#l agnese va a morire
Explore tagged Tumblr posts
Text
L’Agnese va a morire di Renata Viganò: seguendo il tragico destino
Provo a esaminare alcuni punti della Prefazione di Sebastiano Vassalli del libro “L’Agnese va a morire” di Renata Viganò. L’Agnese va a morire di Renata Viganò Innanzi tutto l’encomio: “L’Agnese va a morire è una delle opere letterarie più limpide e convincenti che siano uscite dall’esperienza storica e umana della Resistenza.” – essendo una prosa limpida e convincente. Dopo aver letto poco più…
View On WordPress
0 notes
Text
“ Avvicinandosi a casa, videro della gente sulla strada: tutti apparivano sconvolti e affaticati, sotto grossi carichi di sacchi, fagotti e valige. Qualche donna piangeva. - Andate a L...? - disse un uomo all'Agnese. - Hanno bombardato il paese due ore fa. Ci sono dei morti -. L'Agnese spinse forte con le sue vecchie gambe per accelerare l'andatura. Incontravano sempre altra gente, ma non domandarono più nulla. Non erano in pena per Walter e i suoi: per fortuna stavano fuori dal paese, pensava l'Agnese, una casa isolata. - Disgraziati quelli che ci sono rimasti sotto le bombe. Morti, sempre morti. Maledetta la guerra e chi l'ha voluta. - Chissà se hanno bombardato anche dove sto io, a San P..., - disse la staffetta. - Si viene via e si ha paura di ritornare e di trovare una disgrazia, - e anche lei ripete il pensiero dell’Agnese: - Meno male che la casa di Walter è sicura -. Era notte quando fecero l'ultima voltata: ci si vedeva bene, con un quarto di luna, bianco, una piccola barca lucente in un gran mare nero. La ragazza si fece avanti, guardava in giù, verso l'arrivo, perché era stanca. Aveva voglia di mangiare e di dormire. Anche l'Agnese era stanca, aveva messo via tutti i pensieri del lavoro, e pensava solo alla stanza e al letto. Ma la ragazza a un tratto dette una scossa che per poco non la rovesciò dalla bicicletta, e gridò: - Agnese, Agnese, non c'è più la casa! Un mucchio di macerie tra l'orto e il frutteto. Dove erano state le belle camere e la grande cucina, il forno e il portico, non c'era più niente: in pezzi anche le pietre. Una linea di meno nel paesaggio, un vuoto che lo rendeva strano, sconosciuto, un posto cambiato. E un'altra famiglia che due ore prima aveva tante cose, adesso se ne andava a cercare un ricovero per la notte, con le mani vuote e il vestito che portava addosso; e contentarsi se erano tutti salvi. Una casa bianca fra l'orto e il frutteto, lontano dalle altre case con intorno soltanto dei campi, non è un obbiettivo militare, non conta per la guerra, né intatta né distrutta. Ma passarono gli aerei alleati, sopra, al ritorno dal bombardamento, e avevano qualche bomba rimasta. Forse un aviatore, di buon umore perché rientrava al campo, disse al compagno di volo: - Scommetto che ci prendo in quella casa là, - (agli anglo-americani piacciono le scommesse), - e il collega rispose: - Scommetto di no. - Allora proviamo? - Proviamo, - e fissarono la posta in dollari o sterline, o frazioni di dollari e sterline. Poi giù in picchiata contro la casa bianca. Una bomba, due bombe, niente. E il collega sorrise. Un giro, e di nuovo giù in picchiata: una, due, tre bombe, le ultime, dopo non ce n'erano più. Un altro giro sulla nuvola di fumo e di terra, e il collega s'era fatto serio: - Bravo. Bel tiro. Hai vinto la scommessa - . E via, in rotta, verso il campo, la mensa, il comodo letto degli ufficiali e sottufficiali aviatori inglesi e americani. Dice il rapporto: tutti gli obbiettivi sono stati colpiti. Incontro all'Agnese e alla compagna, ferme davanti al cancello scardinato, veniva Walter in bicicletta: - Hai visto? - disse indicando il mucchio. - Siete tutti sani? - domandò l'Agnese, e Walter rispose: - Eravamo fuori. Bisogna dire: che fortuna per noi. In paese ci sono quattordici morti - . Tacque un momento guardando in alto il vuoto dove erano state le finestre della sua casa. - Venite adesso, - aggiunse. - Ci siamo messi in una stalla poco lontano di qui. Mentre rimontava in bicicletta, l'Agnese si sentì il cuore pesante, malato, e le gambe flosce come due stracci. Pensava: «Il Comandante ha detto: farai il deposito a casa di Walter. È un posto sicuro... » e disse forte, premendo con fatica sui pedali: - Tutto da ricominciare. “
