#gretta volta
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potionboy3 · 8 months ago
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the volta family | prologue | RE-UPLOAD
 He was like this hybrid, this mix of a man who couldn’t contain himself. I always got the sense that he became torn between being a good person and missing out on all of the opportunities that life could offer a man as magnificent as him.
erebus volta is unfathomably rich and too powerful for his own good. he's the head of the volta family criminal casino enterprise masquerading as a fire whiskey brewery. this video is from the perspective of erebus's ex wife idalia, the mother of his first born son.
i decided to update all my volta and larkspur videos do to some changes in the casting and also so that i can welcome @cursebreakerfarrier and her character marco rathbone to be part of this story. this video is a prologue for the upcoming video that i will also be re-uploading after i finish updating it.
in the video: erebus volta idalia volta gretta volta @gaygryffindorgal marlon volta @gaygryffindorgal marco rathbone @cursebreakerfarrier
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fischerfrey · 8 months ago
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happy mothers' day!
celebrating some of my more decent mother ocs!🫶
kerina slytherin, mother of elian and theo goldcrest
rhéa hart, née volta, mother of réne and marcel hart
loretta larkspur, mother of helene, johannes, leighton, and hugo larkspur
gretta volta, née byrn, mother of melinoe, iason, skylla, and illias volta
anora brindlemore, mother of bloom and twyla brindlemore
philomena katz, mother of barbara, johanna, and annalise katz
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papesatan · 1 year ago
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E già qualcuno fra i parenti ha osato chiedermi del concorso. Ma come, non partecipi? Vedo già le mie zie insegnanti partir gagliarde con le solite domande cui non saprò cosa rispondere. La verità porterebbe a una bruta discussione, meglio tentar la via della cieca ignoranza o, peggio ancora, della menzogna compiacente. Ogni volta resto muto e interdetto, incapace di soffrirne a voce, perché ho un lavoro, cristo, un lavoro creatomi dal nulla, MI SONO DATO un lavoro e per loro non è abbastanza, perché non è un posto pubblico. Forse chi ha visto Quo vado? ma vive al nord non ha ben chiaro quanto quel film ritragga fedelmente la gretta mentalità della mia terra, ma è davvero così e non fa ridere per niente. Ricordo ancora benissimo i mesi precedenti l’apertura, il silenzio dei parenti, il vuoto intorno, le risatine di mia nonna: “Ma verrà qualcuno?” e l’insistenza di mia zia: “Hai mandato le Mad? Dovresti provare col sostegno, da lì è più facile entrare” (e di questa immonda realtà parleremo un’altra volta). Ci litigai, speravo d’aver chiarito una volta per tutte le mie intenzioni, ma puntualmente dopo qualche mese tornò a chiedermi: “Allora, hai mandato le Mad? Nessuna supplenza?” “Eh, no” mentii “purtroppo nulla”. Ci rinuncio, perché quella dei nostri genitori ormai è una generazione totalmente slegata dalla realtà, convinta di vivere ancora gli anni ‘90, dove tutto era possibile, dove entravi dove volevi con l’aiuto di zio Cosimino, dove il politichino di turno sistemava gli amici di amici, dove una laurea e un concorso significavano qualcosa. Oggi la mia dipendente, povera crista che quando non lavora passa le giornate a studiare, mi ha rivelato che per la sua classe di concorso i posti messi a bando per la Puglia saranno 3. Come dovrei non incazzarmi? Come si può restare calmi di fronte a tanto schifo? Capite perché ho mandato tutti al diavolo, aprendo la MIA scuola? Non possiamo star qui a invecchiare all’ombra di mamma e papà, in attesa che lo stato ci permetta di fare ciò che abbiamo sudato e studiato decenni per fare. In famiglia nessuno sa che ad aprile ho rinunciato all'orale. Non li ritengo stupidi, è probabile che qualcuno abbia capito (forse mia madre?), dall’Usr dell’Emilia Romagna si sono fatti vivi dopo un anno (un anno!) dal superamento dello scritto, questo sì, ma è poco plausibile che venga indetto un nuovo concorso senza aver posto fine al precedente. Almeno il dubbio deve averli sfiorati. Ma non ho il coraggio di dirglielo, lascerò che lo capiscano da sé, se vogliono, non sopporterei la cenere di quegli sguardi delusi, il ricordo di mio padre che dopo lo scritto esulta al telefono: “Volesse Iddio che ti sistemi”, la segretaria dell’Usr che alla rinuncia insiste incredula al telefono ed io che le rispondo: “Non posso, ho cambiato vita”. No, la verità li ammazzerebbe, non so manco perché poi. E la cosa che mi fa più ridere è che proprio loro, le mie care zie insegnanti, gente del mestiere, non capiscono che non potrei affiancarlo in nessun modo a ciò che già faccio, perché è già un lavoro a tempo pieno. Come potrei mai dedicarmi il pomeriggio al doposcuola e preparare al tempo stesso le lezioni del giorno dopo? Partecipare ai consigli, collegi vari, attività pomeridiane ed essere ubiquamente al mio locale? Gestisco un’attività, cazzo, non è mica il lavoretto dell’estate. Ma non lo capiranno mai tanto, meglio che m’abitui sin da ora a ripetere: “Oh, sì, eccome se ho sentito! Non vedo l’ora di tentar la sorte anch’io alla lotteria!”    
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francescacammisa1 · 3 months ago
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Non è facile dire perché un'amicizia si interrompe: anche o soprattutto quando non c'è una ragione gretta, una contesa, una gelosia. Qualche volta hai l'impressione che la confidenza, guadagnata misteriosamente, si trasformi altrettanto misteriosamente nel suo rovescio: senza avvisaglie, i tratti caratteriali su cui avevamo sorriso, con la grazia generosa che forse è quella di Dio verso i peccatori, diventano prima fastidiosi, poi intollerabili. Perché?
Paolo Di Paolo - Romanzo senza umani
Ph Dominique Issermann
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yourtrashcollector · 8 months ago
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Non è facile dire perché un’amicizia si interrompe: anche o soprattutto quando non c’è una ragione gretta, una contesa, una gelosia. Qualche volta hai l’impressione che la confidenza, guadagnata misteriosamente, si trasformi altrettanto misteriosamente nel suo rovescio: senza avvisaglie, i tratti caratteriali su cui avevamo sorriso, con la grazia generosa che forse è quella di Dio verso i peccatori, diventano prima fastidiosi, poi intollerabili. Perché?
