits. Perché il discorso che le ho fatto l'altra sera era perfetto e lo so che le mie parole hanno fatto centro, ma intanto di fare l'amore senza i suoi stivali non se ne parla, di dormire assieme tanto meno. E allora siamo qui, io in mutande, lei con addosso la mia maglietta e le sue immancabili calzature, sul divano che ormai ha assunto la forma dei nostri corpi, specialmente del mio, a mangiare anacardi tostati e a farci domande per conoscerci, quando in realtà basterebbe spogliarci completamente e andare di là per avvicinarci veramente. Ma tant'è, l'intimità è fatta di tante cose e per costruirla ci vuole un sacco di tempo. Pazienza ne ho, è solo che ho il brutto vizio di voltarmi e buttare sempre l'occhio alla strada più facile, mentre arranco sul sentiero più impervio e considerato unanimemente il più efficace.
"È successo in prima media, con una bambina dai capelli rossi che non mi piaceva" ricordo mentre lo scettro del potere, ovvero la ciotola di anacardi, passa dalle mani di Grace alle mie.
"Non so perché, ma mi aspettavo una risposta del genere. Era pazza anche lei?"
"Mmm no, Jane era normale, per quanto possa considerarsi normale una ragazzina di undici anni. Era simpatica, una a posto, ma non una che avevo intenzione di baciare"
"E com'è andata?"
"Stavamo tornando a casa da scuola, abitavamo nella stessa strada. Eravamo scesi dallo scuolabus e camminavamo insieme, casa sua era prima della mia, quando ci siamo arrivati e la stavo salutando, lei ci ha provato"
"Le ragazze che prendono l'iniziativa sono un elemento ricorrente nella tua vita, ci hai fatto caso?" Grace allunga la mano nella ciotola e prende una manciata consistente.
"Sì. Però con te no, ti ho baciata io" diamo a Cesare quel che è di Cesare.
"Va beh, e tutto il lavoro per arrivare al bacio? Dove lo mettiamo? Me lo sono smazzato io, bello!" va beh, anche lei, sempre a mettere i puntini sulle i.
"Dettagli"
"Comunque, Jane ha provato a baciarti e tu?"
"Io sono andato nel panico, ovviamente"
"Ovviamente"
"E mentre le sue labbra ci avvicinavano pericolosamente..."
"Sei scappato?"
"No, le ho detto la prima cosa che mi è passata per la testa"
"Cioè?"
"Che avevo appena vomitato"
"Ahahahahah cosa???" il divano trema un po' sotto di lei che se la ride.
"Te l'ho detto, è stata la prima cosa che mi è venuta in mente! E mentre cercavo di spiegarle che doveva essere stato il polpettone della mensa, che era per forza andato a male e che l'avevo vomitato nel bagno della scuola prima di uscire, lei mi ha spiazzato"
"Ha vomitato anche lei?"
"No ha detto Non fa niente, ha fatto spallucce e mi ha baciato lo stesso! Ti rendi conto?"
"Wow dovevi piacerle proprio tanto"
"Quindi non era poi così tanto normale come sembrava"
"Devi avere una bella cotta per essere disposta a baciare una bocca che ha appena vomitato"
"No, devi essere malata! Comunque è stato un bacio bagnato e freddo. E non ce ne sono stati altri tra me e lei. Per sicurezza comunque da allora in poi sono andato a scuola in bici"
"Non ti ha traumatizzato per niente, nooo"
"E invece tu?"
"Ah la mia storia è meno divertente. Avevo dodici anni, lui uno in più, io avevo l'apparecchio ai denti, lui pure. Non ci siamo incastrati o cose del genere, ma c'è stata qualche difficoltà tecnica, mini-scontri metallici, è stato un po' imbarazzante, ma carino" il sorrisetto che le si è stampato in faccia nel rievocare il ricordo mi fa quasi ingelosire.
"E il vostro bacio carino è stato il primo di una lunga serie?"
"No, il giorno dopo lui si è messo con la mia amica" ed ecco sparire il sorriso sognante, sostituito da un mezzo ghigno rassegnato.
"Ahia. Lei era senza apparecchio? Sarà stata una questione di accessibilità, non la prendere sul personale"
"In effetti no, non lo portava!"
"Dai, altra domanda, però stavolta tocca a me" riprendo in mano la situazione e faccio finta di improvvisare un quesito che invece mi sono preparato da un po'.
"Ok"
"Con quanti ragazzi sei uscita dopo l'operazione?"
"Oh. Wow, bella domanda"
"Io faccio solo belle domande"
"Ecco, dovresti chiarire prima di tutto cosa intendi per uscita"
"Almeno un appuntamento, serale, da soli" elenco le condizioni primarie su tre dita.
"Ok, beh, questa sì che è una definizione precisa"
"Ti aspettavi forse qualcosa di diverso da me?" appoggio la ciotola degli anacardi sul tavolino e incrocio le braccia, voltandomi verso di lei, preparandomi alla sua risposta e al discorsone che ne seguirà.
"Eheh assolutamente no"
"Quindi?"
"Mah non so, una decina"
"Una risposta più precisa, adeguata alla domanda?" lo so, non è fondamentale avere il dato preciso, ma già che ci siamo, voglio sapere.
"Aspetta..." Grace, dopo un ultimo boccone, si sfrega le mani dal sale degli anacardi e poi la vedo iniziare a contare mentalmente e con le dita.
"12"
"Me compreso?"
"13" si corregge sorridendo compiaciuta.
"E a quanti di questi hai rivelato il tuo segreto?"
"A tutti, tranne due. Quindi undici"
"E con quanti di questi c'è stato un secondo appuntamento?"
"Mmm sei"
"E con quanti hai fatto sesso?"
"Oddio, dove vuoi andare a parare?" Grace comincia a insospettirsi, ma io non mollo.
"Quanti?"
"Quattro"
"E di questi quattro, quanti hanno anche dormito con te?"
"Dobbiamo proprio parlarne?" non è arrabbiata, giusto un pochino imbronciata.
"Sì"
"Uno"
"Ok. E questo tizio era tanto migliore di me?"
"Stone..."
"Era un santo, un empatico, un premio Nobel per la pace...?"
"Direi di no"
"Uno psicologo, un terapeuta, un medico?"
"No e non era nemmeno un campione di sensibilità, se devo dirla tutta"
"Ottimo! Esattamente come me. Quindi, che ne dici se stanotte diamo una tregua alla mia schiena e ci facciamo una bella dormita in camera tua?"
"Devi capire che non è facile"
"Ma va? Davvero? Lo so che è difficile Grace e anche se non lo avessi capito da solo, diciamo che una media di uno su tredici sarebbe stata una prova schiacciante, non credi?"
"Ci ho messo un sacco ad accettarmi, è stata dura riuscire a guardare me stessa, figurati farmi vedere e toccare da un'altra persona"
"Grace, lo so, ok? Lo so. Però ti faccio una domanda" la prendo per mano, forse più per bloccarla che per consolarla.
"Un'altra??"
"Dobbiamo conoscerci, no?" le prendo anche l'altra e lei dà una stretta a entrambe.
"Sì, ma di questo passo ci diremo tutto stasera e da domani di che parliamo?"
"Ahah, secondo te mancano gli argomenti di cui parlare? A me? Mi sottovaluti"
"Ok, cosa vuoi sapere?" sospira rassegnata.
"Non ti fai vedere perché sei a disagio tu o perché non vuoi mettere a disagio me?"
"Stone è... entrambe le cose"
"Ma in percentuale?"
"Come faccio a quantificare? Non so, cinquanta e cinquanta"
"Cazzate"
"Ahahahah come fai a dirlo?"
"Cosa cambia se adesso ti togli questi stivali davanti a me? Per te nulla, tu sei tu, l'unica variabile sono io e come potrei reagire. È questo che cambia ed è questo che ti preoccupa"
"E secondo te la tua reazione non ha a che fare con me? Non ha nessun effetto? È ovvio che la cosa mi preoccupi"
"Certo, ma capisci anche che non è una cosa evitabile? Cioè, prima o poi dovrà accadere, non posso dormire in eterno su questo divano e tu non puoi portare stivali in casa per sempre"
"A volte metto anche scarpe normali e pantaloni larghi" puntualizza sapendo benissimo che non è quello il punto, ma comportandosi come se lo fosse.
"Sì e quando li metti vuol dire che non vuoi fare sesso" la so alleggerire anch'io una conversazione, sai?
"Ahahahah"
"Ho imparato a riconoscere i segnali, che ti credi"
"Comunque lo so che prima o poi succederà. Vorrei solo prendermi il mio tempo"
"Perché se ti vedo tra un mese il tuo piede sarà meno assente di adesso? Cioè, l'inesistenza del tuo piede è inversamente proporzionale al tempo che passa?" sarà una buona idea fare battute sarcastiche in questo momento? Sì, perché se non le facessi non sarei io, sembrerei falso, e io invece voglio che tutto sia il più vero e onesto possibile.
"No, ma avrai più tempo per abituarti all'idea"
"E perché dovrebbe essere un tuo problema?"
"Eh?" Grace mi guarda male, come se l'avessi insultata, quindi forse è il caso di spiegarmi meglio.
"Perché così torniamo alla mia domanda di prima: sei più a disagio per te stessa o è più un non voler mettere a disagio me? Perché se è la seconda, sappi che non devi, perché non è compito tuo. Non è tuo compito pensare a come far sentire a suo agio il tuo ragazzo quando sta con te, quelli sono cazzi miei, è la parte del lavoro di coppia che devo fare io, è una mia responsabilità, non tua. Sarà una passeggiata? No. Sarò del tutto indifferente alla cosa? Col cazzo, ma sono io a dover gestire le mie paure e le mie reazioni, non tu"
"Ci stai proprio scomodo su questo divano per essere così convincente, eh?" le esce bene perché mantiene un'espressione serissima, eccezion fatta per un sopracciglio leggermente inarcato.
"Non me ne frega un cazzo del divano"
"Lo so, ero sarcastica"
"Beh non puoi esserlo quando io non lo sono"
"La luce deve rimanere spenta" la luce sarà spenta, ma io finalmente vedo uno spiraglio di luce.
"Va bene, andrò a tentoni, tastando i peluches nell'oscurità in direzione del letto"
"E le mani devono stare lontane dalle gambe"
"Ma io le tengo lontane da tutto se vuoi, me ne sto dalla mia parte e non mi muovo, se vuoi ti avvicini tu. Insomma, se proprio devi"
"La protesi la devo togliere quando dormo"
"Sono così ignorante che non lo sapevo, vedi quanto sto già imparando con te? Comunque va bene"
"Però ho la calza"
"Ok"
“E' una calza apposta, che si mette sopra... copre il tutto, insomma”
"Tanto al buio non la vedo”
“Ok”
"Allora... andiamo?" mi alzo lentamente dal divano, senza lasciar andare le sue mani, che ho tenuto per tutto il tempo.
"Andiamo" si prende un momento, poi si alza anche lei.
"Comunque non serve che la spegni subito la luce. Indossi la mia maglietta e sotto sei completamente nuda, chi li caga i piedi? Ma poi, in generale, non è che la gente si guardi continuamente i piedi interagendo. Do per scontato che la gente li abbia, però non è che stia lì ad osservarli. Tu li hai mai visti i miei piedi? Onestamente mi sapresti dire come sono fatti? Credo proprio di no, penso che non te ne freghi un cazzo in fondo. E la stessa cosa vale per me. E poi sono troppo concentrato su quello che c'è per pensare a quello che manca" vado a ruota libera, forse perché la camminata in silenzio verso la camera da letto mi sa tanto di percorso verso il patibolo e questo non c'entra proprio per niente.
"Hai finito?" Grace si ferma davanti alla porta della stanza e mi guarda come se fossi un povero coglione.
"Sì"
"Ho già accettato, non mi devi più convincere"
"Hai accettato questa cosa, adesso. Ci sono ancora un sacco di cose che devo convincerti a fare, devo tenermi in allenamento"
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21:58
In teoria mancano due minuti alla fine del mio turno, in pratica, come al solito, ci vorrà ancora del tempo prima di rimettere piede a casa. Prima devo smaltire la gente in cassa, poi devo fare i conti e annotare l'incasso parziale, controllare che ci siano abbastanza monete e contanti, sacchetti, rotoli del pos e del registratore di cassa, lasciare gli appunti in agenda per Ian sulle cose fatte e su ciò che c'è ancora da fare. Insomma, prima delle dieci e mezza non si schioda, ma stasera non mi pesa. Tanto devo aspettare Eddie. Finalmente ci vediamo e riusciamo a trascorrere una serata assieme. Almeno spero, insomma, mi ha avvisata che potrebbe tardare, ma che farà di tutto per essere qui al volo dopo la sessione di registrazione di oggi. Ci tiene un sacco e, beh, anch'io. Tutte le volte che ci sentiamo al telefono o ci vediamo di sfuggita è come se cercasse di scusarsi per i suoi impegni e io sempre lì a rassicurarlo. È il suo lavoro e non è necessario stare insieme 24 ore su 24 per avere una relazione. Comunque mi fa piacere poter riuscire a passare una serata tranquilli senza i minuti contati. Sarà anche per questo mio insolito buon umore che decido di infrangere la regola della brava commessa scazzata e dare il là a una conversazione col cliente che ho di fronte che vada un passettino oltre il semplice saluto.
"Buona sera, come va?" sorrido mentre batto lo scontrino.
"Sei mai stata sulla tazza del cesso a leggere il giornale così tanto a lungo da dimenticarti che avevi cagato per poi accorgerti soltanto qualche minuto dopo che non ti eri pulita il culo?"
"... sono ventiquattro dollari e cinquantacinque"
È colpa mia, solo colpa mia.
L'intellettuale paga e se ne va ed è la volta di un altro tizio sulla quarantina. Fra tutti gli articoli che mi ha appoggiato sul bancone, prendo per prima la confezione da sei di birra e sto per batterla, ma l'uomo mi interrompe.
"Scusa, in realtà sto cercando di bere un po' meno. Potresti metterle via, per favore?"
"Certo, nessun problema!" metto le birre da una parte e continuo col resto della spesa, quando una donna, sbucata fuori dal nulla, si avvicina a lui e mi fissa con sguardo truce.
"Che cosa gli hai detto?!" urla contro di me.
"Mi scusi?"
"Smettila di parlare col mio uomo! Non puoi averlo, è mio!" poi si gira verso di lui "Che cazzo ti ha detto? Ti ha chiesto il numero o cosa?!"
"Mmm no, le ho solo chiesto di mettere da parte le birre" risponde con voce calma, monotona, in netto contrasto con quella ansiogena di lei.
Io la guardo allibita, lei fissa prima lui, poi me e io prendo le birre per mostrargliele e confermare la versione dell'uomo; poi lo sguardo torna su di lui.
"Ah! Così adesso offri da bere ad altre donne, eh?! Scordati di tornare a casa stasera!" e con questo prende e se ne va.
Il cliente resta qui, impassibile, alza gli occhi al cielo e poi mi fa segno di continuare. Batto gli ultimi pezzi e a quel punto lo vedo allungare le mani sulle birre per avvicinarle di nuovo alla cassa.
"Va beh, facciamo che la birra la prendo. Se stanotte mi tocca dormire nella cuccia del cane, almeno non sarò sobrio!" accenna un sorriso, piuttosto amaro, con la faccia di uno che scene del genere le ha già viste e riviste. Finisco il suo conto, lui paga e se ne va e io lo saluto, non invidiandolo per niente.
"Mah che gente…" una signora con un lungo soprabito giallo, l'ultima della fila, almeno per ora, scuote la testa mentre si avvicina al bancone.
"Eh a quest'ora capitano tipi strani a volte"
"Molto strani"
"Posso aiutarla?"
"Sì, dovrei fare un cambio"
"Certo, mi dica"
"Restituisco questo" la signora mi porge una copia del Seattle Times di oggi.
Non c'è due senza tre.
"Perché vuole cambiarlo, scusi?"
"Perché l'ho letto tutto, mi serve quello di domani"
Fai un respiro, Angie, un bel respiro profondo.
"Il giornale di domani non è ancora uscito, signora, ma non potrei cambiarglielo comunque"
"Beh mi faccia un buono, così domani posso prendere il giornale nuovo"
"Non è possibile, signora, non posso cambiarglielo"
"Perché no? È di oggi, è in scadenza, me lo deve cambiare con quello di domani"
La cosa che più mi manda al manicomio è proprio dialogare con gente così: non gli stronzi, che ti insultano o se la prendono con te urlandoti dietro, quelli sono nulla al confronto delle persone che sono perfettamente tranquille, addirittura anche gentili, e lucide nella loro follia, pensano davvero di avere ragione e semplicemente non capiscono perché stai lì a creargli problemi.
"Dei cambi di questo genere si occupa il mio superiore, aspetti che lo chiamo" non vorrei rompere i coglioni ad Hannigan, ma io stasera non ce la posso fare. E poi ho intravisto i fari e la sagoma del pick-up di Eddie attraverso il vetro, perciò tanti saluti.
Faccio intervenire il capo, che deve essere proprio in stato di grazia perché mi dice di andare e che al resto ci pensa lui. Siamo a metà marzo, ma domani nevica sicuro! Mi cambio al volo e quando ripasso davanti alla cassa sento la signora ripetere le stesse obiezioni e, in contemporanea, lo scampanellio della porta d'ingresso.
"EDDIE! Dio come sono felice di vederti!" lo travolgo, e quasi lo abbatto, con un abbraccio.
"Ehi! Oh, beh, eheh, anch'io Angie"
"Ti prego, salvami, portami via da questa gabbia di matti" aggiungo sottovoce implorando pietà.
"Ah! Allora è per quello…"
"Stasera c'è una concentrazione particolarmente alta di clienti fuori di testa"
"E io che pensavo di esserti mancato, almeno un pochino" Eddie si scioglie dalle mie grinfie e mi allontana per scherzo facendo il finto offeso.
"Ma certo che mi sei mancato." mi riavvicino e lo bacio. Sì, qui, davanti a tutti, Hannigan, Ian e cliente svalvolata compresi. Eddie dovrebbe essere fiero di me, ormai non mi vergogno più di nulla. Beh, quasi "Il fatto che il tuo arrivo coincida con la fine del mio turno da incubo è un di più"
"Faccio finta di crederti. Ti perdono. Ma solo perché sei tu. E perché è un giorno speciale" mi bacia per suggellare la pace e io penso a quanto speciale sarà questa serata. Mi sa che Eddie ha aspettative altissime, io invece spero giusto di non addormentarmi prima della fine del film visto che sono anche un po' stanchina.
