#il diario della mia scomparsa
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Caro diario
È stato un mese strano, in cui ho temuto di non farcela. È difficile ammettere tutto ciò per quelle come me. Beh, quelle come me vogliono avere tutto SEMPRE sotto controllo, ma non sempre la vita lo permette e questo mese è stato così: intransigente, rigido, imprevedibile.
Ed io sono crollata. Sono crollata con tutte le mie insicurezze, con tutte le mie paure che pian piano, mentre il mio muro di certezze crollava, loro saltavano fuori.
Dico da un po' di voler andare in terapia, ma non ho ancora avuto la forza necessaria per andarci. Fa molto ridere tutto ciò perché io sono la prima persona che dice 'la terapia è ancora un taboo ma non dovrebbe esserlo, dovrebbero andare tutti' e lo penso davvero eh, però io mi blocco.
Mi blocco perché sarebbe una spesa in più, e se poi non trovassi il terapista adatto a me?
Insomma, un periodaccio.
Ora è passato ma sto capendo che continuo a trascinarmi questa malinconia da un po' e sembra che nessuno se ne accorga e tutto ciò mi fa arrabbiare, perché non capisco se sono un'ottima attrice e mi arrabbio perché potrei guadagnarci invece di usare le mie doti per cazzate, o se ho solo ciechi intorno.
Io non mi mostro mai debole, c'è da dirlo, però sono cambiata. E lo riconosco, me ne accorgo. Non ho più quella voglia di mangiare il mondo, non ho più voglia di cercare cosa fare nel weekend perché voglio vedere, esplorare, visitare, scappare. Mi sono totalmente rifugiata nel lavoro e tutto ciò che faccio è un "trascinarmi" nella vita, con dietro la malinconia di cui ti parlavo prima.
Ma allora perché? Perché io lo noto e gli altri no? Perché sembrano tutti sordi, ciechi e muti? Anche quando riesco a fare qualcosa che sia un'uscita, una visita o la qualsiasi, non è più un "voglio farlo" ma "lo faccio, altrimenti sto a casa a non fare nulla". Mi riempio di cose da fare per non pensare a quanto io sia sola. Perché questo è.
Alla mia età ancora non ho trovato vere amiche e non penso succederà mai. Purtroppo anche quelle che ho non sono le amiche che chiameresti nel bel mezzo della notte sicura di ricevere una risposta; anzi, probabilmente mi risponderebbero due giorni dopo con 'dimmi' oppure 'oh che succede' fingendosi preoccupate.
Con lui è un po' così, è molto impegnato perché ha molto da fare e lo giustifico e perdono per questo ma chissà.. spero che tutto cambi, perché sono stanca di essere invisibile.
Ed è come se le persone che ho attorno avessero il pennarello dell'invisibilità ed ogni volta che faccio un gesto nei loro confronti loro mi cancellano qualcosa. Più cerco di essere presente, sgomito, urlo, piango e più scompaio.
E se non sono ancora scomparsa è solo per merito mio, che mi ritiro su ogni volta che mi sento cadere nel buco nero ma non so quanto questa cosa potrà durare. Non so fin quando avrò la forza di prendermi la mano e rialzarmi mentre tutti gli altri mi rendono invisibile.
Sono stanca di urlare, piangere, sgomitare, cercare di farmi spazio nella vita delle persone e vedere che alla fine non riesco. Se io domani dovessi sparire probabilmente nessuno lo noterebbe, se non mia madre che non mi vedrebbe in casa. Probabilmente neanche lui se ne accorgerebbe in questo periodo.
E tutto ciò è molto, molto triste.
Sono stanca e dico la verità: vorrei chiudere gli occhi e non riaprirli più. Non m'importa più di niente, o forse m'importa troppo di tutto.
Buonanotte.
-gonetoosoon
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Capitolo 23 – Conquistiamo futuro recuperando il passato
IV.22
Nel cerchio di un anello
Alla ricerca di ricordi
affidati alla memoria
di chi c’era.
Assecondiamo
un movimento circolare,
percezione di una retta
un avanti che se continuo
fa ritorno.
Conquistiamo futuro
recuperando il passato,
architetti del presente
disegnatori specializzati
di memorie interne.
tratta da Canti Malinconici, una raccolta di mie poesie inedita.
Mi trovavo seduta sul lato passeggero, mia sorella stava guidando e scattai dal mio smartphone una foto del sole che stava tramontando su una curva di strada, nel traffico denso del Grande Raccordo Anulare. Qualche giorno dopo postai quella foto su Instagram con la poesia in epigrafe, era ottobre.
Dopo il rientro da Barcellona avevo ripreso a scrivere, a fotografare e avevo continuato a disegnare il mio diario grafico; il mio processo di elaborazione era finalmente iniziato. Sapevo di essere spiata quindi censuravo molto la mia scrittura, non toccavo direttamente il dolore, non lo fronteggiavo come avrei voluto fare e come avrei fatto, se avessi avuto la certezza di essere l’unica a leggere ciò che scrivevo, avevo trovato un modo di nascondermi tra parole e simboli mentre cercavo di maneggiare con cura il buio.
Partii per Roma, m’imbarcai su una nave che partiva da Palermo e dato che in navigazione internet non funziona, mi sentii libera di scrivere e quella notte in nave iniziai un racconto autobiografico che conclusi, qualche giorno dopo, durante la navigazione Civitavecchia - Barcellona.
Avevo da poco letto La scomparsa di George Perec. Il libro è scritto interamente senza mai, dico mai, utilizzare la lettera e; un gioco letterario in cui cela la più grande sparizione del suo libro. Sentivo che qualcosa di me stava scomparendo, mi trovavo a Roma anche perché dovevo ritirare dalla segreteria universitaria i documenti che mi sarebbero serviti, qualora avessi richiesto la convalida dei titoli in Spagna. Avevo detto a tutti che mi trasferivo lì per svolgere la mia professione, ma non lo sentivo vero. Non volevo più fare la psicologa, ero in totale burn out e capivo che non sarei stata in grado di svolgere la mia professione adeguatamente.
Intitolai il mio racconto La scomparsa e per undici capitoli, partendo dall’ultima sera trascorsa a Gela, presi a pretesto ciò che realmente mi accadde durante quei giorni e intrapresi un viaggio nei luoghi della mia memoria, della memoria delle persone che incontravo e di quelle che ritrovavo. Qualcosa di me stava veramente scomparendo ed io volevo fare come le farfalle, quando dopo essersi scrollate di dosso la carcassa del bruco, si allontano e camminando piano piano sulle zampe, si fermano e aspettano pazienti che il vento asciughi le loro ali.
A San Lorenzo, il quartiere dove si trova la Facoltà di Psicologia e la sua segreteria, camminando per via degli Apuli corre lungo un muro dove su uno sfondo color salmone, scorrono le sagome bianche delle donne uccise da uomini che dicevano di amarle. In ogni sagoma bianca c’è scritto il nome della donna, la data del giorno in cui è stata uccisa e chi l’ha uccisa: marito, ex-marito, padre, compagno, ex-compagno, fidanzato, fratello, amico, figlio e dopo, si ripetono uguali, per lo più ex qualcosa.
Il giorno che andai a ritirare i documenti passai davanti a quel muro vedendolo per la prima volta. In uno dei capitoli del mio racconto scrivo:
La segreteria era ancora chiusa ma decisi di aspettare fuori in modo da essere la prima. Dopo poco venne ad aspettare anche un ragazzo e condividemmo, come spesso accade nel mio Paese durante una fila ad un luogo pubblico, la nostra comune insoddisfazione per il modo di lavorare del luogo pubblico in questione, in quel caso la segreteria universitaria, da qui passammo alla critica dell’Università intera fino ad arrivare non so come, a parlare del caso Weinstein. Raccontai di aver letto proprio quella mattina che altre attrici si erano aggiunte alle denunce per molestie sessuali contro il regista, aggiunsi il mio rammarico sul fatto che alcune amiche, donne quindi, condividessero il pensiero di molti, riguardo all’opportunità che queste attrici avessero avuto di fare carriera in questo modo e riflettevo su quanto invece, sia spesso difficile per le vittime denunciare una violenza subita. A quel punto il ragazzo mi rispose:
«Come dice una tua conterranea (si riferisce a Carmen Consoli e cita la frase di una delle sue canzoni più famose) “Se è vero che ad ogni rinuncia corrisponde una contropartita considerevole, privarsi dell’anima comporterebbe una lauta ricompensa”, e io la penso come lei, magari adesso si sono pentite di averlo fatto e cavalcano l’onda della giustizia, ma sul momento hanno approfittato dell’opportunità».
A quel punto non parlai più, sembra che sia proprio atavico il pregiudizio che una donna che subisce violenza, in qualche modo ne sia responsabile.
Rileggendolo oggi aggiungerei che radicato è anche il pregiudizio che una donna che subisce violenza possa non averne sofferto così tanto, che sia anzi probabile che dall’esperienza qualcosa abbia persino guadagnato. Un pensiero brutale ma condiviso da molti, da così tanti che sembra quasi comprensibile che un produttore violenti le attrici con cui lavora mentre ci lavora, come brutalmente normale -tanto da essere legge- era considerato durante il secolo scorso, il matrimonio riparatore.
Rileggendo oggi quello che scrissi allora, mi fa ancora orrore ma non mi sorprende più se un ragazzo di vent’anni, un giovane studente di Psicologia, che si reca ogni giorno in Facoltà per seguire le sue lezioni, passando accanto a quel muro resta indifferente mentre gli scorre a fianco la sfilata della violenza. Non mi sorprende nemmeno quando ascolto notizie di cronaca su personaggi famosi, o come sempre più spesso accade su figli di uomini famosi, accusati di violenza sessuale nei confronti di donne e adolescenti. Adesso so che la fama talvolta può essere una maschera di carnevale, indossata la quale tutto è lecito. Non mi sorprende più ma continua a farmi orrore.
I Canti Malinconici e La scomparsa sono stati scritti per me, non per essere pubblicati o letti da chiunque. I Canti li ha letti soltanto un amico, che a sua volta mi ha permesso di leggere il suo romanzo mai pubblicato. L’unica persona che ha letto La scomparsa è Giò, a cui è dedicato un intero capitolo. Lei è l’unica persona che ha letto tutti i miei racconti, anche quelli più intimi. Mi piacevano sia le sue critiche che i suoi apprezzamenti, anche quando le sue riflessioni su ciò che esprimevo, o su come lo esprimevo, mi disturbavano un po’ mi spingevano ad andare oltre, ad esprimermi ancora e meglio di prima, ma soprattutto mi fidavo di lei e di come avrebbe usato il suo sguardo sulla mia intimità.
Non ci vedevamo da anni, ci rincontrammo a San Lorenzo lo stesso giorno che ritirai i documenti in segreteria, all’ora di pranzo avevamo appuntamento davanti l'entrata dell'Università. Lei fu la prima a cui confessai l’identità del personaggio famoso e dato che già lo seguiva su Instagram si accorse, nei mesi seguenti, delle risonanze tra quello che scrivevo io e ciò che lui pubblicava sul social.
Così scrivevo del nostro incontro e di quando le raccontai quello che mi stava accadendo
...Dell’amicizia però, il senso più nobile è la fiducia. Ecco perché è una forma d’amore. L’amico vero ti conosce, è quello che quando tutto il modo ti dà del matto, sa che sta accadendo qualcosa di grosso, che magari non capisce ma non dubita mai, nemmeno per un secondo, che tu sia impazzito.
...Giò sapeva e non dubitava della mia salute mentale, anche se capii che era in apprensione per la mia salute psichica. Con lei non fu difficile raccontare della storia virtuale, non fu difficile neanche confessarle quando la storia d’amore nel web aveva iniziato a tingersi di giallo e a diventare una storia di spionaggio, delazioni e delatori. Per la prima volta, riuscii ad esprimere il senso d’impotenza in cui mi aveva gettato l’essere vittima di un hacker che era in grado di fare qualsiasi cosa con il mio smartphone e con il mio iPad. Ascoltarmi, osservarmi, leggere i miei contenuti, i miei messaggi, i documenti, qualsiasi cosa, come se i miei supporti tecnologici fossero i suoi. Avere accesso completo a ogni sfera della mia privacy. Riuscii finalmente ad esprimere come il non avere i mezzi per poter porre fine a questo abuso, mi facesse sentire debole e sfiduciata, completamente impotente.
E poco dopo
“Cosa ti piaceva di lui?” Giò ha chiesto a un certo punto.
Cosa mi piaceva. Mi piaceva quello che diceva, come lo diceva. Mi piacevano le cose a cui dava importanza. Mi piaceva la sua azione sociale, condividevo quello contro cui lottava…
…Non ho l’animo della fan per i personaggi pubblici. Anche gli Stati con ancora i regni monarchici mi fanno uno strano effetto, così assurdo, quasi surreale.
