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#la fioritura del pensiero
personal-reporter · 1 year
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I fiori perfetti per un giardino autunnale
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Con l’autunno arrivano una serie di fiori meravigliosi e colorati che crescono sui balconi e giardini, perfetti per riempire di colori la stagione che porta alle fredde giornate invernali. Tra di loro ci cono le viole del pensiero, che i non smettono di fiorire durante l’autunno e l’inverno, grazie alle molte varietà con fiori di ogni dimensione e colorazione, incredibilmente affascinanti e capaci di abbinarsi molto bene tra loro e con altre piante, facili da coltivare in vasi di piccole dimensioni. Molto bella è anche la calendula,  fiorisce da giugno a novembre ed è una pianta resistente, di cui esistono vari ibridi con fiori più grandi e colori più vari rispetto all’originale, che ha bisogno di un posto soleggiato o non troppo all’ombra, cresce tranquillamente anche nel giardino ed è utile per attrarre molti insetti impollinatori, i suoi petali sono commestibili ed è usata in molte preparazioni officinali. L’autunno è anche il periodo perfetto per piantare le fresie e altre piante simili, che si possono far crescere nei vasi anche in casa e i fiori colorati e profumati delle fresie sbocciano dopo alcune settimane ma anche nei mesi successivi, nei vasi in cui crescono e  possono essere recisi per fare dei bei mazzi di fiori per decorare la tavola. Davvero suggestivi sono i ciclamini, piccole piante fiorite, molto belle e colorate, con bellissimi fiori dall’aspetto fine e delicato e anche nel periodo di fioritura non tollerano troppo il sole diretto, che è meglio evitare. Le ortensie sono un simbolo dell’autunno, da acquistare come piante fiorite in vaso già pronte per decorare gli spazi della casa e i fiori sono disposti in grandi grappoli che possono essere blu, rosa e bianco, sopportano anche le temperature invernali e possono dare anche fiori più grandi e più belli. Ci sono anche le numerose varietà di cavoli ornamentali, noti anche come cavoli da giardino, che offrono grandi fiori per l’autunno e l’inverno, dal fogliame riccio e colori sorprendenti, si possono piantare tra ottobre e novembre, sono resistenti al freddo invernale, richiedono un’esposizione soleggiata e un’irrigazione regolare. Infine l’ibisco è un fiore originale per decorare giardini e terrazze, che fiorisce nel periodo autunnale, dai fiori allegri e vivaci che inizia a fiorire alla fine dell’estate e per tutto l’autunno e i colori possono essere rosso, arancino, giallo, rosa, viola e tante altre tonalità, con i  cinque petali che decorano degli enormi stami. Read the full article
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scienza-magia · 1 year
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La magia nel pensiero di Marsilio Ficino
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Come ogni altro aspetto della cultura anche la magia conosce una sorte di esplosione nel periodo rinascimentale. In tale periodo iniziando dall’ Italia una generale ansia di rinnovamento percorre l’Europa. L’io vuole sempre più decisamente farsi tutt’uno con un mondo in cui sente di dover ormai condividere sino in fondo le sorti. Nel Rinascimento vennero rese disponibili a tutti opere di un passato mai davvero conosciuto. Per fare un esempio Marsilio Ficino traduce in latino varie opere tra cui i 14 trattati del “Corpus hermeticum” attribuiti a Ermete Trismegisto che venne ritenuto un sapiente dell’antico Egitto. Dobbiamo mettere in evidenza che nel Rinascimento anche l’universo magico subì l’influsso dell’atmosfera di quel periodo storico e divenne la fucina di una straordinaria fioritura di idee opere e indicazioni di altissimo valore teoretico. Pertanto il mago rinascimentale offrì alla cultura europea già in ebollizione uno slancio nuovo e sorprendente influenzando una straordinaria rinascita dell’arte della filosofia e della scienza. Pertanto nel Rinascimento la magia fu sempre sul punto di risolversi in arte in scienza in psicoterapia e in religione. Dobbiamo dire che nel Rinascimento teoria e pratica sono sempre più rigorosamente intese come un unico plesso sapienziale. Per tale ragione nel Rinascimento risulta assai difficile separare chiaramente alchimia, magia, astrologia, medicina e filosofia. Nel periodo rinascimentale era considerato vero sapiente non solo chi sapeva ma anche chi agiva coniugando pratica e teoria. In tale periodo storico la natura era concepita come un essere animato.
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Pertanto per intervenire efficacemente sul mondo bisognava sapersi rapportare a un’anima mundi che reagiva alle azioni degli uomini secondo principi di vita e dinamicità suoi propri. Per il mago rinascimentale tutto parlava di Dio. Infatti mondo uomo e Dio costituivano un unicum caratterizzato da relazioni manifeste e relazioni nascoste che il mago sapiente doveva conoscere perfettamente. Nella sua anima l’uomo secondo il sapiente rinascimentale rifletteva il mondo, infatti l’uomo era considerato un microcosmo mentre l’universo un macrocosmo. Di conseguenza tutto era connesso con tutto cosicché ogni cosa era considerata la nota di una sinfonia cosmica da decifrare ed interpretare. In definitiva il mago rinascimentale attraverso immagini definite da una simbologia che proveniva da diverse tradizioni il mago evocava gli spiriti che animavano le realtà dell’universo caratterizzato da una simpatia cosmica. Come tutti sanno l’influsso platonico e neoplatonico dominava anche la magia rinascimentale. Dopo tale introduzione prenderemo in considerazione il pensiero intorno alla magia di Marsilio Ficino. Egli si dedicò a tradurre tutto Platone e i platonici e avendo tradotto anche Ermete Trismegisto sviluppò quella teologia platonica che giocò un ruolo fondamentale nel suo pensiero sulla magia Nel pensiero di Marsilio Ficino per farci illuminare dalla luce divina era necessario innanzitutto liberarsi dagli inganni dei sensi. In generale possiamo dire che Ficino difese le pratiche magiche ma a determinate condizioni. Per esempio egli sostenne che i demoni presenti nelle statue (secondo una tradizione magica che si può far risalire fino all’antico Egitto) dovevano essere adoperati soltanto come mezzi dal momento che il loro uso sarebbe diventato illegittimo se venivano utilizzati come dei. Ficino era molto attento nel difendere il sapere magico anche se era turbato da molte perplessità riguardanti soprattutto l’uso dei talismani. L’autore rinascimentale per essere legittimato nelle proprie teorie citava spesso Tommaso d’Aquino. Marsilio Ficino pure con tutte le sue perplessità credeva nell’esistenza dei demoni e nelle loro capacità di influire sullo spirito e sul corpo degli uomini. Non  esiste nessun dubbio che tale autore rinascimentale riconosceva innegabilmente una funzione positiva alla magia almeno in una sua opera ovvero il “De Vita”. In tale opera Ficino richiama alla memoria i Maggi che portarono doni a Gesù Cristo. Nell’opera di Marsilio Ficino è senz’altro presente una “contaminatio “di astrologia e religione Cristianesimo e Paganesimo. L’autore rinascimentale nel “De Vita” non dimenticò assolutamente gli aspetti più pratici della magia. Tale autore cercò in ogni modo di trovare una mediazione tra dottrine diverse e spesso antitetiche. La stessa volontà di mediare tra dottrine diverse e spesso antitetiche la si ritrova nel ruolo che Ficino attribuisce alle immagini. Esse giocavano un ruolo rilevante nella tradizione magica dell’antichità ruolo ripreso dal neoplatonismo dei primi secoli dell’era cristiana e dal magismo arabo medievale. Continuando a prendere in esame sempre il De Vita di Marsilio Ficino dobbiamo mettere in evidenza che egli riesce a cogliere uno degli aspetti più importanti della dimensione magica la cui legittimità è stata solo da poco tempo riconosciuta dalla scienza medica ufficiale sotto la spinta di una prospettiva a indirizzo omeopatico. In definitiva l’umanista italiano comprende che in questo complesso gioco di influssi e relazioni tra astri immagini entità soprannaturali e vita dell’essere umano un ruolo non indifferente deve essere giocato dal potere della immaginazione. Appare evidente che ancora un passo e Ficino si sarebbe trovato in pieno nell’ambito delle teorie moderne sulle malattie psico somatiche. In ogni caso la cosa non deve sorprendere poiché nel pensiero dell’umanista italiano mente e corpo non sono due realtà distinte e autonome ma sono strettamente collegate. Inoltre per l’autore in questione l’efficacia dell’azione magica viene inscritta nel contesto di una relazione ben più complessa di quella individuata fino ad allora. Infatti nella realizzazione dei prodigi di natura magica a svolgere un ruolo centrale non sono soltanto l’azione del mago e la configurazione degli elementi magici. Per Ficino è importante anche la disposizione di chi subisce il rito magico. Inoltre tra il mondo (ordinato da Dio) e l’agire del mago non poteva non esistere secondo Ficino un terzo elemento ovvero la disposizione di chi è oggetto dell’azione magica. Per dirla in altro modo nell’azione magica quello che appare davvero sorprendente a Ficino è l’impossibilità di ricondurla ad un rapporto univoco. In pratica possiamo dire che quella teorizzata da Ficino è per così dire una magia particolarmente consapevole ed attiva. Egli coglie e articola una molteplicità di elementi presenti nella dimensione magica che vibrano in seguito all’esistenza di una simpatia universale. In effetti Ficino scorge ed individua qualità occulte nelle cose qualità che rinviano all’azione e all’influenza dei pianeti. Ma secondo l’umanista italiano perché si abbia un fenomeno magico non basta disporsi ad un uso meccanico di tali qualità occulte delle cose nonché dei loro rapporti con i pianeti. Per dirla in maniera sintetica la magia teorizzata da Ficino è nel senso più esatto della parola una magia naturale poiché si basa sul presupposto che siano attivate nei riti magici senza nessuna esclusione tutte le forze della natura di volta in volta messe in gioco. Concludiamo tale articolo ribadendo che agire ed essere agiti, azione e passione, non sono nettamente distinguibili nella magia teorizzata da Marsilio Ficino. Prof. Giovanni Pellegrino Read the full article
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ilcercatoredicolori · 5 years
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[ il corpo ha posto i confini della sua solitudine ]
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francescaaghiani · 4 years
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𝑳𝒂 𝒑𝒂𝒄𝒆 𝒅𝒆𝒊 𝒔𝒆𝒏𝒔𝒊.
