#io e il gatto
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è da ieri sera che ho un certo dolorino tra le scapole, e stanotte è arrivato al petto. in generale mi sento i muscoli indolenziti, poi bisogna dire che ho una tosse debole ma cronica che compare soprattutto mentre dormo. non vorrei che si trattasse di qualcosa di più grave...
#e visita dal medico sia. ma tipo al più presto#non sono mai stata ipocondriaca anzi. ma ho passato dei giorni infernali perché il mio gatto è stato male (ora si sta riprendendo)#e quindi vado in ansia per un nonnulla#premesso che ho fatto le analisi del sangue solo un paio di settimane fa ed erano perfette#quindi. boh??#non è un dolore molto forte. solo un fastidio#ma mi è venuto così all'improvviso e senza una ragione precisa. è strano#ah e non ho mai avuto il covid (che io sappia). altrimenti avrei pensato a dei sintomi postumi#non vorrei fosse bronchite o qualcosa di simile... ma sta tosse negli ultimi tempi è diventata leggermente preoccupante#vabbè si vedrà. speriamo bene#val speaks#txt
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basta doppiaggio basta traduzione ormai il mio lavoro è il cat-sitter
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Sono negativa oggi, se non siete in mood non leggete:
la prof del tirocinio e della tesi mi sta ghostando, ho paura di scriverele le email perché non voglio sembrare pressante e antipatica, ho delle cose da fare che mi ha richiesto ma queste non dipendono solo da me ma da persone che mi stanno facendo un favore e quindi non posso pressare neanche loro perché non sarebbero tenuti ad aiutarmi in alcun modo dato che hanno un lavoro e degli impegni anche loro per cui vengono effettivamente pagati, in tutto ciò i miei cercano di darmi una mano ma se penso a quello che mi manca da fare mi viene da soffocare, non riesco a mangiare per l'ansia di deludere le aspettative di qualcuno che ne ha nei miei confronti e continuo a pensare che l'unica soluzione sia incontrare la prof di persona e spiegarle cosa succede ma... (riprendi da capo)
#raga#non c'è una fine#mi sento bloccata#e voglio piangere#e mi sento così stupida#perchè continuo a pensare a cosa che sto facendo e scelte che ho preso che mi condizionano la vita#ma mi viene il male a pensare a cosa farò domani e in futuro#non so che fare#non so se ho preso la strada giusta#mi vien da star male mi sento già una vecchia#e mi sembra di studiare per niente perché non ho vocazioni specifiche#tutto sto bordello perché la prof non mi ha ancira convalidato i 4 cfu del tirocinio#ma io non so se vuole altro o se non ha semplicemente ancora letto l'email#scusate per lo sfogo#ma non so che altro fare#e maledetta la mia testa che non riesce a non guardare lontano#io vorrei essere un gatto e dormire 16 ore al giorno e anche senza coscienza di esistere
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Potremmo essere Noi 🖤
#buonanotte
📸Erich Hartmann
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Oggi mi è arrivato un kudo su una vecchia storia sull'altro profilo. Per nostalgia ho riletto la storia e... era così carina, così scritta bene, così non-me-in-burn-out che mi è venuta voglia di fare pulizia sul mio nuovo profilo ao3, uscire di casa sotto questa pioggia e guardare le lumache passare da una parte dei sentieri all'altra, seduta accanto al mio gatto.
#ogni tanto penso che questa maledetta depressione ha distrutto la mia creatività e che non proverò mai più emozioni come prima#la mia scrittura di sicuro risente del mio dover razionalizzare per ordinare le cose nel mio cervello#e lo stare 24/7 con qualcuno non aiuta la mia introspezione. vorrei solo una piccola pausa. stare da sola un giorno senza responsabilità#quella vecchia storia era un po' cringe forse e di sicuro risente molto dei film e libri che leggevo ai tempi ma e così dolce#ha una voce così mia che mi ha fatto sentire nostalgia della vecchia me#ho pensato: “non scriverò mai più con quella dolcezza. non ho più quella voce”#e la cosa che mi rattrista è che adesso sento di non avere voce. nessun tipo di voce#le mie storie iniziano e finiscono e io non riesco ad ascoltarmi. non riesco a vedermi.#un po' rant. mi disp.#però oggi ho sistemato la mia camera e mi sono lavata i capelli e il mio gatto si è strusciato contro il palmo della mia mano#qualcosa prima o poi deve cambiare e un pezzo di me deve tornare a me#personal
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QUA CI SAREBBE STATO UN TITOLO ALTISONANTE MA QUESTA VOLTA NO
Trovo difficile spiegare quello che sto per raccontarvi, non perché provi vergogna o esitazione ma perché ho impiegato 23 giorni a capire cosa stesse succedendo e tutte le volte che mi fermavo con l'intenzione di parlarne, sentivo che le parole scritte non avrebbero reso il senso di quello che stavo provando.