"Allora, che vuoi fare? Dove andiamo?" mi chiede una volta fuori.
"Oh beh, io avevo in mente di stare a casa, ho noleggiato un film"
"Va bene, micetta" apprezzo il fatto che abbia conservato il nomignolo scemo per quando saremmo stati soli, lontani da orecchie indiscrete.
"E poi pensavo di ordinare una pizza, visto che non ho mangiato"
"Oh perfetto, nemmeno io! In effetti sto morendo di fame" con un braccio attorno al mio collo mi accompagna verso il portone di casa mia.
"Ma forse tu volevi andare da qualche parte"
"Nah, casa tua va benissimo"
"Magari pensavi a qualcosa in particolare. Possiamo anche cambiare programma eh?"
"Il programma è fantastico e, a dire il vero, è proprio quello che speravo, sono un po' cotto. Certo, se poi avessi organizzato altro mi sarei adeguato, ma davvero, pizza, film e divano con te mi sembrano un sogno ora come ora"
"Sicuro?" insomma, continua a parlare di serata speciale e vuol farmi credere che non aspettava altro che stravaccarsi sul sofà a fare incetta di pizza e horror.
"Sicurissimo. Poi è con te, quindi è perfetto a prescindere"
"Ah sì?" gli domando mentre saliamo le scale.
"Certo. Anzi, no." cambia passo, in tutti i sensi, perché accelera per conto suo e mi supera sui gradini, poi si gira e vedo che ha messo il muso. Vero o finto? "No, perché in realtà sono arrabbiato con te"
"Eheh cosa? Perché?"
"Chiedilo a Matt" inizia a correre su per le scale, ma non troppo, perché sa benissimo che lo raggiungerei dopodomani e col fiatone.
"Matt? Che c'entra Matt?" chiedo sia a lui che a me stessa, non capendo il nesso tra il batterista e qualche stronzata delle mie che posso aver detto o fatto.
"Beh Matt mi ha detto una cosa stamattina, durante la nostra lezione di chitarra"
"Ah. Intendi quel Matt" capisco che parla di Dillon e non di Cameron.
"Già, quel Matt. Lasciatelo dire, sono molto, molto deluso" arriviamo al piano, attraversiamo il corridoio, lui sempre avanti col broncio e io dietro che un po' rido e un po' penso a come ne uscirò stavolta.
"Non capisco cosa vuoi dire, che ti ha detto?" faccio la finta tonta mentre apro la porta, sotto lo sguardo severo e giudicante di Eddie.
"Mi ha detto che qualche giorno fa ha incontrato delle mie amiche sul set, che poi sareste tu e Grace"
"Ok"
"E allora io gli ho spiegato che sei la mia ragazza e indovina cosa mi ha detto?" ha davvero sentito l'esigenza di specificare a un attore di Hollywood che sono la sua ragazza?
"Ehm e se prima ordino la pizza e poi indovino?" domanda retorica mentre mi levo la giacca e acchiappo il cordless.
"Che sicuramente ci saremmo incrociati tutti più spesso sul set, visto che Cam TI HA OFFERTO UNA CAZZO DI PARTE NEL FILM" Eddie svela il tutto e alza la voce proprio quando ho finito di digitare il numero e mi accosto il telefono all'orecchio.
"Con doppio formaggio va bene?"
"Sì." concede e poi mi porta per mano fino al divano mentre finisco di ordinare "Ma sei una bugiarda"
"Non è vero, te l'avevo detto! Ti ho anche raccontato di come sono scappata e della relativa figura di merda" tento di giustificarmi con lui, che mi guarda come un preside che ascolta le scuse dello studente nei guai, indeciso se sospenderlo o no, seduto ovviamente dal lato opposto del divano a mille chilometri da me.
"Mi hai detto che eri scappata perché c'era troppa gente famosa e ti stava salendo l'ansia e non perché Crowe ti aveva appena proposto di recitare nel film"
"Non è una bugia, tecnicamente è più un'omissione"
"E perché avresti omesso di dirmi questa cosa?"
"Perché se lo avessi saputo avresti tentato di convincermi ad accettare"
"Perché? Non vuoi accettare?" mi chiede improvvisamente meravigliato e si sposta sul divano nella mia direzione.
"Ecco, appunto"
"Ma perché?" Eddie si avvicina ancora un pochino. Perché? Come se non mi conoscesse.
"Perché… non è roba mia"
"Ma il cinema… è roba tua, non dovrebbe essere tipo il tuo lavoro?" si avvicina ancora di più finché le nostre ginocchia si sfiorano.
"Io voglio scrivere per il cinema, non recitare"
Eddie scioglie le mie gambe, che erano incrociate fino a un secondo fa, e le accomoda delicatamente sulle sue, mi tira a sé e ora siamo vicini che più di così non si può.
"Anch'io voglio scrivere e cantare canzoni, non fare il roadie. Ma i palchi li ho montati lo stesso. Fa tutto parte del sistema, da qualche parte bisogna entrare"
"Tu lo facevi per vederti i concerti gratis"
"E pensa che tu puoi guardarti un film gratis, da dentro il film." ribadisce stringendomi "Puoi vedere come si fa un film, vedere gli attori"
"Gli attori non mi interessano e i film si vedono molto meglio da fuori, fidati"
"Angie, posso chiederti una cosa?"
"Sì" rispondo affermativamente e mi aspetto già il discorso corretto e perfettamente logico, oltre che quasi sicuramente simpatico, con cui metterà a nudo la stupidità delle mie insicurezze e dimostrerà che accettare quella parte è l'unica cosa sensata da fare e mi convincerà a dire di sì ed è esattamente questo il motivo per cui non volevo dirgli un cazzo di niente.
"Anzi due"
"Ok"
"Dov'è Meg?"
"È andata a fare la hostess a un congresso di cardiologia o roba così, e ha detto che dopo sarebbe andata a ballare con le altre ragazze, quindi tornerà sul tardi"
"E quando arriva la pizza?" mi spiazza e io cerco di capire quanto larga la stia prendendo e dove voglia andare a parare col suo discorso motivazionale partendo dalla mia coinquilina e passando per la pizza.
"Tra una mezz'ora. Perché?"
"Perché… lo so che stiamo discutendo di cose importanti e non vorrei assolutamente sembrare fuori luogo, ma siamo soli e si possono fare tante cose in mezz'ora e sei così sexy quando ti ostini a difendere le tue indifendibili opinioni e sono più o meno quindici anni che non facciamo sesso, quindi che ne diresti di andare un attimo di là in camera tua?"
"Come fanno a essere quindici anni se ci conosciamo da meno di uno?"
"Tsk vuoi fare la scrittrice e non sai riconoscere un'iperbole?"
"Una che?"
"Un'iperbole"
"Ridillo"
"Iperbole"
"Sei sexy quando dici iperbole, potresti dirlo con un tono più indifendibile?"
"Vaffanculo. Andiamo?"
Siccome sono brava a fare la figa opponendo resistenza, dopo circa trenta secondi siamo nel mio letto. E siamo ancora lì esattamente sette minuti dopo, a comunicare tramite fiatone nel buio.
"Un po' veloce, eh?"
"Veloce, ma efficace"
"Te l'ho detto che mi sembravano quindici anni…"
"Se questi sono gli effetti, consiglio di proseguire a vederci con questa frequenza"
"Che stronza!" riesco a distinguere il suo profilo sorridente nell'oscurità, mentre si avvicina "Comunque, tornando al discorso di prima…"
"Ah vuoi tornare al discorso di prima? Pensavo l'avessi ormai archiviato causa bisogni più urgen- AHIA!" scherzo e lui, stretto a me, si vendica con un pizzicotto dove non batte il sole.
"No, non l'ho archiviato. E fai la brava, perché sto per fare un discorso serio"
"Mmm ok, spara" eccolo che arriva il cazziatone sotto mentite spoglie che mi porterà ad accettare la proposta.
"Non voglio dirti cosa fare, perché alla fine sei tu che devi decidere. Posso solo darti la mia opinione. Io penso che sotto sotto vorresti buttarti in questa cosa, ma hai paura o ti vergogni o entrambe. Non so se lo sai fare, ma Crowe è un professionista, credo sia in grado di capire se una persona sa recitare o meno e non ti affiderebbe mai una parte al di sopra delle tue capacità. Anch'io ho una battuta, sai?"
"Ma io ne ho più di una, è questo il problema!"
"Sicuramente a lui non frega un cazzo delle nostre doti attoriali, vuole che interpretiamo noi stessi, quindi anche tu, dovrai solo essere te stessa"
"Ok, mi correggo, è questo il problema"
"Io non…" i miei occhi si sono adattati all'oscurità e vedo quasi tutti i dettagli del suo viso mentre cerca di mettere insieme quello che vuole dire "Ripeto, non voglio dirti cosa fare e qualsiasi sarà la tua decisione, io la appoggerò, ma non vedo perché non dovresti provare. Nella peggiore delle ipotesi, se proprio non dovesse andare, Cam potrebbe sempre tagliare la tua parte, non hai niente da perdere"
"Tranne la faccia"
"Mmm non fingere di essere una fifona"
"Ahahah secondo te faccio finta? Certo, in realtà sono super coraggiosa"
"Sei molto coraggiosa. Da quando ti conosco, ti ho vista fare un sacco di cose che magari all'inizio non volevi nemmeno sentire nominare: giocare a basket con noi, suonare la batteria, salire sullo Space Needle, ballare in una discoteca piena di gente senza timidezza, prendere un aereo per San Diego da sola…" mi dà un bacio dopo l'ultima voce in elenco "Io non c'ero ancora, ma ho saputo che hai addirittura preso l'ascensore di questo palazzo una volta"
"Lì ho rischiato seriamente"
"Insomma, mi sembra che tu sia abbastanza brava nel fare le cose che ti spaventano di più, questa sarebbe solo l'ennesima dimostrazione di quanto sei figa, non rischieresti nulla"
E io vorrei dirgli che non sono né figa né coraggiosa e che se ho fatto ognuna di quelle cose è perché ogni volta c'era qualcun altro a spingermi e che con me basta una piccola insistenza ed è davvero facile farmi dire di sì. Ma per una volta non voglio esagerare, non voglio farlo sbuffare come mio solito e risultare la pesantona complessata di sempre, non voglio distruggere le sue convinzioni: voglio dire, se si è disegnato questo ritrattino di Angie l'Intrepida nella mente, chi sono io per confutarlo? Allo stesso tempo, non ho idea di che cazzo dire perché non ho mai capito come diavolo si risponda ai complimenti, cioè, chi avrebbe dovuto insegnarmelo e quando? In genere rispondo con una battuta sarcastica, ma ora sono a letto col mio ragazzo e qualcosa mi dice che non sarebbe la reazione migliore. Allora cosa faccio? Mostro disagio? Ridimensiono le sue lusinghe? Giustifico il motivo della riuscita di tutte le esperienze che ha elencato? Diffido? Gongolo? Non dico niente? Cambio argomento? Ringrazio e stop? In mio soccorso arriva il suono del citofono.
"Oh. O Meg ha spezzato tutti i cuori al congresso dei cardiologi oppure la nostra pizza è in anticipo" Eddie si stacca da me e si tira su a sedere sul letto.
"Tocca alzarsi per scoprirlo"
"Vado io, tranquilla" Eddie con ritrovata energia improvvisa scatta come una molla giù dal letto e corre di là.
"EDDIE?!" gli urlo dietro mentre scappa, ma non mi ascolta. Riappare sulla porta della mia camera un minuto dopo.
"È la pizza" fa come se niente fosse.
"MA SEI ANDATO COSÌ?" insisto rintanata sotto il piumone, mentre lui accende la luce ed esplora il pavimento della stanza. E meno male che sono già in posizione distesa, se no avrei potuto avere dei cedimenti.
"Così come?" domanda distratto, poi trova i suoi boxer ai piedi del letto e, tirandoli su, finalmente mi guarda. E io lo guardo. E allora capisce "Ho solo risposto al citofono, mica mi vede" sorride sornione mettendosi le mutande.
"Meno male…"
"Non fare finta di essere gelosa, non sei credibile" s'infila al volo i pantaloni cargo e la camicia rossa a quadri, abbottonandola a casaccio.
"I soldi per la pizza sono nel mobile qua fuori in corridoio, nel cassetto"
"Ok." fa per uscire di nuovo dalla camera, ma poi si volta "Che fai? Non vieni?"
"Adesso arrivo"
"Ok"
"Ok" rispondo, sempre sotto il piumone, mentre lui non si schioda da lì.
"O magari vuoi cenare a letto?" il maledetto mi fa l'occhiolino.
"No no, niente briciole nel mio letto, mangiamo di là"
"Va bene"
"Ok" e resta lì.
"Dai, che poi si raffredda se no"
"Ti ho detto che adesso arrivo, vai e ti raggiungo!" mi scappa quasi da ridere, ma il ragazzo della pizza mi salva una seconda volta e suona il campanello. Eddie si arrende e va ad aprire, ma non sento il rumore del cassettino che si apre. E che cazzo. Mi alzo dal letto in volata e chiudo la porta prima di infilarmi il pigiama a tempo di record. Quando esco dalla camera facciamo quasi un frontale: lo stronzetto pensava di cogliermi in flagrante!
"Già pronta?" chiede fingendo di passare di lì per caso.
"Hai pagato?"
"Sì"
"Ma se i soldi sono qui?" apro il cassetto incriminato e li sbugiardo.
"Li ho presi dal mio portafoglio"
"E perché?"
"Per fare prima. Ora vieni o stiamo qui a discutere finché la pizza non diventa immangiabile?"
"Andiamo, va!" vorrei prenderlo per mano, ma finisco per tirarlo per la manica sbottonata della camicia, e lo porto fino al divano. Eddie agguanta subito una fetta di pizza e io faccio in tempo a tirargli i tovaglioli di carta minacciandolo "Se sporchi il mio divano ti ammazzo"
"Che film vediamo, micetta?"
"Vediamo Grano Rosso Sangue!" rispondo entusiasta premendo PLAY sul telecomando e avventandomi anch'io sulla pizza.
"Dal titolo immagino sia una commedia romantica con lieto fine assicurato"
"Ovvio"
"E dici che posso mangiare mentre lo guardo?"
"Ahah sì, tranquillo, non è così forte" apro due birre e gliene allungo una.
"Avevi detto la stessa cosa di Hellraiser"
"Va beh, sei tu che sei sensibile! Comunque questo è moooolto più soft, non c'è paragone, direi che è quasi comico"
"Ok, mi fido, micetta" brindiamo con le nostre lattine e iniziamo la visione.
***
"Beh proprio comico… non direi…" il film è finito, così come pizza e birra.
"Ma dai, vogliamo parlare della recitazione? E poi, quegli effetti speciali del cazzo! Sembra che a un certo punto abbiano finito i soldi"
"Lì avranno spesi tutti in granturco"
"Ahah esatto! Ehi, comunque lo sai che anch'io in un certo senso sono stata una figlia del grano?"
"Eri membro di una setta satanica di baby-assassini?" Eddie, che era ormai accasciato in un tutt'uno col divano, si tira un po' su incuriosito.
"Eheheh no, anche perché a quest'età mi avrebbero già sacrificata"
"E allora?"
"Beh, hai presente i lavoretti estivi di quando eri piccolo? Ok, tu sei di San Diego, quindi boh, il vostro concetto di lavoro estivo includerà cose tipo bagnino, cameriere, gelataio, roba così, no?"
"Più o meno. Invece in Idaho?"
"In Idaho si andava a castrare il mais!"
"Ahahah cosa?" a questo punto ho catturato tutta l’attenzione di Eddie, che si mette a sedere composto e mi si avvicina.
"Ci sono andata per quattro anni di fila, a Notus"
"Che cazzo significa castratura? Il mais si castra?"
Segue ovviamente la mia mini-lezione di agricoltura che Eddie non vedeva l'ora di ascoltare. Nelle serate speciali i fidanzati parlano di progetti, si scoprono lentamente, flirtano. Io invece parlo di come il mais abbia fiori sia maschili sia femminili, spiegando che se rimuovi la parte maschile della pianta questa non s’impollinerà da sola, ma potrà essere fecondata dalla varietà scelta dal contadino, che non verrà cimata, creando così degli ibridi.
"In parole povere il lavoro consisteva nel camminare ore e ore nei campi di mais, strappando le cime dalle piante a mani nude. Iniziavi la mattina, quando era tutto bello umido, e finivi al pomeriggio zuppo di sudore per il caldo. Anche perché dovevi per forza metterti pantaloni lunghi e maniche lunghe se non volevi affettarti completamente la pelle"
"Foglie affilate?"
"Come dei cazzo di rasoi, Eddie, non puoi capire"
"Il lavoro ideale per dei bambini, insomma"
"Sono certa che ora sarai più comprensivo con Malachi”
"Ahahah sì! Ora capisco perché si sono ribellati, poveracci"
"Secondo me Colui che cammina nel grano in realtà un bambino che si era perso castrando il mais morendo dissanguato e la sua anima continua a vagare nei campi in cerca dei genitori per vendicarsi"
"Grano Rosso del sangue di bambini impiegati nel lavoro minorile"
"Di quelli in maglietta a mezze maniche! Però facevo dodici dollari l'ora…"
"Non male! Comunque, praticamente eravate i contraccettivi del granoturco"
"Eravamo Planned Parenthood del mais"
"Quindi anche il mais fa sesso. E più di noi, mi sa”
"Ahahahah Eddie!" mi alzo scandalizzata, e vado a buttare sia il cartone della pizza sia le lattine di birra vuote.
"Preferirei non essere castrato però"
"Sei un coglione! Da quanto ci stavi girando attorno per andare a parare lì?"
"Da un po'. Comunque scherzo, micetta"
"Lo so" mi risiedo di ritorno dalla cucina.
"È solo che… insomma, ci siamo appena messi assieme, dovremmo essere nel pieno della nostra fase Luna di miele, invece io non ci sono mai e mi dispiace un sacco"
"Nella fase che??"
