#immagine del corpo.
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Il 64% degli Italiani si Piace, il 95% Ritiene Importante l'Aspetto Fisico: Ecco i Dati del Sondaggio Vamonos-Vacanze.it
Un recente sondaggio condotto da Vamonos-Vacanze.it, tour operator specializzato in vacanze di gruppo, ha rivelato dati interessanti sul rapporto degli italiani con il proprio corpo e l'autostima.
Un recente sondaggio condotto da Vamonos-Vacanze.it, tour operator specializzato in vacanze di gruppo, ha rivelato dati interessanti sul rapporto degli italiani con il proprio corpo e l’autostima. Il 95% degli italiani ritiene importante l’apparenza fisica, mentre il 64% dichiara di piacersi guardandosi allo specchio. Nonostante ciò, solo il 16% degli intervistati si sente sicuro di sé,…
#alimentazione sana#amici e autostima#apparenza fisica#Autostima#autostima italiana#bellezza interiore#benessere interiore#canoni di bellezza#corpo positivo#Crescita Personale#Cura di sé#dieta sana#famiglia e autostima#fiducia in sé stessi#giudizio altrui#immagine corporea#immagine del corpo.#Influenza media#IRCM ricerca#media e bellezza#partner e autostima#Percezione di sé#pressione sociale#salute fisica#salute mentale#sicurezza in sé stessi#sondaggio italiani#sonno adeguato#Sport#sport e benessere
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Il giorno dell’Angelo
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Dunque, vediamo un po’ a che punto siamo con te. Sono decenni che ti seguo e ti guido paziente. Ti ho avuto in affidamento una trentina d’anni fa, secondo la vostra concezione limitata del tempo. Mi sei stato passato da un caro collega quando lui è stato premiato e promosso ad altro incarico di superiore responsabilità. Io ero e resto ancora solo un angelo alle prime armi. E con te ho di fatto imparato il mestiere: neppure noi “nasciamo imparati”, come dite voi, sai?
Forse è anche per questo mio goffo apprendistato sul campo, che te ne sono capitate parecchie. Ma in fondo te la sei cavata bene. Pochi punti sulla pelle. Tanti nell’anima. No, non ringraziarmi ancora, ché non è finita: vedrai che roba! Hai capito in qualche modo che ci sono, che cerco di tenerti a freno quando ti arrabbi. E di confortarti quando hai gli inevitabili momenti di scoraggiamento. Però sei testardo; hai quasi portato a compimento il tuo percorso.
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Certo: nessuno sa qual è il chilometraggio che gli è stato assegnato, né quale sia la sua missione sulla Terra, il suo scopo primario nell’esistenza presente che gli è toccata. Hai capito sbattendo la testa più volte che c’è solo da usare il benedetto “libero arbitrio”, che altro non è se non scegliere la via più difficile e impegnativa. Sempre. Che poi è anche quella che ti farà tagliare le curve per accorciare il cammino dell’elevazione della tua anima - il tuo vero “io” - verso i piani superiori della scala evolutiva spirituale.
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Certo: noi custodi vi guardiamo, da lassù e sorridiamo. O magari ci dispiacciamo degli sforzi che fate, delle lacrime di rabbia e delle fatiche fatte per conquistare traguardi in fondo futili, tutte cose caduche, che alla luce del tempo che passa valgono poco più di zero. Poi vi tradite, vi ingannate, vi odiate. Ma più spesso per fortuna ci stupite e ci commuovete con atti d’amore puro e disinteressato, con dolcezze inaspettate e infinite. Che spesso sono il frutto di scelte anche molto difficili, per voi. Vi ammiriamo, per queste cose.
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Libero arbitrio. Un po’ vi invidiamo, perché a noi, senza un corpo che soffre, fragile, preda di influenze e bisognoso di continue cure, non è di conseguenza concesso provare emozioni forti, essere schiavi delle grandissime passioni che sono vostra croce e vostro privilegio. Per noi è tutto molto più diluito. Soffuso in una luce bianca benefica e morbida. Una sala d’attesa perenne, in pratica. Che poi il nostro grande desiderio di salire di grado è ciò che ci spinge infine a scendere sulla Terra, a incarnarci indossando a nostra volta dei corpi.
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Opportuni mezzi per misurarci con cose vere e difficili, come la gestione dei rapporti tra esseri umani. Sappiamo bene che vivere è difficile. Per tutti. No, fidati: ognuno porta la croce che gli spetta, a seconda della propria posizione nel piano evolutivo concordato lassù prima di scendere. E per ciascuno c’è una fila di esistenze: lunga o breve. Alcune saranno necessariamente molto impegnative, altre cosiddette “di riposo” e altre ancora magari di utilità per altri esseri umani.
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Perché soprattutto aiutare gli altri è ciò che fa bene all’anima. No, le esistenze terrene non avvengono in ordine “cronologico” come potreste immaginare: il tempo non si dispiega “in sequenza” come ve lo immaginate. Ma lasciamo perdere questo argomento, perché il tempo è impossibile da comprendere, per la natura umana. Oggi è per tutti un giorno uguale a ieri e sarà uguale anche domani. C’è molta sofferenza comune, in questo periodo sul pianeta blu.
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Ciascuno rielabori intimamente e senza pregiudizi il messaggio portato dalle malatie e dalle soffrenze fisiche. Risulta evidente che qualcuno vi sta avvertendo: a livello individuale non è più possibile per nessuno pensare di essere “migliore” del suo vicino. Che si possa avere diritto a dei privilegi rispetto a un qualsiasi altro essere umano. O addirittura che l'uomo abbia su questo pianeta più diritti di esistenza di altre specie, che si possano sfruttare le risorse in modo scellerato, come avete fatto negli ultimi sessanta o settanta anni.
