#fondo liquido neve
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scrivosempreciao · 1 month ago
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Short story: Legno e Sangue, pt.3
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Eravamo finite entrambe in infermeria. Io perché ero svenuta, Mmh-mmh perché aveva cercato di togliersi i guanti e si era quasi scarnificata le braccia. Uno degli assistenti l'aveva fermata a bastonate e l'aveva spedita a farsi sistemare sia i punti di sutura, sia i lividi. Questo era quello che avevo capito.
Io me ne stavo sdraiata sul fianco, rannicchiata in uno dei lettini medici. Sentivo che lei era in quello proprio accanto al mio. Sapevo che era lei perché aveva fatto il suo solito "mmh-mmh" più volte da quando ero entrata lì dentro; non avevo bisogno di vederla per riconoscere quello strambo colpo di tosse. Di solito Mmh-mmh non aveva un odore particolare, al contrario di Sudore, ma quel giorno dal suo corpo arrivava un gran puzzo di sangue misto a ruggine. Immaginai fosse a causa della pelle lacerata e dei punti di sutura che aveva fatto saltare via. Le avevo gettato solo un'occhiata veloce prima di girarmi dall'altra parte, quando era stata scaraventata lì dentro dall'assistente: il bianco della tunica era pieno di grosse macchie rosse. Una nuvola ferita e grondante carne e pelle. Chissà come mai, mi ricordò il Natale. Sembrava una decorazione natalizia, un fiocco di neve costellato di brillantini rossi.
Non mi piaceva il Natale. Non mi era mai piaciuto. Padre esigeva che un giovane abete innocente venisse preso a colpi di accetta e piantato nel salotto, vicino al camino. L'albero agonizzante urlava, piangeva, gemeva. Poi, rantolava per giorni, in attesa di smettere di esistere. Era come avere un ragazzino con le gambe tranciate in due abbandonato nel soggiorno. Era come portare la morte e la violenza dentro casa. E poi, a Natale Padre e Madre diventavano davvero insofferenti nei miei confronti; lo erano sempre, ma a Natale il loro odio si manifestava in tutta la sua grandiosità. Dovevamo partecipare a un mucchio di cene in famiglia ed eventi sociali e io ero quello che ero, una guasta maledetta che faceva scricchiolare il legno e che parlava con le sedie di noce. Ero impresentabile, ero un problema. Un'incognita: andrà tutto bene o la scalinata di pino dei Martin farà le fusa al passaggio di Vittoria? E questo innervosiva Padre e Madre, li faceva stare sempre sull'attenti, a Natale più che mai. Un incubo.
Ecco, Mmh-mmh mi ricordò il Natale e quello, unito al malessere per lo svenimento, mi fece salire un grosso conato di vomito su per la gola. Iniziai a vomitarmi addosso e l'infermiera corse bestemmiando verso il mio lettino; tirò giù il colletto della mia tunica e mi sbattè un secchio in faccia.
"Che schifo! Vomita e poi chiamami quando hai finito," latrò. Sputai fuori un liquido denso e giallastro, così amaro da bruciarmi la gola e la lingua. Non c'era l'ombra di pezzi di cibo: era bile. Il liquido continuò a uscire dalla mia bocca come un fiume in piena; colpiva il fondo del secchio con una forza tale da rimbalzare e schizzare fuori dal contenitore. E la puzza era terribile, non avevo mai sentito un odore del genere. Non saprei descriverla con esattezza, ma direi che era come se un ratto scabbioso fosse morto e si stesse decomponendo in un cumulo di spazzatura. Roba da far esplodere le narici.
"Che schifo!" Ripetè l'infermiera e scappò fuori dalla stanza, coprendosi il naso con il braccio. E così, io e Mmh-mmh rimanemmo sole. Non c'erano altri adulti con noi, né supervisori, né assistenti, né altre infermiere. Sole. Per la prima volta da quando avevo messo piede in quel posto, ero in compagnia di una mia simile e di nessun altro.
Un fruscio. Un altro fruscio, alle mie spalle. Tessuto contro tessuto, l'improvviso sibilo di un respiro che era diventato più regolare e presente, udibile. Mmh-mmh si era alzata? Sì. Una macchia bianca e rossa all'angolo della mia vista limitata. Ancora, un altro fruscio. Si avvicinò. Tra un getto di bile e l'altro, reclinai la testa per guardarla meglio. Si era abbassata il colletto, tutta da sola. Aveva la bocca libera. Lì al Collegio avere la bocca scoperta era proibito e riuscire a vedere le sue labbra nude e rosee mi sembrò una conquista oscena. Qualcosa di brutalmente illecito.