..Dico questo per dire, che penso si possa apprezzare l’opera di qualcuno, di un personaggio pubblico noto, come non so uno scrittore, un artista o un politico per esempio, senza per questo innamorarsi o desiderare di avere una relazione più intima con lui o con lei. Il sentimento del fan penso, include questa speranza, come include una quasi morbosa curiosità per i dettagli della vita personale e privata di questo personaggio noto. Io non sento questo desidero per nessuno dei personaggi che ammiro, e non lo sentivo neanche nei suoi confronti, mi piaceva e lo ammiravo, e stimavo la sua capacità di vivere in una situazione particolarmente difficile come era quella in cui viveva lui.
(..ho iniziato)A sentire oltre le sue parole, a sentirmi chiamata dalle sue parole e a sentire una profonda empatia per lui. Ho iniziato a vedere quello che non mostrava, quello che tra parole, punteggiatura ed immagini restava un silenziosissimo urlo.
La corsa in auto con mia sorella finì in un locale di San Lorenzo, quello dove pranzai con i miei amici e la mia famiglia per festeggiare il giorno che discussi la tesi. Quella sera incontrai due compagne di studio che avevo perso di vista quando mi trasferii in Sicilia. C’eravamo tutte e tre laureate con una tesi in psicofisiologia con il prof. Vezio Ruggieri. Era stato il nostro maestro. Molto di quello applico nel mio lavoro me lo ha insegnato lui; ancora oggi utilizzo molti dei principi del Modello Psicofisiologico Integrato da lui creato per i miei interventi. In uno dei capitoli del mio racconto parlo dell’importanza che il prof. Ruggieri ha avuto nella mia formazione di psicologa, racconto dei seminari di teatroterapia e di musicoterapia che seguii con lui per tre anni, della mia partecipazione al montaggio e alle riprese del film che stava realizzando sulla filosofa Ipazia, di come le sue lezioni e il suo modo di osservare abbiano profondamente influenzato la mia maniera di intendere la psicologia e l’essere umano.
La scomparsa è un testo nel quale riannodo le fila di un lungo percorso di vita in un momento di totale frammentazione. Sto lasciando il mio Paese, ho quarant’anni e guardo indietro vedendo gli anni della mia gioventù, passo al setaccio i progetti che avevo e i sogni che mi spingevano a realizzarli per capire cosa ne è rimasto. Recupero pezzi di me recuperando amicizie lontane nel tempo, riscopro cosa hanno significato per custodire con più cura quello che mi hanno trasmesso. Rivedo i momenti in cui le mie scelte hanno deviato un corso che poteva andare altrimenti, riconosco i passi che mi hanno portato a diventare quello che mi scopro essere diventata.
Se oggi pubblico parti di questi scritti personali non è soltanto perché mi aiutano a ricordare, a raccontare e a trovare un senso, ma perché come ho detto all’inizio di questo blog, tutto ciò che pubblicherò qui, è tutto ciò che lo stalker ha visto spiandomi, ha preso e ha utilizzato per le sue pubblicazioni. Almeno quelle di cui mi sono accorta. Se ce ne siano di più di quelle che riporto non lo so, e confesso che sono anche contenta di non saperlo. Nel 2020 lo stalker ha pubblicato un saggio molto più corposo dei mie 11 capitoli, in cui scrive a se stesso ripercorrendo i luoghi e i personaggi, attraverso i loro libri, che sono stati utili alla sua formazione. Tra questi la filosofa Ipazia che, in un video di presentazione del suo libro arrivatomi in notifica sul mio smartphone, dice di amare letteralmente non soltanto metaforicamente. Non ho letto il libro, quello che so è quello che mi ha sbattuto in faccia con le sue notifiche e con i suoi post fino a quando l'ho seguito. Quello che ho visto è bastato a farmi riconoscere ciò che era mio, ciò che apparteneva alla mia vita.
In un certo senso la psicologa che ero nel tempo in cui scrivevo La scomparsa non c’è più, ce ne una diversa, una che conosciuto il trauma e lo stress traumatico non solo come professionista, come studiosa e per interposta persona, ma anche come vittima. O come sto cercando di fare, come protagonista. Alla maniera di Yayoi Kusama provo a riappropriarmi delle mie paure, dei miei dolori, delle mie ferite, le mostro e me ne libero, lasciandole qui libere di vagare nella rete.
Roma 26 febbraio 2023 h: 5.25pm – 27 febbraio 2023 h:5.05pm
#LOVEINTblog#stalking online#Yayoi Kusama#abuso#potere#resistenza#hacker#amicizia#maschere#trauma#solidarietà#libertà#sorveglianza#socialmedia#verità#speranza#empatia#loveintblog#privacy#azione
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Jouhatsu: il popolo evaporato del Giappone
Se ci pensate, al giorno d’oggi scomparire da tutto e tutti è molto difficile. Abbiamo tutti in tasca degli oggetti che lasciano dietro di noi una scia di accessi, geolocalizzazioni e pagamenti con carte di credito. Grazie a questi dati siamo facilmente rintracciabili in qualsiasi parte del mondo. Per non parlare delle telecamere a circuito chiuso ormai presenti praticamente ovunque. Eppure scomparire senza lasciare traccia non è impossibile, se qualcuno specializzato nel farlo ci aiuta.
In Giappone chi decide di sparire dalla circolazione ha un nome ben preciso: jouhatsu, letteralmente ‘evaporato‘. Nel senso di evaporare dalla faccia della terra e non farsi più trovare. Sono uomini, donne, perfino famiglie intere a farlo. C’è chi scappa da matrimoni infelici per non affrontare l’iter del divorzio. Donne che scappano da mariti violenti portandosi via i figli. Ma soprattutto si volatilizza chi ha grossi debiti o guai con la legge. O chi ha alle calcagna qualche organizzazione malavitosa tipo Yakuza, come accade in una nota serie americana che credo tutti conoscano.
In Breaking Bad quando qualcuno è nei guai e deve sparire, contatta un venditore di aspirapolveri con una parola d’ordine: volere un nuovo filtro. Previo pagamento, verrà fornita una nuova identità, nuovi documenti (falsi), un nuovo lavoro e una nuova vita lontano dalla vecchia. In Giappone capita più o meno lo stesso ma lo fa un’azienda vera e propria chiamata Yonigeya ma conosciuta anche come ‘la ditta dei traslochi notturni’. Arrivano di notte e fanno sparire te e le tue cose con il favore delle tenebre.
A volte un evaporato riesce a rimanere anche nella sua stessa città. Tokyo è talmente grande e sovraffollata che basta cambiare quartiere per non farsi più trovare. Esiste anche una zona gestita dalla yakuza, che non si trova volutamente sulle mappe, con la fama di rifugio per evaporati e senzatetto. Pare che se si chiedono informazioni ai Koban della polizia sul quartiere di Sanya, ci verranno date volutamente indicazioni poco chiare. E’ un non–luogo di Tokyo ed è qui che si trova anche una statua di Rocky Joe, protagonista del popolare manga sul pugilato. La storia di un emarginato della società che lottando e inseguendo il suo sogno ha una rivalsa.
La maggior parte degli evaporati comunque, per non rischiare di essere trovati, preferisce rifugiarsi in luoghi sperduti e lontani dalle città. In tanti scelgono le pendici del Monte Fuji e la zona di Hakone, ricca di sorgenti Onsen. Proprio i vapori delle terme dicesi che hanno dato vita al temine evaporati. In passato i fuggiaschi le sceglievano proprio per purificarsi dalle colpe del loro passato.
Le aziende Yonigeya in origine aiutavano le persone a fuggire dagli strozzini. Ma al giorno d’oggi i giapponesi le usano non solo per questo motivo ma anche per qualsiasi altro che li porti a voler scappare da tutto e tutti. A volte questo allontanamento non è definitivo e dopo qualche tempo le persone tornano alle loro vecchie vite. Spesso perché sentono la mancanza della famiglia e degli amici o semplicemente perché quando riescono a risolvere dei conflitti interiori si sentono pronti a tornare.
Un esempio di questo possiamo trovarlo nel fantastico manga Il diario della mia scomparsa, dello stesso autore di Pollon. E’ la vicenda reale del mangaka Hideo Azuma che da un giorno all’altro e all’apice della fama, decide di sparire rifugiandosi in montagna per fare il senzatetto. Tuttavia, la maggior parte delle persone che sceglie volontariamente di ‘evaporare’ non torna mai più indietro.
Nel 2019 in Giappone sono scomparse circa 90.000 persone. Di queste ne sono state ritrovate 80.000. Le 10.000 mancanti sono tutte allontanamenti volontari. Fuggire per la vergogna di qualcosa che si è fatto, o da un lavoro logorante sono tra i motivi più gettonati legati alla drastica cultura giapponese del lavoro. Il fallimento o l’errore grave in ambito professionale non sono accettati dalla società. E per evitare l’onta insostenibile che un giapponese prova in questi casi, una possibilità è quella di sparire. L’altra, più estrema ma utilizzata ugualmente da molti purtroppo, è quella a cui tutti state pensando: il suicidio. Sicuramente meglio evaporare che morire!
L’evaporazione non è altro che una forma di anonimato legale. Lo stato giapponese garantisce la più assoluta riservatezza in merito ai dati finanziari ed economici di coloro che decidono di scomparire. Praticamente queste persone chiedono che venga resettata la loro vita precedente per rinascere con un nuovo nome e nuove prospettive. Le leggi giapponesi rendono ancora più facile evaporare. Per loro la privacy è molto importante e le autorità raramente chiedono i documenti a qualcuno per strada.
Quando la polizia ha prove concrete che la persona scomparsa che qualcuno sta cercando si è allontanata volontariamente, non indagherà ulteriormente né fornirà più alcuna informazione. Nemmeno ai familiari stretti. In questi casi, se proprio vogliamo ritrovare qualcuno, l’unica possibilità è quella di rivolgersi ad un investigatore privato.
Enrica Billi
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J-POP Manga, le uscite del 29 maggio
Arriva il primo volume di “Don Dracula”, di Osamu Tezuka e torna “Shutendoji”, un altro grande classico di Go Nagai in edizione definitiva!
Di seguito trovate tutte le nuove uscite manga targate J-POP, disponibili da oggi in libreria, fumetteria e store online.
IL DIARIO DELLA MIA SCOMPARSA di Hideo Azuma
Hideo Azuma (Pollon, Nanà Supergirl) racconta, senza peli sulla lingua, la sua discesa nel degrado e le giornate passate tra bevute e lavoretti saltuari, dimenticato da tutti nonostante avesse già creato opere amate da un vastissimo pubblico. Una testimonianza che ha ricevuto premi e riconoscimenti in tutto il mondo, dal Giappone alla Francia agli USA.
Volume unico - € 12,90 - Acquista su Amazon
SHUTENDOJI #1-4 (BOX) di Go Nagai
Pochi anni dopo aver creato Devilman, la guerra tra umani e demoni torna protagonista per Go Nagai! Prima di morire, un demone affida a una coppia un neonato all’apparenza umano. Ma a un certo punto, diventa chiaro che il ragazzo è l’unica cosa che si frappone tra l’umanità e i demoni! Inizia l’avventura del guerriero leggendario che proteggerà il mondo dalle tenebre!
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SHUTENDOJI #1 di Go Nagai
Pochi anni dopo aver creato Devilman, la guerra tra umani e demoni torna protagonista per Go Nagai! Prima di morire, un demone affida a una coppia un neonato all’apparenza umano. Ma a un certo punto, diventa chiaro che il ragazzo è l’unica cosa che si frappone tra l’umanità e i demoni! Inizia l’avventura del guerriero leggendario che proteggerà il mondo dalle tenebre!
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DON DRACULA #1 di Osamu Tezuka
Per un bizzarro equivoco, il conte Dracula e sua figlia Chocola si ritrovano a vivere in Giappone. Ma il mondo moderno si rivela inadatto a un vampiro vecchia scuola alla ricerca di sangue di vergini, soprattutto se in agguato rimane il suo arcinemico Van Helsing! Una divertente serie a base di comicità slapstick, equivoci e ��mostruose” creature.
2 volumi - concluso - € 12,00 - Acquista su Amazon
KIRIHITO #2 di Osamu Tezuka
Kirihito Osanai è un eroico dottore deciso a scoprire la verità sul morbo misterioso che ha colpito un paesino del Giappone. Quando all’ospedale iniziano ad arrivare pazienti trasformati in esseri dalle fattezze canine, Kirihito decide di indagare sulla possibile causa della malattia, ostacolato dalle autorità. Quale sarà la causa delle mutazioni? Contagiato lui stesso, Kirihito continuerà a cercare una spiegazione!
3 volumi - concluso - € 12,00 - Acquista su Amazon
GIRL FROM THE OTHER SIDE #3 di Nagabe
Il cuore di Shiva si riempie di emozione quando si imbatte nella nonna che credeva di non rivedere mai più... Ma il loro futuro appare avvolto nell'oscurità. Tra il nitrire dei cavalli e le voci basse e gelide che risuonano per le strade, quale sarà il destino della bambina ora tornata a casa?
