#grazie ancora a frà come sempre
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affogonellamarmellata · 2 years ago
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omoeroticismo e cattolicesimo
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martinoguardamimartino · 6 years ago
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Clip 3.3 - Digli che torno domani
F: Amo'. Come mi sta? È nuova.
E: Bene.
F: Dai, neanche mi hai guardato. Levi sto cellulare? Stai sempre con questo.
E: Ma stai uscendo tu?
F: Sì, perché?
E: Allora, se ti chiamano le mie amiche, mi raccomando, digli che noi stiamo a casa con mamma, ok?
F: Sì, sì, sì.
E: No, Filo, è importante.
F: Ho capito, ho capito.
E: Stai bene. Figa la giacca.
F: Ok. Senti, ma perché non esci con me anche tu?
E: Non mi va.
F: E dai, e dai. Mi vogliono tutti più bene quando esci con noi.
E: Addirittura?
F: Sì.
E: Non mi va. Sono stanca.
F: Uffa. Ma passi la serata a guardarti i tutorial di giardinaggio pure oggi?
E: Che stronzo. Vai.
F: Ok. Ciao.
E: Stai benissimo. Sei bellissimo.
F: Sì, ciao.
E: Ciao.
EVA: Ele, non puoi capire, cioè ti prego, qua è successo un casino. Silvia ha parlato con Edo, adesso si è chiusa in bagno. Non fa entrare nessuno, sta piangendo da un'ora. Richiamami quando ascolti, Ele.
[ Segreteria telefonica... ]
[ Informazione gratuita: la chiamata è stata trasferita... ]
RAGAZZO: Tiralo fuori tutto, tiralo fuori tutto!
E: Cosa?
Elia, Elia! Dov'è Silvia? Silvia? Silvia? Silvia?
ELIA: Sulla bici in fondo alle scale mobili.
E: Eva! Eva!
EVA: Oi, Ele?
E: Che sta succedendo?
EVA: Questi due stronzi non mi vogliono fare andare a salutare Gio.
M: No, no. Io ho detto, non lo salutare mentre si pacca la ragazza.
EVA: Ma se io lo voglio salutare, ma che ti frega a te? Scusami, eh. No?
E: Perché non mi hai risposto alle chiamate?
EVA: Eh, perché c'ho il telefono in silenzioso, Ele.
E: Ok, non importa. Silvia? Silvia?
EVA: Silvia se n'è andata. Ma da mo che se n'è andata Silvia, eh. Con le altre.
E: Che è successo?
EVA: Allora praticamente è andata là a parlare con Giovanni...con Edoardo, scusa. Gio! Oi.
G: Ciao.
EVA: Ciao.
G: Eva, ti ricordi Sofia?
EVA: Certo che me la ricordo. Indimenticabile Sofia.
G: Sì.
EVA: Senti, se te lo perdi, comunque, non ti preoccupare, perché lui sta in bagno con qualche amico suo a fumare l'erba.
E: Eva.
G: No, no, non fumo più.
EVA: Sì che fuma.
G: No, non fumo più.
E: Non fa niente. Mi tieni la giacca, per favore?
EVA: Certo. Abituati perché lui...
EDO: Ehi. Sei venuta alla fine.
E: Si può sapere che le hai detto?
EDO: A chi?
E: A Silvia! Se n'è andata in lacrime.
EDO: Che le ho detto? Che ne so.
E: Eh.
EDO: È venuta da me, mi ha chiesto se ero tornato con la mia ex di Milano.
E: E?
EDO: E niente, le ho detto di no, che ci eravo solo visti. Poi ha provato a baciarmi e le ho detto che non ci stavo.
E: E di me.
EDO: Di te?
E: Di me che le hai detto?
EDO: E tu chi sei, scusa?
C: Edo. Zì, c'abbiamo le guardie alla porta.
EDO: Che cazzo dici?
C: Due guardioni.
EDO: Ma che cazzo dici?
C: Non sto scherzando, zí.
EDO: Oh, vai a dire a Fede di spegnere la musica.
C: Ok.
Ci stanno le guardie. Togli la musica.
POLIZIOTTO: Buonasera.
EDO: Buonasera.
P: Lei è il padrone di casa?
EDO: Sì.
P: Abbiamo ricevuto delle telefonate dai suoi vicini.
EDO: Sì, scusate. Abbiamo già spento la musica, quindi...
P: Allora non ci siamo spiegati.
EDO: Va bene, ok. Ho capito. Adesso mando via tutti.
P: Bene. Noi aspettiamo là.
EDO: Ok. Grazie. Scusate, eh.
Regà. Festa finita, tutti fuori, su!
[ No! ]
EDO: Eh, lo so. Mi dispiace, dai. Dai, veloci!
E: Eva! Eva! Eva!
C: A zì, stiamo andando all'EUR, stai a venì?
EDO: Sì, mo vedo.
C: E dai. Daje, daje.
E: Eva! Eva! Eva! Eva! Eva, dove sei?
EDO: Oh, zì. Veloce, dai.
FE: Dai sì, frà. Vado. Se beccamo all'EUR, ok?
EDO: Sì, sì. Ciao.
E: Oddio, Eva
EDO: Ehi. Sei ancora qua?
E: Sì, Eva se n'è andata con la mia giacca, col cellulare, le chiavi, tutto.
EDO: Ahia. Vabbè, come ti posso aiutare?
Non risponde?
E: Filo, sono Ele. Mi chiami a questo numero appena leggi?
E: No, gli sto scrivendo un messaggio.
EDO: Quindi?
E: Senti, posso chiederti se puoi prestarmi venti euro così prendo un taxi e me ne vado?
EDO: E se non te li do?
Dai, sto scherzando. Certo.
E: Ok.
EDO Però scusa come fai a entrare a casa se non hai le chiavi?
E: Aspetto mio fratello che torna.
EDO: Dove?
E: Sotto casa.
EDO: Sì e secondo te ti lascio andare alle due di notte così da sola?
E: Non ho bisogno del tuo permesso.
EDO: Però hai bisogno dei miei soldi.
Dai, scherzo. Senti, facciamo così. Cosa fai lì in piedi? Siediti. Facciamo così: aspettiamo che risponda tuo fratello e poi ti accompagno io a casa. Mh?
E: Ok.
EDO: Intanto ti va un po’ di vino?
E: No.
EDO: Non ti fidi?
E: No.
EDO: Ok.
E: Be', posso aiutarti a sistemare un po’ di cose.
EDO No, ma tranquilla, sistemo io domani.
E: Ma non tornano i tuoi?
EDO: No.
E: Abiti da solo?
EDO: Sì, più o meno.
E: Cioè?
EDO: Cioè che mio padre lavora fuori, mio fratello vive fuori e tornano ogni tanto.
E: Grazie.
EDO: Prego.
E: Ehm… Senti, io devo chiederti scusa per una cosa.
EDO: Addirittura?
E: Sono seria.
EDO: Ok, dimmi.
E: Io non sapevo che…che tua madre…altrimenti non avrei mai detto quelle cose, veramente, scusa.
EDO: Tranquilla. Però grazie. Dai, fatti offrire qualcosa. Anche di non alcolico.
E: No.
EDO: Dai! Che cosa ti va?