Ognuno di noi ha un posto
dove non si sente fuori luogo,
dove non esiste cosa giusta e sbagliata.
Ognuno di noi ha un suo luogo
che sia una persona
o camera nostra
poco importa,
la cosa che conta
è sentirsi protetti,
al sicuro
dalle mille paranoie
che si creano al sorgere del sole,
dalle persone
che intralciano i sogni
e non ti portano alla felicità.
Un luogo dove il conforto e i sentimenti
si prendono per mano.
Prendi la mia
e vieni con me,
ti porto nel mio posto
che faremo diventare nostro.
Il fruscio del vento
accarezza i miei capelli
con una dolcezza tale
che sembra quasi ci sia tu
a scostarli dal mio viso
con la tua possente mano,
che ho sempre ammirato.
Il turbolento sciabordio delle onde
contro gli scogli rocciosi della costa
culla il cuor mio
come la dolce ninna nanna
che ogni sera
mi cantava la mamma.
Le barche attraccare all’orizzonte
fanno svegliare in me
la piccola viaggiatrice
che un tempo sarei voluta diventare,
risvegliano in me la speranza
di un mondo migliore
al di fuori questa terra
al di fuori questo mare.
Risvegliano in me
la voglia di nuotare
con tutte le mie forze
in una direzione
che mi porterà
indubbiamente da te.
Il ricordo dei tuoi occhi
era il solo antidoto
in grado di placare i brutti pensieri
nelle notti tormentate,
seguiti dai sobbalzi
che faceva il cuor mio
al sol pensiero
di vederti dopo tempo,
al sol pensiero
di tornare qui
a guardare il cielo
dipingersi delle mille sfumature rossastre
di un tulipano in fioritura.
A sentire la brezza marina
accarezzare le guance color vino
e il naso mio ormai ghiaccio,
ad ascoltare le parole del mare
che non sa stare mai in silenzio,
e noi due insieme
in mezzo a questo paradiso
siamo solo due angeli
in cerca di qualche sorriso.
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klimt7 · 5 years
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Woodstock e dintorni
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Di Storia, di sogni, di riflessioni, di anticorpi e di Futuro
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Cinquanta anni fa, Woodstock fece intravedere a milioni di ragazzi la speranza concreta che il mondo potesse essere un luogo migliore, più accogliente. Un mondo dove la musica fosse gratis e la cultura un patrimonio di tutti. Un mondo dove pace, musica, libertà potevano essere l'ossigeno di un nuovo pianeta da costruire su valori condivisi. Il mondo come "casa" delle persone e dei loro sogni.
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Ora, dopo cinquanta anni, ci troviamo invece con una certezza: che il mondo può essere o diventare un inferno.
Un luogo inospitale quanto un'atmosfera marziana, quando è in mano agli "haters di professione", ai Salvini del momento, al buzzurro che fa spot h/24 alla svolta autoritaria del nostro Paese.
Un mondo che somigli a questi pseudo-leader, diventa un luogo infernale, dove l'odio finisce per distorcere e abolire ogni altra dimensione umana.
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Oggi quale aggregazione, quale senso di comunità, diventa possibile nell'Italia del livore e dell'egoismo sbandierato come unico modello possibile e come programma politico?
Siamo davvero destinati a questa "miseria" senza fine? A questa atmosfera senza ossigeno?
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Guardo un documentario su Woodstock, ascolto quella fioritura di artisti che avrebbero poi riempito i decenni successivi e un pensiero mi inchioda.
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Solo attraverso Storia, solo avendo conoscenza degli errori che diedero vita alle dittature del secolo scorso potremo far sopravvivere gli anticorpi che ci salvano dalla tentazione dell'uomo solo al potere e dall'intolleranza del Fascismo.
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Ma adesso...
musicaaaa !!!
Alla faccia dei professionisti dell'odio
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poetadellanima · 2 years
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Il cosmo dell’amore
C’è stato un tempo dove ogni mio pensiero era poesia , c’era arte in quel sentire oltre ogni forma del cosmo . C’è stato un tempo dove ogni mio respiro era lento e profondo , ogni mia azione era la fioritura della vita che sbocciava e poi nulla resta fermo , nulla si dissolve ma può sopire come un lento inverno dentro l’anima . C’è stato un tempo dove ho visto una stella , era piccola ma luminosa…
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sophiaepsiche · 2 years
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Il conosci te stesso nel misticismo
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‘La conoscenza di sé è il fondamento della conoscenza di Dio’ (San Giovanni della Croce)
Il ‘conosci te stesso’ spesso è associato più alla filosofia che alla religione. Sembra una via libera da dogmi, laica e unicamente razionale verso la verità. Ci ricorda, per forza di cose, gli antichi filosofi greci, l’advaita vedanta, il buddhismo, i maestri della filosofia spirituale. In realtà invece è presente in ogni insegnamento che dirige verso la scoperta personale della verità o di Dio. Quando c’è di mezzo la conoscenza diretta, l’assaggio, l’esperienza e quindi anche la mistica, c’è di mezzo il conosci te stesso, è inevitabile. Infatti lo ritroverete puntualmente negli scritti dei grandi mistici.  
Ci tengo, come sempre, a sottolineare che il conosci te stesso è talmente basilare che basta da sé per arrivare alla meta. È come fosse l’essenza di ogni via, privato dai gusti, dai sapori e dai condizionamenti vari. È la via scarna e nuda, è come il fusto dell’albero indispensabile a qualsivoglia genere di fronda, fioritura e frutti si possa immaginare. Il conosci te stesso senza religione o filosofia è comunque, conoscenza diretta, scoperta personale e trasformativa. Ciononostante, nei secoli, si sono andate formando innumerevoli varietà spontanee di questo albero, poiché ogni uomo è una via verso la verità. Questo ha portato a delle differenze tra i linguaggi usati che possono, in alcuni casi, e se interpretati correttamente, esserci più d’aiuto che d’ostacolo. 
Vediamo alcune differenze tra il linguaggio filosofico e quello mistico, sul conosci te stesso, con lo scopo di fare chiarezza ma soprattutto di prendere spunti utili per il nostro viaggio interiore. 
Come sapete, quando si comincia a conoscere se stessi, solitamente si parte dalla conoscenza della mente, perché per natura siamo identificati con la mente. Questo processo è, nella sua essenza, la vera meditazione, alla quale sono state aggiunte varianti infinite e distinte nelle varie tradizioni. Nel processo scarno, se si persevera seriamente ad osservare senza partecipazione la propria mente, si cominciano a capire due cose fondamentali. La prima è che c’è un ‘potere superiore’ che può prendere le redini della mente, può illuminarla con qualche comprensione, può pacificarla, può trasformarla e risolvere le cose molto meglio di qualsiasi ego sia mai esistito e di qualsiasi processo mentale si sia mai fatto. Ovviamente nel cuore di un religioso, tale potere è già chiamato Dio e questa dualità, voluta e desiderata, resterà fino alla fine. Solo dopo l’’unione con Dio’, il mistico parlerà di ‘unità’. Conseguentemente, nella mistica, il conosci te stesso è sempre espresso per descrivere la conoscenza della mente, ossia dei propri limiti, delle proprie impurità, della propria miseria. Ed è proprio la conoscenza di sé e della propria misera che porta all’umiltà e alla resa a Dio, fattori indispensabili per avvicinarsi all’unione. Tale miseria è la seconda cosa che, parallelamente, si capisce nel conoscersi, cioè si palesa l’incapacità del pensiero; non solo dei suoi limiti ma di tutti i numerosi danni inutili che provoca. Senza questa umiliazione dell’ego non si può arrivare in alto. Nelle parole vigorose di Santa Teresa D’Avila: “Pretendere di entrare nel cielo senza prima entrare in noi stessi per meglio conoscerci e considerare la nostra miseria, per vedere il molto che dobbiamo a Dio e il bisogno che abbiamo della sua misericordia, è pura follia!” 
