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#iperconnessione
aitan · 2 years
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Le nuove generazioni non possono essere lasciate sole davanti ad uno schermo che le separa dal mondo fisico e le connette con una realtà sempre più digitalizzata e priva di contatti concreti e tangibili.
youtube
Il video nasce all'interno di un progetto di cui vi parlo qui
Ed è parte di un sito web dedicato alla cittadinanza digitale.
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serial-traveler · 4 years
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#Oltre la metà degli italiani non riesce a disconnettersi e guarda notifiche di email e social media non appena si sveglia
La difficile situazione sanitaria ha influito sulla routine quotidiana di un numero considerevole di utenti tricolore. #NoNewsMagazine #NNMag #NNMagazine #disconessione
MioDottore ha condotto un’indagine tra gli italiani volta a esplorare come la pandemia abbia influito non solo sul loro stile di vita, ma anche sul loro approccio nei confronti della tecnologia e la loro propensione a mettersi in modalità offline, evidenziando difficoltà e benefici del disconnettersi. Continue reading
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my-edicola-aldini · 4 years
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su LIVE numero 7, in allegato oggi con il quotidiano La Repubblica, si parla di come è cambiata la nostra vita dopo i mesi di iperconnessione durante la pandemia, si parla di animali e di come ci cambiano l'esistenza quando entrano nella nostra vita, si legge di come faccia bene svegliarsi presto e fare movimento, anche solo camminare, le letture estive e tanto altro ancora #live #larepubblicaedizioni #pandemia #iperconnessione #iperconnessi #animali #animalifantastici #amicipelosi #amicizia #libri #edicolaaldini #quartierenavilebologna #viadicorticella #bolognina #bologna (presso Edicola Aldini) https://www.instagram.com/p/CDQvDimnitM/?igshid=1ox36l1de8qov
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ladypdd · 4 years
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Te ne sei mai accorta?
Cosa?
Da quando hai uno smartphone non scrivi più.
Ah
Davvero, non ci avevi mai pensato?
Ma io...
Davvero non ti sei resa conto che la connessione continua e incessante con tutti i tuoi "contatti", si chiamano così adesso, ti ha tolto un po' di te?
Non ci avevo...
Non ci avevi fatto caso? E cosa pensavi che fosse? L'alta marea? La luna calante? I pianeti in opposizione?
...
Forse startene un po' da sola. Forse. Non farebbe male alla tua anima.
Ma gli altri...?
Gli altri? Gli altri, se vogliono, lo capiranno. Non ti sembra che sia troppo pesante questa iperconnessione che ci rende onnipresenti agli altri, ma mai esclusivamente, intimamente con noi stessi?
Sì. Io in effetti...
E allora perché non spegni tutto per un po'? Hai forse paura di startene da sola con te stessa?
Chi non ce l'ha?
Gli stolti forse, ma non è questo il punto. Spegni quell'affare!
Va bene, va bene! Ma posso chiedere... un'ultima cosa?
Eh...
I gatti... Li posso tenere?
I gatti stanno bene, litigano tra loro, ma non muoiono di fame.
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levysoft · 4 years
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Il cielo sopra il porto era del colore di uno schermo televisivo sintonizzato su un canale morto. Con questa frase divenuta storia della letteratura inizia Neuromante, romanzo del 1984 considerato ancora oggi il manifesto della cultura cyberpunk. L’autore era un giovane scrittore che in breve divenne il simbolo di questa corrente della fantascienza letteraria: William  Gibson. La nascita di Neuromante è parte di una vita incredibile, iniziata il 17 marzo 1948 e che ha portato Gibson a confrontarsi in modo diretto con l’anima profonda degli States della seconda metà del ‘900.
Parlare della narrativa di William Gibson non significa disquisire solamente di cyberpunk. Pur essendo quest’ultimo una parte centrale nella sua carriera autoriale, si tratta di una tappa della vita del romanziere americano, che è arrivato alla definizione di questo genere grazie al suo vissuto personale. Può sembrare un’affermazione scontata, ma quando parliamo di cybperunk dobbiamo andare oltre la pura estetica per analizzare i tratti essenziali di questa sci-fi sociale, che sono presenti nelle opere di Gibson in modo evidente proprio grazie alle esperienze formative dello scrittore.
I primi anni di William Gibson
Nato a Conway, nella Carolina del Sud, William Gibson apparteneva a una famiglia della media borghesia, che viveva tra Conway e Wytheville, in Virginia, città natale dei genitori. Per via del lavoro del padre, Gibson ebbe un’infanzia movimentata, che trovò una prima stabilità quando in seguito alla morte accidentale del capofamiglia i Gibson si trasferirono definitivamente a Wytheville. Nei ricordi di Gibson, questa cittadina è uno spaccato dell’America del periodo:
“Un luogo in cui la modernità era arrivata in qualche modo, ma era ancora profondamente malvista”
In questo luogo, Gibson trova la propria evasione nella lettura di opere di fantascienza. Di carattere schivo e poco socievole, il futuro scrittore vede in queste avventure future una propria via di fuga, maturando la decisione di volere diventare scrittore. Gli studi, però, non sono particolarmente buoni, considerato che la maggior del tempo Gibson lo passa tra l’ascolto di musica e la lettura, avvicinandosi anche ai grandi maestri della Beat Generation, come Ginsberg, Kerouac e Burroughs.