"Sì, insomma, la prima fase di una relazione. Quando ti cerchi in continuazione… euforia, tanta attenzione reciproca, coccole, continua ricerca del contatto fisico, passione, chimica … hai presente?"
"Beh, direi che ce le abbiamo ugualmente queste cose, no? Solo, sono più… diluite nel tempo"
"Eh io preferirei concentrarle"
"Ma non è necessariamente un male. Vedila così: in questo modo ti stuferai di me mooolto più tardi"
"Perché devi dire queste cose?" non è che proprio s’incazzi, ma si vede chiaramente che si scurisce un po’ in volto.
"Eheh ma sì, era una battuta"
"Lo so, ma non mi piace quando fai queste battute. Su io che ti lascio, che mi stufo… è come se lo facessi per normalizzare la cosa, per prepararti a quando dovrebbe succedere"
"Ma va, figurati" invece è esattamente così, cazzo, e non avrei saputo sintetizzare meglio il concetto. Se mi scappa di dire certe cose non è perché voglio essere rassicurata da lui che non accadranno mai, ma proprio perché so per certo che accadranno e almeno così mi abituo all'idea.
"Sono esagerato, lo so. Non voglio farne un dramma, è solo che io non ci penso proprio alla fine della storia, non mi viene da pensarci, neanche per scherzo"
"Magari è perché abbiamo avuto esperienze diverse, tutto qui"
"Già. Comunque non volevo fare polemica, chi se ne frega delle altre esperienze, pensiamo a questa adesso, ok? E poi, soprattutto oggi" mi prende per le mani e il sorriso corredato di fossette torna prepotente.
"Eheh perché oggi?"
"Beh, perché è un giorno speciale"
"Wow il fatto che ti sono mancata così tanto mi lusinga, ma basta così poco per rendere una giornata speciale?"
"Lo è sempre quando stiamo assieme, ma… stavolta non è speciale solo per quello"
"Ah no? E per cosa?"
"Beh, dovresti saperlo…"
Oh cazzo.
"Mmm dovrei?"
"Angie, che giorno è oggi?" mi lascia le mani e, a braccia conserte, dà inizio all’interrogazione.
"Giovedì"
"Sì, ma che giorno è?"
"14 marzo"
"E che giorno è?"
"Il tuo compleanno è a dicembre"
"Infatti non è il mio compleanno. E nemmeno il tuo"
"Onomastico? Non sapevo fossi cattolico"
"No e no" dal fatto che sta sorridendo capisco che non sono nei guai, ma è chiaro che non sto facendo una gran figura.
"Dovevamo fare qualcosa e me ne sono completamente dimenticata?"
"No, è una cosa che abbiamo già fatto, tempo fa." mi spiega e quando vede il nulla cosmico nei miei occhi mi dà un altro indizio “Una cosa fatta in questo giorno”
"Ma l'anno scorso a marzo non ci conoscevamo, non ero nemmeno qui"
"Non andare così indietro"
"In che senso?"
"Un mese fa, che giorno era?" alza gli occhi al cielo e mi concede l’ennesimo aiutino.
"14 febbraio, San Valentino?"
"E dov'eri un mese fa a quest'ora?"
"Boh, come da 18 anni a questa parte, a letto a dormire molto probabilmente"
"No. Pensaci bene, dov'eri?"
"Aspetta, sì, ero su un autobus per Seattle"
"Va beh, e invece qualche ora prima? Dov'eri? Che facevi? Angie, mi stai facendo sudare, cazzo"
"Aaaaaaaaaah! La so! Alla stazione dei pullman! Ci siamo baciati!"
"BINGO!" Eddie fa partire persino un mini applauso, non so se di sollievo o per prendermi per il culo o tutt’e due.
"Evvai! Visto che c'è l'ho fatta?"
"Quindi capisci perché è speciale"
"È stato bello, sì. Io a un certo punto non capivo più un cazzo, ma è stato un momento indimenticabile" lui mi ha baciata e io ho cominciato a sentire i Depeche Mode nella mia testa e poi non mi ricordavo più nemmeno dov’ero, se non mi ci avesse messa lui su quel pullman sarei ancora lì molto probabilmente.
"Sì ed è stato il momento da cui è iniziato tutto. Insomma, è una specie di ricorrenza, no? Non è un anniversario, ma…"
"È un mesiversario! Ahahahahah come dicono i dodicenni, che contano i mesi"
"Beh, è un mese che stiamo insieme, quindi…"
"Un mese che…? In che senso, perché tu… conti dal bacio?"
"Sì, per me è partito da lì. Perché? Tu da quando conti?"
"Io non conto"
"Eh?"
"Cioè, non mi sono mai posta la questione. Non sapevo di dover contare, ecco"
"Non sapevi di dover contare" ripete guardandomi con aria quasi esterrefatta.
"Io non… ti ho spiegato che non ho avuto relazioni proprio regolari, no?"
"Stai dicendo che non hai mai contato?"
"Esatto, quelli con cui stavo non erano interessati a queste cose. E quindi non me ne sono mai interessata nemmeno io. Non ho mai festeggiato anniversari, mesiversari o giorniversari. Le mie storie sono sempre state così brevi che non c'è stato neanche il tempo di capire se poteva andarmi di festeggiare"
"Beh, non è che sia indispensabile avere una data. Però… no, fanculo, non è vero, io voglio una data, mi serve, quindi se per te va bene, il 14 febbraio è il nostro giorno, ok?" il suo dibattito interiore si vede benissimo anche da fuori e mi fa sorridere.
"Quello che per te è il nostro giorno coincide con la festa più ipocrita e commerciale del mondo, te ne sei accorto?"
"Certo! E trasformarla nel nostro giorno è il più grande atto rivoluzionario che possiamo fare, non credi?"
"Beh, è un punto di vist- ASPETTA" non sorrido più perché ho appena realizzato che non c’è un cazzo da ridere.
"Eheh che c'è?"
"Sono giorni che parli di questa serata speciale. Perché tu intendevi questo! Celebrare il nostro… Oddio, mesiversario?!"
"Sì, ma non è che dovessimo fare chissà quale celebrazione, quello che abbiamo fatto va benissimo"
"Ma non vale comunque se io non ne sapevo un cazzo! Me ne sono dimenticata, capisci? Mi sento una merda" fisso il tappeto della sala e mi ci vorrei arrotolare dentro per poi farmi buttare in discarica dalla vergogna.
"Ahahah ma no, perché?"
"Tu hai pensato a una cosa dolce e io sono la fidanzata anaffettiva del cazzo" prendo un cuscino dal divano e ci affondo la faccia dentro.
"Anaffettiva tu? Ma dove?!"
"Sono una stronza. Per fortuna non mi hai fatto anche il regalo, se no sarei una stronza al cubo"
"Uhm…"
"Eddie?" la sua esitazione mi porta a levarmi il cuscino dalla faccia e la risposta la leggo sulla sua.
"Non è che ti abbia proprio preso un regalo…"
"MA PORCA DI QUELLA TROIA" stavolta mi accascio direttamente sul bracciolo del divano.
"Ma è una cosa per tutt'e due, non necessariamente per festeggiare il mese" prova a indorare la pillola mentre si alza a recuperare la giacca per prendere qualcosa dalle tasche.
"Cioè, tu mi hai fatto anche il regalo. E io non ti nemmeno fatto un panino. Ho ordinato una pizza. CHE HAI PURE PAGATO TU!"
"Micetta, non ti agitare" torna qui e si inginocchia sul tappeto davanti a me, facendomi salire ulteriormente l’ansia.
"Consiglio: MAI chiamarmi micetta quando sono agitata"
"Senti, ho solo preso due biglietti per Neil Young al Coliseum ad aprile. Li avrei presi comunque, mesiversario a parte" spiega mostrandomi i due talloncini bianchi e azzurri.
"Non posso credere che tu dica mesiversario, sei un adulto" tiro un sospiro di sollievo, anche se mi sento sempre una merda.
"Stai cercando di farmi sentire scemo?” pensandoci, io mi sento stupida per essermene dimenticata, ma come deve sentirsi lui? Che ha fatto tutto questo cinema quando io nemmeno ci pensavo lontanamente e in più ne sto facendo una tragedia greca.
"No! È piuttosto evidente ormai che sono io la scema della coppia" Eddie mi mette i biglietti tra le mani e poi le prende tra le sue.
"Allora, quello che sto cercando di dire è che li ho presi e basta, a prescindere dalle ricorrenze, perché appena ho saputo del concerto la prima cosa a cui ho pensato è che ci sarei andato insieme a te. Ho pensato di darti il biglietto oggi perché, sempre per il discorso di prima, mi sembrava un bel modo per dirti Ehi, Angie, non sono sparito, ci sono ancora e voglio stare con te e fare cose con te e anche se sembra che le correnti mi trascinino via di tanto in tanto, tu non mi perderai mai perché le correnti cambiano di continuo, ma io tornerò sempre e solo da te"
"Hai proprio un debole per le metafore surfistiche, non c'è che dire"
"Vaffanculo, Angie. Dal profondo del mio cuore" mi bacia e non posso fare a meno di pensare a quanto mi piace farmi mandare a quel paese da Eddie.
"Ora devo pensare a cosa regalarti che sia all'altezza"
"Non mi devi regalare niente, non mi devi nulla" scuote la testa mentre si alza dal pavimento e si risiede sul divano.
"Va beh, se voglio farti un regalo per il secondo mesiversario? Chi me lo vieta? Stavolta me lo segno sul calendario però"
"Ahah non è che adesso dobbiamo festeggiare tutti i mesi"
"Come no? E io come la recupero la figura di merda?"
"Non la recuperi, così io mantengo il vantaggio nelle nostre dinamiche di coppia"
"Io già pregustavo il quinto, con la curiosa frapposizione tra il nostro mesiversario e l'anniversario della Presa della Bastiglia: i due atti rivoluzionari per eccellenza"
"Vedo che ancora prendi per il culo" io scappo di nuovo scivolando dall’altro capo del divano, ma lui mi segue e mi è praticamente addosso.
"Chi? Io? No!"
"Sei sexy quando lo fai"
"Allora sì, ti sto decisamente prendendo per il culo, alla grande proprio"
"La verità è che fai e dici un sacco di cose sexy, te ne sei accorta?"
"Sì vede che quello è il mio vantaggio nelle dinamiche di coppia"
"Anche questa, molto sexy"
"Vuoi, tipo… andare di là?"
"E mi leggi anche nel pensiero”
“Ma non riesco a leggere proprio tutto tutto”
“No?”
“Eh no”
“Allora mi sa che mi tocca darti qualche dritta”
“Prego, sono tutta orecchi”
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“La ragazza col cuore a metà “ di Daphne Arias
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La vita di una cameriera.
Naturalmente non solo cameriera, ma anche barista, obbligata dal destino a veder passare davanti ai proprio occhi la vita degli altri e non la propria. "Il vicino dello zio del fratello della ragazza che prende il caffè macchiato soia, oggi è venuto a prendere la brioches, ma ne ha presa solo una e non quella per la ragazza, si saran lasciati?" Cose così; ricordiamoci tutti che se la barista non si ricorda cosa prendete passa da stupida, benché veda più di 50 persone al giorno, dovendosi ricordare il caffè di almeno la metà di esse.
Ma insomma, quello di cui volevo parlare, non era di questo, ma dei clienti con cui ti puoi anche fermare a bere una birra dopo il lavoro, di quelli con cui vai a fare le braciolate, che sai cosa bevono a seconda dell'ora del giorno, quelli gentili ed educati che ringrazi di esistere, perché se non fosse per loro non continueresti a fare quel mestiere (perché sapete, c'è chi lo fa come mestiere e non come lavoro estivo per pagarsi gli studi); bene, una di quelle persone era Red, ogni tanto, quando lavoravo nel piccolo paese veniva spesso a salutarmi al mattino, veniva a prendere il suo caffè ristretto, col macellaio, con lo Zio oppure da solo, alla sera veniva a bere la sua Ceres col Lucky , al fine settimana, mangiavano insieme magari al pranzo e poi stavano al bar sino alla sera, a bere e parlare, bere e fumare, beh, lasciatemi dire che Red è una di quelle persone che non puoi dimenticare facilmente. Un poco basso, il soprannome deriva dalla versione della Ceres rossa , Red Erik, perché lui ci somigliava, tarchiato, giocatore di rugby e di padel, capelli lunghi e barba lunga, sempre gentile, pacato e disponibile. Era uno di quelli che quando prendeva la birra ti lasciava la mancia "così ti prendi il caffè" e non potevi neanche provare a spiegargli che tu il caffè non lo paghi nel posto in cui lavori e che quindi era ingiusto che lui te lo pagasse.
Bene, Red è morto 3 giorni fa, nel letto di casa sua, da solo, senza un famigliare vicino, ma con i suoi amici nel cuore. Red è morto e Lucky lo sapeva, lo sapeva che c'era qualcosa che non andava; Lucky lo chiamava e lui non rispondeva, così è entrato in casa di Red e lo ha trovato. Red rispondeva sempre al Lucky, quella volta non ha risposto.
Sono passati 3 giorni ed oggi li hanno cremato. Ho pianto.
Sapete, tutti entrano in un bar a prendere il caffè, ma nessuno si chiede mai cosa pensa il barista. Perché magari è distratto, perché magari te lo ha fatto macchiato e tu lo volevi normale o perché magari ti da l'acqua naturale anziché quella gasata. Tutti entrano nei bar pretendendo di essere serviti, ma non Red. Quindi per favore, la prossima volta che decidete di entrare in un bar più di una volta, la prossima volta che il barista vi dice "il solito?", Beh, rendetevi conto che avete delle responsabilità, perché io, a Red, non potrò più chiederglielo.
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Mi ricordo un messaggio anonimo super incoraggiante che mi aveva sciolto il cuore qui su tumblr quando avevo 18 anni e dovevo fare l'esame di guida, proprio me lo ero riletto prima di salire in auto assieme all'istruttore all'ingegnere esaminatore e agli altri due ragazzi in prova (uno aveva tenuto a far sapere a tutti in dialetto che per levarsi di dosso l'ansia la ragazza aveva dovuto fargli un margiale beneaugurante).
Ovviamente malgrado il cheerleadering di un grigio sconosciuto a quell'esame venni bocciata ma!! La volta dopo!!! Venni bocciata ancora, ma!! per non farmi ripagare il costo della patente tutto da zero il tipo che s'era lamentato di una precedenza che non avevo dato mi ha segnato assente e!! La volta dopo!!! Ho ricevuto la mia schedina rosa con su una foto pixellosa di me in cui sembro un muratore (nel senso di uomo) slavo (nel senso di molto pallido) col riporto.
Se avessi avuto anche io una dolce metà pronta a farmi un ditalino nel momento del bisogno la mia vita sarebbe filata più liscia (sono frustrata perché con questa fitta al fianco sono due giorni quasi che non mi masturbo).
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-cosa accadrebbe se una donna dicesse la verità sulla sua vita? il mondo si spaccherebbe a metà. Muriel Rukeyser -BlackBird colomba nera Ophelia Harrington era brillante, graziosa è timida, ma la sua naturale ritrosia non le impediva di riprodursi fulminanti battute e in sorprendenti intuizioni. -ricordavo appena la ragazza che si chiudeva in casa per la paura. ero diventata l'autrice del mio destino avrei realizzato un capolavoro. sapevo finalmente volare. Addio vecchia Me in genere spaventata fanciulla, Tu non esisti più e non mi mancherai affatto. -lei era libera di andarsene, chiudersi la porta alle spalle con la stessa eleganza con cui l'aveva aperta. era una donna che poteva scegliere. - Non permettere a nessun uomo di spegnere l'indomita volontà che riempie il tuo cuore generoso. - Considerato il fatto che la libertà ha sempre un prezzo è che la moneta per pagarlo e rischio. - Quando ti presenti nel miglior modo possibile, stai dicendo il mondo intero che sei consapevole della tua bellezza del tuo valore e quindi che metti sempre il meglio. Ed è proprio allora che è meglio comincia ad arrivare. -ok. forse compiere 30 anni aveva fatto sbroccare la dea dei secchioni. - ti dirò che non c'è nulla di più sexy di una donna che non ha paura della sua bellezza, nella sua forza. - Diciamo che non pubblicizzavo il fatto che ero sola, però tantomeno mi mostravo disponibile. Col senno di poi, mi rendo conto che alcuni degli uomini che hanno provato a tirarmi fuori dal guscio erano degli eroi, ma nessuno andava bene per me. - Niente di speciale. Ho solo sviluppato due attributi grandi come i pompelmi. ho scoperto di avere il coraggio, il coraggio di vivere la mia vita e fare ciò che voglio. e sapete una cosa? un'esistenza che non ha nulla in comune una volta perché piena di (soddisfazione e tanta luce.) - ci sono delle volte in cui ti viene chiesto guardare dentro di noi e appellarsi a una forza che non sapevamo di possedere. una persona non potrà mai essere coraggiosa per noi - una in sublime ferimur: insieme ci libriamo nell'aria. - Spero che loro il mondo sarà pronto per una donna come lei, indomita, dotata di grande personalità di una volontà di ferro.
I diari di una cortigiana by Celeste Bradley, Susan Donovan
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Autumn's Concerto Commento
Questo drama mi è piaciuto un sacco. Avevo chiesto a @dilebe06 una serie bella drammatica e sofferente, e Autumn Concerto è stata perfetta. Ovvio, non è una serie perfetta nel vero senso della parola, anzi, ma è stata esattamente quello che volevo in questo periodo.
L'ho trovata carina e interessante fin dai primi episodi, e a un certo punto ero talmente incuriosita che me la sono abbastanza maratonata, complice anche la quarantena di questi giorni che mi costringe a stare in casa.
Quando ripenserò a questo drama mi torneranno in mente le belle musiche, le tante lacrime, l'adorabilità del piccolo Xiao, il second lead Hua Tuo Ye e la bellissima protagonista dai lunghi capelli neri.
Dunque, partendo dai personaggi, sono riuscita ad apprezzarli tutti, chi più chi meno. Quello che mi è piaciuto è stata la coralità dei personaggi: non solo i due protagonisti, ma tutti hanno il loro spazio e modo di esprimere le proprie motivazioni e ragioni. Inoltre, i personaggi principali hanno tutti un'evoluzione.