Questa volta lo butto giù e basta, ben consapevole che le parole immiseriscono ciò che una volta fuori dalla testa non sembra poi così universale o interessante.
L'errore più grande che ho fatto in questi cinque anni (conto un anno prima della pandemia ma forse sarebbero pure di più) è stato credere di avere un equilibrio emotivo tale da poter prendere in carico i problemi e le sofferenze delle persone della mia famiglia.
Non solo, mi sono fatto partecipe e a volte risolutore dei problemi dei miei amici e una volta che sono stato in gioco mi sono reso disponibile ad ascoltare chiunque su questa piattaforma avesse bisogno di supporto, aiuto o di una semplice parola di conforto.
Ho sempre detto che una mano tesa salva tanto chi la stringe che chi la allunga e di questo sono ancora fermamente convinto.
Ma per aiutare qualcuno devi stare bene tu per primo, altrimenti ci si sorregge e si condivide il dolore, salvo poi cadere assieme.
In questi anni ho parlato molto di EMPATIA e di sicuro questa non è una dote che mi manca ma c'è stato un momento - non saprei dire quando e forse è stato più uno sfilacciamento proteso nel tempo - in cui non ho potuto fare più la distinzione tra la mia empatia e la mia fragilità emotiva.
Sentivo il peso, letteralmente, della sofferenza di ogni essere vivente con cui mi rapportavo... uno sgangherato messia sovrappeso con la sindrome del salvatore, insomma.
Sovrastato e dolente.
Mi sentivo costantemente sovrastato e dolente e più provavo questa terribile sensazione, più sentivo l'impellente bisogno di aiutare più persone possibile, perché questo era l'unico modo per lenire la mia sofferenza.
Dormivo male, mi svegliavo stanco, mangiavo troppo o troppo poco, lasciavo i lavori a metà e mi veniva da piangere per qualsiasi cosa.
Naturalmente sempre bravo a dispensare consigli ed esortazioni a curare la propria salute mentale ma lo sapete che i figli del calzolaio hanno sempre le scarpe rotte, per cui se miagola, graffia e mangia crocchette, bisognerà per forza chiamarlo gatto.
E io l'ho chiamata col suo nome.
Depressione.
La mia difficoltà, ora, a parlarne in modo comprensibile deriva da un vecchio stigma familiare, unito al fatto che col lavoro che faccio sono abituato a riconoscere i segni fisici di una patologia ma per ciò che riguarda la psiche i miei pazienti sono pressoché tutti compromessi in partenza, per cui mi sto ancora dando del coglione per non avere capito.
All'inizio ho detto 23 giorni perché questo è il tempo che mi ci è voluto per capire cosa sto provando, anzi, per certi aspetti cosa sono diventato dopo che ho cominciato la terapia con la sertralina.
(per chi non lo sapesse, la sertralina è un antidepressivo appartenente alla categoria degli inibitori della ricaptazione della serotonina... in soldoni, a livello delle sinapsi cerebrali evita che la serotonina si disperda troppo velocemente).
Dopo i primi giorni di gelo allo stomaco e di intestino annodato (la serotonina influenza non solo l'umore ma anche l'apparato digestivo) una mattina mi sono svegliato e mi sono reso conto di una cosa.
Non ero più addolorato per il mondo.
Era come se il nodo dolente che mi stringeva il cuore da anni si fosse dissolto e con lui anche quell'impressione costante che fosse sempre in arrivo qualche sorpresa spiacevole tra capo e collo.
Però ho avuto paura.
La domanda che mi sono subito fatto è stata 'Avrò perso anche la mia capacità di commuovermi?'
E sì, sentivo meno 'trasporto' verso gli altri, quasi come se il fatto che IO non provassi dolore, automaticamente rendesse gli altri meno... interessanti? Bisognosi? Visibili?
Non capivo ma per quanto mi sentissi meglio la cosa non mi piaceva.
Poi è capitato che una persona mi scrivesse, raccontandomi un fatto molto doloroso e chiedendomi aiuto per capire come comportarsi e per la prima volta in tanti anni ho potuto risponderle senza l'angoscia di cercare spasmodicamente per tutti un lieto fine.
L'ho aiutata senza che da questo dipendesse la salvezza del mondo.
Badate che non c'era nulla di eroico in quella mia sensazione emotiva... era pura angoscia esistenziale che resisteva a qualsiasi mio contenimento razionale.
E ora sono qua.
Non più 'intero' o più 'sano' ma senza dubbio meno stanco e più vigile, sempre disposto a tendere quella mano di cui sopra - perché finalmente ho avuto la prova che nessun farmaco acquieterà mai il mio amore verso gli altri - con la differenza che questa voltà si cammina davvero tutti assieme e io sentirò solo la giusta stanchezza di chi calpesta da anni questa bella terra.