Queste lettura sono una via di fuga per un ambiente che lo stesso Gibson definì chiuso e problematico, in cui non riusciva pienamente a integrarsi, lottando spesso con la madre, poco soddisfatta dai suoi risultati scolastici. Una situazione che si protrasse sino alla morte della madre di Gibson avvenuta nel 1966, in seguito alla quale abbandonò definitivamente gli studi e decise di girare il mondo, avvicinandosi sempre di più agli ambienti della controcultura, vagando per l’America e arrivando anche in Europa. Ma come ogni giovane americano del periodo dovette affrontare un momento di svolta: la chiamata alle armi per la Guerra del Vietnam.
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L’età adulta e la scoperta del mondo
Durante il colloquio con i reclutatori, William Gibson cercò di evitare di prestare servizio sostenendo che il suo unisco scopo nella vita fosse quello di provare qualunque sostanza di alterazione mentale esistente. Senza attendere il risultato del colloquio, Gibson prese un pullman per il Canada, in modo da sfuggire alla leva obbligatoria. Alla base della sua decisione non c’erano motivi di natura morale, ma la voglia, come disse lui stesso nel documentario biografico No Map for These Territories, di provare l’esperienza delle comuni hippie e di consumare erba.
“Quando iniziai a scrivere, mi vantai di avere evitato la leva quando non avrei dovuto. Fuggì in Canada con la vaga idea di sottrarmi alla leva, ma non era stato arruolato quindi non ricevetti mai la chiamata. Non so cosa avrei fatto se mi avessero chiamato, non ero totalmente in me all’epoca, ma se mi avessero arruolato, probabilmente avrei pianto e sarei partito. Anche se ovviamente non mi sarebbe piaciuto”
La sua esperienza canadese, comunque, fu traumatica. Gibson entrò in contatto con la comunità dei fuggiaschi americani, riscontrando una dilagante depressione, consumo di droghe e un alto tasso di suicidi. Nuovamente insoddisfatto, William Gibson si mise in viaggio con un’amica, Deborah Jean Thompson, con cui girò l’Europa, prima di tornare a Vancouver nel 1972 e mettere su famiglia con la Thompson.
Con l’arrivo del primo figlio, a badare alle spese fu la Thompson grazie a uno stipendio da insegnante, mentre Gibson cercava di contribuire con piccoli lavoretti, alternandoli allo studio presso la University of British Columbia, laureandosi in Letteratura Inglese. In questo periodo ricomparve la sua vecchia passione:
“Nel 1977, affrontando per la prima volta la paternità e una totale assenza di entusiasmo per qualunque cosa fosse ‘carriera’, mi ritrovai a rispolverare la mia vecchia passione per la fantascienza. Allo stesso tempo, arrivavano da New York e Londra delle nuove sonorità. Il Punk per me fu come l’esplosione di un proiettile a lento rilascio sepolto in profondità nel fianco della società da almeno un decennio, e lo presi come un segno. Così inizia a scrivere”
Il cyberpunk si stava iniziando a manifestare.
Sprawl, zaibatsu e iperconnessione
I primi lavori di Gibson erano ambientati in un futuro prossimo, i cui elementi principali erano la cibernetica e il cyberspazio. Ad animare le idee di Gibson era la coscienza maturata con la lettura dei grandi nomi della Beat Generation, cui si unì la percezione della vita economica e sociale americana. Come disse Bruce Sterling, altro nome celebre del cyberpunk, con Neuromente Gibson aveva compiuto un passo fondamentale nel definire l’anima del genere:
“Il suo stupefacente primo romanzo, Neuromante, che ha vinto tutti i premi del settore nel 1985 ha dimostrato la sua impareggiabile capacità di localizzare con precisione i punti nevralgici della società. L’effetto è stato quello di una scossa elettrica, che ha contribuito a svegliare la science fiction dal suo letargo dogmatico. Uscita dall’ibernazione, sta sbucando dalla sua caverna nella viva luce solare del moderno spirito dei tempi”
Il mondo futuro di Gibson comprendeva uno strapotere economico stratificato, in cui la tecnologia era divenuta un elemento di ulteriore divisione per la popolazione. Un fondamento della dialettica di Gibson, che lo stesso autore identificò in un principio:
“Il futuro è già arrivato. Solamente non è ancora stato uniformemente distribuito”
L’estetica cyberpunk definita da WilliamGibson e dai suoi sodali californiani, come Sterling, nasceva proprio da questo elemento. Figli della controcultura, gli autori cyberpunk dipinsero un mondo in cui le debolezze del presente darebbero divenute le basi di un futuro cinico e iniquo fatto di neon, zaibatsu e iperconnessione. Una definizione del domani che non era presente solamente in Neuromante, ma era comparsa già nei primi lavori di Gibson e rimase fedele a se stessa anche in altre opere, da Mona Lisa Cyberpunk a La notta che bruciammo Chrome.
