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Non potrei sopportare che a Moira si spezzasse il cuore sapendo che non può tenerti con sé.
Wendy, Hook Capitano Uncino
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Recensione 1 - “La Storia Infinita” di Michael Ende
Autore: Michael Ende
Titolo originale: Die unendliche Geschichte
Titolo italiano: La Storia Infinita
Anno: 1979
Tipo di opera: Romanzo
Edizione utilizzata per la lettura: Edizione TEA, collana “I grandi della TEA”
Brevi cenni sull’autore: nato nel 1929 e morto nel 1995, di nazionalità tedesca.
La vita di Michael Ende è costellata di eventi più o meno traumatici, soprattutto nei primi anni di vita: ad esempio, nel 1937 morì il suo primo amico, Willie, dal quale lo scrittore trasse anche l’aspetto per il futuro personaggio di Bastiano, protagonista de “La Storia Infinita”. Visse quattordici anni in Italia, a Genzano di Roma, con la prima moglie, morta nel 1985 (l’autore tornò in Germania nel 1983). Compì il suo primo viaggio in Giappone nel 1977 e il secondo nel 1989, dove sposò la seconda moglie; morì di cancro nel 1995.
Curiosità della giovinezza: nel 1945 Michael Ende venne forzatamente arruolato per l'estrema difesa della Germania nazista, ormai prossima alla disfatta totale. Dopo un addestramento fatto di un solo giorno, venne mandato al fronte, dove vide morire tre suoi compagni nei primissimi combattimenti. Il futuro scrittore gettò a terra il fucile e scappò, percorrendo a piedi durante la notte ottanta chilometri, nel tentativo di raggiungere il luogo in cui viveva sua madre; entrò in un’organizzazione antinazista subito dopo, dove rimase sino al termine della guerra.
Altre opere di successo: “Momo”.
Trama dell’opera scelta: Il protagonista è Bastiano, un bambino orfano di madre che non riesce più a comunicare con il padre e che, per fuggire all’ennesima persecuzione scolastica operata da suoi coetanei, si rifugia nella libreria antiquaria del signor Carlo Corrado Coriandoli, che sta leggendo un libro particolare; il bambino si incuriosisce e sottrae l’oggetto al libraio, per poi recarsi nella soffitta della scuola e iniziare a leggere l’appassionante romanzo dal titolo “La Storia Infinita”. Il libro narra le vicende del regno di Fantàsia e della sua sovrana, l’Infanta Imperatrice, minacciati dalla inarrestabile avanzata del “Nulla”.
A questo punto, viene convocato in aiuto il giovane cavaliere Atreiu, il quale si reca presso la Torre d’Avorio dai capi del Regno di Fantàsia, dove viene incaricato di trovare una soluzione al problema che affligge tutti. Da quel momento Atreiu dovrà affrontare, armato soltanto di un medaglione-talismano chiamato Auryn, tutte le varie prove e peripezie che troverà sul suo cammino. Atreiu attraversa Fantàsia e si trova a fronteggiare una serie di imprevisti ed ostacoli; giunge alla conclusione che l’unica possibilità di salvezza è quella di condurre a Fantàsia un essere umano che dia alla sua sovrana un nuovo nome.
Lentamente, Bastiano si lascia sempre più prendere dal romanzo, tanto da rendersi conto di poter influenzare attivamente il proseguimento della vicenda. Capisce di essere lui l’unico in grado di salvare Fantàsia, un luogo che si sta cancellando inghiottito dal Nulla; non si mette però subito in gioco, pensando di non essere all’altezza del compito. La regina si vede dunque costretta a recarsi dal Vecchio della Montagna Vagante, colui che scrive ogni cosa che accade nel regno di Fantàsia, in modo da convincere un umano ad intervenire per salvare il suo regno. Il ragazzo, sfogliando le pagine, si accorge che l’Imperatrice ed il Vecchio della Montagna iniziano a parlare di lui e delle vicende che lo hanno portato a leggere della loro storia.
Il protagonista decide dunque di pronunciare finalmente il nome che ha scelto per l’Imperatrice, per poi venire risucchiato dal libro e catapultato a Fantàsia, dove la sovrana lo incarica di ricreare il regno fantastico ormai ridotto solo ad un granello di sabbia. Con l’Auryn, che riceve in dono dall’Imperatrice, Bastiano inizia la sua avventura a Fantàsia e il suo compito è quello di ricreare il regno attraverso i suoi desideri. Solo Atreiu e il fortunadrago Fucùr si rendono presto conto che, ad ogni desiderio che egli esprime, perde un ricordo legato alla sua vita da umano; se il ragazzo dovesse finire i suoi ricordi non potrà più esprimere desideri, rimanendo intrappolato nel regno di Fantàsia per sempre.
Infatti Bastiano ricorda solo il proprio nome e, con l’aiuto di Atreiu, accede alle Acque della Vita, dove si immerge – per poi ritrovarsi nella soffitta della scuola e tornare a casa, quando saranno i suoi amici a portare a termine il suo compito.
A quel punto Bastiano si reca nella libreria per restituire il libro e racconta tutta la storia a Cordiandoli, che però finge di non saperne niente.
Stile: Lo stile è scorrevole e lineare, semplice da seguire anche per i più giovani, almeno nella traduzione italiana; il racconto viene portato avanti con la cadenza tipica dei racconti fantastici e ben si adatta ad un pensiero semplice, senza iperboli superflue.
Commento alla storia: “La storia Infinita” è stata la seconda storia di cui ho visto prima il film in televisione, per poi leggerne il libro (la prima storia è stata quella di Peter Pan con “Hook - Capitano Uncino” nella mirabile interpretazione di Robin Williams, ma non è questa la sede per parlarne). Il film che vidi da bambina mi aveva particolarmente colpita e leggerne il libro mi ha fatto tornare indietro nel tempo: ho pianto di nuovo alla morte di Artax, il cavallo di Atreiu (uno dei due protagonisti), mi sono sentita scaldare il cuore dall’intervento di Fùcur nelle Paludi della Tristezza, mi sono spaventata quanto Bastiano (il protagonista principale) mentre leggevo di Mork.