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Nessun’anima è migliore o più degna di quella di un altro: ci sono solo miliardi di anime in marcia parallela verso la Luce. Ognuna soffre e fa esperienza secondo il proprio livello di spiritualità, evoluzione e comprensione delle leggi cosmiche. E le religioni dovrebbero servire poi a farvi amare, rispettare, aiutare; non a essere pretesto per le guerre e per l’accumulo di beni, alla fine tutti deperibili e totalmente inutili. “Le guerre non nascono perché la gente è religiosa, ma perché non lo è abbastanza.” (Enzo Biagi)
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Comunque, tu: niente paura. Sono qui, ti sorveglio e ti sarò vicino. Sino al momento della tua prossima transizione. Perché, grazie a Dio, almeno tu sai con fiducia che non sei la carne che pure curi, bensì lo spirito che la abita. E poi continuerai il tuo viaggio in altra maniera. Avrò cura di te, perché dopotutto anche a me servono i… “contributi” per salire di grado! E tra l’altro anche se al momento indosso le ali, non mi è dato sapere se ho finito il mio ciclo di studi, di reincarnazioni sulla Terra. Per un po’ ancora, probabilmente anche per me quassù vale il “carpe diem”.
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Sei tu il mio lavoro di oggi. Ma in passato, sai, ho avuto di peggio: cose che non posso dirti, per la legge sulla Privacy Eterna. Oggi che col freddo invernale non si può andare a fare un picnic o una gita al mare, guarda i link qui sotto e rifletti. Roba vecchia? Ti ricordo che il tempo non esiste, che il male è connaturato alla natura umana. E che tutti noi svolgiamo un’enorme, lunga e molto complessa recita. Senza il male, non riconoscereste quanto può essere importante una carezza o un segno d’approvazione, un aiuto. O un bacio appassionato. Buona riflessione.
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RDA
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L’unica immagine che ha rispecchiato il mio sentire
è il nero,
il buio di questo inutile dolore.
La guerra ci colpisce come uno schiaffo per la vicinanza fisica, per la contiguità.
Per questo il primo pensiero, urgente e doloroso, va alle Donne .
Tante donne, che ci raggiungono per il loro dolore, per la loro forza, in fuga, resistenti, combattenti che siano.
Le donne a cui si affida la fuga per a cura dei piccoli, figli loro o altrui, degli anziani, della sopravvivenza.
Le donne che vogliono resistere, fare la differenza, anche se questo significa abbracciare un mitra, tirare una molotov, arruolarsi.
Le donne che nascono, come la piccola Mia, partorita nel tunnel della metropolitana, diventato bunker.
Le donne, ragazze, bimbe che muoiono.
Le donne che brillano per la loro assenza ai tavoli dove si negozia, dove si decide.
Non ci sono donne laddove si decide di guerra, di bombardamenti, di confini, di misure d’emergenza, ma che sono sempre presenti dove la guerra si subisce.
Le donne che prendono posizione, netta definitiva, anche rinunciando ad un pezzo della loro storia.
Mi attraversano le parole che cercano di descrivere, di fermare in un’unica forma ciò che vedo, che leggo, che sento. Che tengo, trattengo dentro di me, perché niente di questa immane, dolorosa forza vada perso: le lacrime, la forza, il dolore, il sorriso, lo sgomento, la determinazione, la paura, l’amore, la salvezza, la sconfitta, il sovvertimento di ogni sicurezza, l’annientamento, la perdita di futuro, la fame, a sete, la lotta, la resistenza.
Lo stupro.
Lo stupro, ancora e ancora. Non è in questa guerra. E’ la guerra per le donne. Sempre.
Ancora oggi, nelle guerre (si perché “conflitti”- “operazioni speciali” sono termini troppo edulcoranti, che lasciamo agli infingardi) ci sono uomini che vedono nel corpo delle donne un terreno di conquista, sul quale sfogare la radice della violenza e del modo di essere e sentirsi uomo.
Ed è tremendamente amaro il constatare che il corpo delle donne, di tutte le donne, è ancora considerato semplicemente una cosa di cui appropriarsi.
Non ha a che fare con la fame di energia, i territori da conquistare, i confini da ridisegnare: sono i confini della donna ad essere violati
E lo stupro di guerra ne è la forma più schifosa, come se nello stupro ci fosse una rivincita bestiale, un trofeo, una testa mozzata da appendere alla lancia.
Lo stupro e tutte le forme di violenza sessuale vengono usati come armi di guerra per sopraffare, annientare fisicamente e psicologicamente le donne e le ragazze. Sempre. Centinaia di loro , di NOI, sono sottoposte a trattamenti brutali allo scopo di degradarle e privarle della loro umanità. La gravità e la dimensione di questi reati sessuali sono spaventose, al punto da costituire crimini di guerra.
Ho ancora negli occhi il viso di una giovane che ho incontrato in un campo profughi durante la guerra. Non si può mettere su un foglio tutto l’ orrore che stava dietro quello sguardo pulito, profondamente disfatto e senza lacrime.
Ma nessuna di noi che l’ha incontrata ha il diritto di accantonarlo in un angolo buio dei ricordi difficili.
Il suo pianto silenzioso deve fare rumore attraverso di noi.
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-Anna Maria Romano
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" Ci sono certi sguardi di donna
che l' uomo amante non iscambierebbe con
l' intero possesso del corpo di lei.
Chi non ha veduto accendersi in un occhio limpido il fulgore della prima tenerezza non sa la più alta
delle felicità umane."
( Dal Piacere di Gabriele D' Annunzio)
Il dubbio di Giacomo Balla 1907/08
Galleria d'Arte Moderna, Roma (olio su carta, cm 67x50)
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Giacomo Balla è stato uno dei protagonisti della pittura italiana della prima metà del secolo scorso. Dopo essere stato legato alla pittura divisionista, ha aderito al futurismo per poi tornare al realismo.