Benritrovati e... ci si vede nella luce <3
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Ieri sera sul bus ho letto che in media, uno scoiattolo che si prepara ad affrontare l'inverno, mette da parte una cosa come diecimila ghiande e lo capisco io prima di andare a letto metto da parte diecimila pensieri, baci che non riesco a dare e abbracci da preservare, paure, così tante paure, ansie verso il futuro, diecimila sogni che non riuscirò a realizzare e diecimila volte che mi insulto per avere sogni e desideri invece di essere felice con quello che ho e accontentarmi e poi provo a dormire ma insomma, vicino a me c'è il mio gatto, non uno scoiattolo che magari mi guarda, appisolato sulle sue diecimila ghiande e mi dice "Zio ma quante pare ti fai?" e ha ragione, da oggi raccolgo ghiande e ogni ghianda sarà un pensiero in meno la notte.
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Come primo mese da padre, al di là delle battute che ogni tanto pubblico qui, è stato abbastanza duro.
Non che io le rimproveri nulla, ci mancherebbe. Come biasimare una persona che, dalla sera alla mattina, si ritrova un povero stronzo nella propria vita, senza aver avuto la possibilità di poter dire la sua, ed essere anche costretta suo malgrado a doverla accettare, quando nulla era dovuto a nessuno, solo perché le è andata di sfiga (certo, c'è di peggio, ma sempre di sfiga si tratta, è andata molto meglio al gatto di Ilaria, per capirci). Razionalmente l'ho sempre accettato, ma una cosa è dirla, una cosa è viverla, e io l'ho vissuta male, molto male, il suo tenermi a distanza, il suo volermi evitare a tutti i costi, quasi come a dire "so che devi essere il mio papà perché l'ha detto un burocrate qualsiasi, ma almeno non mi rompere il cazzo", e diciamo che così ho fatto, pieno di rabbia e delusione ci siam divisi, vivevamo come due studenti universitari che condividono una casa, ognuno per conto suo, e così è stato per giorni, non ci ho dormito per diverse notti, e non riuscivo a trovare una soluzione, nonostante ci provassi in tutti i modi, una via per comunicare, un modo per trovarsi, quelle robe di cui tutti sembrano capire tanto qui sopra e poi a nessuno funziona. Esausto e avvilito, mi sono arreso e ho fatto finta come se non esistesse più, se non nei miei stretti doveri, perché rompere le scatole mai, a nessuno.
Poi, non so bene cosa sia successo, un giorno si è svegliata e mi ha detto ti voglio bene, così, di botto, lasciandomi come un cretino. E non perché le servisse qualcosa o avesse un po' di melassa da smaltire, era sincera, si sentiva dal suo abbraccio. E da allora sembra come se stessimo insieme da sempre, la mia scrivania è piena di disegni che mi dedica, mi tira via dai meeting, ci tiene a dire davanti a tutti che passare il tempo con me è tutta un'altra cosa, e che vi devo dire, io ho ritrovato il sorriso, il sonno e la gioia di vivere. Non saprò mai perché, e non lo voglio manco sapere.
Personalmente sono contrario a mostrare foto che non sono mie, quindi qui non ci sarà mai, e pur se volessi legalmente parlando non potrei. Questi racconti sono le mie foto con lei, perché chissà, se non schiattiamo tutti forse riuscirà a leggerle queste parole un domani, e ci faremo insieme una bella risata e un bel pianto su.
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ho 29 anni e mi ritengo una persona abituata alla morte. o almeno penso di esserla mentre guardo fuori dalla finestra ingnorando il telefono che mi suona in cuffia. se fossimo in quel film con tutte le emozioni probabilmente ora sarebbero tutte chiuse sottochiave mentre in plancia di comando ci sarebbe solo l'apatia. non ho ancora ben capito quale emozione provo nei confronti della morte, se paura, tristezza o rabbia. in questo momento provo apatia. poi mi fermo a rivedere le foto di Leo e mi dico che a volte qualcosa di buono questa famiglia del cazzo lo sa fare. Eri un bravo micio, ciecato completamente e quando ti abbiamo trovato in mezzo a quella boscaglia era un miracolo se il tuo cuore ancora continuasse a battere. eppure oh possiamo girarci intorno finché vogliamo ma quando dicono che l'amore è prendersi cura hanno ragione. sei arrivato che eri molto più morto che vivo e probabilmente te ne sei andato nello stesso modo, con quella stessa immensa incredibile voglia di rimanere attaccato alla vita. tutto ciò che su sull'amore l'ho imparato dagli animali non dalle persone. e ti giuro che abbiamo fatto davvero tutto il possibile ma a volte non è sufficiente cazzo, non basta, perché a volte i miracoli succedono ma non sono eterni e mi dispiace così tanto.... eri bellissimo anche se eri un gattino disastrato e adoravo giocare con te prima di andare a letto perché volevi saltarmi addosso anche se non ci vedevi un cazzo. eppure tu vedevi molto più di quanto si possa fare, anche se non avevi più gli occhi. un micetto con la 104 ti dicevo sempre.
