#franco parenti
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Per Testori il luogo privilegiato delle intersezioni intermediali è costituito dal teatro
La figura di Testori può essere pienamente inserita nella categoria del «doppio talento», codificata dagli studi di Visual Culture in riferimento agli artisti-scrittori e agli scrittori-artisti. <5 Senza contare le molteplici declinazioni sperimentate dalla sua scrittura (romanzi, racconti, componimenti poetici, drammi, saggi, articoli), la Doppelbegabung si manifesta con straordinaria evidenza…
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#1954#1975#1986#1993#Adriana Innocenti#Andrea Soffiantini#arte#critica#Ennio Morlotti#Franca Valeri#Francesca Longo#Franco Parenti#Gaudenzio Ferrari#Giacomo Paracca#Giovanni Testori#letteratura#Lilla Brignone#Paolo Stoppa#pittura#Rina Morelli#Samuele Gabai#Sergio Fantoni#teatro#Tino Carraro
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Per Testori il luogo privilegiato delle intersezioni intermediali è costituito dal teatro
La figura di Testori può essere pienamente inserita nella categoria del «doppio talento», codificata dagli studi di Visual Culture in riferimento agli artisti-scrittori e agli scrittori-artisti. <5 Senza contare le molteplici declinazioni sperimentate dalla sua scrittura (romanzi, racconti, componimenti poetici, drammi, saggi, articoli), la Doppelbegabung si manifesta con straordinaria evidenza…
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è mancato Memo Pirruccio
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#Carmelino e Stella#carmelo#Giovanni con la moglie Anna Gioè e Teresa con il marito Giuseppe D’Agostino#gli altri nipoti ed i parenti tutti.#i cognati De Stefano: Franco con la moglie Giovanna Parisi#i figli: Antonino con la moglie Anna Gnocchi#il nipote Angelo Pirruccio#la sorella Dorotea ved. Antonino Pavone#Ne danno il triste annunzio la moglie Titti De Stefano#Santi con la moglie Rosa Montesano e Letizia Modafferi ved. Giovanni Corona; gli amatissimi nipoti: Antonella
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Left anticommunists find any association with communist organizations morally unacceptable becauseof the “crimes of communism.” Yet many of them are themselves associated with the Democratic party in this country, either as voters or as members, apparently unconcerned about the morally unacceptable political crimes committed by leaders of that organization. Under one or another Democratic administration, 120,000 Japanese Americans were torn from their homes and livelihoods and thrown into detention camps; atomic bombs were dropped on Hiroshima and Nagasaki with an enormous loss of innocent life; the FBI was given authority to infiltrate political groups; the Smith Act was used to imprison leaders of the Trotskyist Socialist Workers Party and later on leaders of the Communist party for their political beliefs; detention camps were established to round up political dissidents in the event of a “national emergency”; during the late 1940s and 1950s, eight thousand federal workers were purged from government because of their political associations and views, with thousands more in allwalks of life witchhunted out of their careers; the Neutrality Act was used to impose an embargo on the Spanish Republic that worked in favor of Franco’s fascist legions; homicidal counterinsurgency programs were initiated in various Third World countries; and the Vietnam War was pursued and escalated. And for the better part of a century, the Congressional leadership of the Democratic party protected racial segregation and stymied all antilynching and fair employment bills. Yet all these crimes, bringing ruination and death to many, have not moved the liberals, the social democrats, and the “democratic socialist” anticommunists to insist repeatedly that we issue blanket condemnations of either the Democratic party or the political system that produced it, certainly not with the intolerant fervor that has been directed against existing communism.
Blackshirts and Reds by Michael Parenti
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Siamo poca roba, Dio, siamo quasi niente
Siamo poca roba, Dio, siamo quasi niente,
forse memoria siamo, un soffio d'aria,
ombra degli uomini che passano, i nostri parenti,
forse il ricordo d'una qualche vita perduta,
un tuono che da lontano ci richiama,
la forma che sarà di altra progenie...
Ma come facciamo pietà, quanto dolore,
e quanta vita se la porta il vento!
Andiamo senza sapere, cantando gli inni,
e a noi di ciò che eravamo non è rimasto niente.
Franco Loi
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Luca Guadagnino at the Franco Parenti theater for the presentation of the book "L'ombelico del sogno (Un viaggio onirico)" by Vittorio Lingiardi
07/03/2023
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La verità sul caso di Mr. Valdemar
(E. A. Poe)
Non presumo certo di essere meravigliato che il caso straordinario del signor Valdemar abbia suscitato discussioni. Sarebbe un miracolo se, date le circostanze, questo non fosse avvenuto.
Il desiderio di tutte le parti interessate a tener la cosa segreta, almeno per ora o in attesa di aver altre occasioni d’investigare, e i nostri sforzi per riuscirvi, hanno dato luogo a dicerie monche ed esagerate che, diffondendosi tra il pubblico, sono state causa di molte spiacevoli falsità e, naturalmente, di molto discredito.
Si rende ora necessario che io racconti i fatti, almeno come li capisco io. Eccoli, in succinto.
In questi ultimi tre anni, a varie riprese, mi sono sentito attirato dal soggetto del mesmerismo; e circa nove mesi fa a un tratto mi balenò l’idea che, nella serie degli esperimenti fatti sino a oggi, vi fosse una notevolissima e inesplicabile lacuna: finora nessuno era stato magnetizzato “in articulo mortis”.
Rimaneva da vedere prima di tutto se, in tale condizione, esistesse nel paziente alcuna suscettibilità al fluido magnetico; in secondo luogo se, nel caso affermativo, questa fosse scemata o accresciuta dalla circostanza; in terzo luogo sino a che punto e per quanto tempo l’opera della morte potesse essere arrestata dall’operazione. Vi erano anche altri punti da essere accertati, ma questi tre eccitavano più degli altri la mia curiosità, e in modo speciale l’ultimo, dato il carattere importantissimo delle sue conseguenze.
