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Rivoli (Torino) dedica uno spazio al Beato Rolando Maria Rivi, giovane martire e protettore dei seminaristi
Fratelli d’Italia propone l’intitolazione di un’area cittadina al seminarista martire, un simbolo di fede e dedizione per i giovani di oggi
Fratelli d’Italia propone l’intitolazione di un’area cittadina al seminarista martire, un simbolo di fede e dedizione per i giovani di oggi. Il 28 ottobre 2024, il gruppo consiliare di Fratelli d’Italia di Rivoli ha presentato una mozione per intitolare uno spazio cittadino al Beato Rolando Maria Rivi, giovane seminarista ucciso a soli 14 anni durante la Seconda Guerra Mondiale per la sua fede.…
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By Jean Marie Carey
On 20 August 1858 Charles Darwin first published his theory of evolution through natural selection in The Journal of the Proceedings of the Linnean Society of London. No other scientist is more closely identified with art, and, contrary to the notion that evolution places theology and biology at odds, at the time of Darwin’s research, his work was received with pleasure by European culture, particularly by Italian artists who already had a long history of combining a love of aesthetics with the quest for empirical knowledge.
In fact Darwin’s impact on the visual arts in Italy was immediate, integrating these new ideas about the natural world into the creation of spectacular artefacts, including representations Darwin and his subsequent book, 1859’s Origine della Specie, and interpretations of the English botanist’s phylogenetic charts and diagrams, annotated with what was already the language of the biological sciences, Latin. Illustrator,s architects, and sculptors embellished their work for churches with elaborate drawings, lush foliage carvings, and polychromatic marble friezes that celebrated a natural world still seen as a manifestation of the divine, prefiguring Art Nouveau and Jugendstil.
Reference: Martin Kemp and Craig Ashley Hanson. "Science and art." Grove Art Online. Oxford Art Online. Oxford University Press, accessed August 14, 2017, http://www.oxfordartonline.com/subscriber/article/grove/art/T076962.
Leonardo da Vinci, Star of Bethlehem, c.1506-8. Windsor Castle. Royal Library.
Ernst Haeckel, Latin inscriptions in Pyhlogenetic tree I. Tree of Life from Generelle Morphologie der Organismen. Allgemeine Grundzr organischen Formen-Wissenschaft, mechanisch begr. durch die von Charles Darwin reformirte Descendenz-Theorie, 1866. Division of Rare and Manuscript Collections, Cornell University Library, RMC2004_2228.
Stefano Buonsignori, Polyhedral Dial (timekeeping device), c. 1550. Istituto e museo di storia della scienza, Florence
Medardo Rosso, Ecce Puer, 1906. The Metropolitan Museum of Art. Nr. 5724.
Paolo de' Matteis, An Allegory of Divine Wisdom and the Fine Arts, c. 1680. The J. Paul Getty Museum at the Getty Center, Los Angeles.
Mural showing Darwin and his books, c. 1890 at the Museo di Anatomia Umana dell'Università di Torino.
Further Reading: Hugh Ridley. Darwin Becomes Art: Aesthetic Vision in the Wake of Darwin: 1870-1920. New York: Editions Rodopi, 2014. h
Joseph Carroll. Darwin's Bridge: Uniting the Humanities and Sciences. New York, NY: Oxford University Press, 2016.
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29 APR 2019 10:41
L’UOMO CHE CI HA CAMBIATO LA VITA – PARLA FEDERICO FAGGIN, IL PAPA’ DEL MICROCHIP E DEL TOUCHSCREEN: “VENNE GIUDICATO INUTILE. LO CAPÌ SOLO LA APPLE, MA VOLEVA L'ESCLUSIVA. ERA ASSURDO, NON ACCETTAMMO. JOBS ANDÒ AVANTI PER LA SUA STRADA E RIUSCÌ A REALIZZARLO IN CASA. PER NOI FU TANTA MANNA…” – "BILL GATES E STEVE JOBS? UOMINI DI GRANDE GENIO MA CON LORO SENTIVO DI AVERE POCO IN COMUNE. ERANO COMPETITIVI FINO ALL'ESTREMO” - IL LIBRO
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Pier Luigi Vercesi per il “Corriere della Sera”
Il nostro mondo, fatto di personal computer, smartphone e Internet, si è sviluppato grazie a due invenzioni: il microprocessore e il touchscreen, vale a dire il cuore e la pelle di strumenti diventati familiari. Federico Faggin, quante persone sanno, in Italia e nella sua Vicenza, dove è nato nel 1941, che quelle invenzioni sono sue?
«Credo poche, forse gli esperti o chi ha visitato il Computer History Museum di Mountain View. Però è comprensibile. Ho passato la mia vita lavorando dieci ore al giorno, spesso anche il sabato e la domenica, cercando soluzioni a problemi tecnici e scientifici che mi appassionavano. Mio padre raccontava che, a cinque anni, corsi da lui sconsolato: "Papà, voglio inventare delle cose ma sono già state inventate tutte!". Ho cominciato prestissimo a smontare oggetti per capire com' erano fatti e a costruirne di nuovi con materiali di risulta. Poi, un giorno, vidi un modellino d' aereo che volava e venni folgorato».