E: Grazie.
EDO: Tisanina? Scusa.
E: Ha risposto Filippo?
EDO: No. Non ti fidi? Guarda.
[FE: Edo, ma ‘ndo cazzo sei? ‘Ndo sei? Chicco Rodi!]
E: No, ma se vuoi vai cono loro, veramente. Io mi prendo un taxi.
EDO: Limone o zenzero?
E: Non lo so.
EDO: Vai, limone.
E: No!
EDO: Ti sta bene.
E: Ciao, sono Edoardo Incanti e mi fate tutti un po’ schifo!
EDO: Sei uguale.
E: Lo so. Però mi manca qualcosa.
EDO: Cioè?
E: I tuoi meravigliosi riccioli.
EDO: Ti piacciono proprio i miei capelli, eh?
E: Di’ la verità. Tu alle medie eri pazzo di “Tre metri sopra il cielo” e hai copiato il look a Scamarcio. C’ho preso, eh?
EDO: Beccato, sì.
E: Questa?
EDO: Sembrerebbe una chitarra.
E: No. Questa è l��arma finale.
EDO: Per che cosa, scusa?
E: Certo. Tu prima fai lo stronzo con le ragazze, poi te le porti a casa, gli canti una bella canzoncina dolce così loro dicono: “Oddio, Edoardo Incanti! Che lato sensibile, ha anche un cuore!”
EDO: Dai.
E: Sì, sì.
EDO: E tu per chi suoni invece?
E: Non so suonare.
EDO: Neanche cantare da quello che mi ricordo.
E: E vabbè.
EDO: Posso suonare io per te.
E: Sì, ma non sono una ragazza da portarti a letto.
EDO: Tranquilla, ho dei brani per ogni tipo di ragazza.
E: Vediamo. Vai.
EDO: Ok.
E: Così le ragazze le fai addormentare però.
EDO: Eh, un attimo.
E: Ah. Aspetto.
-
EDO: Credo che sia per te.
E: Filo. Filo.
F: Ehi, io sto tornando a casa, tu?
E: È successo un casino, poi ti spiego.
F: Ma sei alla festa? Se vuoi ti passo a prendere.
E: Tranquillo, ci sentiamo dopo. Ciao.
EDO: Qualche problema?
E: Niente, sta a una festa a Viterbo. Non ho capito.
EDO: Ok. Vuoi dormire qua?
E: Sì. Ma non con te.
EDO: Ok, forse è meglio che tu non dorma qua.
E: Mh. Mi sa. Camera di tuo padre?
EDO: È chiusa a chiave. Dall’ultima festa.
Però, dai, dormi da me io vado sul divano.
Ok?
E: Ok.
EDO: Le lenzuola sono pulite. Io non c’ho dormito, quindi… Non lo so, se vuoi una maglietta, un pantaloncino?
E: No, no. Tanto dormo sopra.
EDO: Ok. Allora… Buonanotte.
E: Buonanotte. No, dai.
EDO: Che c’è?
E: Niente, mi dispiace che dormi giù.
EDO: Non è che adesso ci stai provando tu con me?
E: No, assolutamente. Però non mi va di cacciarti dalla tua camera. Ma mi fai istituire delle regole.
EDO Ok. Di che tipo?
E: Tipo… Tipo che questa è la tua parte, questa è la mia. Ecco. Suggerisco anche di fare una piccola barriera di cuscini. Giusto per stare un po' più sicuri, ecco. Vedi.
EDO: Ok.
Domani che cosa vuoi per colazione?
E: Non faccio colazione qui domani.
EDO: Ok. Cappuccino e cornetto, mi sembra un’ottima idea.
E: Quanto sei banale.
EDO: Lo sai, sono molto prevedibile.
E: No, sei solo un meraviglioso cliché.
EDO: Che ci vuoi fare? La mia infanzia è stata difficile, mio papà non veniva mai alle partite di calcio…lo scotch da pacchi.
E: Chi è? Qualcun altro che devi picchiare?
EDO: No. Veramente è tuo fratello che chiede quando torni perché si è stancato di aspettarti. Ok, rispondo io. “Sono talmente innamorata di Edoardo che non riesco a uscire dal suo letto.”
E: No. No! No, fermo, scusami.
EDO: Aspetta.
E: No, no. Dammi il telefono.
EDO: No.
E: Sì. Rispondo io.
EDO: Cosa stai facendo? Sei nella mia metà del letto. Torna nella tua. Così violi le regole. Vai. Vai.
E: Fammi rispondere.
EDO: No.
E: È mio fratello.
EDO: No.
E: Voglio rispondere io.
EDO: No, torna nella tua metà. Vai.
E: No.
EDO: Vai.
E: Digli che torno domani.
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E anche un'altra estate è quasi finita, e si sa le cose belle prima o poi finiscono sempre. Ma in questi tre mesi di feste, di alcolici, di pianti, di risate fino a non finire, di albe passate insieme, di balli sotto la luna che ci guardava e ci guidava, di amici alcuni nuovi e altri che ci sono sempre stati, di consapevolezze raggiunte, di abbracci che ti fanno capire quanto bene c'è nelle persone, di amori sbagliati, di messaggi mandati quando ormai era troppo tardi per ripensarci, di sguardi che ti fanno battere il cuore, di cazzate fatte al momento giusto, di sorrisi che ti fanno sentire meno solo, di chiacchierate fino alle 6 della mattina. Di camminate a piedi nudi sull'erba, di stelle che cadono e tu ci credi ancora, di cornetti caldi che sanno di casa e cose buone. Di canzoni che lasciano un ricordo, e sai che durante l'inverno ascoltandole tornerà un po' il sorriso. Di lune storte, ma anime giuste. di amori impossibili e di speranze che non vogliono finire. Di tramonti che non tramontano mai, e ti fanno sempre pensare che un giorno sta per finire, ma un'altro sta per iniziare. Di occhi che guardi solo unistante per paura di perderti dentro. Di carezze che scaldano, di colpi di scena che non sai se crederci veramente, di attimi che durano un solo istante ma in quell'istante ti senti libero come mai prima. Di momenti sbagliati, e parole giuste. di pensieri che si scatenano sotto la musica assordante del dj. Di cene inprossivate alle 3 del mattino, quando tutto sembra finito ma è lì che arrivano i momenti più belli. Di sigarette consumate dal vento, di silenzi che risuonano così pieni di parole che solo in pochi riescono a sentire. Di discorsi importanti che cambiano un po' la vita, di abbracci che comunque sono gli stessi di sempre. Di voler provare per una volta a fare quello che ti senti, perché l'estate è libertà, è sole e vento e notti che sembrano non finire mai. Ecco dopo tutto questo, non credo ci sia altro da aggiungere, ma in quest'estate ho capito tanto, ho scoperto me stessa e non credevo di riuscirci, quest'estate ho lasciato uscire fuori parole che per me era difficile dire, in quest'estate ho lasciato parlare il cuore, perché ogni tanto anche se sbaglia e fa come vuole, pure lui deve dire la sua. Quest'estate è stata pura follia, ma in fondo chi siamo noi per dire cosa è normale oppure no?. Quest'estate che frà poco finirà mi lascia dentro tanto, così tanto che sento l'amore tutto intorno. Quest'estate, è stata l'estate del scoprire se stessi, e io dico grazie a tutti quelli che con un messaggio, una parola, qualche "schiaffo" ma soprattutto con un'abbraccio ci sono stati. È stata un'estate magica, adesso godiamocela fino alla fine.