Mi soffermo un attimo per evidenziare quanto, nel linguaggio dei santi, il processo di conoscersi è più simile ad un’esame di coscienza che ad una pratica meditativa. Questo ci aiuta a capire in che cosa consta, di fatto, la meditazione che, purtroppo, nell’immaginario popolare moderno, è diventata più un insieme di tecniche e metodi che possono essere imparati se non, nei casi peggiori, venduti e comprati. La meditazione è, nella sua essenza, la conoscenza della propria interiorità senza intermediari e la capacità di restare con le proprie emozioni ed è un’esame di coscienza nella sua forma più compiuta. Questo lo si ritrova nelle descrizioni della meditazione date dal Buddha, da J.Krishnamurti e da molti altri maestri genuini ma come al solito, nel tempo, l’uomo tende a dare più importanza alle foglie e ai frutti e si dimentica dell’indispensabile arbusto. Se il nostro intento è serio, saremo riportati all’essenziale. Da qualsiasi foglia partiamo, c’è un ramo che ci riporterà verso il fusto. 
 All’inizio, e per un bel po’, meditare sarà anche sinonimo di ‘ponderare’ gli insegnamenti, di ‘porsi quesiti’, ‘ragionare’, mettere in discussione con spirito umile ma assetato di verità. Ci sarà quindi anche una partecipazione essenziale della ragione e dell’intelletto nella fase iniziale. Solo più avanti, dopo che sarà nata l’umiltà genuina, dovuta proprio all’umiliazione del proprio ego e della mente, saremo elevati allo stato di ‘contemplazione’, nome che danno i mistici al ‘samadhi’, il silenzio a cui aspirano tutte le persone spirituali.  Nel silenzio, si conosce e si dà più modo d’agire a quel ‘potere superiore’ che avevamo già scoperto.
L’umiltà che predispone alla resa ha l’effetto pratico di far nascere il famoso ‘non attaccamento’ o ‘distacco’ o ‘vairagya’. Avendo testimoniato l’insufficienza della mente, l’ego (il ‘pensatore’) abbassa finalmente la cresta. Se si ha questo distacco, restare nel silenzio è finalmente possibile.
Un risultato parallelo è che si arriva alla ‘rinuncia’, che non è una forzatura o un atto volontario, ma un abbandono di cose che non hanno più attrattiva per noi, che diventano, come dire, insipide. La ‘rinuncia’ è una naturale conseguenza del non attaccamento, dovuto al discernimento e all’umiltà favorite dalla conoscenza di sé. 
Senza il non attaccamento non esiste reale rinuncia né mai la meditazione porterà al silenzio, qualsiasi sia la tecnica usata e l’ammontare dei soldi spesi per i corsi. Nulla può sostituire l’autentica conoscenza di sé. 
Quando, grazie al distacco, si arriva al silenzio si può abbandonare gradualmente la meditazione. Per molti di noi deve essere un processo graduale. Il ragionare, porsi quesiti e osservare i pensieri (l’esame dei contenuti della coscienza), se interpretati come pratica ultima, possono ostacolare l’entrata al silenzio. Un consiglio utile è che se il silenzio arriva non dobbiamo mai preoccuparci di ‘mantenere’ la pratica precedente. Così com’è buono non spingere verso un silenzio innaturale, all’inizio, che può risultare in un’inutile deviazione verso l’auto-ipnosi. Ognuno deve capire dov’è e cominciare dov’è. Queste mappe sono date per il nostro bene e la nostra autonomia. Uno dei segni più chiari che si tratti di samadhi è che avviene inizialmente in via passiva, dopo aver perseverato nella conoscenza di sé. Con la pratica, si scopre poi facilmente come facilitarlo in via attiva. 
L’atma vichara aiuta tantissimo chi ha proceduto per la via scarna e per le vie filosofiche. Nel misticismo, troviamo qualcosa di molto simile, San Giovanni della Croce parla di ‘un’attenzione amorosa a Dio’, spesso aggiungendo ‘in generale’, cioè non rivolgendo l’attenzione a nessun oggetto, a nulla di specifico, nulla che cada sotto ai sensi, sia materiali che spirituali. Con l’entrata nello stato del silenzio, oltre alle pratiche, cambieranno anche i segni e i beni spirituali precedenti che si vanno perdendo per restare nel vuoto dello spirito, nella vacuità e nel silenzio, che è “la lingua di Dio” (Rumi). Questo passaggio può essere più penoso per i mistici che non per i filosofi; rinunciare all’infinita dolcezza dell’amore e dei favori divini è ben più arduo che rinunciare alle cose del mondo e alla miseria della nostra mente. Se siete mistici, fate vostra la guida de ‘La notte oscura’. 
Ora, l’unica filosofia, in cui il tipo di lessico da noi usato finora è invertito, è l’advaita vedanta. Tutti i maestri della ‘non dualità’, incluso il mio amato Bhagavan Ramana, libero da ogni lignaggio, definiranno la conoscenza di sé come il restare o l’entrare nel silenzio, che è il proprio vero sé (che non è altri che Dio), il vero padrone che svela l’usurpatore: l’ego. Per il mondo non duale, allora, conoscere la mente è conoscere chi ‘non siamo’. Se vogliamo essere tecnici questa è la verità. Ma non sempre la verità assoluta aiuta l’aspirante, soprattutto quando è troppo presto e di questa unità non s’intravede neanche una comprensione razionale né se ne può trarre un concetto accettabile. In tal caso, sfruttare l’amore duale e procedere per amore di Dio o per amore della Verità, aiuta tantissimo ad essere umili ed è questo che conta. Sia chiaro però che dell’unità hanno parlato moltissimi grandi mistici e sufi: Sant’Agostino, Santa Teresa, San Giovanni della Croce, Meister Eckhart, San Francesco, Ibn Arabi, Kabir, Rumi e chissà quanti che, per mia ignoranza, non posso citare. 
 ‘Non vi affannate a cercare Dio fuori di voi, perché egli è dentro di voi, è con voi’ (San Pio). 
Il raccoglimento interiore e il conoscersi diventa quindi l’unico monotono consiglio, proveniente da ogni parte, perché questa è l’essenza di ogni via. 
Il libro più importante da leggere, come diceva J.Krishnamurti, è dentro di noi. Gli altri, che sono solo di ausilio, arriveranno miracolosamente, puntualmente e sempre ad hoc per noi, per aiutarci nella fase in cui siamo, grazie alla lettura del libro più importante.
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lamilanomagazine · 2 years
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Wandelust Summer colletiiva alla Galleria WinArts
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Una collettiva brillante come il solleone che vede esporre, per la prima volta in Italia, l’artista africano Nii Odai e la cinese Zhang Le. A completare il cerchio di questo viaggio estivo le opere dell’artista albanese Iskra Shahaj. “Lo scopo dell'arte è di dare una forma alla vita” si dice in uno dei passaggi più famosi della commedia di Shakespeare ‘Sogno di una notte di mezza estate’. Il prossimo 5 luglio varcate, quindi, la soglia della WinArts di Via Carlo Ravizza 18 a Milano aspettandovi qualcosa di speciale, perché Wanderlust Summer, la collettiva che inaugura quella sera alle 18.30, in qualche modo lascerà in voi un segno facendovi vivere un sogno estivo. L’estate su tela ha il potere di definire le diverse sfumature del viaggio che porta con sé. Infatti ‘wanderlust’, nella sua accezione più moderna, significa desiderio di viaggiare, di fare di nuove esperienze, vivere la libertà e l'emozione di essere stranieri. E il viaggio, nell’arte, è un atto di pensiero, un’attitudine, un’inclinazione che conduce alla scoperta e di conseguenza alla conoscenza. Si può attraversare l’universo, senza muovere un passo dal punto in cui ci si trova perché la verità è che riprodurre l’estate non è una sfida da poco, ma è anche un divertimento per l’artista, libero di inseguire il piacere e rappresentare quello che è più caratteristico della sua cultura. Il viaggio, come stato mentale, ne è il filo conduttore che porta alla creazione di qualcosa di significativo, come un’opera nel mondo dell’arte. La prospettiva di Nii Odai, nato in Ghana nel 1991, vincitore del premio di artista dell'anno presso BE OPEN Art, mette in primo piano la volontà di trasmettere un messaggio di ispirazione che evochi emozioni e virtù naturali. Una caratteristica delle opere di Nii Odai è l’uso di colori grezzi. Secondo l’artista sono la manifestazione più vicina della creazione, del creatore e della sua capacità di evocare le nostre emozioni. Sarà una vera e propria sorpresa vedere le sue opere in Italia per la prima volta dal vivo. I fiori di Zhang Le, artista cinese classe 1999, sono la combinazione di due contraddizioni: la prosperità e vitalità da un lato e la fragilità e il decadimento dall’altro. È evidente il fascino di questa combinazione contraddittoria, dove la bellezza è breve e fragile perché la fioritura è sempre accompagnata da un rapido decadimento. I fiori diventano il simbolo di vita e si inseriscono in questo contesto con il predominio della vivacità dei colori della natura al suo massimo grado di fertilità. Anche per questa artista si tratta della prima esposizione in Italia e le aspettative sono molto promettenti. L’estate di Iskra Shahaj, albanese di nascita, ferrarese di adozione e che oggi vive ad Abu Dhabi, è influenzata dai colori del mediterraneo e del deserto che sviluppano in lei immaginazione e creatività. Nelle opere dell’artista non c'è narrazione, si tratta di un attimo catturato durante la giornata. Per questo motivo i quadri non hanno un titolo ma solo un numero che li identifica. Le sue tele hanno come tema ricorrente la solitudine, intesa come un momento di raccoglimento con se stessi. La protagonista della scena è sempre una donna ma il suo interesse è rivolto principalmente al gioco di luce e colore che si crea nelle pieghe dei suoi vestiti. Tre artisti e un solo tema, tre modi di guardare l’estate cercando di immortalarla prima che fugga e di rubarne un granello da fissare sulla tela prima che passi per sempre lasciando spazio alla malinconia dell’autunno.  