#foto in scatola
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No mi son sbagliat* perché ho una memoria di merda, non è su questi consigli che l'ho basato, ho basato il mio San Lang su merchandise, il coniglio su un disegno ufficiale del donghua...? E NON HO NEANCHE UNA FOTO DEL CONIGLIO COMPLETO SOLO LA TESTA 😭
@coffeeworldsasaki dio santissimo siamo tutti così tanto persone di cultura e buon gusto qui (also, manda! Curioso di vedere se possibile!)
#perché non trovo una foto.... ho fatto una fatica assurda per fare il corpo????#purtroppo ho quasi tutta la roba che ho fatto ancora inscatolata dopo l'ultimo trasloco#eccetto il mio binghe plushie quello me lo sono messo nello zaino durante il trasloco perché è il mio capolavoro e col cazzo che lo lasciavo#viaggare nel camion in una scatola
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Vedendo in giro alcune foto e leggendo i commenti qua' e là, scopro i ricordi di alcuni che poi, alla fine, sono i miei ricordi di bambina e quelli di molti di noi.
Noi, quelli della mia generazione intendo, abbiano avuto la fortuna di nascere e crescere in un'epoca dove abbiamo ascoltato il rumore delle onde, il garrire delle rondini, abbiamo assaporato la frutta dagli alberi. Ci siamo scorticati le ginocchia andando in bicicletta o correndo per non essere scoperti a nascondino.
Ci siamo baciati e ci siamo abbracciati, a volte presi a schiaffi e le facce indignate o sorridenti erano le nostre e non quelle buffe forme che troviamo ed a volte utilizziamo per mostrare i nostri sentimenti nel web.
Ricordo i bagni al mare, non si usciva fino a che le labbra non diventavano blu e le merende che seguivano erano le più buone del mondo perché si era affamati....affamati di cibo ma anche di curiosità e di conoscenza. Ad una meta raggiunta ne seguiva subito un'altra da raggiungere.
Oggi non si ha più fame di nulla, ci riempiamo di ogni cosa, siamo pieni di sovrastrutture che non servono a molto se non a coprire ed a nascondere quello che noi in realtà siamo.....anime in cerca d'amore, chiuse in una scatola di finte certezze che ci rassicura ma che allo stesso tempo ci soffoca.
Quello che abbiamo realmente vissuto, le sensazioni intendo, i dolori, le gioie, i profumi antichi delle cucine delle nostre nonne e dei vasi fioriti delle nostre madri sono dentro di noi ed hanno creato la nostra anima, tutto sta a scoprirla.
Angela P.
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Prima sono andata a casa di mia madre per prendere in prestito un trapano visto che il mio è in negozio (nb. Scopro che mia madre non ha più il trapano perché ho anche il suo in negozio. Perché? Che cazzo ne so).
Sono scesa al piano interrato e ho cominciato a cercare, cerca di qua, cerca di là, mi sono imbattuta nella scatola con i miei progetti dell'Università, la riapro sempre quando la vedo, sfoglio le prime cose, guardo i vari pezzi di poliplat, ma non arrivo mai al fondo, non voglio rovinarmi la sorpresa perché so che un giorno arriverò al fondo della scatola e penserò "seee vabbè e questo chi se lo ricorda?" oppure "ma quando mai ho fatto sta cosa" o probabilmente "che cacata" ma anche "geniale, che talento sprecato". Poi ho intravisto su un mobile una scatola con scritto "Camera vecchia C'houncazzodicasino". L'ho aperta e ho adorato tutto. I pochi cd originali che avevo, insieme alle varie compilation, la macchinetta portatile con cui facevo le foto in ogni momento ai miei amici, sempre, sempre, ad ogni occasione avevo quella macchinetta in borsa, un soprammobile in resina che raffigura un fungo del mondo degli gnomi con occhi e naso, un vecchio pass per maison et object, i quadernini e le moleskine dove prendevo appunti all'università di storia dell'Architettura (conservati gelosamente), il vecchio lettore mp3 e una scatolina con alcuni ricordi del nonno. Anche qui non sono arrivata al fondo della scatola. Volontariamente.
Quanto mi piacciono quelle cinque sei scatole piene di ricordi e cose che ho sparse per casa mia e casa di mia madre. Mi passano di mente o forse ci penso ogni giorno. Mi passano di mente e ci penso ogni giorno.
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Eredità
Ho visto i visi dei miei antenati fiumi di foto a bruciapelo. I loro erano i volti vivi dei dimenticati i gusci lisi della mia ghianda una storia che passa senza alcuno sguardo, una genealogia rimossa negli atti silenziosi del mio giorno che, come gli altri prima di me, sarà sepolto nelle fratture di tre o quattro generazioni.
I ricordi si insinuano nell’aria fra i tessuti la memoria è una scatola di fallimenti: ci si ricorda solo di ciò che non è mai successo; il legno bruciato di una delusione il rimosso, la vita eccedente.
-Axel Sintoni-
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È possibile essere tristi e felici contemporaneamente? C'è una parola per descrivere questo senso di boh? Perché mi sento così. È accaduto questo evento che aspettavo e forse temevo da tempo. Insomma anche se ne dimostro meno questa settimana ho compiuto 50 anni. Non so bene come sia successo, mi sembra l'anno scorso che ne festeggiavo volentieri 40 e nella mia testa ne ho al massimo 35, infatti continuo a pensare e fare quasi le stesse cazzate. Non avevo granché voglia di festeggiare, quindi ho fatto le stesse cose standard di tutti i compleanni ma con un lieve strato di malinconia in più, sentimento per me nuovo e che ancora non ho imparato a gestire al meglio. Volevo farmi un paio di regali (un piccolo viaggio, un grande tatuaggio, magari un altro gatto piccolo o grande è indifferente), ma a causa di imprevisti economici non ho potuto, spero di poter recuperare. Nel frattempo proseguo come meglio posso, forse con più consapevolezza. Ah e il Lego della foto l'ho ricevuto come regalo, sulla scatola è scritto 18+ quindi per me è perfetto!
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sono andata a rinnovare la patente, stupidamente ho dimenticato la foto da turbo fregna da metterci.
me l'ha fatta la signora dell'aci con il tablet con spiccate doti da fotografa tipo "mettiti sul bianco e guarda qui".
no va beh raga sarò tipo mega cessa in sta patente, punto tra 10 anni ad averne una con la scatola del Pandoro in testa
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Questo weekend ho fatto una delle cose che mi ero ripromessa di fare più spesso, anzi due: passare del tempo con le mie amiche di persona e dedicare di nuovo attenzione all'antropologia, che dopo la tesi ho messo un po' troppo in disparte.