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faresramettas · 6 years ago
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prima di sorridere un po’
prompt: marti and nico’s first fight (ita)
thank you @revengeisalwaysanoption for the prompt <3 i got carried away and this turned out to be over 3000 words. anyway, i hope you like it!
read below or on ao3
***
Martino era nella merda. A pochi giorni dalla maturità, quando l’unica cosa che desiderava fare era annegare i nervi in litri di birra, la realtà dei fatti era che gli mancava ancora mezzo programma di storia, letteratura non l’aveva manco sfiorata e se avesse fatto un'altra versione di greco per esercitarsi avrebbe vomitato direttamente sul dizionario.
Le sue giornate ormai si dividevano in gruppi di studio, tra Eva e le ragazze per storia e filosofia e Giovanni, Elia e Luchino per matematica, per poi tornare a casa e continuare a ripetere chino sulla scrivania o sdraiato a letto circondato dai libri. Martino era bravo a scuola, la tesina l’aveva finita un mese fa, non aveva niente di cui preoccuparsi, gli ripeteva anche la madre per rassicurarlo, ma era l’ansia il problema, quella paura di deludere le proprie aspettative e quelle degli altri che gli attorcigliava lo stomaco e non lo faceva dormire. Da giorni poi non vedeva Niccolò, che a sua volta era nel bel mezzo della sessione estiva all’università. Era stato Martino a imporre a malincuore quella distanza dopo l’ennesimo pomeriggio di studio trasformatosi in scopata. 
"Guarda che ti posso aiutare a studiare." "Lo sai benissimo che quando ci vediamo non combiniamo mai un cazzo”, gli aveva risposto Martino, passando una mano tra i capelli appiccicati alla fronte di Niccolò. "Un po' come ora." "Ma ci vediamo già così poco", Niccolò aveva protestato, sdraiandosi addosso a Martino, che in cambio aveva riso dolcemente. Era fine giugno e Roma era già caldissima. Niccolò, nudo e incollato a lui dal petto alle caviglie, non aiutava di certo a combattere l'afa ma Martino non se ne sarebbe mai lamentato. "Lo so, amore. Ma solo per qualche giorno. Giusto per concentrarmi fino alla terza prova. Poi mi puoi aiutare per l’orale." "Okay”, aveva sospirato Niccolò, rivolgendogli un sorriso beffardo. “Secchione." "Vaffanculo. Ti ricordo che anche te c'hai gli esami, eh", Martino l'aveva punzecchiato. Niccolò aveva alzato gli occhi al cielo e gli aveva fatto il verso, al quale Martino aveva risposto pizzicandogli i fianchi e ribaltando d'improvviso le loro posizioni, suscitando la sorpresa eccitata negli occhi e nel respiro di Niccolò, che l’aveva tirato giù per i capelli per un bacio. E allora fanculo Schopenhauer, aveva pensato Martino. Niccolò gli mancava. Si parlavano tutti i giorni al telefono, ma non era lo stesso. Aveva ragione, da quando aveva iniziato l'università si vedevano poco. Era un cambiamento inevitabile al quale avevano compensato in anticipo passando l’estate precedente sempre insieme, ma al quale tutto sommato erano riusciti ad adattarsi, almeno fino a gennaio. Niccolò non era riuscito a dare tanti esami nella prima sessione invernale perché la sua testa aveva avuto altri piani. Martino gli era stato accanto ogni giorno, da quando Anna l'aveva chiamato il mercoledì a scuola per dirgli che Niccolò aveva saltato il primo appello e si rifiutava di alzarsi dal letto. Martino era andato a casa sua dopo scuola e gli era bastato guardare Niccolò in faccia per capire la gravità della situazione e che Niccolò non avrebbe aperto bocca. Allora gli si era semplicemente sdraiato accanto, abbracciandolo e accarezzandogli i capelli, sussurrandogli che lui c’era, che sarebbe andato a casa più tardi ma domani avrebbe dormito con lui. Il secondo giorno si era portato dietro una borsa col cambio e lo spazzolino da denti e aveva chiesto a sua madre se poteva dormire da Niccolò per un paio di giorni, che poi erano diventati quattro. Finalmente, il terzo giorno Niccolò aveva tirato fuori tutto ciò che lo torturava, un rigurgito di autocommiserazione e considerazioni distorte su di sé che Martino avrebbe voluto strappare via come erbacce. "Non dovevo iscrivermi all'università. Non so che cazzo ci vado a fare. Non so neanche se mi piace sociologia. Così faccio solo buttare soldi nel cesso ai miei genitori, come se non fossi già abbastanza un problema per loro. Non so fare niente, sono solo un peso per tutti.” Martino lo aveva lasciato sfogare, perché aveva imparato che era la cosa migliore da fare, anche se sentirgli dire quelle cose lo riempiva di sgomento. Il cuore di Martino si spezzava ogni volta che la testa di Niccolò non gli permetteva di vedere quanto fosse meraviglioso. In quei momenti, Martino avrebbe solo voluto potergli prestare i suoi occhi. “E te, Marti. Non so neanche dove trovi la pazienza di starmi dietro. Non ti meriti a diciott’anni di avere un cappio al collo--” A quel punto lo aveva interrotto, prendendogli la faccia tra le mani e guardandolo dritto negli occhi, e poi aveva demolito ogni sua affermazione infondata, finché Niccolò non aveva smesso di piangere e un sorriso fievole ma pieno di gratitudine era riapparso sul suo volto. I due giorni successivi Martino li aveva passati a coccolare Niccolò, a farsi un bagno insieme, a cambiare le lenzuola, a farlo mangiare e sorridere anche davanti ai suoi, all’insegna del minuto per minuto che era diventato un pilastro della loro esistenza, una filosofia che entrambi avevano abbracciato anche al di fuori della loro relazione. Tre settimane dopo, avevano festeggiato il primo trenta di Niccolò insieme. Non aveva avuto altri episodi così gravi e Martino sperava che la sessione estiva non avrebbe comportato una ricaduta. Sebbene Niccolò esprimesse ancora dubbi sulla scelta dell'università di tanto in tanto, era riuscito ad ambientarsi e a stringere qualche amicizia, anche se preferiva ancora la compagnia di Martino e i suoi amici, che lo rimproveravano di continuo perché invece di farli imbucare ai festini universitari pieni di fregna se ne stava sempre lì con loro il venerdì sera a bere la birra artigianale del Peccio e ascoltare i problemi di cuore di Giovanni, che a due anni dalla rottura e nonostante la breve parentesi Argentina non aveva ancora superato Eva e aveva intenzione di provarci un'ultima volta prima della fine degli esami. Niccolò non si era mai offeso. Martino aveva conosciuto le sue nuove amiche e i suoi nuovi amici e per quanto fossero simpatici, erano meglio i suoi. Gio, Elia e Luchino si erano lamentati ieri dell'assenza di Niccolò, che nelle settimane precedenti li