mi sono sempre ritenuta una persona abituata alla morte.
soprattutto perché quando lavori con gli animali ne vedi tanti andarsene. la loro vita è breve, un soffio e forse tutto ciò che possiamo fare e voler loro bene e fare in modo che questa esistenza gli faccia meno male possibile. e mi fa sorridere questa cosa che non ci vedevi una minchia ma sapevi perfettamente dover'ero sempre, in ogni momento. e che quando mi sentivi rientrare a casa scendevi le scale. a raccontarla così sembra na cosa impossibile ma vi giuro che lui saliva sul divano, scendeva le scale, si arrampicava sul tetto.
e adesso che non ci sei più mi sento un pochino persa. sei solo un gatto sì, però sei uno di quegli animali che ti lasciano qualcosa quando incrociano la tua esistenza.
ah comunque non è vero che sono abituata alla morte, perché a quella non ti abitui mai.
ti porto nel cuore, ovunque io vada.
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Io e te...
il caffè... il cornetto...
le ciliegie... e il gatto...
Buongiorno...☕🍒
@occhietti
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pensieri intrusivi normali come la crudeltà contro i propri animali domestici vs pensieri intrusivi PLUS come "ti ricordi quell'ape che ti è caduta tra i capelli e tu hai scostato ma è finita in mezzo alla strada e non riusciva più a rialzarsi. pensaci. bene è colpa tua pensa quanto era sola e quanto era spaventata in mezzo alla strada. pensa alle macchine che gli sono passate sopra. pensa a quanto ha sofferto."
bene ora che ho scritto questi pensieri possiamo darci tutti insieme una calmata gentilmente, sto cercando di studiare
#cw animal cruelty#boh un sacco peggiorati in questo periodo 🚬#però sono felice che non riguardino più le persone o per lo meno non tanto quanto prima#e che soprattutto io riesca a stare in presenza del trigger senza problemi (il mio gatto) e nonostante i pensieri riesca ad interagirci#però porca madonna l'ape è successa tipo settimana scorsa me @myself non possiamo rimanere così fissati sull'ape#se ti è caduta tra i capelli significa che già non stava bene di suo francesco ripigliati
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Ogni tanto vorrei davvero farmi del male, cucirmi un nodo dello stomaco o nel cervello e cambiare forma
Sono tanto abituata a rispondere a tutto quello che mi succede in questo modo. È molto difficile smettere ma giuro prometto che ci provo. Prometto che ogni negatività scritta non è nient'altro che uno sfogo e non la verità.
Forse dovrei tenere traccia di quello che faccio in modo più schematico, tipo una productivity challenge, ma senza produttività e senza sfida perché non ci piacciono questi schemi e queste forzature perché siamo persone e non macchine. Quindi solo un diario. Giuro che ci provo ad essere brava a rimanere in contatto con tutt* a non ferire nessuno ma la vita normale è troppo per me, sono fatta male e mi sento come la vignetta di Paz in cui parla degli orecchini di ciliegia.
Io sono grata di tutto quello che ho: una casa bella in cui posso esprimermi, senza che ci siano litigi o silenzi e piatti rotti, persone offese e urla; un compagno di vita incredibile e dolcissimo, l'acqua corrente anche calda, l'elettricità, dei vestiti caldi. Ho la possibilità di studiare e non lavorare per ora. Vivo in una città in cui ho la cultura a portata di mano, accessibile negli spazi e nei prezzi, in cui posso sentirmi parte di qualcosa anche solo per uno scambio momentaneo per strada. La salute signora mia!! Il cibo ad orari giusti e sano e vario. Non ho sempre avuto tutto questo e ho fatto passi da gigante; da bambina la caldaia era sempre rotta, a volte si dimenticavano di lavarmi, a volte mancava l'acqua o mangiavamo tardissimo e per giorni la stessa cosa, mi ammalavo per mesi e a nessuno importava, passavo talmente tanto tempo in silenzio che mi si sigillavano le labbra e mentre tutti urlavano io consolavo il mio gatto da sola seduta per terra. E lui consolava me. Ora tutto questo non c'è più e non ci sarà mai più.
Ho una vita talmente bella e piena d'amore
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Io quando parlano di adozione-gay mi sento derubata nel mio ventre di donna. Anche se non sono riuscita a far nascere i miei bambini mi sento usata, sfruttata, come una mucca che partorisce vitelli destinati al mattatoio. E nell'immagine di due uomini o di due donne che col neonato in mezzo recitano la commedia di Maria e Giuseppe vedo qualcosa di mostruosamente sbagliato. Qualcosa che mi offende anzi mi umilia come donna, come mamma mancata, mamma sfortunata, e come cittadina.
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Sicché offesa e umiliata dico: mi indigna il silenzio, l'ipocrisia, la vigliaccheria, che circonda questa faccenda. Mi infuria la gente che tace, che ha paura di parlarne, di dire la verità. E la verità è che le leggi dello Stato non possono ignorare le leggi della Natura. Non possono falsare con l'ambiguità delle parole "genitori" e "coniugi" le leggi della Vita.
