#giustizia di prossimità
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pier-carlo-universe · 3 days ago
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Situazione Critica negli Uffici dei Giudici di Pace: L’ANF esprime Solidarietà e Sostegno -manifestazioni a Torino, Roma e Napoli.
L'Associazione Nazionale Forense (ANF) denuncia le gravi condizioni operative degli uffici dei giudici di pace e annuncia manifestazioni a Torino, Roma e Napoli.
L’Associazione Nazionale Forense (ANF) denuncia le gravi condizioni operative degli uffici dei giudici di pace e annuncia manifestazioni a Torino, Roma e Napoli. Roma, 11 novembre 2024 – Gli uffici dei giudici di pace di Torino e Roma si trovano in una situazione critica, appesantiti da un sovraccarico di lavoro e carenze di personale che rendono difficile la gestione dei procedimenti.…
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archivio-disattivato · 1 year ago
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L’attacco da Gaza ci ha terrorizzato, ma dobbiamo interrogarci sul suo contesto
Fonte: +972Magazine, 7 ottobre 2023.
Il 7 ottobre 2023 resterà, con ogni probabilità, nella storia: Hamas ha dato il via, dalla Striscia di Gaza, a un attacco a sorpresa senza precedenti sul territorio di Israele, con il lancio di migliaia di razzi e vari blitz di terra su insediamenti civili e strutture militari israeliane in prossimità della Striscia. Nel corso di queste azioni sono stati uccisi almeno 1200 israeliani e 130 sono stati presi in ostaggio, mentre sarebbero circa 1.500 i miliziani di Hamas uccisi. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato una durissima rappresaglia, presentandola alla cittadinanza come “guerra” e mobilitando migliaia di riservisti, mentre il Ministro della Difesa, Yoav Gallant, ha annunciato un “assedio totale” su Gaza, definendo i militanti palestinesi come “animali umani” con cui è impossibile trattare. Attualmente la Striscia di Gaza, in cui vivono più di due milioni di persone, è senza forniture di elettricità, acqua e medicinali, ed è sotto il fuoco israeliano: finora sono almeno 950 i palestinesi uccisi e 5000 i feriti. Tra i numerosi articoli letti in questi giorni, abbiamo scelto di ripubblicare e tradurre quello che segue: è stato scritto da Haggai Matar, israeliano, obiettore di coscienza, giornalista pluripremiato e direttore esecutivo di 972 – Advancement of Citizen Journalism, un’associazione senza scopo di lucro impegnata per i diritti umani, la democrazia, la giustizia sociale e la fine dell’occupazione israeliana. Contrariamente all’opinione di molti connazionali, ma anche di molti media e politici occidentali, l’autore ricorda che l’attacco guidato da Hamas è radicato in una lunga storia di oppressione subita dai palestinesi sotto il regime israeliano di occupazione militare. Se, da una parte, partecipa al dolore e all’angoscia della sua comunità sotto attacco, dall’altra parte, Matar invita a riflettere sul contesto e sul fatto che gli israeliani stiano vivendo in questi giorni quello che i palestinesi vivono da decenni, privati non solo della prospettiva di libertà e indipendenza politica, ma anche della mera possibilità di vivere in modo degno. In controtendenza rispetto alle voci di odio e vendetta, che invocano la distruzione totale di Gaza e chiudono a qualsiasi negoziato con Hamas e col fronte palestinese, l’autore invoca la necessità di perseguire una pace giusta e duratura. Non esiste una soluzione militare al conflitto israelo-palestinese e l’uso della violenza contro i civili è, in ogni circostanza, una violazione del diritto internazionale umanitario. L’unica soluzione, afferma l’autore in conclusione, è quella di “porre fine all’apartheid, all’occupazione e all’assedio e lavorare per un futuro basato sulla giustizia e sull’uguaglianza per tutte e tutti noi”.
di Haggai Matar
Il 7 ottobre è stata una giornata terribile. Dopo esserci svegliati con le sirene aeree, sotto una raffica di centinaia di razzi lanciati sulle città israeliane, abbiamo saputo dell’attacco senza precedenti dei militanti palestinesi provenienti da Gaza alle città israeliane confinanti con la Striscia.
Le prime notizie – in continuo aggiornamento – parlano di almeno 700 israeliani uccisi e di centinaia di feriti, oltre ai molti rapiti portati a Gaza. Nel frattempo, l’esercito israeliano ha già avviato la propria offensiva sulla Striscia sotto assedio, con la mobilitazione delle truppe lungo la recinzione e attacchi aerei che, finora, hanno ucciso e ferito centinaia di palestinesi. Il terrore delle persone che vedono militanti armati nelle loro strade e nelle loro case, o la vista di aerei da combattimento e carri armati in avvicinamento, è inimmaginabile. Gli attacchi contro i civili sono crimini di guerra e il mio cuore va alle vittime e alle loro famiglie.
Però, contrariamente a quanto dicono molti israeliani, e nonostante l’esercito israeliano sia stato chiaramente colto del tutto alla sprovvista da questa invasione, non si tratta di un attacco “unilaterale” o “non provocato”. La paura che gli israeliani provano in questo momento, me compreso, è solo una parte di ciò che i palestinesi provano quotidianamente sotto il regime militare decennale in Cisgiordania e sotto l’assedio e i ripetuti attacchi a Gaza da parte di Israele. Le reazioni che sentiamo oggi da molti israeliani – che chiedono di “radere al suolo Gaza”, perché “questi sono selvaggi, non persone con cui si può negoziare”, “stanno assassinando intere famiglie”, “non ci sono margini di discussione con queste persone” – sono esattamente quelle che ho ascoltato innumerevoli volte dai palestinesi sotto occupazione riguardo agli israeliani.
L’attentato di questa mattina ha anche contesti più recenti. Uno di questi è l’orizzonte incombente di un accordo di normalizzazione dei rapporti tra Arabia Saudita e Israele. Per anni, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha sostenuto che la pace può essere raggiunta senza parlare con i palestinesi e senza fare loro alcuna concessione. Gli Accordi di Abramo hanno privato i palestinesi di una delle loro ultime carte di scambio e basi di sostegno: la solidarietà dei governi arabi, nonostante tale solidarietà sia stata a lungo discutibile. L’elevata probabilità di perdere forse il più importante degli stati arabi potrebbe aver contribuito a spingere Hamas al limite.
Nel frattempo, i commentatori avvertono da settimane che le recenti escalation nella Cisgiordania occupata stanno conducendo a sviluppi pericolosi. Nell’ultimo anno sono stati uccisi più palestinesi e israeliani che in qualsiasi altro anno dalla Seconda Intifada dei primi anni 2000. L’esercito israeliano effettua regolarmente raid nelle città palestinesi e nei campi profughi. Il governo di estrema destra sta dando mano libera ai coloni per creare nuovi insediamenti illegali e lanciare operazioni di vera e propria pulizia etnica in città e villaggi palestinesi, con i soldati che scortano i coloni mentre uccidono o mutilano i palestinesi che cercano di difendere le loro case. Nel mezzo delle festività, gli ebrei estremisti stanno sfidando l’accordo in vigore sull’accesso al Monte del Tempio/Moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme, sostenuti da politici che condividono la loro ideologia.
A Gaza, nel frattempo, l’assedio in corso continua a distruggere la vita di oltre due milioni di palestinesi, molti dei quali vivono in condizioni di estrema povertà e deprivazione, con scarso accesso all’acqua pulita e circa quattro ore di elettricità al giorno. Questo assedio non ha una fine programmata; anche un rapporto del Controllore di Stato israeliano ha rilevato che il governo non ha mai discusso di soluzioni a lungo termine per porre fine al blocco della Striscia, né ha preso seriamente in considerazione alcuna alternativa ai ricorrenti cicli di guerra e morte. L’assedio è, letteralmente, l’unica opzione che questo governo ha sul tavolo, in continuità con i suoi predecessori.
Le uniche risposte che i successivi governi israeliani hanno offerto al problema degli attacchi palestinesi da Gaza sono stati dei palliativi: se verranno via terra, costruiremo un muro; se passano attraverso i tunnel, costruiremo una barriera sotterranea; se lanciano razzi, installeremo un sistema anti-missile; se stanno uccidendo o hanno ucciso alcuni dei nostri, ne uccideremo molti di più. E così avanti, all’infinito.
Niente di tutto questo può essere invocato per giustificare l’uccisione di civili, una pratica intrinsecamente sbagliata. Ma serve a ricordarci che c’è una ragione per tutto ciò che sta accadendo oggi e che – come in tutti i casi precedenti – non esiste una soluzione militare al problema di Israele con Gaza, né alla resistenza che emerge naturalmente come risposta alla violenza dell’apartheid.
Negli ultimi mesi, centinaia di migliaia di israeliani hanno marciato per “la democrazia e l’uguaglianza” in tutto il paese, e molti hanno addirittura affermato che avrebbero rifiutato il servizio militare a causa delle tendenze autoritarie di questo governo. Ciò che questi manifestanti e soldati di riserva devono capire – soprattutto oggi, mentre molti di loro hanno già annunciato che interromperanno le loro proteste e si uniranno alla guerra contro Gaza – è che i palestinesi lottano per quelle stesse richieste e lo fanno da decenni, affrontando un Israele che nei loro confronti è già, ed è sempre stato, del tutto autoritario.
Mentre scrivo queste parole, sono seduto a casa mia a Tel Aviv, cercando di capire come proteggere la mia famiglia in una casa senza riparo e senza nessuna “stanza sicura”, seguendo con crescente panico le notizie e le voci di eventi orribili che hanno avuto luogo nel territorio israeliano. Le città vicino a Gaza che sono sotto attacco. Vedo persone, alcune delle quali miei amici, che chiedono sui social media di attaccare Gaza più ferocemente che mai. Alcuni israeliani dicono che ora è il momento di spianare completamente Gaza, invocando nei fatti un vero e proprio genocidio. Nonostante tutte le esplosioni, il terrore e lo spargimento di sangue, parlare di soluzioni pacifiche sembra loro una follia.
Eppure ricordo che tutto ciò che sento adesso, che ogni israeliano deve condividere, è stata l’esperienza di vita di milioni di palestinesi per troppo tempo. L’unica soluzione è quella di sempre: porre fine all’apartheid, all’occupazione e all’assedio e lavorare per un futuro basato sulla giustizia e sull’uguaglianza per tutte e tutti noi. Non è nonostante l’orrore che dobbiamo cambiare rotta: è proprio per questo.
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schizografia · 1 year ago
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La neve in Romania
A che cosa siamo fedeli, che cosa significa aver fede? Credere in un codice di opinioni, in un sistema di idee formulate in un’ideologia o in un «credo» religioso o politico? Se così fosse, fedeltà e fede sarebbero una triste faccenda, nient’altro che il tetro, compiaciuto dovere di eseguire prescrizioni dalle quali per qualche ragione ci sentiamo vincolati e obbligati. Una tale fede non sarebbe qualcosa di vivo, sarebbe lettera morta come quella che il giudice o lo sbirro ritengono di applicare nello svolgimento delle loro funzioni. L’idea che il fedele sia una specie di funzionario della sua fede è così ripugnante, che una ragazza, che aveva sopportato la tortura pur di non rivelare il nome dei suoi compagni, a coloro che elogiavano la sua fedeltà alle proprie idee rispose semplicemente: «non l’ho fatto per questo, l’ho fatto per capriccio».