Paolo di Paolo, Romanzo senza umani
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chez-mimich · 1 year ago
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EMILY
Si può dire che il film di Frances O’Connor su Emily Brönte assomigli un po’ al capolavoro della scrittrice inglese in questione, ovvero “Cime tempestose”? Sì possiamo dirlo, ma possiamo anche considerare che “Cime tempestose”, se non è proprio un romanzo autobiografico, ci si avvicina parecchio. Come non paragonare l’amore tormentato dell’autrice con il pastore William Wieghtman con quello di Heathcliff per Catherine sul quale si struttura l’intero romanzo? Insomma quando si fa un film su una scrittrice che ha scritto un solo famosissimo romanzo imperniato su una vicenda semi-autobiografica, si va incontro ad una operazione piuttosto complessa. Bisogna ricordare che la regista-attrice Frances O’Connor, é stata a sua volta interprete del bel “Mansfield Park” di Patricia Rozema del 2019, dal romanzo di un altro mostro sacro della letteratura al femminile (ammesso che esista), Jane Austen. Insomma é tutto un gioco di rimandi e citazioni piuttosto evidente e nemmeno tanto paludato. A queste osservazioni possiamo aggiungere il fatto che la O’Connor pesca a piene mani da tutto quel filone cinematografico degli ultimi anni, che va da film come “Piccole donne” di Greta Gerwig, fino allo stesso “Cime tempestose” di Andrea Arnauld. Certo che vivere in età vittoriana nella parrocchia di Haworth (Yorkshire), ha indubbiamente favorito le qualità di riflessione di Emily Brönte, per altro sempre in gara con l’altra scrittrice di famiglia, la sorella Charlotte. Del resto anche Kant poté scrivere la sua “Critica della ragion pura” proprio perché abitava a Köningsberg, come ricordava il mio professore d’università, Mario Dal Pra. Divagazioni a parte, un po’ del merito della personalità della scrittrice va anche riconosciuto al di lei fratello, Branwell, scapestrato e scapigliato artista mancato che insuffla nella giovane Emily, il desiderio di essere uno spirito libero, oltre ad averla sempre incoraggiata verso la scrittura. Come prevedibilmente accade, l’amore tra Emily e il giovane pastore finisce male, anzi malissimo, con l’allontanamento del religioso dalla gretta e bigotta comunità di Haworth, e sarà proprio il dono della scrittura a risarcire, in qualche modo, Emily di questa grave perdita. Film ben fatto, misurato, con una bella fotografia, una accattivante colonna sonora, ottimi interpreti. Ora però il filone “Mansfield-park-piccolo-mondo-antico” potrebbe anche dirsi esaurito, prima che si esauriscano anche gli spettatori.
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ilquadernodelgiallo · 4 years ago
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Le difficoltà di un'arte appaiono negli esemplari meno riusciti o addirittura cattivi di essa, i buoni danno invece la certezza di una facile riuscita, proprio perché tutto vi è risolto e la fatica non appare. Ci sentiremmo capaci di provare anche noi; siamo convinti, perlomeno, di avere la chiave del segreto; l'intelligenza e la calma faranno il resto. Nei cattivi esemplari, invece, le torture dell'idea che non riesce ad esprimersi sono di solito tanto evidenti da toglierci ogni coraggio. La materia non è diventata forma, invecchierà male, scoprirà la sua povera natura. Leonardo mi invogliò a diventare pittore, me ne distolse la mostra personale di... ____________________ Ero appena un ragazzo e non sopportavo, allora, quegli ammonimenti sconsolati che un paesaggio pieno di esperienza dà volentieri a chi sa guardarlo. ____________________ Nei miei ritratti infantili sempre mi colpisce uno sguardo di rimprovero, che non può essere diretto che a me. Sarei stato io la causa della sua futura infelicità, lo presentivo. ____________________ Cogliere l'incredibile nel gesto più solito, meravigliarsi sempre. Succede che la vita è piena di spettacoli non conformi alle nostre abitudini visive, spettacoli e forme che dovrebbero turbarci per la sconnessione col mondo circostante o per le allegorie che così hanno voluto disporli. Ma perdiamo forse tempo a notarli e a meravigliarcene? Se così fosse, ad ogni momento ci chiederemmo un perché, e forse niente e nessuno potrebbe risponderci. ____________________ È ancora necessario parlare correttamente per conseguire il successo nella buona società? Non viviamo forse in un'epoca in cui è doveroso esprimersi crudamente per sottolineare la propria spregiudicatezza? Oggi è la brava signora che si sforza di parlare come la fioraia. La famosa attrice parla invece come un vetturino; tutti l'ammirano, centro attrici minori si danno subito a imitarla per non apparire da meno; e il loro gergo entra nelle scuole medie. È anche doveroso nutrire ambizioni semplici e plateali, e giudicare il prossimo con sufficienza. [...] Gli uomini politici raccolgono consensi soltanto in virtù del turpiloquio che sanno sfoggiare. Nelle polemiche si tirano in ballo le famiglie e i parenti. Le ingiurie più sanguinose sono entrate nel dizionario giornalistico: servono per indicare gli avversari, chiunque siano. [...] Ecco spiegato perché un tale perde aderenti il giorno che comincia ad esprimersi con una certa correttezza: la sua politica, senza turpiloquio, è capace di farla chiunque. [...] La lingua corretta è oggi il malinconico distintivo della borghesia intellettuale, rovinata