Il dipinto è uno splendido ritratto della moglie Elisa, risale al 1907/1908 quando Balla era ancora influenzato dalle ricerche divisioniste.
L'opera sembra uno scatto fotografico, un fugace fermo immagine.
La moglie del pittore sembra essersi destata da un momento di intima riflessione. Il pittore cerca la sua attenzione, la chiama: "Elisa". Lei si volta e sorride portando nello sguardo il velo di pensieri nei quali era assorta. Nell'iride balena un lampo di luce.
Da qui nasce il titolo "il dubbio".
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PER LA PRIMA VOLTA GUARITO IL DIABETE CON UN AUTOTRAPIANTO DI STAMINALI
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Una donna di 25 anni con diabete di tipo 1 ha iniziato a produrre la propria insulina dopo aver ricevuto un trapianto di cellule staminali riprogrammate. Si tratta della prima persona al mondo con questa malattia a riuscire ad essere curata utilizzando cellule estratte dal suo stesso corpo.
James Shapiro, chirurgo e ricercatore presso l’Università di Alberta a Edmonton, Canada, afferma che i risultati dell’operazione sono sbalorditivi. “Hanno completamente invertito il diabete nel paziente che in precedenza necessitava di notevoli quantità di insulina”. Questo traguardo segue i risultati di un traguardo simile raggiunto dai medici di Shanghai, in Cina, che lo scorso aprile hanno trapiantato con successo cellule che producono insulina nel fegato di un uomo di 59 anni con diabete di tipo 2. Le cellule sono state derivate anche da cellule staminali riprogrammate prelevate dal corpo dell’uomo, che da allora ha smesso di assumere insulina.
Il diabete colpisce circa mezzo miliardo di persone in tutto il mondo. La maggior parte di loro soffre di diabete di tipo 2 in cui il corpo non produce abbastanza insulina o la sua capacità di utilizzare questo ormone diminuisce. Nel diabete di tipo 1 il sistema immunitario attacca le cellule del pancreas. Questa soluzione scoperta dai ricercatori permette di utilizzare cellule proprie del paziente ed elimina il rischio di rigetto nel trapianto perché il corpo non considera le cellule come estranee, oltre a non dover dipendere da donatori esterni che scarseggiano e non sempre sono compatibili.
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Fonte: Nature; Cell discovery; immagine di Pollinations AI
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Buon giorno!
As soon as she had left the room he rolled over into the warm trough that her body had left in the mattress, and stretched luxuriously. It was the most sensually satisfying moment of his day, this stretch into a new, but warm part of the bed. But it was instantly impaired by the consciousness that he would soon have to get up and face the rest of the day. Cioè, all'incirca: Non appena lei ebbe lasciato la stanza, lui si rotolò nella calda cunetta che il corpo della moglie aveva lasciato nel materasso e si stirò con grandissimo piacere. Per lui era il momento di soddisfazione più grande e sensuale della giornata, questo allungarsi in una parte nuova ma calda del letto. Ma gli fu immediatamente distrutto dalla consapevolezza che ben presto avrebbe dovuto alzarsi e affrontare il resto della giornata.
D. Lodge, The man who wouldn’t get up and other stories [1995, raccolta poi aumentata nel 2016], Vintage - Penguin Random House, 2017
Immagine: Brando, l'omino con il pigiama a righe, dal logo dell'azienda Permaflex, disegnato nello studio pubblicitario di Armando Testa.
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SENSI DELL'ARTE - di Gianpiero Menniti
LA POTENZA DELL'IMMAGINE
Forse in pochi ne sono al corrente: a Vibo Valentia è custodita, nella casa comunale e precisamente nella stanza di rappresentanza del Sindaco, un dipinto di pregevole fattura e di notevole rilevanza storico-artistica.
Si tratta del "San Sebastiano" ascritto al pittore messinese Gian Simone Comandé (1558 - 1630) per attribuzione dello storico dell’arte calabrese e ricercatore insigne, Mario Panarello, nel suo corposo contributo al saggio “I dipinti e gli inventari di Francia e altri inediti documenti per il collezionismo nella Calabria del Settecento e dell’Ottocento: Cosenza e Vibo Valentia”.
Come rammentato dallo studioso, il quadro si rivela analogo a “una nota iconografia del Sodoma (Antonio Bazzi, 1477 - 1549), oggi nella Galleria Palatina di Firenze” meglio conosciuta come Palazzo Pitti.
Il raffronto della tela "vibonese" con l'opera assai celebre del "Sodoma" è impressionante: non si tratta di mimesi ma di una comparazione interpretativa "a distanza".
Il "Martirio di San Sebastiano" (risalente al 1525 - 1527) è, in realtà, un gonfalone per le processioni, richiesto al famoso artista di origine vercellese naturalizzato senese (ritratto nella Scuola di Atene accanto allo stesso Raffaello) dalla Compagnia di San Sebastiano in Camollia della città toscana.
Il potere salvifico della rappresentazione era dunque molto sentito: un'icona, una sorta di talismano, un'immagine dalla potenza guaritrice.
L'opera del Comandé apparteneva invece alla Chiesa del Carmine a Vibo Valentia, dove prima insisteva, appunto, la Chiesa di San Sebastiano e la confraternita del santo: “In essa chiesa antichissima - scrive Bisogni - c’era dipinta l’immagine di S. Sebastiano di Simone Comandia siciliano”.
Probabilmente anche quest'immagine doveva rivestire un valore di fede intenso e diffuso: non a caso, nei pressi della chiesa sorgeva (esistente tuttora) il caratteristico borgo denominato San Sebastiano nel centro storico della città.