aveva aiutati quando possibile a studiare e soprattutto a non andare nel panico grazie alla sua saggezza da superstite della maturità peggiore della storia. "Gli ultimi giorni sono critici, zì. Ci poteva da’ una mano”, aveva detto Luchino. "Ho capito, se c'è lui io non mi concentro. Se vuoi che ti aiuti puoi sempre scrivergli, eh", Martino aveva risposto infastidito. "Va beh, stai tranquillo”, aveva commentato Elia. "Scusa, frà. Sto sclerato.” Gio gli aveva dato una pacca sulla spalla, fissandolo con lo sguardo attento che aveva sempre quando capiva che c’era qualcosa che non andava. Martino aveva sospirato e si era lamentato degli esercizi sulle derivate che non riusciva a risolvere, chiedendo aiuto a Elia per cambiare il discorso. Sì, perché Elia era il più bravo in matematica, anche se nessuno l’avrebbe mai detto. Era da fine aprile che avevano cominciato a vedersi sempre meno. Un po' per il carico di studio di Martino che era triplicato nel tentativo di dare uno slancio finale alla media e di finire la tesina in anticipo per non preoccuparsene a giugno. Un po’ per Niccolò, che forse improvvisamente nostalgico di Radio Osvaldo si era unito ai volontari della radio universitaria e in più aveva iniziato a dare lezioni private di pianoforte per racimolare qualcosa che gli desse un senso di indipendenza. I weekend passati a letto abbracciati che prima erano una loro abitudine ora erano quasi un miracolo. Riuscivano a vedersi a malapena due volte a settimana e mai per due giorni consecutivi. Ma Martino sapeva che non sarebbe stato sempre così, si consolava pensando che presto avrebbero avuto di nuovo settimane intere di dolce far niente e che i primi di agosto avrebbero fatto il suo viaggio di maturità insieme, a Berlino. Niccolò non smetteva mai di ripetergli quanto non vedesse l’ora di partire, di vedere la East Side Gallery e l’Isola dei musei, di avere Martino tutto per sé in una camera d’albero per cinque giorni, e Martino aveva iniziato a contare i giorni che mancavano nella sua testa perché Niccolò era campione olimpico di entusiasmo contagioso. Ma adesso era il giorno prima della prima prova e Martino era nella merda. Per tutta l’ansia che aveva, aveva dormito sei ore in tre notti e si sentiva teso come una corda di violino. Forse per questo quando Niccolò si presentò a sorpresa a casa sua nel tardo pomeriggio non reagì come si sarebbe aspettato. "Ni? Che ci fai qua?" "Mi mancavi”, esordì Niccolò, baciandolo sulle labbra e facendosi strada in salotto. "Poi non ti va di passare la notte prima degli esami con me?" aggiunse ridacchiando. "Sì", rispose Martino, titubante. Riconobbe subito nei movimenti a scatti della testa e nel tremore delle mani i segnali dell'umore impulsivo di Niccolò e immediatamente si preoccupò, aggrottando le sopracciglia. "Però devo studiare." "Ma che, per la prima prova?" "Per tutto il resto”, mormorò Martino. Una piccola parte di sé era quasi lusingata che Niccolò avesse resistito solo sei giorni prima di bussare alla sua porta ma oggi c’era qualcosa che lo infastidiva nella sua solita strafottenza, qualcosa che gli faceva storcere il naso. Niccolò lo intuì forse dal suo tono di voce e si avvicinò, posandogli una mano sul collo e cercando il suo sguardo. "Non sei felice di vedermi?" "Certo che lo sono", gli sorrise, rilassando il volto. "Se vuoi me ne vado, eh”, disse Niccolò, sgranando gli occhi e stringendo le labbra all'ingiù. "Ma che", scosse la testa Martino, “però davvero, devo studiare almeno un altro paio d'ore. Poi facciamo quello che vuoi." Non voleva cacciarlo ma sperava che fosse chiaro che non sarebbero state ammesse distrazioni. "Okay, okay. Non preoccuparti”, gli rispose Niccolò, prendendogli la mano e incamminandosi verso la stanza di Martino. "Come stai? Che stai studiando?" "Greco. Me voglio spara'." "Zitto e ringrazia che non hai avuto quella merda di seconda prova dell’anno scorso”, disse Nico, buttandosi sul letto di Martino mentre lui tornava a sedersi alla scrivania. Martino sorrise, ricordando la disperazione di quelli di quinto quando era uscita la notizia della seconda prova con greco e latino. La maturità peggiore della storia. E fortunatamente l'unica. Marti riprese in mano le fotocopie di versioni già fatte e piene di sottolineature e annotazioni a matita. Se la cavava, col latino ovviamente più del greco, ma non vedeva l’ora di abbandonare 'ste lingue morte di merda, come le chiamava sempre Giovanni. Niccolò riuscì a starsene buono sul letto per 10 minuti prima di avvicinarsi a Martino e abbracciargli le spalle da dietro. Martino dovette trattenersi dall'alzare gli occhi al cielo. Non sapeva perché avere Niccolò intorno oggi lo infastidiva. Non era mai successo prima, e Martino era consapevole che fosse un problema suo. “Ni”, Martino lo avvertì. "Marti", rispose Nico canticchiando il suo nome. Quella sensazione sgradevole nello stomaco di Martino non faceva altro che aumentare. "Ni, sto nella merda, sul serio.” "Dieci minuti con me cosa ti cambiano? M'hai a malapena salutato", disse Niccolò con il tono dolce ma lamentoso di un bambino. Se Martino si fosse girato per guardarlo in faccia avrebbe scommesso di trovarci un broncio. "Puoi aspettare che finisco la versione? Ti prego, ti prego, ti prego." "Okay, okay", sospirò, “capito, me ne sto fermo e immobile”. Si sdraiò di nuovo in mezzo al letto, facendo finta di essere un robot o un burattino. Martino gli sorrise, mormorando un “grazie” dispiaciuto, e tornò chino sul dizionario. "Che poi non c'hai da studiare? Non ti sei portato i libri?" commentò sovrappensiero. Niccolò sbuffò. "Madò, Marti, sembri mia madre." "Perché? Che ho detto?" "Lo saprò da solo quando e se devo studiare?" Martino rimase allibito dalla risposta seccata di Niccolò e in tutta sincerità non fu più in grado di nascondere la sua, di seccatura. Se c’era qualcosa che Martino aveva imparato nell’anno e mezzo con Niccolò era che la sua pazienza andava ben oltre i limiti che Martino si era sempre immaginato di avere. Stare con Niccolò gli aveva rivelato una versione migliore di sé che sapeva ascoltare, che pensava prima di parlare, che metteva al primo posto sempre Niccolò, mai se stesso, e questo altruismo con lui non gli era mai sembrato un obbligo, Martino non si era mai sentito costretto a farlo. L’amarezza, la meschinità, la piccolezza che Martino serbava da prima di Niccolò venivano scatenate solo dalle conversazioni con suo padre e dai momenti di debolezza psicofisica dovuti a stress e insonnia, due cose che non aveva mai saputo gestire, che lo portavano a sbottare