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SAINT SEIYA NEXT DIMENSION #12 (GOLD & BLACK) di Masami Kurumada
Ophiuchus, il leggendario Sacro Guerriero d'Oro che all'epoca del mito è stato sigillato dagli dei, è finalmente tornato in vita! Ma con la sua rinascita, tutti i Sacri Guerrieri del Santuario cadono in coma l'uno dopo l'altro. Il tredicisemo guerriero sarà un alleato o un nemico?!
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IL CONVENTO DEI DANNATI #2 di Minoru Takeyoshi
In un realistico Medioevo, chi cerca metodi alternativi per aiutare le persone e vivere la propria vita viene perseguitato e la sua sorte può essere terribile… Come scoprirà un’orfana decisa a seguire la propria strada e a proteggere ciò che ama! Un manga in sei volumi che non risparmia colpi duri!
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SilenziO)))
[FONTE]
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Non ho mai avuto la forza di dirti che mi piacevi, che ti trovavo perfetto e che il mio cuore batteva più velocemente all'idea di vederti...
Eppure quando, in rare occasioni, i nostri occhi s'incontravano mi nascondevo perché non potevo credere di avere delle chance con te e avevo il terrore di quel sentimento che per la prima volta si stava palesando nel mio petto.
Poi il tempo è passato, siamo cresciuti e così anche la mia cotta nei tuoi confronti è scemata fino a diventare un ricordo che ogni tanto mi faceva visita e mi faceva domandare "posso provare a scrivergli ora..." ma alla fine non l'ho mai fatto per il terrore di essere rifiutata e perché ti vedevo come un punto da fissare da lontano ...
Ed era, sono qui, seduta sul letto a leggere frasi scritte su un vecchio diario segreto delle elementari in cui ci sono tanti cuoricini e il tuo nome scritto ovunque...
Ho appena ricevuto la notizia della tua scomparsa, un incidente in auto, non ho letto altro perché gli occhi mi si sono appannati ...
Come mi sento? Sono così stupida e i rimorsi stanno iniziando a logorarmi l'anima. Rimpiango di non aver mai provato a sostenere il tuo sguardo, di non averti mai parlato per più di qualche secondo e per non averti detto di quanto per me eri importante nonostante non ci conoscessimo neppure.
Ora è tutto finito, non avrò più la possibilità di dirti niente e vorrei tanto mandare a fanculo quel mio coraggio inesistente.
Non posso fare altro che augurarti un buon viaggio e che, ovunque tu sia, possa sentire che queste stupide parole.
Abbiate il coraggio di buttarvi e di provare, magari riceverete una porta chiusa in faccia o un cuore spezzato ma quando quest'ultimo, in un modo o nell'altro, si riparerà sarete felici di averci almeno provato. Io non lo saprò mai, forse era la mia anima gemella oppure sarebbe diventato un amico o magari non si sarebbe concluso nulla, eppure adesso non mi starei distruggendo con queste dannate domande.
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Il lato umano
Guardo fuori dal vetro oscurato e osservo quello che rimane della mia città. Palazzi, solo palazzi, tutti con le finestre temperate per schermare la luce, per tentare di arginare questo calore insostenibile per la nostra fragile razza. Immobile. Nessuno passeggia per le strade, le persone non si incontrano più nella realtà, rimangono solo le olochiamate, effimere immagini che ci danno l'illusione di essere ancora vivi. Biologicamente viviamo ma nella realtà siamo come ibernati in queste case che ci proteggono in un'aria condizionata necessaria a sopravvivere.
C'è ancora una speranza per il futuro di mia figlia e mia nipote. Stiamo per lasciare questo pianeta condannato a morte in cerca di una nuova vita, ma io la mia l'ho già vissuta e ho scelto di lasciarla qui. Quando la mia famiglia ha lasciato l'Italia per venire nella capitale ero piena di sogni e di entusiasmo e ho vissuto anni felici. Ricordo quando ancora si passeggiava senza caschi per l'ossigeno, quando Central Park era un polmone di alberi con foglie vere e non solo tremule immagini 3D come ora. Io ricordo i profumi. Ho vissuto su questa terra sofferente i miei anni migliori e non credo di volerla lasciare, sono vecchia e la spietata tecnologia lascia indietro umani di 112 anni come me.
Io me lo ricordo ancora il brivido di guardarsi negli occhi, mi ricordo la sensazione del calore del sole sulla pelle, l'emozione di tenersi per mano.
Immersa nella mia malinconia mi sento ancora più vecchia tanto da non accorgermi di non essere più sola. Vivo in un'abitazione che condivido con mia figlia e Giorgiana, la mia bellissima nipote adolescente che è appena entrata nella mia asettica sala. È un fiore che sta sbocciando, ha l'età in cui gli sbalzi ormonali prendono il sopravvento, o almeno così è stato per tutti prima che le cose cambiassero. Il siero regolatore viene iniettato fin da giovanissimi, aiuta a limitare tutti i bisogni e tutti gli istinti inclusi la fame, la sete, la socialità e perfino l'amore.
La osservo e riconosco nel suo atteggiamento una forma di agitazione. " C'è qualcosa che non va? " chiedo invitandola con un gesto a sedersi accanto a me, non troppo vicina, il contatto non è più di moda in questo mondo.
"Madre mi ha informato che tra due settimane partiremo con la prima piattaforma in partenza per il sistema solare di Trappist-1..." interrompe la frase deglutendo e io riconosco i sintomi di un'emozione che sta lottando dentro di lei.
"Percepisco un turbamento in te, mi sembra una notizia positiva, molti vorrebbero essere al tuo posto ora e questa è la dimostrazione che il tuo nucleo di appartenenza è tenuto in altissima considerazione dal Consiglio. Vuoi condividere i tuoi pensieri?" la mia domanda è cauta, le generazioni moderne non hanno confidenza con la confusione mentale.
"Io...non trovo chiarezza nonna. Il mio organismo comunica un senso di mancanza, non ho mai provato questo stato emotivo e non lo comprendo."
I suoi grandi occhi verdi spalancati su di me mi stanno chiedendo aiuto, la corazza di controllo algido che la sua educazione le ha impartito si sta crepando ed è una sensazione tremendamente familiare. Io me lo ricordo ancora cosa significa sgretolarsi in un'emozione ma come posso spiegarlo a chi è stato addestrato al calcolo, alla freddezza e all'autocontrollo totale.
"Cosa pensi che ti mancherà di questo pianeta?" domando con delicatezza, cercando di introdurla al concetto di nostalgia che lei non conosce.
"Mancare nonna? Come quando hai bisogno di qualcosa e non è disponibile nell'immediato?" mi chiede dubbiosa.
"Sì, il tuo turbamento potrebbe essere legato al fatto di dover lasciare qualcosa di utile in questo mondo" spiego con cura e mi colpisce vedere la sua confusione dipanarsi e diventare lucida.
"Nonna" mi chiede con un tremolio nella voce "Può accadere che sia un altro essere umano a mancare?" inclina la testa e guarda il pavimento come se si vergognasse di questa ammissione. Avverto un pugno nello stomaco riconoscendo questa emozione che è stata bandita e riappare il ricordo dell'amore che ho solo potuto intravedere più o meno quando avevo la sua età.
"E' questo che ti è accaduto?" la invito a continuare con delicatezza.
"Sì" tiene di nuovo lo sguardo basso e guardandosi i piedi inizia timidamente il suo racconto: "Ero al centro addestramento per imparare il regolamento e le procedure da seguire quando saremo sulla navicella. L' istruttore, Mr. Scott è un cadetto dell'Accademia interspaziale. Non è cresciuto nella capitale, è stato erudito ai segreti dell'umanità insieme a pochi eletti affinché portino avanti le conoscenze del nostro popolo dopo la colonizzazione. Nonna, lui è così diverso..." e i suoi grandi occhi si aprono di nuovo sciogliendosi in un'emozione forte.
"Quando parla con me, i suoi occhi mi guardano con attenzione, è come se parlassero e quando accade io mi sento strana, avverto una sensazione simile a quando il mio corpo si ammala, come quando da piccola mi hanno iniettato il vaccino. Io sento la volontà di stare in sua presenza e questo è contro le regole, siamo tutti uguali non è corretto avere preferenze tra esseri umani. Ma non posso evitare di pensare che quando partirò, non lo vedrò più e questo pensiero mi confonde. Mr. Scott mi ha chiesto un colloquio privato nella sua abitazione. So che il regolamento lo vieta ed è mio dovere rifiutare ma io voglio dire di sì. Nonna, perché questa volta è così difficile fare ciò che è corretto rispettando le regole dell'isolamento sociale, perché sento la voglia di stare da sola con lui?" La sua voce razionale si interrompe e riesco a percepire in ogni parte di me la sua battaglia per ritrovare il controllo.
"Mia cara, credo sia arrivato il momento che io ti passi un'eredità che è nella nostra famiglia da più di 150 anni. Non ero sicura che tu fossi pronta ad accettarlo, scoprirai che le cose sono cambiate molto nel mondo, ma ora comprendo che per te è arrivato il momento di sapere ", con un gesto premo il comando sulla tastiera a destra del divano, appare dopo poco il robot domestico sorreggendo una valigia in titanio. Mi volto verso i grandi occhi timorosi della mia bellissima nipote e le dico:
"Giorgiana, ti racconto la storia di mia nonna." e digitando il codice faccio scattare la serratura della valigia. Un odore stantio di polvere e storia invade la stanza asettica e la ragazzina starnutisce guardandomi con terrore.
"Tranquilla, si chiama polvere, è una sostanza molto sottile che si infila nelle narici e può causare starnuto, non ha nulla a che fare con le malattie che conosci" cerco di rassicurarla, ad oggi uno starnuto è visto come un allarme, dopo che una pandemia di influenza ha distrutto metà popolazione un secolo fa. Da un vano estraggo un paio di guanti in materiale antistatico e glieli porgo.
"Indossali prima di estrarre il contenuto" mi raccomando. La osservo nell'operazione e il suo stupore mi commuove quando tra le mani saggia un materiale di cui è scomparsa l'esistenza.
"Che cos'è nonna? "mi chiede ammaliata.
"Questo materiale si chiama velluto, è un tessuto con il quale i nostri antenati si coprivano nei giorni di freddo. È morbido e caldo, mentre questo tipo di indumento veniva chiamato "mantello" ed è appartenuto a mia nonna. Veniva indossato per passeggiare per le strade durante l'inverno, la stagione fredda che durava 3 mesi quando la Terra ancora girava intorno al sole sulla sua orbita. Tua nonna aveva una grazia innata e quando camminava per le strade di Venezia, la città dove anche io sono nata, generava attorno a sé un interesse magnetico. La città viene ricordata ancora nei libri di storia per il carnevale, una festa imposta dalla cultura religiosa del passato. Era un momento in cui le persone indossavano delle maschere colorate per coprirsi il volto e si divertivano negli eccessi di cibo, danze e risate. Dicono fosse una festa molto folle. Ora guarda sotto il mantello" la invito a proseguire la sua scoperta e la osservo mentre le sue mani ammirano con curiosità la maschera veneziana laccata che tante volte ho guardato da ragazzina, sognando un mondo in cui le emozioni potevano ancora essere espresse in maniera sfacciata.
La valigia cela ancora due oggetti e mi sforzo di ricordare tutti i dettagli che mia madre ha raccontato a me così da poterli a mia volta tramandare al mio futuro.
"Questa teca protegge un'immagine di Venezia, è una fotografia. È una tecnologia antiquata, è come uno dei nostri ologrammi ma è fissa, la fotografia poteva solo fissare un preciso momento. Vedi, Venezia era bellissima, una città circondata da acqua"
"Dall'acqua nonna? Come la capitale..." mi interrompe la curiosità di Giorgiana.
"Non come la Capitale, no. C'è stato un tempo in cui il mare era una risorsa, circondava le città e veniva utilizzato per generare energia, cibo e anche per viaggiare. Venezia aveva strade fatte di acqua che la attraversavano e le persone venivano condotte su imbarcazioni chiamate Gondole, vedi nell'immagine? Queste barche dalla forma strana portavano le persone. C'erano anche strade a Venezia, piccole e strette, ma non ricordo come le chiamavano..."
"Nonna ma le persone potevano uscire di casa?" e mentre Giorgiana si appassiona alla storia io mi sento scaldare dai ricordi di un passato tanto lontano di cui non è rimasta traccia.
"Certo, si camminava per le strade, anche in gruppi di persone sai? E si correva e si ballava, soprattutto nei giorni del Carnevale. C'è ancora un oggetto nella valigia, è il più importante "e aspetto che Giorgiana lo estragga con questa curiosità che le arrossa le guance.