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Attorno a questo ritratto del futuro, si sedettero anche altri autori che seguendo il sentiero tracciato da Gibson diedero vita a un movimento letterario visto come una rivoluzione della sci-fi non solo letteraria, ma anche cinematografica. Basandosi sugli scritti di Gibson modellò un nuovo immaginario visivo, come accaduto con Blade Runner.
Si discute spesso su chi sia il vero padre del cyberpunk, a chi si possa attribuire la paternità di questa profonda spaccatura in seno alla fantascienza tradizionale, e sebbene Gibson non sia l’inventore del termine, coniato nel 1983 da Bruce Bethke, è universalmente riconosciuta la sua fondamentale opera di definizione dei canoni del genere, come ricorda Sterling:
“Con Gibson sentiamo parlare un decennio che ha finalmente trovato la sua voce. Non è un rivoluzionario che batte i pugni sul tavolo, ma un rinnovatore dotato di spirito pratico. Sta aprendo i corridoi stagnanti della letteratura fantascientifica per farvi entrare l’aria fresca delle nuove conoscenze: la cultura degli anni ‘80, one la sua bizzarra e crescente integrazione di moda e tecnologia”
Nelle parole di Sterling si evidenza il dono di sintesi della prosa di Gibson, che trova un perfetto equilibrio tra l’immaginario e il possibile, anticipando alcune delle dinamiche socio-evolutive attuali, identificandole con quarant’anni di anticipo, grazie a un acuto senso del proprio tempo e osservando con occhio attento i fenomeni suoi contemporanei.
L’evoluzione del cyberpunk di Gibson
Una caratteristica che lo ha portato anche a evolvere il proprio concetto di cyberpunk. Il futuro ritratto nella Trilogia dello Sprawl non è rimasto un’entità monolitica, ma è mutato all’interno della narrativa di William Gibson, che nella Trilogia del Ponte e nel Ciclo di Bigend si emancipa da una visione iper-violenza e asservita alle dipendenza per assumere un tono più umanistico, perdendo anche il tratto tipico di iper-connettività in favore di un accesso alla rete più vicino a quello odierno.
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La valenza narrativa di William Gibson non rimase vincolata solo all’ambito letterario. Se uno dei suoi primi racconti, Johnny Mnemonic (1981), divenne la miglior rappresentazione del cyberpunk cinematografico nel film omonimo, non meno ambita era la verve narrativa del romanziere americano, considerato un innovatore. Al punto che anche una saga cinematografica del calibro di Alienaveva visto in lui un possibile rinnovatore, ma fu lo stesso Gibson a riconoscere un limite in questa potenziale collaborazione:
“Ho letto in seguito che i produttori mi avevano scelto non tanto con l’intento di ottenere da me una sceneggiatura efficace, quanto di ricavare dal mio lavoro una certa suggestione cyberpunk che potesse poi essere integrata nelle vera sceneggiatura scritta da qualcun altro.”
Un riconoscimento, se vogliamo, alla capacità analitica e di convergenza narrativa dello scrittore americano. William Gibson oggi si trova a vivere parzialmente in quel mondo da lui immaginato quarant’anni fa, che non ha smesso di osservare con sguardo attento:
“Io per primo ero sempre a dir poco perplesso per l’assenza negli anni Novanta di scenari men che meno ottimistici sullo sviluppo della rete. La parola ‘disruption’ era sulla bocca di tutti, la distruzione del mondo come lo conoscevamo era una prospettiva di cui tutti sembravano ben lieti. C’era una cera compiaciuta fiducia che questo cambiamento fosse una cosa buona di per sé. Mi colpiva – e mi lasciava ancora più perplesso – anche notare come le persone che più sostenevano queste opinioni fossero anche fan dei miei romanzi. Eppure, io ho sempre fatto di tutto per descrivere i risultati complessi e problematici di quelle tecnologie che hanno finito per assomigliare a internet”
Potete avventurarvi nel cyberpunk leggendo Cyberpunk: Antologia Assoluta, antologia che contiene anche Neuromante.