con la madre anche quando non se lo meritava e evidentemente anche con il ragazzo che amava più di ogni altra cosa al mondo. C’erano giorni in cui Martino non sapeva controllare le sue emozioni, figuriamoci quelle così imprevedibili di Niccolò, e il piedistallo sul quale a volte si sentiva inconsciamente posto dal suo ragazzo si sgretolava. Martino oggi si sentiva così: piccolo, infastidito, irascibile, e Niccolò era venuto da lui pensando di fargli piacere e invece era diventato il catalizzatore di tutte le ansie e il nervosismo che Martino aveva accumulato da settimane. "Era così per dire, stai calmo." Si rese conto di quando sembrasse stronzo non appena le parole gli uscirono dalla bocca e se ne pentì immediatamente. Passò qualche attimo di devastante silenzio, poi Niccolò si alzò dal letto. "Vabbè, ho capito, me ne vado.” Martino si alzò di scatto per prendergli il polso. "Ni…" "Non mi va di stare qui se devo romperti il cazzo", gli disse, guardando ovunque pur di evitare il suo sguardo. "Non mi rompi il cazzo, sto solamente in ansia, lo sai. Lo sai che non reggo bene lo stress”, cercò di scusarsi Martino. “Tu non c’entri niente.” "Scusami se ho pensato che ti facesse piacere vedermi. Ci rivediamo dopo gli scritti, o dopo l’orale. O quando cazzo ti pare”, disse Niccolò, la voce bassa piena di amarezza. "Smettila, dai.” "Tanto già non ci vediamo mai”, borbottò Niccolò, strappando il braccio dalla presa di Martino. "E che cazzo ci devo fare, Ni?" sbottò Martino. Aveva alzato la voce con Niccolò. Non avrebbe mai pensato di poter essere così coglione. Nessuno dei due aveva mai alzato la voce con l'altro. Era la prima volta. Avevano avuto momenti difficili, certo, momenti di tensione, ma non avevano mai discusso così. E per quale motivo aveva urlato a Niccolò? Perché aveva la luna storta? Che testa di cazzo, pensò. "Di chi è la colpa se ho la maturità e te sei in sessione?" disse Martino, abbassando il tono e lo sguardo. La testa gli pulsava e si stropicciò gli occhi. Niccolò, di profilo tra lui e la porta, si morse il labbro tremolante e non disse niente. Allora Martino continuò. "Certo che mi manchi e mi fa incazzare che non ci vediamo spesso... ma avevo bisogno che mi facessi sto favore." "Ah", annuì Niccolò. "E sono talmente incapace e bisognoso d'attenzioni da non essere riuscito neanche a far questo?" Martino sospirò, esausto. "Io non ho detto questo, perché devi sempre far così? Nico, per favore", si avvicinò e provò a prendergli il viso ma Niccolò si scansò come se il palmo di Martino fosse incandescente. Martino abbassò il braccio e aspettò che fosse lui a parlare. "Lo sai che le cose all’uni non vanno bene. Che i miei mi stanno col fiato sul collo. Non serve che me lo ricordi anche tu", disse Niccolò guardandolo finalmente negli occhi. Gli tremavano le spalle e negli occhi verdi c'era riflesso tutto il male che Martino gli aveva appena fatto. "Se ti fa schifo vedermi basta dirlo." Non capisco perché ti fa così schifo stare un po' con me, gli aveva detto sua madre così tanto tempo fa che Martino non si ricordava neanche quando. O meglio, si ricordava solo che era prima che risolvesse con Niccolò, perché Martino era diventato una persona così diversa da quando le cose avevano iniziato a andare bene con lui che non si sarebbe mai aspettato di sentirsi rivolgere di nuovo quasi le stesse identiche parole proprio dal suo ragazzo. L'avevano colpito come un secchio d'acqua gelida e Martino si sentì quasi fisicamente sgonfiare. Abbandonò ogni voglia di continuare a discutere e stavolta pensò a lungo prima di fiatare, mentre Niccolò lo fissava come se stesse aspettando la prossima sfuriata. "Mi dispiace, non volevo. Lo giuro. Quando sono così sono ingestibile, mi faccio schifo. Non sai quanto mi dispiace, Ni", sussurrò. "Io volevo solo stare un po’ insieme.” "Lo so. Non è colpa tua. Sono solo io che sono uno stronzo.” C’era sempre un momento critico in cui a seconda delle parole che venivano scelte una lite poteva proseguire o scemare. Martino aveva dato a Niccolò l'opportunità di scegliere la via d’uscita. Sperava che l'avrebbe colta. "Mh. Un po' sì." Martino gli sorrise, grato, e lo strinse forte. Lo baciò e gli sussurrò scuse e ti amo sulle labbra che Niccolò contraccambiò. “Sai ora che facciamo? Chiudiamo i libri, ci buttiamo a letto e--" "Non devi mandare a puttane lo studio per me. Finisci. Però fammi aiutare almeno", lo interruppe Niccolò. Prese i quaderni e il dizionario e li spostò per terra, nell'angolino sotto la finestra coi cuscini e il tappeto dove d'inverno avevano passato ore accoccolati accanto al termosifone. Si sedette e batté il palmo sul pavimento per invitarlo a avvicinarsi, come farebbe con un gatto schivo. "Sicuro?" chiese Martino, sedendosi accanto a lui con le ginocchia abbracciate al petto. Niccolò annuì. Martino ci pensò su e poi prese fotocopie, quaderni e dizionario e li lanciò ai piedi del letto tra le proteste deboli di Niccolò. "No, sticazzi. Voglio stare con te. Parlami. Dimmi come stai." Nico sorrise. Appoggiò la testa al muro e girandosi verso di lui lo guardò negli occhi. "Mi manchi" sussurò, fragile, scosso da una lite che non aveva avuto ragione di esistere. Martino sentì la grandezza di quelle parole colpirlo nel petto. "Mi manchi anche tu." Si baciarono e Martino continuò a scusarsi finché Niccolò non glielo proibì, esasperato. Parlarono, mentre le mani di Martino giocavano con quelle di Niccolò, gli attorcigliavano i capelli, gli accarezzavano le guance. Parlarono, ma per lo più stettero in silenzio abbracciati, perché a volte ci si consolava meglio col silenzio che con le parole. La vibrazione del telefono sorprese Martino. Era una nota vocale di Gio. "Oi, Marti, stasera siamo tutti al Baretto. Ci stanno anche le ragazze. È la notte prima degli esami e tu vieni, non rompe’ il cazzo. E porta Niccolò che ce manca a tutti. Va bene, zì?" Marti sbuffò una risata e rivolse uno sguardo rassegnato ma complice a Niccolò. "Te la senti di essere circondato da un coro di liceali sull'orlo di una crisi di nervi che cantano Venditti?” Niccolò rise, quella risata che gli faceva tremare tutto il corpo, col mento abbassato e gli occhi che scompaiono, quella di cui Martino si era innamorato quel giorno di metà ottobre sul divano di casa sua. Poi alzò lo sguardo e si avvicinò per dargli un bacio. "Mi offenderei se me lo perdessi.”
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desertoincalifornia · 7 years ago
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Un buongiorno al giorno leva il medico di torno.