"Questo è un libro fatto in carta, di quando sulla Terra c'era abbondanza di alberi e la carta veniva utilizzata in molti modi. Mia nonna, cara Giorgiana, era una scrittrice e in questo libro ha messo tutta la sapienza dell'amore. Si tratta di un diario, una raccolta di storie di passione e amori proibiti che raccontano una parte di vita che alle generazioni moderne è stata negata. Il corpo parla, esattamente come la mente. Usa parole fatte di sensi, odori, gusti e fantasie. È una magia che accade quando due corpi si uniscono, si fondono fino ad arrivare a un'estasi di emozioni che fanno perdere completamente il controllo ed insieme ad esso il senso del tempo e dello spazio. Per questo motivo è stato proibito, gli istinti sono pericolosi in un mondo di scarsità come quello in cui viviamo. Ogni cosa va misurata, contenuta, limitata e non ci si può permettere il lusso di perdere l'autocontrollo. Forse la nuova colonizzazione ci permetterà di vivere in un nuovo mondo di abbondanza dove potere tornare ad essere umani, con tutte le nostre eccesive emozioni, con gli entusiasmi e le voglie incontrollate, forse potremo tornare ad usare i nostri sensi così come siamo nati per farlo. Mr. Scott è un privilegiato, è stato formato a queste informazioni affinché possa educare una nuova umanità quando le condizioni saranno sicure. E devi sapere Giorgiana che esistono connessioni speciali, uniche e istintive che non possono essere contenute e io credo che questo sia quello che sta accadendo a te ora. La fiamma delle tue origini si è risvegliata e così i tuoi sensi sopiti. Questo diario descrive nei dettagli le sfumature di ogni emozione e io credo che ti farà bene saperne di più, dopo averlo letto sceglierai chi vorrai essere."
Un senso di completezza mi pervade, è come se finalmente dopo tanto tempo sentissi di aver avuto un ruolo in questa esistenza, ora che ho potuto consegnare un lascito fondamentale affinché l'umanità non si perda del tutto nella mia genealogia.
Non sono mai stata una ribelle ma avrei tanto voluto, così come lo era stata mia nonna a suo tempo, così come lo vedo accadere in mia nipote. Lascio la stanza mentre lei sfoglia con delicatezza estrema le pagine della nostra storia di famiglia, un bagaglio scomodo per questo mondo. Noi donne, portatrici della scintilla di vita, fuoco di creazione ma anche di empatia, dolcezza e fantasie. Tutto questo ci è stato rubato e io ho avuto il privilegio di restituire un pezzo del tesoro perduto.
Lascio a Giorgiana il tempo di assorbire questo linguaggio così distante dalla sua quotidianità e cerco qualcosa per passare il tempo, mi immergo nei miei pensieri di vecchia fino a quando mi accorgo della presenza della mia nipotina. Sta piangendo, lacrime vere, copiose e amare. Anni di emozioni represse sgorgano come un fiume e io piango insieme a lei, grata per averle potuto fare un regalo così importante.
"Nonna" mi dice tra i singhiozzi "io lo voglio provare, io lo voglio vedere" e vedo l'emozione trasformarsi in lucidità e determinazione, mi guarda e si avvicina in un gesto di tenerezza che non mi aspetto dandomi un bacio sulla guancia: "Io vado" e con un passo sicuro esce dalla porta di questa asettica gabbia.
Non sarà più la stessa quando rientrerà, non sarà mai più la stessa.
Ora che il dado è tratto emergono le mie preoccupazioni di nonna, mi chiedo se davvero fosse pronta e abbastanza forte per affrontare questa ribellione interiore che la cambierà per sempre.
Rimango in compagnia dei miei pensieri ansiogeni fino a quando riesco ad assopirmi molto tempo dopo, mi sveglia il suono di una olochiamata, il ricevitore fluttua nell'aria e nell'etere appare il volto di Giorgiana.
Anche attraverso il tremolio dell'ologramma percepisco la sua luce.
"Ciao nonna, volevo ringraziarti, il mio corpo vuole ringraziarti. Ho assimilato quello che ho letto trasformando ogni parola in azione, facendola penetrare nei tessuti e sottopelle, ho lasciato che il fuoco bruciasse le regole, i limiti e l'autocontrollo e finalmente mi sono sentita viva! Ho scoperto che siamo ricettori di emozioni e siamo fatti per godere, così si dice giusto? Sto ancora prendendo confidenza con la terminologia. Le mani possono disegnare sul corpo spirali che provocano calore e benessere e anche scompiglio in ogni cellula. Il respiro può cambiare e diventare profondo, scendere nelle viscere. Si può respirare con la pancia, con la schiena e si può respirare anche con il sesso. Sì, adesso la conosco questa parola. Cinque lettere e cinquemila emozioni.
Nonna, siamo fatti per essere scompigliati, disordinati, caotici e impulsivi. Siamo nati per essere creativi, per risolvere il caos che la natura ha messo dentro di noi in milioni di modi diversi. Siamo istinto e se ascoltiamo le vibrazioni del nostro essere allora diventiamo immensi creatori. Scott lo sapeva e mi ha aiutato a ricordare un'eredità che è scritta nel nostro DNA. La tecnologia è solo a nostra immagine e somiglianza ma la meraviglia è che questo organismo così imperfetto che è l'uomo possa funzionare in una maniera tanto perfetta. Io ho aperto la percezione attraverso i sensi, l'eredità della razza umana, e non posso permettermi che tutto questo rimanga solo con me.
Nonna grazie per avermi guidato in questo risveglio ma io sento che il mio dovere sia cambiato ora, io devo diffondere questa verità e lo voglio fare attraverso il libro della nostra antenata, tutti sapranno e tutti vivranno.
Ora devo andare, ho finalmente una vita da vivere!
Ciao nonna"
Su queste ultime parole l'ologramma svanisce e io rimango così, con questa utopia che aleggia nell'aria.
Un misto di orgoglio e malinconia mi invade, voglio credere che ci riuscirà, che il coraggio e la forza saranno al suo fianco in questa lotta per restituire il lato umano alle persone ma la mia parte disillusa teme che più probabilmente la fermeranno prima.
Ma ora che so che si è sentita viva anche solo per un giorno, sento di nuovo affiorare quella sensazione di appagamento sereno, uno stato di compimento e con esso una stanchezza atavica mi avvolge.
Questa è la Terra in cui ho vissuto e qui ho deciso di lasciare che il mio corpo rimanga.
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• Covid-19 • Le profezie sul virus e la fine del mondo
La vita ai tempi della pandemia - Mondo, Zona Rossa / giorno 110
Tra le pagine del mio diario pandemico, non poteva mancarne una dedicata alle profezie sull’avvento del virus.
Quello delle profezie è un argomento estremante affascinante, che fa parte della storia dell’uomo sin dall’antichità. E poi, io stessa faccio profezie, e dunque l’argomento, è per me doppiamente affascinante.
Dall’omerica bellissima Cassandra, ai profeti biblici, passando per l’ultra-criptico Nostradamus, e poi il Ragno Nero (o Monaco Nero), e la Monaca di Dresda, fino ad arrivare a tempi più recenti, profeti e veggenti hanno sempre avvisato il mondo sull’incombenza di pericoli, imminenti o futuri, ma il destino delle profezie, si sa, è quello di essere ascoltate solo dopo che si sono realizzate, come se l’uomo, scegliesse consapevolmente di lasciarsi cadere nel baratro, anche quando potrebbe fare qualcosa per evitarlo.
Ma torniamo alle profezie.
Quelle che seguono, sono le profezie più straordinariamente sorprendenti ed esatte, che riguardano l’avvento del Covid-19 nel mondo. E che ne hanno descritto non solo l’anno del suo arrivo, ma anche i sintomi, con precisione quasi chirurgica.
Ed è interessantissimo notare, che tutte quante, coincidono sul periodo di scomparsa del virus: l’estate, anche se coloro che le hanno fatte, hanno vissuto in periodi molto diversi, e sono di cultura molto diversa.
- 1981 (39 anni prima di Covid), la profezia di Dean Koontz sul virus “Wuhan 400” del 2020:
<< Uno scienziato cinese di nome Li Chen fuggì negli Stati Uniti, portando una copia su dischetto dell’arma biologica cinese più importante e pericolosa del decennio.
La chiamano ‘Wuhan-400’, perché è stata sviluppata nei loro laboratori di RDNA vicino alla città di Wuhan, ed era il quattrocentesimo ceppo vitale di microorganismi creato presso quel centro di ricerca>>.
Questo brano è tratto dal romanzo thriller “The Eyes of Darkness” che lo scrittore americano Dean Koontz scrisse nel 1981.
Nel libro, Koontz scrisse anche che
<<intorno al 2020, una grave polmonite si diffonderà in tutto il mondo>> e che questa è <<in grado di resistere a tutte le cure conosciute>>.
Il virus Wuhan-400, venne inoltre definito dall'autore come << un’arma perfetta che colpisce solo gli esseri umani>>.
Koontz pubblicó più versioni del romanzo “The Eyes of Darkness”: nella prima, quella originale del 1981, lo scrittore faceva riferimento alla città sovietica di Gorki e il virus si chiama ‘Gorki-400’.
La città divenne invece “Wuhan” nell’edizione del libro del 1996, dato che l’Unione Sovietica ormai non esisteva più, e la Cina sembrava una fonte più credibile.
- 2008 (12 anni prima di Covid), la profezia di Sylvia Brown sul virus polmonare del 2020:
<<Entro il 2020, gireremo con mascherine e guanti, per via di un’epidemia di polmonite. Diventerà prassi indossare in pubblico mascherine chirurgiche e guanti di gomma, a causa di un’epidemia di una grave malattia simile alla polmonite, che attaccherà sia i polmoni sia i canali bronchiali, e che sarà refrattaria a ogni tipo di cura. Tale patologia, sarà particolarmente sconcertante perché, dopo aver provocato un inverno di panico assoluto, quasi in maniera più sconcertante della malattia stessa, improvvisamente in estate svanirà, con la stessa velocità con cui è arrivata, per poi tornare nuovamente dopo dieci anni, quando poi scomparirà definitivamente>>.
Queste parole sono tratte dal libro “End of a days” (a pagina 210 della versione inglese originale), pubblicato nel 2008 da Sylvia Browne, celebre scrittrice, veggente e medium americana, morta nel 2013, che ha scritto decine di libri basati sulle sue doti medianiche (che erano comparse già da bambina), e pubblicati in tutto il mondo. La Browne ha inoltre collaborato, come consulente, con polizia ed FBI, ad oltre 100 casi di sparizioni ed omicidi.
- 1555 (465 anni prima di Covid), la profezia di Nostradamus sul virus e la fine della pandemia in Italia al 1’ luglio 2020 [sestina 11-30 e quartina C.II Q.53]:
<<Dal Polo Nord, grande calamitá sarà in Italia (Esperia), in Lombardia (Insubre).
Come una tempesta d’acqua che si abbatte su una nave: peste terribile inizierà quando Mercurio si troverà retrogrado in Acquario, e finirà quando Saturno lascerà l’Acquario (il 1’ luglio 2020, perchè Sarurno lascia l’Acquario ed entra nel Capricorno il 1’ luglio 2020>>.[Quartina C.II Q.53].
Nella sestina 11-30, inoltre, Nostradamus parla chiaramente di <<un ‘medico’ e di un ‘grande male’ che porterà ‘infermità da costa a costa’ (la diffusione della pandemia in tutto il mondo)>>.
Dunque Michel de Nostredame, alias Nostradamus, celeberrimo astrologo, veggente, scrittore, farmacista e speziale francese, nel suo libro “Centuries et prophéties” del 1555, predisse l’arrivo di una tremenda peste nel mondo e in Italia, e più precisamente, in Lombardia, ma predisse anche la fine di questa pestilenza: il 1’ luglio 2020, una data che coincide col periodo di fine epidemia profetizzato anche dalla Browne, che fissa la fine del virus con l’estate del 2020.
- 22 agosto 2019 (4 mesi prima di Covid), la profezia di Abighya Anand sulla pandemia di Coronavirus, tra novembre 2019 e aprile 2020:
Abhigya Anand è un ragazzo indiano di 14 anni, ed è anche un giovanissimo astrologo, molto noto in India, e considerato un ragazzo prodigio, attendibile, dai media indiani, per le sue straordinarie conoscenze di astrologia vedica.
Il 22 agosto del 2019, aveva predetto la pandemia di Coronavirus in un video pubblicato sul suo canale YouTube, in cui annunciava che una malattia, trasmessa attraverso starnuti e tosse, si sarebbe diffusa in tutto il mondo da novembre 2019 ad aprile 2020, e che la Cina, epicentro dell’epidemia, sarebbe stata uno dei paesi più colpiti.
Poi aveva aggiunto anche che il virus, sarebbe diventato più facilmente gestibile, su scala globale, dal 29 maggio 2020, e sarebbe poi scomparso definitivamente il 5 settembre 2020, dopo una lenta decrescita a partire dal 31 marzo, apice della pandemia.
La sua previsione si basa su una serie di calcoli molto complessi, scritti su una lavagna, che poi il ragazzo ha spiegato attraverso il movimento degli astri.
Anand parla di una sovrapposizione dei pianeti del sistema solare, ovvero Marte, Giove e Saturno, e sottolinea la presenza di Rahu, il nodo nord della Luna, che ricorda essere legato alla simbologia dell’acqua. “Questo è un raro accadimento”– spiega il 14enne – “Marte Saturno e Giove sono tutti nel cerchio più esterno del sistema solare. Quindi quando sono tutti allineati, il loro potere sulla Terra è enorme”.