Che cosa intendeva dire la ragazza, che esperienza della fedeltà voleva esprimere con le sue parole? Una riflessione su quella fede per eccellenza, che fino a qualche decennio fa era ancora considerata la fede religiosa, può fornirci indizi e riscontri per una risposta. Tanto più che proprio in questo ambito la Chiesa a partire dal Simbolo niceno (325 d.C.) ha ritenuto di dover fissare in una serie di dogmi, cioè di proposizioni vere, il contenuto della fede, ogni discordanza rispetto alle quali costituiva un’eresia condannabile. Nella lettera ai Romani Paolo sembra dirci anzi esattamente il contrario. Egli lega innanzitutto la fede alla parola («la fede viene dall’ascolto attraverso la parola di Cristo») e descrive l’esperienza della parola che è in questione nella fede come una immediata vicinanza di bocca e cuore: «Vicina (eggys, letteralmente alla mano) a te è la parola, nella tua bocca e nel tuo cuore, questa è la parola della fede… Col cuore infatti si crede nella giustizia, con la bocca si professa per la salvezza». Paolo riprende qui un passo del Deuteronomio che affermava questa stessa prossimità: «la parola è vicinissima nella tua bocca e nel tuo cuore ed è nelle tue mani attuarla».
L’esperienza della parola che è in questione nella fede non si riferisce al suo carattere denotativo, al suo corrispondere a dei fatti e a delle cose esteriori: è, piuttosto, esperienza di una vicinanza che ha luogo nell’intima corrispondenza tra bocca e cuore. Testimoniare della propria fede non significa fare delle affermazioni fattualmente vere (o false) come si fa in un processo. Non siamo fedeli, come nel credo o nel giuramento, a una serie di enunciati che corrispondono o non corrispondono a dei fatti. Siamo fedeli a un’esperienza della parola che sentiamo così vicina, che non c’è spazio per separarla da ciò che dice. La fede è, cioè, innanzitutto un’altra esperienza della parola rispetto a quella di cui crediamo di servirci per comunicare dei messaggi e dei significati ad essa esterni. A questa parola siamo fedeli perché, nella misura in cui non possiamo separare la bocca e il cuore, viviamo in essa e essa vive in noi. È una tale esperienza che doveva avere in mente quella ragazza berbera che, mentre un giorno le chiedevo che cosa la legava così fortemente a un uomo che diceva di aver amato e con il quale era vissuta per un anno in una capanna nelle montagne rumene, rispose: «io non sono fedele a lui, sono fedele alla neve in Romania».
30 agosto 2023
Giorgio Agamben
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piusolbiate · 4 months ago
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UFFICI DI PROSSIMITA'
Sono aperti al pubblico gli Uffici di Prossimità presso i Comuni di Busto Arsizio e Fagnano Olona.
Il progetto Ufficio di Prossimità, di cui in diverse occasioni si è discusso nei mesi scorsi, è un progetto a cui ha aderito Regione Lombardia, promosso dal Ministero della Giustizia nell’ambito del Programma Operativo Nazionale di Governance e Capacità Istituzionale 2014-2020 ed è volto ad attivare a livello nazionale, presso gli Enti locali, una rete di
sportelli in grado di offrire servizi omogenei in materia di Volontaria Giurisdizione, creando dei punti di contatto tra la Giustizia e i cittadini.
Il nostro Ambito ha aderito all’iniziativa regionale in partnership con il Comune di Busto Arsizio (capofila) e sono stati individuati i due sportelli di Busto e di Fagnano per garantire una adeguata copertura sul territorio degli 8 Comuni.
Gli uffici, in collaborazione con i Tribunali e gli Enti Locali, offrono un servizio gratuito di orientamento, informazione e assistenza per tutti i cittadini e si rivolgono soprattutto alle fasce deboli della popolazione, garantendo supporto per le funzioni giudiziarie che non prevendono il supporto di un legale.
I suddetti uffici, dove sarà operativa una dipendente dell’Azienda in affiancamento al personale comunale, saranno aperti:
- presso il Comune di Busto Arsizio il giovedì dalle 14:30 alle 17:30
- presso il Comune di Fagnano Olona il lunedì dalle 14:00 alle 18:00
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lamilanomagazine · 5 months ago
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Reliquia ex sanguine del Beato Padre Pino Puglisi collocata presso la cappella "Virgo fidelis"
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Reliquia ex sanguine del Beato Padre Pino Puglisi collocata presso la cappella "Virgo fidelis" Il 7 giugno, presso la Cappella “Virgo Fidelis” del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, si è svolta la cerimonia di collocazione di una reliquia ex sanguine del Beato Padre Giuseppe Puglisi. L’evento religioso, dall’alto valore simbolico per la caratura storica e morale del Presbitero e Martire siciliano, si è tenuto alla presenza del Comandante Generale, Gen. C.A. Teo Luzi, del Card. Marcello Semeraro, Prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi, di Mons. Santo Marcianò, Ordinario Militare per l’Italia, di Mons. Vincenzo Pizzimenti, Capo Servizio Assistenza Spirituale del Comando Generale, di alcuni Cappellani Militari, nonchè di una rappresentanza di Carabinieri in servizio al Comando. L’affidamento della reliquia è stato annunciato lo scorso 31 maggio, in occasione di un convegno alla Scuola Ufficiali, dall’Arcivescovo di Palermo Mons. Corrado Lorefice. L’iniziativa simboleggia la comune missione volta alla tutela della legalità attraverso il servizio di prossimità e specifiche iniziative sociali, seguendo gli esempi di vita del Beato Puglisi e dei tanti Carabinieri che, talvolta al costo dell’estremo sacrificio, si sono immolati e continuano a farlo nell’attività di contrasto alla criminalità organizzata sull’intero territorio nazionale. Don Pino Puglisi nacque a Palermo e dedicò l’intera esistenza ai giovani della città, affinché l’impegno sociale li allontanasse dal pericolo di essere plagiati dalla mafia, con la consapevolezza del predominio morale dei più alti valori della vita sull’inganno mafioso. Dopo aver ricoperto l’incarico di pro-rettore del seminario minore di Palermo, incitato ad animare diverse realtà e movimenti locali tra cui l’Azione Cattolica e la Fuci, nel 1990, venne nominato parroco a San Gaetano, nel quartiere Brancaccio, dove nel gennaio 1993 inaugurò un centro per la promozione umana e l’evangelizzazione. La sera del 15 settembre dello stesso anno, il giorno del suo 56° compleanno, venne ucciso in un agguato mafioso mentre si accingeva a tornare presso la propria abitazione. Dal 2013, anno della Beatificazione, riposa nella Cattedrale di Palermo. La cerimonia, molto sentita e partecipata, ha suscitato tra i presenti grande orgoglio per la presenza della reliquia di un Martire della lotta alla criminalità mafiosa. Il Card. Marcello Semeraro, soffermandosi sul Beato Puglisi, ha detto: “non era un componente dell’Arma, tuttavia ci sono nella sua vita molti aspetti che lo rendono molto simile, molto vicino ai vostri ideali e ai vostri progetti istituzionali…la forma di vita del beato Puglisi è molto simile alla vostra, soprattutto nella vicinanza al popolo, nella vicinanza alla gente semplice in modo particolare alle fasce deboli”. Il Cardinale ha posto in evidenza le virtù del Martire: “…nel caso del Beato Puglisi si è trattato di subire un’uccisione per la ragione della giustizia, della fraternità, della solidarietà e della vicinanza al popolo e sono questi gli ideali che istituzionalmente vi caratterizzano, sono queste le ragioni per cui con piacere sono qui insieme con voi per questa circostanza e rinnovo la mia gratitudine sincera per il vostro lavoro”. Il Comandante Generale dell’Arma, ha esordito menzionando il motto di Don Puglisi “se ognuno fa qualcosa”, “che è molto sentito dai palermitani, diventando un principio di carattere generale, ovvero non subire gli altri, non subire violenze, non subire angherie, ma fare qualcosa per collaborare, per ottenere una società migliore ed è proprio questo quello che, da un punto di vista del rapporto sociale, ha animato Don Puglisi, uomo di grande fede.” Il Gen. C.A. Teo Luzi, dopo aver definito il beato come “un uomo che viveva tra la gente, molto legato al Comandante della Stazione”, ha poi aggiunto: “Avere una reliquia del Beato al Comando Generale è un messaggio rivolto a tutta l’Arma dei Carabinieri, quello di stare vicini alle persone che soffrono, facendolo da laici perché l’amore per il prossimo prescinde dal proprio ruolo e dalla propria funzione”. Il Comandante ha infine concluso: “L’auspicio è che Don Puglisi, attraverso questa reliquia, dal Comando Generale possa raggiungere ogni Carabiniere in ogni luogo d’Italia e lo possa ispirare a fare il proprio lavoro nel migliore dei modi, vicino alla gente e tra la gente”.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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jacopocioni · 10 months ago
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Per chi abita in… Borgo la Croce
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Chi non conosce Borgo la Croce? Una via che da piazza Sant'Ambrogio comincia costeggiando la chiesa omonima e il suo campanile, incrocia via dell'Ortone, poi via della Mattonaia e termina in piazza Beccaria. Come si arriva al nome Borgo la Croce? Un tempo l'Arno non aveva un percorso cosi lineare, anzi. Nei pressi di piazza Beccaria aveva un ansa cosi stretta nel suo percorso da generare un gorgo che sin dall'anno 1000 era chiamato Gurgo. Questo gorgo era in prossimità della porta presente in fondo alla via costruita nel 1284. Fu chiamata porta alla Croce per la presenza di una croce che ricordava dove era caduto San Miniato. Per questa ragione all'epoca la via assunse il nome di Croce al Gorgo. Il nome poi cambiò in Borgo della Porta alla Croce e rimase tale sino al fascismo che intitolò la via ad un caduto fascista; assunse il nome di via Dante Rossi. Finita l'era fascista alla via fu riassegnato il nome storico accorciandolo a Borgo la Croce.
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La via comincia con un tabernacolo dedicato a Sant'Ambrogio e presenta , o presentava, svariati e famosi palazzi, alcuni spariti in seguito a modifiche toponomastiche. Oltre ad una caratterista buchetta del vino al civico 59 vi troviamo l'Oratorio della Compagnia di Santa Maria della Neve al civico 36 e un grande tabernacolo al civico 15. Non vi si trova più, perché demolito nel 1961, il "mitico" Teatro giardino Alhambra oltre c'è lo Spedale di San Niccolò degli Aliotti, ultima sede della Compagnia di Santa Maria della Croce al Tempio. La compagnia fu trasferita da via San Giuseppe in Borgo la Croce perché cambiò il luogo della condanna a morte. Un tempo era presso i Prati della Giustizia nell'attuale piazza Piave e i condannati percorrevano come ultimo tratto via de' Malcontenti, poi fu spostata nell'attuale piazza Beccaria dove c'erano i pratelli della giustizia. Per questa ragione il percorso dei condannati a morte fu spostato attraverso Borgo la Croce e di conseguenza fu spostata la suddetta Compagnia di cui facevano parte i Battuti Neri, coloro che accompagnavano i condannati dal Bargello sino alla ghigliottina. La via ha sempre avuto una desinenza molto commerciale data la sua vicinanza con il mercato di Sant'Ambrogio. Oggi è per metà ancora carrabile e per metà esclusivamente pedonale ed è una zona ricca di vita non solo diurna, ma anche notturna grazie soprattutto agli studenti ed ai turisti che mangiano e bevono nei locali della via e circostanti.