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Lo Stato non può consegnare un bambino, cioè una creatura indifesa e ignara, a genitori coi quali egli vivrà credendo che si nasce da due babbi o due mamme non da un babbo e una mamma. E a chi ricatta con la storia dei bambini senza cibo e senza casa (storia che oltretutto non regge in quanto la nostra società abbonda di coppie normali e pronte ad adottarli) rispondo: un bambino non è un cane o un gatto da nutrire e basta, alloggiare e basta. È un essere umano, un cittadino, con diritti inalienabili. Ben più inalienabili dei diritti o presunti diritti di due omosessuali con smanie materne o paterne. E il primo di questi diritti è sapere come si nasce sul nostro pianeta, come funziona la Vita sul nostro pianeta. Cosa più che possibile con una madre senza marito, del tutto impossibile con due "genitori" del medesimo sesso. Punto e basta.
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Oriana Fallaci
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Salve Kon.
Oggi ho portato dal veterinario un gatto che vive da quando è nato a casa mia. Da abusivo, così come la mamma e la nonna. Vivo praticamente in campagna, i gatti vanno e vengono. E si riproducono. Vado al dunque: ha perso l’uso delle zampe posteriori, la coda è spezzata, gli sfinteri rilasciati. L’ho trovato così qualche giorno fa, ha senz’altro beccato una ruotata da qualche stronzo che andava a manetta. Non ha praticamente speranze di recuperare l’uso delle zampe, dalla lastra che il veterinario ha fatto si vede la vertebra spezzata. In più non ha reagito agli stimoli fatti con la pinza sui polpastrelli. Il micio (Apu per la cronaca) mangia e beve, ma sempre dalla lastra si vede la vescica gonfia, pipì e popó escono per caduta, non sente gli stimoli. Ha solo due anni, è giovane, e fino a qualche giorno fa, è vissuto libero di andare e fare quello che voleva. Non lo vedo proprio con un pannolino su un carrellino. Credo di avere già preso una decisione in merito a cosa fare, ma ho un enorme dubbio, misto a magone: è giusto/ corretto che sia io a decidere sull’esistenza di Apu?
Terribile dilemma e ancora più terribile proporlo qua su tumblr, dove il gatto è l'animale guida di una buona percentuale di utentə.
Andrò subito al punto (non è vero)...
Tu hai già preso una decisione.
E non mi riferisco a eutanasia sì/eutanasia no ma al fatto che, per quanto selvatici e 'di campagna', hai comunque deciso di intrecciare la tua vita con la loro e dal quel momento sei diventata responsabile della loro vita, in tutte le accezioni.
In natura, senza nessuno che lo nutra, Apu sopravvivrebbe pochissimi giorni e sì, essere responsabile di un essere vivente significa anche decidere quando lui non può farlo.
La paraplegia è una condizione molto seria che richiede attenzione e cure costanti, con un rischio nemmeno troppo remoto di blocco intestinale o vescica neurologica, rischio sempre più consistente man mano che il gatto invecchia.
Salutalo con amore e fa' che nel tuo dolore per la sua perdita crescano cose luminose per chi rimane.
<3
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Pensavo fosse amore invece era un altro esame alla prostata
Tutto sta andando esattamente come deve andare ovvero molto storto. Niente segue i piani. Ci sono costanti ritardi e io non sono una persona puntuale, mi vanto sempre di avere un'enorme pazienza. Lo dico a ogni ragazza "Non hai idea delle dimensioni della mia pazienza" e poi si sorprendono e confermano "Accidenti, ma è gigantesca, non ne ho mai vista una così grande!" e io sorrido soddisfatto ma oramai mi sono rotto le palle di essere paziente. Lo penso mentre entro in ospedale, un controsenso. Entro perché sono un paziente ma vuoi sia il caldo, vuoi siano i ritardi e i rimandi: sono diventato impaziente.
Mentre ero in bici stamattina faceva fresco, quel bel fresco che di sicuro finisce che mi ammalo. Mi hanno fatto entrare in una sala piena di studenti della mia malattia o affezionati del settore. C'era un dottore giovane al centro, penso stesse cercando di fare colpo sulla classe perché era eccessivamente preciso nel descrivermi gli effetti collaterali della prossima terapia che dovrei iniziare. Questa volta sperimentale, quindi ci sono pochissimi studi al riguardo e io mi sento come un porcellino d'India, uno di quelli spelacchiati però. Aspetto mi riempiano il pancino glabro con pastiglie dai risultati imprevedibili ma sorrido, perché almeno, forse, finalmente, qualcosa si muove. Ho bisogno di una novità o di qualcosa che funzioni. O forse solo di qualcosa che mi distragga? Ecco, penso che sia più che altro questo. Io me lo sarei fatto quel dottore oggi, così, davanti a tutta la sua classe, per insegnare agli studenti che cosa è la disperazione. Che faccia ha. Ma non se ne è fatto nulla, mi hanno mandato via dicendo che è ancora troppo presto e che devo essere ulteriormente paziente. Sicuro se lo limonavo mi infilava il nuovo farmaco nella scollatura.