Ma affrontare questo racconto con una mente più adulta mi ha fatto comprendere anche il suo fine: non solo la volontà di Ende di far comprendere cosa sia la “Fantasia” e perché sia importante, soprattutto per i bambini, che si trovano, soprattutto ai nostri tempi, in continuo contrasto con il “Nulla”, ma anche quanto sia necessario capire se stessi. Quando lo Specchio Magico, al cancello della Seconda Porta per raggiungere l’Oracolo, riflette l’immagine di Atreiu, del suo vero io, rivelandogli un ragazzino emaciato nella soffitta di una scuola, che altri non è che Bastiano, che legge di se stesso, si capisce come il vero io di ognuno di noi non sia quello che il nostro specchio ogni mattina riflette, con la nostra immagine di noi da appena svegli, ma sia quello del nostro inconscio, che vive grandi avventure a nostra insaputa. Chi ancora non l’ha capito, è ridotto come quegli adulti che pensano a tutto e non pensano a niente, portando avanti la loro vita nel grigiore più totale.
Qui sta la magia della “storia infinita”: è un cerchio che si apre con Bastiano che ruba il libro dal negozio del Titolare Carlo Corrado Coriandoli Antiquariato e si chiude con Bastiano che lo restituisce al Titolare Carlo Corrado Coriandoli Antiquariato, che tuttavia non ricorda di averlo posseduto; il cerchio infinito si apre e si chiude con noi lettori attaccati alla pagina del libro, con noi che siamo e non siamo quel bambino di nome Bastiano.
VeronicaSaeko
#die unendliche geschichte#la storia infinita#recensione#review#italian review#book#literature#michael ende#veronicasaeko#saekothen
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Sai quel luogo che sta fra il sogno e la veglia, dove ti ricordi ancora che stavi sognando? Quello è il luogo dove io ti amerò per sempre, Peter Pan. È lì che ti aspetterò.
Hook Capitano Uncino
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Robin Williams e Campanellino (Julia Roberts) dal film "Hook: Capitano Uncino", con una delle battute del film
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Fare prove flat per allenarsi... No, non è vero, mento, volevo solo colorare il Capitano di @salvodisni xD Grazie disni ❤️ per creare personaggi che vorrei avere come gigantografie PS dannazione ai filtri di Instagram che migliorano tutto xD #uncino #hook #flat #hobby #flat #color #red #pirate #idea #friends #prova #tentativo #digitalart #digitalpainting #digital #art #artlover #artistsoninstagram #pirata #pirates (presso Aprilia, Lazio, Italy) https://www.instagram.com/p/B-SxHgVhqvm/?igshid=1f7fpwrodkdq1
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𝗕 𝗘𝗡𝗝𝗔𝗠𝗜𝗡 + 𝗚 𝗥𝗔𝗖𝗘 / hook - tinkerbell #001 ▎₁₅ . ₁₀ . ₂₀₁₉ f e s t a ( #WAIrpg )
Benjamin Ward aveva ricevuto una chiamata confusa, alla centrale. Rispondendo, le sopracciglia gli si erano aggrottate e lo sguardo era andato perdendosi alla desolata ricerca di un collega a cui appioppare la cornetta. « Manderemo qualcuno, buona serata a lei » aveva concluso frettolosamente, alzandosi dalla sedia con rabbia mal trattenuta. Fosse stata la sua cabina alla Jolly Roger, Spugna avrebbe passato la notte a pulire i danni provocati dall'ira del Capitano. Ma Uncino si trovava a Mykons e quella non era la sua nave.
Taccuino in mano, sul quale aveva appuntato l'indirizzo datogli dall'uomo al telefono, pigiò con decisione il dito sul campanello. La porta, di un azzurro che cominciava a dargli ai nervi poiché pareva che quel colore avesse il monopolio lì sull'isola, non venne aperta immediatamente. Sicché, grugnendo, batté due volte il pugno sulla superficie.
« Buonasera, c'è stata segnalata un'attività insolita da queste parti. Musica troppo alta, rumore di spari / fuochi d'artificio - non ce l'hanno saputo dire con esattezza - e grida. È lei la padrona di casa? » Sulla soglia c'era una giovane donna dalla pelle diafana. (Grace)Occhi e capelli chiari; viso appuntito. Uncinò ipotizzò immediatamente che fosse solo un'ospite della grande festa che si stava tenendo dentro. Dunque proseguì, duro, come gli imponeva il ruolo da lui ricoperto al quale in quei mesi si era egregiamente immedesimato: « mi può indicare l'adulto responsabile? » Ed avanzò d'un passo, arrivando quasi ad introdursi da solo nell'abitazione.
Grace Se le avessero chiesto un aggettivo per descrivere quella festa, probabilmente avrebbe dovuto coniarne uno di sana pianta. "Noiosa" risultava persino un complimento, e "fallimentare" era pressoché riduttivo. Non che avesse alte aspettative, a dire il vero; d'altronde conosceva bene chi sapeva /davvero/ organizzare belle feste, ma ciò non la fermava certo dal deliziare le ricche famiglie della sua presenza nelle loro case. Aveva già trascorso parte della serata a salutare diverse persone, tanto che era persino stata impossibilitata a sorseggiare lo champagne che si era procurata da un cameriere di passaggio e che era rimasto a lungo a scaldarsi tra le sue esili dita. Per non parlare del rossore che le avvolgeva le guance, dovuto allo strofinare su di esse di diverse barbe - Ariadne odiava quel tipo di contatto. Capì che l'unico modo per cercare pace, quella sera, sarebbe stato allontanarsi di soppiatto dalla festa e dai suoi invitati, ed era appena giunta alla porta d'ingresso, quando, dall'altra parte, sentì provenire il classico rumore di nocche che bussavano. Fece due veloci calcoli, c'erano altissime probabilità che la persona dall'altra parte - di certo un ritardatario, per sua fortuna - la conoscesse e la salutasse, costringendola a trattenersi più di quanto desiderava. Era più che intenzionata a scappare via ed usare un'uscita secondaria, ma il bussare si fece più forte e insistente, tanto che quasi si sentì costretta ad aprire e fare gli onori di casa. Osservò con occhi taglienti, l'uomo fermo sull'uscio: capelli e barba scuri, decisamente trasandati, e un tono poco amichevole, ma nonostante tutto..un'aria familiare. -Attività..insolita? Mi creda, qui di insolito c'è solo la mia egregia persona- E arricciando il naso, lo vide introdursi all'interno dell'abitazione, mentre lei era quasi pronta a scappare via. -Potrei dirle che il proprietario è quel signore di mezza età con la cravatta annodata in fronte, intento a ballare sul tavolino del salotto, ma non so quanto potrebbe esserle d'aiuto- Rimase quasi disgustata nell'assistere alla scena, mentre, finalmente, sorseggiava un po' di champagne dal suo flute.