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Jacopo Cioni Read the full article
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delectablywaywardbeard-blog · 10 months ago
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Giustizia: uffici di Prossimità, già erogati 4.350 servizi
Sono 25 le sedi degli Uffici di Prossimità aperti in Piemonte, regione pilota a livello nazionale dell’iniziativa promossa dal Ministero della Giustizia. “Un progetto di successo, un esempio di buona amministrazione che avvicina i servizi ai cittadini, soprattutto alle fasce deboli, superando la necessità di recarsi presso gli uffici giudiziari che spesso sono lontani e di difficile accesso”,…
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paoloxl · 3 years ago
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«Quel drone Usa partito da Sigonella fece strage in Libia» - Osservatorio Repressione
l 29 novembre 2018, un velivolo Usa («partito da Sigonella») colpisce il fuoristrada su cui viaggiavano 11 giovani di Ubari, in Libia. Il raid, secondo gli americani, «elimina» undici terroristi
di Lucia Capuzzi
La musica era la grande passione di Nasser Musa Warzmat Abdullah. Amava cantare e suonare alla chitarra i brani di Jimi Hendrix, Carlos Santana, Bob Marley. «Spesso lo accompagnavo, anche io suono. O, meglio, suonavo – racconta Modogaz Musa –. Da quel giorno, non riesco nemmeno più a guardare una chitarra: mi ricorda mio fratello, la sua morte assurda e fa troppo male». Il 29 novembre 2018, il fuoristrada su cui viaggiava il 34enne Nasser è stato colpito dal missile di un drone Usa in prossimità del villaggio di al-Awaynat nel sud-est del deserto libico. Con lui sono morti altri dieci uomini di età compresa tra i 25 e i 45 anni, tutti appartenenti alla comunità tuareg e provenienti da Ubari, distante un centinaio chilometri.
Il giorno successivo, lo United States Africa Command (Africom) ha annunciato pubblicamente di avere compiuto «un raid aereo ad alta precisione che ha ucciso undici terroristi di al-Qaeda nel Maghreb (Aqmi) e distrutto tre veicoli». Gli ospedali della zona hanno rifiutato di esaminare i corpi e di rilasciare il certificato di morte a dei caduti tanto ingombranti. Privati dei documenti, i loro resti carbonizzati hanno dovuto essere sepolti in una fossa comune. Morti anonimi, senza corpo né tomba. A sottrarli all’invisibilità è stata la pronta mobilitazione di familiari, amici e vicini, decisi a confutare la “verità ufficiale”. Quattro anni e moltissime marce, lettere, appelli, proteste, incontri istituzionali dopo, la loro battaglia nonviolenta ha portato a una denuncia internazionale depositata giovedì alla Procura di Siracusa dall’European Center for Constitutional and Human Rights (Ecchr), da Reprieve e dalla Rete Italiana Pace e Disarmo.
LA VICENDA
Dopo 4 anni di proteste, la denuncia internazionale alla Procura di Siracusa di Ecchr, Reprieve e Rete disarmo: «11 innocenti» Italia accusata di complicità in un’azione illecita
Una vicenda controversa Sono molti i punti oscuri della vicenda. In primis, la presunta affiliazione delle vittime ad Aqmi. Lo stesso braccio africano di al-Qaeda lo ha “smentito categoricamente” con un comunicato del 5 dicembre 2018. Sette degli uccisi – Musa Ala Tuni Mohamed, Ighias Akhreeb Aksasooni, Al Mahmoud Ayoub Ibrahim, Hassan Mohammed Abu Baker al Sagheer, Eyad Mohammad Ighali Mohammed oltre a Nasser Musa – del resto, come dimostrano i documenti a cui Avvenire ha avuto accesso, lavoravano per le forze armate del Governo di accordo nazionale, riconosciuto e alleato dell’Occidente nella lotta contro il Daesh che, all’epoca, cingeva nella morsa la Libia. Altri due – Ibrahim e Ahmed Umla Mohammed Fono – si stavano addestrando per entrarvi. Nasser Abdullah era stato guardia di sicurezza dell’allora premier Abudallah al-Thani mentre Musa Mohamed, nel 2016, aveva combattuto, insieme agli Usa, per espellere il Califfato da Sirte. Gli ultimi due uccisi – Ahmed Kober al-Khadeer e Jumma Akhreeb – erano un docente e un educatore. «Dalle indagini effettuate sul campo, dall’analisi dei documenti, dalla raccolta di testimonianze, possiamo dire con certezza che si trattava di undici innocenti, colpiti mentre battevano il deserto alla ricerca di rottami di veicoli da rivendere», spiega Jennifer Gibson, avvocata di Reprieve. «Lo facevano per sfamare le proprie famiglie: il conflitto prolungato aveva bloccato il turismo, fonte di sostentamento delle comunità tuareg – aggiunge Francesca Cancellaro avvocata delle tre Ong –. I magri salari non erano sufficienti in un momento di enorme crisi. La loro morte, tra l’altro, ha lasciato mogli e figli privi di sostentamento ».
Omicidi mirati e dubbi legali Rendere giustizia alle vittime è la priorità, sostengono le organizzazioni denuncianti. Il caso – inedito per il nostro Paese –, tuttavia, ha implicazioni più ampie: rischia di aprire il “vaso di Pandora” dei fondamenti giuridici della “guerra al terrore”, dichiarata dagli Usa dopo l’attacco alle Torri gemelle. Un conflitto globale portato avanti in gran parte e con slancio crescente dalle ultime quattro Amministrazioni mediante i “ targeted killings” o esecuzioni mirate da parte di velivoli senza pilota. Arma quest’ultima sdoganata da George W. Bush che ordinò il primo raid, a Khost, in Afghanistan, il 4 febbraio 2002. E divenuta “strategica” durante la presidenza di Barack Obama. «Per questo, il caso di al-Awaynat è tanto importante. Se procedesse, potrebbe dimostrare l’illegalità del programma di “ targeted killings”– sottolinea Gibson –. E rappresenterebbe un messaggio potente per gli Stati che lo supportano. A partire dall’Italia».
L’Italia è coinvolta? Già l’Italia. Perché i denuncianti sostengono che il raid del 29 novembre 2018 sia partito dalla base di Sigonella, impiegata normalmente da Africom nell’ambito della campagna aerea anti-Daesh “ Odissey lightning” per liberare Sirte. L’operazione si è conclusa nel dicembre 2016. I raid in Libia, però, sono continuati, come sostengono New America e Airwars e dimostra lo stesso comunicato di Africom del 27 aprile 2020. Il giorno dell’attacco, Italmiradar, organizzazione che traccia il traffico aereo, ha segnalato un volo andata e ritorno di un drone Global Hawke da Sigonella verso la zona in cui si trova al-Awaynat. Testimonianze e analisi del terreno indicherebbero, poi, che là il velivolo sia arrivato da nord. Le uniche altre due basi Usa nella regione – la 101 di N’Djamey e la 201 di Agadez, entrambe in Niger – sono a sud. «La prima, inoltre, è un’ora più distante rispetto a Sigonella e non ci sono prove che sia stata impiegata in precedenza per i raid sulla Libia.
La seconda, invece, più vicina, è stata attrezzata con droni solo un anno dopo», afferma Gibson. Se, effettivamente, il drone è partito dalla Sicilia, le organizzazioni accusano l’Italia di aver partecipato ad un’operazione illecita. Nel 2018, “ Odissey lightning” era finita, dunque, gli Usa non erano più direttamente coinvolti nel conflitto libico. Le loro azioni, pertanto, andrebbero collocate non nell’ambito del diritto di guerra bensì di quello dei diritti umani e di quello penale. I requisiti perché un “ targeted killings” al di fuori di un conflitto armato sia legittimo – scrive Chantal Meloni, professoressa di Diritto penale internazionale all’Universit�� Statale di Milano negli atti del convegno all’ateneo milanese del 2019, come aveva già affermato sulla rivista de il Mulino nel 2013 – sono stringenti: necessità di scongiurare una minaccia imminente e di salvare vite umane da un attacco illecito per cui si rende indispensabile l’impiego della forza letale. «Non è il caso di al-Awaynat», dichiara Cancellaro. Pertanto, il raid, secondo la denuncia, è «illegittimo sotto il profilo del diritto nazionale e internazionale ». L’esposto vuole accertare le responsabilità dell’Italia, a cui l’accordo del 2006, sull’impiego della base di Sigonella da parte degli Usa, attribuisce un ruolo di garanzia e correlati poteri di intervento per impedire eventuali illeciti Usa. «La disputa legale si profila complessa – conclude Cancellaro –. Ma le prove della palese violazione del diritto alla vita di undici persone sono il primo necessario passo nella giusta direzione: giustizia per le undici vittime e la loro comunità. Il caso, inoltre, potrebbe costituire un importante precedente per impedire che il dramma si ripeta nel contesto della cosiddetta “Guerra dei droni”».
da Avvenire
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corallorosso · 3 years ago
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(...) Come è noto, il volo Itavia 870 era un regolare volo di linea da Bologna a Palermo, operato con un aereo in buone condizioni e molto affidabile, ai comandi del quale si trovava un pilota esperto. Il volo decollò da Bologna quella sera, con due ore di ritardo. Dopo meno di un’ora di volo regolare, in condizioni meteo ottime, l’aereo precipitò improvvisamente sul mare aperto, tra l’Isola di Ponza e quella di Ustica, provocando la morte dei 77 passeggeri e dei 4 membri dell’equipaggio. Fino dai primi giorni successivi al disastro, fu chiaro che tutti coloro che avrebbero dovuto collaborare con la magistratura per chiarire le cause del fatto, a partire dal governo allora in carica fino ai massimi livelli dell’Aeronautica Militare, cercavano invece di ostacolare le indagini. Si cercò prima di attribuire il fatto ad un guasto tecnico, poi di far credere che fosse dovuto all’esplosione di una bomba. Tuttavia, la magistratura e le perizie di parte civile non solo hanno confutato definitivamente queste ipotesi ma hanno anche dimostrato come il DC9 sia stato abbattuto da un’azione ostile esterna, essendo rimasto coinvolto in una battaglia aerea che quella sera infuriò nei cieli del Mediterraneo meridionale. Tuttavia, se è evidente che aerei libici furono una delle parti in conflitto, dato che un Mig 23 libico fu ritrovato abbattuto in Calabria (anche se i servizi di intelligence italiani fecero di tutto per non fare associare questo caso con l’abbattimento del DC9), non si è ancora riuscito a dimostrare in modo inequivocabile chi stesse combattendo contro di loro. I comandi NATO hanno sempre rifiutato di fornire alla magistratura italiana tutti i dati in loro possesso, nonostante la richiesta formale del Governo Prodi nel 1997, e lo stesso governo Gheddafi, dopo alcune iniziali oscure accuse alla NATO per la responsabilità dell’episodio, non ha mai fornito spiegazioni, né ammesso che aerei libici fossero coinvolti nel fatto. Diversi militari italiani, inclusi alti ufficiali, furono processati in connessione con la strage del DC9 per vari reati, tra i quali l’ostacolo alla giustizia e l’occultamento di prove. Alcuni sono stati assolti, altri condannati ma non perseguiti perché i reati a loro ascritti erano caduti in prescrizione. Nella sua sentenza del 31 agosto 1999, il giudice istruttore Rosario Priore ha comunque riconosciuto che il DC9 dell’Itavia, subito prima di iniziare a precipitare, fu affiancato da un altro aereo che stava probabilmente cercando in questo modo di ripararsi da un attacco del quale era oggetto. I tracciati radar, anche se manipolati, hanno infatti mostrato che in prossimità del velivolo civile si trovavano almeno sei o sette aerei, evidentemente tutti militari, dato che nessun altro aereo civile era presente nell’area in quel momento. Il 28 gennaio 2013 la Corte di Cassazione ha definitivamente sentenziato che il DC-9 Itavia cadde a causa di un missile o di una collisione con un aereo militare, essendosi trovato nel mezzo di una vera e propria azione di guerra. Tuttavia, i responsabili della strage e le sue stesse ragioni non sono ancora stati ufficialmente identificati. In ogni caso, l’ipotesi della collisione è da escludere, sia per il tipo di danni riscontrati sui resti recuperati del DC9, nei quali è ben visibile invece un grande foro chiaramente provocato da una causa esterna al