"Ohi," disse. Guardai — cercai, almeno — le sue braccia. Che macello. Pensai a un aratro che violenta un campo di girasoli, sollevando la terra e graffiando il suolo. La sua pelle livida era un intreccio di tagli e squarci. L'aveva già fatto altre volte? Doveva averlo già fatto, per forza.
Spruzzai un altro fiume di bile. "Mmh-mmh," tossì. Era fastidio? O disagio?
"Scusa sai, non è che lo faccio apposta," gracchiai io. Era la prima volta che parlavo dopo settimane e settimane di silenzio forzato. Fu come estrarre una lama dal fondo della gola.
"Lo so, mmh-mmh," mormorò. "Aspetta. Ci provo." A fare cosa? Allungò quelle sue braccia violacee e martoriate verso di me. Dalle fessure della mia maschera, sembravano due melanzane becchettate da un corvo. Prese tra le mani il mio volto pallido e sconquassato dal vomito, lo fece come se stesse stringendo un coniglietto sperduto.
"Via via, basta così," disse. No, canticchiò. "Via via, basta così."
Il secchio ricolmo di bile scivolò via dalle mie mani e cadde con un rumore disgustoso sul pavimento. Lo lasciai cadere perché quella Sorella stava usando la sua magia su di me. Stavo bene, tutto d'un tratto. Era come se non fossi mai stata male nella vita, neanche una volta. Il vomito? Un ricordo sfocato. Svenire? Una parola senza senso. Quel malessere bruciante e perpetuo causato dalla sofferenza del legno? Una semplice idea. Il dolore dei punti attorno ai gomiti e alle orbite? Un solletico dispettoso. Stavo bene ed era scontato che fosse così. Il mio corpo stava bene, io stavo bene. Tutto andava bene. Tutto sarebbe andato bene. E come poteva essere altrimenti? Ero una leonessa. Un Mogano possente.
"Via via, basta così," cantò ancora. E io avrei voluto che quella canzone non finisse mai, perché era il Paradiso in terra, ma poi Mmh-mmh ritrasse le sue mani e tossì. La magia se ne andò. Il bisogno di vomitare era passato, mi sentivo meglio, sì, più in forze, ma non mi sentivo più bene come prima. Inaccettabile, era inaccettabile non sentire tutto quel benessere.
"Ancora," piagnucolai.
"Scusa, non posso," Mmh-mmh si sedette sul mio lettino. "Così è sufficiente. Sarebbe un guaio vero se ci scoprissero."
"Questa è la tua magia? Guarire?"
"No," mormorò. Aveva una voce dispiaciuta, come se si sentisse in colpa. Ma in colpa per cosa? Era una divinità. Doveva esserlo, per forza, con un potere come quello. Altro che ascoltare i segreti dei mestoli di legno o far ballare i rami delle betulle.
"Io so solo far stare meglio. Sento il male e lo faccio passare. Ma non curo nulla." Mi guardò attraverso le sue fessure. Almeno, mi sembrò così: aveva piegato la testa di lato.
"Sei denutrita e forse hai delle ulcere nello stomaco per tutto lo stress. Ma io non posso farci nulla, posso solo farti sentire meglio."
"Beh, grazie," dissi. "È già qualcosa."
"Il male mi fa stare male," aggiunse, come se non potesse sopportare di essere lacunosa nella sua spiegazione. "Se lo sento, devo fare qualcosa, o sto male anche io. Ma qui non posso fare nulla, non posso parlare, non posso toccare. Al Collegio stiamo tutte male, non è vero? E tu stai male da matti, con quella cosa del legno."
Ecco perché faceva "mmh-mmh". Tutto quel dolore di noi altre la faceva soffrire.
"Come fai a sapere del legno?"
"Non è così difficile capirlo. Basta guardarti e ascoltarti. E poi, so un po' di cose sull'Arte." Disse quella parola come se fosse la cosa più naturale del mondo da dire. Io mi misi a sedere e incrociai le gambe. Sembravamo due matte, così conciate, o due spettri disperati, eppure mi sembrava di star chiacchierando con una mia cara amica. Magari davanti a due tazze di tè fumanti e un vassoio di macarons; ma c'era solo un secchio pieno di bile gialla puzzolente.