Benjamin Gli piacque l'utilizzo della parola egregio. Le donne erano meravigliose; soprattutto se colte nel fiore dei loro anni e se dotate di un cipiglio come quello. « Mi piacerebbe molto prendere la sue parole per verità, mi creda, ma se non le spiace... » passandole di fianco il tessuto della sua giacca andò a sfiorare la spalle di lei; la porta non era stata del tutto spalancata. Entrò con solennità, neanche, ad attenderlo, ci fossero stati i narcotrafficanti della peggior specie. Le suole delle sue scarpe toccarono il lucido pavimento con una forza dosata. Piuttosto scenica. Quel lieve rumore sordo fu in grado di congelare l'atmosfera. O almeno così credette, a giudicare dal mortorio che gli si parò davanti. L'unica attrattiva risultò essere l'uomo indicatole dalla giovane donna, che, per quanto risultasse penoso nella sua mise, indubbiamente non poteva essere il fattore scatenante che lui andava cercando. Mosse qualche passo in quella direzione comunque e, dietro ad una delle colonne portanti, notò un piccolo nucleo di donne intento a biasimare quel povero pagliaccio. La moglie rossa di vergogna e rabbia. A quel punto fu lui a congelarsi. Non c'era niente. Assolutamente niente. Ricchi del cazzo. Dovevano essersi indignati per non aver ricevuto l'invito. Ci avrebbe giocato la sua Jolly Roger. Poco a poco sempre più innervosito dall'evidente scherzo di pessimo gusto cui era stato vittima, tornò all'ingresso a passo di marcia. Una marcia funebre e funesta. Il tipo di camminata che avrebbe avuto se ad un ipotetico funerale di Peter Pan, dando un'occhiata alla bara, vi avesse trovato dentro un fantoccio. « Senta... » si tolse gli occhiali da sole - accessorio indispensabile lì a Mykonos - dalla scollatura della maglietta, dove giacevano da quella mattina, e li lasciò scivolare cautamente nella tasca interna della giacca di pelle. Andò a delineare una pausa molto lunga, 'sì facendo, ma non se ne curò quando si riallacciò a quel principio di periodo iniziale. « Le spiace seguirmi in centrale e lasciare una dichiarazione? » L'ideale sarebbe stato averla dal padrone o la padrona di casa. Per quella volta si sarebbe fatto bastare un semplice testimone.
Grace Qualcosa, di quell'uomo, le dava i brividi; se fosse per il cipiglio leggermente imbronciato o per lo sguardo indagatore che continuava a rivolgere a chiunge gli passasse di fianco, non le era chiaro. Si aggrappò al flute di champagne ancora saldo tra le sue dita, come se fosse l'unica cosa che la tenesse in piedi in quel momento, e deglutì nervosa, senza tuttavia darlo a vedere al suo interlocutore. -E perché mai dovrei seguirla? Non ho nessuna dichiarazione da fare, se non 'questa festa è una noia mortale'- Alzò la voce di qualche ottava, nel pronunciare tali parole, speranzosa che i padroni di casa la sentissero e desistessero dalla voglia di mettere in piedi un altro teatrino del genere. Fortuna voleva, che non avesse sprecato uno dei suoi vestiti migliori per quella serata a dir poco imbarazzante. Gli occhi verdognoli di Ariadne saettarono sulla figura distinta e fuori luogo di quell'uomo; era strano a dirsi, ma le era capitato più volte di imbattersi, a Mykonos, in persone che le davano un senso di familiarità. Era successo col suo migliore amico, in primis, ma da quando avevano stretto quel tipo di rapporto quasi fraterno, non vi aveva fatto più caso. L'ispettore - o quello che era - doveva essersi accorto delle occhiate non proprio languide di Ariadne, pertanto la ragazza si premurò di spostarlo verso l'ambiente circostante, e ancora verso l'interno della casa, dove, sempre sul tavolino di poco prima, notò il padrone di casa farle cenno di avvicinarsi, ormai palesemente in preda ai fumi dell'alcool. Piegò le labbra in una smorfia disgustata, dettata dal puro ribrezzo che quell'uomo le trasmetteva; certo, era una ragazza di una classe ed una bellezza notevoli, ed era difficile che gli uomini sulla mezza età non ci provassero con lei. Anzi, era stupita di non aver ancora fatto colpo sull'ispettore, che tornò a guardare con un pelo di malizia, stavolta. -Anzi, sa una cosa? Mi porti dove preferisce, qualunque posto sarà meglio che restare qui-
Benjamin Perché mai? Gliel’aveva detto, “perché mai”: per rilasciare una dichiarazione. E poi che razza di domanda era? Perché l’autorità glielo stava chiedendo, ecco perché. Aveva un distintivo in tasca; una pistola sotto la giacca e una giacca di fottutissima pelle. Non era forse sufficiente? A Mykonos non c’era nessuno Spugna a trattenerlo dall’esplodere come una bomba ad orologeria. Fu il fatto di non poter controbattere, a tenerlo in riga. Lei non era tenuta a fare nulla; lo erano i padroni di casa; gli stessi a cui non avrebbe chiesto di seguirlo neanche morto, per risparmiare alla sua auto d’essere insudiciata con vomito e puzzo d’alcool. Era disperato. A forza di rimuginarci sentì, poco a poco, quell’imperturbabilità che s’era imposto d’avere, abbandonarlo; lasciando il posto ad un Benjamin Ward fremente di frustrazione, all’idea di dover intraprendere una conversazione simile - a quella avuta con Ariadne - con gli altri ospiti della festa. Con il rischio, per giunta, che dopo aver ripetuto le stesse battute per una, due, tre volte ancora, nessuno si rendesse disponibile al seguirlo in centrale. La pazzia, diceva Einstein, consiste nel ripetere una stessa azione all’infinito, aspettandosi sempre esiti diversi. Uncino lo ignorava, chiaramente. E figurarsi! All’Isola che non c’è non aveva fatto altro per tutta la vita: dare la caccia a Peter Pan. Eppure ora, forse perché in quei mesi si era disintossicato - o forse perché non aveva a che fare con Peter Pan - piuttosto che ricadere in un simile loop si sarebbe sparato in testa. Non gli rimaneva che puntare sulla biondina. Fece per dire qualcosa, sfoderando tutto lo charme che sapeva possedere, ma si ritrovò senza parole. Lei l’aveva guardato in un modo che, soltanto ora, da che l’aveva accolto alla porta, riuscì a riconoscerla. Quasi non credendoci, barcollò d’un passo all’indietro. « Senta perché non… » disse di getto, ansioso, come lo era stato con Wendy, d’intascare una vittoria conquistandone la sua fiducia, ora, che non aveva la minima idea di chi lui fosse realmente. Lei tuttavia, proprio in quel momento andò incontro al padrone di casa. Fu una cosa veloce, sicché, Uncino, dopo aver accolto con un ghigno provocante quel ��mi porti dove preferisce”, poté riprendere con quel che stava dicendo. « -andiamo a bere qualcosa. » Fanculo la dichiarazione. Prendendo la porta per la maniglia, la tenne aperta facendole cenno, galante, d’uscire per prima.