Liang Mu Cheng
In generale, è stata una protagonista carina a cui non ho potuto fare a meno di affezionarmi. Ho empatizzato con lei fin dall'inizio a causa della situazione famigliare in cui l'ho vista vivere, e l'ho amata nella sua veste di madre: lei e Xiao hanno un rapporto meraviglioso. Da uccellino intimorito ed impaurito, la maternità costringe Mu Cheng a crescere e a trasformarsi in una donna responsabile, matura e coraggiosa.
Nei primi episodi non è un personaggio molto complesso o sfaccetato: è praticamente una santa. Brava, buona, servizievole, gentile, educata, perdona tutto e tutti e non porta mai rancore. Quindi ho apprezzato molto il suo successivo "egoismo" quando decide di tenersi Xiao tutto per sé senza farne parola col padre PER BEN SEI ANNI (#ionondimentico). Su questo punto l'ho finalmente trovata molto umana e più realistica.
C'è una cosa che non mi è piaciuta di questo personaggio e che andare alla fine ho mal sopportato: come molte altre protagoniste, Mu Cheng soffre di passività. Tutto le cade dal cielo, si lascia trasportare dagli eventi, vive in base a quello che vogliono gli altri, raramente l'ho vista prendere in mano la situazione e farsi sentire come si deve. Per esempio, davvero troppo umile ed educata con la suocera, al punto da risultare remissiva e sottomessa.
A tal proposito, mi ha infastidito il fatto che siano sempre GLI ALTRI a metterla in buona luce con chi pensa male di lei, mentre lei se ne sta zitta e vive la sua vita in modo passivo. Solamente ogni tanto l'ho vista un pochino più attiva, ma avrei gradito di meglio.
Ren Guang Xi
Un buon protagonista anche lui. Di lui mi ricorderò la sua bravura come avvocato, il rapporto con Xiao, l'arrivo al villaggio e l'accoglienza ricevuta (ancora rido), tutta la sua rabbia e frustrazione per la malattia, l'operazione e sopratutto tutte le bugie che gli sono state raccontate per anni.
Molto buona l'evoluzione: da playboy dell'università, da ragazzo arrogante e antipatico, l'incontro con Mu Cheng è una vera benedizione perché lo porta a mostrarsi per quello che è: un uomo gentile con un grande senso di giustizia.
Se l'ho amato quando difende Mu Cheng contro il patrigno (sto porco.. ma poi che fine ha fatto??), ammetto di averlo odiato quando si vendica in modo spietato non solo contro l'amata, ma anche contro il second lead, che poraccio è quello che ci rimette più di tutti solo perché è il suo rivale in amore.
Mi è piaciuta tantissimo la questione tra Ren Guang Xi e la ragazza vittima di stupro. Mi ha fatto rimanere male vedere lui difendere il bastardo stupratore, quindi sono stata contenta quando l'ho visto comprendere la gravità della cosa e quanto stesse soffrendo la poveretta nel momento in cui la ragazza tenta il suicidio. Aiutato da Mu Cheng (molto empatica verso la ragazza e desiderosa di aiutarla), le chiede scusa non tanto per averle dato contro in tribunale, perché quello è il suo lavoro, ma per aver accettato quel caso fin dall'inizio, andando contro ai suoi principi.
Love story
Dunque, la storia d'amore tra i due protagonisti, in generale, mi è piaciuta. È bella, commovente, triste, emozionante, ingiusta, dolorosa ma anche felice.
Su questa storia c'è una cosa che ci tengo a dire: la parte finale, parliamone.
A una certa mi sono cadute le palle e avrei volentieri preso i protagonisti a sprangate.
I due passano una cosa come 4/5 episodi tra sospetti e fraintendimenti vari. Per esempio, Mu Cheng impegna la sua fede per aiutare il second lead, e Ren Guang Xi pensa che lo stia facendo perché lo ama, e va avanti a crederlo per tre episodi buoni. Non importa se lei lo salva prendendosi un'accoltellata al posto suo o se gli assicura che lei e il second lead sono soltanto amici, lui rimane fermo nella sua convinzione.
È talmente scemo che il second lead stesso è costretto a parlargli e spiegargli come stanno le cose, cercando di farlo ragionare:
"Ti sei mai chiesto perché, in questi sei anni, Mu Cheng non ha mai accettato la mia corte? Ti sei mai chiesto perché non ci siamo mai messi insieme e non ci siamo mai sposati?"
MI È PARTITO L'APPLAUSO.
E il protagonista che lo guarda con una faccia da fesso.
Ma mentre lui è affetto da idiozia cronica, lei pare colpita da paralisi facciale il 90% del tempo: sta sempre lì a guardarlo con una faccia esitante senza pronunciare parola mentre lui sospetta di lei.
I due sono talmente rimbambiti che alla fine il piccolo Xiao, UN BAMBINO DI CINQUE ANNI, finge di essere stato rapito e li costringe a passare del tempo insieme in una chiesa, e così si confessano il loro amore.
Non ho parole.
Yi Qian
È stata una buona second lead. Non è mai stata antipatica, o spregevole, o vipera. Anzi è stata carina e gentile, e non l'ho odiata nemmeno per un momento.
Peccato che, a differenza del second lead maschile, Yi Qian non ha una sua storyline, ma è "attaccata" al protagonista, tanto che quando lui la lascia la ragazza esce di scena e tanti saluti.
Liang Xiao Le
OMMIODDIO QUANTO HO AMATO QUESTO BAMBINO.
E QUANTO MI HA FATTO PIANGERE.
Ma, sul serio, c'è davvero qualcuno che non sia innamorato del piccolo Xiao? Come si fa a non amarlo?
È fottutamente adorabile e ho adorato ogni sua singola scena.
Insieme al second lead, penso sia il personaggio più intelligente di questa serie. È molto sveglio, educato e maturo per la sua età, e qui devo fare i complimenti a Mu Cheng.
La madre
Pensavo fosse una strega, lo dico senza mezzi termini XD.
Voglio dire, per metà serie ci viene mostrata una donna fredda, dura, severa, volendo anche senza cuore quando costringe la protagonista ad andarsene. Ma mi è piaciuto come non sia una stronza perché sì, e basta.
Ha le sue motivazioni, che ho perfettamente capito.
Il piccolo Xiao è un fulmine a ciel sereno nella vita fredda di questa donna, una vita priva di calore e sorrisi. Il bambino le porta spensieratezza e spontaneità, spingendo la donna a intenerirsi, a farsi un esame di coscienza, e a sistemare il suo rapporto con il figlio.
Hua Tuo Ye
Questo è stato davvero un ottimo second lead, uno dei migliori che abbia visto finora.
MIO PERSONAGGIO PREFERITO E MIO EROE, mi sono davvero affezionata a lui, e il motivo per cui l'ho amato tanto è perché lui è la voce della ragione.
Gli ho sentito dire tante verità e tante cose giuste, come quando "rimprovera" la protagonista di vivere sempre in base a quello che vogliono gli altri mettendo se stessa al secondo posto.
Devo ammetterlo: non è un personaggio innovativo o particolarmente complesso. È il classico ragazzo che finisce spesso a far rissa perché è una testa calda, ma in fondo è un bravo ragazzo disposto a fare di tutto per le persone che ama.
C'è un momento della storia in cui, in tutta la questione tra i due protagonisti e i loro dissapori, Tuo Ye è quello che ne risente più di tutti, perché viene ingiustamente arrestato, è impotente perché non può aiutare la protagonista, si deve subire tutta la rabbia del protagonista, e ne esce pure col cuore spezzato quando Mu Cheng lo definisce solo un caro amico (e qui mi si è spezzato un po' il cuore pure a me).
Mi è piaciuto un sacco il rapporto tra lui e Xiao, dove il piccolo lo considera una sorta di zio/fratello maggiore. Quando Xiao ritrova il suo papà e si trasferisce a casa sua, avevo paura che dimenticasse Tuo Ye e il villaggio in cui era cresciuto, invece continua a sentire la mancanza di tutti loro e sopratutto quella di Tuo Ye, che per sei anni gli ha fatto un po' da papà.
Non so se sono di parte, ma per quanto mi riguarda negli ultimi episodi Tuo Ye ha spadroneggiato non poco. Mi è piaciuta un sacco la storyline che gli è stata data, che lo ha portato a distaccarsi finalmente dalla protagonista. La ragazza con cui è cresciuto e che lui ha sempre visto come una sorella, viene rapita e fatta entrare in un giro di prostituzione, per salvarla lui è costretto a pagare un debito di soldi e di sangue, e quando la ragazza in preda allo shock uccide il suo possessore, lui si prende la colpa, finendo quindi in tribunale.
Guang Xi capisce tutto e porta alla luce la verità, la ragazza riacquista la memoria e confessa l'accaduto, scagionando Tuo Ye. Non vi dico le lacrime che ho versato in questa scena...
Tra l'altro sono anche contenta dello spazio che hanno dato al personaggio della ragazza. Pensavo non fosse importante, e all'inizio la vedevo come una ragazza frivola e senza contenuti, poi ho scoperto quanto fosse innamorata di Tuo Ye, quanto sia sempre stata premurosa con lui, e quanto abbia sofferto per essere stata abbandonata dalla madre. Sono contenta che alla fine riesca a trovare la meritata pace dopo le angherie subite, e mi ha fatto piacere vederla più seria e maturata, portando Tuo Ye a considerarla sotto una nuova luce.
Le tematiche
Questa serie affronta, e anche abbastanza bene, diverse tematiche molto realistiche e sempre attuali: stupro, molestie sessuali e le devastanti conseguenze; il lavoro dell'avvocato e la sua etica, i disturbi mentali come lo stress post traumatico, la tragedia del cancro e le sue difficoltà, e cosa si è disposti a fare per qualcuno che si ama, come Tuo Ye che è pronto a finire in galera per proteggere la ragazza.
Personaggi secondari
Qui mi riferisco sopratutto agli abitanti del villaggio: li ho amati. Divertenti e commoventi allo stesso tempo, è impossibile non fare il tifo per loro.
Sono delle persone semplici e poco colte, che vivono coltivando i fiori e la terra, ma sono delle persone di buon cuore, calorose, simpatiche, disposte a dare veramente il massimo per aiutarti e farti sentire a casa.
Tra l'altro, saranno anche dei contadini ignoranti, ma guai a toccargli la terra che ti buttano fuori con padelle e forconi! (stima).
Tra loro, nota speciale alla madre di Tuo Ye, una signora chiassosa, allegra e "alla mano", e allo stesso tempo la figura saggia della serie: mi è piaciuto come sia stata un po' come una madre per la protagonista, pronta ad ascoltarla e veloce a capirla. Per non parlare di come sia stata una sorta di zia/nonna per Xiao.
Le questioni irrisolte.
Oltre i cliché e gli infiniti fraintendimenti, questa serie ha un altro difetto: alcune cose sono lasciate in sospeso.
Per esempio, che fine hanno fatto il patrigno molestatore e la zia della protagonista? Nulla si sa.
Ma la cosa che davvero mi ha lasciata perplessa è stata la questione della causa legale tra il villaggio e il suocero del protagonista. L'uomo d'affari, ricco e incurante della situazione in cui vivono i poveri abitanti a causa dell'inquinamento provocato dalla sua fabbrica, intende comprare la loro terra e buttarli fuori a calci. Bene, mi aspettavo un gran bordello da tutto ciò, e invece il tutto è risolto nel giro di DUE MINUTI, con il protagonista che fa una bella chiacchierata con il suocero, e quest'ultimo che improvvisamente diventa un santo tutto pentito e pronto a rimborsare i danni.
Io pensavo che stesse mentendo, ero proprio convinta, e invece era sincero!
Non ho parole pt.2
Ma a parte questo, la serie è estremamente godibile e infatti come ho detto me la sono maratonata. È ricca di emozioni, di spunti di riflessione, di tanti sorrisi e tante lacrime.
L'ho vista super volentieri e la consiglio.
Voto: 7/8.
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“È strano non è vero?
Provare quel desiderio
di essere confortati
proprio dalla persona
che più ci ha ferito.
Quasi paradossale,
oserei dire.”
Dal libro “La ragazza col cuore a metà.”
#frasi#frasi tumblr#tumbrl#quotes#frasi belle#amore#pensieri#ti pensavo#per te#poesia#frasi da libro#la ragazza col cuore a metà#mi manchi#amore perduto#cuore a pezzi
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Post in italiano. Necessito di scrivere e basta.
In un momento di lucidità dato probabilmente da mezza fetta di pane tostato, due fette di tacchino e metà uovo, sono giunta a una conclusione che ora sembra talmente ovvia da risultare idiota.
Mi sono chiesta: cosa voglio davvero? Prima è arrivata la domanda scontata: dimagrire. Ma non basta. Obiettivamente sono una ragazza normale, anzi, molto più attiva e con più muscoli della media. Come posso aspettarmi che il mio peso sulla bilancia diminuisca se mi alleno tutti i giorni?
La bilancia ossessiona, ma anche quando sai che non dovresti guardarla perché non è lei che detta i parametri, ti ci fissi comunque. Una ragazza che invidio perché sembra quasi anoressica ma non lo è assolutamente, pesa esattamente come me. 58 chili ed è addirittura più bassa. Sicuramente avrà muscoli più sviluppati e meno massa grassa. Infatti il suo metabolismo funziona alla grande perché mangia anche schifezze a cuor leggero senza farsi problemi. La scienza è scienza, punto.
Quindi, mi sono chiesta di nuovo: cosa voglio DAVVERO? Voglio eliminare due cose che non trovo estetiche e rendono il mio fisico asimettrico: coulotte de cheval e maniglie dell’amore. Vi sembrerà assurdo, ma in tutti questi anni a vedermi grassa non avevo mai capito di essere una “skinny fat” che accumula grasso localizzato ma che è magra in tutto il resto del corpo.
Quindi ho pensato: mmh okay: grasso localizzato. Di per sè è il più difficile da sciogliere, può servirmi una dieta drastica per ottenere risultati veloci?
Sí e no: una settimana o anche due prima di andare al mare, ridurre le calorie al minimo e digiunare sicuramente SGONFIA. Quindi io so che potenzialmente ora se “digiuno” anche solo tre giorni posso scendere di un chilo abbondante.
Ma ora devo andare al mare? No. In piscina? No. Voglio solo sorprendere il mio ragazzo che non mi vede così tonica da un po’. Okay.
Dopo un mese allenandomi due volte al giorno e provando le cell + crema della fitline il mio sedere è cambiato DRASTICAMENTE. Devo riconoscermelo. Non ho quasi più coulotte de cheval e sicuramente continuerò sia ad allenarmi che a prendere crema e capsule della fitline. Obiettivo 1 quindi maggiormente raggiunto, si perfezionerà col tempo piano piano e con costanza.
Ora che l’obiettivo 1 non occupava più così tanto spazio nella mia testa ho notato che effettivamente le maniglie dell’amore io le ho eccome, quando ho sempre pensato di esser così di costituzione e di non poterci fare niente. Effettivamente è grasso localizzato, quindi come ho lavorato sotto posso farlo sopra.
Tutti dicono di evitare il cardio perché troppo fa male. Io quindi per non saper nè leggere nè scrivere ho sempre fatto solo esercizi per i muscoli in palestra con o senza pesi e ballato come al solito (che comunque è cardio ndr).
Ora che lo faccio ogni mattina, insieme a esercizi per i muscoli vedo una differenza abnorme. Sono rimodellata, non dimagrita.
Conclusione: io non ho bisogno di dimagrire rapidamente, non avrebbe senso e non porterebbe a NULLA.
Quando sei skinny fat come me e le poche percentuali di grasso che hai vuoi eliminarle per motivi estetici, non trovi l’appoggio del tuo corpo. Lui vuole tenersele, tu vuoi perderle per essere sottopeso. Diciamo che, in una mentalità da dieta rapida, puoi digiunare/sgonfiarti=far sí che si notino meno/ma poi eventualmente tornare come prima se non più gonfia.
OPPURE puoi pensare che hai una vita davanti: essere consistente e modellarti piano piano. PIANO PIANO il tuo corpo si modificherà da solo. Ma lo farà perché lo avrai nutrito nel modo corretto, aumentando il tuo metabolismo e allenandolo tanto.
ORA, PARTE CLUE.
Perché allora sono passata da avere un fisico da ragazzina a quello che ho ora? Sí, con l’età cambia anche il fisico e mette su qualche forma in più. Lo sappiamo tutti. Ma io ho contribuito? SISISISISI. Mi rendo conto che io sono una di quelle “a dieta” a periodi da sempre, mentre nei momenti in cui non lo sono mangio più cibo spazzatura del normale, se vedo del cibo davanti a me DEVO finirlo e mi viene l’acquolina in bocca solo a pensarci. Se c’è del cibo nel piatto VA FINITO. Tutti questi comportamenti, nel corso degli anni mi hanno fatto accumulare questo skinny fat e addirittura in germania, dove finalmente non mi vedeva nessuno che conoscevo e venivo forzata a mangiare dalla mia famiglia obesa tedesca, ho messo 10 chili.
Ora, osservando le persone magre magre che conosco, ho notato che potenzialmente non si privano niente. MA, mangiano in un altro modo. Io vedo il weekend come cheat meal e mi dó una ricompensa. Loro no, perché non ne sentono il bisogno. Se vogliono un pezzetto di cioccolato di lunedì, lo mangiano e ne mangiano solo un pezzetto.
Io mi dicevo “ma io non posso farlo. A me viene la tentazione e mi finisco la tavoletta”. Vero, ma perché? Perché da 5 anni a questa parte cerco di fare diete idiote per vedere risultati IMMEDIATI.
Da quando sono passata a una sorta di plant based diet, automaticamente dopo qualche mese senza neanche accorgermene ho perso gli ultimi chili che avevo messo in germania. Ora, a distanza di 4 anni, peso come quando ne avevo 16 e il mio corpo non era malaccio. Ora che ho capito questo, posso fare ancora di meglio.
Una persona magra mangia solo se ha fame e spesso si sente sazia perché mangia lentamente, quindi avanza cibo nel piatto. Perché può permettersi di farlo? Perché quella pizza/tiramisù che ha davanti non è l’ultimo che potrà avere in tutta la sua vita. Se gli verrà fame dopo due ore sicuramente potrà aprire il frigo e prendere qualcosa per nutrirsi. Ma non si abbuffa fino a gonfiarsi, esser pieno, stare male come faccio io perché oddio che buono devo finirlo/ me lo merito/ sono golosa non ci posso fare nulla/ ma oggi è domenica. Anche perché quando mangio così spesso non sento neanche il sapore, non lo faccio nemmeno per il sapore.