Con la mia vecchia compagna di studi siamo andate a seguire degli incontri a Pistoia, organizzati proprio sul tema dell'antropologia dell'alimentazione, sulla cultura e sulle retoriche del cibo, sulle pratiche e i miti più o meno recenti che gravitano intorno alla cucina e alla produzione di ciò che mettiamo a tavola. Bellissimo *_*
Purtroppo siamo riuscite a stare solo una giornata su tre, e abbiamo perso uno degli interventi che avremmo voluto seguire di più, ma non si può avere tutto (e proprio la "temperanza" era uno dei concetti cardine di uno degli interventi che abbiamo ascoltato, quindi abbiamo cercato di contenere la delusione u_u)
Questi sono i miei appunti sparpagliati rimuginati tra ieri e oggi, in attesa di rimettere ordine nei miei pensieri:
* Sullo Sprecometro di Andrea Segrè gli astronauti della stazione spaziale sarebbero sempre ai primi posti di tutte le classifiche, ma quanto è difficile essere parsimoniosi senza un team alle spalle
* Chissà se Stefania De Pascale ha visto "For all Mankind" e quanta fantascienza c'è stata nell'infanzia di chi lavora in questo campo - chissà che ne penserebbero Fabio Dei (ricordando sua lezione dal Festival di antropologia di Bologna) e Dario Bressanini
* Se la tavola serve al dialogo e dialogare a tavola e sulla tavola serve a tutti noi, seguire il filo dei discorsi di Marino Niola e Enzo Bianchi è un viaggio nel linguaggio più suggestivo tra metafore e allegorie, una serie di immagini potentissime
* La concretezza dei numeri sulla produzione di carne di Stefano Liberti è agghiacciante anche dopo aver scritto una tesi su questi argomenti ed è tra i migliori esempi della complessità dei mondi culturali di cui parlava Adriana Destro nel mio primo libro di antropologia
* Chissà se la dimensione relazionale delle scelte alimentari collettive di cui ha parlato Adriano Favole ci porterà verso un equilibrio sostenibile prima o poi - sarebbe meglio prima che poi... - tra i paradossi dell'abbondanza e i limiti della memoria storica e la costruzione di nuove abitudini a tavola (quando ha parlato della neo-tipicità della carne in scatola in polinesia e al paragone con l'importazione della pizza in Italia non ho potuto fare a meno di pensare ad Alberto Grandi)
* Alla ricerca delle foto di Marco Aime, abbiamo visitato alcuni locali tra i vicoli e le piazzette di Pistoia, incrociando insegne di "corsi di recupero per vegani" e mostre fotografiche dedicate alla "fame chimica": sulla sola retorica sul cibo ci sarebbero ore di dialoghi da fare
* Grande emozione incontrare al volo Massimo Montanari e ringraziarlo per aver dato il via alla passione per questi argomenti 20 anni fa, ancora più bello farlo insieme alla mia amica considerato che la nostra amicizia è nata proprio tra i banchi di quel corso
* Quanti libri vorrei leggereeeee
* Per fortuna ci sono i video su youtube per recuperare gli incontri persi
Comunque non potevo non prendere appunti, ovviamente u_u
Questa invece sono io che aspetto il treno per rientrare con 50 minuti di ritardo, ma niente può guastare questo weekend cominciato con gli gnocchi fatti in casa dalla mia amica u_u
E comunque ne ho approfittato per cominciare un libro che sembra proprio bellissimo *_*
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Al doganiere dichiaro
una scatola d'ovomaltina,
frutta secca, piselli sottovuoto;
a mio modo solenne, poi,
due bottiglie di vino.
Taccio invece di te, della tua foto
nascosta fra i documenti.
Annuisce contento:
mi crede sano.
Fabio Pusterla
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Il mistero del peperone
Al dì 11 settembre, giorno funesto, capo mi ha chiesto di preparargli 60 PZ di un prodotto perché li avrebbe dovuti portare alla riunione di oggi. Ok, preparo e metto in una scatola, l'ho lasciata aperta perché tanto non andava spedita. Ho messo la suddetta scatola sotto la mia scrivania perché c'era gente in azienda e non mi andava di lasciarla in giro in bella vista. Alle 18 il capo ha chiesto "giu' la scatola dei 60 PZ è questa?" "Si si". Bene, l'ha presa e se l'è portata dietro, non so se subito in macchina o altrove.
Stamattina il capo manda una foto alla capa di questa scatola con dentro i 60 PZ + UN PEPERONE. Non so se mi stessero vagamente accusando di aver messo UN PEPERONE nella scatola perché la cosa mi ha fatto molto ridere internamente, ma 1) non vado a mettere peperoni nelle scatole e 2) la scatola è rimasta sotto la mia scrivania, in un ufficio in cui chiaramente non circolano peperoni. Fatto sta che il mistero rimane: come ci è finito il peperone lì? Molteplici sono le opzioni, una è la verità, nessuno la conosce.
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Alla fine del XIX secolo, c'era una ragazza di nome Emily, rinomata nella sua piccola città vittoriana per il suo particolare hobby di collezionare tesori. A differenza di altri bambini della sua età che collezionavano bambole o biglie, i tesori di Emily erano le reliquie dimenticate del passato: chiavi antiche, lettere sbiadite, gioielli rotti e vecchie fotografie. Aveva una particolare predilezione per le carte degli armadietti, quelle robuste fotografie montate su cartone spesso che erano popolari nel 1800.
Il fascino di Emily per questi artefatti non riguardava solo il loro aspetto. Sentiva un profondo legame con le storie che avevano. Ogni fine settimana, vagava tra mercatini delle pulci e vendite immobiliari, i suoi occhi brillavano con la possibilità di scoprire un nuovo pezzo da aggiungere alla sua collezione. Puliva meticolosamente e catalogava ogni oggetto, immaginando la vita delle persone che un tempo li possedevano.
Un giorno, rovistando in una soffitta polverosa, Emily si imbattì in un album fotografico pieno di cartoncini. Ogni foto mostrava individui dalla faccia severa in rigido abiti vittoriani. Tra di loro, spiccava una foto, una foto di una ragazza della sua età, con in mano una scatola decorata. Gli occhi della ragazza sembravano brillare di un segreto, un'intesa condivisa attraverso i secoli. Incuriosito, Emily iniziò a indagare sull'identità della ragazza. Ha scoperto che la ragazza, di nome Margaret, era conosciuta come la "collezionista di tesori" del suo tempo.
Emily sentiva una parentela con Margaret, come se fossero spiriti affini separati dal tempo. Ispirata, ha deciso di scrivere un diario, documentando le sue scoperte e le storie immaginate delle persone nelle fotografie. La sua collezione crebbe, e con essa, la sua comprensione del passato. La caccia al tesoro di Emily era più di un hobby; era un ponte che la collegava a un mondo lontano, ma vividamente vivo nella sua immaginazione.