Si tratta, dunque, di una rarissima congiunzione astrale, che ha dato il via, sulla terra, ad una vera guerra trasmessa attraverso l’acqua (riferimento alle modalità di trasmissione del virus, che sono, appunto, tosse e starnuti).
- 10 febbraio - 11 marzo 2020, le mie profezie sull’arrivo di Covid e sulla fine della pandemia:
Il 10 febbraio 2020, quando ancora nel mondo si pensava che Covid-19 fosse solo in Cina, ho guardato nella mia ossidiana argentata per vedere cosa sarebbe successo col virus. Lo scenario che mi si è presentato è stato apocalittico. Ho visto una specie di cripta sotterranea, simile ad un bunker o ad una catacomba, con pavimento e pareti di roccia. All’ingresso di questa cripta c’erano due teste di demoni evanescenti come fantasmi, molto arrabbiate, e ho visto anche visi di persone spaventate che urlavano e stavano male. Fuori da questa cripta, c’era una specie di nebbia o fumo biancastro, strade deserte, edifici abbandonati che cominciavano ad andare in rovina. Alberi ed erbacce incolti che crescevano nei prati e sui muri. Poi è comparso molto in grande su tutta la pietra un pezzo del sigillo di Lucifero, col triangolo con la punta al contrario. Infine, sul retro della mia ossidiana, ho visto una grande statua di donna nuda, uguale alla statua pagana che rappresenta la Dea, e poi due visi, non so se demoni o esseri umani, di profilo, molto sofferenti, arrabbiati.
Il 21 febbraio 2020 (l’epidemia di Covid, in Italia, è scoppiata ufficialmente la notte del 20 febbraio 2020 a Codogno, e solo dal 21 febbraio in poi, hanno cominciato a circolare le prime notizie sul virus tra i media italiani), in una successiva divinazione, ho visto anche l’interno di un ospedale, che era deserto, e, in fondo ad una corsia, senza medici, infermieri, nessuno, c’era un box chiuso di quelli per il biocontenimento, con i vetri bianchi opachi. Dentro a questo box, vedevo agitarsi delle persone, vedevo, dietro ai vetri spessi, le loro sagome agitarsi e battere con le mani sui vetri. Erano stati chiusi dentro, perché infetti, e non potevano uscire. Poi ho visto le guglie gotiche del duomo di Milano, e sopra il duomo un piccolo sole rosso fuoco, il cielo sembrava bruciare e il duomo era annerito, scheletrico. Ho visto poi, molto in grande, in centro alla pietra, i volti di alcuni malati, avevano il viso molto scavato, gli occhi cerchiati di nero, mi fissavano spaventati...avevano i capelli neri scarmigliati.
Ho visto inoltre militari pattugliare strade deserte, e molte persone in rivolta, che davano fuoco e rompevano edifici, alti palazzi come grattacieli. All’epoca pensavo si trattasse di qualche megalopoli cinese, solo verso maggio, ho invece capito (tramite le notizie dei media) che le rivolte che ho visto a febbraio nella pietra, non erano in Cina, ma negli Stati Uniti.
E poi ho fatto altre divinazioni sul virus, fino ad arrivare a quella dell’11 marzo 2020, che ho pubblicato qui il 15 marzo, e in cui spiegavo che dal 29 aprile 2020 i contagi avrebbero avuto un significativo calo (cosa poi confermata al 30 aprile dal bollettino della Protezione Civile, di cui ho già parlato a suo tempo), e, dal 21 giugno 2020 l’epidemia, in Italia, avrebbe cominciato lentamente ad esaurirsi, cosa che si sta verificando dato che, da alcune settimane, i medici hanno scoperto, nei pazienti, una versione genetica di Covid diversa e indebolita, che dà sintomi lievi, e che non necessita più di ricovero ospedaliero.
Ad ulteriore conferma della straordinaria precisione della mia pietra, il 20 giugno 2020 (notate bene questa data, perché richiama quella che mi ha dato la mia ossidiana), l’OMS cambia le linee guida su Covid-19 finora in uso, relative ai tamponi, e comunica che:
<<non è più necessario il doppio tampone negativo, a distanza di almeno 24 ore, per decretare la guarigione di un paziente, poiché, adesso, bastano tre giorni senza sintomi per liberare i pazienti dall’isolamento, indipendentemente dalla severità dell’infezione, quindi, le nuove direttive sono:
_ per i pazienti sintomatici: 10 giorni dopo l’insorgenza dei sintomi, più almeno 3 giorni senza sintomi (incluso senza febbre e senza sintomi respiratori).
_ Per i pazienti asintomatici: 10 giorni dopo il tampone positivo>>.
Questo cambiamento nelle linee guida dell’OMS, si deve al fatto che, in base ai recenti risultati su versioni genetiche diverse e indebolite di Covid, il virus attivo, ovvero quello che può replicarsi e infettare altri soggetti, non sarebbe presente, se non in rarissimi casi, nei campioni respiratori del paziente dopo 9 giorni dall’insorgenza dei sintomi da coronavirus. Questo avviene soprattutto in casi di infezione lieve, contestualmente alla formazione di anticorpi neutralizzanti. Il paziente viene quindi reso libero dall’isolamento sulla base di criteri clinici, e non più sulla ripetizione dell’esame del tampone. Questo può infatti continuare a trovare tracce non vitali di RNA per diverse settimane, anche se non pericoloso.
Che dire, dopo innumerevoli strafalcioni e figuracce sul virus, anche l’OMS ne ha finalmente azzeccata una.
Meglio tardi che mai.
E adesso, dulcis in fundu, ma in realtà non c’è nulla di “dulcis”, le profezie sulla fine del mondo.
Alcuni giorni fa, è circolata in rete la notizia secondo cui la “fine del mondo” fissata dai Maya per il 21 dicembre 2012, in realtà sarebbe avvenuta il 21 giugno 2020, il tutto per un errore di calcolo (nostro eh, non dei Maya, popolo straordinario, evolutissimo, che ha formulato calcoli matematici e astronomici perfetti e impossibili per le conoscenze e i mezzi dell’epoca, si parla del 2000 a.C.):
il cambio tra calendario giuliano e gregoriano, avvenuto nel 1582, avrebbe fatto perdere 11 giorni all'anno nell'interpretazione del calendario Maya, per un totale di 8 anni di scarto. Così dal 21 dicembre 2012 si arriverebbe al 21 giugno 2020.
Ovviamente, il mondo non è finito, dato che siamo ancora tutti qui, ma ciò a cui i Maya si riferivano, con la loro profezia, non era alla fine del mondo in senso letterale, ma bensì alla fine di un ciclo, e all’inizio di uno nuovo, un ciclo molto oscuro e travagliato per l’umanità.
Questo volevano dire i Maya. E come sempre, non hanno sbagliato.
Dal 2012 in poi, infatti, non è che le cose, nel mondo, siano andate proprio benissimo, e riguardo a questo 2020, i segni di una futura (imminente?) Apocalisse, in realtà ci sono tutti. Qualche esempio? Dalla pandemia di un virus letale, ai terremoti, allo sciame di locuste, ai disastri ambientali. Direi che mancano solo i Quattro Cavalieri dell’Apocalisse.
Ma vediamone qualcuno di questi segni apocalittici, in dettaglio:
- 29 dicembre 2019: la cometa C/2017 T2PansSTARRS sta passando alla minima distanza dalla terra, si trova infatti a 227 milioni di chilometri. Le comete, da sempre, sono portatrici di sventure. E infatti, siamo alla vigilia dello scoppio ufficiale dell’epidemia di Coronavirus in Cina.
- 30 dicembre 2019: si diffonde la notizia di numerosi contagi a Wuhan, in Cina, dovuti ad un’epidemia di un virus polmonare sconosciuto.
- gennaio-giugno 2020: cominciano una serie di terremoti di magnitudo molto elevata in tutto il mondo (Caraibi, magnitudo 7.7, a gennaio 2020, Turchia Orientale, magnitudo 6.8, sempre a gennaio 2020, Albania, magnitudo 5, ancora gennaio 2020, Russia, magnitudo 7.5, marzo 2020, Roma, magnitudo 3.3, maggio 2020, e, ultimo terremoto registrato, Messico, magnitudo 7.7, giugno 2020).
- 20 febbraio 2020: in Africa si sta verificando la peggiore invasione di cavallette del secolo.
Un immenso sciame di 200 milioni di locuste, da oltre un mese, sta devastando raccolti e vegetazione, divorando in un solo giorno una quantità di cibo pari a quella che consumerebbero 90 milioni di persone. Dall’Africa orientale, le cavallette si sposteranno poi in Medio Oriente, Asia, India, fino ad arrivare in Sardegna.
- 6 aprile 2020: scoppia un incendio nella foresta che circonda la centrale nucleare di Chernobyl. Si innalzano i livelli di radioattività.
- 29 maggio 2020: crolla un serbatoio di carburante in una centrale elettrica vicino alla città di Norilsk, in Siberia, e 20.000 tonnellate di petrolio finiscono nel circolo polare artico. Le foto sono impressionanti, e sinistre. Mostrano un’immensa macchia rosso sangue, nell'acqua del fiume Ambarnaya.
Ed ecco l’ultima profezia su una nuova catastrofe alla fine del 2020, prestatele molta attenzione:
• 10 giugno 2020: Anand, il ragazzino prodigio indiano che aveva previsto il Coronavirus ad agosto 2019, fa un’altra tremenda previsione:
<<Tra la fine del 2020 e marzo 2021, l’umanità andrà incontro ad una nuova catastrofe, molto peggiore della pandemia di Covid-19.
E questa volta, la responsabilità, sarà dell’allineamento Saturno-Giove (e anche, della cattiveria dell’uomo sulla natura e sugli animali, aggiunge Anand. Se l’uomo non metterà un freno alla propria ferocia e avidità, scomparirà dalla terra.
E questo, coincide molto anche con le figure di demoni che ho visto io nella mia prima divinazione sul virus, e anche con quanto mi ha rivelato Adam -la bambola a cui è attaccato uno spirito molto potente, un Djinn, che mi ha sempre rivelato con esattezza diverse cose future - un mese fa circa, in un sogno, in cui mi ha detto che “trascorreremo un Natale ‘normale’, senza virus, ma se l’uomo continuerà ad essere malvagio, il virus tornerà, e questa volta, per l’umanità, non ci sarà scampo”)
Anand non ha ancora rivelato di che catastrofe si tratterà, ma cosa c’è di peggiore della pandemia di un virus letale? Una guerra nucleare? Un meteorite? Un terremoto che spaccherà in due il pianeta?
Guarderò anch’io nella mia pietra, per vedere se mi mostrerà qualcosa a riguardo.
Nel frattempo, cerchiamo di uscire tutti vivi da questo 2020 da incubo.
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11 Aprile 2020 (quinta pagina)
Caro Diario,
Arrivati di nuovo a zia lisa ma questa volta leggermente più grande e senza sentimenti oltre la rabbia, inizia la terza media, alla carducci.
Ho riconosciuto qualche compagno delle elementari, almeno vedevo qualche volto familiare anche se tanto non ci parlavo, almeno così non dovevo fare nuove “conoscenze” e farmi prendere da altre persone per il culo.
Bhe qui conobbi Michelangelo e Gabriele, mi parlavano stranamente e mi volevano far giocare assieme a loro, solo che qualche volta mi insultavano come se erano superiori a me, io non rispondevo, perchè pensavo fosse normale come se si scherzasse ma non erano scherzi, ogni volta che finita la scuola mi invitava a casa sua gabriele, michelangelo saliva ma a me dicevano di rimanere sotto, perchè dovevano “sistemare” casa, in realtà è che non voleva farmi vedere dai suoi genitori, perchè ero trasandato, anche se mi lavavo avevo gli stessi vestiti, mia madre non mi comprava niente.
Il mio armadio era composto da 2 o 3 mutande, accompagnate da 2 magliette, un jeans ed una tuta, a scuola andavo con gli stessi indumenti, e non passò molto tempo che oltre agli insulti di loro due si aggiunse tutta la classe, tranne di un ragazzo Natanaele oppure ora in francese nathanael, perchè ora è in francia a seguire il suo sogno di suonare pianoforte, era molto bravo, nelle ore di musica si sentiva quanto era bravo, sapeva suonare molte canzoni con una pianola, incredibile, era il mio compagno di banco e non mi trattava con superficialità anzi mi parlava normalmente anche se ero trasandato, forse non lo notava oppure aveva visto dentro di me qualcosa che non capisco tutt’ora.
In classe sentivo bisbigliare il mio nome ogni volta durante la ricreazione, mi sentivo osservato e criticato, volevo urlargli contro cosa subivo ogni giorno da mia madre e cosa stavo passando, ma mi fermavo perchè tanto in fondo non mi importava, non erano miei amici, ero abituato a questa situazione e a me andava bene così.
Comunque durante l’anno circa dopo due mesi dall’inizio della scuola, incominciai ad andare al doposcuola, da una ragazza universitaria, molto carina, era pure dolce, migliorai i voti un pò, mi insegnò a ripetere seguendo uno schema logico e non a pappagallo come ho sempre fatto.