È cresciuto in una famiglia di scienziati?
«Scherza? Mio padre era professore di storia e filosofia al liceo classico di Vicenza e prese la libera docenza all' Università di Padova. Ha scritto quaranta libri dottissimi e tradotto le Enneadi di Plotino. Mio fratello maggiore studiava Lettere ed era appassionato di storia dell' arte. Vivevano con l' idea che il mondo va avanti troppo in fretta. Si immagini come la prese mio padre quando gli dissi che volevo iscrivermi all' istituto tecnico industriale per imparare a costruire aerei? Una scelta di serie B!
Alla fine si convinse perché alle medie non ero brillantissimo, avevo solo voglia di chiudere i libri e mettermi a costruire. Però avevano chiuso la specializzazione in aeronautica e dovetti scegliere l' indirizzo in radiotecnica. Appena diplomato mi assunsero alla Olivetti, l' azienda più all' avanguardia in Italia, e mi resi conto di come girava il mondo. Se hai idee nuove e non sei un ingegnere, è impossibile farti prendere sul serio. Dopo un anno tornai da mio padre e dissi che volevo licenziarmi per iscrivermi all' università, a Fisica. "Sei matto? Guadagni più di me". Era vero. Temeva che non ce la facessi, perché alcuni dei suoi migliori studenti ci avevano provato e avevano desistito. Mi laureai con 110 e lode».
Fu allora che decise di trasferirsi in America? Cominciava la fuga dei cervelli?
«Fu casuale. Ero un ragazzo di provincia e degli Stati Uniti conoscevo poco. Trovai lavoro presso la SGS, un' azienda nella brumosa Agrate Brianza. Avevano la licenza per fabbricare i circuiti integrati della Fairchild, la società di semiconduttori più all' avanguardia nel mondo, con sede a Palo Alto, e alla fine del 1967 mi chiesero se ero interessato a partecipare a un programma di scambio di ingegneri della durata di sei mesi. Nel febbraio del '68, io e mia moglie Elvia sbarcammo, in piena fioritura, nella valle di Santa Clara. La Silicon Valley era, allora, un' immensa distesa di orti e frutteti».
Fu lì che la sua idea, il microprocessore, aprì le porte alla rivoluzione tecnologica?
«Avvenne all' Intel, dove venni assunto nell' aprile del 1970. Fino ad allora i calcolatori erano macchine enormi che funzionavano grazie a transistori ingombranti, lenti, costosi e poco affidabili. Io realizzai un microprocessore, vale a dire un computer con un briciolo d' intelligenza, piccolo, a buon mercato, che consumava poco e affidabile. Si apriva un' autostrada per tutti: quell' oggetto, sempre più minuto, poteva essere utilizzato per qualsiasi applicazione. I giocattoli elettronici, ad esempio, prima non si potevano costruire perché il computer che li azionava era più grande dei giocattoli stessi».
Mi sta dicendo che l' intervista via Skype che le sto facendo, io a Milano e lei in California, non sarebbe possibile senza la sua invenzione?
«Sì, assolutamente. E anche il telefonino con cui lei sta registrando il nostro colloquio non avrebbe visto la luce. Nemmeno la chiavetta USB che magari tiene in tasca. Poi, certo, non l' avessi inventato io, prima o poi ci sarebbe arrivato un altro».
Lei è, in sostanza, il mago del piccolo...
«Andiamoci piano con la parola mago. Sono un ricercatore che quando vede un problema apparentemente irrisolvibile non si dà pace fino a quando non ha trovato una soluzione. E non sempre ci riesce».
Non fosse andato a Palo Alto, in Italia sarebbe stato tutto più complicato, o sbaglio?
«Non creda che negli Stati Uniti sia tutto rose e fiori. Mi scontrai subito con la sindrome NIH, vale a dire Not Invented Here (non inventato qui). Nelle grandi imprese vi sono diversi gruppi di lavoro e ciascuno di questi, per principio, si rifiuta di mettere in pratica l' invenzione di un altro, anche se avvenuta all' interno della stessa azienda. Così impieghi più tempo a far accettare la scoperta che a farla. Inoltre, la ricerca e la realizzazione dei prototipi richiedono investimenti e i soldi li ottieni solo dimostrando che quell' invenzione farà decollare i fatturati. Dovendomi occupare anche della parte imprenditoriale dei miei progetti, tanto valeva mettermi in proprio».
Ha mai incontrato Bill Gates e Steve Jobs?