Stamattina, mentre ero in pullman, ho fatto una riflessione perché sì, spesso anche io faccio delle riflessioni. Soprattutto alla mattina quando vorrei che il mondo intero stesse in silenzio ad ascoltare il giorno iniziare ma ovviamente questo non succede mai visto che il 99,9% periodico delle volte mi becco: gente che urla al telefono, bambini che piangono, ragazzini che “No perché frà lei mi ha detto che non mi vuole più e poi adesso se la sta già facendo con *tizio* CAPISCI FRÀ? Ma che vada affanculo!” o ragazzine che “Amò io lo amo troppo ma stare con lui mi fa troppo male però non posso lasciarlo andare” et simila. Insomma trovo tutto tranne che il silenzio per ascoltare la già grande rottura di palle che ribolle dentro di me solo per essere su un pullman alle 7:30 di mattina.
Digressione finita.
Torniamo a noi.
Dicevo che stamattina ho fatto una riflessione più o meno profonda: tutti noi dovremmo dire “buongiorno” più spesso, magari accompagnato da un (piccolo o grande, basta che sia sincero) sorriso.
Dovremmo dire buongiorno non solo ai nostri parenti, ai nostri amici o a chi conosciamo ma anche a chi vediamo per la prima volta per strada, al supermercato o sul pullman (sì, anche a quelli sopraelencati che rompono le palle) o a chi vediamo di sfuggita, incrociando il loro sguardo, e non rivedremo mai più.
Dovremmo augurare una buona giornata a chiunque perché chiunque, indipendentemente da chi è o chi non è per noi, merita di avere una buona giornata. O meglio, merita di ricevere un augurio di buona giornata.
Sempre stamattina, per esempio, mentre andavo a prendere il pullman, ho incrociato per strada la vicina di casa, una signora anziana che conosco da tanti anni. Le ho detto: “Buongiorno, signora!” e lei, dopo essersi accorta di me, mi ha chiesto scusa per non avermi sentita subito, dicendomi che era un po’ influenzata e non ci sentiva bene. “È il periodo, signora, non si preoccupi!”, ho continuato. Lei, sorridendomi, ha aggiunto: “Che bella che sei! Sei bellissima!”. Oltre che a ringraziare (e diventare rossa come un pomodoro perché sia mai che io e i complimenti abbiamo un rapporto pacifico, sia mai), ho subito pensato che queste sono le piccole cose che possono cambiare la giornata a qualcuno. Cosa ci importa di cose materiali, soldi, vestiti, cellulari e computer quando possiamo ricevere un “buongiorno” o un “sei bella, stamattina” da qualcuno? Cosa ci interessa di essere pieni di cose materiali quando il sorriso più sincero può essere causato da queste cose?
È stato proprio in quel momento che ho iniziato a pensare che un augurio sincero, un complimento sentito o un piccolo sorriso, alla mattina, farebbero bene a tutti. Farebbero bene al lavoratore che si alza alle 4 e a quello che si alza alle 8:45 per essere in ufficio alle 9; a chi a letto deve ancora andarci, dopo aver fatto il turno di notte; a tutti i milioni di studenti che si alzano (puntualmente in ritardo perché “no, dai, ancora 5 minuti al caldo!”), si preparano di corsa è sempre di corsa volano letteralmente alla fermata del pullman sperando che anche quella mattina passa in ritardo di 5 minuti; a tutte quelle persone sole che vorrebbero qualcuno con cui condividere la loro vita e a chi invece è pieno di gente attorno ma non vorrebbe; a tutti quei nonni e quelle nonne che ancora adesso possono salutare i loro nipoti “ormai cresciuti” mentre vanno al lavoro o a scuola e che passano tutta la mattinata/giornata ad aspettare il loro ritorno; a chi dice di essere felice ma dentro non lo è poi così tanto; a chi è felice davvero, perché proprio quella mattina è stato il fortunato (un po’ come quando sul computer ti esce “Complimenti! Sei il 99’999’999 fortunato ad aver vinto un iPhone 7!” e magari pensi: “Ma perché un iPhone 7 e non un sorriso, invece?”) ad aver ricevuto proprio quel “Buongiorno!”.
Insomma, sarò anche un’inguribile romantica con due cosce intere di prosciutto sugli occhi a vederla/pensarla così, però secondo me un po’ tutti meritiamo un sorriso prima di iniziare la giornata, perché si sa mai che possa far cambiare l’umore di qualcuno, inaspettatamente. Non sarebbe bello sapere di aver migliorato l’umore di qualcuno?
PS: comunque ringrazio di cuore ancora la signora che mi ha detto che sono bellissima nonostante fossero le 7 di mattina, nonostante fossi coperta peggio di un eschimese con uno zaino e una borsa di tela in spalle e nonostante avessi la faccia più assonata di uno che non dorme da una settimana e mezza. Grazie, signò. (♥️)
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lapizzicata · 7 years ago
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Storie iniziate male e finite peggio 5# Long version
Al liceo, come nelle migliori tradizioni adolescenziali, avevo fatto un patto con un mio amico. Se entro i 35 anni non avessimo trovato un compagno, ci saremmo sposati, convinti entrambi che a 35 anni da mo’ che ci saremmo sposati.
Ci siamo rivisti due settimane fa, complice un attico con affaccio sul mare e molta nostalgia dei tempi che furono. Bello era a scuola e bello è rimasto. Se possibile, ancora più bello. (NdA: mia madre me lo aveva detto dal quinto ginnasio che sarebbe diventato bellissimo, quando ancora non ci credeva nessuno e lui era un ragazzetto in sovrappeso.)
Lo aspetto, molto emozionata e ansiosa, sotto il portone per fargli strada e nel tragitto mi dice cose belle. Quanto sei cambiata, non ti avevo riconosciuto. Hai i capelli lunghi e di un solo colore. Ho sempre pensato che ti sarebbero stati bene. Sei quella che ha fatto il miglioramento più esaltante di tutte. Le altre sembrano già vecchie. Grazie davvero, faccio io mentre divento rossa,tu invece sei rimasto bello come ti ricordavo.
Andiamo su e gli faccio vedere subito la casa che avrebbe dovuto affittare. Usciamo sul terrazzo e, mentre beviamo una birra ricordando le stronzate della scuola, “Ti ricordi quando dicevamo di sposarci a 35 anni?” “Certo” “Ne abbiamo 37 Frà.” “Eh” “Forse dovremmo pensarci” “Beh non sarebbe male” “Già. Peccato che mi piace il cazzo” “Ah. Anche a me.”
Se mi avessero dato una stilettata al cuore non sarebbe uscita nemmeno una goccia di sangue ma ho ritrovato un vecchio amico a cui raccontare anche le cose becere. A luglio andremo al concerto di Lauryn Hill insieme e a settembre sarà il mio cavaliere a un matrimonio. ❤️
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questononpersempre · 8 years ago
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Arriva il momento in cui tiri le somme. Fai il punto della situazione. Chi c'è stato e chi no, chi continua ad esserci e chi ci sarà. Oggi chi mi ha detto che mi son fatta vecchia, chi mi ha augurato il meglio e qualcuno, sicuramente ,anche il peggio. Io ho ringraziato ma non come dovevo.
A te mommy, per il profumo di nutella che hai sparso per la casa solo per me e, soprattutto, per avermi messa alla luce 20 anni fa.