Il doposcuola iniziava alle 15:00 e la scuola finiva alle 13:15, in quel lasso di tempo non tornavo a casa a mangiare, mia madre si seccava a venirmi a prendere e fare avanti e indietro, quindi ogni giorno mi dava un euro per mangiare un pezzo di tavola calda e andavo nel bar sotto casa del doposcuola, alla cassiera dopo un pò di tempo iniziò anche a regalarmi uno o due pezzi, forse di tasca sua, penso che gli facevo pena vedermi lì ogni giorno ad aspettare 2 ore, e quando non andavo al bar e volevo dormire, mi nascondevo a vulcania e mi sdraiavo in una panchina, una volta si avvicinò un barbone e mi chiese se avevo una cartina, non sapevo cosa fossero vi giuro, all’inizio pensavo chiedesse una cartina dei calciatori panini, risposi di no a prescindere, non so chi era e non volevo parlare con lui, volevo continuare a dormire.
Quando finivo al doposcuola verso le 18:00, certe volte mia madre non mi veniva a prendere quindi ero costretto a farmela a piedi, da catania a zia lisa, bhe d’altronde come ogni mattina, oppure certe volte riuscivo a prendere un bus che passava di lì e mi risparmiava un sacco di fatica.
Una sera che tornavo nel condominio si avvicinò un ragazzo, mi ricordavo di lui, abitava di sotto, ora non so, mi ricordo di lui perchè ogni domenica metteva canzoni napoletane e cantava a squarcia gola ahah, comunque mi disse se gli potevo dare una mano per una cosa che gli faceva prendere soldi senza fare niente, mi sembrava un ottima occasione per poter prendere qualcosina e mangiare un pò di più, pensavo solo a mangiare in quel tempo, nessun gioco, nessun amico con cui uscire, niente di niente, quindi volevo fare qualcosa e poi ha detto senza fare niente, caspita come ero curioso, il mio vicino di casa che mi chiedeva una mano? anche senza conoscermi bene, mi vedeva solo uscire di casa e tornare tardi.
Mi portò da un gruppo di ragazzi, mi presentai, ero nervosissimo, a prima vista erano zaurdissimi, parlavano solo il siciliano, ci credete che imparai il siciliano da loro? Comunque mi spiegarono cosa dovevo fare assieme al ragazzo, dovevo solo portare dei “pacchetti” dove dicevano loro, delle persone mi avrebbero pagato, non dovevo dire niente, e in questo ero molto bravo, d’altronde la mia vita è stata piena di bugie, e mi dissero ti daremo una parte di questa cifra, così potrai comprarti tutti i giochi che vuoi, non sapevo manco dove comprarli i giochi ma dissi di si, accettai l’offerta era come se per una volta la fortuna mi avesse visto, quasi ogni sera, tornato dal doposcuola andavo da questi ragazzi, mi facevano portare dei “pacchettini”, dopo aver inserito sul mio telefono la via da raggiungere, così col gps mi sarei sbrigato prima ad arrivare in quel punto, inoltre mi spiegavano chi dovessi aspettare, mi dicevano il colore del giubbotto e dei pantaloni della persona a cui avrei consegnato quel pacchetto, quando mi guardarono alcuni avevano la faccia sorpresa o stranita, come se non si aspettassero un ragazzino.
Quando mi davano i soldi in mano e caspita quanti soldi, non ne avevo mai visti così tanti, sopratutto per un pacchetto che non sapevo neanche cosa contenesse, ad oggi penso proprio che quello che portavo era della droga e anche pesante da quanti soldi mi davano, si parla di centinaia di euro se non anche di più a pezzi di 50, 20 caspita, certe volte pensavo di prendermi qualche soldino, però mi fermavo da questo impulso perchè sapevo che mi sarebbe finita molto male, anche perchè quando tornavo dalla consegna mi accorgevo che nascosto c’era sempre un ragazzo del gruppo, come se mi tenesse d’occhio.
Alla consegna mi davano 5 euro o certe volte 10, per me erano tantissimi, per la prima volta potevo prendermi da mangiare qualsiasi cosa senza limitarmi in quel cazzo di bar ero felicissimo . Tanto mia madre non si accorgeva di quanto avevo in tasca, non controllava mai il mio zaino (il tutto tra andata, consegna e pagamento durava 15/20 minuti) mi chiamavano con un soprannome i ragazzi, il corriere, mi sentivo speciale cazzo, quanto era bello, anche se oggi so che rischiavo il carcere e la morte forse, il cliente poteva sempre accoltellarmi e prendere tutto, d’altronde avevo 13 anni non sapevo manco come difendermi.
Tornando a casa, vedevo mia madre sempre al pc a giocare ai giochini di facebook, almeno quando non ero con lei il pomeriggio non andavo al bingo ad aspettarla. Certe volte anzi spesso e volentieri si arrabbiava per qualsiasi cosa e se la prendeva con me, ricordo che mi difendevo anche con la sedia, e lei mi rideva in faccia come se era divertita da quello che vedeva. Una sera mi svegliai, perchè stavo sognando che questa storia non sarebbe più finita, ero stanco, volevo farla finita, andai in cucina, presi un coltello enorme, come quelli che vendono coi set knife per cucina, e guardai mia madre pensando solo di accoltellarla mentre dormiva, avevo pensato ad un piano in 3 minuti, forse era pure un piano perfetto, che ora vi spiegherò, dopo averla accoltellata, avrei sminchiato la serratura facendo pensare ad uno scassinamento, messo qualcosa fuori posto, sparire per qualche giorno, far nascondere il coltello dai ragazzi per cui lavoravo e un giorno prima di andare dalla polizia farmi picchiare da loro facendo pensare ad un rapimento, si forse nemmeno qualcuno di malato avrebbe pensato ad un piano così però non lo feci tornai in cucina e lo posai perchè se mi avrebbero preso, non avrei migliorato la mia situazione. Dopo qualche giorno da questo episodio pensai una volta di volermi suicidare, buttandomi dal balcone, abitavamo al terzo piano, non so se era sufficiente per morire, era un momento che avevo la testa vuota, non pensavo a niente guardavo dal balcone ,sopra ad una sedia, dritto, un passo bastava un passo ma fui interrotto dalla voce di mia madre che mi chiamava, mi sedetti immediatamente come se non fosse successo niente a guardare quel panorama di palazzi di cemento.
Ma tornando al discorso della scuola e tralasciando tutto questo per non dilungarmi troppo, l’anno stava finendo e quella del doposcuola mi "aiutava” a fare la tesina d’esame, cioè ha fatto tutto lei al pc, io ho solo cercato di studiare, e sempre alla fine dell’anno mi aspettò una sorpresa inaspettata, alla mia insaputa si stava muovendo qualcosa di grosso, qualcosa che ha cambiato la mia vita, il compagno di mia madre, ha contattato mio padre, forse per vendetta verso mia madre che l’ha lasciato o non so, sta di fatto che una volta me lo trovai davanti la scuola, assieme alla sua compagna, quanto ero felice di vederlo, non lo vedevo da anni cazzo, ci sedemmo al C&G per parlare, mi chiesero se volessi andare da loro, forse perchè avrei fatto 14 anni e potevo decidere da chi stare, comunque sta di fatto che prima degli esami scritti, io scappai di casa, ero partito la mattina per fare la prima parte degli esami scritti, dopo averli finiti dovevo andare dal doposcuola, la chiamai e gli dissi che non ci sarei andato perchè stavo andando a casa.
Non andai a casa, mi passò per la testa che volevo solo andare da mio padre e finire di vivere quell’inferno, mi feci catania -battiati a piedi, ricordavo ancora dove abitava, l’unica cosa buona che vedo in me tutt’ora è la memoria, penso che non scorderò mai qualsiasi cosa veda e senta, comunque arrivato a battiati, tutto sudato suonai a casa di mio padre, mi aprì giovanna, rimase a bocca aperta, chiamò mio padre e pure lui non fù da meno, mi feci una doccia, gli parlai di tutto quello che avevo passato e nel frattempo denunciammo la mia “scomparsa” ai carabinieri perchè su facebook c’era il mio annuncio della mia presunta scomparsa e l’ultimo posto dove mi avevano visto era vulcania, leggevo le chat in tempo reale di mia madre che usava il mio facebook dal suo pc e parlava con quella del doposcuola che gli diceva che le avrei chiamato dicendo che ero andato a casa e i post che stavano inviando i miei presunti “amici” “preoccupati” della mia scomparsa pezzi di merda fasulli.
I carabinieri dopo che avvertirono mia madre, ci dissero di andare dai carabinieri, davanti al palazzo di giustizia e di andarci assieme ad un avvocato, anche a lei raccontai tutto questo.
Arrivati sul posto, non so come, fu in meno di un secondo, attorno alla macchina di mio padre c’erano un sacco di agenti di polizia che volevano far scendere mio padre dalla macchina perchè mia madre aveva detto loro che mi aveva rapito, l’avvocato non ricordo cosa gli disse ma li fermò, e ci dirigemmo dal comando dei carabinieri, dove mi fecero rilasciare una “testimonianza” che fu storpiata dal collega di mia madre che faceva entra ed esci, lo scoprì dopo che l’avvocato mi chiese: “(nome mio) ma hai detto tutto?” ed io risposi ovviamente di si dato che stesi 2 ore a parlare, “lei mi fece vedere il foglio e mi disse, allora perchè qui c’è la tua firma su queste due riga?”
Oggi so come hanno fatto, perchè sotto a quel foglio che io firmai ce ne era un altro, ed essendo molto sottili non ci feci caso che erano due, e firmai quella falsa.
L’avvocato disse ai miei genitori che sicuramente c’era qualcosa che non andava e infatti era così.
Comunque quel foglio non contava così tanto ,perchè andai lo stesso da mio padre e successivamente fui ascoltato da altri avvocati e psicologi che confermarono quello che stavo dicendo, tolsero la patria potestà a mia madre e iniziai a vivere con mio padre.
E qui continuerò dopo
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https://www.gonagaiworld.com/addio-al-mangaka-hideo-azuma-autore-di-pollon-e-nana-supergirl/?feed_id=185040&_unique_id=5dad54069b0a9
È morto Hideo Azuma.
A molti non dirà granché il suo nome ma di sicuro tutti conoscono la sua opera più famosa "C'era una volta Pollon" e qualcun altro ricorderà "Nanà Supergirl".
Pare avesse un cancro all'esofago. La sua storia è abbastanza particolare per via della depressione che lo colpì nonostante il successo ottenuto con i suoi manga.
La depressione lo portò ad allontanarsi dalla famiglia e dal lavoro e a vivere come un senza tetto. Anche da questa esperienza trarrà fonte d'ispirazione per un manga oggi edito dalla J-Pop (mi pare) dal titolo "Diario della mia scomparsa" in cui racconta quei mesi vissuti per strada.
Mi colpisce sempre vedere come nonostante il successo e la fama certi demoni ti perseguitino ovunque tu vada.
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LA PAURA, LA VIOLENZA, L’ELETTROSHOCK
ALDA MERINI RACCONTA I SUOI TERRIBILI OTTO ANNI IN UN OSPEDALE PSICHIATRICO
«Quando venni ricoverata per la prima volta in manicomio, ero poco più di una bambina, avevo sì due figlie e qualche esperienza alle spalle, ma il mio animo era rimasto semplice, pulito, in attesa che qualche cosa di bello si configurasse al mio orizzonte; del resto, ero poeta e trascorrevo il mio tempo tra le cure delle mie figlie e il dare ripetizione a qualche alunno, e molti ne avevo che venivano e rallegravano la mia casa con la loro presenza e le loro grida gioiose.
Insomma, ero una sposa e una madre felice, anche se talvolta davo segni di stanchezza e mi si intorpidiva la mente. Provai a parlare di queste cose a mio marito, ma lui non fece cenno di comprenderle e così il mio esaurimento si aggravò e, morendo mia madre, alla quale io tenevo sommamente, le cose andarono di male in peggio, tanto che un giorno, esasperata dall’immenso lavoro e dalla continua povertà e poi, chissà, in preda ai fumi del male, diedi in escandescenze e mio marito non trovò di meglio che chiamare un’ambulanza, non prevedendo certo che mi avrebbero portata in manicomio.
Fu lì che credetti di impazzire
Ma allora le leggi erano precise e stava di fatto che ancora nel 1965 la donna era soggetta all’uomo e che l’uomo poteva prendere delle decisioni per ciò che riguardava il suo avvenire.
Fui quindi internata a mia insaputa, e io nemmeno sapevo dell’esistenza degli ospedali psichiatrici perché non li avevo mai veduti, ma quando mi ci trovai nel mezzo credo che impazzii sul momento stesso: mi resi conto di essere entrata in un labirinto dal quale avrei fatto molta fatica a uscire.