"L'arte?"
"L'Arte. Sì. Si chiama così, il nostro potere. O almeno, le Streghe là fuori lo chiamano così."
"Non esistono Streghe là fuori. O vengono ammazzate o finiscono qui."
"Non sempre. Da dove vengo io, ci sono gruppi di Streghe. Sorellanze. Roba proibita e illegale, è ovvio. Ma esistono. Quando i controlli sono meno rigidi, vengono fuori e parlano con le Streghe più giovani. Insegnano." Non era quello che Padre e Madre mi avevano ripetuto fino quasi a trapanarmi le orecchie e avvelenarmi il cervello.
"E da dove vieni? Quale è il tuo cognome?"
"Dufour."
"Ma è un cognome da poveri."
"Io sono povera. Mio padre è un maniscalco. Mia madre batteva a Marsiglia." Lo disse con totale nonchalance.
"Cosa ci fai qui? Qui ci vengono le figlie dei ricchi."
"Sì, ma qualcosa è cambiato. Le Due Dame hanno mandato dei cacciatori di Streghe nei bassifondi delle città e hanno comprato le maledette figlie dei poveracci, in cambio di qualche soldo. I miei mi hanno data via senza volere nulla, erano felicissimi." Assurdo. Padre e Madre avevano con ogni probabilità dovuto devolvere una bella cifra al Collegio per liberarsi di me. Com'è che invece le Sorelle povere venivano comprate?
"Quante qui sono come te? Povere, intendo."
"Almeno una decina, credo. Eravamo di più prima."
"Prima?"
"Alcune sono sparite, da un giorno all'altro, sai? Stavano bene, per quanto si possa stare bene qui, poi all'improvviso puff, sparite. Morte, forse? Forse si sono cacciate in qualche guaio. Forse le hanno cacciate."
"Cacciate? Ma da qui non si esce."
"Però loro sono sparite. Nel nulla. Magari si sono stancati di averle qui e le hanno buttate per strada. Erano un po' dispettose, sai, quelle che sono scomparse. Turbolente. Difficili." Buttate per strada, diceva. Eppure là fuori non c'era nessuna strada. Sembrava di essere in mezzo al nulla. Attorno al Collegio c'erano solo nebbia gelida e distese infinite di tristi campi verde melma. Nessuna strada, nessun villaggio, nessun casotto. Niente di niente. Essere gettate oltre i cancelli, senza cibo e senza aiuti, doveva essere un incubo. Pensai ai neonati deformi che gli spartani abbandonavano sul monte Taigeto. Ma forse…
"È per questo che ti sei tolta i guanti? Vuoi che ti caccino?"
"Anche. Voglio tornare a sentire con le mie mani, di tanto in tanto. E voglio vedere se riesco a farmi espellere."
"E se ti ammazzano, invece?"
"È uguale," si agitò, "vivere così è uno schifo. Non so cosa sia successo alle mie Sorelle, se siano state ammazzate o se le hanno cacciate, ma se c'è anche solo una minima possibilità di poter uscire da qui, voglio tentare. E se schiatto mentre ci provo, va bene così."
"Capisco." Capivo davvero e quel fatto mi spaventò. Tornare a vivere a ogni costo. Anche la morte, se significava morire sapendo perché si muore. Lo capivo, davvero. O forse era la sicurezza che Mmh-mmh emanava mentre pronunciava quelle parole proibite a farmi credere che il suo piano avesse senso?
"Come ti chiami?" Volevo dare un nome a quella Sorella con le braccia martoriate e idee di libertà in testa.
"BRUTTE TROIE MALEDETTE!" Un vaso da notte si schiantò sopra le nostre teste. L'infermiera era tornata.
"CHIUDETE QUELLA BOCCA, CHI VI HA DATO IL PERMESSO?" Avanzò verso di noi tutta paonazza in volto. Io mi rintanai sotto le coperte, terrorizzata, Mmh-mmh rimase lì ferma a guardarla, senza muoversi di un millimetro.
"A VOI PUTTANE GUASTE VI SI DÀ UN DITO E VI PRENDETE TUTTO IL BRACCIO!"