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tarditardi · 4 years
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8/6 "Il cyberbullismo tra lockdown e iperconnessione", la Società Umanitaria organizza un incontro, a partire dalle 18.00
Lunedì 8 giugno, dalle 18:00 alle 19:30, prende vita in streaming un interessante dibattito organizzato dalla Società Umanitaria: Il cyberbullismo tra lockdown e iperconnessione: aspetti giuridici e strategie di intervento scolastico, genitoriale ed individuale. Il passaggio improvviso e necessario ad uno stile di vita basato sul distanziamento fisico che si è reso obbligatorio per contrastare la pandemia da covid19 ha coinvolto tutti, comprese le famiglie con figli in età scolare. La rete è diventata dunque una risorsa necessaria per dare continuità a lavoro e studio ma nel contempo nuove ombre sono comparse sulla scena del quotidiano con tutte le conseguenti ripercussioni. Introduce avv. Maria Elena Polidoro Direttore Generale Società Umanitaria Modera dott.ssa Francesca Lovatelli Caetani giornalista Relatoridott. Paolo Landri sociologo  'Il lato oscuro della scuola digitale' avv. Monica Caruso esperta di diritto di  famiglia  " La violenza in rete, una trappola pericolosissima. Cyberbullismo e sexting. Responsabilità civili e penali" giudice Fabio Roia magistrato "Il bullismo  e le responsabilità civili e penali in ambito giudiziario" ing. Vincenzo De Feo Presidente dell'Associazione Mai più solo  "La tecnologia e le implicazioni nella vita quotidiana, una risorsa capace di creare dipendenza" Per partecipare è necessario registrarsi qui: https://www.umanitaria.it/calendario/1376?fbclid=IwAR2sh7bUYeZvpx8EVvgc_s5oBWx0-8gqa_JA14sw983IYmhvUEV0AfR2t8w
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aitan · 6 years
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È un’epoca di ipercomunicazione: tanta gente che comunica che sta comunicando o che dice in giro che non ha nulla da dire a gente che non ha voglia di sentire e scorre distratta lo sguardo sullo schermo in cerca di non sa che, chi o cosa.
“Mettici una foto, se no non si fermano. Non scrivere troppo, se no non ti leggono. Aggiungi un video che sia di impatto fin dai primi 3 o 4 secondi, se no lo abbandonano subito e passano ad altro, ad altro e ad altro…”.
È un epoca di ipercomunicazione, anch’io ipercomunico i miei pensieri sull’ipercomunicazione a gente che la pensa come me o che non la pensa affatto. Ma che importa? Quello che importa è raccogliere like, wow e cuoricini e dimostrare a noi stessi che esistiamo, siamo vivi e riusciamo a lasciare in giro tracce piacevoli e frasi memorabili che qualche volta risultano perfino condivisibili.
Intrappolati nella rete, passiamo il tempo ad irretire e lasciarci irretire, mentre altrove si fa mercato della nostra iperconnessione.
È un’epoca di ipercomunicazione in cui vi comunico che mi rendo conto di star perdendo molte buone occasioni…
Anche ora…
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Smart-working, un’arma a doppio taglio.
A distanza di quasi 5 mesi dall’inizio della pandemia ci troviamo ancora a sorridere alla frase “ Allora nella pausa ci becchiamo alle macchinette per un caffè e due chiacchere?”.Eh si, perché in un modo o nell’altro l’Italia come il resto del mondo ha dovuto trovare una soluzione per far continuare a girare la grande macchina che sta sotto tutta l’economia.
Questo grande compromesso è il famigerato smart-working.
Ne abbiamo sentito parlare al telegiornale, letto sui quotidiani, ma fermandomi a riflettere mi sono chiesta come potessi scrivere cosa fosse senza averlo mi provato in prima persona. Dunque ho deciso di dar la voce a coloro hanno dovuto modificare le loro abitudini.
Ho creato un questionario anonimo per questi lavoratori e con il loro aiuto ho raggiunto ben 121 risposte. Esse sono date da dipendenti di settori e anni di esperienza molto diversi tra loro ,tuttavia la maggioranza (62,8%) hanno provato effettivamente il lavoro da remoto per la prima volta. E come per tutte le prime volte si vanno a creare impressioni differenti per ogni individuo.
 Alla domanda “Come stai vivendo questo periodo di lavoro da remoto?” il 56,4 % ha risposto “ Bene , grazie alla tecnologia posso lavorare come prima”. E con mio grande stupore mi sono resa conto che in effetti è proprio grazie ad essa che effettivamente non ci siamo fermati e che siamo tutti siamo comunque interconnessi. 
Tuttavia, mi è sorta spontanea un'altra curiosità. L’essere connessi solo virtualmente rende comunque le giornate lavorative complete o si sente la mancanza del rapporto umano? A tal proposito la maggioranza ha risposto che è così ,specialmente se si tratta di un settore in cui la componente umana racchiude una percentuale importante. 
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Fonte : pixabay. Autore: User 27707.
Inoltre con il fatto di essere sempre nello stesso ambiente e solo in compagnia di un computer si è portati a non rendersi conto dello scorrere del tempo dando origine al fenomeno di iperconnessione. Si tende a lavorare più tempo di quello che effettivamente si dovrebbe, generando uno stress continuo, che va a superare quasi quello che solitamente si aveva già. Non avendo orari fissi si tende a continuare senza stop e pause.