Quindi, ho deciso che se voglio davvero autocontrollarmi non digiunerò tutti i giorni. Non porta a nulla. Un digiuno è per ottenere risultati a breve termine ma effimeri. Un’abitudine e stile di vita dove mangio cose salutari quando ho fame e con qualche concessione quando la voglio realmente e non quando me la trovo davanti (con le dosi richieste dal mio corpo) mi porterà dritta al mio obiettivo prima che io ci possa fare caso.
Come allenare l’autocontrollo? Piuttosto che non mangiare, mangerò regolarmene alzando PIANO le kcal per far sì che il mio metabolismo si adatti. Se ora in media sono a 600, questa settimana salirò a 800. Mi allenerò come sempre. L’unica differenza è che potrò concedermi quattro pasti, A PATTO CHE AVANZI SEMPRE QUALCOSA NEL PIATTO. Si tratta di una cosa che farò all’inizio per abituarmi a non spazzolare tutto senza neanche pensarci, mi costringerà a mangiare lenta e capire se sono piena e quanto voglio avanzare quel giorno e mi aiuterà ad avere cibo davanti senza dovermici buttare sopra come un’oasi nel deserto. Posso mangiare una pizza, se non la finisco. Anche metà mi riempie sicuramente, ed è comunque buona. L’altra metà potrò portarla a casa e mangiarla quando voglio. Gli altri saranno felici di finirla.
FAKE IT UNTIL YOU MAKE IT. Se sono magra anche io, il mio stomaco non può finire una pizza senza riempirsi come quello di una persona normale/sovrappesso. Se si riempie come il loro all’orlo allora si ingrandisce.
Se io pian piano mangio e brucio, mangio e brucio, non solo sono sempre sgonfia ma alzo anche il mio metabolismo che brucerà molto molto di più anche da solo. Allo stesso tempo imparerò a controllarmi e non dovrò mai più abbuffarmi. Sul breve termine non lo vedrò subito. Ma tra anche solo 6 mesi mi guarderò allo specchio chiedendomi come diamine ho fatto.
Ho scritto tutto questo per me, credo che raramente sarò così lucida in futuro. Rilegittelo finché non ti esce dagli occhi carolina. Ps. Sono orgogliosa di te perché hai mangiato quello che volevi, ma avanzando la parte in più dopo che eri piena alla fine hai mangiato anche meno calorie del solito. Quella che doveva essere una colazione “premio” è diventata una colazione normalissima che puoi concederti ogni giorno. Anche col pane, senza superare le 200 calorie. Assurdo.
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Angels in the Dark
Le 3:00 di notte, la gente dorme, protagonista dei suoi sogni e dei propri incubi. Forse è così che mi piace pensarli. Inerti, con gli occhi chiusi, il respiro leggero e regolare, il viso d’angelo senza svegliare il loro lato assassino. Mi piace l’idea di non sentire le loro parole, i loro giudizi, tanto ascolterei solo bugie.
Ho un misto di rabbia, tristezza, e delusione per le persone, che ormai mi fanno solamente schifo.
In questo momento vorrei facesse davvero freddo, avere solo una felpa addosso e potermi risentire viva tramite i brividi e i tagli di gelo che lascia il vento sul mio corpo e sulle mie guance rosee; vorrei star seduta a gambe incrociate sugli scogli ed essere circondata dal nulla se non dal mare davanti a me. Vorrei aver lo sguardo fisso lontano, perso verso l’orizzonte, vorrei che il cielo fosse grigio, e di riflesso, anche l’acqua del mare. Grigio. Non c’è colore più adatto di come mi senta ora. Un’anima bianca di purezza, ingrigita dalle ceneri dell’inferno in cui si trova e vive.
E invece sono qua, immersa nel buio della mia stanza, con le gambe attorcigliate alle coperte, che con la luce della luna proveniente dalla finestra sopra il mio letto, sembrano di un colore bianco sporco e antico.
Ho appena avuto un incubo, e nonostante sia già metà dicembre, sono tutta sudata, coi capelli annodati e spettinati dai troppo giri e rigiri durante quelle ore. Un incubo: non c’è differenza tra il giorno e la notte.
È da un po’ che sono sveglia, ma non voglio sapere quanto tempo sono stata sdraiata sul letto a pensare a cose senza senso, guardando un punto non preciso del cielo attraverso i vetri della finestra; non mi interessa sapere che ore si son fatte, né pensare che domani avrei dovuto svegliarmi presto per andare a prendere quel treno vecchio e malconcio verso quella prigione di scuola. Dicono che qui ti insegnano a vivere. Io ho imparato solo a come morire.
Vorrei fermare il tempo, rimanere lì per sempre in quella buia e notturna tranquillità, eppure non vedo l’ora che questa notte passi, che tutto passi.
Ed il mio istinto è ancora quello di andarmene da un mondo in cui io non mi sento più parte.
Mi alzo dal letto e nonostante abbia solo una maglia bianca e leggera che uso per dormire, apro la maniglia di quella finestra che da sul tetto, e sento già il freddo invadermi il sangue.
Non importa.
Mi arrampico, e come ogni notte trascorsa nella mia solitudine, mi ritrovo ad osservare la vita notturna da lì sopra.
Le luci della città sono spente, così come la speranza, fiamma di una candela che resiste al gelo e alla neve, ma che si spegne per una piccola lacrima, un piccolo dettaglio che nessuno noterebbe.
Nessuno sveglio, a parte qualche rara persona innamorata, come me, delle stelle. Nessuno sveglio, se non quel groviglio di milioni di nodi, pensieri incasinati e taglienti come lame gelate. Brividi di freddo, ogni volta che uno di loro sfugge al mio controllo nella notte scura, che mi indebolisce e riemerge ogni mia paura.
Rimango sola, ancora una volta, ad osservare la notte, la parte morente del giorno, cullata dal vento che scompiglia i miei capelli, e che cerca invano di spegnere i pensieri, di far morire la mia dannata mente. Magari per un po’. Magari per sempre.
Mi sdraio sulle mattonelle rosse del tetto, per vedere le stelle. È una cosa che faccio fin da bambina, mi ha sempre rilassato, mi calmava quando piangevo, come se essere circondata da quella moltitudine di stelle mi facesse sentire meno sola. Ma quando i miei occhi si posano sul cielo, l’unica cosa che vedo è un colore cupo, velato, senza la presenza di quei piccoli fari di speranza. Si sta facendo brutto tempo, un po’ come dentro me. Passata la notte, la pioggia e il vento lasceranno spazio al sole. Ma la tempesta delle mie lacrime finirà mai?
Seguo la linea chiara e infinita che formano le nuvole col riflesso della luna, e la mia mente ne fa uno svago personale, finché non vengo strappata dalla mia quiete da delle risate, parole urlate troppo forti che stonano col dolce silenzio della notte, e poi il suono di una bottiglia di vetro che cade, che si spacca in mille pezzi. Ma qua non è l’unica cosa andata in frantumi.
C’è un ragazzo, alla fine della via. Corre, e trascina con sé una ragazza che lo segue senza smettere di ridere. Nella mano libera regge una bottiglia, di birra credo. Immagino gli occhi di lei brillare come stelle in mezzo al buio della notte. Li conosco quei pensieri, ragazza, il desiderio di essere felice, la speranza di essere amata per sempre.
Ma i desideri sono sogni che vorresti ma non puoi avere. E la speranza non è una certezza, è solamente un'illusione che pian piano si affievolisce e muore. E poi muori anche un po’ tu.
A volte mi domando perché tutto dipenda da degli stupidi pensieri, da immagini che vediamo , o parole che sentiamo. Condizioniamo il nostro umore, la nostra salute, e perfino la nostra vita, in un modo troppo semplice: gli altri causano avvenimenti che facilmente ricadono tutti su di te. Loro dettano la tua vita, e tu, come un protagonista di un libro, sei destinato ad obbedire ai loro voleri e a morire alla fine di quelle pagine. Perché chi ti vuole buttare giù inciderà parole indelebili che ti faranno affondare in acque buie e profonde, anche nel più secco dei deserti: non hai potere, loro dettano parole, e le parole dettano legge.
Sento un bruciore improvviso alle braccia: sta iniziando a piovere, come se avessi contagiato il cielo con la mia tristezza, e volesse riempire il vuoto che ho nel petto con le sue lacrime. I tagli si gonfiano e fanno male, ma sfortunatamente non troppo da poter deviare il pensiero da ciò che ho dentro. Ti avevo promesso di non farlo mai più. Perdonami.
Guardo la mia pelle, prima bianca come il latte, ora marchiata da lividi e da permanenti cicatrici, segnata per sempre da ricordi che bruciano di urla, e odorano di una vita passata a morire.
Le persone mi definiscono forte, nonostante mi diano della debole. È un controsenso, lo so, nemmeno io l'ho mai capito. Credo che ti diano aggettivi asseconda della situazione, di come viene comodo a loro.
Ma su una cosa sono tutti d'accordo: trasmetto forza alle persone, le metto un senso di tranquillità e di pace da poter affrontare ogni momento buio, assieme a me. Già, questo non lo nega nessuno, sono tutti bravi a prendere ciò che dai, senza che ti ritorni qualcosa in cambio. Amici. Questa parola contiene al suo interno la parola amore. Ma a quanto pare è uno sbaglio, non credo che amare voglia dire approfittare dell'altro per poi lasciarlo pieno di false speranze, ricordi che fanno male e cicatrici che non potrà più risanare. Amici. Questi non dovrebbero lasciarti in disparte perché han trovato qualcuno migliore di te. Amicizia non è usare e andarsene dopo averti consumato.
Eppure è ciò che lei ha fatto, ciò che fanno tutti. Avete presente quando ad un certo punto della vostra vita, vi sentite finalmente capiti da qualcuno, quando trovate qualcuno che vi fa ridere, con la quale ridere? Certo che lo avete presente. Almeno una volta nella vita ci siamo sentiti tutti amici di qualcuno. E io mi sentivo amica sua. O meglio, ho sempre pensato che lei fosse mia amica. Ma il tempo vola, le persone cambiano, i sentimenti passano. Ma chissà perché, tra due persone, tutto questo succede solo ad una, mai ad entrambi. E l’altra rimane lì, a chiedersi perché, a guardare le persone allontanarsi, a sentire crollare il tutto. Cosa fanno gli amici? Sbaglio o si aiutano? Si confortano? È davvero questo il loro compito, o è solo una stupida recita che si scrive nei libri? Le raccontavo tutto, la rendevo parte della mia vita, e lei faceva lo stesso con me. Ero felice quando lo faceva. Credevo fosse normale, ma purtroppo credo a troppe cose. Sarò strana, ma sono felice quando le persone si aprono con me: la vedo come un segno di fiducia, o semplicemente, di amicizia. Ma a quanto pare in molti lo percepiscono come un peso, ciò che vogliono è recitare la loro parte e fare finta di tenerci. In effetti è anche colpa nostra. Abbiamo sminuito troppo il termine “amico”, ormai chiamiamo così anche chi conosciamo da poco, non diamo differenza tra chi lo è davvero un amico, e chi non. Forse perché non ce ne rendiamo conto. Troppo felici a pensare di avere qualcuno al nostro fianco. E poi arriva quel momento in cui ci rendiamo conto che siamo sempre stati soli. Amicizia è sostenersi a vicenda, esserci. E allora perché lei mi ha rinfacciato di ogni cosa che le raccontavo? Ho sempre messo lei prima di tutto, nel nostro rapporto, perché per me era importante. Ogni cosa che le raccontavo la alleggerivo, perché odio far pesare i miei problemi alle persone, eppure lei era stanca di questo, stanca di me, e mentre lo diceva, non ha più pensato ai momenti in cui l’ho fatta ridere.
Non ci provo più a definire qualcuno come ‘migliore amica’. Le persone sono tutte uguali, nessuno è migliore. O almeno, non con me.
Da quel giorno non mi sono mai più aperta con nessuno. E forse questo mi sta uccidendo: ogni cosa che mi tengo dentro è una lama di un coltello, un’arma, che graffia, squarcia, uccide piano piano, ogni parte di me. Ma almeno sono io a farlo. Non voglio più dare questo potere agli altri. O forse è esattamente ciò che sto facendo?
Tutti così fanno, ogni volta che rientro a casa, felice di aver incontrato qualcuno, mi aspetto sempre il giorno in cui lasceranno un vuoto dentro di me, che felice quasi non lo sono neanche più.
E mentre a me la pelle brucia, I due ragazzi prendono la pioggia elemento di gioco, finché sotto la luce dell'unico lampione sulla strada, lui la bacia, facendo ritornare il silenzio, nonostante il rumore della pioggia che cade, nonostante i pensieri che urlano.
Chissà che sapore hanno i baci, quelli veri, quelli dove è il cuore che parla, e non uno stupido meccanismo a cui non si è mai dato il giusto valore. Chissà come è baciare senza sperare disperatamente di valere qualcosa, aggrapparsi alle labbra di qualcuno come se ti stessi aggrappano al suo cuore. Chissà come è baciare senza pensare a nulla di tutto questo. E chissà come è essere sicuri che le braccia che ti stringono ora non ti lasceranno mai, avere la mente libera dal pensiero di perdere quella persona.
E io ne ho baciate di labbra, da cui pendeva solo veleno, ne ho strette di mani, le stesse che tenevano il coltello dalla parte del manico e la lama puntata al mio cuore.
Quanto posso essere ingenua, dare troppo con la sola speranza di essere un giorno ricambiata. E poi passano i giorni, ma di quel giorno nemmeno l’ombra. Ne arriva un altro, invece, quello in cui con le lacrime agli occhi, ti fa schifo la tua immagine riflessa, perché la dignità la hai, è che hai solo troppo cuore, e ti accorgi troppo tardi che tutto quanto ti ha tolto più di quanto avevi prima.
Non è colpa mia. Però glielo urlo sempre, alla ragazza riflessa allo specchio. A quella dagli occhi rossi per il pianto, le labbra insanguinate, le costole troppo evidenti, e la pelle segnata.
Il freddo inizia a farsi sentire più di prima, d’istinto mi riscaldo le braccia con le mani, ma non ho voglia di tornare dentro, resto a giocare coi brividi che il vento da. Mi è sempre piaciuto, convincere il mio corpo di essere più forte del freddo. Convincere me stessa di essere più forte di tutto.
Le mie mani fredde mi stringono in un abbraccio, sotto la pioggia di dicembre. Mani. Con queste puoi ricevere l’affetto migliore di cui nessuno parla: puoi far sentire una persona meno sola, soltanto afferrando e stringendo la sua; puoi ricevere abbracci e morirci dentro e rinascere allo stesso tempo, scordando tutto quello che ti tormenta. Non serve che vado avanti, sono l’ultima persona che può spiegare modi per dare e ricevere affetto. Eppure, le carezze, le mani che sfiorano dolcemente la pelle, lo trovo un gesto tanto dolce… Il problema è che le mani di certe persone, per quanto bianche di purezza siano, sono impregnate del rosso del mio sangue.
Anni dopo, la fobia non passa. Non può passare, quando fin da bambina hai imparato da sola che servono per fare del male. Ricordo ogni maledetta volta, ogni bruciore e ogni ferita. Ricordo troppo bene, come se fosse ieri, eppure ero ancora troppo piccola.
Avevo la mania di tenere un diario, da bambina, e non perché mi intrigava la cosa di tenere i miei segreti da qualche parte, ma perché quello era il mio sfogo personale, e nessuno avrebbe mai letto e giudicato. E quelle parole venivano lasciate lì, mai più rilette, ma mai più dimenticate.
Cosa può scrivere una bambina di 7 anni? Magari delle prime amicizie, delle marachelle a scuola, cose così. Non lo so, io non scrivevo queste cose. Quelle pagine non sanno più di carta, ma solo di lacrime. Su quelle pagine riportavo il disprezzo degli altri nei miei confronti, riportavo ogni rissa, ogni livido.
Scoppio a piangere, in silenzio, ricordando le lacrime di quella bambina che si rifugiava dentro i libri, e nella scrittura. La sua infantile grafia, le sue parole da matura.
E il mio pianto si unisce alla pioggia, mentre ripercorro ciò che mi ha ferito, ogni loro frase, attaccata al muro, le mani a proteggermi gli occhi, ma con nessuno a proteggere me. Nemmeno io lo facevo.
Cosa ho fatto per meritare questo già da bambina? I bambini dovrebbero crescere spensierati, avere ancora la testa fra le nuvole.
Io invece mi consideravo una nullità già a 7 anni. D’altronde, cresci con le idee che ti mettono in testa, con i discorsi e le parole che ascolti di più. E io sentivo solo quelle.
E le sento ancora ora, ogni giorno, mi ripeto che voglio essere perfetta per me, ma in testa ho ancora la perfezione che han dettato gli altri.
Non riesco a toccare cibo senza pensare i giudizi che hanno sempre avuto sul mio corpo. Prima troppo grassa, poi troppo magra.
Basta. Non voglio pensare a questo.
Voglio cancellare tutto dalla mia mente, spegnerla, azzerarla, ma non ci riesco.
Tutto ciò che riesco a fare ora, è piangere.
Eppure di piangere l’ho fatto troppe volte, ma ora non c’è più nessuno dalla mia parte. Mi avevi ripetuto, giurato, promesso, che non eri una copia degli altri, e sei perfino riuscito a farmelo credere. Eri così perfetto per essere vero, ma sei solo bravo a giocati la tua parte come giochi con le corde della tua chitarra. Ero convinta che ti interessasse davvero di me, e sono stata stupida a crederci, a chi interessa di me? A nessuno. E dovevo saperlo, non dovevo crederti, ma sei stato troppo furbo, e io ancora ingenua. Mi attiravi con l’affetto. Certo, le persone si attirano dando ciò di cui hanno bisogno. E tu l’avevi capito, che era questo il mio punto debole. Mi raccontavi un sacco di bugie, bugie che mi han fatto innamorare, finché le consideravo verità. E invece ho dovuto scoprire da sola tutto quanto, e da sola affrontarlo. Hai aperto al mio cuore ad un’altra tragedia: l’attore perfetto in una falsa commedia.