E a proposito di braccia, afferrò Mmh-mmh per il suo, senza preoccuparsi delle ferite aperte, e la trascinò via, verso il suo lettino. Arrivarono anche due assistenti; ci coprirono la bocca immediatamente. Io fui lavata alla bell'è meglio e mi venne somministrato uno sciroppo che sapeva di polvere. Mmh-mmh se la passò peggio: le ricucirono addosso i guanti con una brutalità da macellai, assestandole qualche botta di tanto in tanto per farla stare buona. Poi, diedero anche a lei uno sciroppo, diverso dal mio però. Lo bevve e si addormentò dopo poco, sotto gli occhi dell'arrabbiatissima infermiera.
Mi riportarono dalle altre per la notte. Mmh-mmh rimase lì.
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followingyourpassion · 7 years ago
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Credo che ho aspettato questa notizia da quando iniziai a comprare i fondotinta minearli in polvere, quando ancora Neve Cosmetics si chiamava “Trucco Minerale” (che se lo ricorda?). Finalmente il fondotinta liquido minerale è nato, si chiama Creamy Foundation.
Il Creamy Foundation esce proprio oggi sullo store on line di Neve ed arriva in 9 colorazioni che dovrebbero riflettere le colorazioni già presenti nei fondi in povere libera (sempre 9 tonalità).
TanWarm
TanNeutral
MediumWarm
MediumNeutral
LightWarm
LightRose
LightNeutral
FairNeutral
DarkWarm
Si presenta in un tubetto da 30 ml (i classici ml dei fondi liquidi) con un inci che non smentisce la casa madre
Aqua (Water), Glycerin, Octyldodecanol, Octyldodecyl Stearoyl Stearate, Sucrose Palmitate, Sucrose Tristearate, Silica, Simmondsia Chinensis Seed Oil [Simmondsia Chinensis (Jojoba) Seed Oil], Sodium Hyaluronate, Sodium Phytate, Xanthan Gum, Sodium Dehydroacetate, 1,2-Hexanediol, Caprylyl Glycol, Tropolone. May Contain +/-: CI 77891 (Titanium Dioxide), CI 77491 (Iron Oxides), CI 77492 (Iron Oxides), CI 77499 (Iron Oxides)
Ovviamente non ci sono petrolati, siliconi ecc e la sua texture permette l’applicazione direttamente con le dita, donando alla pelle del viso un effetto luminso e di media coprenza. L’olio di jojoba e l’acido ialuronico arricchiscono il mix di pigmenti minerali che si fissano sulla pelle, mentre i primi due idratano e nutrono il viso.
Oggi il suo debutto ad un prezzo scontato di 12,67€ (invece che 14,90) e spedizioni a 0,99€, fino al 12 ottobre 2017.
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Chi ne approfitterà? Io di sicuro, non aspettavo altro e presto vi farò sapere come mi trovo.
S.
  Creamy Comfort, il fondotinta liquido di Neve Cosmetics (finalmente) Credo che ho aspettato questa notizia da quando iniziai a comprare i fondotinta minearli in polvere, quando ancora Neve Cosmetics si chiamava…
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emmalynthewriter · 4 years ago
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Fratelli di zampa
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                                                   Fratelli di zampa 
Cadeva la pioggia, alla foresta, e il giovane Fang era tutto solo. Non che davvero gli importasse, dato ciò che la vita gli aveva fatto. Non riusciva ancora a crederci, a volte piangeva e uggiolava da solo per ore intere, ma invano. Era triste, certo, ma lamentarsi non aveva alcun senso, in fondo quella era la verità. Era bastato un rumore, un'incomprensione e un incidente, e in un battito di ciglia, era rimasto solo. Il suo branco non gli aveva creduto, quelli vicini non gli avevano creduto, e l'ultima cosa che aveva visto prima di andare era stato quel corpo disteso fra le foglie e l'erba, macchiate di uno strano liquido rosso che ben presto aveva scoperto essere sangue. Non era buono, non sapeva di fiori e di vita, ma al contrario, di morte. Scuotendo la testa, il cucciolo dal manto scuro continuò a correre, tentando di ignorare le gocce di fredda pioggia che con ogni passo sembravano gelargli il pelo. Lui sapeva com'era successo, aveva visto tutto con i suoi grandi occhi scuri, e si rifiutava di crederci. Un altro lupo, molto più grande di lui, con il pelo grigio e lo sguardo affamato. Non