È vero, ultimamente latito molto da queste parti, sono colpevole. È che sto scrivendo per una specie di magazine online e allora quando voglio spremere la prostata della mia creatività lo faccio laggiù ma mica perché io mi sia scordato di questo luogo, accidenti no. Io vi guardo. Vi spio. Vi ammiro e nel privato, vi desidero. Però laggiù in teoria mi pagano, in pratica mi fanno promesse e io sono un giovane pieno di speranze e sogni che ha imparato a portare pazienza e pazientemente aspetto.
Ieri ho festeggiato due anni di Ernesto, il mio gatto. In pratica un giorno mio fratello suona alla mia porta con un gatto rosso in mano e mi dice "Da oggi tu hai un gatto, io devo partire per le ferie" e da allora quel rosso pezzo di merda controlla la mia vita. Sta male con il pancino, mangia poco, fa la pupù brutta e l'ho portato dalla veterinaria e ho speso più soldi per lui che per la mia salute fisica e mentale. Quanto cazzo costa mantenere un felino? Un altro essere vivente in generale. Cioè, poi mi chiedono perché non ho figli. Ma io ho passioni, ho una carriera da morto di fame da mantere, mica posso permettermi il lusso di far crescere una mia copia in miniatura. Sicuro mi uscirebbe ancora più stronzo del sottoscritto e magari che vuole studiare pure. Ma col cazzo. Una cosa buona di Ernesto è che è stupido come la merda ma bello come il sole. Proprio come suo padre (me).
Ho lavorato per quasi un mese e mezzo in una cucina. Ho fatto l'aiuto cuoco. Ricordo che undici anni fa, quando mi trasferii a Vienna, ero pieno di sogni e speranze ma al tempo stesso ero consapevole dei limiti umani di cui soffrivo (essere stupido come la merda, che è una condizione più grave delle mie malattie croniche) e allora me l'ero già messa via e ricordo che andavo in giro per ristoranti di finti italiani (una cosa che ho imparato vivendo all'estero: più grande è il tricolore, più ossessivamente il locale è decorato con la bandiera italiana, meno i proprietari saranno della penisola, una volta bazzicavo in questa pizzeria chiamata "Pizzeria il Vesuvio da Mario" che era un'accozzaglia di stereotipi e il proprietario era un mistro tra un panda, Lino Banfi e un libanese e c'erano poster delle Marche ovunque, cioè chi cazzo appende poster delle Marche pensando sia una buona idea? Solo questa chimera più occhiaie che talento nel fare la pizza) (dove ero rimasto?) (ah sì) andavo in giro per ristoranti a pretendere di venire assunto solo per via delle mie origini. Non portavo manco un curriculum, dicevo: "Sono italiano, sicuro sono più bravo di voi a cucinare". Undici anni fa credevo davvero un sacco nelle mie scarse potenzialità nonostante l'essere stupido come la merda. Beh, all'epoca nessuno mi assunse e invece oggi, pensate un po'? No, nemmeno oggi mi hanno assunto. Mi hanno usato per sostituire uno che se ne doveva andare e invece alla fine non se n'è più andato. Però ragazzi, quante cose ho imparato lavorando in cucina. Tipo a tagliare i datteri! Oppure che altro, ah sì, a farmi le foto sembrando uno che ci sa fare con i coltelli. Il tutto perché sto guardando la terza stagione di The Bear e se prima ho detto che mi sarei limonato il dottore che c'era oggi in ospedale beh, non avete idea di cosa farei a quel cuoco modello di Calvin Klein.
Insomma, ho migliorato le mie capacità culinarie. A resistere allo stress. A tagliare. Oramai taglio che è un piacere e perché, con quale fine, se non fare da mangiare al mio gatto del cazzo che ha la diarrea da una settimana e se non gli preparato il tacchino magro con le verdurine poverino non mangia? Ecco cosa sono diventato, il cuoco personale del mio felino. Tornerei anche domani a lavorare in cucina perché, per una volta, il mio cervello era in pausa. Non avevo tempo per dargli ascolto, c'erano troppe cose da fare contemporaneamente. Ora capisco perché tutti ci infiliamo in lavori del cazzo: perché dobbiamo stare lontani dai discorsi che il nostro cervello si mette a fare.
Io al mio cervello gli voglio bene. Ma non siamo fatti l'uno per l'altro.