Cercando intorno a me un soggetto sul quale poter provare questi punti, fui portato a gettare gli occhi sul mio amico mister Ernest Valdemar, il ben conosciuto compilatore della Bibliotheca forensica e autore (con lo pseudonimo di Issachar Marx) delle traduzioni polacche del Wallenstein e del Gargantua. Il signor Valdemar, che dall’anno 1839 risiede generalmente a Harlem (New York), si distingue (o si distingueva) per l’eccessiva magrezza della sua persona, tanto che le sue gambe ricordavano quelle di John Randolph; e anche per la bianchezza dei suoi favoriti che contrastavano violentemente con la sua capigliatura nera, la quale perciò da molti era presa per una parrucca. Il suo temperamento oltremodo nervoso lo rendeva un buon soggetto per le esperienze magnetiche. In due o tre occasioni lo avevo addormentato con poca difficoltà, ma ero rimasto deluso negli altri risultati che la sua costituzione mi aveva naturalmente fatto sperare. La sua volontà non era mai positivamente, né del tutto soggetta al mio influsso, ed in fatto di chiaroveggenza non riuscii mai a ottenere da lui niente su cui fare assegnamento. Avevo sempre dato la colpa di tali insuccessi alla sua salute infermiccia. Qualche mese prima che ne facessi la conoscenza, i medici lo avevano definitivamente dichiarato tisico. Egli era solito parlare della sua prossima fine con molta calma, come di una cosa che non potesse né evitarsi né dispiacere.
Quando, per la prima volta, mi vennero le idee alle quali ho alluso poc’anzi, era naturale che pensassi a Valdemar; conoscevo troppo bene la sua salda filosofia, per temere scrupoli da parte sua; né egli aveva parenti in America che potessero ragionevolmente intervenire. Gli esposi in modo franco la cosa, e, con mia meraviglia, egli sembrò interessarvisi vivamente. Dico con meraviglia, perché, sebbene egli avesse prestato liberamente la sua persona ai miei esperimenti, pure non aveva mai manifestato alcun segno d’interesse in quello che facevo.
La sua malattia era di quelle che ammettono un calcolo preciso del tempo del loro termine; fu infine stabilito fra noi che mi avrebbe mandato a chiamare ventiquattro ore prima del tempo fissato dai medici per la sua morte.
Ed ecco, un giorno, più di sette mesi fa, ricevetti, dal signor Valdemar medesimo, questo biglietto:
“Mio caro P.,
Potete venire anche subito. D. e F. sono d’accordo nel dire che non passerò la mezzanotte di domani, e io credo che abbiano calcolato molto vicino al vero.
Valdemar”
Ricevetti questo biglietto mezz’ora dopo che era stato scritto e non impiegai più di quindici minuti per trovarmi nella camera del moribondo.
Non l’avevo visto da dieci giorni, e fui spaventato dalla terribile alterazione che si era prodotta in lui in quel breve intervallo.
Aveva il viso colore di piombo, gli occhi spenti, era dimagrito al punto che gli zigomi foravano la pelle. L’espettorazione era eccessiva, il polso appena sensibile. Ciò nondimeno serbava in modo straordinario le sue facoltà spirituali e una certa forza fisica. Parlava distintamente, prendeva senza bisogno di aiuto le sue medicine, e quando entrai nella stanza, era occupato a scrivere appunti su un libriccino. Stava seduto nel letto appoggiato ai guanciali. I dottori D. e F. gli prestavano le loro cure.
Dopo aver stretto la mano all’infermo, trassi quei signori in disparte ed ebbi notizie precise sulle condizioni. Il polmone sinistro era da diciotto mesi in uno stato semi-osseo o cartilaginoso e perciò inetto a qualunque funzione vitale. Il destro nella parte superiore era ugualmente ossificato, seppure non del tutto, mentre la parte inferiore non era più che un ammasso di tubercoli purulenti. Esistevano varie profonde caverne, e in un punto si notava anche una permanente aderenza alle costole. Questi fenomeni del lobo destro erano relativamente di data recente. L’ossificazione aveva progredito con rapidità straordinaria, un mese prima non se ne era osservato nessun indizio; l’aderenza non era stata scoperta che negli ultimi tre giorni.
Indipendentemente dalla tisi si sospettava un’aneurisma all’aorta; ma i sintomi d’ossificazione rendevano impossibile la diagnosi precisa su questo punto. Era opinione dei due medici che Valdemar sarebbe morto il giorno dopo, domenica, verso la mezzanotte. Erano le sette di sera del sabato.
I dottori D. e F., lasciando il letto del morente per discorrere con me, gli avevano dato un ultimo addio. Non era loro intenzione tornare, ma, alla mia preghiera, acconsentirono di venire a vedere il paziente verso le dieci della notte.
Partiti che furono, parlai liberamente con Valdemar della sua morte vicina e specie dell’esperimento che ci proponevamo. Egli si dimostrava ancora disposto e anzi desideroso di sottoporsi a tale prova e mi sollecitò ad incominciar subito. Due infermieri, un uomo e una donna, erano presenti, ma io non mi sentivo tranquillo nell’accingermi a un’operazione di quel carattere, senza testimonianze più serie di quelle che potevano dare costoro in caso di un’improvvisa disgrazia.
Rimandai dunque l’operazione sino a quando, verso le otto di sera, l’arrivo d’uno studente di medicina, che conoscevo (il signor Teodoro L.), mi levò d’imbarazzo. Era mia intenzione sul principio di aspettare i medici, ma fui poi persuaso a incominciare, prima dalle insistenti preghiere di Valdemar, poi perché ero convinto non esservi un momento da perdere, giacché appariva evidente che egli se ne andava rapidamente.
Il signor L. ebbe la bontà di arrendersi al mio desiderio di prendere nota scritta di tutto quanto stava per succedere; ed è dal suo memorandum che condenso o, in massima parte, copio parola per parola quello che ho da raccontare.
Erano circa le otto meno cinque, quando, presa la mano del paziente, lo pregai di confermare al signor L., e il più distintamente possibile, come egli fosse perfettamente disposto a permettere che io cercassi di magnetizzarlo in quelle condizioni.
Ed egli debolmente, ma distintamente rispose:
«Sì, desidero d’essere magnetizzato;» aggiungendo subito dopo «ma temo che abbiate differito troppo».
Nel mentre parlava, incominciai i passi che avevo già riconosciuto più efficaci per soggiogarlo. Evidentemente subiva l’influenza del primo movimento della mia mano attraverso alla sua fronte; ma sebbene io spiegassi tutto il mio potere non si manifestò alcun altro effetto sensibile sino a qualche minuto dopo le dieci, quando, secondo il fissato, tornarono i medici D. e F. Io spiegai loro in poche parole il mio disegno, e poiché essi non facevano alcuna obbiezione, dicendo che il paziente era già in agonia, continuai senza esitazioni, cambiando tuttavia i gesti laterali in verticali, e concentrando il mio sguardo nell’occhio destro del paziente.
A questo punto, il suo polso era divenuto impercettibile, e la sua respirazione segnava intervalli di mezzo minuto.