di carne, come la sua famiglia dopo la caccia, ma, e il piccolo poteva giurarlo, di vendetta. Spaventato, si era nascosto nella tana, celata alla vista di altri predatori da un mucchio di foglie e altri steli d'erba, e acquattato nella penombra, aveva visto e sentito tutto. Quella fiera abbaiare e ringhiare come impazzita, la sua povera preda indietreggiare fino a colpire un tronco, e pochi secondi dopo, quando era già stesa a terra, paralizzata dalla paura, il grosso lupo mordere e strappare la tenera carne rosea, macchiando di rosso il verde nascosto nel nero. Uno spettacolo orribile per un cucciolo come lui, ma agli occhi del branco, estraneo ai fatti, una farsa che il piccoletto aveva messo in piedi da solo per nascondere la sua vera natura. Confuso, il poverino non aveva capito nulla, e colto ancora dallo spavento aveva provato a rifugiarsi dietro ai membri più anziani, che scostandosi, l'avevano subito isolato. "È una minaccia, Alfa. Fang è una minaccia. Non avremmo mai dovuto adottare un demone come lui." Aveva detto uno degli adulti, di cui lui non ricordava il nome. "Già, ha ragione, e va esiliato. Subito. Chi ci assicura che non impazzirà ancora? Guardate cos'ha fatto!" aveva aggiunto un altro, dando manforte al primo, che già ringhiava. Tremando, il piccoletto aveva tentato di difendersi, di spiegarsi, di salvarsi dall'intero gruppo, ma purtroppo senza successo, poichè a tradirlo c'era una macchia di sangue già rappreso sul petto. Proprio come la morte di quell'umano, anche quello un disgraziato incidente, ma non secondo i suoi congiunti. E così, piangendo e con la coda fra le zampe, se n'era andato. Voltandosi e senza guardare indietro, via da loro e via da chiunque non volesse ascoltarlo. Sulle prime, la scelta migliore, o almeno così pensava, poichè dopo tre notti in solitudine e all'addiaccio, non c'era nessuno a prendersi cura di lui. Che fare? A soli tre mesi era ancora troppo giovane per cavarsela da solo, non sapeva cacciare e voleva la mamma, la lupa buona che in quel gruppo di suoi simili considerava mamma, ma ora lei non c'era più. Era lì quando aveva cercato di difendere sè stesso e provare la sua innocenza fra un mugolio e l'altro, ma troppo addolorata e con le lacrime agli occhi come lui, non aveva avuto la forza di protestare. "Perchè, Fang? Perchè hai fatto tutto questo? Cos'avevi contro quel povero umano?" gli aveva chiesto, affranta. Non sapendo cosa dire, il lupacchiotto non aveva risposto, e con il cuore a pezzi, corrotto dalla rabbia oltre che da un gran dolore, aveva scelto un'altra strada. Preoccupati più per lei che per lo stesso Fang, altri due maschi, forse tirapiedi dell'alfa, si erano parati davanti alla lupa perchè non soffrisse ancora, ma era stato inutile, e anche lei aveva visto. Fra un passo e l'altro, l'ancora giovanissimo Fang aveva ringhiato, poi, finalmente lontano da loro, sputato per terra. Non gli credevano? Bene. Non volevano ascoltarlo? Perfetto. La loro parola valeva più della sua anche se aveva assistito a quella tragedia? Grandioso. In un attimo, la decisione era stata presa, e ora non aveva più nessuno da cui farsi bistrattare. Lento, il tempo continuò a scorrere, scandito oltre che dai suoi passi anche dal sole che si muoveva nel cielo sopra di lui, e guardandosi intorno, annusava spesso l'aria e il terreno. Era un cucciolo, ma per fortuna i suoi sensi erano già fini, e finalmente, dopo giorni di ricerche, sentiva qualcosa. Aguzzando la vista, fece del suo meglio per restare sulla scia di quell'odore, curioso di scoprire dove portasse. A un nuovo riparo abbandonato da un altro animale? Forse a del cibo? Non lo sapeva, ma curioso per natura, voleva vederci chiaro. Veloce, accelerò subito il passo, e dopo quella che parve un'eternità, eccolo. Terrorizzato dalla pioggia e da un lampo che aveva da poco acceso il cielo, un cucciolo come lui nascosto in una tana di fortuna ricavata da una tettoia fatta di assi di legno. Probabilmente una trappola già scattata e ora in disuso, o un altro marchingegno umano, chi lo sapeva. Non volendo pensare a quelle creature e alle loro