velivolo, sia perché nessun altro relitto è stato individuato in prossimità di quello del DC9 durante il recupero. La versione inglese di Wikipedia, alla voce “Aerolinee Itavia flight 870” riporta invece testualmente: “Importanti fonti hanno sostenuto nei media italiani nel corso degli anni che l’aereo è stato abbattuto durante una battaglia aerea che coinvolse caccia libici, statunitensi, francesi e italiani, in un tentativo di assassinio, da parte di Stati membri della NATO, di un importante uomo politico libico, forse anche il leader Muammar al-Gheddafi, che stava volando nello stesso spazio aereo quella sera”. Tuttavia, con buona pace del defunto Presidente Cossiga, il quale, 27 anni dopo il fatto, avvenuto mentre era Presidente del Consiglio, affermò di sapere che il DC9 fu abbattuto da un missile francese, l’unica prova certa di una presenza militare occidentale nell’area al momento dell’abbattimento del volo Itavia 870 è un serbatoio ausiliario di carburante in dotazione solo ai caccia statunitensi, trovato non lontano dai resti del DC9. Inoltre, quando l’avvocato Ferrucci mostrò le immagini di tutti i caccia in servizio in tutte le aviazioni militari all’epoca dei fatti, che gli erano state fornite da chi scrive, a diversi cittadini calabresi, nessuno dei quali con la minima esperienza in aeronautica ma che avevano riferito che la sera del 27 luglio 1980 avevano visto diversi aerei inseguirsi l’un l’altro, tutti riconobbero tra gli inseguitori e gli inseguiti esclusivamente i MiG 23 e gli F-15 americani. (...) A Ciancarella, si rivolse, dopo la strage del DC9, il maresciallo Mario Alberto Dettori, radarista a Poggio Ballone, in servizio durante la notte del 27 luglio 1980. Dettori gli rivelò quei dettagli su quanto avevano visto i radar quella sera ed era stato poi occultato, dettagli che, trasmessi alla Magistratura, pesarono enormemente sulla sentenza del Giudice Priore. Tuttavia, Dettori, che già parlando con Ciancarella aveva detto di temere per la propria vita, non poté testimoniare perché venne trovato impiccato nel 1987, una delle “morti sospette” legate alla strage di Ustica che all’epoca fu molto sbrigativamente archiviata come suicidio. Anche l’ex-colonnello dell’AM Alessandro Marcucci, che insieme a Ciancarella stava indagando sulla sorte del DC9 e sulle dichiarazioni di Dettori, morì in un inspiegabile incidente aereo nel 1992, prima della sentenza di Priore. Su queste morti, la magistratura di Massa ha ripreso ad indagare nel 2013. (...) Vito Francesco Polcaro
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crisaore · 4 years ago
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Donna Meraviglia
Avete mai sentito parlare di Donna Meraviglia? Non parlo di Wonder Woman, l’amazzone dei fumetti DC, bensì dell’attrice. Ma che domanda sciocca! Chi non conosce la celeberrima Donna Meraviglia? Una star acclamata dalla critica e dai fan che è rimasta sempre umile e dolce, come se il successo non avesse scalfito il suo nobile animo. Per quanto sia ammirata in ogni angolo del paese, pochi sono a conoscenza di come sia nata la sua storia d’amore con Jean, l’uomo più invidiato dai maschietti. Si dà il caso che io conosca questa storia e voglia condividerla con voi. Alcuni anni fa Donna Meraviglia (userò sempre il suo soprannome perché penso le renda maggiormente giustizia) stava girando un film nella capitale; il set non era distante dal centro. Per tornare nell’albergo che la ospitava, distante solo qualche centinaio di metri, passeggiava in solitudine sotto i portici della piazza e nel mentre si specchiava nelle vetrine. Portava sempre gli occhiali da sole così che nessuno potesse scorgere la direzione del suo sguardo. Era un peccato perché pareva avere due smeraldi al posto degli occhi. Essi poi erano incorniciati da un viso incantevole e da una folta chiama di capelli rossi e mossi che le rimbalzavano candidamente sulle spalle mentre muoveva i suoi passi. Un fatto molto curioso riguardava la sua andatura: camminava in maniera tutto sommato spedita per l’intero tragitto, tranne che in prossimità di una piccola bottega di giocattoli. Avvicinandosi a quel negozio indugiava sempre molto, ispezionando la vetrina prima di riprendere il proprio itinerario. Giorno dopo giorno quella tappa divenne un appuntamento fisso, fino a che a un certo punto furono chiare le sue motivazioni: il giocattolaio era un uomo affascinante, capelli scuri, occhi castani e sorriso innocente. Spesso i due si sorridevano perché le traiettorie dei loro sguardi si incrociavano accidentalmente. Così qualche tempo dopo Donna Meraviglia uscì dalla prassi che aveva ormai consolidato ed entrò nel negozio. Sarà stata anche una ruggente leonessa al cinema, ma in quell’antro pieno di balocchi si sentiva come una coniglietta spaventata. Si accodò ai clienti e iniziò a lanciare occhiate distratte in giro per il locale. Una foto appesa al muro catturò inesorabilmente la sua attenzione: c’era lui e c’era una donna che lo baciava sulla guancia, la stessa donna che in quel preciso istante entrò da una stanza sul retro e gli disse: «Tesoro purtroppo abbiamo finito il peluche che mi chiedevi». Donna Meraviglia mosse alcuni passi silenziosi indietreggiando fino all’uscio. Una volta fuori si mise a correre senza una meta. Si spinse fino a un giardinetto non molto distante. Nella corsa inciampò in una radice scoperta e cadde nel prato. Si mise a frignare come una bimba e non per il dolore fisico. «Perdonami, ti sei fatta male?» disse un ragazzo con gli occhiali e i capelli a caschetto biondi, porgendole la mano per aiutarla a rialzarsi. Il resto è storia, perché quel giovane era Jean, l’attuale marito dell’attrice. Un racconto romantico degno delle pellicole in cui lei è protagonista. Come faccio a conoscere questi dettagli? Beh, penso che abbiate capito che il giocattolaio ero io. Il problema è che la donna della foto e del negozio era mia sorella, non la mia fidanzata, tant’è che corsi a cercare Donna Meraviglia, ma arrivai troppo tardi; purtroppo non tutte le storie sono a lieto fine.
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free--99 · 6 years ago
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Io non ci ho mai creduto alla storia che siano gli altri a toglierci le possibilità.
Coglione lo sai che è colpa tua. Dove scappi? Lo sai che ti stai rovinando con le tue mani? Sì proprio tu. Inutile che cerchi di farti vedere addolorato, triste, solo... È solo colpa tua se ora ti trovi dove sei arrivato, o no?
Io non ci ho mai creduto alla storia che siano gli altri a toglierci le possibilità.
Eppure posso assicurarti che la colpa non è solo mia, nono.
Io non ci ho proprio sempre creduto alla storia che siano gli altri a toglierci le possibilità.
Posso metterci la fragilità, il fastidio... Sento parlare di intolleranza all'omosessualità durante il regno fascista, di deportazioni in Italia ora in prossimità del giorno della Memoria, eppure, qui, non cambia nulla.
Io non ci ho sempre creduto alla storia che siano gli altri a toglierci le possibilità.
Figurati se cambiano gli eventi, se le persone che ci sono dietro non accennano a cambiare, eh no, non serve solo ricordare, serve capire.
Io ho creduto alla storia che siano gli altri a toglierci le possibilità.
Io credo che a volte ci facciamo del male noi, a volte lo riceviamo gratuitamente, a volte ce lo meritiamo, altre no.
Non ci credete al karma, è tutta un'invenzione: dovrete essere voi a farvi giustizia e tanto meglio se eviterete, vi mostrete disinteressati e indifferenti, lontani, distanti.
Ci perderete voi, ma tanto questo mondo è un vuoto a perdere, tanto vale contribuire no?
Io credo alla storia che siano gli altri a toglierci le possibilità.
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loveint-diario · 2 years ago
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“La morale riformata, la salute preservata, l’industria rinvigorita, l’istruzione diffusa, le cariche pubbliche alleggerite, l’economia stabile come su una roccia, il nodo gordiano delle leggi d’assistenza pubblica non tagliato, ma sciolto –tutto questo con una semplice idea architettonica.
[…]Un nuovo modo d’ottenere il dominio della mente sopra un’altra mente, in una maniera fino ad oggi senza esempio: e a un grado ugualmente senza precedenti, garantito da chiunque lo scelga contro l’abuso.”
Jeremy Bentham, Panopticon ovvero la casa d’ispezione.
L’idea di Bentham era semplice e ambiziosa, ma soprattutto era genuina, chiunque abbia letto il suo libro avrà di certo notato quanto il filosofo fosse profondamente convinto dell’idea che la consapevolezza di essere costantemente osservati, avrebbe portato ogni individuo ad agire moralmente e questo avrebbe garantito la fine delle guerre, la stabilità economica, la salute, il migliore dei mondi possibili insomma. Per farlo bastava dividere gli spazi di prigioni, ospedali, fabbriche, scuole e ogni altro luogo che prevedesse la presenza di molte persone, in modo che dal centro, dove era collocata una torre, fosse possibile osservare sempre ogni singolo individuo, ogni cella, ogni stanza, ogni officina, ogni classe e dalla quale si avesse anche una visione di tutto l’insieme, ottenendo quindi una sorveglianza capillare e globalizzata.
Ispirato, come tanti in quel periodo, dagli ideali della Rivoluzione francese, Bentham, forse interpretando in maniera un po’ troppo ottimistica il principio di fratellanza, immaginava che lo sguardo di un nostro simile fosse un deterrente sufficiente a non commettere abusi, illeciti e qualsiasi azione immorale. Questa sua idea prima di ispirare le opere di fantascienza letterarie e cinematografiche che tutti conosciamo, ha ispirato la scienza, infatti il Panopticon è stato, secondo M. Foucault, il pricipio conduttore delle architetture degli ospedali, dei sanatori e dei manicomi francesi della fine dell’Ottocento, periodo in cui la medicina clinica si istituzionalizza, s’inseririsce nel tessuto sociale occupando uno spazio anche visivo e concepisce le architetture degli edifici ospedalieri in modo da garantire questo sguardo individuale e centralizzato, con ampi stanzoni asettici atti ad evitare contagi, contatti, prossimità e assembramenti, pensati appositamente per separare i malati gli uni dagli altri, isolandoli, ma allo stesso tempo, mantenendo spazi aperti per un accurato controllo generale. La sensazione che ne ricava Foucault è quella di uno sguardo perenne su individui ridotti a corpi, corpi infetti, folli, malati, sporchi.
Alla fine dell’Ottocento, il principio di fratellanza sembra subire una corruzione di senso, da promotore e ispiratore di solidarietà tra i cittadini, diventa credito e giustificazione del potere di controllo di pochi, su quegli aspetti della società che riguardano la giustizia e la cura della salute. Assistiamo anche ad un’altra corruzione di senso, quella per cui il principio di cura non riguarda l’essere umano nella sua interezza, quale destinatario di un intervento, sociale o sanitario, che punti alla rimozione di stati temporanei di malattia o al contenimento di quelli acuti, sempre promuovendo la salute della persona in primis, ma diviene principio regolatore dei corpi, concepiti quali meri portatori di batteri, virus, demoni e impurità.
Ma per fortuna accadeva alla fine dell’Ottocento, quindi poco più di un secolo fa.
Quando venerdì scorso la Corte Suprema ha dichiarato l’aborto illegale, mi trovavo al Teatro Quirino, a Roma, stavo assistendo a un workshop sul trauma psichico con Bessel van der Kolk, il maggior esperto di trauma presente nel mondo. Fu proprio lui, di ritorno dalla pausa pranzo, a dare la notizia alla platea. Dopo aver condiviso con noi la sua tristezza per questo colpo di spugna che cancellava cinquant’anni di lotte per i diritti, ci ha confidato che la sua prima reazione è stata quella di chiamare sua moglie, per parlare con lei, esprimerle la sorpresa, la rabbia e la delusione che sentiva in quel momento.