dalle buone letture e dalla buona educazione. ____________________ La politica, l'arte, la letteratura, il pensiero contemporaneo possono dormire tranquillamente: la mondanità li protegge. In un salotto scopriamo infine che in fondo a questi istruttivi giochi contemporanei si erge tuttavia, maestoso come un iceberg, l'antico buffet. Qui i convenuti depongono il loro ipocrita fervore davanti al volto impassibile dei camerieri. Non avranno mai la loro complicità. ____________________ Quando esco dal cinema, vado al caffè: eccoli qua, i bamboccioni di casa, cresciuti attorno al bigliardo, nel loro cifrario di scherzi: tutti "mammaroli", come dicono al mio paese di un ragazzo viziato. Per debolezza o inclinazione naturale hanno accettato l'amore esclusivo e feroce dei genitori, vi si sono adagiati, lasciando decidere a loro su tutto ciò che li riguarda: amicizie, carriere, amori; e assumendone la gretta filosofia, tutta volta alla conservazione, al disprezzo per i poveri (lo sono stati), al conformismo. Non sono nemmeno fascisti, perché può essere pericoloso e richiede un certo impegno. È certo difficile, vivendo qui, vincere la dolcezza dell'irresponsabilità, rifiutare la pappa pronta: e perciò questi giovani attorno al bigliardo, che si danno scapaccioni scherzosi, urlano e citano gli eroi della radio, hanno tutti l'aria di prigionieri incanagliti in un benessere senza speranze, reso anzi losco dalla paura dell'evasione, che in famiglia sono riusciti a inculcargli. ____________________ Furono insomma quei sorrisi a convincermi che Orwell ha sbagliato il suo 1984, mostrandoci, sotto la dittatura, un'umanità tetra e spaurita. Non è così: nelle dittature popolari tutti sorridono, sempre. Si può obiettare: Meglio! - Nient'affatto. La condanna a sorridere è più feroce, insopportabile, agghiacciante di quella creata dallo scrittore inglese, che ci permetterebbe almeno di restare seri. Se ne può dedurre che Orwell non aveva grande immaginazione, tale da superare la realtà di una dittature. Non ha saputo vedere quel che semplice funzionario della Propaganda sovietica ha realizzato: i "suoi" personaggi costretti a dormire con la paura che il loro sorriso possa spegnersi nel sonno. ____________________ Qualche volta ha un dubbio: tornare indietro, ai classici? Ma da che parte si comincia? Avanti, allora, sempre avanti. ____________________ Di una città, arrivandoci, mi piace la parte più evidente e comune. So che ogni città ha i suoi quartieri e i suoi angoli, che il passeggero non scoprirà mai e che fanno invece la delizia di chi vi abita: io preferisco ignorarli, sono luoghi, sensazioni che bisogna meritarsi con un lungo soggiorno. [...] Da tutto questo io deduco che sono un pessimo viaggiatore; di ogni nuova città mi resta solo un ricordo futile e straziante. ____________________ Ciò che mi piace di questo museo provinciale di Siviglia, messo in un vecchio convento secentesco, è il suo ricco disordine. Non c'è catalogo - lo stanno facendo. informa il custode - e nessun sovrintendente ha creduto di dover escludere dalle pareti le pere di minor valore che sono il sale di ogni raccolta, perché ci mostrano l'aspetto segreto di un secolo attraverso la cattiva pittura di tutti i giorni. Niente mi rattrista più della raccolta scelta e ordinata dello studioso che vuol dimostrare soltanto la sua tesi. I quadri preferisco vederli nell'ordine di acquisto, che è il migliore. La buona pittura viene esaltata dalla compagnia di quella più modesta, la quale a sua volta serve a metterci a nostro agio. ____________________ Sono gli "altri" che fanno apparire squallida e intollerabile la solitudine. ____________________ Più tardi il pensarci ci rattrista, facciamo varie ipotesi: chi sarà, come è arrivata a quel punto, come vive. E quella sua incrollabile sicurezza! È una sicurezza che la allontana dalla pazzia e dal suicidio o, forse, più semplicemente, la difende dalla solitudine. In queste donne la solitudine si ammanta di orpelli e di continui vani richiami, come quelle zattere che, andando alla deriva, inalberano le camicie dei naufraghi e sembrano, agli uccelli di mare, persino festose. ____________________ L'altra morale delle favole: - Nelle favole il principe si innamora di una contadinella, la sposa, vivono felici. È possibile. Ai tempi cui si riferiscono le favole, il principe poteva, anzi doveva innamorarsi della ragazza povera, perché in essa si condensavano simbolicamente l'innocenza, la bontà, la grazia naturale, la fede; o almeno si doveva pensare che così fosse. Non a caso, incontrandola, il principe le chiedeva per dissetarsi un semplice bicchier d'acqua. Oggi la ragazza povera ha tutte le ambizioni della sua coetanea ricca; e spesso la possibilità di realizzarle meglio; è più aggressiva, sente meno il ridicolo. Oggi, la diffusione delle notizie e delle immagini, così rapida da chiedere sempre nuove notizie e nuove immagini, porta fin nella capanna di Biancaneve l'eco delle volgari e comuni aspirazioni, l'eco della pubblicità, della lotta per la vanità e per l'esibizione, che appare l'unica lotta degna di essere combattuta. La pastorella si tiene al corrente, sogna il possibile, vi si addestra; e, se il principe si presenta, lo rattrista con la sua ammirazione per gli eroi del giorno, con la petulante conoscenza di quanto succede negli ambienti che ella vorrebbe frequentare, e che il principe vorrebbe dimenticare.