strane usanze, Fang scosse di nuovo la testa, per poi scrollarsi la fastidiosa acqua in eccesso dal pelo. Cauto, si avvicinò sperando di non far paura all'estraneo davanti a sè, e con lo sguardo basso e le orecchie indietro, ebbe cura di mostrargli qualcosa. "Non voglio farti paura." Un messaggio semplice, qualcosa che il suo gruppo gli aveva insegnato in tempi più felici, prima che quel dannato incidente gli conferisse l'orribile fama di demone. Che brutta parola, pensava ogni volta. Per quale motivo usarla? Lui non era un affatto un demone, e anzi, non aveva fatto nulla che davvero potesse infangare il suo buon nome. A proposito di nomi, per il suo vecchio branco doveva esserci qualcosa di sbagliato in lui sin dal primo giorno, perchè chiamarsi Fang, ovvero zanna, come aveva spiegato al suo arrivo in quella comunità di lupi adulti, non deponeva certo a suo favore. Perso per qualche attimo nei suoi ricordi, si ritrovò a ripensare a quell'odiosa faccenda, e volendo scacciare quelle memorie, ringhiò. In quel momento, però, una vocina gli rispose. "N-No! Non farmi male... sono solo, ti prego." Colto alla sprovvista, il lupacchiotto alzò lo sguardo, poi lo vide. Il cucciolo di pochi attimi prima, ancora diffidente e spaventato. "Scusa, non volevo. Mi perdoni?" tentò, sinceramente dispiaciuto. A riprova di ciò, le orecchie gli si abbassarono senza che potesse evitarlo, e lo stesso accade alla postura, rilassata ma ancora leggermente tesa e in allerta. "S-Sì. Solo se però prometti. Non ringhiare più." Biascicò il cucciolo, guardando l'altro con un velo di paura a coprirgli gli occhietti, vispi e del colore delle nocciole. "Va bene. Te lo prometto, e se vuoi..." rispose subito Fang, già deciso a non far del male al piccolo che aveva davanti. "Cosa?" chiese l'altro, mentre il corpo e il pelo bianco come la neve venivano scossi da un tremito. "Possiamo essere amici." Finì per lui lo stesso Fang, finalmente più tranquillo. Indeciso, l'altro cucciolo esitò, e rimettendosi in piedi, si avvicinò abbastanza da poterlo sfiorare, e nel farlo, strofinò il muso contro il suo. "D'accordo, amici." Si limitò a dirgli, con la voce bassa e ancora piena di timore. Con una sorta di sorriso stampato sul muso, Fang divenne di nuovo preda dei ricordi, e pur cercando, non trovò nulla di simile a quel momento. Nulla di simile all'inizio di un'amicizia come quella. Aveva vissuto dei bei momenti al vecchio branco, ma oltre quelli con la lupa buona, nulla che superasse il presente e il suo nuovo legame con il cucciolotto bianco. "Allora, posso sapere il tuo nome?" azzardò, curioso e divertito. "Aspen." Rispose l'altro, acquistando finalmente un'identità agli occhi dell'amico. "Bel nome." Commentò allora Fang, sorpreso. "Mi ricorda la montagna." "Davvero? Anche alla mia mamma!" esplose allora il piccolo, felice a quel solo ricordo. "Hai una mamma? Ma allora cosa fai qui?" Conoscendosi, Fang sapeva di non voler essere cattivo, e nel parlare sperò con tutto sè stesso di non stare andando a toccare un nervo scoperto, ma grazie al cielo la fortuna sorrise, e con essa anche lui quando il cucciolo candido parlò di nuovo. "L'ho persa. Mi sono allontanato troppo, e l'ho persa. Stavamo giocando, ha iniziato a piovere, e lei e gli altri sono scappati via." Ammise, tristissimo. Colpito da quel breve racconto, Fang sentì una strana stretta all'altezza del cuore, e in un vero e proprio slancio affettivo verso il lupacchiotto, riprese la parola. "Andiamo. Ti aiuterò a cercarla." Gli disse, sincero. "Veramente? Me lo giuri? Zampa sul cuore?" tentò a quel punto il piccolo Aspen, con occhi pieni di stupore e meraviglia. "E un lupo non muore." Replicò allora lui, completando quello che per la sua stirpe e quelle antenate era un detto solenne. In breve, la pioggia cessò di scrosciare, al suo posto spuntarono il sole e poco dopo un grande arcobaleno, e insieme e non più soli, i due lupacchiotti iniziarono il loro viaggio attraverso la foresta alla ricerca di un branco e di una vera casa, diventando oltre che amici, e sempre secondo quel vecchio adagio, anche fratelli di zampa.