Premesse fatte a richiamo sommario del significato che accomuna le due immagini.
Ora si tratta adesso di confrontarne la "potenza" nell'impatto sull'osservatore.
E qui l'allievo, a mio parere, supera il maestro: non ho dubbi che la tela del Comandé (fotografata magistralmente dal Maestro Tonio Verilio) s'innalzi a un livello di pathos molto più profondo, vissuto nella consapevolezza del martirio e in un'angosciata fede ormai piena e intensa.
Possiede già il nimbo, al contrario ancora tra le mani dell'angelo nel dipinto del Sodoma.
Ma quel che più conta è lo sfondo: il San Sebastiano di Vibo è opera che risente più marcatamente della lezione vinciana, delle apocalissi che sorgono alla vista per consumare il tempo delle cose create, dell'invisibile che cela l'archè, la forza primigenia, la terra strappata al suo manto di luce per essere gettata nella desolazione della materia.
Nella tela del Sodoma, la natura benigna e il mondo degli esseri umani proseguono il loro corso immemori del sacrificio.
Qui l'evento assume connotazione epocale.
Lì il corpo attende lo spirito.
Qui il corpo è già spirito.
È già Chiesa.
La matrice, nonostante la vicinanza mimetica, è divergente: l'opera del Sodoma appartiene a una storia ancora ingenua dei catastrofici mutamenti che devasteranno l'Europa delle guerre di religione, pur trovandosi sulla soglia del "Sacco di Roma", non può prevederne le conseguenze; il dipinto del Comandé, allievo del "Veronese" che dipinse una strepitosa "Ultima cena", risale alla fine del '500 inizi del '600, in piena controriforma tridentina (1545-1563) mentre già agisce il Caravaggio e il Barocco sta per avvitarsi sulle spoglie di un confuso Manierismo.
Immagine potente, evocativa, consapevole.
Non è la morte il destino immediato del martire trafitto dalle frecce: egli patirà la violenza brutale che l'ucciderà proprio per essere sopravvissuto al primo atto crudele.
Ma quella guarigione imprevista rimane il segno dell'impossibile, la rinascita oltre ogni drammatica condizione, la forza che respinse il motto rinascimentale albertiano, vinciano e infine machiavelliano del "tamquam Christus non esset", "come se Cristo non fosse mai stato".
No, il cristianesimo riemerge dalle sue paludi cinquecentesche per confermare la regola benedettina: "Omnes supervenientes hospites tamquam Christus suscipiantur", "Lasciamo che tutti gli ospiti che vengono siano ricevuti come Cristo".
Questo, forse, è il significato più autentico del San Sebastiano di Vibo Valentia.
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EMILIA PEREZ
Parafrasando quello che scrisse Karl Kraus contro i giornalisti, ovvero “Non avere un’idea e saperla esprimere”, per Jacques Audiard, regista di “Emilia Perez” vale il contrario, ovvero avere una idea e saperla esprimere pienamente. E l’idea è di quelle davvero complesse, quasi assurda, benché possibile: il capo di un cartello di spacciatori messicani, uomo ricco, potente e temuto, matura la decisione di seguire la propria intima natura e diventare una donna. Detta così la cosa potrebbe sembrare grottesca, se non proprio comica, ma questa materia messa nelle mani di un geniale regista diventa un film altrettanto geniale. Quando Manitas Del Monte, decide di cambiare la propria identità sessuale, decide contemporaneamente di ricorrere ai servigi di una giovane avvocato, socia in uno studio di grido, Rita Moro Castro che ha appena vinto una causa importante. Naturalmente, poiché l’operazione (non solo quella chirurgica), per un boss comporta anche problemi per così dire di immagine, Manitas decide di far rapire l’avvocato costringendola, di fatto, ad accettare l’incarico dietro un più che lauto compenso. E così dopo una spasmodica ricerca, l’avvocato trova a Tel Aviv la persona adatta a trasformare il feroce boss messicano in una donna. Il nuovo nome di Manitas sarà appunto Emilia Peres, donna giunonica e fascinosa, che insieme al cambio di sesso matura via via un profondo cambio di convinzioni. In fondo il povero Karl Marx, oggi tanto disprezzato e reietto, aveva già scritto alla metà dell’Ottocento che “non è la coscienza dell’uomo a determinare la sua condizione, ma la sua condizione a determinare la sua coscienza”. Menitas-Emilia era un feroce boss non perché lo “disegnassero così”, come disse Jessica Rabbit, ma semplicemente perché un boss deve agire da boss. L’anima femminile di Menitas, prigioniera di un corpo che non le apparteneva, si libera insieme alla trasformazione fisica del corpo . Dopo essere scomparso ed essersi finto morto e dopo il lungo soggiorno in Svizzera della moglie e dei suoi giovani figli, Menitas-Emilia torna in Messico e decide, insieme all’inseparabile avvocato Rita, di allestire un centro per il ritrovamento delle persone scomparse a Città del Messico, probabilmente vittime dei cartelli malavitosi. Intanto Emilia si riappropria della sua famiglia, vestendo i panni della zia Emilia pronta ad accogliere vedova e nipoti. Ma naturalmente le cose si complicano quando la giovane vedova confessa alla donna di aver avuto una relazione con un altro malavitoso, con il quale tenterà poi una fuga d’amore, e da qui tutto finirà in tragedia con la morte dei due amanti e di Emilia. Insomma un dramma. Anzi un dramma e un thriller o, per meglio dire, un dramma introspettivo, un thriller e un film d’azione. Detto ciò sembra proprio che ad Audiard non basti tale commistione di generi, poiché in realtà il film è sostanzialmente un musical. Sì avete letto bene, tutto il plot narrativo si sviluppa in moltissimi dialoghi cantati. A questo punto il rischio di trasformare il film in una porcheria immonda era altissimo, ma questo non solo non avviene, ma la vera forza del film sta proprio nella grande capacità di Jacques Audiard, che ricordiamolo è preminentemente uno sceneggiatore e non un regista, di essere riuscito a trattare una tematica a dir poco fuori contesto, con una profondità psicologica notevolissima e averlo saputo fare in un film dal ritmo serrato e utilizzando in più un genere che mal si presta all’introspezione psicologica. Riprese sporche e apparentemente poco raffinate rendono perfettamente gli ambienti, un montaggio magistrale, un ritmo narrativo molto serrato, testi e musica di assoluta originalità, fanno di questo film un’opera geniale. Il film è stato premiato al Festival di Cannes, ha anche ottenuto 7 candidature e vinto 3 Golden Globes, poi 10 candidature a BAFTA, quindi 4 candidature agli European Film Awards, 9 candidature a Critics Choice Awards, 3 candidature a SAG Awards, 1 candidatura a Directors Guild e 1 candidatura a CDG Awards e una a AFI Awards.