Ennio Flaiano, Diario notturno [Diario notturno]
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curiositasmundi · 4 years ago
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Me Too-cca dire: "Anchebasta"
C’è sto post che gira qua, ma anche di là dov’è stato pubblicato che imperversa, soprattutto nei commenti che vengono a loro volta ricommentati e via così in un crescendo d’indignazione, spiegazionismo, analisi, insulti, battutacce, indici e medi alzati, benaltrismo, machismo steroideo e tutte le menate che ve se portano. La sostanza è la seguente: in un contesto di provincia un tizio viene insultato al volo da dei ragazzetti in motorino con epiteti da curva dello stadio perché è un po’ diverso dallo standard dominante, cioè è gay. Ora queste cose in provincia succedono, ma come sappiamo non solo, basta avere una mente gretta e succedono anche nella ztl di Copenaghen. Bene. L’autore dopo una vita a farsi sentir dare del frocio, finocchio, checca e via così e proprio ora che finalmente se ne sta a zappettare l’orto suo in santa pace ti passano sti idioti che non c’hanno un cazzo da fare e gli ricordano quanto è diverso, nella maniera in cui i buzzurri ti fanno sentire quanto la loro maschia marmitta bucata fa più rumore. Al tipo gli viene su tutto, sbrocca e scoppia a piangere, si selfa mentre singhiozza e ci fa un post in cui dice che non ce la fa più, che è tutta na vita, ecc ecc. Malissimo. In primo luogo perché se sai bene quante jene ci siano lì a chiacchierare con cattiverie e falsità disgustose sul tuo conto, l’ultima roba da fare quando stai in mezzo a ste bestie è mostrare che sanguini. In secondo luogo non sei vittima perché sei gay, sei in primo luogo un diverso dove l’ottusa stolidità domina, è capitato, capita e capiterà a moltissimi altri meno gay e più trasandati o meno sociali, o che vestono con colori sgargianti, o che vivono con tre gatti neri in casa o allegra e disnibita a farti diventare drogato, strano, bambino di satana, puttana. Dove lo scemo del villaggio è un’istituzione, il capro espiatorio è il pretesto per essere crudeli con un vasto pubblico che approva insieme allo scemo del villaggio, che applaude e fa versi da asino, applaudito a sua volta. Terzo luogo ma non per questo ultimo in ordine d’importanza: la selfata lacrimosa. Il dolore emotivo è ritenuto comunemente un aspetto intimo e la sua testimonianza affidata al vasto pubblico in un’estensione .jpg suona falsa, è solo benzina per altra cattiveria, quella maschia che ti dà della femminuccia ovviamente, ma anche olio motore per il dileggio a venire e il perpetuarsi di una situazione che Cathy La Torre può camparci con tweet e post fino al prossimo decennio sfamando tutti i suoi followers avidi d’indignazione. In queste circostanze questo tipo di comunicazione è profondamente sbagliata e controproducente, chi ha lottato per l’abbattimento delle barriere di genere -e non solo quelle- come prima cosa ha messo la parola Orgoglio, di essere diversi e al contempo essere un valore aggiunto a cui dare merito per la pluralità della società tutta, la fierezza di essere diversi tiene la testa alta anche e soprattutto quando ti sputano addosso, perché dunque chinarla quando cinque idioti ti urlano finocchio da un motorino in corsa quando c’è chi si è fatto anche spaccare la faccia o ben di peggio? Sappiamo benissimo le difficoltà, la fatica, la frustrazione e talvolta troppo, troppo spesso la disperazione nel portare avanti il proprio diritto ad essere ciò che si è, quindi comprendo la situazione emotiva, ma non accetto questo piagnisteo e il suo seguito d’indignazione, anche per il rilievo dell’evento che trovo -per quanto odioso- banale, e così puerile che rispondere con una sonora pernacchia avrebbe funzionato molto di più, ci sarebbero rimasti di merda e avrebbero anche tappato i buchi della marmitta e non si sarebbero fatti più vedere né sentire.
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unfilodaria · 4 years ago
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Sarah Savioli
“Mimi, come mai hai detto una parolaccia e hai fatto anche il ditone a quello della macchina dietro di noi che è arrivato e ha suonato tanto il clacson?” “Amore della mamma, perché siamo in una via di paese, ero ferma prima che lui arrivasse, non gli ho inchiodato davanti e stavo facendo passare due persone sulle strisce pedonali.” (e penso, ma non dico: … il ditone, figlio mio, e ringrazia che Gesù o qualsiasi altra divinità non esaudisce mai la mia preghiera di materializzare qui, sul sedile di fianco, un bel cric. Che poi sono quaranta chili vestita fa lo stesso, divinità: tu dammi un cric e poi me la vedo da sola). “Eri stata gentile, mimi con quelle due persone e lui invece no.” “No Matteo, attenzione. Non sono stata gentile: quelle due persone avevano la precedenza. Quando la gente attraversa sulle strisce le macchine devono fermarsi non perché gli autisti sono gentili e i pedoni ricevono un atto di cortesia, ma perché è dovere degli autisti fermarsi ed è diritto dei pedoni passare.” “Tì…” “In più, quel signore che ci ha suonato e sbraitato contro, non solo era nervoso per gli affari suoi (... e probabilmente con un forte mal di testa dovuto al peso delle numerosissime corna fatte da sua moglie e tutte le compagne precedenti a partire dalle fidanzatine della scuola materna), ma riteneva che le persone che stavano attraversando in qualsiasi caso non avessero diritto di essere lasciate passare.” “Perché erano persone di colore, mimi…” “Esatto, tesoro. Quell’uomo (… che gli venisse un’orchite fulminante ora, ma da una palla sola, da una sola. Così appena passa a quella, comincia con quell’altra) suonando il clacson ha fatto una prepotenza a noi che stavamo facendo il nostro dovere e ai pedoni che esercitavano un loro diritto.” “Mimi, quello lì era un razzista?” “Da quello che si è messo a urlare alle persone che attraversavano, penso proprio di sì. (… e dopo l’orchite, che gli vengano pure gli orecchioni che non aveva passato da piccolo e quindi, guarda che peccato che era appena passata l’orchite e di nuovo già torna. Di nuovo una palla per volta). ” “Allora se ci ricapita, gli faccio il ditone anch’io!” “No Matteo, ci pensa la mamma che sul fare il ditone ha molti e molti anni di esperienza.” “Però questa cosa dell’essere gentili e invece dei diritti non l’ho mica capita tanto…” “Matteo, la differenza fra diritti, atti di cortesia, privilegi e colpi di fortuna è qualcosa di molto complicato da capire per tutti . Però c’è una differenza sostanziale e bisogna cercare di averla chiara, perché ci sono persone astute che ti confondono lentamente le idee e finisce che tu ti ritrovi a sentirti grato e in debito per qualcosa che invece ti era dovuto. Oppure credi che i tuoi privilegi siano diritti, che colpi di fortuna siano meriti o cominci a credere di essere bravo, buono e generoso quando invece hai fatto solo ciò che era tuo dovere fare.” “Allora mimi in questi giorni mi spieghi bene tutte queste cose?” “Amore, facciamo che ci ragioniamo su insieme. Su questo bisogna fare un lavoro di riflessione continuo perché è un attimo perdere di vista queste cose soprattutto quando ci si sente fragili e stanchi. E quando si comincia a fare confusione, nascono le peggiori ingiustizie.” “Quel signore là che ha suonato allora su queste cose non ci ragiona?” “Non ci ragiona e non gli interessa ragionarci perché per lui è più facile decidere solo sulla base delle sue esigenze di comodo e della sua personale gretta pochezza.” “E cioè…?” “ E cioè ha l’intelletto di un lombrico, lo spessore umano di uno sgabello e la capacità emotiva di un pezzo di cemento armato.” Scoppia a ridere il mio bambino. Rido anch’io. Ma non me lo dimentico lo sguardo umiliato delle due persone che attraversavano la strada. No, che non me lo dimentico.