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primusliber-traduzioni · 5 years ago
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Tiny Moving Parts - Pleasant Living
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Questi sono gli anni d’oro
Passiamoli con la birra in mano
(da: Sundress)
1. Sundress
Prendisole
   Prendisole che decorano la baita
Quanto sei bella stasera
Quanto sono belli tutti stasera
Prendisole che decorano la baita
Quanto sei bella stasera
Quanto sono belli tutti stasera
   Stringimi la mano
Balliamo come facevamo alle superiori
Questi sono gli anni d’oro
Passiamoli con la birra in mano
Una mano sulla lattina, una mano nella tua
Ecco la mia idea di serata romantica
   Ti amo
O quantomeno, ti amavo
Ti amo
O quantomeno, ti amavo
   Non agitarti, amore mio
Segui le corde del cuore
Spero che ti trascinino a ritmo di musica come fanno con me le mie
I prendisole decorano il salotto come un palco al neon
Nel posto più felice del mondo
Poi si spengono le luci e mi sveglio
   Faccio mille miglia verso ovest con questa barca a remi
Tanto per affrontare questa corrente rapida e incontrarti più avanti
Stare lontani è una prova che metto in dubbio
Per conto di quali rischi valga la pena di prendere
E di quali errori posso sottrarre da quest’equazione
Non posso fingere, sono troppo disperato, maledizione
Tu promettimi che domani non ce ne pentiremo
L’ironia di disidratarsi lungo il mare
   Mi manchi
E questa è una cosa che non cambierà mai
Mi manchi
       2. Always Focused
Sempre concentrato
   Mi sballo con l’atmosfera di una scazzottata
Questa sera mi sentirò vivo
Niente presa male o gente che mi frena
   Non rinuncerò mai alle mie battaglie interiori
Mi tengono compagnia
La mia grinta e la mia volontà volate fuori dalla finestra
Posso aggrapparmi solo a dei cocci di vetro
   Mi sballo con l’atmosfera di una scazzottata
Questa sera mi sentirò vivo
   Mi deludo quando mi critico da solo
Mi deludo quando mi critico da solo
Mi deludo quando mi critico da solo
Mi deludo quando mi critico da solo
   Incidenti piacevoli, incidenti piacevoli, costantemente preoccupato
Incidenti piacevoli, incidenti piacevoli, sempre concentrato
Incidenti piacevoli, incidenti piacevoli, costantemente preoccupato
Incidenti piacevoli, incidenti piacevoli, sempre concentrato
       3. Fourth of July
Quattro luglio
   Divento più grande ma non cresco
Se ci sei tu esco anch’io
Possiamo guardare le stelle
E quando ci tocchiamo con le dita dei piedi sarà come i fuochi d’artificio che scoppiano in aria
Come il cielo la sera del Quattro luglio
   Scappiamo, troviamoci un posto nuovo
Scappiamo e troviamo noi stessi
   Scappiamo, scappiamo
Quattro pareti fanno una gabbia
Scappiamo, scappiamo
Quattro pareti fanno una gabbia
   Occhio che la nuvola di polvere non ti si depositi nei polmoni
O che la clessidra cominci a segnare quasi la fine
Facciamo dei castelli di sabbia finché possiamo
Perché diventeremo vecchi
E poi un giorno ripenseremo al passato e diremo
Che vita deliziosa che abbiamo vissuto
Che posti affascinanti che abbiamo visto
   Siamo a 22 gradi sotto zero con quell’arietta del Red River
Ma sembra faccia più caldo che mai
   Dicono che una vita di routine ti deprima
Ma se tu preferisci così, mi fa piacere che tu ne vada fiera
Si vive con le cose di cui ci si circonda
Con me la settimana lavorativa non funziona
Sarà da egoista, ma io sono qui per vivere
Dicono che una vita di routine ti deprima
Ma se tu preferisci così, mi fa piacere che tu ne vada fiera
Si vive con le cose di cui ci si circonda
Con me la settimana lavorativa non funziona
Sarà da egoista, ma io sono qui per vivere
       4. I Hope Things Go the Way I Want
Spero che le cose vadano come voglio
   Mi hai detto che stavi voltando pagina
Ma a me sembra più che ci stai rinunciando
Vorrei dirti come la penso
Ma non vorrei farti pensare che sia colpa tua che mi hai lasciato
Ma tutto questo non cambia il modo in cui ti guardo
Tutto questo cambia il modo in cui dormo
Vorrei averlo apprezzato a dovere
Prima mi tenevi al caldo
Adesso il caldo mi deriva dall’imbarazzo
   Perché le cose non possono andare come spero, come le voglio
Invece di andare sempre come mi immagino che vadano
Invece di andare sempre come vanno?