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Croci
Ogni anno la sera del Ringraziamento seguivamo come un gregge papà che trascinava il vestito da Babbo Natale in giardino e lo sistemava su una specie di crocefisso che aveva costruito con un palo di metallo. La settimana del Super Bowl la croce portava una maglia da football e il casco di Rod, e Rod doveva chiedere il permesso a papà se voleva riprendersi il casco. Il Quattro Luglio la croce diventava lo Zio Sam, il giorno dei caduti un soldato, ad Halloween un fantasma. La croce era l'unica concessione di papà all'entusiasmo. Potevamo prendere solo un pastello per volta dalla scatola. Una volta la notte di Natale papà sgridò Kimmie perché aveva sprecato uno spicchio di mela. Quando versavamo il ketchup ci ronzava intorno dicendo: Basta, basta, basta. Le feste di compleanno erano a base di merendine, niente gelato. La prima volta che ho portato a casa una ragazza lei mi ha detto: Perché tuo padre ha messo quei due pali in croce?, e io non sapevo dove guardare.
Siamo andati via di casa, ci siamo sposati, siamo diventati genitori, abbiamo scoperto che il seme della grettezza fioriva anche dentro di noi. Papà ha cominciato a decorare la croce con più complessità e con una logica più ermetica. Il Giorno della Marmotta l'ha coperta con una specie di pelliccia e ha trascinato fuori un riflettore per creare un effetto ombra. Quando c'è stato un terremoto in Cile ha abbattuto la croce e dipinto una crepa per terra con lo spray. E' morta mamma e ha mascherato la croce da Morte e sul braccio orizzontale ha appeso le foto di mamma da piccola. Passavamo a salutarlo e trovavamo strani talismani della sua gioventù disposti ai piedi della croce; medaglie dell'esercito, biglietti del teatro, vecchie felpe, cosmetici di mamma. Un autunno ha pitturato la croce di giallo vivo. E in inverno l'ha coperta di ovatta per tenerla al caldo e fornita di prole piantando col martello sei mini croci in giardino. Ha passato pezzi di spago tra la croce e le mini croci e ha attaccato lettere di scusa, ammissioni d'errore, richieste di comprensione, tutto su cartellini scritti con mano affannosa. ha dipinto e appeso alla croce un cartello con la scritta AMORE, poi un altro che diceva PERDONARE? e poi è morto con la radio accesa e abbiamo venduto la casa a una giovane coppia che ha sradicato la croce e l'ha lasciata sul ciglio della strada perché la portasse via il camion dell'immondizia.
- George Saunders, Dieci dicembre
(Uno dei racconti più belli degli ultimi anni)
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Ero arrivato all'indirizzo e avevo suonato il clacson. Dopo aver aspettato qualche minuto, suonai di nuovo. Visto che quella sarebbe stata la mia ultima corsa del turno, pensai di andarmene, ma invece misi la macchina in parcheggio, mi avvicinai alla porta e bussai. 'Un attimo,' rispose una voce fragile e anziana. Sentii qualcosa trascinarsi sul pavimento.
Dopo una lunga pausa, la porta si aprì. Davanti a me c'era una piccola donna sui novant'anni. Indossava un vestito a fiori e un cappellino con un velo appuntato, come qualcuno uscito da un film degli anni '40.
Accanto a lei c'era una piccola valigia di nylon. L'appartamento sembrava disabitato da anni. Tutti i mobili erano coperti da lenzuola.
Non c'erano orologi alle pareti, né soprammobili o utensili sui ripiani. In un angolo c'era una scatola di cartone piena di foto e oggetti di vetro.
'Potresti portare la mia valigia alla macchina?' disse. Presi la valigia e la portai al taxi, poi tornai ad aiutarla.
Mi prese per il braccio e camminammo lentamente verso il marciapiede.
Continuava a ringraziarmi per la mia gentilezza. 'Non è niente,' le dissi. 'Cerco solo di trattare i miei passeggeri come vorrei che trattassero mia madre.'
'Oh, sei un bravo ragazzo,' disse. Quando salimmo in taxi, mi diede un indirizzo e poi chiese: 'Potresti passare per il centro?'
'Non è la strada più breve,' risposi rapidamente.
'Oh, non importa,' disse. 'Non ho fretta. Sto andando in un hospice.'
Guardai nello specchietto retrovisore. I suoi occhi luccicavano. 'Non ho più famiglia,' continuò con voce dolce. 'Il dottore dice che non mi resta molto tempo.' Spensi il tassametro in silenzio.
'Quale percorso vuoi che faccia?' chiesi.
Per le successive due ore, guidammo attraverso la città. Mi mostrò l'edificio dove aveva lavorato come operatrice di ascensori.
Passammo per il quartiere dove lei e suo marito avevano vissuto da novelli sposi. Mi fece fermare davanti a un magazzino di mobili che un tempo era stata una sala da ballo dove andava a ballare da ragazza.
A volte mi chiedeva di rallentare davanti a un particolare edificio o angolo e restava a fissare nel buio, senza dire nulla.
Quando l'alba iniziava a intravedersi all'orizzonte, disse improvvisamente: 'Sono stanca. Andiamo ora.'
Guidammo in silenzio fino all'indirizzo che mi aveva dato. Era un edificio basso, simile a una piccola casa di riposo, con un vialetto che passava sotto un portico.
Appena arrivammo, due inservienti uscirono dal taxi. Erano premurosi e attenti, osservando ogni suo movimento. Dovevano aspettarla.
Aprii il bagagliaio e presi la piccola valigia. La donna era già seduta su una sedia a rotelle.
'Quanto ti devo?' chiese, mettendo mano alla borsa.
'Niente,' dissi.
'Devi guadagnarti da vivere,' rispose.
'Ci sono altri passeggeri,' replicai.
Quasi senza pensarci, mi chinai e la abbracciai. Mi tenne stretta.
'Mi hai regalato un piccolo momento di gioia,' disse. 'Grazie.'
Le strinsi la mano e poi mi allontanai nella luce fioca del mattino. Dietro di me, una porta si chiuse. Era il suono della chiusura di una vita.
Non presi più passeggeri per quel turno. Guidai senza meta, perso nei miei pensieri. Per il resto della giornata, riuscii a malapena a parlare. Cosa sarebbe successo se quella donna avesse avuto un autista arrabbiato o impaziente di finire il turno? E se avessi rifiutato la corsa, o avessi suonato il clacson una volta, poi me ne fossi andato?
Ripensando a tutto, non credo di aver fatto nulla di più importante in vita mia.
Siamo abituati a pensare che le nostre vite ruotino attorno a grandi momenti.
Ma spesso i grandi momenti ci sorprendono, splendidamente avvolti in quello che altri potrebbero considerare un piccolo gesto.
LE PERSONE POTREBBERO NON RICORDARE ESATTAMENTE COSA HAI FATTO, O COSA HAI DETTO MA RICORDERANNO SEMPRE COME LE HAI FATTE SENTIRE.
In fondo a questa grande storia c'era una richiesta di inoltrarla - ho eliminato quella richiesta perché se hai letto fino a questo punto, non avrai bisogno di essere invitato a passarla oltre, lo farai spontaneamente...
La vita potrebbe non essere la festa che speravamo, ma mentre siamo qui possiamo anche ballare...
Da Marco Gigli.