Qualche giorno fa mi è stato chiesto qual è la parte del mio corpo che mi piace di più e io non ho saputo rispondere. Non c'è una singola parte di me che mi piace. Ok, mi ritengo una divinità scesa sulla terra per via di una punizione ma al tempo stesso, questo corpo terreno, mi disgusta. Una volta avrei detto "il mio cervello" ma oramai neanche quello. Ha troppi problemi. È un vecchio motore a scoppio che cerca di restare al passo con i tempi ma viene lasciato indietro da tutto. C'è stato un periodo in cui siamo andati d'accordo ma ora non fa altro che sabotare ogni cosa bella che mi accade e amplificare le cose brutte e distrarmi dalle cose importanti e soprattutto non mi fa smettere di cercare carte Pokémon. Dai, io già non ho soldi, perché mi fai questo? Avessi un figlio e non un gatto sono sicuro che prenderebbe la mia collezione di carte e ci vomiterebbe sopra. Almeno Ernesto mi vomita solo su i pavimenti. O nelle scarpe. O nello zaino. Per questo motivo sono andato a lavorare in cucina, per migliorare e farlo smettere di vomitare ovunque. Ha funzionato? Aspettate un attimo che pulisco il vomito dal tappetino della cucina e ve lo dico.
Il bello del passato, quando è veramente passato e smette di fare male, è che puoi ricordare selettivamente solo le parti che ti fanno comodo e pensare che poi, alla fine, non sia stato così una merda. Che gli anni di psicanalisi siano quasi stati divertenti perché ehi, sono passati! Per questo torna il fascismo e l'ignoranza e la demenza e persino io che sono stupido come la merda me ne rendo conto che qualcosa non torna. Il passato è passato e così deve restare ma se siete come me, una persona che è costretta a portare pazienza da tutta la vita, allora il passato sembra un luogo fantastico. È il momento in cui le cose non andavano così male. Il presente mi fa paura. Mi fa ancora più paura pensare al domani, con una terapia nuova che magari non funziona e un gatto che vomita e caga ovunque e io senza un lavoro decente ma una una collezione di carte Pokémon da fare invidia a qualche bambino alle soglie della pubertà. Poi anche lui andrà incontro al mio stesso destino, scoprirà la figa e Pikachu andrà a farsi fottere fino al momento in cui pure la figa perderà il suo potere e penserà "Oddio sono finalmente libero!!!" e invece no, torna Pikachu e 'sto giro costa il triplo.
Ho bisogno di certezze se voglio dare certezze ma al momento l'unica cosa che riesco a dare è la certezza di non starci con la testa. Da fuori sembro anche capace di controllare tutto ma se entrate un secondo dentro il cranio ci sono le matasse di pelo di Ernesto e la polvere. Io pensavo che dopo il libro tutto sarebbe stato in discesa e invece manco per il cazzo. Dopo che realizzi il tuo sogno ti rendi conto che la bestia di insicurezze che hai dentro non si placa. Il mio mostro vuole di più, non si accontenta e io come posso spiegargli che per me è già abbastanza così, vivere con la consapevolezza delle mie copie vendute sentendomi in colpa per non essere stato migliore delle mie aspettative. La mia bestia interiore è più vorace di Ernesto davanti a una scatoletta Gourmet Gold (mica cazzi per lui spendo) e poi divora e smembra e aspetta io mi volti soddisfatto per rigurgitare ogni brandello sul pavimento, fissarmi con i suoi occhi a feritoia per sfidarmi dicendomi "Voglio di più, ancora, meglio, questo non era abbastanza".
Ci ho riflettuto e io sono un figlio degli anni 80. Sono nato in un'epoca in cui ci hanno inculcato, come verme distruttivo, il pensiero che se non riesci a ottenere una cosa è solo perché non stai lavorando abbastanza. Devi lavorare di più e la otterrai. Fottuto verme del cazzo, io vorrei solo dormire la notte e avere una terapia che funzioni. A me, dei tuoi desideri non importa una sega. Però sai com'è, nella mia testa ci sei tu e io non sono un pozzo di intelligenza, sono stato cresciuto così dalla televisione e da quarant'anni di Berlusconi e dai fottuti americani e i loro film del cazzo e mi sono sempre identificato nell'eroe inaspettato, colui sul quale nessuno avrebbe mai scommesso e alla fine porta a casa il risultato e la partita e vince tutto e io cosa ho vinto? Ho più paranoie che parole e se siete arrivati a leggere fino a questo punto vi state rendendo conto dell'abisso. Il successo, la realizzazione del noi è un'utopia. La calma, la pace, il silenzio del verme nel cervello è l'obiettivo. Anche il proprio gatto che smette di avere diarrea e vomitare è un altro obiettivo ok.
Sono stato bene per un periodo e ora aspetto solo di avere nuovi sogni che accuratamente cercherò di non realizzare per tornare a stare bene.