A te pà, per aver faticato così tanto da soddisfare ogni mio sfizio da 20 anni a questa parte.
A te giù, per essere sempre così dolce con me, così comprensiva e sempre pronta ad esserci.
A te lù, per esserci stata anche da lontano e per fare sempre da ‘seconda mamma’.
A te pepo, per ogni singolo istante, ogni emozione, ogni minima attenzione che hai nei miei riguardi, per tutti gli sguardi, le coccole e anche le litigate. A te, grazie per essere , da sempre, l'uomo della mia vita. L'unico.
A te socia, per tutto, nonostante il resto, per le volte in cui ci sei stata e anche quelle in cui non ci sei stata perché mi son servite lo stesso, per la compagnia sempre ottima, per le risate, i consigli, gli abbracci brevi e significativi, per le gioie e i dolori vissuti insieme, per tutto davvero. A te che sei e sarai la compagna di vita e la mia persona.
A te gionny, per essere stato e continuare ad essere l'amico simpatico che mi fa sempre ridere, quello un po’ stupido ma con un gran cuore.
A te sabri, che sei cosi goffa e stramba e proprio per questo fai sempre ridere.
A te andrew, sempre così lontano ma sempre vicino, per gli elogi che mi fai anche quando davanti a 20 persone dici 'stiamo parlando di francesca, è impossibile che non ce la fa o che va male’.
A te gianp, per la registrazione che mi hai mandato poco fa, per le parole che mi hai detto a voce che valgono tanto ( l'ho salvata per sentirla quando vorrò), per le confidenze - anche quelle un po’ strane - e per la fiducia che riponi in me.
A voi tutti, grazie per gli anni passati insieme.
Ma grazie ad una persona ancora più speciale: a me stessa. Per la persona che sono e che diventerò, per i sogni realizzabili e non, per la forza che ho, per la freddezza che mi fa diventare 'donna ghiaccio’ e mi fa alzare muri, per la fatica che faccio, per le soddisfazioni che arrivano, per aver scelto le giuste persone da avere accanto. Mi auguro il meglio, non tanto ma il giusto. E ricorda frà: Run fast, if you can.
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anticattocomunismo · 7 years ago
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Ordine di Malta, un Gran Maestro non chiude la crisi
La nomina di Frà Giacomo Dalla Torre a 80esimo Gran Maestro del Sovrano Militare Ordine di Malta, persona stimata da tutte le parti, rappresenta una vittoria della corrente tedesca, che conta di poter mantenere il controllo della gestione economica. Ma si apre un contrasto con Santa Marta, la cui indicazione era di eleggere il Gran Maestro dopo la riforma della Costituzione dell'Ordine. Si apre ora dunque il secondo tempo di una partita non ancora chiusa.
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Il primo tempo, l’elezione del Gran Maestro, ha visto prevalere i “tedeschi”, ma c’è ancora un secondo tempo tutto da giocare, quello della riforma della Costituzione. Stiamo ovviamente parlando del Sovrano Militare Ordine di Malta, che ieri ha eletto a Roma il suo 80esimo Gran Maestro nella persona di frà Giacomo Dalla Torre. Il nuovo Gran Maestro, 74 anni, molto stimato sia in Vaticano sia fra i confratelli cavalieri, era già stato nominato luogotenente dell’Ordine giusto un anno fa, dopo il siluramento dell’allora Gran Maestro Matthew Festing ad opera di papa Francesco.
È dunque ancora lontana la soluzione definitiva alla crisi dell’Ordine di Malta, probabilmente la più grave da quando l’Ordine fu fondato nel 1048 (e reso sovrano nel 1113 da papa Pasquale II). Una crisi che ha attirato una grande attenzione anzitutto per l’importanza dell’Ordine di Malta che è un vero e proprio Stato sovrano (pur senza territorio) che è presente in 120 paesi con circa 2mila progetti in campo medico-sociale e può contare su 120mila persone tra volontari e personale sanitario. Ci sono anche 20mila dipendenti in tutto il mondo (107 sono i paesi con cui intrattiene relazioni diplomatiche) e il suo bilancio si aggira sui 2 miliardi di euro. Una vera e propria potenza che, grazie alla sua sovranità, permette una presenza istituzionale della Chiesa anche laddove la Santa Sede non può essere presente.
Ma un secondo motivo di interesse è la complessità e, per certi versi, la misteriosità del contendere: lo scontro tra gruppi nazionali, un enorme patrimonio economico da gestire, lasciti misteriosi, tutti elementi che fanno tanto romanzo ambientato nel Medioevo. Infine c’è la prova di forza di papa Francesco, un unicum nella storia, che è intervenuto a piedi uniti nella vita dell’Ordine, costringendo alle dimissioni il Gran Maestro Festing; esautorando il cardinale patrono, l’americano Raymond Leo Burke, e sostituendolo con il delegato pontificio monsignor Angelo Becciu; imponendo di avviare la riforma della Costituzione su cui si fonda tutta la vita dei cavalieri. Si tratta di un intervento che ha messo in discussione la sovranità dell’Ordine, anche se questa è stata poi formalmente ribadita dalla Santa Sede. Resta il fatto che tutta la vicenda è diventata anche un banco di prova per il Papa.
Come si può dunque intuire la crisi dell’Ordine di Malta ha diversi livelli che si intrecciano, al cui centro c’è la figura di Albrecht von Boeselager, attualmente Gran Cancelliere, ovvero responsabile della politica estera e delle missioni diplomatiche. Era stato proprio il suo licenziamento alla fine del 2016 a dare il via alla crisi. Dopo mesi di indagini, a von Boeselager erano state prima richieste le dimissioni volontarie  a causa della responsabilità avuta nella diffusione di contraccettivi in Myanmar e altri paesi. Essendosi rifiutato, il Gran Maestro Festing - che nel frattempo aveva cominciato a indagare su un misterioso fondo svizzero di centinaia di milioni di euro in cui lo stesso Gran Cancelliere era coinvolto – era passato all’azione sollevando Boeselager dall’incarico. Sullo sfondo anche una battaglia tra inglesi e tedeschi per il controllo dell’Ordine di Malta.
Potendo contare su saldi rapporti con il Segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, von Boeselager ha ottenuto l’intervento diretto di papa Francesco, che ha licenziato Festing e rimesso von Boeselager al suo posto di Gran Cancelliere. Nello stesso tempo, il Pontefice ha chiesto la riforma delle Costituzioni che portasse a sottolineare l’identità religiosa dell’Ordine di Malta, il cui motto è “Tuitio fidei et obsequium pauperum” (difesa della fede e servizio ai poveri). Il processo doveva essere garantito della luogotenenza a cui è stato chiamato l’anno scorso appunto frà Giacomo Dalla Torre e che scadeva ora.
Ad un anno di distanza però la riforma della Costituzione è ancora in alto mare, per cui ieri si ponevano due alternative: l’elezione del Gran Maestro (che è una carica a vita) secondo l'attuale Costituzione o un altro anno di luogotenenza ed elezioni del Gran Maestro rimandate a Costituzione riformata. Secondo fonti interne all’Ordine, questa seconda era la via caldamente suggerita da papa Francesco attraverso il suo delegato mons. Becciu.