Erano le stesse emozioni che stavo provando io e alle quali si aggiungevano timore e preoccupazione. Il timore è per le ricadute e le ripercussioni che questa decisione avrà inevitabilmente sugli altri Paesi del mondo, ma sono anche preoccupata perché essendo una persona che ama immaginarsi il futuro più che rimpiangere il passato, mi sembra che questa decisione stia togliendo a milioni di bambini e bambine, il diritto di nascere da una madre che li desidera e che desidera metterli al mondo; penso che la conseguenza più grave di questa sentenza sarà un aumento inarrestabile di traumi e di sofferenza delle donne di oggi e di domani, e di tutti i costretti a nascere. Mi fa sentire triste costatare che ancora una volta, con un sol colpo di martello siamo diventat* soltanto corpi che devono essere costantemente vigilati e sentire che siamo molto lontani da quel principio di solidarietà che spontaneamente guida gli esseri umani a farsi vicini nei momenti difficili. Che l’Altro possa fungere da regolatore dei nostri comportamenti e del nostro benessere, è perfettamente visibile nelle chiamata di van der Kolk a sua moglie, e anche se non abbiamo assistito alla loro telefonata, abbiamo tutti riconosciuto quel bisogno di raggiungere la persona a noi più intima, quella alla quale siamo più legati, quando un evento ci confonde o ci ferisce. Lo sguardo comprensivo di chi ci aiuta a crescere, la sua presenza affidabile e la sua cura affettiva sono ciò che garantisce il nostro benessere fisico e la nostra salute mentale, e che rappresenta la più consistente prevenzione ai traumi psichici. Così come uno sguardo intrusivo e controllante può compromettere la nostra salute e traumatizzarci.
La pratica di stalking online è resa possibile dall’esistenza di un’architettura informatica capace di permettere una sorveglianza capillare e globalizzata a livello mondiale, che può essere tranquillamente usata da chi abbia le compentenze necessarie per farlo. Questo strumento creato cavalcando la retorica dei buoni contro i cattivi e del paternalistico “è per il bene della nostra società”, permette a un uomo, che si trova in una qualsiasi parte del mondo, di cancellare il suo corpo, la sua visibilità e la sua responsabilità, di diventare sguardo disincarnato, silenzioso, abusivo e predatorio della mia vita privata, del mio corpo. La sua impunità è garantita da un sistema che promuove la sorveglianza di massa, deumanizza i corpi e manipola la realtà che ci circonda, di modo che la violenza venga spacciata per amore.
Durante questi anni, mi sono sentita spesso annientata da un senso di impotenza nel contrastare questo stalker, perché non avevo le informazioni giuste, le competenze sufficienti o le risorse economiche adeguate, i momenti più duri li ho attraversati da sola, ma ho potuto farlo grazie al conforto che ricevevo dalle persone care che mi sono state vicino aiutandomi a non arrendermi. Portavo questo senso di impotenza con me e lo trasmettevo anche a loro, che nonostante mi stessero dando ciò di cui avevo più bisogno, mi chiedevano di dirgli cosa potessero fare ancora per me. Rispondevo sempre che non c’era niente che potessero fare, perché io stessa non vedevo una via d’uscita. Oggi penso che l’unica via di uscita sia proprio nella solidarietà, nell’esprimere il proprio dissenso per ogni abuso di potere, nel partecipare alle lotte di chi difende il proprio diritto ad una vita felice, non soltanto degna di essere vissuta, nel sostenere la solitudine di chi resiste in queste battaglie con parole, musica e azioni, nel farsi sguardo comprensivo e regolatore della morale sociale.
Oggi chiederei questo di fare per me, ai miei amici e alle mie amiche, alle persone care, a quelle che lo sono diventate in questi anni e a quelle che spero lo diventeranno.
Roma 27/06/2022 h 09:00pm
Capitolo 5 La casa d'ispezione
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e-o-t-w · 3 years ago
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Eyes on the world #44
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Giugno ✅ Caldo ✅ News ✅
Abbiamo tutti gli elementi per iniziare al meglio questo mese. Le notizie sono altrettanto positive? Diciamo (di no).
Intanto cominciamo con le 6 principali. Prima destinazione? Italia. Buona domenica! 👇
🇮🇹 Dopo 25 anni di carcere, Giovanni Brusca, noto boss di San Giuseppe Jato e colui che azionò il dispositivo che fece esplodere la bomba di Capaci, è tornato in libertà. Facciamo ordine. Venne arrestato nel 1996 e posto nel carcere romano di Rebibbia. Condannato a 30 anni, ha usufruito di uno sconto di pena applicato a tutti i detenuti, facendoli diventare 25. La sua scarcerazione non sarà totale, dal momento che verrà sottoposto a 4 anni di libertà vigilata, ma entrerà comunque nel programma per la sicurezza dei pentiti. Proprio così: la collaborazione con la giustizia ha abbassato la pena di Brusca, che si diceva non riuscisse a contare quanti delitti avesse commesso. Ha confessato, ha denunciato e ha fatto condannare altri mafiosi, evitando così l’ergastolo e “limitandosi” a 30 anni di carcere. Ovviamente le reazioni indignate non si sono fatte attendere, sotto tutti i fronti. Solo poche persone sono andate controcorrente; tra queste Maria Falcone (sorella di Giovanni, morto nella strage di Capaci), che ha commentato con amarezza l’uscita dal carcere di Brusca, ma – trattandosi di una legge voluta proprio dal fratello – va rispettata. La n.82 del 15 marzo 1991 fu una delle prime emanate per contrastare la criminalità organizzata, venendo poi modificata nella n.45 del 13 febbraio 2001. Da decenni ormai le informazioni condivise dai pentiti, diventati poi collaboratori di giustizia, aiutano le forze dell’ordine a combattere efficacemente la mafia, evitando che questa cresca senza alcun ostacolo. Modificare o (peggio) eliminare questa legge significherebbe bloccare un flusso di informazioni essenziale per la lotta alla criminalità. Brusca iniziò la sua collaborazione con la giustizia con un depistaggio, ma fallì nel tentativo di mettere in crisi le istituzioni. In seguito raccontò la strategia che mise in campo Totò Riina nella sua corsa a Cosa Nostra, di come lui fosse uno dei suoi membri più efficaci e delle trattative Stato-mafia.
🇱🇰 In #SriLanka è attualmente in corso un disastro ambientale senza precedenti. Lo scorso 20 maggio, una nave cargo partita pochi giorni prima da Hazira (India) che trasportava numerosi materiali chimici, ha preso fuoco al largo delle coste dell’isola, non distante dalla capitale Colombo. Si sono riversate immediatamente in acqua microplastiche e carburante, raggiungendo le spiagge e danneggiando in modo grave la fauna locale. Si parla di circa 25 tonnellate di acido nitrico (principale indiziato dell’incendio principale), idrossido di sodio e diversi altri componenti chimici pericolosi, oltre a materiali grezzi per produrre buste di plastica. Come se non bastasse, nella nave erano presenti oltre 300 tonnellate di carburante. Spegnere il fuoco non è stato per nulla facile, data la violenza dei venti monsonici e l’elevata infiammabilità degli elementi contenuti nella nave. Pesci, coralli e mangrovie in primis hanno riportato danni che potrebbero impiegare decenni per sistemarsi. I materiali plastici vengono spesso ingeriti dalla fauna locale, oltre a essersi depositati sui fondali delle spiagge della zona e necessitare di parecchi bulldozer per essere rimossi. Ovviamente è stata vietata la pesca nel giro di 50 miglia nautiche dal luogo dell’incidente e le autorità hanno raccomandato alle popolazioni locali di non avvicinarsi ai materiali per via della possibile tossicità. Potrebbero volerci mesi interi per ripulire l’intero sito. Inoltre all’inizio si pensava fosse sicuro spostare la nave più a largo (evitando così ulteriori danni in prossimità delle coste), ma ben presto la situazione è cambiata. Il cargo è affondato mercoledì, a una distanza di circa 17 km dal porto di Kepungoda. Le squadre di soccorso hanno provato a trascinarla lontano, ma senza successo. La responsabile dell’Autorità di protezione ambientale marina dello Sri Lanka, Dharshani Lahandapura, ha affermato che nel paese non è mai accaduto qualcosa di simile e che si tratti di una delle calamità peggiori nella storia del paese.
☣ L’ex #ILVA di Taranto, ancora sotto i riflettori. La Corte d’Assise locale ha ordinato la confisca degli impianti dell’area a caldo dell’acciaieria, ma si aspetterà la decisione della Corte di Cassazione per interromperne l’operatività. Nel frattempo, sarà il Consiglio di Stato a emettere una nuova sentenza, che teoricamente potrebbe anche anticipare la Cassazione e “spegnere” una volta per tutte il sito. Questa operazione non è tuttavia semplice e, qualora fosse portata a termine, comporterebbe l’impossibilità di riaprirlo anche in caso di futuri ribaltamenti giudiziari. Insieme alle decisioni della Corte d’Assise sull’impianto, sono arrivate sentenze di primo grado (e condanne) per gli ex amministratori e proprietari dell’azienda, Nicola e Fabio Riva. Secondo il tribunale, dovranno scontare rispettivamente 20 e 22 anni di carcere con accuse che vanno dall’avvelenamento di sostanze alimentari al concorso in associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale. Come si è arrivati a queste sentenze? Con un tira e molla infinito che ha visto protagonisti ILVA, TAR della Puglia e #ArcelorMittal, multinazionale che gestisce gli stabilimenti. La discussione verte principalmente sull’inquinamento generato dagli altiforni del polo siderurgico (gli impianti dell’area a caldo), accuse che i gestori dell’impianto – ovviamente – respingono. Pur essendo considerato strategico per l’economia nazionale, l’ex ILVA è sotto sequestro dal 2012 per ordine della Procura di Taranto, ma per il suddetto motivo ha continuato a operare, anche nell’ambito di un programma di risanamento ambientale per ridurne gli effetti inquinanti. Con pochi risultati evidentemente. La questione si gioca anche su un piano differente: il ramo di ArcelorMittal che gestisce gli stabilimenti è stato acquisito da Invitalia, un’agenzia controllata dal ministero dell’Economia. In quest’ottica, la sentenza del Consiglio di Stato assume quindi un aspetto diverso, nel quale tutti sono in attesa di scoprire cosa sarà possibile fare dell’ex ILVA e come lo Stato potrà intervenire per salvaguardare gli abitanti di Taranto (in primis).
👀 Diversi giornali europei hanno collaborato nella pubblicazione di un’inchiesta che vedrebbe al centro del dibattito il rapporto tra intelligence danese e #USA. La prima avrebbe aiutato gli Stati Uniti a sorvegliare diversi leader europei, tra cui spiccano paesi come Francia e Germania. A far discutere è soprattutto quest’ultima, con #AngelaMerkel osservata n.1. La #NSA, l’agenzia per la sicurezza nazionale statunitense, avrebbe spiato persino le comunicazioni del cellulare della cancelliera tra il 2012 e il 2014. Fu #EdwardSnowden, ex consulente NSA, a far emergere questi particolari. Le novità rispetto ad allora riguardano la partnership tra il servizio di intelligence della difesa (FE) danese e la stessa NSA e un rapporto che evidenzierebbe possibili abusi della collaborazione da parte dell’agenzia americana. La #Danimarca sarebbe stata scelta per la posizione geografica; infatti si trova al centro di una complessa rete di scambio di dati provenienti dalle connessioni a Internet di stati chiave europei: dalla Germana al Regno Unito, passando per i Paesi Bassi e gli stati del nord. Questa mole di dati sarebbe stata raccolta e spedita in un centro fuori Copenaghen, dove sarebbe stata analizzata estraendo tutte le informazioni al suo interno. Oltre ad Angela Merkel, sarebbero stati spiati anche l’attuale presidente della repubblica tedesca Frank-Walter Steinmeier e l’ex leader dell’opposizione Peer Steinbrück. Nonostante tutto, pur essendo pratiche note (e condannate) da tempo, la situazione sembra essere stata appianata. Sicuramente se ne riparlerà quando il presidente americano #JoeBiden prenderà parte a un incontro del G7 in Regno Unito a metà giugno, oltre che a un vertice NATO e un summit con l’UE. Tornando alla Danimarca, ha fatto molto discutere l’approvazione della proposta di legge sull’immigrazione. In sostanza, tutte le domande d’asilo saranno esaminate da un paese “terzo” che si farà carico di accogliere tutti i richiedenti. In altre parole, chi chiederà aiuto alla Danimarca non potrà entrare in territorio danese nemmeno con lo status di rifugiato. Non ancora noto il “paese terzo” che si farà carico delle domande.