Tuttavia,al di fuori di questi lati “negativi”, dal sondaggio è emerso che lo smart-working possiede anche molti lati positivi. Il fatto di potersi organizzare sulla base dei propri orari e quindi avere maggior flessibilità e autonomia. Il non dover compiere più spostamenti e conseguentemente si ha una riduzione dei costi, ne un esempio la benzina. Inoltre la possibilità di trovarsi in un ambiente comune e anche più silenzioso magari (nel caso di chi non possiede un ufficio priorio) e quindi di poter avere una maggior  possibilità di concentrazione, e poi diciamocelo chi dice di no a mezzoretta in più di sonno?
Insomma la smart-working è intriso di componenti positive e negative e quindi cosa si augurano i lavoratori per il loro futuro? Dalle stime si osserva che l’opzione migliore potrebbe essere la creazione di un connubio perfetto tra tutti i “pregi” e i “difetti” utilizzando il lavoro da remoto due o tre giorni a settimana.
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Risposta alla domanda “Cosa ti auguri per il futuro” del sondaggio creato da me 
In conclusione, dal momento che il lavoro dovrebbe essere un qualcosa che non si fa solo perché è necessario un guadagno per vivere ma, perché ci soddisfa e ci rende fieri delle nostre capacità, il resoconto finale che si può osservare dal sondaggio è che lo smart-working è da promuove, ma sempre con gli adeguati accorgimenti, ricordandoci che esso può essere un’arma a doppio taglio.
Per chi volesse osservare tutte le risposte anonime del sondaggio clicchi sul link sottostante: Sondaggio
Elisa Peradotto
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andrea-moi-psy · 5 years
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Oggi sarò molto lieto di collaborare con Guardavanti, una organizzazione che lavora con e per i minori in tutto il mondo, Mani Tese e altre org (che taggo) che hanno collaborato all'importante progetto "Piccoli che valgono". Il titolo della giornata è "Non rimanere impigliati nella rete" ed è dedicata a genitori ed insegnanti del secondo circolo di Capoterra che si vogliono formare sui temi del Cyberbullismo. Insieme a me ci sarà il buon Emanuele Vigo, formatore attento ed esperto sui temi dei minori. È importante sensibilizzare le scuole su questi temi, specialmente in questi tempi di social, whatsapp, tik tok e iperconnessione. Strumenti da non temere ma da studiare per continuare a fornire l'adeguato supporto ai minori. Ci vediamo stasera a Capoterra per dialogare assieme. [email protected] (presso Capoterra) https://www.instagram.com/p/B5UtFnpI6rK/?igshid=1hb4p7zmkdrpe
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ultimenotiziepuglia · 3 years
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pangeanews · 4 years
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Basta studenti rinchiusi! La scuola non deve trasformarsi in un lager e non può più lasciare i ragazzi soli dietro a un monitor. Modesta proposta per riaprire le superiori a settembre
Treni affollati, autobus stracolmi, classi pollaio: la possibilità che gli adolescenti possano tornare a scuola a settembre, in questa nuova emergenza sanitaria, è una chimera. Si sono succedute varie ipotesi sulla riapertura. Giardini e cortili dove sistemare i ragazzi per dimezzare le classi, ma quante scuole ne hanno uno così capiente? E con la stagione invernale alle porte? Allora metà studenti a casa e metà a scuola, ma il criterio per dividere i ragazzi mi è sfuggito e con le telecamere in classe, poi, non si scherza. Turni pomeridiani! Rimarrebbe il nodo cruciale dello spostamento e il reclutamento di nuovo personale docente qualificato, che non sia improvvisato. Allora niente, ingressi scaglionati in fila per uno, percorsi tracciati e, di conseguenza, anche se nessuno lo ha detto, sei ore seduti nei banchi senza possibilità di muoversi e di socializzare. Una scuola lager a tutti gli effetti. A oggi, tutto fa presupporre che le scuole a settembre continueranno con la didattica a distanza. Di quanto siano gravi le disparità che questa genera – tra computer che mancano o necessari a genitori in smart working o ad altri fratelli, senza tener conto dei limiti delle connessioni – si è già detto tanto, non serve ribadirlo. Non solo, dopo neanche tre mesi di DAD, tutti – ragazzi, docenti, presidi, genitori – vedono chiaramente gli effetti deleteri del burnout, dello stress e dell’alienazione da iperconnessione. Questi fattori rappresentano rischi reali in età adolescenziale, non meno allarmanti del contagio.
*
E allora, come ripensare la riapertura a settembre? Ecco la mia proposta. Immaginiamo una scuola superiore che non abbia paura di sperimentare, che salvaguardi l’insegnamento disciplinare, il benessere socio-affettivo dei ragazzi e le cautele per la situazione sanitaria. Questa scuola può organizzare l’insegnamento delle discipline di indirizzo e di quelle fondamentali (italiano, matematica, lingua straniera) esclusivamente con la didattica online.