«Sì, certo. Uomini di grande spessore e genio ma con i quali sentivo di avere poco in comune. Erano competitivi fino all' estremo. Dovevano vincere a qualsiasi costo. Qui dove vivo, in California, ho fatto qualche esperienza "ravvicinata": con un puma, con un branco di coyote, venne persino avvistato un nido di serpenti a sonagli. Ma non mi sono mai sentito tanto in pericolo come quando ho avuto a che fare con manager che dovevano per forza essere i primi. Negli anni Ottanta, con una delle mie società realizzai un prototipo di telefono che, collegato al personal computer, risolveva molti dei problemi che si ponevano ogni giorno ai manager, vale a dire programmare incontri, essere sempre in contatto con i propri dipendenti e così via.
Quell' anno, il 1984, vinsi il premio per l' idea più innovativa. Jobs mi fece i complimenti e disse: "Bello, ma troppo ingombrante". Aveva ragione, e molto più tardi nacque l' iPhone. Qualche tempo dopo, il mio gruppo di lavoro realizzò i prototipi del touchpad e del touchscreen, destinati il primo a soppiantare il mouse e il secondo a realizzare telefonini più efficaci. Il touchpad venne subito adottato nei computer portatili, mentre il touchscreen, presentato più tardi a società di telefonia, venne giudicato inutile. Lo capì solo la Apple, ma voleva l' esclusiva. Era assurdo, non accettammo. Jobs andò avanti per la sua strada e riuscì a realizzarlo in casa. Per noi fu tanta manna: iPad e iPhone aprirono un mercano immenso e chi prima ci aveva snobbati, venne poi ad acquistare i prodotti da noi».
Come se la cavò da imprenditore?
«Uscito dall' Intel fondai la Zilog: nel 1976 eravamo in 11 e non sapevamo come pagarci gli stipendi. Nel 1979 avevamo assunto 1.100 persone e aperto fabbriche in giro per il mondo. Nel frattempo era avvenuta la rivoluzione.
La Apple aveva aperto il mercato dei personal computer per i privati; l' IBM la seguì a ruota per il mercato aziendale, finendo così per perdere il controllo della situazione e rischiando addirittura di fallire. Aveva gettato una bomba senza accorgersi di averla lanciata troppo vicino e ora si stava prendendo tutte le schegge. Comprai a 12 dollari azioni IBM che in passato avevano raggiunto quota 200».
Lei era ormai un uomo ricco...
«Vendetti la Zilog e fondai altre start up.Avevo guadagnato abbastanza da smettere di lavorare, ma il mio motore non sono i soldi. Nel 1986 cominciai a interessarmi di intelligenza artificiale utilizzando le reti neurali. Dicevano che erano stupidaggini, fantascienza.
Nel frattempo, però, dentro di me stava accadendo qualcosa. In base ai parametri sociali dominanti, avevo raggiunto tutto ciò che occorreva per essere felici. Invece ero più insoddisfatto di quando avevo cominciato. Avevo contribuito a creare macchine che, secondo la vulgata comune, prima o poi avrebbero fatto meglio dell' uomo. Ma proprio questo materialismo, secondo il quale tutto si risolve sul mercato, mi sospingeva in una profonda crisi».
Non credo che la Fisica potesse venirle in soccorso. Forse la filosofia di suo padre?
«Sbaglia. Da allora, grazie alla Fisica quantistica, ho aperto gli occhi, ho avuto come un risveglio. Con mia moglie ho creato una fondazione che si occupa della natura della "consapevolezza". E non credo si tratti di un problema filosofico. Studiando le neuroscienze mi sono convinto che nessun segnale elettrico potrà mai generare emozioni. Quindi, al contrario di quanto sostiene la maggioranza degli scienziati, sono certo che il computer non potrà mai essere consapevole».
Cos' è la consapevolezza?
«Il mondo che osserva se stesso. La natura della consapevolezza è qualcosa di assolutamente straordinario. Ne hanno capito di più i mistici degli scienziati, ma solo perché questi ultimi hanno cominciato a pensare come macchine, e il mondo interiore controlla il comportamento esteriore. Ecco il dramma del nostro tempo: se ci convinciamo di essere macchine finiremo per diventare macchine, riducendo l' universo a formule matematiche senza senso. L' altro grande problema è quell' idea che ci ha inculcato Darwin: il più forte vince sempre e si prende tutto. Ha contribuito a svilire ogni valore di umanità».
Lei cerca di smontare ciò che ha contribuito a costruire. Si sta forse rivolgendo più alla religione che alla scienza?
«Non sono anti-scientifico: la scienza ci porta più vicini alla verità, le religioni ci portano più vicini alle guerre. Non intendo sostituire dogmi con altri dogmi, voglio solo esplorare, con metodo scientifico, una verità più vasta, quella spirituale, ancora sconosciuta perché la scienza sostiene non sia di sua competenza».