📱 Come sta proseguendo il processo di antitrust contro #Apple? Il dibattimento si è concluso questa settimana e vede contrapposti il gigante tech e la #EpicGames, la società che produce il videogame Fortnite. Questa ha accusato la Apple di abusare della sua posizione dominante sull’App Store. Il risultato di questo processo potrebbe cambiare il modo in cui vengono gestiti gli store di app, ma potrebbero volerci anni per vedere i risultati. La giudice Yvonne Gonzalez Rogers ha sentito tutte le parti in causa e nei prossimi mesi prenderà una decisione. Lo scorso agosto, Epic aveva introdotto all’interno dell’app di Fortnite un proprio sistema di pagamento, diverso da quello dell’App Store (o del Play Store di Google). Per tutta risposta, le due compagnie eliminarono il videogame dalle loro piattaforme, con la Epic che ha fatto causa a entrambe. Il dibattimento più acceso è quello con Apple, che ha un controllo più ferreo sulle app candidate a entrare nel suo store. Per finanziare questo sistema di verifica, Apple chiede il 30% di tutte le transazioni fatte in ogni app. Quando ci si abbona a un qualsiasi giornale su iPhone, Apple si prende il 30% del prezzo. Ciò penalizza anche tutte le app non sviluppate da Apple stessa: Spotify ad esempio guadagna il 30% in meno rispetto ad Apple Music. Inoltre, se l’app del suddetto giornale facesse abbonare con un rimando al proprio sito, Apple la rimuoverebbe. Il tema è: c’è un abuso della propria posizione privilegiata? La principale difesa di Apple consiste nel fatto che Fortnite possa essere scaricato ovunque, non solo sui suoi dispositivi, che quindi non starebbe ostacolando in nessun modo la crescita della società. Di contro, quest’ultima parla di concorrenza sleale all’interno dei device Apple, con la soglia del 30% rimasta immutata dal 2008 (in caso ci fossero competitor, sarebbe dovuta cambiare). Se da un lato sembra giusto che il gigante si goda i proventi dei rischi che ha preso negli anni e degli investimenti fatti, dall’altra non è chiaro a quanto ammontino e che differenza ci sia tra le due voci (spese – ricavi). Tuttavia, imporre ad Apple modifiche nei metodi di pagamento potrebbe essere difficile da ottenere.
🎾 Ha fatto parlare molto di sé la tennista #NaomiOsaka, dopo la sua decisione di ritirarsi dal #RolandGarros di Parigi. La questione è nata quando, circa 10 giorni fa, la giapponese aveva annunciato che non avrebbe preso parte alle conferenze stampa (obbligatorie) previste dopo le partite per tutelare la sua #salutementale. Per questo motivo, domenica scorsa è stata multata di $15.000. La Osaka ha annunciato il suo ritiro dal torneo su Twitter, spiegando di aver sofferto di depressione e di non voler “rubare la scena” ai tennisti coinvolti nella competizione. È normale che per diversi atleti lo sforzo di prepararsi all’incontro richieda già di per sé molte energie. Impegnarsi anche per rispondere ai giornalisti in modo “giusto” può aggiungere stress prima – o dopo – la propria performance. È proprio questo che la Osaka ha sottolineato, dicendo che molto spesso non c’è alcuna sensibilità per la salute mentale degli atleti. Va detto come spesso le conferenze stampa stesse si trasformino in occasioni di entrate aggiuntive, dato il numero di sponsor presenti alle spalle degli atleti. Nello stesso tempo questi stanno diventando sempre più padroni di gestire in autonomia i propri messaggi e stabilire le condizioni migliori.
Ripartiamo con le menzioni d’onore 👇
- Da ieri le compagnie aeree della #Bielorussia non potranno più volare nello spazio aereo dell’UE. Non potranno nemmeno far atterrare o decollare voli da aeroporti dei paesi membri.
- La tennista Yana Sizikova è stata arrestata e poi rilasciata con l’accusa di aver truccato delle partite del Roland Garros dello scorso anno.
- Ricordate la piattaforma di comunicazione aperta da Donald Trump sul suo sito internet qualche settimana fa? È stata già chiusa e messa offline a titolo definitivo. Intanto #Facebook ha fatto sapere che il ban dell’ex presidente americano è valido almeno fino al 7 gennaio 2023.
- Dopo il nuovo golpe in Mali, la Francia ha sospeso a titolo precauzionale la cooperazione militare con il paese. Anche gli Stati Uniti hanno preso la stessa decisione.
- Un gravissimo attacco terroristico, non ancora rivendicato, ha portato alla morte di oltre 100 persone in Burkina Faso tra venerdì e sabato.
- Jason Dupasquier, pilota svizzero di 19 anni della Moto3, è morto lo scorso weekend durante le prove del GP d’Italia. Dopo essere caduto in una delle curve del circuito, è stato investito da 2 moto ed è parso subito in condizioni critiche.
- Arriva il “#Netflix della cultura”. ITsART è la piattaforma promossa dal ministero della Cultura con all’interno oltre 700 titoli tra film, spettacoli teatrali/musicali ed eventi vari. È possibile registrarsi al sito itsart.tv.
- Autostrade per l’Italia sarà venduta a Cassa Depositi e Prestiti, la società finanziaria controllata quasi interamente dal ministero dell’Economia. Gli azionisti di Atlantia, che fanno capo alla famiglia Benetton, hanno dato l’ok all’operazione e il costo sarà di €7,9 mld.
- Lo scorso sabato, decine di migliaia di persone si sono riversate nelle strade delle principali città del #Brasile per chiedere l’impeachment del presidente in carica Jair Bolsonaro. Moltissimi lo ritengono responsabile della disastrosa gestione della pandemia, che ha portato oltre 500.000 morti, e di numerose altre discutibili scelte politiche.
- In una presentazione circolata internamente è emerso che oltre il 60% dei prodotti della #Nestlé più diffusi sul mercato non sono considerati alimenti salutari. Pur essendo stati molti i miglioramenti negli ultimi anni, ancora gli standard sono molto bassi.
- Ennesimo attacco ai danni di una scuola in #Nigeria. Oltre 100 bambini sono stati rapiti domenica scorsa a meno di 200 km dalla capitale Abuja. Nel frattempo Twitter è stato bloccato nel paese fino a data da destinarsi poiché considerato “dannoso” per il paese.
- Dal 1979 al 2016 in #Cina era in vigore una legge nota come “politica del figlio unico” che consentiva alle famiglie di avere solo un figlio, per evitare di sovrappopolare il paese. Dal 2016 il limite fu spostato a 2 a causa dell’invecchiamento medio degli abitanti (un rischio per la crescita economica). Non avendo portato i frutti sperati, adesso il Partito comunista ha deciso di permettere 3 figli a coppia.
- Eliminati dai playoff #NBA i campioni in carica LA Lakers. È la prima volta che LeBron James non supera il primo turno in 15 apparizioni.
- I ministri delle Finanze, durante il #G7 riunito a Londra, hanno annunciato che si impegneranno nell’istituire una tassa globale del 15% indirizzata alle multinazionali che operino in quei paesi, a prescindere da dove abbiano la sede. Per un accordo più solido, bisognerà aspettare il G20 di luglio e la successiva riunione del G7 di ottobre, ma è già un primo passo importante.
- Una possibile svolta nell’incidente del #Mottarone potrebbero essere le immagini girate da un videoamatore svizzero tra 2014 e 2018. Le foto, riprese dalla tv tedesca ZDF, mostrano come il famoso “forchettone” (utilizzato per impedire che i freni di emergenza si attivassero durante le operazioni di manutenzione) fosse già utilizzato anni fa, con la funivia in servizio.
- Isaac Herzog, leader dell’opposizione israeliana dal 2013 al 2018, è il nuovo presidente di #Israele. È stato eletto dal parlamento con 87 voti favorevoli su 120 totali. Inoltre, tutti i principali partiti d’opposizione hanno trovato un accordo per formare un governo che metta fine al dominio lungo 12 anni di Benjamin Nenanyahu.
- #Twitter ha reso disponibile una versione a pagamento in Canada e Australia, chiamata Twitter Blue. Tra le feature aggiuntive la possibilità di annullare un tweet appena pubblicato e di raccogliere i tweet di un thread in un testo unico. Il prezzo si aggira intorno ai 4-5$ al mese.
- Migliaia di agenti mobilitati dal governo cinese hanno impedito la commemorazione a Hong Kong della strage di Piazza Tienanmen, compiuta a Pechino nel 1989.
- Il cardinale tedesco Reinhard Marx ha inviato le proprie dimissioni a Papa Francesco. Ha affermato di essersi sentito colpevole per aver taciuto di fronte a casi di abusi o per non aver agito in fretta, preferendo tutelare l’immagine della #Chiesa cattolica.
- La #CommissioneEuropea ha aperto un’indagine nei confronti di Facebook riguardo il modo di utilizzare i dati provenienti dalle inserzioni per favorire il proprio Marketplace rispetto alla concorrenza.
- In continuità con il predecessore Donald Trump, Joe Biden ha vietato con un ordine esecutivo investimenti in 59 aziende cinesi con stretti rapporti con l’esercito.