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Senza immagine Dio vaga in paradiso ma preferirebbe fumarsi un sigaro o mangiarsi le unghie, e così via. Dio è il proprietario del paradiso ma agogna la terra, le grotticelle assonnate della terra, l’uccellino alla finestra di cucina, perfino gli assassini in fila come sedie scassate, perfino gli scrittori che si scavano l’anima col martello pneumatico, o gli ambulanti che vendono i loro animaletti per soldi, anche i loro bambini che annusano la musica e la fattoria bianca come un osso, seduta in braccio al suo granturco e anche la statua che ostenta la sua vedovanza, e perfino la scolaresca in riva all’oceano. Ma soprattutto invidia i corpi, Lui che non l’ha. Gli occhi apri-e-chiudi come una serratura che registrano migliaia di ricordi, e il cranio che include l’anguilla cervello - tavoletta cerata del mondo - le ossa e le giunture che si giungono e si disgiungono – e c’è il trucco -, i genitali, zavorra dell’eterno, e il cuore, certo, che ingoia le maree rendendole monde. Lui non invidia più di tanto l’anima. Lui è tutto anima, ma vorrebbe accasarla in un corpo e scendere quaggiù per farle fare un bagno ogni tanto. Anne Sexton - Terra
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" "Chi sono io?". Bisogna dire che questa è una domanda che mi facevo fin da piccolo, quando mi svegliavo la mattina presto e rimanevo a fissare il soffitto. Poi, quando ero già un po' più grande, cominciai a chiedere spiegazioni a scuola, ma l'unica risposta che ho sempre avuto era che la coscienza è una proprietà della materia altamente organizzata, secondo la teoria leninista del riflesso. Non capivo il senso di quelle parole e così il mio sconcerto e gli interrogativi restavano gli stessi di sempre: com'è possibile che io vedo? E chi è questo «io» che vede? E in generale che cosa significa «vedere»? Vedo qualcosa di esterno o guardo soltanto in me stesso? E che significa «fuori di me» e «dentro di me»? Spesso avevo l'impressione di essere sul punto di arrivarci, alla soluzione, ma quando stavo per fare l'ultimo passo, a un tratto perdevo di vista questo «io» che solo un attimo prima avevo chiaro davanti. Quando mia zia andava a lavorare spesso chiedeva alla vecchietta vicina di casa di venire a darmi un'occhiata. Con una specie di piacere sottile, la tempestavo di tutte queste domande, sapendo bene la fatica che le costava rispondermi.
«Dentro di te, Omotchka, c'è l'anima» diceva lei. «E l'anima guarda attraverso i tuoi occhi e vive nel corpo come il tuo piccolo criceto vive in quella vecchia pentola. E questa anima è una parte di Dio, che ci ha creati tutti. Così anche tu sei questa anima.» «E perché Dio m'ha messo in una vecchia pentola?» chiedevo io. «Non lo so» diceva la vecchietta. «E lui dov'è che sta?» «Dappertutto» rispondeva la vecchietta e allargava le braccia tutt'intorno. «Quindi, anch'io sono Dio?» «No» diceva lei. «L'uomo non è Dio. L'uomo è fatto a immagine e somiglianza di Dio.» «E anche l'uomo sovietico è fatto a immagine e somiglianza di Dio?» continuavo a chiedere io, pronunciando a fatica quell'espressione incomprensibile. «Certamente» rispondeva la vecchietta. «E ce ne sono molti, di dei?» continuavo a chiedere. «No. Solo lui.» «E allora perché nel manuale c'è scritto che ce ne sono molti?» insistevo io, indicando il manuale dell'ateista che stava sullo scaffale della zia. «Non lo so.» «E qual è il dio migliore?» Ma la vecchietta rispondeva di nuovo: «Non lo so». E allora io chiedevo: «Allora posso scegliermelo da solo?». «Fai pure, Omotchka» diceva ridendo la vecchietta, e io mi mettevo ad armeggiare con il dizionario, dove di dei ce n'erano veramente a bizzeffe. Mi piaceva soprattutto Ra, il dio che adoravano, migliaia e migliaia di anni fa, gli antichi egizi. Forse mi piaceva perché aveva la testa di falco e spesso alla radio i piloti, i cosmonauti e un po' tutti gli eroi venivano chiamati «i falchetti». E così decisi che, se anch'io ero veramente simile a un dio, allora avrei assomigliato a quello. "
Viktor Pelevin, Omon Ra, traduzione dal russo di Katia Renna e Tatiana Olear, Mondadori (Collana Strade blu), 1999. [Libro elettronico]
[Edizione originale russa: Омон Ра, casa editrice Издательство Текст, Mosca, 1992]
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«Da un prete cattolico ci si aspetterebbe il minimo sindacale della conoscenza della Bibbia («Dio creò l’uomo a sua immagine, maschio e femmina li creò», Genesi 1,27), ma se a costui facesse difetto la conoscenza, potrebbe sopperire alla lacuna quanto meno ragionando da persona e cioè constatando i fatti: la trasmissione della vita è stata affidata dal Creatore alla differenziazione sessuale tra maschio e femmina. Poteva creare più generi? Magari sì, ma ha preferito fare diversamente restando fedele a sé stesso - scrive Rosaria Redaelli - Analogamente, se ci avesse fornito, ad esempio, un terzo occhio avremmo visto meglio, ma deve aver pensato che la perfezione del corpo umano era quella che ci ritroviamo addosso, compresi due occhi e non tre. Qualsiasi discussione razionale dovrebbe partire dal dato di fatto. Varianti fisiologiche o psicologiche nei due generi non autorizzano a pensare che esistano altri generi oltre a quello maschile e femminile. Quindi è senz’altro da ringraziare don Armando per la meritoria opera di prossimità alle persone Lgbtqiap+, ma essendo un educatore-pastore ci si aspetterebbe da lui lucidità sul percorso di maturità affettiva che ogni persona è chiamata a percorrere, sia essa etero o omosessuale. In questo percorso uno dei punti fondamentali è la capacità di accogliere la ricchezza dell’umano nelle sue differenze, in primis quella sessuale», si legge nella conclusione della lettera.