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gregor-samsung · 5 years ago
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A Quinto più ne sentiva dir male più gli piaceva: il bello degli affari - quello che per la prima volta egli credeva d'andare scoprendo - era proprio questo cacciarsi avanti tra gente d'ogni risma, trattare con imbroglioni sapendo che sono imbroglioni e non lasciandosi imbrogliare, magari cercando d'imbrogliarli. Era «il momento economico» che contava, non altro. Però lo prese l'allarme che le informazioni di Canal fossero così cattive da sconsigliare la continuazione delle trattative. - Vediamo: - disse, - con noi imbrogli non può farne. Se paga il terreno è suo, se non paga no, è semplice. Come sta a soldi? - Finora gli sono andate tutte bene, - disse l'avvocato. - E' sceso a *** dalla montagna coi calzoni rattoppati, mezzo analfabeta, e adesso impianta cantieri dappertutto, maneggia milioni, fa la pioggia e il bel tempo col Comune, coll'Ufficio Tecnico... Quinto riconobbe l'astio nelle parole di Canal come un accento familiare; era la vecchia borghesia del luogo, conservatrice, onesta, parsimoniosa, paga del poco, senza slanci, senza fantasia, un po' gretta, che da mezzo secolo vedeva intorno cambiamenti cui non riusciva a tener testa, gente nuova e difforme prender campo, e doveva ogni volta recedere dalla propria chiusa opposizione facendo ricorso all'indifferenza, ma sempre a denti stretti. Ma non erano gli stessi sentimenti a muovere anche Quinto? Solo che Quinto reagiva sempre buttandosi dall'altra parte, abbracciando tutto quel che era nuovo, in contrasto, tutto quel che faceva violenza, e anche adesso lì, a scoprire l'avvento d'una classe nuova del dopoguerra, d'imprenditori improvvisati e senza scrupoli, egli si sentiva preso da qualcosa che somigliava ora a un interesse scientifico («assistiamo a un importante fenomeno sociologico, mio caro...») ora a un contraddittorio compiacimento estetico. La squallida invasione del cemento aveva il volto camuso e informe dell'uomo nuovo Caisotti.
Italo Calvino, La speculazione edilizia, Einaudi (collana I coralli, n° 189), 1963¹; pp. 26-27.
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potionboy3 · 1 year ago
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the volta family | riddle era
the volta crime empire spans several countries, distributing illegal substances all over the wizarding world. the casinos and the brand of firewhisky give a semblance of legitimacy to the family's more questionable dealings but that's not where the real money is. erebus volta has the unquestioned rule of the wizarding underground within his grasp, if only he can keep his family under control and beat loretta larkspur in her own game.
in the video:
erebus volta kronus volta (gryff) gretta volta (gryff) marlon volta (gryff) idalia volta iason volta illias volta (gryff) skylla volta melinoe volta (gryff) ft. loretta larkspur (gryff) hugo larkspur (gryff) leighton larkspur
@gaygryffindorgal
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fischerfrey · 1 year ago
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hp riddle era; the volta family
"the voltas own a brand of firewhisky, wizarding casinos all around the world, and a drug empire on top of it all. they're filthy rich, ruthless, and have one goal: making as much money as possible."
erebus, the family patriarch, has five children but which one of them deserves to inherit his place as the head of the business? the first born son whose mother erebus divorced years ago and who stands to benefit, the prodigal middle son who plunders his potential at the very casinos he's supposed to be running, or the youngest son who doesn't want it? certainly not the daughters, that much is clear to erebus from the start.
dermot mulroney as erebus volta (annie) lauren cohan as gretta volta (me) keeley hawes as idalia volta (annie) lucas bravo as marlon volta (me) kacey rohl as melinoe volta (me) leo woodall as jason volta (annie) alva bratt as skylla volta (annie) gustav lindh as illias volta (me)
in cooperation with @potionboy3
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corallorosso · 6 years ago
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“È colpa dei neocolonialisti francesi”: la nuova scusa di Di Maio e Di Battista per non salvare i migranti in mare di Giulio Cavalli Alla retorica di Salvini ci abbiamo fatto il callo, per quanto sia possibile abituarsi al cattivismo usato per propaganda, ma il misuratissimo Di Maio invece è riuscito bene o male a schivare il tema dei migranti (e dei poveracci lasciati in mezzo al mare) relegando il ruolo del mediatore al presidente Conte e limitandosi al suo pietoso “donne e bambine” tanto per smarcarsi (nemmeno troppo) dal ministro dell’interno. Ieri però Di Maio - spalleggiato da Di Battista che ha detto più o meno le stesse cose a Che Tempo Che Fa - è riuscito a dare il meglio di sé in una giornata in cui i morti nel Mediterraneo hanno monopolizzato il dibattito pubblico: «Vedo molte lacrime di coccodrillo - ha detto così il vicepremier pentastellato impegnatissimo nella parte del poliziotto buono - Saremmo degli ipocriti se continuassimo soltanto a parlare degli effetti senza cercare anche le cause». Poi ha proseguito: «Io ho smesso di fare l'ipocrita e ho deciso di cominciare a parlare delle cause. Se oggi noi abbiamo della gente che parte dall'Africa è perché alcuni Paesi europei con in testa la Francia non hanno mai smesso di colonizzare l'Africa – ha detto il ministro de Lavoro – Ci sono decine di stati africani in cui la Francia stampa una propria moneta, il franco delle colonie, e con quella si finanzia il debito pubblico francese». «Il posto degli africani è in Africa», dice Di Maio e non aggiunge nulla di nuovo all’ipocrisia di chi l’ha preceduto. Solo che Di Maio sa bene che imbellettare la ferocia, metterla in giacca e cravatta (a differenza del suo omologo che spande bile ogni volta che affronta l’argomento) significa indossare la faccia buona alla ferocia travestendola di colonialismo (degli altri) e scrollandosi comunque di dosso il dovere d’accoglienza. Perché non si debbano piangere le vittime in mare a causa della Francia colonialista è un non-senso che funzionerà perché prende la pancia degli italiani, quelli che amano sentirsi indifferenti ma nel giusto. Il mondo che immagina Di Maio, in cui ognuno deve occupare il luogo e il ruolo a cui è condannato per la nascita è qualcosa di castale e assolutamente fuori dal tempo, ben lontano dalla meritocrazia di cui i 5 Stelle per anni si sono riempiti la bocca. Sfugge, allora, perché le migliaia di italiani che escono dall’Italia abbiano il diritto di cercare di migliorare la propria vita all’estero. Sfugge perché le più grandi aziende petrolifere italiane debbano militarizzare intere zone dell’Africa trattandole come cosa loro, sfugge anche perché qualcuno debba andare fuori regione, abbandonare il proprio paesello, per aspirare a qualcosa di meglio. Se il posto degli africani è in Africa allora Di Maio non è per niente diverso a Salvini che chiede agli insegnanti terroni di insegnare in terronia senza spingersi su al nord pure a quelli che inneggiano a una Padania che non ha nulla a che vedere con l’Italia. Dentro alle sue parole c’è la visione gretta e ristretta di un mondo che rimane immobile, spaventato e provinciale. Sempre colpa degli altri. Solo degli altri. Questa volta le odiate Ong prendono le fattezze di Macron e poi domani saranno l’Europa e poi così via per un capro espriatorio al giorno. Che invece siano proprio loro, che ora governano, a doverci darci le soluzioni oltre alle cause sembra che continui a sfuggire. Governano ma si oppongono. Non si capisce bene a chi. Di sicuro gli altri intanto continuano a morire.