La riforma infatti dovrebbe portare anche a cambiare i requisiti per poter essere eletti Gran Maestro - oggi ristretti a una combinazione tra anni di vita religiosa e gradi di nobiltà - e quindi ad allargare la rosa dei candidati. Nello stesso tempo, una accentuazione del carattere “religioso”, con le cariche dell’Ordine in gran parte - o tutte riservate – ai professi (cioè a chi fa vita religiosa), avrebbe il duplice effetto di un maggior controllo da parte della Santa Sede e la perdita di potere della corrente tedesca, che manca di vocazioni religiose.  
Fonti interne affermano che quest’ultimo sia proprio il motivo che ha spinto von Boeselager, che gode sempre del sostegno del cardinale Parolin, a lavorare per chiudere subito la crisi con l’elezione del Gran Maestro. I voti sono rapidamente confluiti su frà Giacomo Dalla Torre, definito un “ottimo religioso” e molto stimato da tutti, che per von Boeselager ha un duplice vantaggio: evita l’ascesa di altri candidati decisamente sgraditi alla parte tedesca e garantisce lo statu quo dal punto di vista della gestione economica dell’Ordine. Si ritiene infatti che il nuovo Gran Maestro sia incline a interessarsi direttamente soprattutto della vita religiosa e meno di quella economica, ovvero dei progetti concreti nelle varie parti del mondo. Una garanzia per la governance filo-tedesca. D’altra parte frà Giacomo Dalla Torre ha ottimi rapporti anche con la Santa Sede, ma resta il fatto che la sua elezione contrasta con i desiderata di papa Francesco, il quale ha immediatamente rinnovato la delega a monsignor Becciu (scadeva con l’elezione del Gran Maestro), ora incaricato di assistere l’Ordine di Malta fino a Costituzione riscritta e approvata.
Inizia così il secondo tempo della partita, la crisi è solo apparentemente chiusa. Anche perché al “grande manovratore” von Boeselager sarà chiesto prima o poi di fare i conti con la sentenza della Corte di Amburgo che, nel settembre scorso, lo ha ritenuto pienamente responsabile della scelta di distribuire contraccettivi all’interno di programmi sanitari gestiti dall’Ordine di Malta. Era stato proprio von Boeselager ad avviare un procedimento giudiziario contro l’agenzia Kath.net che di questo lo accusava. Proprio questa responsabilità nella distribuzione di contraccettivi è stato il casus belli che ha aperto la crisi nell’Ordine di Malta, e la sentenza di Amburgo ha di fatto accertato che nel merito avesse ragione l’allora Gran Maestro Festing. Von Boeselager ha mentito, anche davanti al Papa. Motivo per ritenere che il secondo tempo non sarà così tranquillo.
RICCARDO CASCIOLI (03-05-2018)
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martinoguardamimartino · 6 years ago
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Clip 10.5 - Sono io p.1
G: Basta, zí!
M: Ciao!
E: Auguri!
F: Ma è lui?
FE: Aspetta, ce devo levà i fregnetti.
S: Ma che, togli tutto?
FE: Non mi piacciono.
S: Non te piace?
FE: No.
S: Ma son buonissimi. I fregnetti. Che ne dite se facciamo altri due ambi, altri due regalini?
EVA: Okay, vediamo che cosa è rimasto nella scatola delle schifezze. Allora...le carte, tipo giganti.
S: Belle!
EVA: Questo.
SI: Quello è buonissimo secondo me.
EVA: Cos'è? Un polipo? Un polipo giapponese che sembra morto.
E: Te lo mangi tu. Mangialo.
SI: No, ve lo giuro, è buonissimo. Tieni.
E: Vabbè, andiamo avanti. Questi sono capelli staccati a qualcuno.
FE: Oddio!
S: Questi, a prescindere, via. Questi non li mettiamo proprio fuori.
EVA: Una matrioska, con la faccia di Putin?
SI: Oddio.
S: Voi, adesso mi dite, dove avete preso questa cosa?
FE: Me l'ha portata mio padre dalla Russia.
S: È terribile, terribile.
EVA: Ti vuole bene, eh?
S: Allora, quale scegliamo?
SI: Carte e polipo, dai.
S: Carte e polipo?
SI: Carte e polipo.
EVA: Sì, pure secondo me.
S: Sicuri, niente Putin?
FE: Vi prego regà, liberatemi da quel Putin, levatemelo da dentro casa. Per favore.
S: Vabbè.
EVA: Senti, ma, allora? Il poeta solitario?
SI: Ma chi, Robert?
S: Ma no, Robert era l'hipster che suonava elettronica.
SI: Ah, allora Stephan?
E: Ma che... Che cosa volete sapere?
EVA: Ieri sera? Ultima sera...
E: No, non sono uscita.
EVA: Ma come non sei uscita? Ma cazzo Ele, avevi detto che ti piaceva.
E: No. No, no, non ho mai detto che mi piaceva, ho detto che era simpatico che è diverso, Eva.
FE: Ele, sei una suora, come minimo lo dovevi sbattere al muro e fargli fare di tutto, veramente. Dai.
E: Punti di vista. Tu invece, con Fede?
EVA: Boh, sono andata a dormire da lui. Ci siamo rivisti.
E: Eh. E che hai fatto?
EVA: E niente...poi comunque non ci siamo più sentiti.
FE: Scusa, ma perché non gli dici di venire a capodanno?
EVA: Boh.
SI: Dai, così viene anche Edoardo.
E: Ma esiste ancora Edoardo Incanti?
SI: E certo Ele, gli dei sono immortali.
EVA: Io c'ero, quando l'ha detta, questa cazzata.
E: Ma con Fede? Dai. Raccontami.
EVA: No. Dai. Ci stanno tutti. Marti lo dice a Gio.
S: Marti, per caso hai un altro paio di forbici, perché queste non funzionano?
M: Vado a vedere.
S: Grazie.
E: Ora ci puoi raccontare. Vai.
N: Lo stiamo a fà?
G: Come no.
ELIA: Okay.
N: No, non puoi andartene. Non puoi capire, quello che sta succedendo.
M: Che sta succedendo?
N: Stanno decidendo, chi di loro tre, può provarci con l'Argentina.
M: E come scusa?
ELIA: Eh, tiriamo fuori dal sacchetto della tombola un numero a testa e chi pesca il numero più alto è il primo.
N: Mia idea.
M: Be', figata.
ELIA: Sì. Chi parte?
M: Luchetto, ovviamente.
L: Perché io, regà?
G: Dai zí, non rompere il cazzo.
ELIA: Vai.
L: Vado?
ELIA: Vai. Non fare il verme che cerchi di capire i numeri, che ti conosciamo.
L: Non rompere. Quattro. Cioè, non è possibile.
M: Non ci credo.
N: Possono uscire ancora uno, due e tre.
ELIA: Fammi provà.
L: Sì vabbè. Ma sempre così, cazzo.
ELIA: Sento il profumo. Settantatre.
M: Alto.
ELIA: Dai, co' st'uno.
G: Ottantacinque, regà.
ELIA: Che culo.
G: Vabbè, scusate e mo?
M: Vai, frà.
G: Vado?
ELIA: Vai.
G: Okay.
ELIA: Luchì, annamo a gufà.
L: Eh, sì.
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