Voglio che tu trova l'amore, voglio sentirti parlarne coi tuoi amici come se fosse l'unica cosa che ai tuoi occhi sia perfezione. Voglio vedere i tuoi occhi brillare di speranza, il tuo cuore in fiamme per la ragazza con cui mi hai sostituito. Talmente in fiamme da bruciare. Voglio che lei lo alimenti quel fuoco, che ti faccia provare le fiamme dell'inferno, per poi lasciarti nella cenere. Ti auguro di provare ciò che sto provando io a causa tua, voglio vederti piangere, illuso dalle false speranze che lei ti ha dato. Voglio che ti salga la nausea a pensare ad ogni cosa che ti colleghi a lei, ad ogni cosa che hai detto, ad ogni bugia che hai creduto. Voglio che tu sappia quanto questo faccia schifo, voglio che tu prova quanto tu mi hai fatto male. Ti odio, con tutto il cuore, più di quanto ti abbia amato.
Le persone sono tutte uguali, o forse sono io troppo diversa. Mi sento sbagliata, in ogni posto: il cuore di qualcuno non avrà mai posto per me, la scuola non sarà mai il luogo dove avrò amici, e casa mia non potrò mai definirla casa. Cosa ci faccio ancora qua?
Le lacrime mi offuscano gli occhi, ma non offuscano i miei pensieri. La mia mente mi passa davanti immagini di falsi momenti in cui ero felice, come a ricordarmi cosa non ho, cosa mi è sempre stato strappato via troppo in fretta. Tutti gli amici andati, i tradimenti da parte di chi più amavo, la mia famiglia che mi ripete ogni giorno quanto io sia un fallimento, per loro è per tutti; e poi le botte a scuola, quella sera di cui non ho ancora il coraggio di spiegare davvero cosa sia successo.
Non mi è rimasto nulla. Nulla è nessuno.
Cosa ho di sbagliato? Cosa non ho che le altre hanno? Perché sono l’unica che non viene mai apprezzata, mai capita? Sono sempre la ruota di scorta, quella che viene usata. Uno strumento per far felice qualcuno. Uno strumento usato, consumato, e poi lasciato lì, quando non se ne ha più bisogno. Una bambola dei giochi di qualcuno, coi capelli un po’ spettinati, il vestito un po’ consumato, buttata in un angolo della stanza assieme a giochi vecchi, ormai passata di moda e dimenticata per sempre.
Se prima le lacrime scendevano in silenzio, ora i miei occhi si trasformano in fiumi di disperazione, e crollo, in un pianto troppo forte, troppo disperato. Perché quelle immagini fanno male, quei pensieri ammazzano.
Con le mani mi copro gli occhi, come se mi nascondessi dalle stelle, e mi sdraio del tutto sulle tegole rosse e fredde del tetto: la pioggia che mi bagna tutta la maglietta, che si mescola alle mie lacrime.
Il cuore batte forte, troppo forte, che quasi rischia di scoppiare e rompersi in mille pezzi. Non che non sia già in questo stato.
Non riesco a respirare. L’aria non mi arriva, inizio a vedere tutto più sfocato, eppure quelle immagini le ho sempre impresse nella mente. Il rumore della pioggia si fa più lontano, ma il mio pianto, le mie urla passate, quelle maledette voci, non si fermano. Non riesco a respirare.
Devo smettere di piangere o finisce male.
Mi tiro su, devo rientrare, devo prendere le medicine. Devo addormentarmi, non pensare a nulla.
Ansimo e piango allo stesso tempo, la testa mi gira, e per un momento non mi sento più dentro al corpo.
Le gambe mi cedono, ma io non me ne accorgo.
***
Sento un dolore fortissimo alla testa, ma anche alla schiena, alle gambe. A tutto il corpo, nulla escluso.
Sento la pioggia in lontananza, ma la sento lo stesso picchettare sul mio corpo, immobile e quasi inerte su un letto grigio e tagliente. I miei occhi bruciano, come la mia pelle.
Chiudo gli occhi, per poi aprirli lentamente. Non riesco a muovermi, ma riesco comunque a vedere quelle tegole rosse su cui poco fa piangevo.
Il respiro si fa sempre più pesante, mentre il cuore si fa sempre più lento. Sono stanca, stanca di lottare, stanca di sentirmi in questo modo.
Stanca di non essere mai stata apprezzata.
Ora sono felice, sono calma, come non mi sono mai sentita prima.
Ma questo raro sentimento si cancella, lascia spazio all’immagine di una bambina. Una bambina tanto forte che ha cercato di sopravvivere in mezzo a tanta amarezza. Quella bambina ha lottato per dare un futuro a me, e io ora glielo sto togliendo.
Non volevo arrivare fino a questo punto, non era mia intenzione, lo giuro. Potessi, tornerei indietro, non aprirei mai la maniglia di quella finestra.
Sono stata debole, ma io non volevo.
È stato un incidente.
Gli occhi mi si chiudono, ma voglio ricordarmi un’ultima cosa, di questo mondo.
Alzo gli occhi e vedo tanti puntini sfocati e lontani, che mi guardano, che mi accolgono: le stelle.
L’ultimo pensiero sono mamma e papà. Chissà cosa diranno. Io non volevo, lo giuro.
E poi a me stessa. Io non volevo.
Scusa.
***
Le sirene non smettono di suonare, la pioggia non smette di cadere. Anche una ragazza ha ancora le lacrime agli occhi. Solo che le sue non cadranno mai più sul suo volto e la sua anima non finirà mai di piangere.
La notte è buia, gelida. Qualche persona infreddolita, in pigiama e l’aria assonnata, si è riunirà attorno alla strada, intenta a capire cosa abbia interrotto il loro sonno. Un pianto disperato, delle urla, e poi un corpo coperto da un telo nero. E nell’aria gelida si sente l’odore aspro e metallico del sangue, della morte. Un velo di malinconia in questo scenario triste: il cielo piange la morte di un angelo.
È un suicidio. Gira la voce, chissà perché l’ha fatto. Il silenzio sparisce, e si riempie di chiacchiere inutili, come se loro sapessero e avessero il permesso di giudicare. Ma qualcuno, in quella via, non le sente quelle voci, non ne sentirà più pettegolezzi su di sé.
L’ambulanza parte, porta via quel corpo inerte dall’abbraccio disperato della madre, che ancora non capisce e lo rivuole con sé. Chiunque tenta di calmarla, di consolarla, poliziotti, vicini, ma lei in preda al panico non ascolta, come se non li vedesse. In fondo, è così, quando hai la paura negli occhi. Quando la morte ha strappato per sempre la vita di tua figlia.
Quel banco, a scuola, è vuoto, eppure la campanella è già suonata. Nessuno ci fa molto caso, in fondo non era occupato da qualcuno di speciale, qualcuno di cui si sente la mancanza. Ma Noemi si domanda il perché. Hanno litigato, qualche mese fa: l’aveva trattata male senza sapere nemmeno il perché, ma da quel giorno non è più stato lo stesso, sebbene abbiano provato entrambi a riavvicinarsi. Inizia a scrivere di nascosto un messaggio di rimprovero alla compagna, uno di quegli scherzi tra amiche. Ma quel messaggio non lo mandò mai più, intanto non c’era più nessuno a riceverli. In quella classe così disordinata e rumorosa, cala il silenzio, quando due professori dall’espressione triste, e il preside, entrano in quella stanza. E annunciano la sua morte. A Noemi cade il cellulare dalla mano, il vetro si frantuma in mille pezzi, e il suo cuore perde un battito. E la sua vita perde valore.
Tutti si accorgono forse per la prima volta di quel banco che troppe volte è stato in cattiva luce, e trattengono il respiro, ma lei non riesce a trattenere le lacrime.
Si alza e corre fuori, in corridoio, e non sente le voci di richiamo del preside e dei professori. Corre giù verso l’uscita, piangendo, incolpando se stessa per la morte dell’amica. Urla, e affonda le unghie nella carne delle sue braccia, lasciando piccoli taglietti, i primi di una miriade di insanabile cicatrici, e poi colpisce il muro con la mano, presa dalla rabbia, e le sue nocche si tingono di rosso. La mano le si gonfia, forse qualcosa di rotto, ma non fa male, nulla potrà più fare male, superare il dolore che sta provando ora. Si accascia a terra rimanendo appoggiata al muro, e si copre la testa nascondendola tra le ginocchia. Le sue dita intrecciare tra i capelli curati, ora ben pettinati, e senza accorgersene si tira qualche ciocca, come se il suo corpo stesse disperatamente cercando invano un dolore più grande. Il mascara che rifiniva le sue lunghe ciglia chiare, ora le riga il viso come le lacrime, e la pelle è ormai tagliata dalla troppa forza che mette con le unghie, come se servisse davvero a qualcosa, ormai. Qualcuno la solleva di forza, sussurrandogli un qualcosa che nemmeno ascolta, e la porta via, tra le urla incomprensibili, e la resistenza per restare sola; gli occhi colmi di dolore, di paura. La portano in infermeria, la fanno sdraiare sul lettino e provano a calmarla, ma smette di resistere, stanca di lottare per qualcosa che ha già perso. Ma le sue lacrime non smettono di essere in lutto. Tocca disperatamente la collana col ciondolo a forma di puzzle che le aveva regalato tre anni fa, come per sentire ancora il suo tocco, l’iniziale dei loro nomi che aveva scritto lei. Ma lei non c’è, non la rivedrà più.
A lavoro, il padre, non riesce a distogliere lo sguardo dal giornale che riporta il nome e la foto di sua figlia. E poi guarda il vuoto, con gli occhi che minacciano di piangere, pensando a tutte le volte che l’aveva portata in ufficio con lui, e l’aveva sgridata perché faceva troppo rumore parlando a voce troppo alta, quando da bambina si portava le bambole con cui giocare. Pian piano quella voce si è fatta sempre più rara, sempre più triste, e i silenziosi libri avevano sostituto quelle bambole. Ora avrebbe dato la sua di vita, solo per sentire la voce della sua bambina che non era riuscito a salvare. Avrebbe voluto ne parlasse con lui, di ogni problema, e si morde le mani per tutte le volte che le ha detto di avere di meglio da fare. I colleghi chiedono se ha bisogno d’aiuto, ma lui ha bisogno solo di sua figlia, viva. Gli occhi non trattengono le lacrime, e piange. E lui non piange mai.
È passato un anno, ma quella notte in quella casa non passa mai. La madre ha smesso di curarsi: i suoi capelli sono sempre spettinati, e di vestiti non ne ha più comprati di nuovi, come se non le importasse. Le guance sono sempre più affossate: ha smesso di farsi da mangiare perché ogni volta, a forza dell’abitudine, preparava e apparecchiava anche per la figlia, finendo in lacrime ogni volta, guardando quella sedia vuota, quel piatto sempre pieno. Passa il giorno nella camera della sua bambina, prende in mano tutti gli oggetti per sentirla più vicina, ma nel suo intento non riesce. Piange e non si è ancora riuscita a perdonare, come se fosse l’unica ad averne colpa. La notte non dorme, la passa nel letto singolo di quella stanza, guardando le stelle come faceva la figlia, nella speranza di vederla salire da quella finestra, nella speranza di afferrarle la mano e strapparla dalla morte.
Il padre ha perso il lavoro, non riusciva a concentrarsi più sui suoi doveri, e nessuno capiva più il suo dolore. Tutti danno sempre il peso sbagliato delle cose, pensano che nulla può segnarti per sempre. Passa le giornate a vedere quelle bambole ordinate e ben pettinate, ricordando le manine della bambina che le stringevano. Quanto darebbe per stringere ancora quelle mani, per sorridere di nuovo, e invece ha sempre dato tutto per scontato, finché non lo ha perso per sempre. Poi sfoglia i suoi libri di cui tanto era affezionata, e scoppia a piangere ogni volta che prende in mano quel libro ancora da finire, appoggiato ancora sul comodino, con in mezzo un segnalibro. Interrotto come la vita della figlia. Crede che ci sia ancora il suo odore intrappolato in quelle pagine.
Entrambi non hanno più nessuno per cui vivere, e sentono di aver fallito nel loro compito più grande: hanno lasciato che la loro figlia si distruggesse proprio davanti ai loro occhi, senza nemmeno accorgersene.
A scuola quel banco è ancora vuoto, e così sarà per sempre. Adesso è ricoperto di fiori e bigliettini che mostrano così tanto amore ad una ragazza morta a cui si era mostrato solo tanto odio. Quei biglietti inutili sono solo la prova della loro falsità, durante la sua vita, e durante la sua morte: scrivono “ci manchi” con affianco il cuore, ma sanno benissimo di avere distrutto il suo. Eppure le danno dell’eccentrica per il suo gesto, eppure loro non sanno, ora è sempre al centro dei discorsi di tutti, eppure lei voleva solo sparire.
Noemi è ancora lì, la compagna di quel banco vuoto, hanno cercato di spostarla, ma lei in lacrime aveva gridato che sarebbe sempre stata lì, ad aspettarla. Ed ogni lezione non la segue, s’incanta a leggere e rileggere ciò che lei aveva scritto sul suo banco, ricordando quei momenti, pensandola ancora viva. Ora non c’è più traccia dei suoi capelli biondi, li ha tinti neri come quelli dell’amica, e come erano quelli di lei, sono sempre in disordine e sciolti, per non dover mostrare troppo il volto. Gli occhi sono ricolmi d’odio, ma nel petto ha un vuoto da tanto tempo. Ora si guarda allo specchio e capisce cosa provava l'amica, a guardare e ad odiare quel corpo troppo magro. Non mangia, ed è finita molte volte in ospedale per anoressia, e non c’era nessuno accanto a lei. La collana si è ormai consumata, a furia di sfregarla ogni secondo, prendendone forza, come se davvero ce ne fosse: le ricorda quando si davano la mano, la fossetta che aveva le volte in cui sorrideva. Quanto darebbe per vederglielo ancora, quel sorriso che giorno dopo giorno si era sempre più spento, e lei non aveva fatto nulla, se non contribuire a farla crollare…
Non è riuscita a salvarla, a dimostrarle quanto bene le voleva. E ora ogni notte siede nel tetto di casa sua, e piange, ma non ha ancora trovato la forza per andare da lei, forse perché spera ancora che sia lei a tornare, ad abbracciarla. Dio, non sapete quanto le manchi un abbraccio, un suo abbraccio: la sua pelle calda, ora è diventata fredda, un po’ come la sua anima d’altronde, fredda e nera. Sul braccio destro, il nome dell’amica scritto col suo sangue, con tagli di un coltello che nasconde sotto al letto. Le nocche ormai deboli e consumate a causa di ogni scatto d’ira.
Non ha più amici, lei era l’unica, e non glielo ha mai detto. Ma cosa che più le spezza il cuore, è che mai più lo saprà. Però continua a scriverle, ogni giorno, le racconta la sua vita, o quel che ne rimane, perché viva non si sente più nemmeno lei. E finisce ogni frase chiedendole di tornare, come se fosse una sua scelta, perché niente è più come prima, senza di lei.
Ormai non ha più nessuno con cui condividere, e sente di aver fallito nell’amicizia. Avrebbe dovuto capirla, invece l’aveva lasciata distruggere.
È passato un anno e mezzo, e il padre era distrutto. È appena tornato dal funerale di sua moglie, della madre della figlia che non ha saputo proteggere. Si è lasciata morire, non mangiava, e nemmeno le preghiere disperate del marito bastavano. Voleva andare da lei, e c’è riuscita. Si riabbracceranno, ora la ragazza saprà quanto le voleva bene, e quanto non le aveva mai dimostrato.
Ora la sua tomba è vicino a quella della figlia, sotto un albero di salice piangente.
Ora quell’uomo si è chiuso in casa, in quella casa che sa di disperazione, di morte, di sangue. E non riesce a guardare più nulla senza scoppiare a piangere, senza urlare da dolore. Non esce di casa da giorni, e nessuno ne ha più notizia. Ma forse a nessuno importa davvero, di quella famiglia distrutta. Di quel che resta di quella famiglia.
I fiori su quel banco sono diventati secchi, ormai è acqua passata, ma Noemi non smette di portarci ancora qualche nontiscordardimé, e ripete ogni volta che si rivedranno presto. Ora non ha nemmeno più la forza di piangere, il suo corpo è pieno di cicatrici insanabili e lividi. La pelle che prima tanto curava è diventata una tela dipinta del suo dolore.
Va spesso in quella casa, nella stanza di lei, a vedere i suoi libri, toccare l’inchiostro dei quaderni che scriveva. Ha trovato una lettera nel cassetto del comodino dell’amica, qualche giorno fa. Era indirizzata a lei, ma sembrava lasciata in sospeso, come se non l’avesse mai voluta inviare. L’aveva rallegrata leggere qualcosa di suo, leggere parole nuove, ma piangere le aveva mozzato il respiro e procurato un attacco di panico. O di dolore.
“Cara Noemi,
scrivo a te perché la maggior parte delle volte sei stata tu a capirmi.
Spero che capirai anche questa mia decisione. Da quello che vedo, da quello che mi hanno sempre dimostrato, ho capito che nessuno ha bisogno di me, e io non ho più voglia di sentirmi inutile. Sento che con me intorno porto solo guai, solo negatività.
Tu non meriti qualcuno da tirare su, rischio solo di trascinarti con me a fondo, e questo credimi che non lo vorrei mai. Tu meriti di essere spensierata tutto il giorno, senza doverti preoccupare di me. Meriti di essere circondata da tantissime amiche, senza dover pensare a stare solo con me e i miei complessi di inferiorità. Meriti di ridere, di non pensare a ciò che di male esiste.
Scusa Noemi, ma non riesco più a guardarti mentre mi difendi ogni volta a scuola, non sopporto più il fatto che tu riceva qualche schiaffo che doveva essere indirizzato a me. Ti sei messa in mezzo troppe volte, tra me e il male, e te ne sono grata, ma non posso più vedere farti del male per colpa mia. Per colpa mia, Noemi, perché io porto solo guai, complico la vita delle persone, rovino sempre tutto.
I miei genitori mi dicono sempre come dovrei essere, marcando e rimarcando ogni mio difetto. Sono solo un peso per loro, a quanto dicono. Mi sento inadatta anche a casa mia, faccio di tutto per cercare di renderli felici, ma non basta mai nulla.