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Locanda dell’Uncino Dorato
(Golden Hook Inn)
Locazione: Salmastra
Proprietario: Swift
Swift è un elfo scuro reietto dall’aspetto giovane.
In anni umani potrebbe rassomigliare ad un 35 enne in buona salute e dalla mente acuta.
È mancino, nutre interesse sia per gli uomini che per le donne, personalità socievole ma scaltra.
Nel suo passato nel Mare del Caos è noto per aver preso parte all’ultima spedizione del Capitano Sparrow. Con il bottino guadagnato ha comprato un vecchio edificio nei sobborghi dell città di Salmastra per renderlo l’attuale Taverna dell’Uncino D’oro.
Il nome della taverna è chiaramente ispirato al famoso uncino di Capitan Sparrow, che suscita incubi in tutti i marinai.
È nota in città come il secondo luogo più adatto per ottenere informazioni e il primo quanto a risse e buon vino.
La taverna si presenta come una struttura in legno intersecata in uno dei vicoli di Salmastra. L’aspetto esteriore trasandato contrasta con quello interiore ben curato e ristrutturato, probabilmente a causa delle frequenti risse che comportano un nuovo rinnovo dell’arredamento.
All’ingresso ci si ritrova nella sala grande, provvista di tavoli, panche, un focolare, e il bancone dell’Oste. Candele accese e focolare unite al massimo perenne clima grigio di Salmastra rendono al luogo una certa aura cupa sebbene l’atmosfera sia accesa.
Di fatto la clientela di mare è spesso riunita a celebrare avventure e canti ad alta voce accompagnati dal Bardo umano Giovanni. Anche i camerieri goblin, spesso, si uniscono a questo coro nello svolgere il proprio lavoro rendendo la scena ancor più comica con le loro vocine poco intonate.
I camerieri goblin sono sette piccoli nanetottoli verdognoli con vocine acute e modi vivaci. Rispondono con una buona dose di costrizione all’autorità dell’Oste e proprietario Swift, con terrore a quella della cuoca Crisadora, e con impacciata vivacità a quella dei clienti. Nutrono un profondo rancore per il Bardo Giovanni al quale fanno spesso dispetti.
Oltre la sala principale, il pino terra ospita le cucine e la scalinata che conduce al primo piano destinato alle camere.
Le cucine sono inaccessibili alla clientela salvo autorizzazione non del proprietario bensì della Cuoca stessa, la temibile Crisadora.
Crisadora è una donna mezzorco dal fisico allenato e pieno di tatuaggi e cicatrici. Non ama farsi vedere in giro per la locanda ne’ tantomeno dare troppa confidenza ai clienti. Impartisce ai camerieri goblin ordini come se fossero su un campo di battaglia e nutre un gran rispetto per Swift.
In passato, Crisadora era nota come Generale Agave Drottingu. Guidava gli eserciti orcheschi del clan Turik ed è stata partecipe di numerosi massacri. Celebrata come un eroe dal suo popolo e come carnefice per altri, Agave venne un giorno tradita dal suo più fidato comandante. Rimasta in fin di vita, venne salvata da un gruppo di schiavisti del Re del Mare del Seme che la portarono a Salmastra per rivenderla. Swift la comprò nonostante le sue condizioni, la aiutó a rimettersi in sesto, e le diede la libertà. Lei tuttavia ha scelto di restare a Salmastra, se per riconoscenza o per pianificare vendetta è ancora ignoto.
Il nome Crisadora le è stato dato da Keira Vayne, per la quale mostra un rapporto da vodka aunt
Le camere della locanda dell’Uncino Dorato sono umili ma accoglienti. In ognuna di esse è presente almeno un letto, una finestra che affaccia sul porto sottostante al vicolo del sobborgo, una scrivania, della carta da scrivere, una candela. È possibile parlare con Swift per accordare un prezzo a notte.
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Robin Williams: 10 cose che non sai sull’attore
Nuovo post su italianaradio http://www.italianaradio.it/index.php/robin-williams-10-cose-che-non-sai-sullattore/
Robin Williams: 10 cose che non sai sull’attore
Robin Williams: 10 cose che non sai sull’attore
Robin Williams: 10 cose che non sai sull’attore
Robin Williams è uno degli attori più brillanti e talentuosi che la storia del cinema abbia mai potuto conoscere. Le sue erano abilità davvero uniche e la caratteristica di questo attore è che ha saputo dimostrarle sia nei suoi progetti lavorativi, sia fuori.
La sua è stata una lunga carriera, fatta di titoli incisivi e di ruoli iconici, conquistando il pubblico di tutto il mondo con la sua spontaneità, la sua simpatia e quel talento recitativo che si è spento troppo presto.
Ecco, allora, dieci cose da sapere su Robin Williams.
Robin Williams film
1. Robin Williams: i film e la carriera. La carriera di Robin Williams è iniziata nel lontano 1977, quando inizia ad apparire in alcune serie tv come La famiglia Bradford, Mork & Mindy ed Happy Days, oltre che nel lungometraggio Il film più pazzo del mondo. Sebbene nel corso della sua carriera non abbia mai abbandonato il piccolo schermo, partecipando a serie come Homicide (1994), Friends (1997) e Life with Bonnie (2003), Williams si è concentrato sul cinema, apparendo in Mosca a New York (1984), Good Morning, Vietnam (1987), L’attimo fuggente (1989), Risvegli (1990), La leggenda del re pescatore (1991) e Hook – Capitano Uncino (1991). In seguito lavora in Mrs. Doubtfire (1993), Jumanji (1995), Harry a pezzi (1997), Will Hunting – Genio ribelle (1997), Al di là dei sogni (1998), L’uomo bicentenario (1999), Insomnia (2002), The Big White (2005), L’uomo dell’anno (2006) e Una notte al museo (2006). Tra gli ultimi suoi lavori, vi sono Licenza di matrimonio (2007), Big Wedding (2013), Boulevard (2014) e Una notte al museo – Il segreto del faraone (2014).