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BUMBLEBEE ( Deluxe ) Studio Series GAMER EDITION 01
Fra i nuovi Studio Series Gamer Edition non poteva mancare la versione videoludica di BUMBLEBEE, esordito nell'ormai classico e mitico War for Cybertron, ed anche per lui si pone giocoforza il confronto con il modellino originale Generations del 2010.
Iniziamo bene dalla modalità veicolare di AUTO CYBERTRONIANA, davvero fedele nella sua forma di mouse con le ruote, indovinato già nel suo design originale che richiama le forme di quella che diverrà la forma terrestre di Maggiolino: ovviamente il Deluxe del 2010 parte avvantaggiato, e non solo per la stazza maggiore, ma anche per i finestrini laterali in plastica trasparente ed i cerchioni delle ruote idem con l'effetto "Tron" efficacissimo per questi veicoli.
Ma nel suo piccolo il SS GE si difende bene, risultando compatto e fedele, e pure con qualche dettaglio in più… magari non sulle ruote, ma le strisce rosa neon ci sono anche sui fari frontali, ecco, anche se poi non hanno manco dipinto il lunotto posteriore, vabbè! ^^'
Il veicolo può ospitare le 3 armi accessori di cui è provvisto il modellino, con l'arma leggera nascosta sotto l'auto, quella pesante sopra il tettuccio ( ma volendo vi si può posizionare quella leggera, ma non il contrario ), mentre la spada si attacca sul retro negli appositi perni… non il massimo, ok, ma almeno ha un posto dove stare.
La TRASFORMAZIONE a grandi linee è come il Deluxe originale, col muso che si abbassa a divenire il petto del robot, le ruote anteriori che finiscon sugli avambracci e mentre la parte posteriore laterale diventa le gambe, ma il COME è ben diverso, con soluzioni niente male sia nelle gambe che sopratutto nelle braccia, che risultano più game accurate e snelle.
Il WfC Generations originale era davvero ben fatto, dicevamo, ed anche il ROBOT non era da meno, ma era parecchio fuori scala nel suo essere un Deluxe bello "pieno" con di fianco il collega Optimus della stessa classe, mentre ora questo Bumblebee è giustamente più basso di una testa di un Dlx medio ( ma non meno pesante, almeno! ) e ancor meglio hanno reso Prime un Voyager!
Ma tornando a Bee, nonostante la statura ridotta si presenta ben strutturato e simile al modello in CGI, meglio in alcune parti come le braccia, meno in altre come le gambe, che hanno sì una trasformazione interessante, si diceva più su, ma a scapito di una resa estetica un po' piatta, soprattutto rispetto al Generation del 2010, con le ruote che guarano all'interno delle caviglie ma senza più i dettagli in rilievo sulle gambe.
La zainata sulle spalle è meno ingombrante, sempre rispetto al primo Generations, mentre è un bel tocco il fatto che le spalle, con il disegno dei vetri, diventino parte della carrozzeria laterale, mentre sul design delle gambe ci ritorniamo in seguito, ma il vero elefante nella stanza è il muso del veicolo a mo' di panza che si ritrova, fermo restanto che, a dispetto delle foto promozionali pure sul retro della scatola, almeno le parti laterali esterne rientrano un po'!
Il problema non è tanto quanto è pronunciato tale muso, che visto in alcune angolazioni è anche un po' sopportabile da vedere, quanto che ha pure lo stomaco inglobato all'interno, dandogli un'aria ulteriormente tozza. E sopratutto se di fianco si ritrova il modello precedente, ben più proporzionato a livello di busto.
Vorrei dire che almeno lo SS ha qualche articolazione in più rispetto al suo predecessore di 14 anni fa, ma neanche, anzi peggio, visto che gli manca quella della rotazione dei pugni, e tecnicamente pure l'inclinazione delle caviglie verso l'interno, data la disposizione delle gambe, che a sto punto mi viene da chiedermi se non siano sistemate rovescie per sbaglio di default, allorchè bisognerebbe ruotare il bacino e le cosce di 180° ciascuno per avere la posabilità cavigliare e pure delle gambe più eleganti a vedersi, senza le cerniere a metà polpacci!
Interessante il discorso di avere due blaster diversi ed una spada come accessori, quest'ultima pure davvero ben scolpita con tanti ghirigori sulla lama: se la spada s'impugna normalmente, le armi da fuoco vanno sistemate sostituendo il solo braccio destro, come già visto per Optimus, solo che tale arto poi però non trova più posto nel robot, come invece era per Prime che se lo poteva almeno appendere… dietro il sedere, e quindi resta orfano e abbandonato a se' stesso! ^^'
( Perlomeno entrambe le bocche di fuoco posso appendersi dietro la schiena, dai!! ^^''' )
Insomma, per questo o per quello manca un tanto così perchè questo Bumblebee WfC sia un bel modellino a tutto tondo, che su alcune lacune ci si può passar sopra, non sia mai, ma altre magari sono proprio fastidiose sopratutto se si considera che NON è la prima incarnazione modellistica del giocattolo ED è pure fatta in una linea filologica per collezionisti dove la regola numero 1 dovrebbe essere la somiglianza alla controparte filmica / cartoonesca / videoludica che sia.
Per fortuna, ripeto, ci sono soluzioni innovative interessanti a livello di trasformazione o estetica del veicolo e robot, ma queste sono poi bilanciate in peggio da altre peggiorative, quindi direi che chi ha già il Deluxe del 2010 e non gli interessa la scala, può tranquillamente tenerselo stretto, mentre questo SS può andar bene a che non ha l'originale WfC e comunque ama alla pazzia i personaggi di quel videogioco e quindi vorrà collezionare tutte le uscite.
#transformers#hasbro#generations#autobot#autorobot#wfc#recensione#review#bumblebee#maggiolino#war for cybertron#studio series#gamer edition
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La scatola che mi hai regalato per i 19 è diventata una scatola dei ricordi in cui ho fatto entrare tutte le nostre foto.
Ogni anno mi riprometto di buttarla via, ma puntualmente non ci riesco. C'è ancora quel piccolo telescopio con sopra il tuo biglietto. Vorrei bruciarlo, vorrei bruciare tutto quello che c'è all'interno, ma c'è sempre qualcosa che mi spinge a non farlo.
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TEASING | peter parker x lettrice
trama: peter parker è il tuo migliore amico, ti sta tenendo nascosti piacevoli segreti ma li stai per scoprire tutti questa notte
pairing: peter parker x lettrice (mi riferisco a tasm ma può essere qualsiasi pp se lo desideri)
avvertenze: smut esplicito, sesso non protetto
word count: 2,7k
masterlist | wattpad
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Questa sera fa particolarmente fresco a New York City, il tempo perfetto per un tè, una copertina e un film in streaming. Ma c’è una cosa che ti sta distraendo dalle immagini cruente di Alien, ovvero il disordine. Non riesci proprio a sopportare che la scrivania abbia ancora lo scompiglio dello studio del pomeriggio. Metti in pausa il film e ti alzi. Chiudi e raccogli i libri su cui hai passato ore e ore a memorizzarne le pagine e li riponi al loro posto, nella libreria. Le biro e gli evidenziatori nel portapenne e stavi per tornare a letto quando ti accorgi che una delle cornici appese al muro è storta. Appena noti che la foto in questione è quella del tuo diploma, inevitabilmente un sorriso scappa dalle tue labbra.