Questo stato durò quasi senza cambiamenti un quarto d’ora. Allo spirare di questo tempo però, un sospiro naturale, benché molto profondo, sfuggì dal petto del morente e la respirazione sonora cessò; cessò cioè la sua sonorità; gli intervalli però non erano diminuiti. Le estremità del paziente erano gelate.
Alle undici meno cinque percepii sintomi non equivoci dell’influenza magnetica. Il vacillamento vitreo dell’occhio si era cambiato in quell’espressione penosa dello sguardo, di esame interiore, che non si vede se non nei casi di sonnambulismo, e che è impossibile non riconoscere. Con alcuni gesti laterali feci battere le palpebre, come quando ci prende il sonno, e insistendo le chiusi interamente. Ma non ero ancora soddisfatto e continuai i miei atti con vigore e con la più intensa concentrazione di volontà fino a quando non ebbi irrigidito del tutto le membra del dormente, dopo averlo collocato in una posizione apparentemente comoda: le gambe lunghe distese, e così anche le braccia che posavano sul letto a poca distanza dai fianchi. La testa era leggermente sollevata.
Quando ebbi terminato tutto questo, era mezzanotte; pregai allora i presenti di esaminare le condizioni del signor Valdemar.
Dopo alcune constatazioni essi dichiararono che era in uno stato di catalessi singolarmente perfetta; la curiosità di ambedue i medici era grande. Il dottor D. risolse di passare tutta la notte presso l’infermo, mentre il dottor F. nel salutarci promise di tornare all’alba; il signor L. e gli infermieri restarono.
Lasciammo Valdemar assolutamente indisturbato sino alle tre del mattino, quando lo avvicinai e lo trovai esattamente nello stesso stato di quando se ne era andato il dottor F., e cioè nella medesima posizione, il polso impercettibile, la respirazione calma (sensibile soltanto accostandogli uno specchio alle labbra), gli occhi chiusi naturalmente e le membra rigide e fredde come marmo. Però il suo aspetto generale non era certamente quello della morte.
Nell’avvicinarmi a Valdemar feci un debole sforzo per decidere il suo braccio a seguire il mio nei lenti movimenti che descrivevo in su e in giù sulla sua persona. Quando altre volte avevo tentato tali esperimenti con questo paziente, non mi erano mai riusciti perfettamente né speravo di riuscir meglio ora; ma, con mia grande meraviglia, il suo braccio, docilmente seppure debolmente, si mise a seguire le direzioni che gli assegnavo col mio. Mi decisi allora ad azzardare qualche parola di convenienza.
«Signor Valdemar,» dissi « dormite?»
Non rispose, ma scorsi un tremito sulle sue labbra e fui così indotto a ripetere la domanda, e poi ancora, e poi ancora. Alla terza volta tutto il suo corpo fu mosso da un lieve tremore, le palpebre si alzarono sino a mostrare una linea bianca dell’orbita, le labbra si mossero pigramente, ed emisero, in un sospiro appena intelligibile, le parole seguenti:
«Sì, ora dormo. Non mi svegliate! Lasciatemi morire così!»
Tastai le membra e le trovai sempre rigide come prima. Il braccio destro obbediva sempre alla direzione della mia mano. Interrogai nuovamente il sonnambulo:
«Sentite sempre dolore al petto, signor Valdemar?»
La risposta, ora, fu immediata, ma anche più debole della prima.
«Nessun dolore, muoio.»
Non credetti conveniente disturbarlo altrimenti e nulla di nuovo fu detto o fatto sino all’arrivo del dottor F., che giunse un’ po’ prima dell’alba e manifestò grandissima meraviglia nel trovare il paziente ancora vivo. Dopo di avergli sentito il polso e applicato uno specchio alle labbra, mi pregò di parlargli ancora un’altra volta.
Ubbidii e gli domandai: «Signor Valdemar, siete ancora addormentato?»
Come prima trascorsero alcuni minuti durante i quali il moribondo parve riunire tutte le sue forze per parlare. Alla quarta ripetizione della mia domanda, rispose molto debolmente, quasi inintelligibilmente: «Sì, sempre addormentato, muoio.»
Fu allora opinione o meglio desiderio dei medici che il signor Valdemar venisse lasciato indisturbato, in quello stato di tranquillità apparente, sino a che non sopraggiungesse la morte; era opinione generale che questa dovesse avvenire fra qualche minuto. Tuttavia risolvetti di parlargli ancora una volta e ripetei semplicemente la domanda di prima.
Nel mentre parlavo, un singolare cambiamento avvenne nella fisionomia del sonnambulo. Gli occhi si girarono lentamente aprendosi, le pupille sparirono in su, la pelle prese una tinta cadaverica, più simile alla carta bianca che alla pergamena; e le due macchie etiche, rotonde che fino allora si vedevano ben definite nel centro delle due guance, si spensero a un tratto. Adopero questa espressione perché la rapidità della loro scomparsa non suscitò altra idea che quella di una candela spenta da un soffio. Intanto il labbro superiore, che prima copriva completamente i denti, si ritorse scoprendoli; mentre la mascella inferiore cadeva con uno scatto e un rumore sensibile, lasciando la bocca tutta aperta e mostrando la lingua nera e gonfia. Coloro che assistevano, erano presumibilmente abituati agli orrori di un letto di morte, ma l’aspetto di mister Valdemar era talmente spaventoso che indietreggiammo tutti insieme dal letto.
Sento di essere giunto al punto del mio racconto, che indurrà il lettore a non credermi. Ad ogni modo il mio compito è di seguitare.
Mister Valdemar non dava più il minimo indizio di vita, e, concludendo che fosse morto, lo abbandonammo alle cure degli infermieri. Ma allora divenne sensibile una forte vibrazione della lingua che durò forse un minuto. Dalle mascelle tese e immobili uscì quindi una voce, che sarebbe follia tentar di descrivere.
Vi sono tuttavia due o tre epiteti che potrebbero servire a designarla parzialmente; potrei dire per esempio che aveva un suono aspro, rotto, vuoto; ma l’orribile insieme non è descrivibile, per la semplice ragione che simili suoni non hanno mai offeso orecchie umane. Vi erano però due particolari, che, credevo allora e credo anche ora, potrebbero essere dati come caratteristici dell’intonazione e che possono suggerire un’idea della sua stranezza ultraterrena. In primo luogo la voce sembrava giungere alle nostre orecchie – almeno alle mie – da una gran distanza, o da qualche profonda caverna sotterranea. In secondo luogo, essa mi dette la stessa impressione (temo proprio che mi sia impossibile farmi comprendere) che danno le materie glutinose o gelatinose al senso del tatto.