Gli insegnanti preparano un modulo di lezioni coerenti, che corrispondano, supponiamo, a tre settimane di lavoro;
– le registrano su piattaforma in modo che i ragazzi abbiano garantito l’accesso alla lezione a qualsiasi ora e possano ascoltarla senza sovrapporsi ad altri membri della famiglia;
– al completamento di tale modulo i ragazzi verranno esaminati, in base a contenuti, obiettivi e materiali indicati dall’insegnante all’inizio del percorso stesso.
Ogni ragazzo potrà così lavorare in autonomia, in base ai propri tempi di apprendimento ma anche in base alle esigenze familiari, sapendo che ci sarà uno sportello didattico settimanale in videoconferenza con il docente, per confrontarsi e chiedere chiarimenti. La scuola non sarà più vincolata, quindi, all’orario in senso tradizionale, la cui inutilità è già stata mostrata da molte scuole europee. Tutte le altre discipline (scienze naturali, arte, fisica, elettronica, scienze motorie, ecc.) possono essere sviluppate secondo una modalità laboratoriale, nel modo che ora descriverò.
*
Si stabilisce innanzitutto la corrispondenza tra un giorno della settimana e un gruppo di discipline affini. Ad esempio: lunedì il Gruppo I (storia, geografia, diritto, economia), martedì il Gruppo II (scienze naturali, scienze motorie, fisica, discipline tecniche), mercoledì il Gruppo III (filosofia, religioni, sociologia), giovedì il Gruppo IV (arte, letteratura, lingue). Ogni docente, incluso quello di sostegno – in genere uno dei profili più specializzati del corpo insegnante – elabora un progetto creativo, sempre della durata di 3 settimane, da poter realizzare nel Gruppo pertinente, secondo il giorno prefissato. Lo stesso docente raccoglie le adesioni e apre la sua casa a piccoli gruppi di 5-10 studenti che vivono nel suo territorio, indipendentemente dalla classe frequentata (se il numero dei docenti o dei laboratori per ogni docente lo permette, la distinzione tra biennio e triennio sarebbe da conservare). Se non può mettere la propria abitazione a disposizione, può riunire i ragazzi negli spazi del territorio che già normalmente sono aperti ai laboratori esperienziali con le scolaresche. Per esempio: parchi, ville, percorsi in natura, strade medievali, abbazie, musei, osservatori astronomici, officine, laboratori artigiani, biblioteche, circoli culturali, teatri, cinema. Le tante realtà di scuole all’aperto, libertarie, diffuse, nonché il vivacissimo dibattito sollevato in questi mesi da reti di educatori, genitori e istituzioni (Movimento di Cooperazione Educativa, Tutta un’altra scuola, Liberare Roma, la neo-nata Mentre la scuola è chiusa di cui faccio parte) testimoniano tutto il potenziale della didattica su territorio. Basterà affinare o attivare le convenzioni per promuovere “le condizioni necessarie per permettere alla persona e alle aggregazioni sociali di agire liberamente nello svolgimento della loro attività” (art.118 della Costituzione), come di recente hanno ben sottolineato i membri del Forum Disuguaglianze e Diversità.
In extremis, ci sono sempre i locali della scuola, semivuoti a questo punto. Per valutare la didattica laboratoriale, si prenderanno in considerazione tanto i risultati concreti (creazione di un cortometraggio, di un prodotto tecnologico, ecc.), quanto le soft skills, le competenze sociali, la collaborazione, parametri già individuati, tra l’altro, per attribuire i voti di condotta; basterà allora adattare la griglia in uso nella scuola.
Al temine del mese didattico, quindi, uno studente avrà svolto i programmi disciplinari imprescindibili, ma avrà sperimentato anche un modello pratico e creativo di apprendere altro, avrà incontrato docenti e compagni, esplorato il suo quartiere. Le attività dei laboratori potrebbero essere riconosciute ai fini dell’alternanza scuola-lavoro (PCTO): si recupererebbero così le ore perse in questo anno scolastico a causa della chiusura delle scuole a marzo e si risolverebbe, in parte, il problema dell’alternanza per il prossimo anno, quando sarà impossibile riversare centinaia di migliaia di studenti nelle strutture finora individuate per questa finalità.