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Quando si comincia a lavorare su di sé, si scoprono cose che mettono in discussione le regole e le abitudini all'interno delle quali siamo cresciuti, credendo fossero la nostra verità.
Può succedere che si diventi consapevoli che, ad esempio, l'abitudine di essere troppo generosi e disponibili verso gli altri, nasconda in realtà un forte bisogno infantile di riconoscimento.
Tale atteggiamento, tuttavia, una volta indagato a fondo, rivela alla nostra coscienza che ci siamo prostituiti affettivamente, perché cercavamo di colmare un nostro vuoto interiore attraverso una manipolazione relazionale.
Ecco allora che la lotta diventa quella tra la verità e il ricongiungimento a sé, e la paura del cambiamento e della separazione dagli altri.
Anche se sappiamo che essere troppo generosi non è più, per noi, una virtù, ma una maschera che nasconde la nostra paura di non essere amati, cambiare tale atteggiamento risveglia la paura della perdita degli altri.
Della separazione e della violazione delle regole che ci siamo dati, per entrare in relazione con le altre persone, in modo da ottenere un qualche nutrimento.
Quando comprendiamo che quelle regole non funzionano più, in quanto ci hanno allontanato e ci allontanano dalla nostra essenza, allora, forse, diventiamo consapevoli che perdere noi stessi è più pericoloso della paura infantile di perdere qualcuno, che per altro ci vuole diversi da ciò che realmente siamo.
Cominciamo a preoccuparci davvero per noi, e scopriamo che siamo molto diversi dall'immagine che gli altri hanno cucito intorno al nostro corpo.
Tradire questa immagine, spezzarla, e recuperare la nostra vera anima caduta in fondo al pozzo, diventa a quel punto una questione di vita o di morte: la nostra.
Omar Montecchiani
#quandolosentinelcorpodiventareale
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A te non posso e non voglio dire di no
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"Tu mi apri sempre, petalo dopo petalo. Come la primavera apre la sua prima rosa." (Edward Estilin)
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Ti chiedevo per favore, con non poco imbarazzo e rossore sulle guance, di lasciarmi in pace. Perché ero e sono una donna sposata. Amavo e amo mio marito e la mia giovane famiglia, ma tu hai insistito da subito. Sorridevi e andavi avanti per la tua opera di seduzione. Tutto già deciso. M’hai confessato che già al colloquio preassunzionale ti eri invaghita di me a prima vista e perciò sei andata avanti a volermi far lavorare con te, a desiderarmi sempre di più e infine a corteggiarmi sfacciatamente ogni volta che eravamo da sole, come un rullo compressore. Femmina egoista e spudorata. Volevi e vuoi soltanto godere di me e del mio corpo giovane. Ti piaccio da morire, col mio scarso seno e la mia totale magrezza. Non ti interessa altro, al momento. Non hai hobby.
Non sei mai stata sposata e hai sempre e solo perseguito il tuo esclusivo piacere carnale. Dio solo sa quanti cazzi hai fatto venire dentro la tua fica e il tuo culo, quanta sborra hai ingoiato: per egoistico piacere o per averne poi un vantaggio professionale. E quante donne hai fatto cadere innamorate di te a colpi di lingua sul tuo sofà, quanto miele hai prodotto per loro e quanto ne hai ingoiato avida. Da vecchia ed espertissima puttana quale sei, approfitti della mia condizione lavorativa di giovane avvocato e tua collaboratrice da poco assunta nell'affermato studio di cui sei l’unica titolare. E ti fai forte anche del fatto che subisco il tuo innegabile fascino di donna matura, perché sei un avvocato dalla tempra risoluta. Da sempre abituata a esercitare il tuo potere su chiunque, senza alcuno scrupolo e avvezza a vincere.