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Publications
Books
2018 Hypersocial: A Genealogy of Digital Social Networks. (Minneapolis, University of Minnesota Press, forthcoming)
2004 Network culture: politics for the information age. London and New York: Pluto Press, 2004. ISBN 0745317480 (translated as Cultura network: micropolitca dell’informazione. Manifestolibri, 2006, ISBN: 8872854539, pp. 1-224
1996 Corpi Nella Rete: Interfacce multiple, cyberfemminismo e agora' telematica. Genova, Costa & Nolan, 1996, pp.5-78., ISBN: 8872854539
Special Issues (Curatele)
2015 Terranova, T., Amendola, A. e Mezzadra, S. (a cura di) Special Section Theory Culture and Society 'Eurocrisis, Neoliberalism and the Common' December 2015, Vol. 32, pp.5-99, ISSN: 0263-2764
2014 Chambers, I. e Terranova T. (a cura di) Inflections of Technoculture: Biodigital Media, Postcolonial Theory and Feminism. Special Issue Anglistica, Vol. 19.1.2015 (http://www.anglistica-aion-unior.org/), ISSN 2035-8504
2012 Lury, C, Parisi L, Terranova T (a cura di) (2012). Topologies of Culture. THEORY CULTURE & SOCIETY, Di Lury, C; Parisi L; Terranova T. vol. 29, LONDON:SAGE, ISSN: 0263-2764
2011 TERRANOVA T., SASSATELLI ROBERTA, DE MARIA CRISTINA. (2011). STUDI VISUALI.(vol. 2, pp. 147-346). ISBN: 97881514749-3. BOLOGNA: Il Mulino. Numero speciale della rivista Studi Culturali.
2009 VENN C, TERRANOVA T.. (2009). “Special Issue on Michel Foucault.” Theory, Culture and Society (vol. 26-6, pp. 1-272). ISBN: 0263-2764. LONDRA: sage (UNITED KINGDOM).
Articles in Refereed Journals
2015 'Introduction to Neoliberalism, Eurocrisis and the Common' (2015) in Theory, Culture and Society, December 2015, vol. 32, pp. 5-23
2014 (with Iain Chambers) 'Introduction: Inflections of Technoculture' in Chambers, I. e Terranova T. (a cura di) Inflections of Technoculture: Biodigital Media, Postcolonial Theory and Feminism. Special Issue Anglistica, Vol. 19.1.2014 (http://www.anglistica-aion-unior.org/), ISSN 2035-8504, pp. 1-18,
2012 Lury C, Parisi L, Terranova T (2012). 'Introduction: The Becoming Topological of Culture'. THEORY CULTURE & SOCIETY, vol. 29, pp. 3-25, ISSN: 0263-2764
2012 'Attention, Economy and the Brain' (Culture Machine, Vol 13 (2012)) (http://www.culturemachine.net/index.php/cm/article/viewArticle/465)
2011 with Michaela Quadraro “Cultura Visuale e Razzismo. Politiche della rappresentazione e dell'affetto da Isaac Julien a Wafaa Bilal.” In Studi Visuali, numero speciale Studi Culturali, vol. 2, agosto 2011, ISBN 9788815147493, pp. 231-253.
2009 (with Couze Venn) “Introduction: Thinking After Michel Foucault”. In Theory, Culture and Society vol. 26-6, pp. 1-11. (2009), ISSN: 0263-2764
2009 “Another Life: the nature of political economy in Foucault's genealogy of biopolitics”. In Theory, Culture and Society vol. 26-6, pp. 234-265. (2009), ISSN: 0263-2764
2009 “Asimmetria dell'icona: memoria, rivoluzione e teocrazia in Leggere Lolita a Teheran” in parol: quaderni d’arte e di epistemologia, vol. 19, ISSN 91126-7224, pp. 70-77, 2009.
2007 “Failure to comply: bioart, security and the market” in Transversal: Multilingual Web Journal. Special issue ‘Art and Police’ ,10.2007, http://eipcp.net/transversal/1007/terranova/en
2007 ‘Futurepublic: on information warfare, bio-racism and hegemony as noopolitics” in Theory, Culture and Society, Vol. 24, No. 3, 125-145 (2007), ISSN: 0263-2764
2006 ‘Information’ supplement to Theory, Culture and Society, Problematizing Global Knowledge: Special Issue, vol. 23, numbers 2-3, March-May 2006, pp. 286-288, ISSN 0263-2764
2006 ‘Chain reactions: digital recombination and analogue dynamics’ in Anglistica A.I.O.N. Vo. 10, n. 1-2, pp. 375-390, (2006), ISSN: 0066-1805.