*
Il criterio dei piccoli gruppi così pensati salvaguarda anche i ragazzi con disabilità, i grandi penalizzati della didattica a distanza, ma per loro non si può fare un discorso generale. Ogni caso è a se stante. Non è tutto: la scuola può arricchirsi della partecipazione attiva dei genitori. Rispettando lo stesso criterio del piccolo gruppo e della vicinanza territoriale, un genitore può tenere un laboratorio pratico, il venerdì, ad esempio, insegnando ciò di cui è esperto: giornalismo, programmi professionali al computer, fotografia, giardinaggio, idraulica, cucina, lingue straniere, musica. Questo si chiama parental schooling, educazione intergenerazionale, che ad oggi, nella scuola italiana, non ha ancora trovato spazio. Non escluderei neppure che studenti particolarmente dotati possano condurre, a loro volta, laboratori per i loro coetanei. Sarà necessario ripensare la mastodontica macchina burocratica che finora ha contraddistinto l’esperienza di alternanza (servono più ore per compilare scartoffie che non per svolgere l’alternanza in sé); un semplice modulo con i dati essenziali dell’attività svolta sarà più che sufficiente e i genitori si faranno finalmente protagonisti attivi di quel patto formativo firmato al momento dell’iscrizione. Senza dover subire la sfiancante maratona cui li sottopone la didattica a distanza.
*
Un’importante criticità da risolvere è la normativa che tutela i minori, nella privacy e nell’incolumità, fuori dalle mura scolastiche; ma in questi ultimi due mesi abbiamo visto tutti con che rapidità un decreto ministeriale possa spazzare via questioni annose e delicatissime come quella della bocciatura; serve solo la volontà. Si potrebbe riadattare, ad esempio, la normativa che regola le uscite didattiche o i viaggi di istruzione, in virtù del fatto che i ragazzi sono tutt’altro che ebeti incapaci di evitare i pericoli. Molti di loro già intraprendono lunghi spostamenti da soli per arrivare a scuola, per non parlare del fatto che a 16 anni siano considerati dallo Stato così responsabili da poter guidare le macchinine senza patente. Incentivare l’autonomia e la responsabilità, nella tutela imprescindibile dei diritti, è la strada da intraprendere: don Lorenzo Milani ce lo ricordiamo tutti. La scuola non deve più lasciare i ragazzi soli dietro un monitor, non deve più abdicare alla sua funzione di guida nella loro crescita sociale e affettiva. Invece, può rinunciare benissimo alla burocrazia e all’abitudinarietà di molte pratiche (orario, consigli di classe, valutazioni per singole materie). Soprattutto se da subito direziona le sue energie alla preparazione di un planning razionale dei corsi, valorizzando il talento dei docenti che il sistema attuale non permette di esprimere In estate può raccogliere le adesioni di ragazzi e genitori per i laboratori, e a settembre può avviare la prima fase di sperimentazione, mentre fa recuperare in sede gli studenti ammessi con le insufficienze.
Sono disponibile a illustrare e discutere il progetto accogliendo suggerimenti e a sviluppare proposte integrative.
Solo chi ha paura di cambiare finisce accartocciato su se stesso e marcisce. RI-VIRUSIONIAMOCI!
Marilena Rea
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tmnotizie · 5 years
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GROTTAMMARE –  “L’Amministrazione comunale, nello specifico la delega alle politiche scolastiche che rappresento -afferma la consigliera delegata alle politiche scolastiche Cristina Baldoni–  ha proposto alle scuole diversi progetti per l’anno scolastico 2019/2010,  volti all’arricchimento dell’offerta formativa e finalizzati a valorizzare il loro ruolo educativo nella crescita di cittadini responsabili e consapevoli”.
Dopo un certosino “labor limae” è stato individuato un percorso ideale per gli studenti, che riserva a ciascuna fascia d’età, un progetto calzato a pennello sul bambino/ragazzo, vale a dire: “alla scoperta della mindfulness”, per le quarte elementari, (Associazione Marche Mindfulness con la dottoressa Raffaella Pagnanini), “conoscere per conoscersi”, per le quinte elementari, (associazione Olos, dottoressa Renata Bastiani), “bullismo, cyberbullismo e dipendenza per iperconnessione dalla rete”, per i ragazzi della prima e seconda media, (centro regionale di psicologia dello sport con la dottoressa Cristina Marinelli) ed un progetto di approfondimento del fascismo, per i ragazzi della terza media, con una lezione tenuta dallo storico Costantino Di Sante, “genesi del regime fascista nel centenario della costituzione dei fasci di combattimento”, nella ricorrenza del centenario della costituzione dei fasci di combattimento, ( ISML di Ascoli,  con il prof Costantino Di Sante), cui farà seguito una mostra al Kursaal dal 27 Ottobre all’11 Novembre, “Fascismo e Resistenza nel Piceno” .
Alla realizzazione dei progetti farà da felice corollario la “settimana della musica, rassegna Autunno in musica”: appuntamenti musicali dall’8 al 15 Ottobre consistenti in vere e proprie lezioni concerto, finalizzate alla conoscenza e all’avvicinamento alla musica classica, realizzati a scuola dalla Gioventù Musicale d’Italia, presidente avv. Virgili Rita).