Renata Viganò, L'Agnese va a morire, Einaudi (collana Nuovi Coralli, n° 23), 1976⁴; pp. 115-117. [Prima edizione: Einaudi, 1949]
#Renata Viganò#leggere#partigiani#Liberazione#Resistenza#L'Agnese va a morire#letture#libri#antifascismo#antifascisti#guerra di liberazione#narrativa#lotta partigiana#guerra aerea#bombardamenti#Italia#donne#Storia delle donne#guerra#seconda guerra mondiale#citazioni letterarie#anglo-americani#staffette partigiane#clandestinità#aviazione#Storia d'Italia#Valli di Comacchio#Emilia Romagna#romanzi#neorealismo
13 notes
·
View notes
Photo
Ne L’Agnese va a morire di Renata Viganò, l’unico romanzo della Resistenza scritto da una donna, l’Agnese del titolo diventa partigiana quasi senza rendersene conto. Dopo la firma dell’Armistizio l’8 settembre 1943, i tedeschi irrompono in casa della lavandaia Agnese per catturare il marito Palita, un militante comunista quasi del tutto infermo. Un giorno dei compagni la vanno a trovare per chiederle di trasportare la “roba da scoppiare” nei cesti del bucato: l’Agnese diventa una staffetta, trasporta le armi e fa le calze per i partigiani. Ma non si limita a questo. Una sera, presa da un impeto di rabbia contro il soldato che uccide la sua gatta per divertimento, fa “quella cosa”: mentre dorme, ruba il suo mitra e glielo scaglia in testa, uccidendolo. Da quel momento, l’Agnese entra a far parte a tutti gli effetti di una brigata, dandosi alla macchia e partecipando alle azioni. Buon 25 aprile 2020.
#brigatte-mascherine#agnese-viganò#staffetta-partigiana#partigiana#25-aprile#liberazione#antifascismo#agnese#resistenza
6 notes
·
View notes
Text
L’Agnese va a morire di Renata Viganò, l’unico romanzo della Resistenza scritto da una donna, l’Agnese del titolo diventa partigiana quasi senza rendersene conto. Dopo la firma dell’Armistizio l’8 settembre 1943, i tedeschi irrompono in casa della lavandaia Agnese per catturare il marito Palita, un militante comunista quasi del tutto infermo. Un giorno dei compagni la vanno a trovare per chiederle di trasportare la “roba da scoppiare” nei cesti del bucato: l’Agnese diventa una staffetta, trasporta le armi e fa le calze per i partigiani. Ma non si limita a questo. Una sera, presa da un impeto di rabbia contro il soldato che uccide la sua gatta per divertimento, fa “quella cosa”: mentre dorme, ruba il suo mitra e glielo scaglia in testa, uccidendolo. Da quel momento, l’Agnese entra a far parte a tutti gli effetti di una brigata, dandosi alla macchia e partecipando alle azioni.
Quella de L’Agnese va a morire e della sua autrice Renata Viganò, che prese parte alla Liberazione come staffetta e infermiera, è la storia di tantissime donne non politicizzate che, toccate in prima persona dagli eventi che seguirono l’Armistizio, decisero di compiere questa scelta estremamente difficile e radicale. Tuttavia, il sacrificio di queste donne è rimasto per lungo tempo ai margini della corposa storiografia dedicata alla Resistenza, che spesso si è concentrata solo sull’eroica e archetipica figura del partigiano giovane e maschio. Viganò ci racconta invece di una donna matura, goffa, molto pragmatica, lontana da ogni romanticismo ideologico, e lo fa nel 1949, pochissimi anni dopo la Liberazione. Eppure, nonostante la nostra memoria letteraria disponga di questo incredibile personaggio che va oltre ogni aspettativa, se parliamo di Resistenza pensiamo subito al partigiano Johnny o a Pin de Il sentiero dei nidi di ragno, e non a un’Agnese.