2. Non solo attore, ma anche doppiatore, regista e produttore. Nel corso della sua carriera, Robin Williams ha avuto modo di vestire i panni del doppiatore, prestando la propria voce per film come Dear America – Lettere dal Vietnam (1987), A.I. – Intelligenza Artificiale (2001), Un’occasione da Dio (2015) e per i film d’animazione Aladdin (1992), Aladdin e il re dei ladri (1996), Robots (2005), Happy Feet (2006) ed Happy Feet 2 (2011). Inoltre, ha ricoperto il ruolo di produttore per i film Mrs. Doubtfire, Jakob il bugiardo (1999) e Comic Relief (1986) che Williams ha diretto, dopo aver già sperimentato la regia con un episodio di Mork & Mindy (1982).
Robin Williams frasi
3. Williams e le sue frasi iconiche. Sono molte le frasi che hanno reso Robin Williams una vera e propria icona del ventesimo e del ventunesimo secolo. Ecco alcune frasi:
La cocaina è il modo che usa Dio per dirti che stai facendo troppi soldi.
Pensavo che la cosa peggiore nella vita fosse finire tutto solo. No, non lo è. La cosa peggiore nella vita è quella di finire con persone che ti fanno sentire veramente solo
I politici sono come i pannolini: bisogna cambiarli spesso. E per lo stesso motivo.
La satira è viva, sta bene e vive alla Casa Bianca.
Ti do un consiglio: mai sputare in un tornado!
4. Le sua frasi di film che hanno fatto la storia. Al di là della persona, Robin Williams ha dato vita a personaggi davvero unici che resteranno nella memoria collettiva delle persone grazie anche a delle celebri frasi. Ecco alcune di quelle che fatto parte dei personaggi interpretati dall’attore americano:
Così le tue avventure sono finite… Oh no! Vivere… vivere può essere un’avventura straordinaria! (Hook – Capitan Uncino)
Sai cos’è la musica!? È Dio che ci ricorda che esiste qualcos’altro in questo mondo! (La musica nel cuore)
Solo nei sogni gli uomini sono davvero liberi, è da sempre così e così sarà per sempre. (L’attimo fuggente)
L’inferno non esiste! Il vero inferno è una vita andata storta. (Al di là dei sogni)
Ridere non è solo contagioso, ma è anche la migliore medicina. (Patch Adams)
Robin Williams moglie
5. È stato sposato tre volte. Robin Williams non ha mai rivelato troppo della sua vita privata: tuttavia, si sa che si è sposato più di una volta. L’attore, infatti, è convolato a nozza per la prima volte il 4 giugno del 1978 con Valerie Velardi, per poi divorziare il 6 dicembre di dieci anni dopo e dopo la nascita del figlio Zachary, nato nel 1983. In seguito si sposò con Marsha Garces nell’aprile del 1989 e dalla loro unione sono nati Zelda (1989) e Cody Alan (1991). Dopo aver divorziato anche da lei nel 2010, l’anno successivo si è risposato per la terza volta con Susan Schneider, con un matrimonio durato fino alla morte di lui.
6. Susan Schneider lo ha sempre sostenuto. Anche i sue si sono sposati nel 2011, la Schneider ha avuto modo di sostenere il marito nei suoi ultimi progetti e specialmente durante gli ultimi anni della sua vita che gli avevano arrecato numerosi disturbi e problemi di salute.
Robin Williams morte
7. William si è suicidato. Ciò che si pensava non potesse essere vero, purtroppo, lo è stato. Pochi giorni dopo la sua morte, il coroner aveva confermato che l’attore si era impiccato nella sua camera con una cintura, confermando la morte per asfissia. Non è ancora chiaro se l’attore abbia agido con consapevolezza o senza lucidità.
8. Era stato colpito da una malattia degenerativa. Se nei primi tempi dopo la sua morte si pensava che Robin Williams avesse scoperto di essere affetto dal Parkinson, in realtà, ciò che l’aveva colpito, è una malattia degenerativa che si chiama demenza da corpi di Lewy. Questa malattia porta ad una perdita progressiva della memoria, delle emozioni, dei movimenti del corpo, provocando crisi incontrollabili, attacchi di panico e allucinazioni.
Robin Williams: Jumanji
9. Dava spiegazioni sbagliate sul titolo. Stando alle due dichiarazione, pare che Robin Williams non si smentisse mai che si divertiva a dare spiegazioni sbagliate quando le persone gli chiedevano il significato del titolo Jumanji: “Dico loro che è un’isola nei Caraibi. Prenotate presto il vostro viaggio”.
10. Recitare con effetti speciali messi successivamente è stata un’esperienza straniante. Per Robin Williams, il fatto di recitare con animali e oggetti che non sono realmente presenti e sono stati inseriti in post-produzione, era stato come “prendere della LSD” perché “dovevi allucinare tutto”.
Fonti: IMDb, pensieriparole, aforisticamente, deadline
Cinefilos.it – Da chi il cinema lo ama.
Robin Williams: 10 cose che non sai sull’attore
Robin Williams è uno degli attori più brillanti e talentuosi che la storia del cinema abbia mai potuto conoscere. Le sue erano abilità davvero uniche e la caratteristica di questo attore è che ha saputo dimostrarle sia nei suoi progetti lavorativi, sia fuori. La sua è stata una lunga carriera, fatta di titoli incisivi e […]
Cinefilos.it – Da chi il cinema lo ama.
Mara Siviero
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Jack, corri a casa!