“Non nascondo -aggiunge Cristina Baldoni- la soddisfazione per il sentiero collaborativo tracciato con l’isc di Grottammare, con la dirigenza, nella persona della professoressa Luigina Silvestri, dalle sue più strette collaboratrici, Franca Basso e Luigina Ceddia, e dai docenti tutti, che hanno accolto favorevolmente i percorsi proposti. L’amministratore deve valorizzare la scuola  e sostenerla nel suo sforzo educativo, ragionando con essa alla pari e condividendo obiettivi comuni. L’obiettivo ideale, che nel nostro comune si è reso molto concreto -conclude- è guardare a sindaci e assessori come a esponenti della comunità in quanto tale e non come a portatori di un interesse politico”.
Questi i progetti nello specifico. 1) “Alla scoperta della mindfulness” , per le quarte elementari, (Associazione Marche Mindfulness con la dottoressa Raffaella Pagnanini).
2)  “Conoscere per conoscersi” , per le quinte elementari, (associazione Olos, dottoressa Renata Bastiani).
3)  “Bullismo, cyberbullismo e dipendenza per iperconnessione dalla rete”, per i ragazzi della prima e seconda media, (centro regionale di psicologia dello sport con la dottoressa Cristina Marinelli).
4) “Genesi del regime fascista nel centenario della costituzione dei fasci di combattimento”, un progetto di approfondimento sul fascismo, per i ragazzi della terza media, con una lezione tenuta dallo storico Di Sante, nella ricorrenza del centenario della costituzione dei fasci di combattimento, ( ISML di Ascoli, con il prof Costantino Di Sante), cui farà seguito una mostra al Kursaal dal 27 Ottobre all’11 Novembre, “ Fascismo e Resistenza nel Piceno”
5) “Settimana della musica, rassegna Autunno in musica”: appuntamenti musicali dall’8 al 15 Ottobre consistenti in vere e proprie lezioni concerto, finalizzate alla conoscenza e all���avvicinamento alla musica classica, realizzati a scuola dalla Gioventù Musicale d’Italia, presidente avv. Virgili Rita. Si parte Martedì 8 con la scuola Ascolani, media ed elementare, per poi concertare per le scuole del centro, il 14 e 15 Ottobre.
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aitan · 5 years
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I RISCHIOSI VANTAGGI DEL PRODOTTO UNICO
L'articolo parla dei possibili vantaggi che gli utenti potrebbero godere a seguito di questa annunciata fusione tra i tre prodotti di Casa Zuckerberg (una fusione sinergica che in qualche modo, soprattutto tra Instagram e Facebook, è già in atto).
Io, invece, temo che possano aumentare i rischi di iperconnessione, profilazione degli utenti/clienti, perdita della privacy, controllo esterno dei contenuti e manipolazione dei gusti e dei consensi.
Se avverrà la fusione, bisognerà essere sempre più scafati, consapevoli e attrezzati per muoversi liberamente tra questi prodotti senza lasciare troppe tracce e senza farsi troppo sfruttare e manipolare. Ovemai fosse possibile muoversi liberamente in social che registrano e profilano ogni nostro gesto a fini commerciali e politici e filtrano i contenuti che intendiamo mettere in rete secondo non ben chiariti gradi di appropriatezza.
Ricordiamo sempre che i nostri dati sono il prezzo che paghiamo per trastullarci con FB, Instagram e WA senza apparentemente nulla pagare; ed è un prezzo altissimo, considerando anche i fatturati delle aziende che su questo basano la loro ricchezza. E consideriamo anche l'importanza che hanno assunto schiere di influencer, web marketing manager, market research analyst, social media manager e manipolatori vari negli organigrammi delle aziende e dei partiti politici, per cercare di intuire su quali piani si sta giocando questa partita. (Senza ignorare che io stesso vi sto scrivendo da un social dei rischi e dei pericoli dei social.)
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aitan · 4 years
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L’ipercomunicazione e le buone occasioni per starsene zitti
È un’epoca di ipercomunicazione: tanta gente che comunica che sta comunicando o che dice in giro che non ha nulla da dire a gente che non ha voglia di sentire e scorre distratta lo sguardo sullo schermo in cerca di non sa che, chi o cosa.
“Mettici una foto, se no non si fermano. Non scrivere troppo, se no non ti leggono. Aggiungi un video che sia di impatto fin dai primi 3 o 4 secondi, se no lo abbandonano subito e passano ad altro, ad altro e ad altro…”.
È un epoca di ipercomunicazione, anch’io ipercomunico i miei pensieri sull’ipercomunicazione a gente che la pensa come me o che non la pensa affatto. Ma che importa? Quello che importa è raccogliere like, wow e cuoricini e dimostrare a noi stessi che esistiamo, siamo vivi e riusciamo a lasciare in giro tracce piacevoli e frasi memorabili che qualche volta risultano perfino condivisibili.
Intrappolati nella rete, passiamo il tempo ad irretire e lasciarci irretire, mentre altrove si fa mercato della nostra iperconnessione.
È un’epoca di ipercomunicazione in cui vi comunico che mi rendo conto di star perdendo molte buone occasioni…
Anche ora…
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ultimenotiziepuglia · 3 years
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ultimenotiziepuglia · 3 years
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