Alla prossima 👋
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lamilanomagazine · 7 months ago
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In Veneto attivati 27 Uffici di Prossimità
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In Veneto attivati 27 Uffici di Prossimità. "Il Veneto è la Regione più avanzata in Italia nell'attivazione degli Uffici di Prossimità, la rete di sportelli territoriali che avvicina la giustizia ai cittadini, offrendo una serie di servizi di consulenza e deposito nell'ambito della Volontaria Giurisdizione senza doversi recare nelle Cancellerie degli Uffici giudiziari. Sono 35 gli Enti che hanno risposto all'avviso pubblico di manifestazione di interesse e confermato la partecipazione al progetto attivato dalla Regione del Veneto e realizzato con il supporto del Raggruppamento Temporaneo d'impresa di cui è capofila Intellera Consulting, coinvolgendo un bacino di utenza di oltre 860mila persone, e che si è occupato della configurazione degli UdP e delle attività di formazione del personale addetto". È quanto ha dichiarato l'assessore regionale all'istruzione, Formazione, Lavoro e Pari opportunità, Elena Donazzan, nel corso del Tavolo Tecnico regionale "La rete di uffici di prossimità della Regione Veneto, stato dell'arte e prospettive future" che si è svolto a Montebelluna e a cui hanno partecipato, oltre agli esponenti della Regione e del Ministero della Giustizia, anche alcuni referenti degli Uffici Giudiziari e degli Enti territoriali coinvolti. Ad oggi, 27 Uffici di Prossimità sono stati attivati sul territorio regionale. A questi nei prossimi mesi se ne aggiungeranno ulteriori 8. "Quella del Veneto rappresenta l'esperienza più avanzata tra le 15 Regioni aderenti al Progetto Complesso degli Uffici di Prossimità promosso dal Ministero della Giustizia nell'ambito del Programma Operativo Complementare al PON Governance e Capacità Istituzionale 2014-2020" ha proseguito l'assessore. "Un'esperienza di successo di semplificazione dell'accesso dei cittadini al Sistema Giustizia che mira a fornire concreto supporto alle fasce deboli e a coloro che vivono aree geograficamente distanti dai Tribunali di riferimento. Oltre ad erogare un servizio di prossimità, gli Uffici consentono di decongestionare le attività dei Tribunali delegando al territorio l'attività di ricezione e accoglienza del pubblico e di interazione con le Cancellerie". Gli Uffici di Prossimità offrono informazioni e orientamento sugli istituti di protezione giuridica, distribuiscono modulistica, forniscono supporto nella predisposizione di atti che le parti possono redigere senza l'ausilio di un legale (come l'apertura di procedure di Amministrazione di Sostegno o le istanze al Giudice Tutelare), ma consentono anche il deposito telematico degli atti per conto degli utenti (dall'inizio del progetto presso gli UdP veneti ne sono stati effettuati oltre 200), forniscono informazioni sullo stato delle procedure di Volontaria Giurisdizione e consulenza sugli istituti di protezione giuridica per casi complessi. In regione sono già attivi gli UdP di Albignasego, Bovolenta, Adria, Badia Polesine, San Martino di Venezze, Taglio di Po, Castelfranco Veneto, Montebelluna, Oderzo, Pieve del Grappa, Dolo, Unione dei Comuni del Miranese, Unione dei Comuni di San Donà di Piave, Vigonovo, Caprino Veronese, Cerea, San Pietro in Cariano, Arzignano, Brendola, Cassola, Chiampo, Roana, San Vito di Leguzzano, Sossano, Thiene, Unione Montana Alto Astico, Unione Montana Pasubio Piccole Dolomiti. Nei prossimi mesi, saranno aperti in Unione Montana Agordina, Camponogara, Chioggia, San Martino di Lupari, Unione Adige Gua', San Bonifacio, Scorzè, Este.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Servizi giudiziari più vicini con gli uffici di prossimità
Parte da Olbia e proseguirà nel pomeriggio al porto dell’Isola Rossa (Trinità d’Agultu) il ciclo di inaugurazioni degli Uffici di prossimità che toccherà, tra novembre e dicembre, i 21 Comuni sardi interessati dal progetto regionale. Nati per rendere i servizi della Giustizia più vicini ai cittadini sardi, permetteranno di ricevere informazioni e presentare istanze nell’ambito della volontaria…
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paoloxl · 4 years ago
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Genova 2001 per noi? A tutto gas - Osservatorio Repressione
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Quest’anno ricorre il 20° anno dal G8 di Genova. Con questo articolo iniziamo a ripercorrere quelle tragiche giornate
A distanza ormai di 20 anni dalle “giornate di luglio a Genova 2001”, ripercorro questa brutta storia. Una vicenda quella dei CS non solo mia, ma  comune a migliaia, decine di migliaia di persone.
Certo, apparentemente una piccola cosa a confronto delle brutali percosse e torture di Diaz e Bolzaneto. Ma ci ricorda che per reprimere l’insubordinazione popolare le classi dominanti sono disposte a ricorrere a qualsiasi cosa. Anche alla guerra chimica. Meglio conoscere e possibilmente  prevenire.
TESTIMONIANZA DI UN GASSATO  (COSTRETTO SUO MALGRADO A RIPENSARCI)
Sinceramente. Nei mesi immediatamente successivi alle giornate del luglio 2001 non avevo più intenzione di ripensare a Genova . La sensazione di “scampato pericolo” (dopo aver conosciuto nei dettagli quale fosse stato trattamento subito dagli arrestati a Bolzaneto, le conseguenze dell’attacco notturno  in stile militare alla Diaz) era stata molto forte e aveva alimentato il desiderio di rimozione. In effetti, come molti altri, probabilmente mi ero illuso di esserne uscito illeso. Tuttavia, dopo aver trascorso il peggior inverno della mia vita (2001-2002), avevo dovuto prendere in seria considerazione la possibilità di aver subito danni biologici significativi (per quelli morali si può soprassedere) avendo inalato ( ma la contaminazione sembra avvenire anche attraverso la pelle, gli occhi…) i famigerati CS.
Con il senno di poi, non credo sia eccessivo parlare di un “esperimento di guerra chimica a bassa intensità in tempo di pace”.
Ma andiamo con ordine.
Sabato 21 luglio 2001 sono arrivato a Genova in pullman. Facevo parte della numerosa delegazione di membri di varie associazioni vicentine che intendevano portare – pacificamente – la loro protesta al G8:
Gocce di Giustizia, Movimento UNA (Uomo-Natura-Animali), Lipu, Lega per i diritti e la liberazione dei popoli, Rifondazione Comunista, diversi pacifisti della Casa per la Pace di Vicenza, Collettivo Spartakus, Centro Sociale “Ya Basta!”, alcuni sindacalisti della Cgil e della Cisl vicentine sensibili alle problematiche del Terzo Mondo.
Era inoltre mia intenzione raccogliere testimonianze da utilizzare per eventuali articoli. Durante il viaggio ho avuto una lunga conversazione con il compagno Arnaldo Cestaro, militante maoista dei primi anni Sessanta, sempre in prima linea in tutte le battaglie pacifiste e antimperialiste. Ricordo in particolare che per decenni l’ho visto picchettare ogni domenica, o quasi, la base militare “Pluto” di Longare.
Parlando dei vecchi tempi, gli avevo chiesto informazioni su tutti quei militanti di buona famiglia – spesso arroganti e autoritari – che dopo gli entusiasmi giovanili, erano rientrati nei loro ovili dorati. Mi spiegò che “uno era diventato dentista, un altro ingegnere, un altro ancora imprenditore…” E fin qui niente di strano, ovviamente. Però, aggiunse, la maggior parte di loro-  incontrandolo – fingeva di non conoscerlo.
 “Su quali basi – gli avevo chiesto – si permettono questo atteggiamento?”
Risposta: “Caro Sartori “te me pari bauco”. Ossia, tradotto dal veneto “mi sembri ingenuo” (ma tanto).
“Ma xe logico. In base all’articolo quinto: chi che ga fato i schei ga vinto” (non penso di doverlo tradurre).
Purtroppo per lui, l’ottimo e saggio Cestaro la sera non rientrava con noi in pullman ma si fermava a Genova (il giorno dopo voleva portare dei fiori sulla tomba di un vecchio amico) e andava a dormire alla Diaz. Ancora oggi, dopo tanti anni, porta i segni e le conseguenze delle percosse subite (braccia e gambe rotte).
Lo rividi,, sempre indomabile, soltanto l’anno dopo, a Firenze (mentre entrambi uscivamo dalla Fortezza da Basso per unirci al corteo del 9 novembre 2002) e poi in tante altre occasioni: dalle manifestazioni “NO-DALMOLIN” alle iniziative contro i rifiuti tossici sepolti sotto la A31.
Per quanto riguarda i gas CS di Genova 2001, personalmente ho subito una prima esposizione nel punto in cui il corteo, provenendo da Corso Italia, ha svoltato a destra, in prossimità dei Giardini Martin Luther King, e poi lungo Corso Torino in direzione di Piazza Ferraris, dove si doveva concludere – almeno ufficialmente – la manifestazione.
Come unica protezione avevo prima un fazzoletto e poi una maschera di carta (di quelle vendute in farmacia) che mi era stata data da un altro manifestante, il compagno Giorgio Fortune scomparso pochi anni dopo. Niente per gli occhi. Questo perché avevo considerato di partecipare ad una manifestazione pacifica e autorizzata, non pensando di dovermi attrezzare in alcun modo (in quanto ritenevo di potermi tenere il più lontano possibile da ogni eventuale “casino”).
Con il senno di poi, ovviamente, ho peccato di ingenuità (“baucaggine” direbbe Arnaldo) e di eccessiva fiducia nelle istituzioni.
Sono rimasto in zona per qualche minuto, il tempo necessario per scambiare qualche impressione con alcuni baschi che inalberavano una ikurrina listata a lutto (per Carlo Giuliani ovviamente).
Quindi rispetto al vero e proprio “casino” in atto, mi trovavo a qualche centinaio di metri di distanza anche se zaffate di gas arrivavano con una certa regolarità (presumo da Piazzale Kennedy), ma sul momento gli effetti non sembravano particolarmente intenso (avvertivo solamente una leggera irritazione agli occhi).
Ci tengo a precisare che in passato mi ero  ritrovato altre volte in prossimità di lacrimogeni (di tipo “normale”, presumibilmente), sia alla fine degli anni Sessanta che poi negli anni Settanta (quasi sempre in Italia). Successivamente, come fotografo e giornalista freelance negli anni Ottanta, Novanta e oltre, in vari “conflitti a bassa intensità” (come in Irlanda del Nord e nei Paesi Baschi), ma senza particolari conseguenze.
Al momento della carica che doveva spezzare il corteo in due sono riuscito a passare , anche se di poco.
Altro ricordo “fotografico”: un drappello di bandiere galleghe – bianche con la striscia diagonale blu e la stella rossa – illuminate dal sole che sfilavano in velocità davanti alla carica appena in tempo per non esserne travolte (come invece accadde all’improvvisato cordone).
Dopo poche centinaia di metri mi sono accorto che alle nostre spalle c’erano grossi problemi, sia per il fumo dei lacrimogeni (riocrdo il tunnel già intasato), sia per le “ondate” di persone in fuga che – ad ogni carica successiva – si mettevano improvvisamente a correre disordinatamente mettendo in moto tutto il corteo davanti (come un’onda , appunto), nonostante gli appelli alla calma.
Riuscivo comunque ad arrivare in piazza Ferraris e perfino a seguire i vari interventi (Hebe Bonafini, Giuliano Giuliani il padre di Carlo, Agnoletto, Bovè…) fino alla fine.
In questo momento di pausa ho avuto anche modo di apprezzare la grande eterogeneità della “moltitudine” presente. Citando alla rinfusa: il già intravisto drappello di bandiere bianche con striscia diagonale blu e stella rossa della Galizia; diverse bandiere gialle con le quattro strisce rosse dei catalani; bandiere con i quattro mori di un movimento indipendentista sardo (NON un partito, ci tengono ndr); qualche ikurrina basca (sia autentica che “apocrifa”, quelle dell’Askatasuna di Torino); i famigliari dei militanti della sinistra turca all’epoca in sciopero della fame (alla fine i morti saranno oltre cento) con le foto degli hunger strikers; i Sem Terra del Brasile; alcuni comunisti greci che cantavano “Bella ciao” (in greco, ovviamente); gli animalisti della LAV di Bassano e gli antispecisti dell’UNA di Vicenza; il comitato di Bolzano a sostegno degli indiani U’wa della Colombia; molte bandiere curde (del PKK) e ritratti di Ocalan . E anche in mezzo a un esercito di militanti di Rifondazione Comunista, un solitario con la bandiera occitana; alcuni membri di un movimento autonomista trentino con due genziane sulla bandiera (ho poi controllato: all’epoca c’erano due fazioni; quella con le due stelle alpine vicina al centro destra, quella con le due genziane al centro sinistra); uno striscione in memoria di Edo e Sole (compagni anarchici militanti NO-TAV), bandiere corse, scozzesi, bretoni (tutte di movimenti autonomisti o indipendentisti di sinistra … Oltre ovviamente alle varie tribù dell’anarchismo (CNT iberica, CNT francese).
Più o meno la stessa molteplicità eterogenea rivista poi a Firenze nel novembre 2002.
Del tutto inaspettato, l’incontro con l’amico “Giaco”, scrittore e giornalista di Radio Popolare (e massimo esperto nel nostro Paese sulla questione basca) intento a fare la doccia con i secchi d’acqua che una pia vecchietta genovese riversava sulla folla dalla finestra. Non poteva poi mancare il mitico Vincenzo Sparagna, inossidabile direttore di “FRIGIDAIRE”, intento a distribuire un particolarissimo numero speciale: “Il testimone di Genova”.