Maggie, Hook Capitano Uncino
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📖Trama: Cosa sarebbe successo se Peter Pan fosse cresciuto? E cosa se i suoi figli fossero scomparsi, lasciando solo uno strano messaggio firmato Capitan Uncino? È quello che accade in questo magico romanzo. L'avvocato Peter Banning vive in un mondo di telefoni cellulari e di frenetiche riunioni. Ma, in visita a Londra dalla vecchia Wendy Darling, si ritrova catturato da un passato che non riesce a ricordare. E trasportato in un mondo incantato di Bambini Sperduti che rifiutano di crescere, di Fatine, di Pirati crudeli. Deve trovare i suoi figli, ma nell'Isola che non c'è forse ritroverà se stesso, in un'avventura di innocenza perduta e ritrovata che il più amato scrittore di fantasy ha voluto raccontarci "così come è stata raccontata a me": con la magia di un grande narratore. 🏷Citazione preferita: "Caro Peter, si sollecita la tua presenza su richiesta dei tuoi bambini. Con i miei più cordiali omaggi. Giacomo uncino. Capitano" ☑Valutazione: 🎃🎃🎃🎃🎃/5 #booklover #bookmania #instabooks #instabook #lanottedeilibriviventi #coefficientezucca #leggere #libri #bookstagram #hook #capitanuncino #peterpan #terrybrooks #jimvhart #maliascotchmarmo #nickcastle #robinwilliams #stevenspielberg #mondadori #mondadorilibri #juliaroberts #dustinhoffman #universal https://www.instagram.com/p/Bpt2cotHcTf/?utm_source=ig_tumblr_share&igshid=njtcetrjuo7i
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Ludovica è CAPITANO JAMES HOOK (Uncino) ⚓⚡
E' il capitano della Jolly Roger, e si distingue dagli altri pirati per la sua nobile raffinatezza che fa intuire una diversa appartenenza sociale. Viene chiamato così da tutti anche perché indossa un uncino di ferro al posto della mano destra, che gli fu tagliata in uno scontro con Peter Pan e data in pasto ad un coccodrillo; la bestia l'ha gradita a tal punto che da allora spera di mangiarsi il pirata per intero, dandogli la caccia. Fortunatamente per Uncino, il coccodrillo ha anche accidentalmente ingoiato il suo orologio, così lo sente avvicinarsi e può scappare in preda al panico. Uncino odia in modo ossessivo Peter Pan, e vive in attesa del giorno in cui lo farà "camminare sull'asse" della sua Jolly Roger. «In mezzo alla ciurma dei pirati si distingue Giacomo Uncino. Al posto della mano destra ha l'uncino di ferro. Il suo volto è cadaverico e di colore verdastro, i suoi capelli sono pettinati in lunghi riccioli. L'azzurro dei suoi occhi rammenta quello dei non-ti-scordar-di-me. Una profonda malinconia gli vela lo sguardo, tranne quando conficca il suo uncino nelle carni di qualcuno: allora due luci rosse appaiono nelle sue pupille, e le accendono in modo spaventoso. Inoltre teneva tra i denti un bocchino di sua invenzione che gli permetteva di fumare due sigari alla volta.» #SpazioDanzaCDO 💃🏻🕺🏻 #Neverland 🍃💫✨#Hook #YoHoo #JollyRogers #Pirates 🏴⚓🏝
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⋰ 𝗕 𝗘𝗡𝗝𝗔𝗠𝗜𝗡 + 𝗝 𝗔𝗖𝗞𝗜𝗘 / hook - wendy #002 ▎ ₁₇ . ₁₀ . ₂₀₁₉ b a n c a ( #WAIrpg )
« Conosce quest'uomo? » Tre mesi in quella cazzo di isola, e ancora nessuna traccia concreta di Peter Pan, dall'ultima volta in cui l'aveva intravisto sul retro di un locale. La foto che protese dinanzi al volto del direttore della banca l'aveva scattata proprio allora - quanto era passato? Due settimane? L'idea, però, di andare di cittadino in cittadino a domandare dell'acerrimo antagonista gli era venuta solamente qualche sera prima. In veste di capo della polizia si era imbattuto nella fatina del suddetto rosso malpelo; perché non continuare su quella strada, si era detto. Dopotutto il ragazzino era stato un delinquente della peggior specie sull'isola che non c'è; era giunto il momento di ricambiare gli onori.
Lo vide tentennare. Avvicinò ulteriormente il braccio esalando aria dal naso, pazientemente. « La guardi pure con calma » fece un cenno con il polso, invitandolo ad afferrare la fotografia. Dunque si alzò dalla comoda poltrona e si mise a ficcanasare discretamente nell'ufficio; mani congiunte dietro la schiena. " Non vorrei sbagliare ma credo... " cominciò a dire l'uomo, massaggiandosi il mento, pensieroso. Uncino tese le orecchie, attento. " Credo sia- argh, mi scusi, avanti! " Qualcuno aveva bussato alla porta e quel qualcuno si rivelò essere Wendy ( Jackie ) Darling.