2004 “Communication without meaning: on the cultural politics of information’ Social Text 2004 22(3 80):51-73; ISSN 0164-2472
2001 (with Luciana Parisi) “A Matter of Affect: Digital Images and the Cybernetic Rewiring of Vision” in Parallax, 21, October-December 2001, pp. 122-127, ISSN 1353-4645
2000 "Free labor: producing culture for the digital economy" in Social Text, 63, Vol. 18, No. 2, Summer 2000, pp. 33/57. (reprinted/translated in Swedish as “Gratis arbetskraft. Att producera kultur för den digitala ekonomin, Fronesis N/R, 6-7), ISSN 0164-2472
2000 (with Luciana Parisi) "Heat Death: emergence and control in genetic engineering and artificial life" in Ctheory, Theory, Technology and Culture. Vol. 23, No. 1-2 Article 84[I] 05/10/00; (http://www.tao.ca/fire/ctheory/0119.html) (translated/reprinted in Italian as “Corpi turbolenti: emergenza e controllo nell’ingegneria genetica e vita artificiale” in Frontiere del Corpo, ed. by S. Carotenuto and A.M. Morelli, Napoli: Oedipus, 2003, · ISBN-13: 9788873410430)
1996 “Digital Darwin: Nature, Evolution and Control in the rhetoric of Computer Mediated Communications” New Formations ‘Technoscience’, No. 29, Autumn 1996, pp. 69-83.
1991 “Scrittura femminista e lascito paterno: H. G. Wells e Joanna Russ” ("Feminist writing and Paternal Heritage: H. G. Wells and Joanna Russ") in Anglistica, XXXIV, 1, Istituto Universitario Orientale, 1991, ISSN: 0066-1805.
1991 "Il soggetto impossibile: l’esplosione dei generi in The Female Man di Joanna Russ" (The impossible subject: the Explosion of Genres in Joanna Russ The Female Man). Anglistica, XXXIV, 2-3 Istituto Universitario Orientale, 1991, pp. 117-143., ISSN: 0066-1805.
Articles in books
2016 'A neomonadology of social (memory) production' in Ina Blom, Trond Lundemo, Eivind Røssaak eds Memory in Motion: Archives, Technology and the Social, (University of Amsterdam Press 2016) ISBN: 9789462982147, pp. 287-306
2016 ‘'Red Stack Attack: Algorithms, Capital and the Automation of the Common'’ inR. Bishop, K, Kensing, J. Parikka and E. Wilk eds. across and beyond . A transmediale Reader on Post-digital Practices, Concepts and Institutions. Berlin: Sternberg Press, pp. 202-220 (expanded version), ISBN 978-3-95679-289-2
2016 ‘Prefazione’ in G. Griziotti Neurocapitalismo: Mediazioni Tecnologiche e Linee di Fuga, Milano: Meltemi, pp. 11-14, ISBN 978-88-5753-082-6
2015 'Securing the Social: Foucault and Social Networks' in Sophie Fuggle, Yari Lanci and Martina Mazzioli (eds) Foucault and the History of Our Present. Houndsmill, Basingstoke, Hampshire: Palgrave Macmillan, pp. 111-130, ISBN 978-1-137-38591-8
2015 (con Luciana Parisi) ‘Presentazione del seminario svoltosi il 20 gennaio 2014 al Goldsmith College, Londra’ in Emanuele Braga e Andrea Fumagalli (a cura di) La moneta del comune: la sfida dell’istituzione finanziaria del comune. Roma: DeriveApprodi, ISBN 9788865481363
2015 ‘Moneta di silicio, moneta del comune’ in Emanuele Braga e Andrea Fumagalli (a cura di) La moneta del comune: la sfida dell’istituzione finanziaria del comune. Roma: DeriveApprodi, ISBN 9788865481363
2014 'Red Stack Attack: Algorithms, Capital and the Automation of the Common' in Armen Avanessian and Robin Mackay (eds) #Accelerate# : The Accelerationist Reader, Falmouth, UK: Urbanomic ISBN 978-0-9575295-5-7
2014 ‘Red Stack Attack! Algoritmi, Capitale e Automazione del Comune’ in M. Pasquinelli ed. Gli algoritmi del capitale. Accelerazionismo, macchine della conoscenza e autonomia del comune. Verona: Ombre Corte. Isbn 9788897522829, pp. 130-146
2013 (with Joan Donovan) 'Occupy Social Networks: the Paradoxes of Using Corporate Social Media in Networked Movements' in Geert Lovink and Miriam Rasch (eds) Unlike Us Reader: Social Media Monopolies and their Alternatives. Amsterdam: Institute of Network Cultures, ISBN: 978-90-818575-2-9, pp. 296-311
2013 'Ordinary Psychopathologies of Cognitive Capitalism' in Arne de Boever and Warren Neiditch (eds) The Psychopathologies of Cognitive Capitalism Part One. Berlin: Archive Books. ISBN 978-3-943620-04-7, pp. 45-68
2011 ‘Free Labor’ in Martin Lister and Seth Giddings (eds) The New Media and Technoculture Reader. London and New York: Routledge, ISBN-13: 978-0415469142, pp. 350-368
2010 “New Economy, Financialization and Social Production in the Web 2.0” in Andrea Fumagalli and Sandro Mezzadra (eds) Crisis in the Global Economy: Financial Markets, Social Struggles and New Political Scenarios. New York: Semiotext(e), ISBN 978-1584350873, pp. 153/170
2009 “Failure to Comply: bioart, security and the market” in Wolfgang Sutzl and Geoff Cox eds Creating Insecurity: art and culture in the age of security. New York: Autonomedia, 2009, ISBN 978-1-57027-205-9, pp. 187-198
2009 “New Economy, finanziarizzazione, produzione sociale” in Andrea Fumagalli e Sandro Mezzadra (a cura di) Crisi dell'economia globale: Mercati finanziari, lotte sociali e nuovi scenari politici. Verona: Ombre Corte, 2009 isbn 978-88-95366-35-7, pp. 135-150
2009 “ Network topology: a tendency to differ” In: ASCIONE G., MASSIP C. PERRELL J. Cultures of Change: Social Atoms and Electronic Lives. (pp. 116-120). ISBN: 978-84-92861-14-9. BARCELONA: Bookshops of Government of Catalonia (SPAIN).