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pangeanews · 6 years ago
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“L’italiano prosciugaticcio di certi romanzi contemporanei mi lascia perplesso, noi siamo gente folle, è con il Barocco che abbiamo fatto il cu*o al mondo”: dialogo eccentrico con Fabrizio Patriarca
Fabrizio Patriarca, solida formazione letteraria e filosofica, è quanto di più lontano dalla schiera di ominicchi, delusi dal burosauro accademico, che accusano il sistema e i prosivendoli insensibili al talento per giustificare la propria frustrazione. Eppure era sulla buona strada, dopo laurea, specializzazione e dottorato, due opere di critica letteraria, Leopardi e l’invenzione della moda, del 2008 e Seminario Montale, del 2011, usciti entrambi per Gaffi. Classe ’72, non fa parte della generazione degli apocalittici, marginali che amano definirsi emarginati e che odiano Lagioia e Cognetti solo perché loro hanno raggiunto fama e ricchezza.  Fabrizio percorre orgoglioso la propria strada. Si sbatte, apre partita iva, approfitta del regime forfettario e sfodera nel 2016 un romanzo che fa discutere, Tokio Transit, per 66thand2nd. Chi lo legge non rimane indifferente: o lo odia, o lo saluta per la libertà e il caustico realismo che nulla concede all’aurea mediocritas. Tutto è eccessivo, enfatico, spericolato. Poi, il 7 febbraio 2019, quando Annamaria Franzoni, contemporanea Medea, ritrova la libertà, Minimum Fax pubblica L’amore per nessuno, che sulla figura della Medea Pop Annamaria Franzoni costruisce l’ossessione del protagonista e la chiave d’innesco della trama. Non avevo alternative: l’ho incontrato.
Mi sono divertito: il tuo è un libro spassoso, scorre via senza momenti di stanca, ottimo per l’autobus o la metro. Personalmente mi è bastato un volo d’aereo e l’attesa al gate. Eppure. Mi chiedo, e ti chiedo: ma com’è possibile? Il fatto è che L’Amore per nessuno non fa nulla per rispettare le regole del romanzo, seppure esplicitamente le citi continuamente, da Campbell-Vogler alle regole della buona sceneggiatura. Il plot scimmiotta eventi scatenanti e viaggi dell’eroe, ma depotenzia ogni possibile escamotage narrativo, lo svuota. Si tratta in realtà di un gigantesco collage di elzeviri, erudito, pieno di citazioni pop: digressioni, pezzi di costume, gossip. Come sei riuscito a farmi sorbire d’un fiato dodici capitoli (più l’epilogo) di un blob che tu stesso riconosci essere costituito da genuine seghe mentali? Parlaci dei tuoi segreti.
Sono cresciuto all’università in mezzo a falangi di fanatici heideggeriani, leggevo Walter Benjamin di nascosto, come un ladro, nel discreto cono d’ombra di un paio di cattedre compiacenti (Estetica, Mario Perniola; Letterature Comparate, Rosalma Salina Borello) – trattenevo frammenti di pensiero: l’arte può supporre la natura degli esseri umani ma non la loro attenzione. Rovesciando fruttuosamente il concetto per i miei lerci scopi: il romanzo suppone tutta una serie di regole – alcune codificate, altre ancora da codificare – ma non necessariamente la loro osservanza, e siamo al punto. Frequento il romanzo perché mi sembra resistere come forma libera, nonostante sia stretto d’assedio dai militanti dello schema, i maledetti “plottisti”. La buona architettura, in narrativa, non è una faccenda che puoi delegare solo agli intrecci, o alla funzionalità della singola pagina, altrimenti il barbuto George R. R. Martin l’avrebbe sempre vinta sul baffuto V. L. G. E. Marcel Proust. Credo insomma che la forma romanzo sia ancora abbastanza accogliente da permettere una sana biodiversità degli scrittori. Le analisi alla Campbell-Vogler sono entusiasmanti, perché ti svelano un arco, e sono senz’altro efficaci, finché non diventano manualistica. La manualistica al massimo produce replicazione dello schema, variazioni sullo schema, qualche saltuaria e apertamente intenzionale rottura dello schema. Agli estremi delle concezioni-circa-la-letteratura hai il mistico, che proclama il suo fervore per il Sacro-Fuoco-Dell’Arte, e il sacerdote, che celebra le Lettere da un’altana storico-critica, quando non da un pulpito. Preferisco il mistico, che tutto sommato è innocuo, perché mosso da una Fede. Il sacerdote tende a fare Chiesa. Dunque sarei tentato di suggellare il tutto con una massima da arti marziali: quando sei padrone della tecnica puoi dimenticartela o buttarla via. Non è così. Mi sembra che si scrivano romanzi “alla ricerca” della propria tecnica – così come si scrive inseguendo l’ispirazione, non in-seguito-a. Bruce Lee, Jeet Kune Do: nessuna via come via, nessuno stile come stile. Ora penso alle scuole di scrittura, ai loro saldi precetti, alla diffusione di forme narrative come il serial-tv (che non a caso è la chimera al centro della mia storia): il serial, in particolare, è visto da molti scrittori come punto di riferimento contemporaneo, il competitor. Mi domando perché non i videogame. Se guardi bene la narrativa si è sempre messa in competizione. Col cinema, prima, con la televisione, più tardi. Ogni volta ha finito per riscoprire sé stessa – in una dimensione che riusciva a includere alcuni meccanismi mutuati dai linguaggi dei competitor, ma prendendo in definitiva strade autonome. Se insomma vuoi leggere il mio romanzo come un inno all’autonomia della narrativa rispetto al mondo dei media non mi offendo. L’aspetto blob potremmo riferirlo agli albori del romanzo: la satira menippea, le “anatomie” da cui viene fuori un Don Chisciotte, il gusto di mescidare l’alto e il basso, prosa e versi (Satyricon), realismo e grottesco (ancora Cervantes: la grotta di Montesinos, che poi è il luogo dove veramente si libera lo spirito romanzesco moderno).