Jackie Jackie e la sua famiglia vivevano a Mykonos ormai da mesi, ma la primogenita dei Dalton non si era ancora abituata all’isola e a tutto il suo splendore. Le mancava Londra. Quella sua pioggerella leggera, gli scoiattoli nei vari parchi che sgranocchiavano il cibo dato dai turisti, la moda londinese e soprattutto quella pace che si percepiva nelle vie più nascoste. Non si sentiva parte di Mykonos, infatti quel suo trasferimento lo stava vivendo come una vacanza, in realtà. Però, non denigrava per nulla quell’isola greca, anzi. Mykonos era diventata l’ambientazione del suo primo libro. Riusciva a ispirarla. La ragazza stava buttando giù alcune idee riguardo un capitolo, quando la barista di starbucks chiamò il suo nome. L’ordinazione erano due drink freddi: un Iced London Fog Tea Latte per lei e un Iced Black Tea per suo padre. A Ottobre a Mykonos faceva ancora molto caldo e siccome Jackie non aveva ancora fatto amicizia e aveva quindi molto tempo libero, a volte si recava in banca da suo padre con qualcosa di fresco. Bussò alla porta con delicatezza. « Papà, ti ho portato il... Tea... » La frase andò a scemare di tono. Suo padre non era solo, con lui c’era quello strano tizio che le aveva offerto un drink, se non errava, ad uno dei tanti locali famosi. « Che ci fai tu qui? » Rispose secca con un’espressione curiosa ma al tempo stesso seria, siccome era alquanto diffidente. Qualcosa non le quadrava. “ Tesoro! Ero sicuro di averti insegnato le buone maniere! “ La sgridò suo padre. Lei senza distogliere il suo sguardo azzurro dall’uomo sospetto, si avvicinò a suo padre per porgergli il tea. ‘’ Scusi mia figlia “ Jackie senza aprir bocca, buttò lo sguardo sulla fotografia che suo padre teneva ancora tra le dita. « Perché hai in mano una foto del ragazzo che sbaglia sempre le ordinazioni del tuo caffè? »
Benjamin Uncino la riconobbe, è chiaro. Così come l'aveva riconosciuta in quel locale, pub, ristorante... non se lo ricordava più, qualche giorno dopo essere approdato a Mykonos. Tra i due ci fu un rapido sguardo. Da parte di Jackie probabilmente fu solo il tipo di occhiata che si lancia ad un estraneo che si ritrova in un luogo dove risulta essere fuori posto. Da parte di Uncino non ci fu alcun cenno d'interessamento invece; rimase distaccato; passivo agli eventi. Assunse solo un cipiglio interrogativo, poiché pensò fosse il più adeguato in una situazione simile. Gli occhi di dosso però non glieli tolse neppure per un secondo. Invero, udendola interrompersi nel mezzo della frase rivolta al banchiere, ebbe quasi il timore che lei l'avesse riconosciuto in quanto Capitan Uncino e non solo come l'uomo che aveva tentato di offrirle un drink - con il senno di poi avrebbe fatto meglio a non tentare un avvicinamento a Wendy Darling, quel fatidico pomeriggio. Prima si sarebbe dovuto accertare che la giovane fosse legata a Peter Pan anche in quella realtà. Una Wendy senza Peter, per quanto potesse essere graziosa, si presentava pressoché inutile. « Prego? » Come temeva, la noncuranza con la quale aveva accolto il suo ingresso non era servita a farlo passare inosservato. Si ricordava di lui. Tuttavia proseguì su quella linea. Non sarebbe giovato alle sue indagini riconoscere davanti all'uomo cui stava ponendo delle domande, di aver tentato di abbordare sua figlia. Ostentò totale smarrimento, dunque. E scostandosi dalla parete vicino alla quale aveva indugiato nel mirare un piccolo dipinto, con un sorriso bonario e del tutto non colpevole, rivolgendosi al padre di lei disse: « non si preoccupi, sono cose che capitano. Temo - » ed ora ricadde nuovamente sulla rossa, con una scintilla machiavellica appena percepibile nei suoi occhi, « - temo ci sia stato un fraintendimento signorina. » Valeva a dire: mi avrai scambiato per qualcun altro oppure, avrai scambiato la mia offerta di abbeveraggio per qualcos'altro. Non era dato specificare. Uncino contò sul fatto che all'orecchie dell'uomo sarebbe risuonata più appetibile la seconda ipotesi. « È certa sia lui? Dove ordinate il caffè? »
Jackie Il suo sguardo puro si era soffermato ben poco sulla fotografia di quel ragazzo con la testa fin troppo sulle nuvole. Non le interessava e da quel poco che aveva conosciuto di lui, lo trovava terribilmente immaturo. La cosa strana era che le sembrava di conoscerlo da tempo, invece si erano solo incontrati qualche volta e solo di sfuggita. Forse, si erano scambiati solamente qualche occhiata curiosa. “Prego” mimò la voce dell’uomo solo mentalmente, senza far notare quella leggera espressione di fastidio che trapelava dal suo labbro superiore. C’era qualcosa che non la convince di quel poliziotto, era come se il suo sesto senso le dicesse di stare alla larga da lui, sebbene si sentiva in qualche strano modo, attratta da lui. Sistemò l’ordinazione sopra il tavolo, mentre riprese parola. « Non c’è nessun fraintendimento... signore! » Le sue parole erano ferme e il tono di voce pressoché basso e saccente. La gentilezza che la caratterizzava sembrava svanire nel nulla in sua presenza. “ JACKIE MOIRA DALTON “ Suo padre la riprese nuovamente, questa volta alzando la voce e utilizzando un tono molto più deciso. Jackie per la seconda volta, non rispose a suo padre e si limitò ad appoggiare la schiena al muro e incrociare le braccia sotto il seno, come se suo padre non fosse all’interno di quella stanza. Non gli dava retta. « Sicurissima. Quei capelli rossi e quel non so che di spavaldo e immaturo, la fotografia non gliela toglie. » Se lo ricordava bene poiché in quei momenti che lo guardava, se l’era studiato curiosa, cercando di capire se lo avesse visto prima di vivere a Mykonos. « Il caffè, come vede... » Lanciò un’occhiata ai contenitori di Starbucks. « Lo prendiamo da Starbucks. Ma ultimamente preferisco ordinarlo e portarlo io a mio padre, che sia caffè o tea. » Continuò, staccando il suo corpo dalla parere di pietra bianca e avvicinarsi lentamente al poliziotto che cercò di offrirle da bere tempo addietro. « Come le ho già detto sbaglia le ordinazioni. E se sbaglia spesso delle semplice ordinazioni di caffè significa automaticamente che quel ragazzo è inaffidabile e incompetente. » Suo padre sbuffò in totale disperazione per il comportamento a tratti maleducato della figlia. Jackie si stava comportando così solo a causa della sua diffidenza e quella sensazione strana che percepiva in presenza di quell’uomo. “Jackie? Cosa ti prende? “ « Niente! » Rispose secca senza abbassare lo sguardo. « Non si è identificato e non ha mostrato il distintivo, come possiamo essere certi che lei... » Lo squadrò. « Non faccia solo finta di essere delle forze dell’ordine, e che questa sia tutta una messa in scena? Cosa ha fatto questo ragazzo? »
Benjamin Divertito da quel botta e risposta padre-figlia, Uncino rise sotto i baffi. Riuscendo, al contempo, a simulare sussiegosa comprensione. « Non c’è problema, davvero » ripeté all’uomo, volendo tranquillizzarlo sulla sua totale indifferenza all’astio che la figlia serbava nei suoi confronti. Ignorò lei totalmente, invece; con il proposito ulteriore di farle intendere quanto poco contasse quella questione, in quel momento. Fortunatamente si degnò di rispondere a ciò che più gli premeva. Burbero, quasi digrignò i denti alla descrizione della sua spavalderia; Jackie era stata in grado, con quelle parole, di far comparire nella sua mente - ma in verità gli parve quasi di avercelo davanti - l’immagine del ghigno maledetto che sfoderava ogni qual volta si ritrovavano a scontrarsi. « Ottimo, vi ringrazio per l’aiuto » sorvolò sul fatto che avesse lasciato intendere fosse manchevole di spirito d’osservazione; i bicchieri di Starbucks li aveva notati. Chiunque l’avrebbe fatto. Ignorarla, dunque, gli parve fosse il miglior modo di contrattaccare. Inoltre, aveva un certo qual che di stuzzicante, fingere che una persona non esistesse. Uncino l’aveva sempre pensato. Indi per cui, con una stretta di mano, si congedò degnamente solo dall’uomo; riprendendo ed intascando la fotografia, nella tasca posteriore dei suoi jeans. « Arrivederci. » Appropinquandosi verso la porta, guardò lei, finché non fu obbligato a lasciarlo scivolare via sul resto della stanza da lui percorsa in pochi passi. Ma giunto davanti alla porta, ecco un altro attacco. Sperò d’avvero fosse l’ultimo. Si era dimostrata di una perspicacia fuori dal comune, con quella accusa. Peccato che nessuno, eccetto Uncino, l’avrebbe potuto confermare. « Ha ragione » bloccò il tentativo dell’uomo, rosso di rabbia e vergogna, di difenderlo, in un cenno della mano - che lasciò ferma a mezz’aria finché non lo vide richiudere la bocca. « A lei non l’ho mostrato; fa bene a non fidarsi. Di questi tempi non si sa mai chi si ha davanti » e lo tirò fuori dalla giacca.