2009 “Together Forever” in Josephine Berry Slater and Pauline van Mourik Broekman (eds) Proud to Be Flesh: A Mute Magazine Anthology of Cultural Politics After the Net. New York and London: Mute Publishing in Association with Autonomedia, pp. 244-245, ISBN 978-1-906496-28-9
2009 (with Marc Bousquet) “Re-composing the University” in Josephine Berry Slater and Pauline van Mourik Broekman (eds) Proud to Be Flesh: A Mute Magazine Anthology of Cultural Politics After the Net. New York and London: Mute Publishing in Association with Autonomedia, pp. 447-458, ISBN 978-1-906496-28-9
2008 “Cyberculture and New Media” in Tony Bennett and John Frow ed. The Sage Handbook of Cultural Analysis. London: Sage, 2008, ISBN 978-0-7619-4229-0, pp. 587-607
2007 ‘Gilles Deleuze’ in John Scott (ed) Fifty key sociologists : the contemporary theorists.London : Routledge, 2007, ISBN 0415352568
2006 ‘Of sense and sensibility: immaterial labor in open systems’ in Geoff Cox, Joasia Krysa and Anya Lewin (eds) Curating, Immateriality, Systems: On Curating Digital Media. (Data Browser series, New York: Autonomedia, 2006), pp. 27-36 ISBN 1570271739
2004 ‘Chain reactions: digital recombination and analogue dynamics’ in Laura Borràs ed. Under construction: Literaturas digitales y aproximaciones teóricas, (Barcelona: Ediuoc, 2004)
2003 (with Sally Wyatt and Graham Thomas) “They came, they surfed, they went back to the beach: conceptualising use and non-use of the Internet” in Steve Woolgar (ed) Virtual Society? Get Real!: Technology, Cyberbole, Reality (Oxford University Press, 2003), pp. 23-40.,ISBN 978-0199248766
2001 "Of systems and networks: digital regeneration and the pragmatics of postmodern knowledge" in Jeremy Gilbert and Timothy Bewes (eds) Cultural Capitalism. Politics After New Labour. Lawrence and Wishart, 2001, pp. 117-133, 978-0853159179
2001 “Demonstrating the globe: virtual action in the network society” in David Holmes ed. Virtual Globalization: Virtual Spaces/Tourist Spaces. London: Routldge (Routledge Advances in Sociology Series), 2001, pp. 95-113. ISBN 978-0415236737
2000 “Posthuman Unbounded: artificial evolution and high-tech subcultures.” in G. Robertson et al (eds) FutureNatural London: Routledge, 1996, pp. 165-180, 978-0415070140 (re-printed in Daniel Bell and Barbara M. Kennedy (eds) The Cybercultures Reader. London: Routledge, 2000)
2000 “Infallible Universal Happiness: media technology and creativity.” in A. Dimitrakaki, P. Skelton and M. Tralla (eds) Private Views: Space Re/cognized in Contemporary Art from Estonia and Britain. The Women’s Art Library, 2000, pp. 110-120.
1996 “Interview to Michelle Pole of the Advance Party” (anthology dedicated to international rave culture and anti-Criminal Justice Act activism), in Rave Off. Roma: Castelvecchi, 1996.
1993 “Tecnologia e natura in The Cloning of Joanna May di Fay Weldon” (“Technology and Nature in Fay Weldon’s The Cloning of Joanna May”). in Oriana Palusci (ed) Femminismo e Fantascienza. (Feminism and Science Fiction). Torino, 1993.