Al termine dei vari interventi avevo creduto di poter ripercorrere a ritroso il percorso del corteo (Corso Sardegna, Corso Torino). Invece, come tanti altri, dovevo ritornare velocemente verso piazza Ferraris a causa della forte irritazione alla gola e della lacrimazione agli occhi dovute ai gas ancora abbondantemente presenti nelle strade.
Infatti la coda del corteo, praticamente quasi fino a piazza Ferraris, era stata ripetutamente caricata e attaccata con i lacrimogeni.
In questa occasione, dal momento in cui il bruciore acuto mi ha costretto a tornare indietro a quando l’irritazione è diventata sopportabile, saranno passati circa venti minuti. A questo punto, temendo di perdere il pullman per il ritorno, ho cercato di aggirare le strade dove ancora stagnava il pestilenziale gas.
Ho seguito altre persone dirigendomi verso una strada in salita (forse via dell’Orso). Anche qui, salendo, di tanto in tanto ho avvertito bruciore agli occhi. Siamo arrivati nei pressi di una chiesa (presumibilmente San Fruttuoso) dove alcuni frati ci hanno offerto molta acqua (“dar da bere agli assettati”) e la possibilità di utilizzare i bagni.
Poi ci hanno indicato una stradina raggiungibile solo a piedi che ci avrebbe portato in Corso Europa per raggiungere i pullman. Deve essere stato nel tardo pomeriggio, forse un paio d’ore dopo la fine del comizio.
Un genovese, amico dei frati, ci ha fatto da guida. Ad un certo punto una parte della stradina era crollata e per pochi metri si poteva procedere solo in fila indiana, praticamente aggrappati al muretto. Alla fine il vicolo sbucava in una strada che in quel momento era percorsa da gruppi di persone, evidentemente di ritorno dal corteo. Eravamo arrivati a pochi metri di distanza quando tutti hanno iniziato a correre, a scappare.
Temendo di rimanere bloccato, mi precipitavo in strada entrando nel flusso di persone in fuga. A quel punto, piuttosto agitato ormai,  sentivo ancora che una forte presenza di gas proveniva da dietro le nostre spalle. L’esposizione durava, credo, solo una decina di minuti, ma mi sembrò più intensa delle altre. In questi frangenti non avevo protezione e subito dopo ho iniziato a provare un forte senso di nausea. Come tanti altri, sono scappato salendo una scala che si rivelò completamente intasata da chi cercava di fuggire. Non saprei dove collocare esattamente questo episodio, comunque tra San Fruttuoso (sotto la Chiesa) e gli Ospedali Civili. Come ho detto dopo questa fuga ho iniziato a provare nausea, sensazione di vomito e mal di stomaco che mi ha accompagnato per tutto Corso Europa. I pullman avrebbero dovuto stazionare su un lato di Corso Europa (via Isonzo,) ma invece il punto di incontro era stato spostato di circa un chilometro. Sono arrivato dopo le 19 (giusto in tempo per non dover restare a Genova), attraverso altri vicoli, ancora una volta grazie ad un cittadino genovese che si è offerto come guida.
Nel complesso l’intensità dell’esposizione non avrebbe dovuto essere troppo elevata (anche se non saprei dire rispetto a quali parametri vista la particolare natura del CS) ma ripetuta più volte, per un totale di circa un’ora di esposizione. Come ho detto ho provato bruciore agli occhi, lacrimazione, irritazione alla gola, nausea anche se al momento nessun sintomo appariva con violenza.
Tuttavia dall’inizio di settembre 2001 ho cominciato ad avere problemi respiratori. Nonostante i molti  anni di pratica sportiva e di allenamento costante (escursionismo, alpinismo, ciclismo) con buoni risultati. In particolare – sottolineo  –  fino a pochi giorni prima del 21 luglio avevo effettuato varie ascensioni nelle Dolomiti senza alcuna difficoltà o disturbo.
Da allora ho dovuto usare medicinali e sottopormi a vari trattamenti.
Dopo una serie di visite mediche ho dovuto riconoscere che il danno c’era e anche dopo tanto tempo la situazione rimaneva problematica.
Ho quindi ritenuto mio diritto e dovere sporgere denuncia (tramite l’avvocato Canestrini di Trento) contro gli autori dei delitti deducibili da quanto detto.
Successivamente ho raccolto varie testimonianze di altre persone che dopo Genova si sono trovate con problemi di salute, più o meno acuti. Si tratta di solito di problemi respiratori: asma, bronchite ricorrente (anche in estate), raucedine, difficoltà respiratorie. Tuttavia, ho avuto l’impressione che molti sottovalutassero la gravità della questione (quasi una forma di rimozione), forse sperando che “col tempo andrà tutto bene”. Personalmente credo che ogni caso andava considerato, ricostruendo nel dettaglio quanto accaduto, cercando di specificare luogo, tempo, circostanze e sottoponendosi a opportune visite mediche in modo da poter quantificare con precisione quante persone (sicuramente centinaia, probabilmente migliaia), esposti a CS, hanno subito conseguenze dopo essere state irrorate con il micidiale aerosol. Soprattutto pensando al futuro,
E il futuro – a venti anni di distanza – è ancora molto incerto, soggetto sempre più a decisioni prese da altri. Anche la semplice partecipazione ad un evento autorizzato per esprimere democraticamente il proprio pensiero potrebbe comportare gravi rischi per la salute. Concludo dicendo che, a mio avviso, l’uso massiccio di sostanze altamente tossiche ha rappresenta (almeno per l’Italia) un vero salto di qualità in campo repressivo.
Gianni Sartori
*******
*nota 1: qualche dato scientifico sul micidiale aerosol a base di CS che la polizia ha usato a Genova in maniera massiccia e spregiudicata (si parla di almeno 60.000 lacrimogeni) contro manifestanti inermi.  Sui bossoli in alluminio raccolti (che ricoprivano a migliaia le strade) era ben evidente la scritta: “cartuccia 40 mm a caricamento lacrimogeno al CS,S TA – 1 – 98”.
Il CS non è una sostanza qualsiasi. È stato messo al bando dalla convenzione mondiale sulle armi chimiche (ma solo per il suo uso in tempo di guerra). È considerato estremamente dannoso, può provocare danni permanenti e può avere effetti sui cromosomi delle persone. Secondo i dati raccolti da uno studio del Parlamento europeo, ad alti livelli di esposizione, il CS può causare polmonite ed edema polmonare fatale, disfunzioni respiratorie, oppure gravi gastroenteriti ed ulcere perforanti. Sperimentazioni in vitro hanno dimostrato che il CS è clastogenico, causa cioè la separazione dei cromosomi, e mutageno, cioè può causare mutamenti genetici ereditabili, mentre in altri casi il CS aveva dimostrato di poter causare un aumento nel numero di cromosomi abnormi.
Il CS era già noto per essere stato usato in Vietnam e per essere una delle sostanze sotto accusa tra quelle in possesso dell’Iraq. Inoltre viene studiato con preoccupazione negli Usa ed è stato oggetto di una proposta di messa al bando da parte dell’associazione dei medici sudcoreani che hanno richiesto una “ricerca indipendente per comprenderne gli effetti acuti e subacuti, cronici e di lungo periodo, in particolare su soggetti a rischio, bambini, neonati, anziani, soggetti con malattie croniche preesistenti e pazienti in degenza”.
Come ha scritto il senatore verde Francesco Martone (vittima dei CS e autore di una inchiesta sui fatti di Genova) “chi era a Genova lo ricorda. Ricorda il fiato mozzato, il cuore in gola, l’impossibilità di respirare, la pelle bruciata e gli occhi pieni di lacrime. Ricorda la sensazione di vomito e nausea, immediata, ed il bruciore allo stomaco, i dolori al fegato”. Nella sua inchiesta Martone ha anche ricostruito la storia dell’uso repressivo di questo gas. Il CS è stato usato a Seattle, a Québec, a Genova, in Irlanda del Nord, a Waco, a Seul, in Palestina, in Malesia, in Perù.
In un libro di Gore Vidal (La fine della Libertà – verso un nuovo totalitarismo?) si parlava della strage di Waco, quando il 19 aprile del 1993 gli agenti dell’Fbi posero fine al lungo assedio alla sede della setta dei Davidiani, usando gas CS e carri armati. Secondo le successive ricostruzioni, fu proprio il CS a innescare l’incendio nel quale morirono 82 persone.
Il CS, sigla per chlorobenzylidene malonitrile, in italiano “ortoclorobenzalmalonitrile” è stato sviluppato negli anni ‘50 dal Chemical Defence Experimental Establishment [Porton, Inghilterra]. In Italia i candelotti al CS li produce la ditta Simad s.p.a. di Carsoli, in provincia dell’Aquila. È una sostanza cristallina usualmente mescolata con un composto pirotecnico in una granata o candelotto. Si diffonde sotto forma di nebbia o fumo di particelle sospese. La sua efficacia deriva dalla proprietà irritante, molto forte, per la pelle e le mucose, e di agente lacrimante anche in dosi minime. Gli effetti caratteristici sono una congiuntivite istantanea con blefarospasmo, irritazione e dolore. Il CS micronizzato e mescolato con un antiagglomerante o trattato con idrorepellenti a base di silicone (formule note come CS1 e CS2) può rimanere attivo per giorni e settimane, se polverizzato sul suolo. A Québec, dove si fece uso di CS per reprimere le manifestazioni contro il Trattato dell’Area di libero commercio delle Americhe (aprile 2001), l’ufficio di igiene pubblica avvisò i residenti di indossare guanti di gomma e lenti protettive nel trattare i residui, di gettar via il cibo contaminato (anche quello dentro ai contenitori), rimpiazzare i filtri dell’aria condizionata, e lavare l’esterno delle abitazioni.
Non risulta che nel 2001 gli abitanti di Genova abbiano mai ricevuto suggerimenti del genere.
A livelli più alti il CS è stato associato con disfunzioni cardiache, danni al fegato e morte. Dal punto di vista tossicologico, molte associazioni mediche hanno raccomandato lo svolgimento di maggiori analisi di laboratorio ed epidemiologiche, per avere un quadro completo delle conseguenze mediche derivanti dall’esposizione di componenti quali il CS. Il Journal of the American Medical Association concludeva che la “possibilità di conseguenze mediche di lungo termine quali formazione di tumori, effetti sull’apparato riproduttivo e malattie polmonari è particolarmente preoccupante, considerando l’esposizione alla quale vengono soggetti dimostranti e non dimostranti in caso di operazioni di ordine pubblico”.
L’azienda che fornì il CS al cloruro di metilene, la Defense Technology Corporation (Wyoming) si è poi unita alla Federal Laboratories. Questa ditta, nel 1992, insieme alla TransTechnology Corp, fu oggetto di una causa civile da parte delle famiglie di nove palestinesi uccisi da esposizione a CS, usato massicciamente dagli Israeliani contro l’Intifada.
Va anche ricordato che l’Italia ha ratificato nel 1925 il protocollo di Ginevra contro l’uso di sostanze soffocanti o gas e che nel 1969 almeno ottanta paesi hanno votato per la messa al bando di gas lacrimogeni in operazioni di guerra. Per quanto riguarda l’Italia: come si giustifica la discrepanza sul regime di uso di CS, proibito in guerra ma permesso in tempo di pace, considerando che l’Italia è firmataria ed ha ratificato il protocollo di Ginevra? Secondo alcuni esperti, esisterebbe al riguardo una grave scappatoia legale nella Convenzione sulle armi chimiche, poiché la Convenzione non proibisce l’uso di gas tossici in operazioni “pacifiche” come ad esempio quelle di “law enforcement” (ripristino della legge).
A questo punto è lecito chiedersi quali siano le garanzie per un cittadino che esercita il suo diritto inalienabile all’espressione delle proprie opinioni.
O forse il diritto alla salute di un civile vale meno di quello di un militare?
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