BIO Nii Odai Theophilus Tetteh (classe 1991), noto anche con il suo nome d’arte Nii Odai, è un artista contemporaneo africano del Ghana. Ha studiato graphic design e pittura alla scuola d'arte Marimus, sperimentando diverse tecniche. Recentemente ha vinto il premio di artista dell'anno presso la galleria online BE OPEN Art (che dà visibilità agli artisti emergenti di tutto il mondo) ed è anche membro della Ghana Association of Visual Artists (GAVA). Una caratteristica delle opere di Nii Odai è l’uso di colori grezzi. Secondo l’artista sono la manifestazione più vicina della creazione, del creatore e della sua capacità di evocare le nostre emozioni. "Essere un artista per me significa semplicemente imitare i principi della creazione e del nostro creatore", dice.   "Vorrei che il mio lavoro trasmettesse un messaggio di ispirazione che evochi emozioni e virtù naturali" conclude.   Zhang Le Zhang Le è un’artista cinese nata nel 1999. Ha frequentato all’Università di HuaQiao il corso di Pittura a olio (2017 – 2021) e dal 2021 frequenta l’Accademia di belle arti di Brera. Filosofia creativa Il fiore è la combinazione di due contraddizioni la prosperità e vitalità da un lato e la fragilità e il decadimento dall’altro. E’ evidente Il fascino di questa combinazione contraddittoria dove la bellezza è sempre breve e fragile perché la fioritura è sempre accompagnata da un rapido decadimento. Il fiore diviene simbolo della vita. Combattiamo sempre instancabilmente contro il decadimento eterno, a volte senza tener conto della fragilità del mondo. “Vorrei che il mondo fosse coperto di fiori per nascondere una civiltà sempre più fredda e materialista, in attesa di un diverso tipo di rinascita”. Iskra Shahaj Iskra Shahaj è nata nel 1988 a Vlore (Albania). Trascorre la sua infanzia in questa città poetica. L’attrazione per l’arte incomincia dalla più tenera età, quando la magia e i colori del mediterraneo sviluppano l’immaginazione e la creatività. Frequenta la scuola d’arte della città di Vlore e nel 2006 si trasferisce in Italia, a Ferrara. Ottiene una laurea in Beni Culturali e Scienze Geologiche. Vive e lavora ad Abu Dhabi. L’artista ha sempre avuto una particolare attenzione alle figure femminili, probabilmente perché il primo impatto con le immagini, le linee, le forme ed i colori erano i figurini disegnati dalla madre sarta. Guardava e riguardava le immagini rimanendo talmente colpita che iniziò   a disegnare fin da piccolissima. Da lì è nata la sua passione per la pittura. I quadri, sia che si tratti di scene di interni o di esterni, hanno sempre come tema ricorrente la solitudine, intesa come un momento di raccoglimento con se stessi. Non c'è narrazione, si tratta di un attimo catturato durante la giornata. Per questo motivo i quadri non hanno un titolo ma solo un numero che li identifica. C’è riflessione, attesa e introspezione. Nelle scene d’interni l’artista vede una correlazione fra l'interiorità dello spazio e lo sguardo introspettivo del soggetto. La protagonista della scena è la donna ma il suo interesse è rivolto principalmente al gioco di luce e colore che si crea nelle pieghe dei suoi vestiti. Utilizza spesso colori forti in contrasto con le pose molto delicate. Wanderlust Summer Vernissage | Martedì 5 luglio ore 18.30 – 20.30 La mostra resterà aperta fino al 22 luglio   Per informazioni Galleria WinArts [email protected] T + 39 02.23059544 C +39 347.4772147 / +39 348 5602332... Read the full article
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beppebort · 2 years
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Gli inizi della fioritura della tradizione mistica nel deserto
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Come abbiamo visto, la conseguenza dell’editto di Costantino, che tra il 313 e il 325 fece del Cristianesimo la Chiesa dell’Impero, fu che molti cristiani si ritirarono nel deserto per tornare ad essere seguaci di Gesù in un modo più puro e più semplice. Inoltre, Atanasio, Vescovo di Alessandria (dal 327 al 373), scrivendo in copto la Vita di Antonio (357), giocò un ruolo importante nell’incoraggiare i cristiani copti a spostarsi nel deserto. (Il nome copto deriva dalla parola greca ‘Aiguptios’ che significa egiziano). Atanasio scrive: “Le parole di Antonio persuadevano molti ad abbracciare la vita solitaria. E così da allora in poi, nacquero monasteri nelle montagne e i monaci trasformarono il deserto in città.” Il termine ‘monasteri’ in realtà indicava solo un insieme di dimore isolate. In seguito persone più istruite, molto legate ad Origene, raggiunsero questi primi copti e altri cristiani, come Evagrio e Cassiano.
L’influenza della Vita di Antonio è stata molto significativa, ma non fu Antonio ad “inventare” la vita ascetica, la apprese invece dagli eremiti che incontrò all’inizio del suo percorso. Le persecuzioni, le pretese della tassazione romana, la renitenza alla coscrizione, avevano già spinto molti nel deserto. Secondo la tradizione, il primo anacoreta cristiano fu in realtà Paolo di Tebe, che riparò nel deserto durante le persecuzioni dell’imperatore Decio agli inizi del terzo secolo. C’è un racconto della visita di Antonio a Paolo di Tebe. Un corvo portava ogni giorno il pane a Paolo. Il giorno in cui Antonio gli fece visita, il corvo portò pane sufficiente per entrambi!
Atanasio ebbe una tempestosa carriera come Vescovo di Alessandria. Fu deposto e reintegrato molto volte fra il 327 e il 373, essendo pesantemente coinvolto nei problemi della Chiesa. I dogmi cristiani sono stati il prodotto di appassionate e spesso aspre discussioni e dispute fra cristiani negli anni che portarono al Concilio di Nicea (324) e nei successivi decenni. Atanasio ebbe un ruolo significativo in quel Concilio, dove Costantino diede la sua approvazione alla semplice forma di cristianità che Atanasio, insieme ad altri, predicava, forma che divenne via via quella prevalente nella chiesa imperiale ormai ufficiale. Atanasio nella Vita di Antonio presenta dunque la vita eremitica come una vita di contrizione e come una battaglia contro i demoni, le forze del male; secondo il suo punto di vista l’umanità era fondamentalmente peccatrice. Grazie a questa ‘guerra’ l’anima si prepara all’intervento della grazia di Dio tramite Cristo. In questo modo Atanasio si appellava ai semplici cristiani non istruiti.
È tuttavia interessante notare come le idee di Antonio siano simili a quelli dei monaci origenisti, se leggiamo le sue Lettere piuttosto che la Vita di Antonio. In esse abbiamo chiare indicazioni che non solo gli fossero familiari la lingua e il pensiero greco, ma anche che aveva accolto alcune delle idee di Origene. Egli sottolineava, per esempio, l’importanza di riconoscersi come essenzialmente buoni, non peccatori; incoraggiava i suoi lettori a ricordarsi di essere stati creati a immagine di Dio e a fare perciò affidamento sulla grazia di Dio. Dava importanza alle intuizioni provenienti dalla lettura delle Scritture – luogo dell’incontro con Cristo – che potevano portare a una trasformazione, preparatoria all’arrivo della grazia di Dio; e in più considerava l’ascetismo come un modo per restituire al corpo il suo stato naturale, piuttosto che una punizione per i suoi peccati e un suo rifiuto.
Alla fine del IV secolo c’erano 30.000 fra uomini e donne che vivevano nei deserti del Basso e Alto Egitto. I siti famosi del Basso Egitto sono stati Nitria, Kellia e Scete. Lo stesso Antonio visse nel deserto da quel momento in poi.
Si è spesso trascurato il fatto che ci fossero gruppi di donne oltre che di uomini; anzi, metà degli eremiti del deserto erano donne. Esse furono in un certo senso più coraggiose dei loro equivalenti maschili nell’andare contro alle convenzioni sociali; a quel tempo, una donna non aveva davvero diritti ed era proprietà di suo padre e poi di suo marito. Alcune erano prostitute convertite; altre provenivano da ambienti ricchi e vissero come vergini dedicate in ambienti di famiglia. Altre erano ascete insieme al loro marito.