Il pezzo forte del tuo repertorio è il linguaggio. Non nego di aver consultato spesso i dizionari on line per la gretta curiosità di conoscere parole nuove. Ma non si tratta solo di esattezza: il tuo stile è acrobatico, densissimo di figure metriche e di suono, sintattiche e semantiche, salti mortali di metonimie e metafore. Anche qui, esattamente l’opposto di quanto suggerito dai manuali di buona scrittura, per lo più costruiti sul modello della letteratura americana. Ci sono modelli propriamente tuoi?
Esistono modelli straordinari, soprattutto nel romanzo americano, ma considerarli come l’esclusiva della letteratura mi sembra possa nuocere alla letteratura stessa, nel senso che non le rende un buon servizio, né riguardo alle possibilità (parolaccia) poietiche, né tantomeno dal punto di vista storico. Posso godermi entrambi, Hemingway e Nabokov, senza sentirmi condizionato da nessuno dei due (anche visti i mezzi che al confronto risulteranno sempre poverissimi). Forse conviene l’onestà di giocare il gioco che sappiamo giocare meglio, stare nella luce giusta. La domanda è se questa, che declina, sia luce di raccordo o di cesura. Visto? Ho fatto due endecasillabi. Il problema è che l’italiano non è una lingua nata per il romanzo: è fatta per la lirica, per i versi, per i poemi – la lingua dell’amore. Una lingua fantastica che dà il massimo quando deve gonfiare una misura stabilita – un’ottava, un paragrafo, un capitolo. A me l’italiano prosciugaticcio di certi romanzi contemporanei che viene osannato perché richiamerebbe il “nitore” di alcuni modelli americani – sempre gli stessi – lascia sempre un po’ perplesso: ci vedo un abbandono della “strada folle” di dantesca memoria. Noi italiani siamo gente dantescamente folle. Il Barocco, disciplina in cui rompiamo il culo al mondo, ci ha insegnato che non esiste solo il nitore di “sottrazione”, ma pure un nitore fatto di aggiunte e superfetazioni, di enfietà, flogosi, metastasi. Viva Stefano D’Arrigo e Gesualdo Bufalino! Ovviamente, oggi come oggi, non puoi seguire un’ideale espressionista da “nipotino di Gadda”, perché il mercato ti castiga. Per me ho risolto intellettualizzando variamente l’espressionismo, verso forme fredde – come già in Tokyo transit – che trovo particolarmente adatte a rappresentare il mondo dei miei personaggi dalle emozioni desertizzate. Nel realismo intellettualistico della mia prosa – così lo chiama il mio editor – c’è tutto il mio amore per gli anaffettivi – un amore evidentemente mal riposto.
Non è facile scrivere di sesso, soprattutto nell’era del porno universalmente accessibile. Eppure ti cimenti con disinvoltura. La tua prosa è satura di odori e liquidi corporei. Lo sfondo è maschilista e misogino. Direi: senza autocensure, libero. Non ti fermi di fronte agli stereotipi, al gratuitamente scurrile, neppure di fronte al compiacimento del dettaglio per scatenare lo scandalo (o i pruriti, che abbisognano di subitaneo sollievo). Usi senza parsimonia anche l’indicibile parola con la “n”.
Il sesso è sempre un banco di prova per lo scrittore, e non mi riferisco alla solita metaforizzazione su cui senti spendere tante parole in giro, quando appunto si parla di sesso e scrittura. Idiozie come «entrare nel profondo della carne» o ancora peggio «la scrittura che si fa corpo stesso». Il sesso è difficile perché ormai è organizzato e diviso in una serie di linguaggi autonomi che la gente conosce a puntino: codificati, stratificati, acquisiti al bagaglio dei singoli linguaggi. Quando senti “il capezzolo turgido” o “il membro muschiato” sai già di essere in una certa enciclopedia culturale – quella della rivista hard-core o del giornaletto da edicola: è un linguaggio definito, sai come funziona e puoi prevederlo, dietro alla “patta che sembra scoppiare” c’è sempre un “glande tumido” in agguato, che finirà per soffocare qualche sventurata. Poi esistono altre enciclopedie culturali, dove il sesso è ugualmente collocato a una precisa altezza di registro: il sesso televisivo, quello cinematografico, il porno-amateur online ecc. A me piace giocare con questi linguaggi ormai acquisiti, farli confliggere con le orbite mentali dei miei personaggi, evaderli, talvolta, irriderli, sempre.
Che posto ha nel tuo universo il politicamente corretto?
Il che?
L’amore per nessuno parla in modo dichiarato, fin dal titolo, di alessitimia. Il tuo protagonista Riccardo è un campione di analfabetismo emotivo, sembra concepito direttamente dalle pagine dell’ICD 10. Su questo piccolo insight si costruisce tutto il resto. Il cinismo, l’incapacità di relazioni empatiche, la superficialità consapevole, la falsità un po’ snob sono le matrici di un’intera generazione, cresciuta con la tata TV. Esiste dunque un profondo trattato di analisi psico socio cazzica sotto alle tue storielle di narcisi, maniaci, famiglie disfunzionali e relazioni evitanti? Un ritratto impietoso della bistrattata generazione X? Oppure ancora mi stai fregando, e non c’è alcun progetto simile?