Sei felice, spensierata, emozionata e a condividere quel momento importantissimo per voi con le toghe blu è Peter Parker, il tuo migliore amico e spalla su cui puoi sempre contare. Peter Parker… Sei innamorata di lui dal momento in cui i vostri sguardi si sono incrociati per la prima volta a scuola. Lui un po’ goffo, imbranato, se ne andava in giro con lo skateboard e in un modo o nell’altro faceva sempre cadere qualcosa. Ma è questo che ti piace di lui. La sua spontaneità, il suo essere vero.
All’improvviso, un rumore alla finestra. Ti giri di scatto per vedere che un’ombra si sta muovendo da dietro le tende. Hai paura, tanta paura. Il tuo cuore inizia a battere fortissimo, ma pensi che è meglio avere il sangue freddo per qualsiasi evenienza. Cerchi l’oggetto più pesante che ti possa capitare sottomano e trovi una candela. Una candela?!
Ti avvicini lentamente alla finestra e con una mano sposti la tenda. Sei pronta a scaraventare quella profumatissima candela in testa all’intruso quando… ”Spider-Man?!” Esclami.
Cosa ci fa il più famoso e amato supereroe di New York sul tuo davanzale? Sei confusa, ma eccitata. Il mondo si ferma e il tuo cuore continua a battere veloce, non più per la paura ma per l’emozione.
”Calmati, calmati, per favore!” Il ragazzo con il costume ti fa segno di rimanere in silenzio, non vuole che qualcuno ti senti. Entra completamente nella tua stanza e tu lasci cadere la candela. Spider-Man posa una mano sulla tua bocca e l’altra dietro la nuca. Il tuo respiro si regolarizza. Quel tocco ti dà conforto. Rimanete in quella posizione per alcuni secondi, l’uomo ragno sta aspettando che ti sia rilassata completamente e tu ne approfitti per ammirarlo. Non ti è mai capitato di ritrovartelo così vicino. La sua tuta ha dei piccoli strappi qua e là ed è macchiata probabilmente di sangue. Il scintillio degli occhi di plastica della maschera non ti permette di vedere i suoi sotto di essa, riesci solamente a specchiartici.
”Non volevo irromperti in casa, ma non sapevo dove andare.”
Spider-Man ti lascia andare e ti allontani di un passo. ”Perché qui?” Domandi, con aria perplessa. Lui sembra perfettamente a suo agio in questa stanza, tanto da recarsi nel tuo bagno privato, aprire il secondo cassetto del lavandino e prendere il tuo kit del pronto soccorso. Ti stai chiedendo come faccia a sapere dove tieni quella roba.
Spider-Man ti passa la scatola e tu la prendi, ma il tuo sguardo è ancora più confuso di un attimo fa.
”Prometti di non agitarti.” L’uomo ragno mette in avanti le mani come se fossi una belva da domare. Lentamente, si toglie la maschera. In quella frazione di secondo pensi che sia meglio non guardarlo, per proteggere la sua identità segreta, ma lui sta compiendo quel gesto per infrangere questa etica.
”Peter?!” I tuoi occhi si spalancano. ”Cosa- Ma quindi- TU?!” Farfugli qualcosa ma hai un uragano di emozioni dentro lo stomaco e non riesci a formare una frase di senso compiuto.
Ecco perché conosceva dove tieni i medicinali. Qui c’è già stato.
Spide… o meglio, Peter Parker si accascia sul divanetto davanti alla finestra e ti rivolge il suo solito caldo e amichevole sorriso che in un certo senso riesce a far sciogliere quella tempesta che hai dentro.
Lo guardi meglio e noti che perde sangue dal naso e da un taglietto sul labbro. ”Ma tu sei ferito.” In mano hai ancora il kit del pronto soccorso quindi ti accomodi di fianco a lui sul divano verde e prendi gli oggetti necessari per pulirlo e disinfettarlo.
”Dovresti vedere quegli altri.” Ridacchia il ragazzo con il costume rosso e blu. ”Cinque ragazzi se la stavano prendendo con un povero fattorino. Ho fatto vedere loro le buone maniere ma mi hanno rincorso e non potevo scappare all’infinito quindi… Eccomi qui. Tranquilla, non mi hanno visto entrare. Per fortuna abiti all’ultimo pia- Ah! Piano!” Un urletto stridulo esce dalla sua bocca quando il batuffolo impregnato di disinfettante tocca la ferita che ha sul labbro.
”Hai lottato contro una lucertola gigante e ti lamenti di questo micro taglietto?” La cosa ti fa inevitabilmente ridere.
”Guarisco in fretta, ma brucia lo stesso.” Peter fa cadere la testa sullo schienale del divano e ti guarda mentre lo curi. Le sue iridi marroni sono stracolme di dolcezza e passano dai tuoi occhi alle tue labbra, bagnate dalla punta della lingua che fai uscire ogni volta che ti concentri.
”Lo sospettavo, comunque.” Sospiri. Conosci troppo bene Peter e hai capito che ti stava nascondendo qualcosa. Quelle fughe in piena notte e quei giorni passati a non sentirvi erano troppo loschi. Vederlo con quella tuta, ti fa salire un brivido freddo lungo la schiena che improvvisamente si trasforma in una calda e piacevole sensazione nello stomaco. Ti piace, tantissimo.
”Non mi dire.” Ti stuzzica ironicamente Peter per poi tornare serio per un attimo. ”Mi fido di te. Ciecamente. Ecco perché sono qui, sei l’unica su cui posso contare.”
Appena finisci di pulirgli il viso, butti per terra i batuffoli di cotone usati e metti da parte il kit. Stai per alzarti quando Peter ti afferra un polso con delicatezza. ”Torna qui.” Dice, tirandoti verso di lui. Sei nuovamente seduta, ma il tuo amico non ha intenzione di lasciarti. Tu non riesci a opporre resistenza, quindi ti lasci cullare dalle sue mani quando una di queste si appoggia sulla tua guancia accaldata.
”Sono contenta che ti sia aperto con me. Significa tanto.” Ringrazi Peter per aver confidato con te il suo più grande segreto, nonostante i rischi che corre.
I vostri visi sono incredibilmente vicini. Peter riesce a percepire il tuo battito accelerato con il suo senso sviluppato da supereroe. A cosa fare adesso ci sta pensando da una vita intera. Con il pollice ti accarezza lo zigomo e la mano scende verso la nuca e ti avvicina ancora di più. I vostri nasi si stanno sfiorando. Rimanete così, con le labbra che quasi si toccano ma ancora non si incontrano. I vostri respiri si uniscono.