Quando mi guardo intorno cerco di capire se sono il più vecchio nella stanza. Sono a quel punto dell'età dove non è facile capirlo. La maggior parte dei miei coetani appare vecchia come un 56k e io li guardo e penso "Cristo ma faccio schifo come loro?" e magari loro hanno una copia di se stessi che sta crescendo e che costa un sacco più del Giratina V che tanto desidero mentre io invecchio e basta e i miei tatuaggi sono stupendi perché ho una pelle magnifica ma il verme in testa mi ripete quanto dovrei fare (invece di bere solo alcolici che saranno controproducenti per la prossima terapia) è solo l'ennesimo prodotto del capitalismo che è servito ai nostri genitori per comprare casa quando avevano vent'anni mentre a noi cosa resta? Portare pazienza. Ecco cosa ci resta.
Il mio amico Matteo (che non sono io, è un altro Matteo, Matteo è un nome molto comune) mi ha detto che da quando ha divorziato ha perso interesse nell'uscire e conoscere nuove persone e mettersi in gioco perché ritiene di aver scopato abbastanza per questa vita. Lo invidio molto. A me scopare piace ma io, se c'è una cosa che metterei da parte per questa vita, è continuare ad avere sogni e desideri. Ne ho avuti abbastanza. Tutti figli del capitalismo e di una realizzazione di sè che non ha senso.
Finisco il mio ultimo vino, rileggo quello che ho scritto e maledico questo posto dove riesco, mio malgrado, a essere la versione di me stesso che vorrei essere sempre.
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Dopo aver postato i miei addii alla chihuahua Minù e al gatto Alvin, scomparsi davvero troppo presto e a distanza di trentasei ore tra di loro, ho potuto constatare quanto la presunzione di superiorità dell'essere umano sia di quanto più lontano dall'essere davvero umani.
Semmai disumani.
Per molti lo strazio che alcuni esseri umani provano per la scomparsa di un animale domestico è una deriva.
Una preoccupante deriva, dove si pongono sullo stesso piano i nostri amici a quattro zampe con la vita di un altro essere umano.
Non credo che una persona psicologicamente equilibrata voglia mai paragonare la perdita di un cane o di un gatto con quella di un genitore, di un amico o un altro parente.
Ma resta sempre un dolore comunque, che può essere molto profondo se per la persona colpita dal lutto, l'animale, era tutta la sua famiglia. Nessun altro.
Un vuoto resta un vuoto.
A prescindere da tutto questo mio preambolo, per esperienza personale, posso dire che il vedere morire un essere umano e vedere morire un animale che ha condiviso la sua vita con te ha dei punti in comune.
Lo sguardo. Ti cercano come per avere la conferma che non saranno soli, in quel momento, che qualcuno a cui hanno voluto bene sia lì con loro.
Ho visto morire mio padre, mi ha guardato e poi con un sorriso ha guardato in alto ed è spirato.
La mattina che Alvin è morto ero uscito per un appuntamento di lavoro, dovevo portarlo al mio rientro dal veterinario eppure prima di uscire, mentre mi ero chinato su di lui per confortarlo, mi ha guardato e con la zampa mi tratteneva il braccio. Usando gli artigli.
Ho interpretato dopo, quando rientrando di corsa l'ho trovato riverso a terra, che probabilmente mi stava chiedendo di non andarmene. Di restare lì con lui.
Ho letto un post recente dove un veterinario affermava che 9 su 10 i proprietari di cani o gatti non vogliono assistere al trapasso dell'animale.
Che questi prima di essere sedati per il trapasso cercano con lo sguardo colui, o colei, per cui è valsa la pena vivere scodinzolando o facendo le fusa.
Molti credono che gli animali non abbiano un'anima, eppure animale è una parola che viene dal latino "animalis" che vuol dire "animato" o qualcosa che crea la vita. Affine al greco "anemos" (vento, soffio) e al sanscrito "atman", di uguale significato.
Anche mio padre cercò qualcuno e c'ero solo io. Altri erano usciti dalla stanza. Qualcuno addirittura se n'era andato, con una scusa.
Eppure l'essenza della riconoscenza verso un'anima sta proprio nello stargli vicino, quando quell'anima lascerà il suo corpo terreno.
Non si dovrebbe privare nessuno di questo riconoscimento, a meno che la morte non giunga inaspettata e all'improvviso sia chiaro.
Nel corso della propria esistenza le persone hanno svariati interessi e priorità. Ma per gli animali, quello che noi definiamo il loro padrone, è la cosa più importante di tutto. Di tutti.
Lo sguardo degli umani, durante l'esistenza, cambia a seconda dei sentimenti. Che sia amore o rabbia, a volte anche odio.
Ma nel momento in cui una persona capisce che è giunta la sua ora cerca il perdono, oppure di perdonare.
Un cane o un gatto non si devono far perdonare nulla da chi li ha amati. Ti guarderanno con lo stesso sguardo del primo giorno che li avrete visti. Con amore incondizionato.
Perché nell'attimo in cui se ne vanno, inizia il ricordo e l'amore si consolida nel cuore. Per alcuni umani invece rimane anche una parte di rabbia e di cose incompiute.
E nell’attimo in cui tutto finisce, niente finisce
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