Mi ribellai. E fu molto peggio
La sera vennero abbassate le sbarre di protezione e si produsse un caos infernale. Dai miei visceri partì un urlo lancinante, una invocazione spasmodica diretta ai miei figli e mi misi a urlare e a calciare con tutta la forza che avevo dentro, con il risultato che fui legata e martellata di iniezioni calmanti.
Non era forse la mia una ribellione umana? Non chiedevo io di entrare nel mondo che mi apparteneva? Perché quella ribellione fu scambiata per un atto di insubordinazione? Un po’ per l’effetto delle medicine e un po’ per il grave shock che avevo subito, rimasi in stato di coma per tre giorni e avvertivo solo qualche voce, ma la paura era scomparsa e mi sentivo rassegnata alla morte. [...]
Questo è un piccolo brano tratto da “L’altra verità. Diario di una diversa”, un’opera profonda e toccante in cui Alda Merini, scrittrice e poetessa straordinaria, racconta in maniera unica la terribile esperienza dell’internamento negli ospedali psichiatrici in cui passò dieci anni della sua esistenza.
Un’opera in cui attraverso pagine di diario, lettere e versi l’autrice cerca di trasmettere un mondo che difficilmente può comprendere chiunque non abbia avuto la sfortuna di viverlo.
Cannibali e Re
Cronache Ribelli
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01.06.19 19:23
[Dal diario cartaceo]
Ho comprato del gin. Oggi è stata una giornata insopportabile, avrei preferito ingurgitare un bicchiere colmo di puntine metalliche, masticare per bene, assaporare il gusto della pazzia che morbosa, s'insinua lentamente nel mio organismo. Mi toccherà cambiare SIM, sono rintracciabile solamente tramite social, se connesso ad una rete wifi, penso potrei iniziare a farmi meno delle chiamate, dei messaggi. Il nerotisterone sta uccidendo il mio umore, o meglio contribuisce. Mi causa collera, ira per un qualunque sciocchezza. Ho iniziato una dieta, a controllare e pesare tutto ciò che mangio: da soddisfazione. Con l'alcool questa sera, faccio uno strappo alla regola. Penso rimarrò qui per un paio d'ore. È arrivato il caldo e forse è arrivata anche l'estate, forse. Ho portato con me la cena.
Non ho sentito quasi nessuno in queste settimane, eccetto B. con cui sono uscito ed un ragazzo tramite Instagram. C'è un'aria tiepida, disturberebbe chiunque in termini di quantità, non il sottoscritto, abituato a questo posto.
C'è un signore sulla sessantina con i suoi nipoti: probabilmente il nipote è solo il bambino di due o tre anni mentre gli altri (10-11 anni) sono semplicemente dei ragazzini delle case qui accanto. Strano, non ho mai visto nessuno di loro qui in tutti questi anni. Giocano a pallone.
L'emozioni questa sera, in questo istante, sono complicate da inquadrare, decifrare: c'è ancora della rabbia in sottofondo. È presente anche malinconia, la solitudine contribuisce sicuramente ma non posso permettere a nessuno di starmi accanto, nessuno che conosco almeno.
Il sole sta sparendo lentamente dietro la montagna, esausto tanto quanto me.
Questo posto è la mia montagna.
Ancora nessun documento. Sto onestamente per la prima volta perdendo la speranza. Oggi ho avuto lo stimolo di piange: l'ho represso stupidamente, spero torni più tardi. Gli anni precendenti, una volta arrivato Giugno, riuscivo ad intravedere un'uscita, qualcosa come "un'estate piena": il mio compleanno, i Pride, il sole, le feste. Ora tutto ciò non mi entusiasma minimamente. Mi preoccupa, non troppo in realtà ma riesco a percepire la mia graduale scomparsa.
Ogni singolo manifesto di collera mi fa desiderare di essere morto, non mi sopporto ed il mio corpo ne risente pesantemente.
Avevo ragione, erano tutti e quattro suoi nipoti, si stanno allontanando portando con loro i palloni e la spensieratezza infantile. In compenso sono appena arrivati 5 o sei ragazzini di quattordici anni circa. Sono seduti dietro al campanile, le loro bici appoggiate sul prato. Sono le 20:00 e la temperatura è rimasta la stessa, piacevole.
Ho finito di consumare la frutta e si sta facendo sentire, il gin intendo. La frase scritta a penna qualche mese fa sulla panchina è ormai sbiadita: la pioggia non ha apprezzato a quanto pare. Ho pensato quindi di prendere un indelebile nero e scriverla nuovamente, più grande questa volta. Ho il sapore del ginepro impresso sulle labbra. Ci sono appena stralci di nubi in cielo, giusto un paio: leggere completano lo sfondo della mia vita. Alcuni rami dell'albero alla mia destra sono stati potati qualche mese fa ed io ne avverto la mancanza.
La scrittura è quanto più di prezioso posso possedere. Se non avessi lei, non sarei qui, non più almeno.
È arrivata una ragazza, assieme ad un cagnolino di piccola taglia. Sorrido mentre lo guardo, probabilmente per via dell'alcol, ae nemmeno piacciono i cani. Altra gente. Una delle ragazze penso sia A. : sapeva sarei venuto qui. Mi sorprende ancora come le persone, se in compagnia, fingano a volte di non conoscerti affatto.
Ogni volta che il mio sguardo si posa su quel ponte che, da qui riesco a vedere chiaramente, mi sento un incapace in completo fallimento.
Mi sono alzato per sgranchirmi le gambe, appoggiando un braccio sulla staccionata posta ad un metro dalla panchina. Persino la formica ha evitato di salirmi sulla mano, protratta verso lei volontariamente per ben due volte, con fare discreto.
La luce sta iniziando ad affievolirsi, anzi n'è rimasta quasi per nulla.
23:47
Sono a letto. Con piacevole sorpresa ho trovato un messaggio di A., la ragazza che un paio d'ore fa era lì, nello stesso posto in cui mi trovavo. Mi aveva scritto ma non avendo avuto internet non ho potuto notarlo. Diceva che avrei potuto, se avessi voluto, unirmi a loro. Mi turba l'essermi per un secondo incattivito a riguardo, pur non essendo stato al 100% sicuro della sua identità.
Dovrei dormire, o almeno tentare.
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Il diario della mia scomparsa: la vita da senzatetto dell'autore di Pollon, dal 29 maggio in fumetteria #AzumaHideo #Comunicatistampa #NanakoSOS #Pollon
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“L’altra verità. Diario di una diversa”
LA PAURA, LA VIOLENZA, L’ELETTROSHOCK ALDA MERINI RACCONTA I SUOI TERRIBILI OTTO ANNI IN UN OSPEDALE PSICHIATRICO
«Quando venni ricoverata per la prima volta in manicomio, ero poco più di una bambina, avevo sì due figlie e qualche esperienza alle spalle, ma il mio animo era rimasto semplice, pulito, in attesa che qualche cosa di bello si configurasse al mio orizzonte; del resto, ero poeta e trascorrevo il mio tempo tra le cure delle mie figlie e il dare ripetizione a qualche alunno, e molti ne avevo che venivano e rallegravano la mia casa con la loro presenza e le loro grida gioiose. Insomma, ero una sposa e una madre felice, anche se talvolta davo segni di stanchezza e mi si intorpidiva la mente. Provai a parlare di queste cose a mio marito, ma lui non fece cenno di comprenderle e così il mio esaurimento si aggravò e, morendo mia madre, alla quale io tenevo sommamente, le cose andarono di male in peggio, tanto che un giorno, esasperata dall’immenso lavoro e dalla continua povertà e poi, chissà, in preda ai fumi del male, diedi in escandescenze e mio marito non trovò di meglio che chiamare un’ambulanza, non prevedendo certo che mi avrebbero portata in manicomio. Fu lì che credetti di impazzire
Ma allora le leggi erano precise e stava di fatto che ancora nel 1965 la donna era soggetta all’uomo e che l’uomo poteva prendere delle decisioni per ciò che riguardava il suo avvenire. Fui quindi internata a mia insaputa, e io nemmeno sapevo dell’esistenza degli ospedali psichiatrici perché non li avevo mai veduti, ma quando mi ci trovai nel mezzo credo che impazzii sul momento stesso: mi resi conto di essere entrata in un labirinto dal quale avrei fatto molta fatica a uscire. Mi ribellai. E fu molto peggio La sera vennero abbassate le sbarre di protezione e si produsse un caos infernale. Dai miei visceri partì un urlo lancinante, una invocazione spasmodica diretta ai miei figli e mi misi a urlare e a calciare con tutta la forza che avevo dentro, con il risultato che fui legata e martellata di iniezioni calmanti. Non era forse la mia una ribellione umana? Non chiedevo io di entrare nel mondo che mi apparteneva? Perché quella ribellione fu scambiata per un atto di insubordinazione? Un po’ per l’effetto delle medicine e un po’ per il grave shock che avevo subito, rimasi in stato di coma per tre giorni e avvertivo solo qualche voce, ma la paura era scomparsa e mi sentivo rassegnata alla morte.
Quella scarica senza anestesia Dopo qualche giorno, mio marito venne a prendermi, ma io non volli seguirlo. Avevo imparato a riconoscere in lui un nemico e poi ero così debole e confusa che a casa non avrei potuto far nulla. E quella dissero che era stata una mia seconda scelta, scelta che pagai con dieci anni di coercitiva punizione. Il manicomio era sempre saturo di fortissimi odori. Molta gente addirittura orinava e defecava per terra. Dappertutto era il finimondo. Gente che si strappava i capelli, gente che si lacerava le vesti o che cantava sconce canzoni. Noi sole, io e la Z., sedevamo su di una pancaccia bassa, con le mani raccolte in grembo, gli occhi fissi e rassegnati e in cuore una folle paura di diventare come quelle là. In quel manicomio esistevano gli orrori degli elettroshock. Ogni tanto ci assiepavano dentro una stanza e ci facevano quelle orribili fatture. Io le chiamavo fatture perché non servivano che ad abbrutire il nostro spirito e le nostre menti. La stanzetta degli elettroshock era una stanzetta quanto mai angusta e terribile; e più terribile ancora era l’anticamera, dove ci preparavano per il triste evento. Ci facevano una premorfina, e poi ci davano del curaro, perché gli arti non prendessero ad agitarsi in modo sproporzionato durante la scarica elettrica. L’attesa era angosciosa. Molte piangevano. Qualcuna orinava per terra. Una volta arrivai a prendere la caposala per la gola, a nome di tutte le mie compagne. Il risultato fu che fui sottoposta all’elettroshock per prima, e senza anestesia preliminare, di modo che sentii ogni cosa. E ancora ne conservo l’atroce ricordo».
Questo è un piccolo brano tratto da “L’altra verità. Diario di una diversa”, un’opera profonda e toccante in cui Alda Merini, scrittrice e poetessa straordinaria, racconta in maniera unica la terribile esperienza dell’internamento negli ospedali psichiatrici in cui passò dieci anni della sua esistenza. Un’opera in cui attraverso pagine di diario, lettere e versi l’autrice cerca di trasmettere un mondo che difficilmente può comprendere chiunque non abbia avuto la sfortuna di viverlo.