”Peter…” Sussurri. Quella lontananza ti sta torturando. Perché non si decide a baciarti? La verità è che anche lui sta fremendo, ma vuole capire se sta facendo la cosa giusta.
”Sì?” Sussurra a sua volta.
”Non farmelo dire.” Sorridi ma stai tremando.
Peter ti guarda negli occhi, che nel frattempo sono diventati lucidi di desiderio e con la debole luce dei lampioni che viene da fuori si nota più facilmente. ”Voglio sentirtelo dire.”
Potresti morire di infarto. ”Baciami, ora.”
Le vostre labbra finalmente si incontrano in quello che sembra essere uno spettacolo di fuochi d’artificio. Peter è così delicato ma anche così passionale, questo bacio sta riempiendo la stanza con rumori bagnati e ansimi pesanti. La sua mano scivola verso la tua clavicola, scoprendola dalla sottile spallina della canottiera bianca che indossi come pigiama. Peter ama come il tuo corpo reagisce al suo contatto e sorride nel bacio quando sente i brividi salirti lungo la schiena.
Le vostre forme si fanno più vicine. L’uomo ragno prende di nuovo il controllo della situazione e ti fa sdraiare, la sua figura esile in mezzo alle tue gambe. Con un braccio regge il suo peso appoggiato di fianco alla tua testa, l’altro lo usa per abbracciarti la vita. Sussulti quando senti una dura presenza affermarsi attraverso il suo attillato costume di spandex e sbattere contro la tua intimità.
Le tue mani si trasferiscono dallo stringere i suoi capelli castani e arruffati a cercare la zip nascosta dietro la tuta. La trovi e la tiri giù, lo aiuti a togliersela e quando si allontana per riuscire meglio nel vostro intento, ”Tienila.” Mormori, così Peter l’abbassa il necessario per mostrare il suo torace liscio e i suoi addominali. Sul fianco destro noti che ha un grosso ematoma probabilmente derivante dalla scazzottata di prima.
Ti sollevi per toglierti la canottiera che in quel momento vi sembra un grande ostacolo. Non porti il reggiseno, per questo i tuoi capezzoli si irrigidiscono per l’improvvisa aria fresca. Peter si china per lasciarti dei baci umidi sul collo, sulle spalle, infine sul tuo seno. Inarchi la schiena per cercare più contatto con l’altra persona. Lui lo prende come indizio e con una mossa veloce fa scivolare i tuoi pantaloni larghi felpati lungo le gambe, fino a toglierli completamente e lasciare scoperto il tuo intimo per niente sexy e soprattutto con disegnati sopra dei cuoricini. Ma è Peter Parker, hai condiviso il liceo con lui, tanti pianti e tante risate, e non ti vergogni affatto di quelle mutandine.
Il percorso di baci di Peter continua fino ad arrivare al tuo ombelico, poi si allontana. Ti sta guardando negli occhi con il respiro pesante, studia ogni particolare del tuo volto, te lo accarezza, con il pollice traccia il contorno delle tue labbra. Le dita dell’altra mano stanno sfiorando i tuoi fianchi e il ventre. L’indice e il medio si fanno strada verso il tessuto di quelle ridicole mutandine e da sopra di esso inizia ad accarezzare il tuo sesso, o meglio, a stuzzicarti, perché quel tocco è talmente leggero da essere a malapena percepito, come uno straziante solletico, una tortura, perché ne vuoi di più e non te ne dà, ma è questo che ti fa eccitare. Questa delicatissima e lentissima carezza, insieme al suo sguardo che punge su di te.
Il tuo corpo si sta contorcendo sotto di lui e questo fa impazzire Peter. Decide che questa sofferenza è troppa anche per lui, per cui, finalmente, ti spoglia delle mutandine e riposiziona le dita nell’esatto punto di prima, ma questa volta con più decisione e maggiore pressione. ”Sei eccitata, lo sento.” Dice Peter riferendosi al fatto che lì sotto sei talmente bagnata e calda da far quasi squagliare la stoffa del divano. Annuisci e ti lecchi le labbra. ”Allora dimmelo. Dimmi quanto mi vuoi.”
”Ti prego Peter, ne voglio di più.” Ansimi e lui ti risponde con l’indice che si inserisce completamente dentro la tua apertura, seguito poi anche dal medio. Le dita dell’uomo ragno si stanno muovendo su e giù contro le tue pareti e inizi a gemere oscenamente. Il ragazzo si china nuovamente per cercare le tue labbra e ti bacia appassionatamente, strozzando i tuoi gemiti. Gli stai stringendo, quasi tirando, i capelli. Sei vicina all’orgasmo. Peter continua, più veloce, inoltre friziona con il palmo contro il tuo clitoride pulsante di eccitamento. Ci sei quasi. Lui lo sa. Si stacca dal bacio per leccarti il collo e le clavicole e il suo respiro caldo contro la tua pelle esposta ti fa provare sensazioni uniche. Raggiungi l’apice del piacere e Peter lo capisce dal tuo grido - soffocato per non svegliare i coinquilini - di piacere e per le gambe che stringono il suo corpo esile ma muscoloso.
Spider-Man ti solleva per i fianchi con neanche un minimo di difficoltà, infondo ha la super forza, e ti porta su di lui. Siete entrambi seduti, lui appoggiato allo schienale del divano e tu sopra le sue gambe. Hai le guance e il naso rosso, per non parlare delle labbra, sembra che ti sia messa il rossetto talmente sono gonfie e scarlatte. I tuoi capelli sono un disordine totale. Questo è l’aspetto dell’orgasmo.
”Tu non sai che effetto mi stai facendo. Ho aspettato troppo a lungo.” Ti sussurra sulla bocca, finendo la frase poi con un bacio. Le tue braccia sono ancorate dietro il suo collo e le sue girovagano sulla tua schiena.
È il tuo turno di stuzzicare quel carnefice che ti ha fatto contorcere dal piacere, ma non riesci, devi averlo subito tutto per te. Accarezzi i suoi pettorali nudi e con qualche vecchia cicatrice e le tue mani si perdono sotto la parte inferiore della tuta rossa e blu che, grazie alle tue istruzioni, ha ancora addosso. La sua erezione reagisce pulsando con il tuo contatto. La prendi in mano e la liberi dalla tuta attillata. Ti aiuti con le gambe per muoverti contro di essa, sfregando i due sessi insieme. Peter fa cadere la mandibola e si lascia scappare un piccolo gemito. Rallenti dal strusciarti sulla sua presenza sudato fino a fermarti. Lui afferra il suo pene e lo indirizza dentro di te, lentamente. Il piccolo gemito si trasforma in un profondo sospiro e la stessa cosa vale per te. La sua grande presenza al tuo interno ti fa strizzare gli occhi e aprire la bocca.