Ho parlato di suono e di voce. Voglio dire che il suono era d’una sillabazione distinta, anzi meravigliosamente distinta. Mister Valdemar parlava; evidentemente per rispondere alla domanda che gli avevo fatto qualche minuto prima. Gli avevo domandato, come si ricorderà, se dormiva sempre. Ora diceva:
«Sì, – no – ho dormito…, e ora… ora son morto.»
Nessuna delle persone presenti cercò menomamente di dissimulare e neanche di reprimere l’indicibile orrore che queste poche parole così pronunciate non mancarono di destare in ognuno. Mister L., lo studente, svenne. Gli infermieri lasciarono immediatamente la stanza, e fu impossibile indurli a ritornare. Quanto alle mie proprie impressioni, non pretendo di renderle intelligibili al lettore. Per circa un’ora ci occupammo in silenzio – senza pronunciare parola – a richiamare mister L. in vita, e quando questi fu ritornato in sé riprendemmo le nostre investigazioni sulle condizioni di mister Valdemar.
Egli era rimasto assolutamente come l’ho descritto poc’anzi, tranne che lo specchio non dava più traccia di respirazione. Un tentativo di salasso al braccio non riuscì. Devo anche menzionare che questo arto non era più soggetto alla mia volontà. Fu invano che mi sforzai di fargli seguire la direzione della mia mano. Il solo vero indizio dell’influenza magnetica si manifestava ora nella vibrazione della lingua, ogni volta che facevo una domanda. Pareva che egli si sforzasse di rispondere, ma che non avesse più abbastanza volontà per farlo. Alle domande avanzate da altre persone sembrava del tutto insensibile, sebbene io tentassi di mettere il richiedente in rapporto magnetico con lui.
Credo di aver ormai riferito tutto quanto è necessario per capire lo stato del sonnambulo in questo periodo. Furono procurati altri infermieri, e alle dieci uscii dalla casa in compagnia dei dottori e del signor L.
Nel pomeriggio tornammo tutti a vedere il paziente. Il suo stato era sempre il medesimo. Avemmo allora una discussione sull’opportunità e la possibilità di svegliarlo, ma ci si trovò presto d’accordo nel concludere che non si sarebbe ritratto vantaggio alcuno. Era chiaro che sinora la morte (o quel che si suole definire con la parola morte) era stata arrestata dalla operazione magnetica. Sembrava evidente che svegliare mister Valdemar sarebbe stato semplicemente un assicurare il suo estremo istante o almeno accelerare la sua decomposizione.
Da quel giorno fino alla fine della settimana passata – un intervallo di quasi sette mesi– abbiamo seguitato a far visite giornaliere a casa di mister Valdemar, accompagnati dai medici e da altri amici; in tutto questo tempo il sonnambulo è rimasto esattamente come l’ho descritto. La sorveglianza degli infermieri era continua.
Venerdì passato finalmente risolvemmo di provarci a svegliarlo, ed è il resultato, deplorevole forse, di quest’ultimo tentativo che ha dato origine a tante discussioni private, nelle quali non posso trattenermi dal riscontrare un sentimento popolare ingiustificabile.
Per sottrarre mister Valdemar alla catalessi magnetica adoperai i passi soliti. Questi per qualche tempo non dettero risultato di sorta. Il primo sintomo del ritorno alla vita fu dato dall’abbassamento parziale dell’iride. Venne notato come cosa strana che questa discesa dell’iride era accompagnata dalla fuoruscita di un umore abbondante di color giallognolo (da sotto le palpebre) di odore acre e ripulsivo.
Mi venne allora suggerito di cercare di influenzare il braccio dei paziente, come pel passato. Tentai e non mi riuscì; il dottor F. manifestò il desiderio che io gli rivolgessi una domanda e gliela feci, così:
«Mister Valdemar, ci potete spiegare quali sono ora le vostre sensazioni o i vostri desideri?»
Vi fu un subitaneo ritorno delle macchie etiche alle gote, la lingua tremò o piuttosto roteò violentemente entro la bocca (sebbene le mascelle e le labbra rimanessero sempre immobili) e alla fine quella stessa orribile voce che ho descritto poc’anzi proruppe:
«Per l’amor di Dio! Presto! Presto! Fatemi dormire! O svegliatemi subito! Presto! Vi dico che sono morto!»
Io ero assolutamente snervato e per un momento rimasi indeciso sul da farsi.
Mi provai dapprima a riaddormentare il paziente, ma la completa inerzia della mia volontà non me lo permise; tentai allora il contrario, e con tutte le mie forze mi adoperai a destarlo. Mi accorsi subito che a questo sarei riuscito, o almeno credetti che il mio successo sarebbe stato completo, e sono certo che tutti i presenti si aspettavano il risveglio del paziente.
Quello che avvenne in realtà, non è possibile che essere umano se lo fosse potuto immaginare.
Nel mentre mi affrettavo a fare i passi magnetici tra le grida di “morto! morto!” che letteralmente esplodevano sulla lingua e non sulle labbra del paziente, tutto il suo corpo a un tratto – e in non più di un minuto – si scompose, si sbriciolò, imputridì sotto le mie mani. Sul letto, dinanzi a tutti i testimoni, giaceva una massa fetida e quasi liquida; un’orrida putrefazione.
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Giusto per ricordare cosa hanno e stanno passando molti nostri anziani in ospedale...
Alla memoria di Franco :
,"Storia che non so se riesco a raccontare bene ma che forse servirà a qualcuno.
Mio suocero, Franco – 87 anni arzilli a parte un po' di perdita di memoria a breve termine – è entrato in ospedale per una cosa da nulla e non lo abbiamo rivisto più.
Domani ce lo riportano sigillato in una bara, per il funerale, dopo un mese e mezzo di follia in cui non abbiamo visto né angeli né madonne né eroi né eccellenza sanitaria né nessuna delle belle cose che si sentono in TV.
Tre o quattro infermieri molto carini e disponibili, come lo sono alcuni esseri umani random, e per il resto solo tanta, tanta brutta distopia.
In ospedale Franco ha preso il covid. E quindi non è uscito dopo due giorni come previsto.
Asintomatico al 100%, gli è stato somministrato uno psicofarmaco così, tanto per gradire, in modo che non rompesse i coglioni al personale sanitario. Pare sia la prassi, somministrare psicofarmaci a chi non ne ha bisogno, senza avvisare, in modo che non rompa i coglioni a quelle persone che le sue tasse stipendiano.