Le più conosciute furono Amma Sincletica e Amma Teodora. Amma Sincletica era una giovane donna ricca e istruita, che con sua sorella cieca si ritirò al sepolcro di famiglia fuori Alessandria per consacrare la sua vita a Dio. Amma Teodora era la moglie di un tribuno e abbracciò la vita eremitica vivendo in estrema povertà. Loro, e altre donne, erano molto autorevoli e per questo consultate da molti monaci. La loro vita non fu molto facile, ma i leader cristiani del loro tempo le sostennero: “La donna è immagine di Dio come l’uomo. Entrambi i sessi hanno pari dignità. Le loro virtù sono uguali, i loro sforzi sono uguali… Potrebbe un uomo competere con una donna che vive la sua vita in pienezza?” (Gregorio di Nissa)
Kim Nataraja
(Tratto dal capitolo di Kim sulla tradizione del deserto in Journey to the Heart)
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Chiamale se vuoi Emozioni: FELICITA’ E TRISTEZZA
Cari Lettori e Care Lettrici, Buona Domenica!
Nell’articolo pubblicato domenica scorsa, vi comunicai che avrei ‘modificato’ il mio blog creando delle ‘Rubriche’ su argomenti specifichi. I miei prossimi 8 articoli saranno dedicati alle principali Emozioni Umane!
Primo appuntamento con la Rubrica ‘Chiamale se vuoi Emozioni’: FELICITA’ E TRISTEZZA
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Felicità: emozione positiva che procura benessere sia fisici che psichici. E' appagamento, eccitazione, ottimismo, soddisfazione nel raggiungere i nostri obbiettivi.
Il Fiordaliso è il fiore della Felicità:
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L’opera d’arte che, secondo me, meglio rappresenta la FELICITA’ sono I Girasoli di Van Gogh oggi alla Nuova Pinacoteca (Neue Pinakothek) di Monaco di Baviera in Germania.
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I Girasoli di Van Gogh furono dipinti nel 1888 nella casa ad Arles, quando nell'attesa gioiosa dell'arrivo del suo amico Gauguin, per rendergli la permanenza il più stimolante possibile, dipinse il soggetto indicato come arredo per la camera da letto dell'ospite. Li dipinse in ogni fase della loro fioritura (il bocciolo, il girasole fresco e il girasole appassito) ma sempre nella loro luce migliore.
Riuscite a immaginarvi Van Gogh all'opera?
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Vi propongo l'Autoritratto di Van Gogh che dipinge girasoli, dipinto da Paul Gauguin in cui ci mostra un Van Gogh artista, intento ad osservare i suoi girasoli e pronto col pennello alla mano a realizzarli sulla tela. Io lo immagino che inizia a dare forma al fiore e poi in modo dinamico, deciso e diretto lo colora con pennellate densa e corpose ...  insomma, un’esplosione di luce e colore!
Van Gogh è conosciuto soprattutto come un artista depresso ed esaurito eppure la sua vita non fu sempre così negativa. E' probabile che alternasse momenti migliori con momenti peggiori ma questo suo altalenarsi era fatto anche di emozioni gioiose come dimostrano proprio i suoi girasoli. La natura lo ispirava, lo appagava e questo lo rendeva felice.
Oggi, se mi chiedessero ‘Cosa Ti rende Felice?’ risponderei con una parola: la Vita! Perché sapermi viva e sana è un ottimo punto di partenza per la felicità. Questo non significa che io non abbia problemi ma nonostante questi riesco comunque ad essere felice. Da alcuni mesi ho perso il lavoro a causa di alcuni problemi riscontrati con l’azienda per cui lavoravo e, non potendo cambiare questa situazione ho cercato di trarne il meglio … Ho ripreso in mano la mia vita, i miei sogni, le mie passioni (che avevo ‘smarrito’ in quel contesto lavorativo) e sto lavorando su me stessa per realizzarmi. Mi sento ogni giorno che passa sempre più motivata e questo non solo grazie a me stessa ma grazie all’incoraggiamento della mia famiglia e dei miei cari amici che contribuiscono a rendermi una Persona Felice. Seguo anche una psicoterapia individuale e vedere i progressi che sto raggiungendo mi appaga: sono finalmente riuscita ad allontanare persone per me nocive con cui non avevo nulla di buono da condividere, sto trovando un equilibrio con me stessa e con gli altri … mi sto riappropriando della mia persona …
Adesso, quando mi specchio, faccio sempre un sorriso a me stessa e alla mia vita e finalmente mi vedo per come sono: una Persona Felice!
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Tristezza: emozione contraria alla felicità; male sia fisico che psichico. Essa può essere provata in condizioni normali, durante la vita di tutti i giorni, oppure a causa di un evento drammatico.
LA Cedrina è il fiore della Tristezza:
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L’opera d’arte che, secondo me, meglio rappresenta la TRISTEZZA è Malinconia dipinto da Francesco Hayez oggi alla Pinacoteca di Brera a Milano.
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Malinconia è un dipinto realizzato tra il 1840 e il 1841, e l'artista stesso ce ne fornisce una descrizione dettagliata nelle sue Memorie: "La Malinconia era rappresentata da una giovane donna del Medioevo, che presa da un sentimento d'amore, sta in una posa abbandonata, che nonostante la passione per i fiori, da essa raccolti in un vaso, tenendone uno in mano che forse le ricorda la persona a lei cara, tiene alquanto china la testa, per meglio nutrire il pensiero che la domina, non curante tutto quello che le sta intorno, e gli abiti stessi che le cadono da una spalla, lasciando vedere parte del petto. L'abito è di raso celeste carico ch'io credetti adatto al soggetto, anche perché contrapposto alle tinte vive dei diversi fiori, ch'io presi tutti dal vero con cura coscienziosa." (Memorie di Francesco Hayez)
L'opera raffigura una fanciulla dall'aspetto trasandato, sintomo de suo travaglio interiore e del suo stato d'animo triste e depresso. Il suo equilibrio è molto precario: gli occhi sono arrossati (forse si è appena lasciata andare ad una crisi di pianto), poggia il braccio sulla mensola, ha una posa poco composta ma è incurante di noi che l'osserviamo  (come se in quel momento nulla è più importante del suo dolore e forse vuole renderci complici, partecipi, colpevoli del suo stato d'animo); i fiori sono appassiti e abbandonati (forse non sono stati innaffiati costantemente o esposti alla luce del sole e questo ne causa un appassimento e una morte prematura) ... la tristezza coinvolge la donna a tal punto che sembra non trovare altra soluzione che lasciarsi pervadere da quest'emozione negativa infatti, è lì, immobile, arresa a questo 'destino'.
 Vi siete mai soffermati ad analizzare i vostri momenti di tristezza?
 Io l'ho fatto (e lo faccio tutt'ora): trovo utile tenere a portata di mano carta e penna su cui scrivere subito tutti i pensieri che contribuiscono a rendermi triste in un dato momento. Non è semplice 'riflettere' sul perchè mi sento triste e cosa secondo me ha scaturito quest'emozione anche perchè come Esseri Umani siamo restii a tirar fuori il 'peggio' di noi, e a volte scrivo anche piangendo ... però già da quando inizio ad abbozzare i miei pensieri comincio a sentirmi meglio e un tantino più sollevata ... non sempre il problema si risolve nell'immediato anzi a volte è così insistente che a lungo andare il ripensarci o rimuginarci sopra può logorarmi e in questo ho imparato a dire a me stessa: STOP, BASTA! ... insomma, a dare un freno a quest'emozione negativa.
 La Vita è una lotta continua: alterniamo momenti felici e momenti tristi ma questo fa parte dell'equilibrio umano.
Un dì si venne a me Malinconia
"Un dì si venne a me Malinconia
e disse: <<Io voglio un poco stare teco>>;
e parve a me ch'ella menasse seco
Dolore e Ira per sua compagnia.
E io le dissi: <<Partiti, va via>>;
ed ella mi rispose come un greco:
e ragionando a grande agio meco,
guardai e vidi Amore, che venia
vestito di novo d'un drappo nero,
e nel suo capo portava un cappello;
e certo lacrimava pur di vero.
Ed eo li dissi: <<Che hai, cattivello?>>.
Ed el rispose: <<Eo ho guai e pensero,
ché nostra donna mor, dolce fratello".
(Dante Alighieri)
Entrare in contatto con le Nostre Emozioni significa affrontare la Vita!
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patriziaferrithings · 3 years
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 La Viola del pensiero
 La Viola del pensiero
Appartenente alla famiglia delle Violaceae, la Viola del pensiero è una pianta di origine europea, diffusa dall’uomo in buona parte dell’America e dell’Oriente. La viola del pensiero genera tantissimi semi che germinano e che assicurano una fioritura ricorrente con fiori che regalano colori che  vanno dal viola al bianco al giallo con diverse sfumature. Sono fiori molto resistenti. Resistono…
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francescophotolover · 7 years
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Preparando Moodboard floreali in attesa del Burian
Anche questo mese di febbraio si avvia a terminare e io qui sto preparando il mio primo shooting indipendente per il mese prossimo. Dato il calendario il mio primo pensiero fu quello di realizzare un moodboard in linea con le prime fioriture. Certo non un’idea originale in sé, ma ciò non vuol dire che non si possa addentrarsi dentro un tema già visto e riuscire a dargli una lustratina, se non proprio a rinnovarlo magari, forse, si spera. Di certo è una sfida, e questo ci piace in quanto tale.
Il meteo, però, strepita da giorni che sta per arrivare un’ondata di vento gelido dalla Siberia la quale, stando alle previsioni, ci porterà quasi un’intera settimana sotto lo zero (anche per le massime), la qual cosa mi fa temere per lo stato in cui troveremo la flora, quando finalmente giungerà il giorno dell’atteso shooting. 