Il rumore della pelle delle tue cosce che sbatte contro le sue coperte dal costume di spandex si confonde con quello dei versi di piacere che riecheggiano nella stanza. Appoggi entrambe le mani sulle sue spalle toniche per aiutarti con i saltelli quando Peter ti afferra per i fianchi, ti solleva leggermente ed inizia lui a spingersi verso di te. Sa perfettamente quello che deve fare e questa cosa piace sia a te che a lui. Il comando.
”Guardami.” Geme Peter e ti prende il collo con una mano, le dita ti stanno stringendo le guance, obbligandoti ad aprire di più la bocca. Rispondi al suo incoraggiamento e con un’espressione di piena goduria obbedisci. ”Brava, piccola.”
”Continua così. Ancora.” Mormori. Ti è molto difficile parlare in questo momento. Sei nel pieno del tuo secondo orgasmo e ci è vicinissimo anche Peter. Quei movimenti stanno facendo rimbalzare il tuo seno a qualche centimetro dalla sua faccia, il tuo culo trema quando colpisce le sue cosce. Peter sta memorizzando tutti questi particolari, come le tue sopracciglia corrugate che creano delle piccole rughe sulla fronte, gli occhi socchiusi che lo ammirano con desiderio.
”Voglio sentire. Tutto quanto. Voglio che- voglio che tu venga dentro di me.”
Peter cambia velocemente posizione, senza mai fermarsi dallo scoparti, e ti ribalta. La tua schiena è a contatto con il divano e la sua mano ancora aggrappata al suo viso. Gli stringi il braccio con le mani. Peter porta l’altra mano sul tuo gluteo sinistro e ti piega la gamba in modo che il ginocchio sia vicino al tuo corpo per sprofondare dentro di te e farti provare più piacere. Ti agguanta il culo e lo strizza talmente forte che ti lascia il segno.
”Sì, ti prego.” Lo stai implorando. Il modo in cui lo supplichi, non solo a parole ma anche con l’espressione, fa girare la testa a Peter, che non resiste un secondo di più, e con un ultima e forte spinta viene copiosamente dentro di te.
Appoggia la sua fronte contro la tua e ci lascia un leggero bacio, aspetta che i vostri respiri si regolarizzino per far uscire il suo pene arrossato da te, lasciandosi dietro una scia di liquido seminale che ti sporca il divano. Si rimette seduto e tu lo segui, la tua testa sulla sua spalla. Peter ti afferra una guancia e ti obbliga a guardarlo, poi unisce nuovamente le vostre labbra in un bacio, questa volta più dolce, più stanco.
Quando entrambi i vostri cuori ricominciano a battere normalmente, Peter si riveste della tuta da Spider-Man e tu fai lo stesso ma solo con i pantaloni felpati, lasciando libero il tuo seno.
Dal pavimento prendi la maschera che aveva lasciato qualche momento fa, la guardi, poi la indossi. ”Come mi sta?” Chiedi, facendo qualche ironica mossa da supereroe. ”Ciao! Sono il tuo amichevole Spider-Man di quartiere, come posso aiutarti oggi?” Ridacchi e fai ridere anche Peter dalla tenerezza.
Lui ti osserva, ti studia, una visione quasi eterea, hai addosso la sua maschera ma la parte sopra del tuo corpo è ancora nuda. Sei splendida.
”Dove si comprano i costumi da supereroe?” Domandi sorridendo, Peter non può vederlo attraverso la maschera ma lo percepisce.
”L’ho fatto io.” Si vanta il ragazzo.
”Davvero? Come?”
Peter si avvicina al tuo viso coperto e solleva la maschera quel tanto che serve per scoprirti le labbra. ”Stai zitta.” Sussurra prima di baciarti di nuovo.
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~ Arsenico ~
Le cantine possono essere posti pericolosissimi. Pieni di insidie. Specialmente se si è disordinati ed accumulatori cronici. Se non si fa attenzione si rischia di inciampare o che qualcosa, in bilico, possa cadere e colpirti. Anche metaforicamente parlando.
Avanzo perciò con la massima cautela nel caos generale, con l'intento di uscire di lì con il testo di economia che mi serve, il corpo incolume e la volontà intatta di riordinare quel porchitorio con due euro di benzina. Tra scatole e scatoloni, impilati a cavolo, ne intravedo uno con la scritta "Libri". Bingo. Pensavo peggio dai. Pesa da cani ma riesco a trascinarlo fuori dal mucchio. Quel che resta dello scotch da imballo viene via quasi spontaneamente tant'è deteriorato, con sommo gaudio del mio semipermanente fresco di estetista. Apro con la dovuta circospezione: questo scatolo è qui da tempo immemore, niente di difficile che spunti fuori qualche odiosa sorpresina zamputa. Con estremo disappunto mi rendo conto che non sono i testi scolastici che cercavo, ma libri da lettura. Eppure avevo fatto piazza pulita di questa roba decenni fa... Con svariati bps di ritardo rispetto al mio stomaco, che s'è già stretto in una morsa, il mio cervello realizza di cosa si tratta: sono "i libri". Quelli dei quali non riuscivo a separarmi. Quelli regalati, letti insieme da vicino o da lontano. Quelli con le frasi sottolineate. Quelli che fumiamoci una Philips Morris sopra. Come fa strano vederli adesso, ingialliti dal tempo e dall'umidità.
Una persona più intelligente avrebbe richiuso la scatola in un nanosecondo. Ma io, no... Per la serie "facciamoci male" ne pesco uno a caso. 1984. Ricordo e sorrido. Apro e sulla parte interna della copertina ci sono tre dediche. La sua calligrafia. "Tuo Alex" scriveva. Mio, sticazzi eh. Come fa ridere adesso, con un paio di decenni e più di senno di poi. Chissà, forse anche lui, come me, ha continuato a pensarmi e a ricordarmi, conservando gelosamente in una sorta di sancta santorum della mente tutto di noi. Allora quel "tuo" avrebbe ancora un senso, perché una parte di lui è rimasta mia. Lo porto al viso nell'assurda speranza che un po' del suo profumo sia rimasto nel libro. Ne spruzzava sempre un bel po' tra le pagine dei libri che mi spediva. Li infestava letteralmente di Paco Rabanne. Niente. Sfoglio a vuoto senza soffermarmi su niente, arrivando al retro della copertina. C'è qualcosa scritto di mio pugno stavolta: un numero di cellulare.