Nessuno però ha mai sentito parlare di effetto paradosso, forse all'università a punti non lo insegnano, eppure Franco comincia a comportarsi in modo strano, aggressivo, delirante. Usiamo quindi la nostra Laurea della Vita - avendo casi in famiglia di persone soggette all'effetto paradosso - e suggeriamo al personale sanitario da noi stipendiato che forse si tratta di quello. Interrotto il trattamento non necessario, Franco torna se stesso, arzillo e gentile come sempre, in attesa di negativizzarsi e tornare a casa.
Ma la notte di Natale, viene trasferito in tutta fretta a centocinquanta chilometri di distanza, senza che si avvisino i familiari, senza le sue cose, senza telefonino, come un pacco regalo che nessuno vuole. Motivazione ufficiale: nessuna. Motivazione ufficiosa: probabilmente il posto che occupava lui, vicino a casa, serviva a qualcun altro e noi non siamo nessuno, non abbiamo parenti politici, medici, camorristi, prelati. Il nostro posto è sul tram a cui ci possiamo attaccare.
Nell'ospedale lontano, Franco viene messo insieme ai malati gravi, attaccati al respiratore. Non ha nessun sintomo, ma il tampone continua a essere positivo.
Nell'ospedale lontano, il personale sanitario non entra nella stanza di Franco se non per lo stretto necessario, nessuno gli parla, NESSUNO acconsente ad aiutarlo a usare il tablet per fare le indispensabili videochiamate alla famiglia, come faceva nell'ospedale vicino. È impossibile sentirlo, vederlo, perdiamo ogni contatto, ci dobbiamo affidare solo alle telefonate con medici che sono puntualmente vaghi.
Franco intanto ricomincia a delirare. Ops, hanno sbagliato, hanno letto la cartella clinica vecchia in cui c'era lo psicofarmaco inutile, e quindi scusate adesso glielo togliamo di nuovo, tanto che vuoi che sia per una persona di 87 anni.
Dopo un breve miglioramento, lo scombussolamento di Franco però continua. Riusciamo a fargli una telefonata (UNA in dieci giorni) e lo sentiamo molto strano. Manda affanculo tutti, lui che è tipo maestro Shifu nella vita, smette di mangiare anche quando davanti gli viene messo lo sciù al cioccolato, che per lui è droga.
Visto che nessuno se ne frega di questo suo comportamento e nessuno sembra turbato dal fatto che non mangi e beva da due giorni ("eh non sappiamo che fare, sapete, che dite, lo leghiamo?"), usiamo la nostra Laurea della Rete e facciamo ricerche. Sul sito della fondazione Veronesi leggiamo che la dose di cortisone per gli asintomatici secondo il protocollo Covid è di massimo 6mg. All'ospedale vicino gliene davano 4mg. Chiediamo a quelli dell'ospedale lontano, risposta: 20mg. Come mai? Il medico: ah boh così. Nessuno ha mai sentito parlare dei possibili effetti negativi del cortisone ma noi sì: abbiamo casi in famiglia. Sotto nostro suggerimento, diminuiscono la dose di cortisone e noi valutiamo di farci assumere a tempo pieno, a sto punto.
Franco migliora un po' ma non mangia più e dice che è stato abbandonato. Nessuno del personale sanitario stipendiato dalle nostre tasse acconsente a una videochiamata. Li preghiamo in ginocchio, se ne sbattono altamente le palle, in gergo tecnico. Una dottoressa dice al figlio di Franco al telefono: deve accettare che suo padre ha fatto la sua vita. Gli americani le avrebbero risposto: come no, bitch.
Ultimo atto. Ore 11 di sabato 9 gennaio. Decidiamo di andarci a riprendere Franco perché è nostro. Positivo o non positivo, è passato un mese e mezzo, è ora che torni a casa, avrà la carica virale di un lillipuziano e comunque sticazzissimi. Dottoressa del primo turno: oh si, ottima idea, si può organizzare, adesso chiamo, adesso vedo, vostro padre sta benino, in ripresa. Ore 15:00 dello stesso giorno, di persona all'ospedale lontano, dopo un'ora di macchina. Dottore del secondo turno: se spostate vostro padre, muore per strada. È in condizioni gravi.
Gravi in che senso? Stava bene tre ore fa. È covid? No non è covid, è un'infezione virale, no, batterica, no, sistemica, no, non lo sappiamo dobbiamo vedere adesso andate via che sono due ore che siamo appresso a voi. Oh, scusa se ti abbiamo disturbato, persona a cui le nostre tasse pagano lo stipendio.
Non resta che attendere, ci dicono. Attendiamo. Alle 23:30 ci chiamano: Franco non ce l'ha fatta. Torna a casa in una bara sigillata, nel pigiama in cui è uscito un mese e mezzo fa.
Non ce l'ha fatta, caro dottore, in che senso?
A sopravvivere al sistema anticovid, che isola gli anziani sapendo di condannarli a morte? A sopravvivere a un trasferimento non necessario che noi familiari non abbiamo autorizzato? A sopravvivere a un bombardamento di farmaci inutili, di indifferenza umana, di medici e infermieri incapaci? A sopravvivere a un virus asintomatico preso in ospedale?
Cioè, di cosa è morto, esattamente, Franco Lombardi?
Diranno, beh, di vecchiaia. Certo, se spingi un anziano giù per le scale e muore, puoi sempre dire che non ha retto l'urto a causa dell'età. E chi lo nega. Il problema della spinta, e delle scale, a chi vuoi che interessi?
Siamo molto addolorati, incazzati, amareggiati e basiti per questa storia che probabilmente ci accomuna a tante persone. Soprattutto ci pentiamo per quella sera di Natale, quando Franco è stato portato via senza motivo e senza consenso - io avevo detto, chiamiamo i carabinieri. Eeeeh ma dai, i dottori ne sanno più di te, che fai, non ti affidi al nostro meraviglioso sistema sanitario con gli occhi chiusi e il cuore impavido?
Ci siamo affidati, abbiamo sbagliato. Non commettete lo stesso errore. Controllate tutto e riportatevi a casa gli asintomatici a qualunque costo. Franco ci mancherà tantissimo e non meritava una fine così, nessuno la merita."
Manuela Salvi
Brutta, brutta distopia.
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“Juzga a un hombre o a una mujer por lo que es capaz de hacer por los demás, no por lo que se propone sólo con palabras”.