Le partigiane erano e sono considerate come delle aiutanti degli uomini, principalmente perché il loro lavoro nella Resistenza, come racconta bene il romanzo, fu soprattutto quello che la teoria femminista chiama lavoro riproduttivo e di cura: cucinare, lavare, curare le ferite, dispensare affetto e compagnia, organizzare la parte “burocratica” delle missioni. Questo contributo è considerato minore rispetto a quello di chi invece imbracciava il fucile. Tuttavia, si tratta di un duplice pregiudizio: da un lato, si ignora completamente che molte di queste donne a un certo punto presero effettivamente parte ad attentati e agguati; dall’altro si considera il lavoro riproduttivo come qualcosa di accessorio e non di essenziale come invece è avere vestiti puliti e rammendati, mangiare bene, dormire, trasportare di nascosto armi e munizioni e riceve cure mediche in una situazione di clandestinità. Le donne erano l’unico ponte tra la macchia e la vita civile, anche grazie al ruolo che ricoprivano nella società di allora: insospettabili, considerate incapaci di commettere violenza e deputate alla cura della casa. Questo significava poter eludere facilmente i controlli e disporre della tessera annonaria, una fonte di cibo imprescindibile in tempo di guerra.
Renata ViganòCome scrive Pino Casamassima in Bandite! Brigantesse e partigiane – Il ruolo delle donne col fucile in spalla, “Sebbene la guerra sottoponga il concetto di politica a tensioni fortissime, pochi fra i protagonisti sembrano capaci di vedere nelle pratiche delle donne qualcosa di diverso dal prolungamento dei ruoli di assistenza e di cura, espansi al di fuori del privato in deroga alla ‘naturale’ divisione degli spazi”. C’era quindi anche un problema interno alla Resistenza e connesso al maschilismo della società italiana di allora, non estraneo ai partiti di sinistra. Comunisti e socialisti non volevano estendere il suffragio alle donne per paura che, per natura, avrebbero votato quello che diceva loro il prete: non ci deve quindi stupire se, nella maggior parte dei casi, vennero escluse da qualsiasi processo decisionale all’interno delle brigate e degli organismi di autogoverno.
Le donne diventarono così le maggiori esponenti di quella che lo storico francese Jacques Sémelin ha chiamato “Resistenza civile”, cioè tutte quelle pratiche di lotta messe in atto dai civili che non prevedevano l’uso della violenza, ma del coraggio, dell’astuzia e della capacità di influenzare gli altri. Una “guerra senz’armi”, come l’hanno chiamata Anna Bravo e Anna Maria Bruzzone in un saggio sulla storia della Resistenza femminile in Piemonte. Questo non fu il destino di tutte le partigiane, ovviamente. L’Anpi riconosce 35mila “partigiane combattenti” (a fronte di 150mila uomini), che hanno ottenuto il ruolo di tenenti, sottotenenti o al massimo maggiori, e 20mila “patriote”, con compiti di supporto, assistenza e organizzazione. Le donne decorate con la Medaglia d’oro al valor militare sono 19, di cui 15 alla memoria e 4 in vita; gli uomini con questa onorificenza sono 572. Ma secondo la storica Simona Lunadei, questo si spiegherebbe anche col fatto che molte donne si rifiutarono di chiedere un riconoscimento a guerra terminata: molte, come il personaggio di Renata Viganò, sentivano solo di aver fatto quello che andava fatto.
Oltre a quelle che si trovarono a combattere per caso”, per senso del dovere o per seguire mariti, fidanzati e talvolta figli, ci furono anche donne già impegnate in politica o nelle associazioni comuniste e cattoliche che pretesero un ruolo più attivo all’interno dei nuclei partigiani. Da queste esperienze nacquero i Gruppi di difesa della donna (Gdd), un’associazione comunista e femminista fondata da Lina Fibbi, Pina Palumbo e Ada Gobetti, che partecipò a molte azioni di sabotaggio e lotta armata, e l’Unione donne italiane di sinistra (Udi). Anche molte donne cattoliche parteciparono alla Resistenza, mettendo a frutto le esperienze maturate nella Gioventù femminile di Azione Cattolica (come ad esempio la futura ministra della Sanità Tina Anselmi). Se questi gruppi nacquero con l’esplicito obiettivo di aiutare gli uomini impegnati nella Liberazione, già dal 1944 si organizzarono in maniera più autonoma e, oltre a partecipare attivamente alle azioni, fornirono supporto alle vedove, alle contadine o alle madri lavoratrici. Nel 1944 l’Udi fondò anche il proprio giornale clandestino, Noi donne, in cui si discuteva di politica e del ruolo della donna, si commemoravano le cadute e si riportavano le notizie sulle lotte femminili. I Gdd organizzarono anche numerosi scioperi e manifestazioni, su esempio della “rivolta del pane” del 16 ottobre 1941, quando un gruppo di donne parmensi assaltò un furgone della Barilla per ridistribuire il pane alla popolazione.