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Sono stata una facilissima preda, per le tue fauci di sessuomane predatrice, affamata senza alcuna remora di ordine morale. “La morale è un concetto relativo, mia cara: ognuno si fabbrica la sua, secondo opportuna convenienza; il resto è solo l’invidia di chi non può.” Questa è stata la tua prima lezione di vita vera per me, il tuo mantra personale. Sei conscia del fatto che io non posso rischiare che tu mi licenzi e quindi mi sottometto e mi piego al tuo volere. Collaboro e ti riempio di baci e mugolii di piacere a ogni tuo colpo di lingua o mano infilata nella mia fica. Le prime volte fingevo. Poi, già che c'ero, ho iniziato pian piano anche a godere. Tantissimo, devo dire. Anzi: malgrado il rimorso e il senso di colpa, dopo una settimana già non vedevo l'ora che arrivassero le sette di sera, perché in quella mezz'ora restavamo completamente sole nello studio.
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Devo dire onestamente che con te durante il giorno comunque imparo veramente tantissimo: mi stai formando e plasmando a tua immagine. Sei la migliore, oggettivamente. E mi hai già detto che quando andrai in pensione mi passerai lo studio, al prezzo simbolico di un euro. Allora ti prego: inizia e prendimi tutta. Fai di me quello che vuoi. Leccami la passera, sfasciamela e bevimi a volontà. Lecca il mio culo quanto ti pare. O fammi leccare il tuo ogni volta che vuoi, fino a farmi sentire come contrai l’ano per aspirarvi dentro la mia lingua. Catturamela e non lasciarla più. Approfitta di me: guarda che culo e che bellissima fregna di giovane donna sposata a un uomo forte e totalmente ignaro puoi avere a tua completa disposizione: è tua. Adorami. Inculami come vuoi.
Pretendi che io sia la tua schiava personale e scopami con uno strap-on, con un dildo o con le mani. Infila nel mio culo tonico e scolpito qualsiasi cosa tu voglia, preferibilmente molto grande. Fammi soffrire e muovilo. E fa così che la mia passera si gonfi di piacere per te e che coli il mio nettare prezioso. Tu leccalo, assaporalo inghiottilo: è il mio regalo esclusivo. Solo per te. E poi a tua volta fatti sfondare ciò che conosco bene essere già ampiamente slabbrato e collaudato. Ordinami di leccarti tutta, dai piedi al buco del culo e alla fica. Io eseguirò: maltrattami e strizza i miei seni di giovane mamma. Bevi golosa il latte rubato a mio figlio piccolissimo dai miei capezzoli, ti supplico. Andiamo fino in fondo: fino a entrarci nel cervello l'un l'altra e a sfinirci reciprocamente di piacere.
Ti scongiuro: iniziamo ad essere amanti ufficiali. Stasera. Ingoia tutto il miele prodotto dal mio inguine di femmina consumata dalla passione per te e godi del mio corpo fresco quanto ti pare, mia anziana, odiata ma viziosa, adorata troia. Ti voglio anch'io tanto, ormai. Baciami la bocca e leccami il collo, succhiami la fica e fatti leccare il culo e la passera a tua volta. Certo: è già tantissimo; ma io voglio ancora di più. Lo so già: presto vorrai anche essere inculata e scopata come si deve da me. E io già adesso adoro succhiare, mordere i tuoi capezzoli e torturare dolcemente le tue grosse mammelle un po’ cadenti. Perdo la ragione, quando tu lo fai ai miei seni appena visibili. Nessuna donna resiste alla voglia di alzare l'asticella, man mano che progredisce l'intimità con un'altra femmina che ci stia e che non veda l’ora anche lei.
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Si parte sempre con un semplice e amichevole bacetto sulla guancia. Poi si passa a un bacio casualmente rubato sulle labbra: l’imbarazzo di entrambe dura poco e cede il passo al turbamento e poi al desiderio dichiarato. Parte la fase dei messaggi roventi e degli scrupoli. Frasi d’amore e passione. Ci si sfiora presto volutamente un seno o il culo, scompaiono i rossori, le esitazioni e iniziano le voglie dichiarate, i baci torridi e le esplorazioni più ardite. Si finisce con l’amarsi nude e totalmente spudorate, per bere reciprocamente il nettare della donna bramata, elisir che penetrerà in gola e disseterà per un po' la voglia. Infine, ci si desidera senza più limiti e si cerca di possedersi l’anima reciprocamente. Con la crescita esponenziale di una gelosia irrazionale e inevitabile.
Alle sette della sera tu chiudi a chiave la porta del tuo ufficio; per interfono dici alla segretaria che quando avrà finito le ultime cose potrà andare e che finirai la serata lavorativa con me. Quindi le chiedi di non disturbarci più per nessuna ragione da quel momento. Ti spogli e ti sdrai sul sofà; mi ordini di denudarmi. Non vuoi sentire scuse. Mi guardi come una leonessa guarda la sua gazzella quotidiana. Hai l'acquolina in bocca e ti brillano gli occhi, nel vedere il mio corpo perfetto nudo tutto solo per te. E quindi inizia la danza a due. Confesso che sentirmi tuo oggetto di desiderio sessuale un po’ mi lusinga. Ma mi sento ancora leggermente in colpa. Quando mi lecchi, succhi e poi ingoi il mio nettare, un po’ mi spiace, perché so che l'area “erotismo e sesso” sarebbe esclusiva competenza di mio marito. Ma ormai non mi importa più veramente. Amiamoci. Iniziamo questa storia torbida io e te, vecchia troia. Ora sono veramente pronta.
RDA
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Coltivate la bellezza e l’amore con estrema discrezione.