-Darío Fo
Premio Nobel de Literatura 1997
Nació el 24 de marzo de 1926 Dramaturgo y actor italiano, Premio Nobel de Literatura en 1997. Ignorado por las historias de la literatura o mencionado lateralmente, las obras de este autor aparecen disimuladas por su actividad como uno de los más completos hombres de teatro de su país. De hecho, para muchos críticos, Fo es esencialmente un comediante. Sin embargo, este excelente intérprete y director escénico supo fundir con enorme habilidad diversas tradiciones textuales: el humor de las vanguardias, la comicidad de la commedia dell´arte y la sátira política. Una de sus obras maestras, Misterio bufo (1969), un conjunto de monólogos contra la sociedad y la Iglesia, contiene las claves de su magisterio teatral en toda Europa. Cada secuencia está tramada con un ritmo y una tensión dramática y cómica preestablecidas, a las que la improvisación se debe ajustar.
Debutó con variedades satíricas de gran impacto moral, de las que era coautor junto con Franco Parenti -Il dito nell'occhio (1953) y Sani da legare (1954)-. Entre 1959 y 1967 hizo representar las Farse, dirigidas a un público burgués, en salas tradicionales, que de todos modos reflejaban, por medio de la estructura extravagante de la historia, de su ritmo agitado, de la inesperada explosión de efectos escénicos, una realidad cultural, costumbrista o, en ocasiones, política distorsionada o anormal -Isabela, tre caravelle e un cacciaballe (1963) o La signora è da buttare (1967)-.
Tras adherirse a las inquietudes juveniles de finales de los años sesenta, Fo optó por circuitos teatrales alternativos, y sus Commedie, de las que ha escrito ya varios volúmenes, significan una agresión cada vez mayor a la realidad del país, favoreciendo antes, durante y después de su puesta en escena, una discusión abierta con el público acerca de los temas no resueltos de la gestión política de la democracia.
Otra de sus obras más representadas, Muerte accidental de un anarquista (1971), estrenada en Milán por el colectivo La Comune, corroboró la percepción que Fo tiene de sí mismo: un juglar decididamente subversivo. Las consecuencias de sus posiciones políticas no fueron agradables: su mujer, Franca Rame, fue secuestrada por grupos fascistas y el Vaticano lo calificó de bufón, opinión que mantuvo incluso después del galardón sueco.
Distanciado del Partido Comunista a partir de los años 1980, estrenó Trompetas y frambuesas y Escarnio del miedo en 1981, inspirada en el secuestro de Aldo Moro. Entre sus obras más conocidas también figuran El dedo en el ojo (1953), Séptimo, roba un poco menos (1964), Razono y canto (1972), No se paga, no se paga (1974).
Ocho monólogos
Darío Fo
[Fragmento]
"No, no, por favor… por favor, estate quieto..., así no me dejas ni respirar... Espera... Claro que me gusta hacer el amor, pero con un poco más de..., ¿cómo diría yo?... ¡Que me estás aplastando! Quítate..., ¡basta! Me estás mojando la cara... ¡No, en la oreja no! Sí que me gusta, pero es que pareces una Moulinex, con esa lengua... Oye, ¿pero cuántas manos tienes? Déjame respirar... ¡Qué te levantes te digo! (Se incorpora lentamente, como quitándose de encima el peso del cuerpo del hombre. Se sienta frente al público.) ¡Por fin! Estoy empapada en sudor. ¿Para ti esto es hacer el amor? Sí, claro que me gusta, pero preferiría que hubiera algo más de sentimiento... ¡No estoy hablando de sentimentalismo! Cómo no, ya sabía que me saldrías con lo de que soy una cursi romántica y antigua...
Claro que me apetece hacer el amor, pero a ver si entiendes que no soy una de esas maquinitas que les metes unos duros y se les encienden las luces, tun, tun, trin, toc, toc... ¡drin! Mira, yo, si no se me trata bien, me bloqueo, ¿comprendes? ¿Será posible que, si una no se coloca de inmediato en una postura cómoda, falda y bragas fuera, piernas abiertas y bien estiradas, se vuelve una estúpida acomplejada, con los traumas del honor y del pudor, inculcados por una educación reaccionaria-imperialista-capitalista-masónica-católica-conformista-y austrohúngara? ¿Que soy pedante? Y una tía pedante os pone muy nerviosos, ¿verdad? Es mejor la mema de risita erótica... (Ríe por lo bajo, en plan erótico-tirado.) ¡Venga, hombre, no te cabrees! No, no estoy ofendida. Está bien, hagamos el amor... (Vuelve a tumbarse de perfil al público.) Y pensar que cuando quieres sabes ser tan dulce..., ¡casi humano! ¡Y un auténtico compañero! (Lánguida, con voz soñadora.) Contigo puedo hablar de cosas que normalmente no sé ni decir... Cosas incluso inteligentes..., eso es, ¡tú consigues que me sienta inteligente! Contigo me realizo... Y además, tú no vienes conmigo sólo porque te gusta cómo hago el amor..., y además, después te quedas conmigo, y yo hablo, y tú me escuchas... (más y más lánguida) ...y yo te escucho… hablas, hablas, y yo... (Se comprende que está a punto de tener un orgasmo por el tono de voz.) ...y yo... (Cambia de tono: de pronto, realista y aterrada.) Por favor, para... ¡que me quedo embarazada! (Implorante.) ...para un momento... (Perentoria.) ¡¡¡QUIETO!!! (El hombre por fin se ha parado.) Tengo que decirte algo importante. No me he tomado la píldora... No, es que ya no la tomo, porque me sienta mal, se me ponen unas tetas como la cúpula de San Pedro... Está bien, sigamos, pero por favor ten cuidado... No olvides lo que ocurrió aquella vez..., ¡cómo lo pasé de mal! (Cambia de tono.) Sí, ya sé que tú también lo pasaste fatal, pero yo más, si no te importa. Sigamos, pero tú ten cuidado... (Vuelven a hacer el amor. Se queda unos segundos inmóviles, en silencio con los ojos abiertos, luego empieza a mover nerviosa un pie en el suelo. Mira a su compañero imaginario y le susurra con voz llena de aprensión.) ¡Ten cuidado! (Con otro tono.) ¡¡¡Que tengas cuidado!!! (Molesta.) ¡Que no, que no puedo! Esto del embarazo me ha helado la sangre en las venas... ¿El diafragma? Sí, lo uso, pero tú no me habías dicho que hoy..., además, esa goma en la tripa no me gusta nada, me da mucha grima..., me parece como si tuviera chicle en el vientre". Fuente: Cactus cultural UTE
Imagen de la red.