Si sblocca un cluster sovrascritto nel cervello e lo riconosco. Immediata sensazione di ferita da arma da fuoco al centro del petto. Lo avevo perso, perso definitivamente quando mi avevano rubato il cellulare più o meno vent'anni fa. È passato troppo tempo, cioè voglio dire, la probabilità che sia ancora il suo numero è al lumicino. Poi penso... hai visto mai... anch'io ho lo stesso numero da trent'anni. Adesso una persona intelligente avrebbe fatto finta di niente, riposto il libro nello scatolo coperto e allineato agli altri, gettata la chiave del garage nel tombino e se ne sarebbe andata buona buona a fanculo. Ma io, no no... Per la serie "facciamoci del male - seconda stagione", ho già il cellulare in mano e sto memorizzando quel numero in rubrica sotto un nome improbabile. Non contenta, vado su whatsapp e lo cerco. Visualizza contatto. Ingrandisco la foto profilo. La ferita da arma da fuoco sanguina che è una meraviglia. Lui, con berretto e occhiali da sole, oggi come allora. Le sue braccia, sempre perfette, sono coperte di tatuaggi che un tempo non c'erano. Ne aveva solo uno ai nostri tempi, che poteva arrivare a vedere solo chi era molto intimo. Chino di profilo, espressione neutra, concentrata, mentre fa, o tenta di fare, la coda ai capelli di una bambina. Indossa anche lei occhiali da sole ed ha lo stesso naso e la stessa identica bocca di lui. È bellissima. Mi assale un brivido. Ripenso a quando diceva che non si sentiva in grado di essere un padre, che era uno stronzo, che non aveva niente da dare, e invece eccolo lì. E io per questo non gli ho mai detto che, a volte, invece fantasticavo su come poteva essere una figlia nostra. Chissà perché la immaginavo sempre femmina. Forse perché le femmine, quasi sempre, patrizzano. In uno dei suoi tatuaggi, che prende quasi tutto l'avambraccio, si legge chiaramente Giada.
Chiudo la foto e mi sposto nei cosiddetti "stati", ma non mi appare nulla. O non ne pubblica o, come vuole ma regola, non li posso vedere perché non ha anche lui il mio numero memorizzato. Si forma un nodo in gola. Mi bruciano le guance per quanto mi sento ridicola ad averlo anche solo pensato. Ovvio che mi ha cancellata. Anni e anni senza un minimo accenno di contatto. Mica sono tutti patetici come me. Ovvio.
Torno indietro e mi concentro sulla frase nelle info: "Che dolore dentro me quando piove e non stai con me". Uhm, non mi suona, decisamente non è il suo modo di scrivere questo, sarà una citazione. Copio e incollo su Google: vai bello, trovala! Detto fatto: come volevasi dimostrare, la frase è tratta da una canzone.
Arsenico
"Sigarette di plastica
vodka dentro una tanica
io non so più di te (non so più di te)
... che dolore dentro me
quando piove e tu non stai con me
...cicatrici di Venere
sul mio cuore di cenere
io non so più di te (non so più di te)
ma che dolore c'è
...spilla qui le tue lacrime
non cancellare le dediche
io non so più di te (non so più di te)
ma che dolore c'è
... io non dimentico
siamo stati un oceano
stelle che poi si infrangono
sugli scogli della tua costa nuda
io non dimentico..."
Resto imbambolata per un tempo che non saprei quantificare. Il mio stomaco è un reattore nucleare. Mi si sono rizzati anche i peli dietro al collo. Nella testa tutto e niente. Se avesse avuto un display sono sicura che avrei visualizzato il messaggio "L'applicazione cervello non risponde. Memoria insufficiente per completare l'operazione richiesta. Si prega di arrestare processi e riavviare." Immagini stroboscopiche. No. Non è. Non può essere. O forse sì? Tira il freno a mano e metti a folle ciccia. Respira. Brava così. Stai solo vedendo quello che vuoi vedere. Chissà per chi è quella canzone, a chi pensava. Stupidissima me, ancora una volta.
La chat è aperta. Il cursore lampeggia al ritmo del cuore che sento rimbombarmi nelle orecchie. Che voglia di mandargli la foto della dedica dove mi chiedeva di conservare il suo libro per sempre, scrivendogli che ho mantenuto la promessa, io. Come tante altre, io. E raccontargli tutto quello che è successo dopo noi, di come la collisione con la sua vita ha cambiato irreversibilmente la traiettoria della mia. Di cosa non ho fatto nel tentativo di dimenticarlo. Quante stronzate, che hanno gettato solo acqua bollente sulle bruciature del mio cuore. Le notti a bere lacrime fino ad ubriacarmi, le risse tra me e la disperazione, la malinconia, l'orgoglio e la voglia. La voglia di mettermi in macchina, e viaggiare per ore nella notte, solo per vederlo un'ultima volta ancora. Vedere quel ghigno perverso un'ultima volta ancora. Vedere i suoi occhi scuri un'ultima volta ancora. Stringerlo a me, forte, fortissimo, respirando il suo odore un'ultima volta ancora. E poi fargli quella domanda, che da allora mi scava dentro: perché. Perché? Senza una parola, dopo tutto quel fottuto tutto che c'era stato. Senza un addio che mi liberasse. Una spiegazione, almeno una cazzo di spiegazione, pure farfugliata, me la meritavo. O forse avrei dovuto avere le palle di andarmela a prendere veramente, costringendolo a dirmela guardandomi in faccia. Io? Questo dovevo? Ma poi sarei stata uguale a tutti gli altri, a tutti gli altri che nella vita lo hanno sempre "costretto a". Epperò, ke cazz!
Mi sento tirare per le orecchie dall'orgoglio. Siamo donne o caporali? Basta così, riprendiamoci. Mi alzo e mi sento come se mi avesse investita un autobus. Rimetto il cellulare in tasca giusto un attimo prima che arrivi mio marito.
- "Hey ma ti sei persa quaggiù?".
Oh, cazzo sì. Non sai quanto. Persa completamente.
- "Hai trovato almeno il libro?"
- "Ehm... No."
- "E quello?"
Stringo il libro a me, come se volessi difenderlo, proteggerlo.
- "No, niente, un vecchio romanzo... Lo voglio rileggere"
- "Pure! non ti bastano quelli che già hai sopra?"
- "No, questo è più bello".
Lo liquido definitivamente facendo spallucce.
- "Ok. Dai lascia stare, è inutile. Ormai è andato, chissà dov'è. È una bella giornata. Ce jamm 'a pigliá nu bell café?"
Ma di che parla?!!! Ah, il libro che cercavo. Ormai è andato. Magari fosse... È sempre qui, dentro, intorno a me, ovunque mi trovo, notte, giorno, da un paio di decenni, forse più, a questa parte. Il mio pensiero fisso collaterale. L'assenza più presente mai percepita. Maledetto.
- "Eh sì, jammuncenn!".
In fondo cos'altro posso fare se non continuare ad andare avanti? Mi ripeto mentalmente. Questo ho sempre fatto, imperterrita, granitica, nessuno ha mai saputo, nessuno potrebbe immaginare cosa mi consuma dentro. La mia vita è qui e un bel caffè sicuramente mi aiuterà a togliere questo gusto amaro, questo "arsenico" dalla bocca. Peccato solo che ho smesso di fumare... adesso ci voleva proprio una cazzo di Philips Morris Blu... chissà se esistono ancora le 100's.
Penso questo, mentre camminando mi assicuro ancora una volta che il cellulare sia in tasca, al sicuro, più per quello che adesso contiene che per il resto. Non si può mai sapere. Sento gli applausi a scena aperta di tutti i miei tormenti. Eh sì. Sono un caso perso.
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