« Benjamin Ward, nuovo capo del dipartimento di polizia. » « Per quanto riguarda il ragazzo: sono informazioni riservate, legate ad un indagine, di cui non posso far parola. Siamo a posto? »
Jackie Per quanto a Jackie non le andasse a genio quell’uomo a parer suo, farabutto e impostore, il suo non darle retta e non degnarla di un saluto come invece fece con suo padre, la infastidì parecchio. Incrociò la braccia sotto i seni mentre l’espressione solitamente genuina e dolce si trasformava in offesa. Era stata lei dopotutto a rivelargli le risposte delle domande che aveva posto. Lei, non suo padre. « Il rispetto dovrei avercelo solo io papà? Quest’uomo non si è degnato di salutarmi con una stretta di mano come con te. Secondo te lo fa perché sono una ragazza ed è quindi maschilista oppure perché il mio modo di fare la infastidisce? » Si era rivolta a suo padre al limite dell’esasperazione e rosso in volto, ma i suoi occhi azzurri erano ancora riposti impavidi, verso quel tipo. Aveva parlato a voce alta proprio per infastidirlo. Prima Jackie lo aveva accusato e poi gli rivolse nuovamente la parola poiché qualcosa in lei, non voleva porte fine alla conversazione. Altro che uno stupido arrivederci già all’altezza della porta. Cocciuta e diffidente ma al tempo stesso curiosa e determinata, si avvicinò ancora più vicino all’uomo che finalmente si presentò. Con sguardo indagatore prima di allungare la mano verso il distintivo lucente e accarezzarlo in modo delicato con le sue dite morbide, si soffermò sul suo viso, sul suo sguardo, per notare qualche cenno di cedimento. Una bugia. Ma l’unica cosa che percepì avvicinandosi e sfiorargli la mano che teneva la prova di chi era stretta tra le dita mascoline, era una sensazione strana alla stomaco. Secondo Jackie era per il ricordo di lui che le offrì un cocktail. « Molto bene. » Disse lasciando il dito indice sopra il distintivo. « Ora so chi è lo sconosciuto che mi ha offerto da bere... » Sussurrò così piano che suo padre non riuscì a sentire neppure il fiato della figlia. « Saremo a posto solo quando avrà intenzione di offrirmi ancora qualcosa da bere... oppure è rimasto deluso dalla mia personalità? Scommetto che quel giorno sperava in qualche oca superficiale che accettasse il primo cocktail offerto da un bell’uomo... » Non avrebbe mai detto o fatto qualcosa del genere a Londra. Ma Jackie oltre ad essere diffidente era anche curiosa e la questione della foto non gliela raccontava giusta. Jackie non era suo padre, e qualcosa le diceva che il poliziotto Benjamin Ward lo aveva capito.
Benjamin Ancora una volta, esimersi dal ridere gutturalmente, da pirata vile e disonesto quale era: fu difficile, quando lei lo scrutò con la convinzione di poter strappargli la verità dal volto. Tenne lo sguardo senza difficoltà. Ragazzina era a Wonderland, e ragazzina rimaneva qui, nell’ufficio del padre. Uomo che entrambi stavano completamente estromettendo da quella sfida di sguardi; da quella conversazione silenziosa senza capo ne coda, in cui tutto ciò che a Uncino premeva trasmettere, era trasparenza e, al contempo, supremazia. Perché l’avrebbe avuta, questa volta; avrebbe avuto la sua rivincita.
Non ci volle molto comunque, prima che il direttore della banca riacquisisse un minimo di rilevanza. Gli occhi di un Benjamin Ward totalmente spiazzato, saettarono su di lui, alle parole bisbigliate da Jackie. Verificò che non avesse sentito, e che, soprattutto, non si stesse facendo strane idee sul bisbigliare della figlia. Annuì in sua direzione, tirando un sorriso tutto labbra. Accaldato. Suole delle scarpe ben piantate a terra, meccanicamente avanzò verso quest’ultimo. Tolse di mezzo la ragazza sospingendola gentilmente per un fianco; trattenendo, tra due dita, il tessuto leggero della maglietta, che, suo malgrado, dovette lasciar scivolare via.
« Mi suggeriva di lasciarle il mio biglietto da visita » apostrofò, inventando tutto di sana pianta. Tirò fuori - non si capì da dove, per la rapidità - il rettangolino di carta e lo adagiò sulla scrivania. « È preoccupata e non posso darle torto. Lavorare in banca... per qualsiasi cosa conti pure su di me. Sono a disposizione - di nuovo, è stato un piacere. » Sarebbe letteralmente volato via, ora: e lo fece. Benché ringalluzzito dal non aver giocato male le sue carte, si stava facendo imbarazzante. « Lei deve uscire? » porta tenuta aperta con un gomito, mentre si preparava ad indossare gli occhiali da sole, si capiva stesse andando di fretta. Ancora non le aveva risposto: sperava di poterlo fare fuori.
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