Più che all’analisi psico socio cazzica inclino, in genere, al cazzeggio psico socio anal, ma è chiaro che parliamo di punti di vista. Nei romanzi è importante mettere i fatti, questo lo sai bene – le analisi stanno nel calderone delle idee ed è meglio che non agiscano direttamente sulla pagina. Ovvio però che dietro al racconto puoi sistemare a piacimento una sociologia sarcasmo-pamphlet, un j’accuse rivolto al cinismo del mondo televisivo, un pianto per mia madre ecc. Tutto lecito, per carità. La questione che mi preme è un’altra, e te la sottopongo rivoltando la domanda: può darsi un ritratto, un vero ritratto, che non sia impietoso?
Hai ragione, «ritratto impietoso» è fastidioso come «innumerevoli costellazioni». Meglio sarebbe trovare un contrario per «accondiscendente» o ancor meglio per «auto assolutorio». Tokyo Transit dopo poche pagine dichiarava esplicitamente la propria poetica: «Dalla solitudine ci aspettiamo tonnellate di enfasi, è giusto. Enfasi e la dovuta porzione di disincanto». Anche in L’amore per nessuno enfasi e disincanto ci sono, inoculate a dosi massicce. Allora è a solitudine la colpa che dobbiamo espiare, o da cui ci dobbiamo assolvere?
Sì, l’enfasi della solitudine, attesa nella solitudine è una convinzione che mi porto dietro dal romanzo precedente – anche come enfasi linguistica naturalmente. È bello che alcune condizioni particolari passino da un libro all’altro, un po’ come le coblas capfinidas delle canzoni medievali, che si richiamano di stanza in stanza attraverso termini chiave. La solitudine è stata, fino a questo libro, un orizzonte fondamentale, perché mi permetteva di far viaggiare in simultanea il panorama interno e il panorama esterno. Espiazione-assoluzione mi sembrano altresì una coppia notevole, almeno come funzioni propulsive in un romanzo, e sono contento che tu abbia voluto sottolinearle: entrambe richiedono un “percorso”, rispetto al quale i miei personaggi, che desiderano molto, sono sempre riottosi. Non è – credo – una banale meccanica del “tutto subito”, è proprio mancanza di strumenti, quelli “umani” diciamo così, quelli che Vittorio Sereni vedeva «avvinti alla catena / della necessità». Come vedi c’è un enjambement tra «catena» e «necessità»: dire le cose negandone il fondamento, affermare con la semantica mentre spezziamo con la metrica – che grande lezione!
Non sembra proprio che ti interessi l’immortalità. Il tuo romanzo è irrimediabilmente radicato nell’attualità, annacquata se vogliamo da ruffiani EasterEgg anni ottanta. Penso che possa risultate assolutamente incomprensibile da chi non frequenta la cultura pop italiana della contemporaneità. Ma chi è il lettore perfetto de L’amore per nessuno?
La prima volta che mi hanno messo in bocca un’ostrica non sapevo assolutamente cosa fosse, ero un bambino. Il sapore mi ha lasciato perplesso, però ne ho mangiate altre tre-quattro, senza troppe conseguenze, e anzi con una certa gioia dell’inatteso. Siamo sicuri che il punto sia la comprensibilità? Forse è la digeribilità, o l’apporto calorico. O, perché no, il semplice gusto. Martin Amis ha scritto che gli scrittori «competono per l’Universale», per questo sono destinati a odiarsi tra loro, a cercare la rissa. In questa allegra competizione fra tagliagole entrano a viva forza i lettori, che come diceva Debenedetti sono dei veri e propri strozzini: ti concedono il loro tempo, a patto di esigere un tasso di interesse altissimo. Il mio lettore ideale – quello che tu chiami perfetto per il mio libro – è uno abbastanza stanco di prestare il proprio tempo a un romanzo e ancora abbastanza in credito da permettersi di passare del tempo con un romanzo.
Scrivi in modo talmente intelligente e scopertamente arrogante da risultare antipatico. Ti chiedo tre ragioni, nonostante questo, per cui vale la pena leggere il tuo libro.
Con questa domanda mi hai messo in un cul-de-sac dialettico. Qualsiasi risposta mi sforzi di pensare verrà recepita non “nonostante”, ma in ordine ai tuoi argomenti. Colpa mia, ho peccato di leggerezza. Presentarmi con un coltello a uno scontro a fuoco. È comunque dimostrato che in generale i romanzi sopra le trecento pagine a) distruggono la massa grassa a beneficio del core addominale, b) potenziano la libido del soggetto leggente; c) sterminano le spore terrapiattiste e arredano vivacemente il paesaggio urbano quando deposti e disposti in simmetrie goffrate. Il mio in particolare impedisce l’uptake della dopamina nei neurotrasmettitori, prolungando la caratteristica sensazione di euforia, ed è un ottimo presidio contro il traduttese.
Non credo di aver capito proprio tutto, ma devo ammettere che sei convincente.
Simone Cerlini
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yourtrashcollector · 8 months ago
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Non è facile dire perché un’amicizia si interrompe: anche o soprattutto quando non c’è una ragione gretta, una contesa, una gelosia. Qualche volta hai l’impressione che la confidenza, guadagnata misteriosamente, si trasformi altrettanto misteriosamente nel suo rovescio: senza avvisaglie, i tratti caratteriali su cui avevamo sorriso, con la grazia generosa che forse è quella di Dio verso i peccatori, diventano prima fastidiosi, poi intollerabili. Perché?
Paolo di Paolo, Romanzo senza umani
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marcogiovenale · 3 years ago
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contemporaneità, prosa ecc. / alfredo giuliani. 1961, 1965
Ogni volta che in Italia uno scrittore vuole essere contemporaneo di una cultura non gretta deve scontrarsi con l’immaturità sociale, col provincialismo politico, con le improvvisazioni e inquietudini che si pretendono soluzioni, con la perpetua commistione di anarchismo e legittimismo (Alfredo Giuliani, introduzione ai Novissimi, 1961) Oggi meno che mai la poesia è un luogo privilegiato: le…
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