Pertanto, di documenti ne dovrò produrre come minimo due. Volendo, si potrebbe dare un’idea di “fioritura” e di “primavera” anche al chiuso, con fiori e prop adatti vari presi da un fioraio, ma non so se e quanto ciò potrà essere possibile - la disponibilità di uno casa o ce l’ha la modella o nisba... ma non è esattamente la mia idea principale quella di chiudermi da qualche parte.
Fondamentale, per me, è scattare con luce naturale, è questo il tipo di Fotografia che mi interessa sviluppare e le attuali macchine fotografiche hanno un po’ tutte (di certo le mie due K3) una buona qualità d’immagine anche a ISO (la sensibilità del sensore) alti. Da esperienza, entro ISO 2000 i file della mia Pentax sono abbastanza puliti, fra 2000 e 4000 si evidenzia della grana sì, ma senza colori strani e il dettaglio resta tutto, fra 4000 e 6400 magari converrebbe scattare più in BN, ma dipende molto dalle condizioni di luce.
Insomma, avrei quanto serve per mettere alla prova pratica la teoria fotografica che intendo seguire e per cui non esiste una buona o cattiva luce, la Luce è Luce, sempre, bisogna adattarsi a quella disponibile. 
Se il Burian dovesse bruciare i fiori delle bulbacee, lasciando il parco brianzolo in cui ci aggireremo, spoglio... beh chi l’ha detto che dovrei forzare la situazione per forza rendere, contro la realtà dei fatti, un’idea di gioiosa fiorescenza? Potrei benissimo realizzare scatti che rendono un’idea di abbandono, di terra bruciata, di abbandono. 
Anche questo ordine di pensieri e conseguenti scelte di scatto, contribuiscono a fare uno stile. 
Per Aspera ad Astra, sarà comunque un successo!
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eliogia · 4 years
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quando, tanto pseudo architetto,
Chi tanto autorevole critico di merito per definir la poesia ed il canto emozionanti sentimenti non spiegabili possa e sia giusto? un fiore dall'ampia corolla sorridente sottratto, rapito al suo signore nel Sole di giorni caldi di un Maggio mai trascorso con Amiche le erbe del prato scosse dalla brezza si avvicinavano a sfiorarlo e si ritraevano di vergogna ed invidia a tale luce irradiata elargendo gioia nel giorno abbandonato dal compagno già stordito di altro amore nella forma e nell'espressione di diversi silenzi e diversa energia il quale non potrà mai proferir parola seria e onesta di cordoglio e disperazione per quel prato d'erbe e fiori oggi tramontato. Dunque si arresta il cammino la marcia esasperata ed esagerata in questo momento della giornata che rievoca con volontà di esaudire ed esaurire il progetto della mente di un luogo che fecondi, dia germoglio e fioritura agli spazzi dell'uomo astratti: quando, tanto pseudo architetto, non è pronto a materializzare tal pensiero
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Come utilizzare le luci di coltivazione a LED per le piante infestanti in crescita?
Se sei un aspirante coltivatore di cannabis indoor, una delle decisioni più importanti che prenderai è quali luci scegli di incorporare nel tuo giardino interno. Dovrai prendere in considerazione una serie di fattori quando effettui la tua scelta. ricerca, probabilmente ti sei imbattuto in luci a LED. Sono utili per coltivare piante di cannabis? Negli anni passati sarei stato molto veloce ad abbattere il pensiero di usare le luci a LED nei giardini di cannabis indoor. Tuttavia, lampada da coltivazione coltivazione a LED hanno fatto molta strada negli ultimi anni. Numerose aziende hanno collaboratohanno fatto molta strada negli ultimi anni. Diverse aziende hanno intrapreso la ricerca e lo sviluppo per creare alcune luci di crescita a LED davvero efficaci. Vale assolutamente la pena sottolineare che non tutte le luci di crescita a LED sono create uguali. La luce a LED che viene commercializzata come buona per coltivare cannabis, ma la luce è davvero economica, probabilmente è troppo bella per essere vera. Sì, aiuteranno le piante di cannabis a crescere, ma non nel modo auspicabile. C'è una grande differenza tra una pianta di cannabis semplicemente "in crescita" rispetto a una pianta di cannabis che raggiunge il suo pieno potenziale. Puoi ottenere quasi tutti i LED che accendono la luce su Internet e aumenteranno le dimensioni di una pianta di cannabis indoor, ma non è lo stesso che dire che aiuterà a creare una pianta di cannabis di dimensioni mostruoseha una solida qualità e resa. Un buon lampada led coltivazione avrà lo spettro e l'intensità giusti e includerà lenti specializzate che focalizzano la luce su dove deve andare, rispetto a una luce di crescita a LED che invia luce in ogni direzione.Le luci a LED di qualità hanno spettri specifici che le piante di cannabis bramano. la luce di coltivazione non menziona quali spettri stia rimandando, quindi è probabilmente solo una luce a LED pensata per illuminare una camera da letto o altro spazio e non è progettata specificamente per coltivare cannabis. Le luci di coltivazione a LED sono un'ottima opzione per i coltivatori indoor perché usano meno elettricità e rimandare accanto al ncalore rispetto ad altre luci di coltivazione. Le luci di coltivazione a luce di coltivazione non sono economiche, mapiù che compensare il costo aggiuntivo nel tempo con i risparmi sull'elettricità direttamente e indirettamente.
 COSA CERCARE QUANDO SCEGLIE UNA LUCE DI CRESCITA A LED
Prima di acquistare una luce per coltivazione a LED, aiuta a sapere cosa è disponibile. Attualmente, ci sono tre principali tipi di LED che puoi utilizzare per coltivare cannabis, ognuno dei quali ha i suoi pro e contro. Il tipo di luce a LED che dovresti scegliere dipenderà esattamente da cosa stai cercando e da quanti soldi sei disposto a spendere.
3 TIPI PRINCIPALI DI LUCI DI CRESCITA A LED
LED STANDARD (“VIOLA”)
Queste lampade a LED standard erano il primo tipo disponibile per la crescita e oggi sono ancora ampiamente disponibili e contengono un sacco, a volte centinaia, di LED di potenza medio-piccola (3-5 watt per singolo LED) in un formato compatto I coltivatori di cannabis a volte si riferiscono a queste come luci “viola”, in quanto spesso includono un mix di LED rossi e blu che si combinano per emettere una tonalità viola. Il più grande vantaggio di queste luci LED standard è il loro prezzo. La maggior parte sono prodotte all'estero. e puoi trovarli in abbondanza su eBay e in altri luoghi online. Uno svantaggio è che la loro qualità è spesso carente; possono essere meno che affidabili e la loro emissione luminosa è spesso inferiore rispetto ad altri tipi di LED, portando a rendimenti inferiori. rimediare a questo, ora vediamo che i LED standard iniziano a includere luci LED COB o LED UV oltre al rosso e al blu, che possono aiutare con la resa e la qualità delle gemme.
AUTOFIORI E LED
Se stai coltivando autofiorenti piuttosto che ceppi fotoperiodici, non devi preoccuparti di iniziare la fioritura accendendo / spegnendo le luci. Puoi semplicemente lasciare le tue autofiorenti a 18-24 ore di luce al giorno fino al raccolto Ancora una volta, se la tua luce a LED ha un interruttore di fioritura, dovresti comunque usarla una volta che la tua cannabis autofiorente è in fiore, questo contribuirà ad aumentare la resa.
 QUALE LUCE CRESCE MIGLIORI (E PIÙ) BUD?
Ci sono differenze nella qualità e nella resa delle gemme con i LED rispetto alle luci MH HID? Alcuni coltivatori affermano che le lampade MH offrono rese migliori o "gemme più belle" rispetto ai LED. Ma ci sono anche quelli che lo dicono, anche se HID potrebbe darti di meglio rendimenti, le luci a LED offrono un gusto migliore e / o una qualità generale migliore dell'erba. Ovviamente, ciò che è veramente "migliore" è aperto all'interpretazione.