La Conciencia de las Palabras
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Siamo poca roba, Dio, siamo quasi niente,
forse memoria siamo, un soffio d’aria,
ombra degli uomini che passano, i nostri parenti,
forse il ricordo d’una qualche vita perduta,
un tuono che da lontano ci richiama,
la forma che sarà di altra progenie…
Ma come facciamo pietà, quanto dolore,
e quanta vita se la porta il vento!
Andiamo senza sapere, cantando gli inni,
e a noi di ciò che eravamo non è rimasto niente.
- Franco Loi
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Franco Harris (March 7, 1950 – December 20, 2022) was a football running back who played in the NFL for 13 seasons, primarily with the Pittsburgh Steelers. He played college football at Penn State University and was selected by the Steelers in the first round of the 1972 NFL Draft. He spent his first 12 seasons with Pittsburgh, earning nine Pro Bowl selections, and was a member of the Seattle Seahawks in his last. He was inducted into the Pro Football Hall of Fame.
He was born in Fort Dix, New Jersey. His father, Cad Harris, served in WWII and was stationed in Italy during the war. His mother, Gina Parenti Harris, became a “war bride”.
He attended Penn State University, where he played on the Nittany Lions football team. He was a blocker for the running back during his first year at Penn State, he amassed a career total of 2,002 yards rushing with 24 touchdowns and averaged over 5 yards per carry while catching 28 passes for 352 yards and another touchdown. He led the team in scoring.
He rushed for more than 1,000 yards in eight seasons, breaking a record. The running back tandem of Harris and Rocky Bleier combined with a strong defense to win four Super Bowls following the 1974, 1975, 1978, and 1979 seasons. He was the MVP of Super Bowl IX; he rushed for 158 yards and a touchdown on 34 carries for a 16-6 win over the Minnesota Vikings. He was the first African American as well as the first Italian-American to be named Super Bowl MVP. He was a major contributor for the Steelers in all of their first four Super Bowl wins. His Super Bowl career totals of 101 carries for 354 yards are records and his four career rushing touchdowns are tied for the second-most in Super Bowl history.
He married Dana Dokmanovich. They had one son together: Franco “Dok” Harris, who ran as a third-party candidate in the 2009 Pittsburgh mayoral election and finished in second place. His brother, Pete Harris, played football for Penn State.
He served as part of the advisory board of Penn State’s Center for Food Innovation and was named a Conti Professor by Penn State’s School of Hospitality Management. #africanhistory365 #africanexcellence
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Se non mi operano prima vado a vedere Ferzaneide al Franco Parenti (se parla di NO urlo)
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Angelo Iannelli: “DAG”
Il 20 settembre arriva in radio il nuovo singolo del cantautore romano, secondo estratto dall’ album “Vicini margini”
“DAG” è il secondo singolo estratto da “Vicini margini”, il nuovo album del cantautore romano Angelo Iannelli. Questo brano, ricco di suggestioni e dall’andamento nostalgico, racconta emozioni di vita vissuta.
La canzone narra la ricerca di se stesso da parte dell’Io narrante, raffigurando la solitudine in cui la mancanza di calore è rappresentata da una sigaretta che brucia, l’unica “cosa accesa” che ha accanto.
“DAG” è un viaggio emotivo che invita l’ascoltatore a riflettere sulle proprie esperienze e a trovare un senso di connessione in un mondo spesso desolato.
Il testo del brano è dello stesso Iannelli, mentre la musica è stata scritta a quattro mani con Riccardo Corso.
Il singolo è stato arrangiato, suonato e mixato da Alessandro e Francesco Cosentino (Fratelli Cosentino), poi masterizzato in analogico da Riccardo Parenti presso l’Elephant Mastering. Il video che accompagna la canzone, diretto e montato da Iannelli, è stato girato in una desolata Roma notturna.
youtube
DICONO DEL SUO DISCO
«Morbido, malinconico anche dentro dinamiche più presenti, antico ma non vecchio.» RaroPiù
«Un disco da leggere, un disco che cerca di condurmi in quei “margini” che sono i limiti che definiscono lo spazio tra la nostra zona di comfort e il resto del mondo. E la voce di Iannelli ci tiene spesso ad emancipare questo stato di quiete e cerca non solo la pacata ragione ma anche l’irruente tempismo di un istinto.» Bravo On Line
«Si percepisce la dimestichezza di un cantautore che sa cogliere i segni dietro ai quali si celano emozioni e sentimenti, del resto non a caso è anche uno scrittore che ha affinato la sensibilità di chi coglie e trasmette a chi ascolta o legge il suo “sentire”.» Musica Mag
«Angelo Iannelli è sempre a due passi dal confine, come una sfida ma anche come un bisogno per guardare tutto. “Vicini margini” sembra potente nella sua semplicità. Di sicuro non è un disco per far scivolare il tempo» Mondo Spettacol
Angelo Iannelli vive a Roma da quando è piccolo. Cantautore, scrittore, attore, nonché autore teatrale e cinematografico è una figura poliedrica nel mondo artistico contemporaneo.
Autore del testo dello spettacolo teatrale “Dalla notte del mito all’Eneide, nei luoghi e nei tempi di Virgilio”, interpretato insieme a Michele Placido e Alessandro Haber, ha recitato in numerose serie tv, tra cui “Squadra antimafia”, “R.I.S.”, “L’onore e il rispetto”, “Che Dio ci aiuti” e “Il clandestino” (2024).
Ha pubblicato il romanzo “Bar Binario” (Aracne editrice, 2016), il saggio scientifico “L’Io diviso. Dai medici-filosofi alla letteratura, al teatro e al cinema del Novecento” (Aracne, 2013) – presente nel catalogo di alcune tra le più prestigiose Università e biblioteche internazionali (Sorbonne Université, Harvard, Princeton, Library of Congress, New York University) – e il saggio “Il Metodo V.D.A.M. Una pedagogia attorica” (2023).
È autore del documentario “Intervista a Carlo Merlo, il maestro delle Star” – in cui sono approfonditi i più importanti metodi contemporanei di recitazione – e di diversi cortometraggi indipendenti di cui ha curato la sceneggiatura e la regia.
Nel 2016 è uscito il suo primo album musicale, “Il cannocchiale”, seguito da numerosi singoli tra i quali “Il bambino di Aleppo”, “Comico dell’arte”, “GPB”, “Poema vocale”, “Malbene”, “Così scappi da te” e “Come a Hollywood” (2023).