#alda merini#“L’altra verità. Diario di una diversa”#elettroshock#manicomio#basaglia#poesia#tuttobene
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Cesena, arriva lo spettacolo Voglio solo le ossa
Cesena, arriva lo spettacolo Voglio solo le ossa. Una produzione Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale in prima assoluta al Teatro Bonci di Cesena venerdì 25 e sabato 26 novembre alle ore 21.00, domenica 27 alle ore 16.00, firmata dal giovane Giacomo Garaffoni, vincitore della Biennale College Teatro (2021-2022) – Autori under 40, che per la sua prima regia teatrale ricostruisce la storia della cesenate Cristina Golinucci, a 30 anni dalla scomparsa: superando il fatto di cronaca, Voglio soltanto le ossa convoca la comunità cittadina, in corrispondenza della Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, per un atto di coinvolgimento quasi fisico in questa oscura vicenda, come una tragedia contemporanea. Cosa rimane oggi di Cristina? Quali domande ci pone, la sua assenza? Il primo settembre 1992, fuori dal Convento dei Frati Cappuccini di Cesena, Cristina Golinucci scompare senza lasciare traccia. Il giorno in cui ha smesso di essere sé stessa, è diventata un per sempre. Una foto in tutte le stazioni d’Italia, gli stessi occhiali, lo stesso cardigan, la stessa spilla, lo stesso sorriso per sempre. Un paesaggio emotivo che comincia dove una storia è finita, per diventare memoria, immagine e testimonianza del solo accadimento di mancare. In un percorso di ricerca lungo tre anni, il regista e autore cesenate ha conosciuto la famiglia della ragazza, ha letto i diari e le lettere, condotto un’accurata analisi degli atti d’indagine e organizza ora un attacco al museo della memoria, confrontandosi con la rimozione di un femminile assalito e infranto. In un vortice spietato, mette in scena l’incontro, delicato ed emotivo, tra due donne che non hanno potuto dirsi addio. In difesa della fragile tenerezza che c’è nel gesto di ricordare. "Cristina è scomparsa nel nulla il primo settembre 1992" scrive il regista, "nel suo diario c'era la vita di una ragazza di 21 anni, e c'era un foglietto con scritto: “Mi troverete perché mi cercherete con tutto il cuore” Geremia 29:13. Che forma assume la vita di chi rimane a fissare quel vuoto? Ogni volta che mi chiedono come mai ho scritto uno spettacolo su Cristina rispondo una mezza verità, probabilmente perché l'altra mezza non la so nemmeno io. Ma di sicuro, in vita mia, non ho mai visto un amore così privo di argini e di condizioni. Da trent'anni Marisa Degli Angeli, la mamma di Cristina, disobbedisce al nulla. Non sono un eroe, non sono un investigatore e non ho nessuna verità con me. Ho sempre voluto che questo spettacolo fosse un canto, un requiem, il suono che si sente intorno al buco enorme e senza destino che rimane quando sparisce una cosa molto piccola: un essere umano". Sabato 26 novembre alle 17.30, sempre in occasione della Giornata Internazionale contro la Violenza sulle Donne, è in programma l’incontro Caccia alle streghe all'origine della violenza di genere con l’attivista e teorica femminista Silvia Federici (che interverrà in remoto da New York), Professoressa Emerita della Hofstra University, autrice di un libro cardine del pensiero di genere, Calibano e la Strega. Donne Corpo e Accumulazione Originaria, pubblicato da Mimesis nel 2015 e tradotto in varie lingue, che analizza il rapporto tra l’avvento del capitalismo e le radici di questa violenza: Federici dialoga con Rita Monticelli, ordinaria dell’Università di Bologna che coordina il Master internazionale GEMMA (Women’s and Gende studies). A partire dall’indagine compiuta da Silvia Federici per svelare le inquietanti rispondenze tra le ragioni che nel Quattrocento innescarono la caccia alle streghe e i femminicidi di oggi, una preziosa occasione per entrare nei territori di un’altra declinazione della violenza, quella culturale e linguistica, dove si annidano discriminazione, sessismo e razzismo. L’ingresso è libero. Lo spettacolo Voglio soltanto le ossa e l’incontro sono stati inseriti anche nel programma 16 giorni di attivismo contro la violenza di genere coordinato dal Comune di Cesena – Assessorato ai Diritti e alle Politiche delle Differenze e organizzato in collaborazione tra Forum Donne, Centro Donna, Azienda Unità Sanitaria Locale di Cesena, in occasione della Giornata Internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne (25 novembre) e della Giornata Mondiale dei Diritti Umani (10 dicembre). Giacomo Garaffoni (Cesena, 1981) è autore, performer e regista. Collabora con artisti del mondo della ricerca teatrale come Romeo Castellucci, Societas e Teatro Valdoca. Nel 2021 vince il Premio Giovane Arte Contemporanea della Regione Emilia-Romagna, con il progetto Cassandra, il diritto di parlare. Sempre nel 2021 vince il Bando Autori Under 40 della Biennale di Venezia con il testo originale Veronica, di cui una mise en lecture ha debuttato nel giugno 2022, sempre a Venezia, per la cura del Piccolo Teatro di Milano. Il suo ultimo lavoro, Voglio soltanto le ossa, è prodotto da Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale. Informazioni: Teatro Bonci, Piazza Guidazzi – Cesena Biglietteria: aperta dal martedì al sabato ore 11-14 e 16-19 | nei giorni di spettacolo ore 17-21.30 | la domenica ore 15-16.30 | T. 0547/355959 | [email protected] Biglietti da 26 a 8 euro. L’incontro è a ingresso libero.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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...2021?
Sono passati 6 anni dall’ultima volta che ho scritto qualcosa su questo social. Mi sono ricordata di averlo solamente dopo aver visto un inquietante documentario di una ragazza scomparsa negli Stati Uniti nel 2013, che usava Tumblr come il suo diario di bordo per documentare i suoi pensieri, dati da una psicosi bipolare. Ecco, io non sono bipolare, ma l’idea che possa scrivere i miei pensieri in un social dimenticato da tutti soprattutto dal luogo in cui provengo, quasi mi piace. Non mi piace stare al centro dell’attenzione, però mi piace scrivere perché per me è una forma di sfogo che funziona. Forse tornerò, o forse no. Forse ci vedremo tra altri 5 anni, o forse domani. Oggi è un momento massive della mia vita che spero presto di ricordare come tiny.
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E quella notte, quando smisero di piovere tigri
e paraventi,
mentre quelli che erano venuti per rapine a mano armata
andavano via con un magro bottino,
dopo la chiusura degli amari caffè, e
dopo l’ora in cui i bordelli cominciano
a ricevere i clienti, quando gli stoppini si furono spenti
nelle loro lampade
e i preti furono tornati alla loro
abituale pedofilia,
quando la pioggia ebbe paura perché
le bombe cadevano più veloci
della luce,
un fumo denso, fatto di ossa bruciate
su un fuoco tenue
e trasformato in “Calcio-Palestina”,
discese,
e riempì di disperazione le gole dei capi tribù
che poi andarono a lavarsi dalle loro madri
con le orecchie allucinate
perchè sentivano le famose
trombe di Jerico
e confondevano gli anni con le stelle,
i cavalli con i granchi.
E la notte si rifiutò di piovere sulla testa della pecora,
e noi vedemmo lampi misti a nuvole ingrossate con il sangue e le lacrime,
e la materia cominciò a parlare direttamente con i morti, che non ascoltavano più,
e la gente non aveva voce,
e noi camminammo su rovi, spine e cardi,
e i nostri occhi esaurirono il vocabolario delle ombre della morte,
e allora discese –seguendo la pioggia- un
angelo di cui nessuno conosceva il nome.
Egli cominciò a contare i feriti qua e là
e le amputazioni fatte con coltelli da cucina,
e quell’angelo scrisse ogni cosa in un libro di oro e fango.
Per questo il mare dilagò, tremò di terrore,
obbligò le sue onde a vigilare,
e noi, al sentire suonare strumenti barbarici
giurammo che dovevamo uccidere la vita, e la morte,
avendo già visto uno spazio di lacrime e fuoco.
Nessuno uscì vivo dal campo
ma il tuono scosse le case piene di bambini,
e la miseria indossò abiti da donna,
e nessuno si fermò, mentre tutto ciò che era vivo
era morto.
Avvolgemmo la morte in una enorme bandiera e
la calammo nella fossa comune che era diventata
la città: il cibo quotidiano dei suoi abitanti
furono le briciole aride della memoria.
Non disegneremo linee diritte ma chiederemo
alla primavera di tenere un diario di guerra,
chiederemo all’autunno di prendere posto fra i traditori.
Illumineremo le finestre con cera che brucia,
ma non chiedete ai pipistrelli di indicare la strada alle
volpi del deserto.
Preparate i camion che ci porteranno
al mattatoio.
Lì, si terrà un banchetto con bollitori
pieni di agnello cotto in limone e sangue.
Un banchetto preparato per i generali vittoriosi,
quello appena descritto.
Il sole ha preso il velo.
In una scadente ed efficiente orgia di furia,
una tempesta portò via i letti.
Le armi per uccidere sono più fredde dell’aria
che le circonda. Feriscono ma non fanno paura.
A Jenin è stato creato il male da un nuovo ordine.
Il male ha subito una mutazione che è
l’opposto di quella che ci aspettavamo.
Abbiamo dunque diritto ad odiare – ma non
ci affrettiamo a stupide conclusioni. Non siamo di questo mondo.
Le foreste stanno crescendo più fitte, gli animali notturni
stanno generando mostri.
Il male ha bussato alla porta, nella stessa
notte in cui la pioggia ha smesso di cadere.
I boulevard girano a vuoto.
I cavalli corrono ad annegarsi,
senza ragione.
Viviamo nel perimetro tempestato di stelle
dell’incubo che esaspera la bellezza di questa primavera,
una primavera abitata da alberi in fiore,
montagne umide coronate da nubi translucide,
e la brezza che si mantiene sveglia quando i nostri
occhi smarriscono la strada da ovest a est attraverso
le colline rosa.
Ecco il dolore della gente che è circondata
da carri armati e incarcerata dallo sguardo
di assassini che hanno attraversato confini che sono
null’altro che le prime linee delle loro
molteplici prigioni:
tutto ciò solo per aggravare la bellezza di un mondo
posseduto da un’altra follia, estranea alla nostra
condizione.
C’è un tragico incontro fra la morte
di alcuni e la vita moltiplicata di altri:
altri essendo le gelide e felici onde
di un oceano che muggisce il suo piacere di essere nato
un’eternità prima della nostra misera coscienza.
La differenza fra ciò che imputridisce
e ciò che non smette di rinnovarsi
ci fissa.
Viviamo negli abissi.
Altrove la nebbia inghiotte le zone industriali.
Emanazioni di ciminiere che costellano
l’orizzonte riempiono le bocche di lavoratori necessari ma
dichiarati indesiderabili.
I gas bruciano le loro memorie.
Hanno dimenticato che prima di imbarcarsi sul battello
avevano un nome e un indirizzo.
Come buonuscita avranno malattie incurabili.
Lassù, sulla mia unica montagna, gli uccelli emettono
canzoni in codice, volano a coppie,
colpiscono l’aria con le ali e con gioia.
Nelle nostre teste sigillate i pensieri rappresentano
un vomito di gas velenoso –
e ricompensano se stessi.
La funzione primordiale della sopravvivenza
sta fornendo scuse per la morte;
è per questo che la Natura con noi ci ha rinunciato.
Rimane inaccessibile.
Quello che noi ne diciamo
non è che un pallido riflesso della sua realtà.
Ci siamo resi estranei
al nostro destino
sebbene la nostra infanzia
mostrasse un’esuberante lucidità.
Cosa è accaduto al passato?
Gli assassini non si fermano alla carne.
Cercano l’invisibile,
la nostra precedente beatitudine.
Nel frattempo, l’universo invecchia.
Miliardi di anni sono passati
e le stelle si battono per la loro vita:
brillare non le preserva dalla
definitiva scomparsa.
So che la materia non ha occhi,
che non ha smesso di respirare.
Sotto le tombe c’è la terra fresca.
Abbiamo visto tappeti tessuti con tinte vegetali:
uno aveva il colore ocra del volto
di uno degli uomini assassinati
a Jenin.
Non vi preoccupate, non dovrete guardare
né il tappeto, né quel cadavere.
Durante questo tempo, mentre i soldati nemici
lavoravano nel buio, l’universo invecchiava.
Con noi.
Come noi.
Nel nostro crollo finale trascineremo Dio stesso
verso la Sua fine.
Per ora, qualcuno governa, qualcuno scompare…
Nel campo c’era un campo,
i gradi dell’inferno entrano uno nell’altro.
Siamo seduti in questa stazione di comfort,
contemplazione e rinuncia.
L’ustione bianca si muove sui corpi,
ciascuno prigioniero del suo dolore.
Il dolore è murato nelle ossa, le ossa
nel corpo, e il corpo in case
murate.
Sopra le porte ridotte in macerie
una volta c’erano iscrizioni,
o un semplice disegno.
Sangue e inchiostro dei calamai si sono mischiati,
per questo le nuove scritte sono infangate.
Sulle membra sparpagliate, abiti e
mobili sono diventati una dura coperta.
La notte si è chiesta se fosse morale nascondere
tale mostruosità, poi ha deciso:
resterà sospesa in alto nel cielo,
come ultimo bene dei diseredati.
Il silenzio è disceso e in assenza
di una scala è caduto giù con tutto il suo peso,
come piombo.
Alcuni agonizzanti
hanno riconosciuto quel silenzio.
Hanno chiamato in aiuto le madri
ma le donne dormivano nella stanza accanto,
le loro teste mozzate riposavano sui cuscini.
Il fazzoletto di Sohrawardi si era macchiato…
Settimane dopo la carneficina un giovane
cercava di imparare, da un libro, come
diventare costruttore di cimiteri.
Ma non riuscì a trovare un pezzo di terreno
per la sepoltura dei morti.
Allora abbandonò i suoi studi
e si unì ad un’organizzazione clandestina.
Nessuno sa dove sia, né se è ancora
tra noi.
C’è qualcosa di più degradato della morte,
di più assente, è ciò che è stato cancellato
col cassino di un bambino dalla lavagna della Storia.
La Storia, l’ultima illusione.
Nel freddo delle nostre case senza riscaldamento
ci tenevamo caldi con
la memoria dei nostri antenati, pensando ai
i nostri bisnonni come a semidei.
Sì. Certo.
Nient’altro.
Ma arrivarono loro– i bastardi, a sradicare,
con le bombe,
a dirci molto semplicemente che noi non esistevamo.
Hanno cominciato con gli ulivi,
poi con i frutteti,
poi, con gli edifici,
e quando tutto fu scomparso,
hanno gettato, uno sopra l’altro,
i bambini, i vecchi e gli sposi,
in una fossa comune,
tutto ciò per dire al mondo dei mezzo-morti
che noi non esistevamo,
che non eravamo mai esistiti,
e che perciò avevano ragione…
a sterminarci tutti.
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