Scusa Noemi, ma mamma dice sempre che non faccio nulla di giusto che possa farla contenta, e maledice troppe volte il giorno in cui ha avuto me, e troppe volte mi si spezza il cuore a sentirle dire quella frase. Papà si arrabbia sempre con me, per qualunque cosa, l’ha sempre fatto, ha sempre dato precedenza al lavoro, e ripenso sempre a quella volta che ha detto che preferisce mille volte più stare fuori in compagnia di altre persone, che a casa con la sua famiglia.
Rovino tutto Noemi, non c’è persona che mi è vicina che sia fiera di me, che mi dica che vado bene in qualcosa.
Che mi abbia dato un motivo per restare.
Me l’hanno sempre fatto capire, fin da piccola, che questo mondo non era il posto adatto a me. Ne ho passate tante che nessuno sa, perché non ho mai voluto essere un peso, eppure è ciò che mi dicono tutti. Troppe voci da ascoltare, troppe da sopportare: la testa mi scoppia e la mia mente mi ripete ogni cattiveria che mi è stata detta. Perfino in camera mia, da sola, quelle parole risuonano, e ci sto credendo Noemi, a tutto quello che dicono che tu del tutto non sai. Ci sto credendo, e non mi distruggono solo loro, io li sto aiutando a distruggere me stessa.
Troppe volte messa all’angolo del muro, troppi lividi che non sono mai riuscita a spiegare, mai riuscita a dire la verità. Ma infondo nessuno se ne preoccupava. Troppe volte a sentirmi sbagliata, Noemi, e gli sbagli si cancellano, prima che danneggiano tutto quanto.
Scusa Noemi, ma non riesco più a guardarmi allo specchio senza odiare il mio corpo, senza odiare me stessa. Senza voler rompere quel riflesso, e la persona che vedo riflessa. Tu non lo sai, nessuno lo ha mai saputo, il perché di tutto quanto. Nessuno ha mai sentito tutte le volte che giudicavano il mio fisico, tutte le volte che mi guardavano con disgusto. E credimi, dopo una vita passata ad assimilare ogni loro parola, arriverà a tormentati, e ogni volta che avrai qualcosa dentro al piatto ripenserai a tutto quanto. Nessuno sa, e nemmeno tu Noemi, del perché ho paura di farmi sfiorare, il sussultare ad ogni tocco. Nessuno sa il perché. Non ho mai raccontato di tutte le lotte a scuola, dove io non riuscivo a difendermi. Non ho mai raccontato di quella volta, di quella sera, e non riesco più a guardare il mio corpo senza pensare a quello che mi ha fatto, senza pensare a quelle mani sconosciute che hanno causato traumi indelebili. E quella cicatrice, sai, l’impatto col muro è stato un po’ troppo forte, e ora mi porto dietro per sempre la cicatrice di quello che è accaduto quella sera.
Spero non capirai mai, come è vivere odiandosi, trovarsi difetti ovunque. Spero che tu, Noemi, possa ricevere milioni di abbracci, possa pensare e fare l’amore senza che ti venga la nausea solo al pensiero di poter essere sfiorata.
Scusa, ma avevo voglia di scriverti come sto, come mi sento. Volevo esprimere ciò che a nessuno dicevo. Un piccolo sfogo personale condiviso con te, senza risolvere nulla. Volevo soltanto descrivere a parole il vuoto che ho dentro. Un vuoto che incasina tutto quanto. Forse è per questo che non sono mai riuscita a scriverne, a parlarne, e ora non ho nemmeno reso l’idea. Il vuoto è il nulla: zero parole, zero pensieri, ma quando incasina dentro, niente va come dovrebbe andare.
Scusa se ti lascio sola, Noemi, ma sarai felice, te lo prometto.
Grazie per tutto quanto, sei stata l’unica amica che ho avuto.
Vorrei chiederti di non dimenticarmi, ma forse è meglio così, devi lasciarmi indietro, andare avanti, pensare a te stessa e alla tua vita.
Ti voglio bene, ti ho voluto molto bene, Noemi, non dimenticarlo questo.
Per sempre tua,
Isabelle.”
La data era di agosto, quattro mesi prima del suo suicidio reale: a quel tempo non ha mai avuto il coraggio di farlo. O forse non era quello che davvero voleva. Nel cuore di Noemi si accende una piccola speranza, spenta da due semplici pensieri. Lei stava male, e lei è comunque morta.
Ora Noemi la legge ogni notte, quella lettera, accarezzando la carta e ogni parole scritta dalla sua amica. Si chiede come ha fatto a non capirlo prima. Come ha fatto ad essere così cieca in cose così evidenti. Stava gridando aiuto, e lei era incapace di ascoltare.
Una notte sente i suoi genitori litigare, al piano di sotto, mentre con una mano stringeva quella lettera, e nell’altra il coltello preso poco prima da sotto al letto. Litigavano per lei, e non sopportava quelle urla, quelle parole, ormai ripetute troppo spesso già da troppo tempo.
E forse lei sbagliò, perché lei più di tutti sapeva cosa si provava a perdere qualcuno. A quanto le persone sbagliano a pensare di non valere nulla.
Ma quando le lacrime velano gli occhi, e le urla di disperazione abitano la mente, non si vede più giusto, e non si sente ragione.
Su un foglio a righe scrisse a caratteri grandi “Scusa”, con le lettere un po’ disordinate e una grafia tremolante, scritte col suo sangue. E poi, da ciò che colava da un altro taglio appena fatto, scrisse dietro al foglio il nome dell'amica morta, come se questo le facesse ritrovare, come se fosse una sorta di invito. Da un lato c’è un addio per chi lascia, dall’altro un messaggio per chi andrà a trovare.
Piegò il biglietto, lo baciò, anche se non sa esattamente il perché, e lo tenne stretto in mano. Aprì la finestra anche lei, quella notte. Piove. È dicembre. È tutto così dannatamente uguale. Prova e capisce cosa aveva provato la sua amica. Guardò per l’ultima volta la sua stanza, come per salutarla, e il cielo, e nonostante le lacrime, sorrise.
Ora, dopo due anni da quel primo dicembre, c’è un altro cadavere in strada, e un’altra madre che urla, un altro padre a pezzi.
Ho sempre pensato che gli angeli avessero le ali. A quanto pare le cose non stanno così. Dovremmo iniziare a dire ai bambini di rappresentarli con un’aureola di sangue attorno alla testa, le lacrime agli occhi, il corpo pieno di lividi e i tagli indelebili sui polsi e sul cuore.
Dobbiamo iniziare a pensare agli angeli come anime pure, bianche e solitarie. E disperate.
Isabelle pensava che col suo suicidio avrebbe messo fine per sempre al suo dolore. Ma inconsciamente l’ha trasmesso a tutte le persone che le volevano davvero bene, anche se non glielo hanno mai dimostrato. Pensava di fare un favore a tutti, togliendosi la vita, ma è stata la bomba che ha ferito e ucciso chi più aveva vicino.
Sarebbe bastato poco, per salvare quelle vite distrutte.
Qualche attenzione in più. Qualche messaggio in più. Qualche abbraccio dato più spesso. Qualche bugia in meno. Meno falsità in ciò che facevano.
Prima di agire pensa, prima di parlare pensa. Non puoi sapere come la prenderanno le altre persone.
Ogni tua parola è un coltello, ogni tuo gesto uccide.
E se amate, se vi mancate, ditelo. Perché sarebbe bastato anche un misero e sincero “ti voglio bene” per salvare tutte quelle vite."
- Lucia G. S. ( @guerrieradeimieisogni), "Angels in the Dark"
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Ciao Amore mio. :’)
Ci sarebbero così tante cose che vorrei dirti che non so da dove cominciare. Forse proprio per questo ho voluto scriverti, di persona non riuscirei a focalizzare sulle parole, starei lì in piedi a guardarti e probabilmente l’unica cosa che riuscirei a fare sarebbe prenderti per mano per poi stringerti tra le mie braccia (dando per scontato che sarei anche lì a piangere come una fontana).
Mi manchi.
Io non so se ti manco, lo spero, ma proprio non lo so. Ho un vuoto dentro e intorno perché tu non ci sei accanto a me. Non ci sei a volermi bene, ad essere fiero di me, a litigare con me, a sgridarmi, a giocare con me, a odiarmi quando ti do sui nervi e allo stesso tempo ad amarmi. Manchi nelle mie quotidianità, eppure in queste stesse quotidianità ci sono dettagli di te che non riesco a smettere di notare, è assurdo e non riesco a spiegarmelo, figurati se riesco a spiegarlo a te. O magari riesci a capirlo, tu che per certi tratti mi hai conosciuto più di quanto io sia mai riuscita a conoscermi, più di quanto, forse, riuscirò mai a conoscermi.
Ti raccontavo dei sogni che facevo delle volte, e ti mettevi lì ad analizzarli e provare ad interpretarli, e tra inventiva e logica riuscivi sempre a prenderci, su tutto.
Quando uscivamo e stavamo insieme agli altri, nonostante la timidezza, ero abbastanza vivace ma c’erano dei casi in cui, tra una chiacchiera e l’altra mi stancavo, mi perdevo chissà dove e tu, avvicinandoti a me, prendevi un respiro e mi guardavi e mi chiedevi cosa non andasse. Anche quando ci conoscevamo appena sapevi riconoscere la mia malinconia dietro alle risate.
L’ho sempre detto alle mie amiche e a te anche se forse ormai non lo ricordi più. Tu mi hai sempre attirato verso di te. Dal primo momento in cui ci siamo conosciuti al compleanno di D e M quando ci sentivamo entrambi con altre persone. Non era un‘attrazione romantica, semplicemente mi hai incuriosita da subito ed è stato come se avessi sempre voluto conoscerti e avvicinarmi a te.
D’altra parte invece non ho mai saputo di preciso come mai ti sei improvvisamente interessato a questa piccola palletta che di solito cercava di rendersi anonima. Dall’essere sconosciuti a conoscenti ad amici fino a frequentarci e stare insieme… a volte mi sembra ancora surreale, ma è successo. E’ semplicemente successo, piano piano ma anche tutto d’un colpo per me. Insieme a te e per te ho provato ogni emozione al massimo, io, che tendevo a non avvicinarmi troppo a nessuno.
Non riesco a toglierti dalla mia testa, cerco ogni giorno una distrazione, e neanche a farlo apposta si sono sviluppate ‘situazioni di cui dovermi occupare’. Eppure ho continuato a pensarti, sia nei momenti in cui ho fatto di tutto per uscire e tenermi occupata che durante le settimane chiusa in casa. Ci sono dei momenti in cui mi sembra tutto normale, momenti in cui mi convinco che effettivamente sto andando avanti se pur a piccoli passi. Poi arriva la sera, in certi casi l’alba, mi si stringe il cuore e riesco solo a piangere.
Mi ripeto che non dovrei, che sono adulta e vaccinata, che sono indipendente, insisto a dirmi che ha ragione chi mi dice che sei un coglione, che non mi meriti e viceversa. Però non ci credo davvero alla fine, non riesco a crederci, né alle loro parole né alle mie.
Mi hai sempre ricordato di guardare la realtà perché la nostra non era una relazione stabile e un giorno, prima o poi, sarebbe finita ma finché io fossi stata alle tue ‘regole’ saresti rimasto. A scriverlo fa quasi male pensare che stavamo insieme per questo fatto. Ma tu sei così, vuoi quel che vuoi a modo tuo e io lo sapevo dall’inizio, lo sapevo anche prima di innamorarmi penso, ed ho voluto rimanerti accanto perché lasciarti perdere non è mai stata un’opzione. Ancora non lo so perché. Non mi ti spiego.
I primi giorni non parlavamo di alcun sentimento, non volevi nulla dicevi, se non me. Poi continuando mi hai detto che non volevi una relazione e che non eri uno di quei tipi che si innamorano col tempo, o te lo sentivi da subito o niente. Ma un giorno mi hai chiesto se volessi essere la tua ragazza e un altro giorno ancora, di punto in bianco, mi hai confessato il tuo <<Ti amo>>.
C’erano dei muri tra di noi, che abbiamo costruito negli anni in modi diversi per motivazioni ed esperienze simili. A modo tuo sei riuscito ad essere, o comunque sembrare, sempre un pochino distante da me. Ammetto che durante questi anni insieme ti sei addolcito tanto, hai imparato a controllare meglio la rabbia per certi aspetti, riuscivi a sfogarti più spesso senza allontanarmi, ma probabilmente ti sei tenuto un po' di cose dentro e non ti sei mai voluto aprire del tutto, non solo con me, ma in generale. Tu invece il mio muro l’hai abbattuto, a volte di prepotenza, altre con delicatezza, ma sta di fatto che mi sono lasciata andare completamente con te. Forse in parte è per questo che non averti nella mia vita mi fa così tanto male, potrei quasi dire che mi uccide emotivamente.
Tu dirai tante cose sicuramente, per esempio che in verità me la sono cercata io, o che sto esagerando e ora mi accollo, o che tra non molto starò bene e sarò andata avanti e che troverò sicuramente qualcun altro e chissà cosa ancora… questo non posso saperlo, potrei dire che vorrei non fosse così o sperare che invece lo sia. Al momento non so cosa pensare di tutte queste ipotesi. Vorrei riuscire a stare meglio, vivere almeno un giorno senza pensarti e sentirmi triste perché non ci sei, vorrei voltare pagina come stai facendo tu e finalmente smetterla di chiedermi come stai, dove sei e cosa fai.
Alla fine però, dentro di me, lo so… io continuo a volere te.
Non c’è modo di uscirne. Voglio i tuoi “buongiorno”, “buon appetito”, “buon riposo” e i tuoi “buonanotte”, voglio il tuo odore, la tua pelle sulla mia, le tue mani e le tue labbra. Voglio infastidirti mentre sei in partita, abbracciarti da dietro mentre ti lavi i denti o stai cucinando, voglio vedere un film con te sul letto mentre mi addormento durante la prima metà, sgridarti perché mi tocchi con i piedi e le mani fredde e poi vendicarmi e finire per giocare insieme a te. C’è tanto altro che in realtà vorrei, ma penso che queste piccole cose sono quelle che più mi completavano.
Spero che mi pensi anche tu ogni tanto, anche solo un pochino.
Non so se e quanto hai letto di tutto questo e anche nel caso tu l’abbia letto tutto, non so quanto te ne possa importare tutto sommato.
Volevo solo scriverti.
Volevo dirti che prima del mio amore per te c’è un grande e profondo affetto, per questo ti auguro ogni bene possibile.
Ti auguro un sorriso oggi, te ne auguro almeno uno per ogni giorno.
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“È sempre giusto ribellarsi”: compie 100 anni la donna che per brio e personalità è nata nel 3000. Sia lode al genio di Franca Valeri!
“Lei ce va mai a Ostia? No, perché mica se deve anna’ in quelle capanne, quelle catapecchie, dove ce vanno quelli che se fanno i fatti loro… io vado proprio al centro, dove ce so’ certi stabilimenti, tutti de cementite, ’na cosa favolosa! A parte che so’ bellissimi, poi non c’è un contatto con la sabbia, con le cose sporche… e allora lì pare brutto entra’ senza radio, capito? Se passa pe’ miserabili!”. Questo è uno dei momenti che rendono regina Franca Valeri, un estratto del suo Parigi o cara, celeberrimo film scritto e interpretato da questa geniale signora, che il 31 luglio compie 100 anni, e che imbarazzo fare gli auguri a una leggenda vivente, una donna che doveva nascere nel 3000, da quant’è avanti di testa, brio e personalità. E se c’è un momento in cui la signora Valeri si sente una dea, lo dice lei stessa, “una dea tra vendicatrice e giocosa”, è ogni volta che le recitano le battute di Parigi o cara, esatte, precise in tempi e virgole, perché per noi ammiratori questo suo film è un must che abbiamo imparato a memoria, come una preghiera, un mantra da ripeterci nei momenti tristi della vita: basta mormorarsele dentro, tra sé e sé, e ti si riaccende il cuore.
*
La signora Franca Valeri io ho avuto il privilegio di incontrarla, una volta, qualche anno fa: su al Gianicolo, e se tu non sei di Roma devi sapere che arrivarci a piedi è una scarpinata seria, che io quella domenica ho fatto, e quando sono arrivata anelavo solo due cose: un respiratore e una flebo! Ero morta, ed ecco che mi appare la signora Valeri, che se di anni non ne aveva 100 ne aveva più di 90, e sai che è successo? Era un incontro col pubblico, chiunque tra noi poteva farle una domanda, e invece siamo stati tutti zitti, in venerazione di una tale signora dello spettacolo, ma che dico? Della cultura tutta. L’intelligenza, quando ti si spalanca davanti, ha una potenza che ti impietrisce. Ti giuro, ha parlato solo lei, per 3 ore intere, non si è fermata mai, mattatrice come nessuna, ci ha raccontato così tanto di sé, di sé bambina (“Io sono secondogenita, mia madre voleva un altro maschio da chiamare Cesare, da abbinare a mio fratello maggiore di nome Giulio. Fantasia in famiglia ineccepibile. Io nasco, s’accorgono che non son maschio, si decide: Francesca. Nome antico. Alla fine han messo Franca, più moderno!”); di sé giovane donna che vuole fare l’attrice, ma è bocciata all’esame di ammissione all’Accademia di Silvio d’Amico; di suo padre che considera disonore massimo vedere il cognome Norsa su un cartellone teatrale, e la Valeri che ‘ruba’ Valeri a Paul Valéry (“me lo suggerì una amica poco prima di un provino: dì che ti chiami Valeri, poi lo cambi!”). Di sé e Vittorio Caprioli (“Io e Vittorio siamo stati insieme 11 anni: 10 anni di convivenza, 1 di matrimonio!”), di sé compagna di un uomo più giovane (“Quando si ama qualcuno è più affascinante possederlo coi gesti della tua vita che con quelli del sesso, ché con quelli son capaci tutti, tutte in questo caso. Che una stesse nel suo letto mezz’ora prima di incontrarlo certo non mi faceva piacere, ma se gli avesse lavato i capelli l’avrei uccisa”).