Ha collaborato, tra gli altri, con l’illustratore, animatore e regista Michele Bernardi (Colapesce, Vasco Brondi/Le luci della centrale elettrica, Tre allegri ragazzi morti), che ha realizzato il videoclip de “Il bambino di Aleppo”, con Alessandro Canini (Venditti, De Gregori), con Riccardo Corso (Cristicchi) e con i Fratelli Cosentino (Ariete, Franco 126).
Dei brani di Iannelli hanno parlato, mediante recensioni, interviste, live in diretta e brani in rotazione: RAI Isoradio, RAI Sport radio, Tgcom24, Mediaset Infinity, Radio Lattemiele, Il giornale, La Repubblica, Il messaggero, Leggo, TGR Lazio e diverse altre testate.
Attualmente insegna Lettere in una scuola superiore di Roma ed è Docente di discipline cinematografiche nell’ambito del “Piano Nazionale Cinema”.
Il 10 maggio 2024 esce in radio “Elettronica”, singolo estratto dal suo nuovo album “Vicini Margini”, pubblicato il 24 maggio dello stesso anno per Matilde Dischi / Artist First. Il 20 settembre 2024 esce in radio “DAG”, secondo singolo estratto dal disco.
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Siamo poca roba, Dio, siamo quasi niente,
forse memoria siamo, un soffio dell’aria,
ombra degli uomini che passano, i nostri parenti,
forse il ricordo d’una qualche vita perduta,
un tuono che da lontano ci richiama,
la forma che sarà di altra progenie…
Ma come facciamo pietà, quanto dolore,
e quanta vita se la porta il vento!
Andiamo senza sapere, cantando gli inni,
e a noi di ciò che eravamo non è rimasto niente.
Franco Loi
da “Liber”
The Shadows on the Wall (Chrysanthemums)
ca. 1906
Adolf de Meyer
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Cosa siamo nel buio, un successo le presentazioni di Tobia Rossi in tutta Italia
Di Annalisa Valente Tobia Rossi ha trasposto nel racconto Cosa siamo nel buio la sceneggiarura di Hide and Seek, che ha debuttato a marzo al Park Theatre di Londra. Cosa siamo nel buio, un successo le presentazioni di Tobia Rossi in tutta Italia Continua il successo di Cosa Siamo Nel Buio (Mondadori Editore). L’opera letteraria di Tobia Rossi, drammaturgo, sceneggiatore e story editor, segue la messa in opera della piece teatrale Hide and Seek (sempre a firma di Rossi), che nello scorso mese di Marzo è stata rappresentata al Park Theatre di Londra per la Zava Productions, riscuotendo un buon successo di pubblico. Questa stessa piece ha preso vita dalla drammaturgia, sempre di Rossi, Nascondino, che a sua volta ha ispirato questo romanzo, dopo aver vinto il Mario Fratti Award 2019 ed essere andato in scena in Italia, a Londra e New York. Cosa Siamo Nel Buio narra di Gio, che va in seconda liceo, ed è convinto che nessuno lo ami, sia in famiglia che tra i compagni di scuola. E ne è talmente convinto che decide di sparire lasciando come unico indizio una serie di video sul suo profilo TikTok. Va a nascondersi in una remota grotta nel bosco, forse per non essere trovato o forse perché qualcuno finalmente si accorga di lui. Così quando Mirko – il compagno di scuola che Gio osserva da mesi - scopre per caso il suo nascondiglio, le cose cambiano. Mirko diventa un complice, torna a trovarlo nella grotta per raccontargli cosa sta succedendo fuori: le ricerche della polizia, i servizi in TV, le visualizzazioni del suo profilo TikTok che crescono ogni giorno. Finché il legame tra i due si stringe, rivelando davvero ciò che Gio e Mirko sono nel buio: due anime spezzate in cerca di uno spiraglio di luce. Adesso quindi tocca al libro continuare a far parlare di sé e in Italia, già da fine Maggio, sta riscuotendo un buon successo di pubblico anche grazie al programma di presentazioni dal vivo in località e situazioni interessanti. Prima a Milano, presso la Libreria Noi (https://www.noilibreria.it) un luogo creato con l’obiettivo di costruire una comunità di lettori non solo attraverso la vendita di libri ma con eventi, incontri, laboratori. “Il luogo perfetto per presentare questa storia” lo ha definito lo stesso Tobia. Alla presentazione milanese ha partecipato Gianluca Nativo, giovane autore con già due romanzi all’attivo, entrambi editi da Mondadori. “Ci siamo conosciuti a scuola (è anche un insegnante) – ci ha detto Tobia - abbiamo scoperto un interesse in comune per una certa letteratura per ragazzi, oltre che per la scrittura, e lui con grande generosità mi ha accompagnato in alcuni eventi di presentazione del mio romanzo, facendomi da relatore.” Altri appuntamenti hanno fornito l’occasione per incontrare dal vivo Tobia Rossi e il suo libro: la Pride Week di Alessandria a fine Maggio e la kermesse Mare di Libri a Rimini a metà Giugno. E altri ancora ce ne saranno: di nuovo a Milano (al teatro Franco Parenti il 4 ottobre), in Valtellina, nel Monferrato e in Sardegna. “Io spero tanto che il libro possa anche approdare all'estero – ci confida Tobia - credo che le tematiche che tratta siano universali e quello che accade nel piccolo paese di Mirko e Gio, un paese identificato nel nord dell'Italia, possa accadere tranquillamente ‘alla periferia di qualsiasi impero’. E poi il pubblico britannico, ad esempio, ha già conosciuto e apprezzato la storia attraverso lo spettacolo Hidend Seek, che è stato da poco in scena al Park Theatre, ottenendo un buon consenso di pubblico e critica”. Nel frattempo, chi ha visto a Londra Hide and Seek (o se l’è persa e vuole recuperare) quindi vuole leggere il libro, può acquistarlo on line, o sul sito di Mondadori https://www.ragazzimondadori.it/libri/cosa-siamo-nel-buio-tobia-rossi-9788804781783/ o alla pagina Cosa siamo nel uno su Amazon. Anche perché, come ha spiegato l’autore “questo romanzo amplia il racconto del testo teatrale, crea tutta una serie di percorsi, di personaggi secondari. Dice tutto quello che nel testo teatrale non viene detto, per una questione di sintesi. E’ come se fosse una versione ampliata di quella storia e del suo mondo”. Se avete amato Hide and Seek, non potrete non amare anche Cosa Siamo Nel Buio. ... Continua a leggere su
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