Luci a LED rispetto ad altre luci
LED vs CFL La luce più comune che è stata tradizionalmente utilizzata per coltivare marijuana è la CFL, che sono provate e vere, utilizzate da generazioni, facendo sì che molti coltivatori scelgano di andare con loro, nonostante il fatto che i LED siano spesso salutati come una tecnologia più efficiente. Per le persone che hanno svolto correttamente le loro ricerche sui sistemi di illuminazione, i LED sono quasi sempre i vincitori. Mentre i CFL dovevano essere regolati praticamente ogni giorno, le luci a LED non necessitano di questa frequente manutenzione. non rilasciano la grande quantità di calore che fanno i CFL. Sono ben equipaggiati con sistemi di raffreddamento come ventole o dissipatori di calore, il che consente un tempo più semplice per mantenere la grow room a una temperatura non troppo elevata (per la piante e il coltivatore). Detto questo, ci sono alcune situazioni in cui l'uso delle luci CFL ha più senso. Una di queste situazioni è se l'area di coltivazione interna è sul lato più corto. Questo è semplicemente perché le luci a LED devono essere mantenute ulteriormente aw provengono dalle piante rispetto ai CFL. In generale, le luci a LED dovrebbero essere tra i dodici e i diciotto pollici sopra il baldacchino delle vostre piante (anche se questo dovrebbe essere verificato con il produttore specifico) mentre i CFL necessitano solo di un minimo di pochi pollici. LED vs MH / HPS Mentre molti coltivatori scelgono LED o luci MH / HPS, il fatto è che la combinazione dei due potrebbe fornire la configurazione più vantaggiosa che si possa trovare. Senza prove scientifiche per dimostrarlo, molti coltivatori giureranno che le luci HPS risultano gemme molto più carine mentre i LED le rendono più dense e potenti, pertanto l'utilizzo di entrambi dovrebbe darti il ​​meglio di entrambi i mondi. Molti coltivatori hanno requisiti specifici per la loro situazione che rendono l'illuminazione a LED o MH / HPS una scelta più logica Ad esempio, se stai cercando di mantenere i costi iniziali della tua grow room il più basso possibile, utilizzare una luce di coltivazione HPS durante la fase di fioritura ha più senso. Se si confronta l'elettricità utilizzata con la resa risultante, MH / H Le luci PS ti daranno il miglior rapporto qualità-prezzo. A parte l'elettricità, costano anche molto meno delle luci a LED. C'è anche un maggiore grado di variabilità con le luci a LED. Se acquisti luci a LED, devi sempre controllare le informazioni del produttore per sapere quali "regole" seguire. Le luci MH / HPS, d'altra parte, sono altamente standardizzate e tutti i modelli rientrano nella stessa categoria di regole per la maggior parte. Molti affermano che le luci a LED ottengono un germoglio di qualità migliore rispetto a MH / Luci HPS, tuttavia: più tricomi, maggiore potenza e un gusto e un odore naturali più forti sono tutti associati all'uso delle luci a LED.
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kaialcove · 5 years
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Cold
Post pubblicato originariamente il 24 maggio 2013, sul precedente Ancient Pathway Blog
E rieccomi qui, dopo un paio di settimane o poco più… niente, è che stavo pensando a una particolare frase che ho scritto in un capitolo di un mio racconto… un racconto infinito. Non ricordo in che stato particolare ero quella notte mentre nel mio letto col mio cell-notes in mano mi mettevo a scrivere e a scrivere ascoltando della musica dall'mp4. Forse era la canzone, o forse l'atmosfera della camera immersa nel buio con soltanto la luce del cellulare e del lettore come piccoli fari nel buio… però avevo bene in mente che dovevo sbloccare la situazione che stavo descrivendo e arrivare finalmente al punto che desideravo narrare. Questo, come tanti altri sono solo dei racconti che scrivo per me stessa, solo per me e nessun'altro.
Scrivo questi racconti perché ne ho fortemente bisogno, bisogno di liberare quei pensieri sopiti che aleggiano nella mia mente, ispirati da alcune cose precise che tutt'oggi a distanza di anni mi accompagnano ancora e mi fanno sentire bene quando la realtà che vivo dal vero mi opprime troppo. Scrivere mi aiuta a dimenticare per un po’ tutto il resto, mi immergo nel mio piccolo mondo, e le mie dita non smettono di scrivere quando la mia mente prende il via. E in uno di questi capitoli scrissi una frase che dopo averla riletta per parecchie volte… non riuscivo a credere di essere stata davvero io a scrivere una frase così bella. Non posso mettere alcun estratto di essi, ne qui ne nelle sezioni private del mio blog… perché se lasciassi leggere ad altri questi racconti, sarebbe come perdere qualcosa che è soltanto mio. Questo spazio mi serve per rilasciare questi pensieri notturni che mi girano per la mente… piccole confessioni senza mai entrare nel dettaglio perché rimango sempre e comunque una ragazza molto riservata. Questo spazio mi permette di non frenare il mio desiderio di scrivere quando ne sento il bisogno… perché non scrivere questi pensieri nel mio blog principale? Non lo so sinceramente. Forse, è perché sembra così accogliente questo sito, e rispetto a twitter (che è una fissa quel sito per me) posso evitare di essere sintetica e lasciare che le dita scorrano sulla tastiera senza il timore dei centoquaranta caratteri massimi per esprimere un mio lungo pensiero. Anche per questa volta posso chiudere qui… sono sicura che anche il prossimo sarà un pensiero notturno, amo la notte, il freddo… solo questi due elementi sono fonti ispiratrici per me. Personalmente ho sempre preferito il freddo al caldo, anzi per il caldo ho un odio profondo, perché mi costringe a rintanarmi in casa, e sono già una persona che esce poco di suo. L'essere a fine maggio, e provare ancora freddo mi fa rimanere su di morale, anche se… il periodo aprile/maggio è quello della fioritura dei fiori di ciliegio, e con questo tempo spesso freddo e piovoso, non ha permesso alla pianta che ho nel giardino di fare una piena fioritura. Quei pochi che erano riusciti a sbocciare sono appassiti in pochissimo tempo, e da quella volta la pianta è rimasta solamente con le sue foglie grandi e verdi. Ma niente più rosa dei fiori c'era… è l'unica cosa che mi dispiace. Per quanto riguarda il resto… il freddo, la pioggia ed il vento li preferisco da sempre, non mi portano malinconia, ma al contrario mi fanno sentire meglio, molto meglio, come la notte scorsa. Mentre tutti dormivano io sono rimasta sveglia per poter sentire la pioggia battente e il vento che soffiava forte. E mi sentivo bene. Solo che, dura sempre troppo poco questo benessere perché poi arriva il giorno e con esso anche il sole. Ma questa primavera così travagliata non lascerà sempre posto al sole come ha fatto fino ad ora.
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Nardò: quando la città era celebrata in versi e i poeti erano Agitati ...
di Armando Polito
L’importanza di una città si misura attualmente più dalle iniziative di carattere economico che essa è in grado di prendere e, per lo più, visti i risultati, anche quelle culturali, pubbliche o private sono soggette alle prime, in ultima analisi non a favore della conoscenza, ma del profitto, per giunta di pochi; e per quelle pubbliche resta quanto meno il sospetto che il popolare, per non dire godereccio,  serva solo da comodo alibi per coltivare il consenso, nella più bieca applicazione dell’antico panem et circenses. D’altra parte nell’immaginario collettivo qualsiasi circolo culturale continua ad apparire come un ambiente esclusivo più che inclusivo,  come una nicchia elitaria. Le accademie, per entrare nello specifico, non nascono certo oggi e, comunque,  costituiscono la spia principale della vivacità culturale di una comunità, anche quando il loro nome non sembra essere indizio di serietà (un esempio pugliese: L’Accademia del lampascione di San Severo). La soluzione è facilmente intuibile: favorire un punto d’incontro tra un'”intellettualità” sovente schizzinosa, gelosa e narcisistica (quando non supponente) e una “popolarità” forse anche superficiale, ma per il cui innalzamento culturale si fa sempre meno, e non solo per colpa dell'”intellettualità” di prima.
Sotto questo punto di vista non saprei dire come Nardò stia messa oggi, ma mi piace ricordare con una punta d’amarezza da laudator temporis acti la sua situazione nel XVIII secolo.
Già agli inizi del precedente  il duca Belisario Acquaviva d’Aragona vi aveva fondato l’Accademia del Lauro e dopo la sua estinzione per iniziativa del vescovo Cesare Bovio nacque l’Accademia degli Infimi, che prosperò fino alla fine del secolo XVII.
Il post di oggi è ambientato nel secolo XVIII (più precisamente nel 1721), quando, per iniziativa della duchessa Maria Spinelli, nacque l’Accademia degli Agitati. Essa raggiunse l’apice della fioritura e della fama nel 1725, grazie al patrocinio di Cesare Michelangelo d’Avalos d’Aquino d’Aragona, marchese di Pescara e del Vasto. Egli ne fu principe perpetuo col nome di Infaticabile, Console fu Francesco Antonio Delfino, soci furono Giovanni Giuseppe Gironda marchese di Canneto col nome di Audace, l’abate Girolamo Bados col nome di Ravveduto, Giuseppe Salzano de Luna col nome di Luminoso, Scipione di Tarsia Incuria col nome di Ardito, Domenico Parisi col nome di Intrattabile e Mattia de Pandis col nome di Nadisco.