Published conference papers
2003 ""Open Networks: electronic publishing and the instability of cyberspace" in Acts of the E-Literature Symposium, Open University of Catalunya Press, 2003
1994 “Cyber-catastrophes: the sinful technology of Pat Cadigan”, Acts of the XII International Biennal Conference: Technology and the American Imagination.. Venice
Reviews
2014 'The (European) Posthuman Predicament. Rosi Braidotti's The Posthuman and the Future of the Humanities' in Chambers, I. e Terranova T. (a cura di) Inflections of Technoculture: Biodigital Media, Postcolonial Theory and Feminism. Special Issue Anglistica, Vol. 19.1.2014 (http://www.anglistica-aion-unior.org/), ISSN 2035-8504, pp. 190-197
2009 “Masculine Holes: A Review of Galloway and Thacker’s The Exploit’ in Radical Philosophy, July-August 2009
2005 After the Cyborg: a Review of Luciana Parisi’s Abstract Sex&
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Fahrenheit 451 finisce sul più bello
«Benvenuto tra noi dal regno dei morti.»
Montag fece un cenno di assenso e Granger riprese: «Tanto vale che tu faccia la conoscenza di noi tutti, ora. Questo è Fred
Clement, ex titolare della cattedra Thomas Hardy nell'Università di Cambridge, prima che questa diventasse un Istituto di Tecnologia Atomica. Quest'altro è il prof. Simmons dell'University College, Los Angeles, specialista delle Opere di Ortega y Gasset; il professor West, qui, ha svolto una bell'attività nel campo dell'etica, ch'è una disciplina antichissima, ormai, per la Columbia University molti anni or sono. Quanto al Reverendo Padover, questo qui, nel dare una serie di conferenze, una trentina d'anni fa, perse tutto il suo gregge, per le idee esposte, da una domenica all'altra. Fa il vagabondo con noi già da parecchio tempo. Quanto al sottoscritto: pubblicai un libro intitolato: Le Dita nel Guanto; del Giusto Rapporto tra l'individuo e la Società, per cui, eccomi qua, come vedi. Benvenuto, Montag!»
«Ma io non appartengo al vostro mondo» disse finalmente Montag, lentamente. «Io sono stato solo un idiota per tutta la mia vita!»
«Oh, siamo avvezzi a cose del genere. Tutti noi abbiamo commesso la specie giusta di errori, diversamente non saremmo qui. Quando eravamo singoli, separati individui, non avevamo altro che una gran rabbia in corpo. Io presi a pugni un milite del fuoco, venuto a bruciare la mia biblioteca, anni fa. Da allora, sono un fuorilegge. Vuoi dunque essere dei nostri, Montag?»
«Sì.» «Che cosa hai da offrire?» «Nulla. Credevo di avere parte dell'Ecclesiaste e forse un po' dell'Apocalisse da dare, ma ormai non ho nemmeno più questi.»
«Il Libro dell'Ecclesiaste sarebbe una cosa magnifica. Dove lo avevi?» «Qui» e Montag si toccò la fronte. «Ah» sorrise Granger, annuendo. «Che cosa c'è di male? Non è giusto, forse?» disse Montag. «Più che giusto: perfetto!» Granger si volse al Reverendo: «Abbiamo un Libro dell'Ecclesiaste?»
«Uno solo. Presso un certo Harris, a Youngstown.» «Montag», e Granger strinse forte la spalla di Montag. «Sii prudente. Abbi cura della tua salute. Se dovesse succedere qualcosa a Harris, tu sei il Libro dell'Ecclesiaste. Vedi come sei diventato importante da un minuto a questa parte?»
«Ma non me lo ricordo più!»
«No, niente mai si perde veramente. E poi conosciamo qualche sistema per liberarti dei tuoi disturbi di trasmissione.»
«Ma ho già tanto cercato di ricordare!»
«Non sforzarti oltre. Ti ritornerà in mente, quando ne avremo bisogno. Tutti noi abbiamo la memoria fotografica, ma sprechiamo l'intera esistenza a imparare a rimuovere le cose che in questa nostra memoria si contengono. Il nostro Simmons, qui, ha lavorato per vent'anni sul problema ed ora abbiamo il metodo mediante il quale ricordare tutto quanto s'è letto una volta. Ti piacerebbe, uno di questi giorni, Montag, leggere la Repubblica di Platone?»
«Ma certo!»
«Sono io la Repubblica di Platone. Vuoi leggere Marc'Aurelio? Il professor Simmons è Marc'Aurelio.»
«Molto lieto» disse Simmons. «Piacere» disse Montag. «Voglio presentarti Jonathan Swift, autore di quel malvagio libro politico, I Viaggi di Gulliver! E quest'altro è Charles Darwin, e questo è Schopenhauer, e questo è Einstein, e questo al mio fianco è il signor Albert Schweitzer, un pensatore di gran cuore, davvero! Qui ci siamo tutti, Montag: Aristofane, il Mahatma Gandhi, Gautama Buddha, e Confucio, Thomas Love Peacok, Thomas Jefferson, Lincoln, se permetti. Siamo anche Matteo, Marco, Luca e Giovanni.»