Di alcune figure straordinarie si ricordano ancora gli atti coraggiosi: Mimma Bandiera, la partigiana bolognese che, una volta catturata, resistette per sette giorni alle torture senza mai tradire i propri compagni. O Carla Capponi, dei Gruppi di azione patriottica (Gap) romani, che prese parte all’attentato di via Rasella. Quest’ultima ci ha lasciato un’autobiografia molto importante per capire il ruolo delle donne nella Resistenza, Con cuore di donna. Capponi racconta la difficoltà nello stabilire un rapporto paritario con i compagni del Gap, la loro riluttanza a consegnarle un’arma (che infatti dovrà rubare a un soldato fascista su un autobus affollato), ma anche il vantaggio di essere una bella ragazza in grado di distrarre fascisti e tedeschi, unito alla costante minaccia della violenza sessuale.
Mimma BandieraChe fossero staffette o dinamitarde, lavandaie o tiratrici scelte, senza le donne non si sarebbe compiuta la Liberazione. “Non consideratemi diversamente da un soldato che va su un campo di battaglia”, dice una delle tante testimonianze che compongono La donna nella Resistenza, documentario del 1965 di Liliana Cavani. Il loro contributo, al pari delle altre “Resistenze dimenticate”, come quella degli Internati militari italiani o quella creola e jugoslava, non può e non deve essere archiviato come qualcosa di marginale. In un momento in cui la memoria della Liberazione è sempre più osteggiata, in cui il 25 aprile viene considerata una festa “divisiva”, non possiamo permetterci il lusso di una memoria parziale.
Da Jennifer su The Vision
1 note
·
View note
Photo
"L'Agnese disse: Dopo sarà un'altra cosa. Io sono vecchia, e non ho più nessuno. Ma voialtri tornerete a casa vostra. Potrete dirlo, quello che avete patito, e allora tutti ci penseranno prima di farne un'altra, di guerre. E a quelli che hanno avuto paura, e si sono rifugiati, e si sono nascosti, potrete sempre dirla la vostra parola; e sarà bello anche per me. E i compagni, vivi o morti, saranno sempre compagni. Anche quelli che non erano niente, come me, dopo saranno sempre compagni, perché potranno dire: ti rammenti questo, e quest'altro? Ti rammenti il Cino, e Tom, e il Giglio, e Cinquecento... Con quei nomi di morti, si rimisero a parlare di loro, ma non della morte: ne parlarono coi ricordi di prima, come se fossero vivi." "L' Agnese va a morire" di Renata Viganò (1949) Anna e Lucio, amori miei sacri, oggi è il giorno più importante e bello della storia del paese in cui viviamo. Della nostra storia. Oggi è il giorno in cui Luke e i suoi compagni hanno fatto esplodere la Morte Nera, Frodo e i suoi compagni hanno scacciato Sauron distruggendo l'anello, Harry Potter e i suoi compagni hanno sconfitto Voldemort. È il giorno in cui Ponyo e Sosuke si sono finalmente abbracciati, in cui Mei e Satsuki sono volati via con Totoro dall'ospedale, in cui Anna, Elsa e i loro amici hanno liberato Arendelle, in cui i Minions, insieme ai loro amici, hanno smascherato il Macho e sono tornati gialli, come il sole. Oggi è quel giorno lì, e lo sarà per sempre. Il giorno in cui c'è stato e sempre ci sarà il sole. Ricordate che, anche se ci saranno le nuvole, la pioggia, la tormenta, ogni 25 Aprile, quel sole sarà sempre lì, a scaldarci e a illuminarci, a ricordarci che "libertà" è solo una parola e che senza un'azione quotidiana per raggiungerla non la si otterrà mai, tantomeno ne si percepirà mai il valore. Perciò, oggi e sempre, insieme ai nostri amici, ai nostri compagni, nella memoria di chi riposa tra le stelle, festeggiamo ed auguriamo a tutti una Buona Festa della Liberazione. #25aprile #festadellaliberazione #crescerepartigiani #bellaciao (presso Milan, Italy)
0 notes