Una rapida scorsa ai nomi (quelli originali) nonché ai titoli fa capire come non ci fosse un legame diretto tra la maggior parte dei personaggi citati e Nardò, fatta eccezione, forse, per Francesco Antonio Delfino, Domenico Parisi e Mattia de Pandis, i cui cognomi erano diffusi a Nardò in quel tempo (quelli degli gli ultimi due ancora oggi). Paradossalmente, però, c’è da dire che il loro interesse per Nardò non era certo casuale e, da qualsiasi sentimento fosse dettato, esso era una prova della considerazione, anche politica,  di cui la città godeva. Se il rapporto tra Maria Spinelli di Tarsia e Nardò (e, per via di una probabile parentela con lei anche quello di Scipione di Tarsia Incuria, casato diffuso a Conversano), era scontato e si intrecciava pure con la sua storia pregressa (la duchessa era moglie di Giulio Antonio IV Acquaviva, undicesimo duca di Nardò e ventitreesimo conte di Conversano), quello degli altri esige un discorso più lungo. Comincio da Cesare Michelangelo d’Avalos d’Aquino d’Aragona (1667-1729), feldmaresciallo, oltre che principe del Sacro Romano Impero, con una collezione impressionante di ulteriori titoli nobiliari. DI seguito il suo ritratto (tavola tratta da Domenico Antonio Parrino, Teatro eroico, e politico dei governi de’ vicere del regno di Napoli dal tempo del re Ferdinando il Cattolico fino al presente, Parrino e Mutii, Napoli, 1692), un tallero del 1706 (immagine tratta da Simonluca Perfetto, Demanialità, feudalità e sede di zecca. Le monete a nome di Don Cesare Michelangelo d’Avalos per i marchesati di Pescara e del Vasto,  Vastophil, Vasto, 2012), in questo caso moneta di ostentazione, cioè di rappresentanza, poco più che una medaglia, che gli Asburgo gli avevano concesso di coniare dal 1704, quando si trovava in esilio a Vienna, e una medaglia del 1708 (immagine tratta da  http://www.tuttonumismatica.com/topic/3960-medaglia-di-cesare-michelangelo-davalos/).
Al dritto: busto di Cesare Michelangelo con parrucca, corazza e tosone d’oro al collo; legenda: CAES(AR)  DAVALOS DE AQUINO DE ARAG(ONIA)  MAR(CHIO)  PIS(CARAE) ET VASTI D(UX) G(ENERALIS) S(ACRI) R(OMANI) I(MPERII) PR (INCEPS) [Cesare d’Avalos d’Aquino d’Aragona marchese di Pescara e duca di Vasto principe generale del Sacro Romano Impero).
Al rovescio: stemma familiare con legenda: DOMINUS REGIT ME ANNO 1706 [Il signore mi guida anno 1706)
Al dritto: due fasci di spighe di grano legate da nastri svolazzanti, sui quali si legge: FINIUNT PARITER RENOVANTQUE LABORES [Le fatiche allo stesso modo finiscono e ricominciano] su quello di sinistra e SERVARI ET SERVARE MEUM EST [È cosa mia essere rispettato e rispettare] su quello di destra. Entrambi i motti fanno parte della storia del casato per la linea maschile e per quella femminile1.
Non è dato sapere quale motivo più o meno recondito rese Cesare Michelangelo mecenate a favore di Nardò, ma è certo che ben poco si sarebbe saputo dell’Accademia degli Agitati (come successo per tante altre della cui produzione poco o nulla fu pubblicato) senza la Compendiosa spiegazione dell’impresa, motto, e nome accademico del Serenissimo Cesare Michel’Angelo d’Avalos d’Aquino d’Aragona che Giovanni Giuseppe Gironda, come s’è detto, uno dei soci, pubblicò per i tipi di Felice Mosca a Napoli nel 1725 (integralmente leggibile in https://books.google.it/books?id=o3peAAAAcAAJ&pg=PA6&dq=compendiosa+spiegazione+michelangelo+D%27AVALOS&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwic9Z6L7_zkAhULjqQKHfTPDbgQ6AEIKDAA#v=onepage&q=compendiosa%20spiegazione%20michelangelo%20D’AVALOS&f=false).
Giovanni Giuseppe, figlio di Alfonso, fu il quarto marchese di Canneto dal 1708 (feudo ceduto nel 1720 alla famiglia Nicolai, mantenendone però il titolo), Patrizio di Bari, primo Principe di Canneto dal 1732.
Il volume ospita un nutrito numero di componimenti dei soci che ho citato all’inizio ed a breve leggeremo quelli in cui compare espressamente il nome di Nardò. Prima, però, intendo dire qualcosa sui soci fin qui trascurati. Girolamo Bados potrebbe essere colui che ebbe una controversia col lucchese Alessandro Pompeo Berti (1686-1752), che ne lascio memoria in Se fosse maggior dignità il Consolato,o la Dittatura nella Repubblica Romana. Controversia col Sig. Abate Girolamo Bados, opera manoscritta di cui è notizia in Giammaria Mazzuchelli, Gli scrittori d’Italia, Bossini, Brescia, 1760, v. II, p. II, p. 1038. Per Giuseppe Salzano de Luna (nel volume del Gironda è detto Cavaliere) null’altro posso ipotizzare se non l’appartenenza a quel casato napoletano. Nello stesso volume Domenico Parisi appare col titolo di Segretario di S. A. e Francesco Antonio Delfino come abate.
Siamo giunti, finalmente, alle poesie dedicate a Nardò, tutte del Gironda: cinque in lingua latina [quattro in distici elegiaci (nn. 1, 2, 3 e 5), una in strofe alcaiche (n. 4)] ed una in italiano (un sonetto, n. 6), rispettivamente alle pp. 64-66, 66-67, 67-68, 71-73, 74 e 75. Una nota filologica preliminare: del toponimo la forma adottata è, come vedremo, Neritos, con il derivato aggettivo Neritius/a/um, il quale, nel latino classico significa di Nerito (monte di Itaca citato da Omero).
Appare evidente l’ipotesi, a quel tempo dominante2, di un legame tra Ulisse  e Nardò, ipotesi durata a lungo ma poi abbandonata a favore della derivazione del toponimo da una radice indoeuropea nar che significa acqua. Nella trascrizione ho rispettato il testo originale, comprese le iniziali maiuscole e la punteggiatura, mentre nella traduzione, che mi sono sforzato di rendere quanto più letterale possibile (rispettando anche la corrispondenza del verso, tuttavia senza la velleità di fornire una traduzione poetica), ho fatto prevalere l’uso moderno. Per quanto riguarda le note di commento non mi illudo che esse (in particolare quelle con riferimenti alla mitologia) suscitino curiosità nel giovane lettore, ma non dispero che risveglino qualche ricordo, non necessariamente gradito se ha frequentato il liceo classico …,  in chi, più o meno, ha la mia stessa età.
1) (pp. 64-66)
2) ( pp. 66-67)
3) (pp. 67-68)
4) (pp. 71-73)
5) (p. 74)
  6) (p.75)
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1 Finiunt pariter renovantque labores era stato già il motto dell’Accademia dei Pellegrini fondata a Venezia nel 1550 (Gaetano Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica  da S. Pietro sino ai nostri giorni, Tipografia Emiliana, Venezia, 1858, v. XCI, p. 348 alla voce Venezia), ma esso nello stesso periodo risulta confezionato da Paolo Giovio (1483 circa-1552) secondo quanto si legge nel Dialogo dell’Imprese militari di Monsignor Paolo Giovio Vescovo di Nucera uscito postumo per i tipi di Antonio Barre a Roma nel 1555. Dall’edizione uscita per i tipi di Guglielmo Roviglio a Lione nel 1559 alle p. 103-104 si legge: Hora queste spighe del signor Theodoro mi riducono à memoria l’impresa, ch’io feci al Signor Marchese del Vasto, quando dopò la morte del Signore Antonio da Leva fù creato Capitan Generale di Carlo Quinto Imperatore; dicendo egli , che à pena eran finite le fatiche , ch’egli aveva durate per esser Capitano della fanteria, ch’egli era nata materia di maggior travaglio; essendo vero, che ‘Generale tiene soverchio peso sopra le spalle: gli feci dunque in conformità del suo pensiero, due covoni di spighe di grano maturo con un motto, che girava le barde e le fimbrie della sopravvesta, e circondava l’impresa nello stendardo; il qual motto diceva FINIUNT PARITER RENOVANTQUE LABORES ; vol end’io isprimere, che à pena era raccolto il grano, che nasceva occasion necessaria di seminarlo per un’altra messe, e veniva à rinovar le fatiche de gli aratori. E tanto più conviene al soggetto del Signor Marchese, quanto che i manipoli delle spighe del grano furono già gloriosa impresa guadagnata in battaglia da Don Roderigo Davalos bisavolo suo, gran contestabile di Castiglia. E a p. 102 compare l’immagine seguente.
Lo stesso Bovio risulta essere il creatore pure di Servari et servare meum est. AlLe pp. 100-101 della stessa opera si legge: E poi che siamo entrati nelle donne, ve ne dirò un’altra [impresa], ch’io feci all’elegantissima Signora Marchesa del Vasto Donna Maria d’Aragona, dicendo essa, che sì come teneva singolar conto dell’honor della pudicitia, non solamente la voleva confermare con la persona sua, ma anchora haver cura,che le sue donne, donzelle e maritare per istracuraggine non la perdessero. E perciò teneva una disciplina nella casa molto proportionata à levare ogni occasione d’huomini e di donne, che potessero pensare di macchiarsi l’honor dell’honestà. E così le feci l’impresa che voi avete vista nell’atrio del Museo, la quale è due mazzi di miglio maturo legato l’uno all’altro, con un motto, che diceva:SERVARI ET SERVARE MEUM EST, perche il miglio di natura sua, non solamente conserva se stesso da corruttione, ma anchora mantiene l’altre cose,che gli stanno appresso, che non si corrompano, sì com’è il reubarbaRo e la Canfora, le quali cose pretiose si tengono nelle scatole piene di miglio, alle botteghe de gli speciali, accio ch’elle non si guatino.
E a corredo a p. 100 la relativa immagine.
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