*
Mi ha regalato una lezione di vita impagabile (“è sempre giusto ribellarsi: Hitler, Mussolini, a 18 anni d’accordo, ma l’Isis a 95 è troppo!”), che non cancello: mi serve a vivere. Perché è come dice Delia, la protagonista di Parigi o cara, “’sta generazione, è ’na generazione che non se regge!”, e qui se la prende coi più giovani, molli e vacui. Non sono come lei, non hanno la sua stessa forza e fame di vita, le stesse della signora Valeri che questo personaggio se l’è costruito su misura. Un personaggio, un film che non invecchierà mai, ti sfido a vederlo o a rivederlo e a darmi torto, anche se va detta questa verità: per quanto puoi amare Franca Valeri, se non sei di Roma, di questo film ridi la metà, ed è come se il tuo cuore ti battesse di meno, la tua testa ne rispondesse ma non all’unisono. Lo dico da romana, in questo film vi “è proprio Roma, nun è caso de sbajasse!”. Lo dico a mai bastante grazie a una milanese come Franca Valeri, che Roma l’ha capita appieno (“Sa che m’è preso n’altro vizio? Quando che so’ libera, che c’ho n’amico fidato, ’na cosa così, se n’annamo a magna’ all’EUR! Che poi certi palazzi, come che fossero… che je posso di’? Rudero però tirato ar fine! Insomma, non è moderno vero lì, lì è antico, però è quell’antico moderno che è la bellezza de Roma!”). Per Franca Valeri, far ridere è stata la sua vita, anche se “a me fa ridere solo Woody Allen, oltre me stessa”, e ripete che “le risate migliori, le ho sempre fatte con un libro in mano”. Un foglio scritto è più sincero di un confessionale, e “sono momenti in cui veramente ami la vita, quando quello che hai scritto ti fa ridere”.
*
Scrive Franca Valeri: “Alla mia età, ti svegli perché hai finito di dormire, non perché la sera prima hai incontrato l’uomo della tua vita!”, e lei ha sempre messo davanti ai suoi amori il teatro, perché “non c’è uomo che valga la scena”. Lei ha sempre vantato tra le sue doti la logica ebraica, e infatti: “Che noi si vada in Paradiso è un concetto, è piaciuta l’idea ad esempio a Dante, che ci ha scritto su delle cose sublimi”. Può essere una modesta ragione di vita, ma comunque bisogna decidere che aspetto avere, e la signora Valeri ha presto su di sé abolito i pantaloni, benché una volta, da ragazza, “siccome lì ci andavo sempre con una mia zia, che sarebbe come dire con la figlia del padrone, c’hai presente una alta, magra, anche troppo, anche se io non sono una che la gente la misura con il metro, né di fuori né di dentro, ecco, così… i pantaloni li ho presi bianchi, e pace!”.
Barbara Costa
*I virgolettati sono tratti da ricordi personali di Barbara Costa e da:
Franca Valeri, Bugiarda no, reticente, Einaudi, 2010.
Franca Valeri, La vacanza dei superstiti (e la chiamano vecchiaia), Einaudi, 2016.
*Gli estratti citati da “Parigi o cara” li vedi e li senti qui
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It’s over (pt.2)
K: Alza le iridi verso di lui « perché stai mollando tu?» - « ti fà così schifo lottare per qualcosa?» - «io non ti condanno, ho sempre creduto in te, lo sai, Merlino da quando ci conosciamo non faccio che ripetere che sono sempre dalla tua parte, nonostante i tuoi atteggiamenti..ci sto provando Sebastian, con tutto il cuore,e lo sai...» le iridi si ri-spalancano nuovamente andando a brillare come stelle «no...» andrebbe a dire con la voce rotta e tremante « Seb..» e prima che lui possa uscire andrebbe *probabilmente invano* a cercare di fermarlo, inseguendolo a piedi nudi sul legno «ti prego..»
«Sebastian Montgomery Waleystock non puoi decidere tu per entrambi!»
«Seb... ti prego.. » nel caso lui andasse via comunque finirebbe con Katrine in mezzo al corridoio il legno in ginocchio a piangere di nuovo per lui.
S: « no, non mi fa schifo lottare per qualcosa. » mormora, convinto, stringendo i denti « sono stanco di lottare per le persone. » mormora. E sono le ultime sue parole, perché per quanto questa continui a fargli delle domande, lui non risponde più. L´unica cosa che fa è optare per il suicidio, aprendo la porta e precipitandosi in corridoio, ma nel momento in cui Katrine gli piomba in ginocchio davanti, ferma il suo passo, ritrovandosi a fissarla e sospirare piano. Abbassa lo sguardo. « io ho già deciso per me. » ma spera tanto che lei gli faccia cambiare idea « ho già deciso di andarmene, anche se ti pianti davanti a me. » piccola pausa « ma Seb ti prego cosa? » rimane immobile, a spazientirsi. « piuttosto levati, ti stai rendendo ridicola. » mormora, scostando il capo.
E: « L´unica persona ridicola all´interno di questo edificio sembra essere lei signorino Waleystock» una voce calma, fredda, si fà avanti nel buio della casa. Avanza lentamente Emily finendo col riuscire a farsi intravedere nella penombra della casa,vestita di nero con i capelli raccolti in uno chignon e la bacchetta portata alla mano puntata contro il settimino «aiutala a tirarsi su..» andrebbe a dire puntando le iridi glaciali su di lui «non farmelo ripetere...non mi piace farlo..» lo sguardo è fisso sul ragazzo
K: «nonna ti prego, non importa me la sbrigo da sola davvero..»
E: « Lily taci, pare che qui abbiamo un grande coraggioso grifondoro?! »domanda retoricamente con un mezza risata avvicinandosi ancora « Pensi di essere forte?! » andrebbe nuovamente a domandargli retoricamente « Essere forte andando a lasciarla da sola per delle semplici parole?, sei forte quando te ne vai lasciandola in lacrime? o quando la zittisci perché non dice quello che tu vorresti sentirti dire?! »
K: «Seb me la sbrigo da sola, puoi andartene..»
S: La fissa, e flette le sopracciglia.« non penso che io sia patetico ... » mormora, spostandosi per guardare meglio quella figura « ah, con tutto il rispetto, ovviamente. » ci aggiunge quell´accenno di rispetto, senza mai distogliere lo sguardo e gli occhi azzurri dalla vecchia. E´ lei la bastarda che l´ha ridotta con quelle cicatrici. Non ha paura di lei. « e se non lo facessi? » mormora, flettendo le sopracciglia, ancora, con tono ed espressione insolente « senta, me ne stavo giusto andando, ritorni pure a dormire, come penso sia giusto lo debba fare anche Katrine. » annuisce convinto « magari sì, signora. Ognuno si sente forte a modo suo. » - « e lei? Lei come si sente forte? »
E: «ma a me di quello che pensi tu di te stesso non mi interessa minimamente..» ribatte secca e fredda come sempre, « ovviamente» - «Oh andiamo Lilian..» sbuffa quasi la megera «perchè non vai tu a dormire e lasci che accompagni personalmente il grifondoro fuori dalla casa?!» domanda retorica ma senza abbassare la guardia. Le iridi azzurre si poserebbero nuovamente sul settimino «se..» ripete quasi incredula si avvicina quasi a puntare la bacchetta «ragazzino...» andrebbe a dire lentamente, avvicinando la bacchetta al viso di Sebastian «quanto-vuoi-rischiare?» pausa «d´avvicinarti - alla morte?»
K: «Seb vai via.. » con la spalla andrebbe a dare un colpetto al ragazzo sul petto a spingerlo indietro in segno di lascia passare.. «volevi tanto andartene no?..allora vai..»
«sempre che lo volesse davvero..»
S: incapace di reagire davvero. « ma quale onore sarebbe se mi accompagnasse fuori dalla casa. » un piccolo sorriso sarcastico che si curva sul volto, mentre pian piano cerca di avvicinarsi sempre di più a Katrine, mettendosi in guardia da quella nuova figura. La scruta attentamente. Infatti quando questa gli punta la bacchetta vicino la faccia, la guarda con aria spaventata, ma senza perdere mai quell´aria sbruffona che lo ucciderà. « fino a dove può arrivare, signora. » accenna, flettendo le sopracciglia e mormorando insolente, deglutendo. Cerca di spostare il capo e di allontanarsi dalla bacchetta, indietreggiando verso la stanza di Katrine « sì, me ne dovrei andare ... » mormora, facendo cenno verso la fine del corridoio, indicandolo con gli occhi.
E: «l´onore sarebbe il mio» andrebbe a rispondere sarcastica con un leggero finto inchino «Non ti piacerebbe saperlo...fidati» - «andartene? così presto?» domanda con aria sorpresa. «perché mai?» avanzerebbe cercando di farlo indietreggiare ma senza perderlo di vista, senza abbassare la guardia «perché sei qui?» andrebbe a domandare raggiunta nuovamente la camera di Katrine, gli occhi freddi e vuoti sono fissi sul settimino, non vuole mollare la presa, non vuole lasciarlo proprio andare «Lei ti aveva detto che non voleva più vederti...» parole lente , cercando di farsi capire «Ti ha scritto di sparire...ti ha scritto cose cattive.»
«nonna adesso smettila!» - «Diamine Waleystock vattene!»
E: «avevi paura che lei se ne andasse davvero?!» domanda retorica «infondo chi se non mia nipote sarebbe così stupida da lottare per te..» la bacchetta farebbe su e giù a indicare l´intero sestino, scuote la testa lentamente la vecchia «le abbiamo detto di lasciarti perdere..ma sei tornato.. perché?!»
S: Lascia trascinarsi nella stanza di Katrine, indietreggiando sempre di più, adesso con più paura e spavento di quanti ne avesse prima, soprattutto perché la nonna comincia a parlare, comincia a dirgli quelle cose cattive.« sono venuto perché forse a differenza sua ci tengo davvero a sua nipote. » mormora, guardandola con aria di sfida.Non ha paura di quella donna. Non ha paura di ciò che potrebbe fargli. Non deve dimostrarlo a Katrine. La sua maschera vive ancora, e a quanto pare è decisa a restare lì, a fingere per lui. « sono davvero affari suoi, signora? » domanda, con quel tono insolente. Suicida. « ma evidentemente dovevo chiederle scusa per come mi sono comportato, solo che poi non ce l´ho fatta. »
E: La nonna avanza decisa, e si lo ammettiamo pure che si sta divertendo,anche se non lo dà a vedere,«ah!» altra finta risata alle prime parole di Sebastian, quasi a non volerci credere.«Ammutolirla?,respingerla..non difenderla..lasciarla in un vicolo per uno stupido capriccio..non ti fanno da spalla a farmi credere che tu possa tenere a mia nipote..» pausa «più di me..» - «Tutto ciò che riguarda Lillian sono affari miei!» andrebbe quasi ad urlarlo tornando a puntare la bacchetta sul petto del ragazzo «chiederle scusa?!» andrebbe a sottolineare incredula «Ragazzino chi vuoi prendere in giro? eh?! dovresti chiederle scusa perché le fai perdere tempo col tuo carattere, dovresti chiederle scusa per essere la fecc..» si ferma.
K: Stringe la punta della bacchetta della nonna in una mano e le iridi smeraldine sono fisse su di lei
«ti prego..»
E: «Vedi?» Si rivolge nuovamente a Sebastian «Tu sei qui perché avevi paura che lei se ne andasse davvero..devi essere sicuro di essere tu il più forte, devi convincerti che sei più forte di lei tanto da essere tu a lasciarla..» si ferma «Se lei vuole chiudere sai che sarà per sempre...ma se chiudi tu, sai che lei tornerà.. e tu vuoi che torni...» la bacchetta con un gesto si libera dalla presa di Katrine «Devi deciderti ragazzino.. e smettila di comportarti da uomo, perché non lo sei, e smettila di fare il furbi con me, perché non vinceresti..non giocare con me.. e non giocare con lei..»
S: « io una feccia? » pare siano le uniche cose sulle quali si concentra. Che sente, che riescano ad attirare la sua attenzione e gli diano la forza di risponderle. « è piuttosto lei una feccia, signora. » mormora, mantenendo quel tono suicida di sfida. « è una feccia perché se la sta prendendo, lei, anziana e adulta da un bel po´ ormai, con uno studente che ha appena finito il sesto anno ad Hogwarts ed è appena maggiorenne. » sicuro di sé, sembrerebbe. E´ solo la maschera. « è una feccia perché maltrattava sua nipote » ed ora indica Katrine « che neanche si poteva difendere. Sinceramente non so se definirla feccia o vigliacca. Magari entrambe. » - « e può continuare ad armeggiare quella bacchetta quanto vuole, non mi fa paura. » un piccolo sorriso falso che si curva per metà sulle labbra. « può continuarmi a dire quello che vuole, signora, che sono un perdente o no, ma si guardi intorno » - « lei mi vuole bene » ora fissa la Warren « lei non vuole che me ne vada. » le parole scivolano lente dalle sue labbra. « ma lei è sicura che sua nipote provi le stesse cose per lei? E´ sicura di sapere i fatti di Katrine non perché glieli dice lei, ma perché ci scivola lei dentro senza farsi i fatti suoi? Io non so cosa le ha detto Katrine di me, ma ne uscirò a testa alta stasera, con Katrine o no. »
E: « ah, adesso sei un povero ragazzino indifeso?, adesso ti faccio così paura da ricorrere all´essere un povero studente?!» domanda retoricamente «quando eri tu il più grande e il più forte tra i due non eri uno studente appena uscito dal sesto anno che se la prendeva con una ragazza più piccola, l´altro giorno non eri un ex-sestino che se la prendeva con una ragazzina agonizzante per terra spaccata in più punti?!» domanda ancora retoricamente «Non venire a fare la vittima con me Waleystock perché non ci credo, e non mi interessa se non ti fà paura la bacchetta, perché dovresti stare più attento alla persona che la impugna, e no, non è una minaccia, io non minaccio...» lo sguardo freddo e glaciale è fisso sul settimino, «Ascoltami bene ragazzino» si avvicina di un passo la punta della bacchetta và a toccare il collo del settimino "Exùlcero" andrebbe a sussurrare per poi far comparire un ghigno su quel volto « non provare mai più a parlare di me e di mia nipote...» * nel caso tutto andasse bene, la parte ferita andrebbe a causare al collo del ragazzo delle irritazioni simili ad ustioni, in caso contrario, l´incanto servirebbe solo come avvertimento ma la frase successiva rimarrebbe immutata* «Quello che ho fatto o non ho fatto riguarda me e Lillian, quello che lei mi racconta o non mi racconta sono cose nostre, e non permetto a nessuno di entrare in merito ai fatti nostri, se lei è stata così stupida da dare a te il potere di sapere un fatto del genere allora ritieniti fortunato e maledetto allo stesso tempo..» - «Lillian è stupida..lei vuole bene a tutti, pensa e vede del buono in tutti; e tu potrai uscirne di qua a testa alta con lei, ma credimi che se la tratterai meno di quello che si spetta il tuo corpo potrebbe non tornare a casa tutto intero; se decidi che Lily per te è troppo e pensi di non poter tenere a lei e di proteggerla come merita allora vattene di qui!, vattene e lasciala libera da te...»
S: « non sto dicendo che sono un povero ragazzino indifeso » esclama, stringendo i denti e guardando male la nonna della ragazza « sto solo dicendo che la differenza tra i miei anni ed i suoi è molta e lei ha esperienza più di me! » continua, cercando di aggrapparsi a tutto per evitare che la donna gli faccia male. Si sbaglia perché la donna a quanto pare non ci pensa due volte prima di incantarlo. Digrigna i denti, poi la mano va a posarsi d´istinto su quelle irritazioni. « io parlo di chi mi pare e piace e non deve dire lei di smetterla. » continua a tenere la mano sulla pseudo ferita. Poi per un attimo si volta su Katrine. « e poi non capisco cosa c´entri lei con me e sua nipote. Dovrebbe difendersi da sola, non di certo con la sua presenza. » La ferita gli brucia; quasi non la sopporta. Digrigna i denti ed abbassa il capo, perdendo il controllo, quasi. « non mi spaventa mica. » sussurra, faccia tosta. « lei non può decidere cosa devo fare io con sua nipote e come devo comportarmi, neanche mi conosce. » Poi va alla ricerca dello sguardo della povera Katrine. « tu! » esclama, allontanando solo ora la mano dalla ferita ed indicandola « tu! Guardami negli occhi e dimmi che me ne devo andare via e non vuoi più vedermi. »
K: «non posso dirtelo..» le lacrime scendono piano,mentre la mano destra si avvicina lentamente alla ferita,come fece lui quella sera con la sua cicatrice, a toccarla piano, sfiorandola senza fargli male «ti voglio qui, con me...» pausa «ma smettila di farti del male..» torniamo alla supplica «ti prego...basta..»
S: La sua maschera crollata e l´espressione distrutta.Scosta il capo. « no, tu lo dici per lei. » indietreggia; la voce bassa. Respira affannosamente. « lo dici solo perché ti ha detto lei di dirlo! » è una lagna anche lui, ora, come vuole la casata. « dimostrami che è vero ciò che dici. »
K: «Io dico quello che sento e quello che voglio da parecchio tempo ormai» - «Ti voglio vicino perché mi sono affezionata a te, e diavolo se sto cercando di fartelo capire da tempo ormai!» pausa.singhiozzo.« Lei mi conosce e sa quello che voglio, e quello che sento più di chiunque altro, te lo dimostro Seb, ma devi credermi devi darmi la possibilità di potertelo dimostrare, senza fuggire ogni volta, senza schiantarmi o lasciarmi agonizzante, devi fidarti di me...» - «Ho bisogno di te»
[...]
S: Si aggrappa alla ragazza e la stringe a sé. « non posso dimostrarmi debole, Katrine. » sono le prime parole dopo una pausa di parecchi minuti, spezzate dalla sensazione di pianto e l´amaro in gola « non posso crollare, non più. Per tanto tempo sono rimasto debole, ma non sono più disposto a farlo. » parole che proverebbe a sussurrare a bassa voce, vicino alle sue labbra. « sono stanco. Non voglio più dipendere dalla gente. » - « io dipendo dalla gente. Non sopporto che se ne vadano, non sopporto di rimanere da solo, di perdere tutti. Dipendo da te. Per questo ho bisogno di andarmene per primo, così il mio orgoglio non mi costringerà a tornare indietro, a supplicarti di fidarti di me. » - « sono debole. Debole debole. » si stringe a Katrine ancora di più.« po-posso dormire con te stanotte? » domanda, in un sussurro « non ce la faccio a smaterializzarmi e non posso farmi vedere da Matthew in queste condizioni. »
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