Tutti intorno risero sommessamente. «Impossibile» disse Montag. «Oh, possibilissimo, anzi!» rispose Granger con un sorriso. «Perché anche noi siamo dei bruciatori di libri. Leggevamo i libri e poi li bruciavamo, per paura che ce li trovassero in casa. I microfilm non servivano, eravamo sempre in viaggio, non volevamo dover sotterrare il film in attesa di ritornare. Sempre il rischio di essere scoperti! Meglio tenersi tutto quanto in testa, dove nessuno può venire a vedere o sospettare nulla! Noi siamo tutti pezzi e bocconi di storia, letteratura, codice internazionale, Byron, Tom Paine, Machiavelli o Gesù Cristo, ecco tutto. Ed è tardi. Ed è scoppiata la guerra. E noi siamo qui, nella foresta, e la città è laggiù, tutta avvolta nel suo mantello di mille colori. Che cosa pensi, Montag?»
«Penso che devo essere stato un demente nel cercar di ottenere le cose coi miei metodi, seminando libri nelle case degli incendiari per poi denunciarli.»
«Tu hai fatto quello che dovevi fare. Il sistema, se applicato su scala nazionale, avrebbe dato ottimi risultati. Ma il nostro metodo è più semplice e, crediamo, migliore. Tutto quello che vogliamo fare è di conservare intatta, al sicuro, la cultura che pensiamo ci occorrerà. Non abbiamo nessuna intenzione per il momento di incitare o infuriare chicchessia. Perché se saremo uccisi, la cultura sarà distrutta forse definitivamente. Noi siamo cittadini modello, nel nostro modo speciale; percorriamo gli antichi binari, dormiamo la notte sulle colline e la popolazione delle città ci lascia vivere. Ogni tanto, siamo fermati e frugati, ma non abbiamo nulla sulle nostre persone che possa incriminarci. La nostra organizzazione è flessibile, molto elastica e articolata; alcuni di noi hanno subito interventi di chirurgia plastica sul volto e sui polpastrelli. Ora abbiamo un compito orribile a cui attendere: aspettare che la guerra cominci ad essere combattuta e con la stessa rapidità giunga alla sua consumazione. Non è piacevole, ma d'altra parte noi siamo il Governo, noi siamo la minoranza degli strambi che gridano nel deserto. Quando la guerra sarà finita, forse potremo essere di qualche utilità al mondo.»
«Credi davvero che allora il mondo ascolterà?»
«Se non ascolterà, dovremo semplicemente aspettare ancora. Trasmetteremo i libri ai nostri figli, oralmente, e lasceremo ai nostri figli il compito di fare altrettanto coi loro discendenti. Naturalmente, molte cose andranno perdute, con questo sistema. Ma non puoi obbligare la gente ad ascoltare, se non vuole. Dovrà tuttavia venire a noi a suo tempo, chiedendosi che cosa esattamente sia accaduto e perché il mondo sia scoppiato in aria sotto il suo governo. Non può durare così.»
«Ma in quanti di voi altri siete?»
«A migliaia, sulle autostrade, lungo le ferrovie abbandonate, vagabondi all'esterno, biblioteche dentro. Non è una cosa che sia stata progettata fin dal principio. Ognuno aveva un libro che voleva ricordare e che ha ricordato. Quindi, per un periodo di circa vent'anni, ci siamo incontrati, durante le nostre peregrinazioni, connettendo così la nostra amplissima ed elastica rete e gettando le basi di un piano. La cosa più importante che abbiamo dovuto piantarci duramente in testa fu che noi non contavamo, non eravamo importanti, non dovevamo considerarci e non dovevamo essere dei maestri: non dovevamo sentirci superiori a nessuno al mondo. Non siamo che sopracoperte di volumi, privi d'ogni altra importanza che non sia quella d'impedire alla polvere di seppellire i volumi. Alcuni dei nostri vivono in piccole città, in paesi e villaggi: il Capitolo Primo, il Walden di Thoreau, abita a Green River, il Capitolo Secondo a Willow Farm, Maine; diamine, c'è un paesino nel Maryland, con soltanto ventisette abitanti, nessuna bomba colpirà mai quel villaggio, che rappresenta la raccolta completa dei Saggi di un uomo chiamato Bertrand Russell. E quando la guerra sarà finita, uno di questi giorni, o uno di questi anni, si potranno riscrivere i libri, e la gente sarà chiamata, le persone verranno ad una ad una a recitare quello che sanno e noi ristamperemo ogni cosa, fino a quando le tenebre di un nuovo Medio Evo non ci costringeranno a ricominciare tutto da capo. Ma questa è la cosa meravigliosa dell'uomo: che non si scoraggia mai, l'uomo, o non si disgusta mai fino al punto di rinunciare a rifar tutto da capo, perché sa, l'uomo, quanto tutto ciò sia importante e quanto valga la pena di essere fatto.»
Tratto da “Fahrenheit 451″, di Ray Bradbury.
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