E ad essere avvilente è l’esposizione universale dei corpi, questo grande mercato che dimostra realmente, nei fatti, quanto le ragazze siano le peggiori nemiche di loro stesse. Mostrare al mondo intiero non veramente se stesse, ma un pezzo di carne, al solo scopo di ricevere un minimo di attenzione, o di innalzare un’autostima sempre troppo bassa. Logicamente noi maschi apprezziamo, io per primo, ma non è questo il punto. C’è chi reagisce abbassandosi i pantaloni e iniziando a masturbarsi, e chi come me invece semplicemente guarda, apprezza, e inizia a sognare. Ma è comunque sbagliato. È sbagliato che debba avvenire così. È sbagliato che l’umanità, nella sua totalità, abbia potenzialmente la possibilità di visionare corpi a volte anche molto belli, che non diventano altro che tentazioni diaboliche. E tutto ciò, per cosa? Perché non vi amate abbastanza. Perché cercate, col desiderio degli altri di possedere quel corpo, di colmare un vuoto che in realtà non può assolutamente essere colmato così facilmente. Serve piuttosto l’amore, l’amore vero. Quello per se stesse, sì, ma anche quello di un uomo che vi guidi responsabilmente verso il giusto sentiero. Fate di tutto, pur di cercare quel bagliore di felicità che immaginate e basta, perché i social ve lo fanno vedere così vicino, mentre per voi è invece irraggiungibile. Sono convinto che alcune di voi aprano OnlyFans nemmeno tanto per i soldi, quanto per i motivi di cui sopra. E Tumblr lo dimostra perfettamente. Vedo fondoschiena così belli che mannaggia la miseria, li dovreste sbattere in faccia solo al vostro uomo. Non qui. Perché i tesori non vanno sprecati, perché non vanno date le perle ai porci. E invece no, persistete. E quando non trovate abbastanza soddisfazione da ciò, o quando cadete nella dipendenza di quest’ultima, iniziate a spendere e spandervi in orribili tatuaggi, in ritocchi estetici osceni, che porteranno ancora più post nei social network. E forse anche più “mi piace”, dato che viviamo nella società della bellezza trasformata in bruttezza e volgarità. La questione è solo una, ragazze, e dovete svegliarvi: dovete amarvi di più. Dovete imparare a farlo. E dovete accettare che sia un solo uomo ad accompagnarvi in questa missione. Ogni rapporto sessuale consumato come un panino del McDonalds è una sconfitta. Ogni pene estraneo (a quello del vostro uomo) che penetra il vostro formidabile fondoschiena è uno spreco. Dovete preservarvi, dovete centellinare. Non siete dei contenitori di sperma, dannazione. Lo volete capire o no? Volete tornare tra noi esseri umani? Lo so che i maschi non sono tutti come me, lo so benissimo, purtroppo. Ma non dovete farlo per me, dovete farlo per voi stesse. Io qui vedo fondoschiena così belli che non dovrei poter vedere, assolutamente. Non mi dovrebbe essere possibile, no. E invece sono lì, sbattuti in prima pagina, come fossero merce. Come fossero solo pezzi di carne da schiaffeggiare e sfondare. Siete contente così? No, non ci credo. E non ci crederò mai.
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La mia notte vorrebbe vedere i nostri sguardi e avere i nostri sguardi pieni di desiderio.
La mia notte vorrebbe tenere fra le mani ogni spasmo.
La mia notte diventerebbe dolce.
La mia notte si lamenta in silenzio della sua solitudine al ricordo di te.
La mia notte è lunga, lunga, lunga. Perde la testa ma non può allontanare la tua immagine da me, non può dissipare il mio desiderio. Sta morendo perché non sei qui .
La mia notte ti cerca continuamente. Il mio corpo non riesce a concepire che qualche strada o una qualsiasi geografia ci separi.
Il mio corpo diventa pazzo di dolore di non poter riconoscere nel cuore della notte la tua figura o la tua ombra.
Il mio corpo vorrebbe abbracciarti nel sonno.
Il mio corpo vorrebbe dormire in piena notte e in quelle tenebre essere risvegliato al tuo abbraccio.
La mia notte urla e si strappa i veli,
la mia notte si scontra con il proprio silenzio,
ma il tuo corpo resta introvabile.
Mi manchi tanto, tanto.
Le tue parole..
Fra poco si leverà il sole.
Il tuo colore.
Lettera di Frida Kahlo a Diego Rivera Città del Messico 1939.
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130 SOLDATI ISRAELIANI SI RIFIUTANO DI CONTINUARE A COMBATTERE
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Una lettera aperta firmata da 130 soldati israeliani dichiara che non presteranno più servizio a meno che il governo non si impegni a raggiungere un accordo di cessate il fuoco nel territorio di Gaza.
La lettera inviata dai riservisti e dalle reclute del Corpo corazzato, del Corpo di artiglieria, dell’Home Front Command, dell’Aeronautica militare e della Marina è stata indirizzata al governo israeliano, tra cui il primo ministro Benjamin Netanyahu, i membri del gabinetto e il Capo di Stato maggiore dell’esercito. “Continuare la guerra a Gaza non solo ritarda il ritorno degli ostaggi dalla prigionia, ma mette anche in pericolo le loro vite”, si legge nella lettera, aggiungendo che sono stati uccisi più prigionieri durante gli attacchi israeliani di quanti ne siano stati liberati. “Noi annunciamo che se il governo non cambia immediatamente rotta e non lavora per raggiungere un accordo per riportare a casa gli ostaggi, non saremo in grado di continuare a prestare servizio”, si legge nella lettera. Secondo il quotidiano israeliano Haaretz , molti soldati si sono rifiutati di presentarsi per compiti di riserva che prevedono missioni specifiche, mentre altri stanno valutando se rifiutare.
In Israele si sono accese forti reazioni negative tra la popolazione e nell’esercito per non aver accettato alcun accordo di cessate il fuoco. Migliaia di israeliani stanno scendendo nelle piazze per chiedere il rilascio dei prigionieri e la fine della guerra a Gaza, chiedendo al governo di rispondere delle sue azioni per non essere riuscito a raggiungere un accordo.
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Fonte: Haaretz; immagine di Pollinations AI
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