Perché le cose non possono andare come spero, come le voglio
Invece di andare sempre come mi immagino che vadano
Invece di andare sempre come vanno?
   Detta semplicemente, la vita non si può definire se non può essere detta semplicemente
Ma uno deve fare del suo meglio
Perché nessuno si dimentica le cose di cui si pente
Non c’è il pulsante per tornare indietro e avrei dovuto tenerlo in mente
Ma guardando il lato positivo, direi che comunque meglio triste che rammollito
   Tutto questo non cambia il modo in cui ti guardo
Ma tutto questo cambia il modo in cui dormo
Vorrei averlo apprezzato a dovere
Prima mi tenevi al caldo
Adesso il caldo mi deriva dall’imbarazzo
   Spero che le cose vadano come spero
       5. Whiskey Waters
Acque al whiskey
   Non ascoltiamo mai la musica che sta passando in radio
Le canzoni non ci restano mai in mente
So che siamo completamente distratti dalle nostre conversazioni infinite nello scantinato
Sono davvero il legame migliore
Spero che non finiscano mai
   Sei tutto quello che so di aver sempre saputo che fossi
Mi fai sentire a casa quando sto per andarmene
Dormiamo in letti separati
Ma questo non eviterà che io ti perda di nuovo
   ‘Ste bottiglie tendo a tracannare il liquido nell’istante che mi sveglio
Quanto sei lontana
Ma appena sale l’effetto mi compari dritta nel cervello
Coi rapporti sociali io, cioè, malissimo
Sono contentissimo di starmene con la mia migliore amica nella testa
   Sei tutto quello che so di aver sempre saputo che fossi
Mi fai sentire a casa quando sto per andarmene
Il ghiaccio nel bicchiere piano piano si scioglie
Mi annacqua il whiskey da due soldi che c’è dentro
   Sto meglio quando sono da solo
Lo mando giù sereno e con calma
Il mondo è troppo grande perché un tipo come me ci salti dentro e diventi qualcuno
   Sono felice
Guardami negli occhi
Non sbatterò mai le palpebre
Sono felice
Guardami negli occhi
Non…
       6. Movies
Film
   Possiamo mettere sù un film, per piacere?
Ho bisogno di qualcosa che mi distragga da quello che ci sta succedendo davvero
Perché non ce la posso fare
Non riesco ad ascoltare un solo minuto in più delle parole che ho raccolto
   C’è una differenza tra quello che voglio e quello di cui ho bisogno
Ci capirò qualcosa?
   Perché adesso mi sento proprio spaventato
Proprio fuori dal mondo in cui vivo
Segnali costanti che indicano che io non sono nulla, nulla, nulla, nulla
   Possiamo mettere sù un film, per piacere?
Ho bisogno di qualcosa che mi distragga
Possiamo mettere sù un film, per piacere?
Ho bisogno di qualcosa
C’è una differenza tra quello che voglio e quello di cui ho bisogno
   Sono un poeta che cammina muto come un fantasma in un appartamento abbandonato
Resto in silenzio, mi sento disonesto a vendere un lavoro da un ufficio a un’asta
Sono un poeta insipido che ha tutto da perdere
C’è una differenza tra
   Possiamo mettere sù un film, per piacere?
Ho bisogno di qualcosa che mi distragga
Possiamo mettere sù un film, per piacere?
Ho bisogno di qualcosa
Possiamo mettere sù un film, per piacere?
Ho bisogno di qualcosa che mi distragga
Possiamo mettere sù un film, per piacere?
       7. The Better Days
I giorni migliori
   Gli “e se…?” mi uccidono, mi tengono sveglio
Mento a me stesso
Ma il mio cuore è troppo furbo per farsi ingannare dal cervello
Non sto bene, ma un giorno lo starò
Sono forte, ma sono ferito
Posso anche dirmi che sto voltando pagina
Ma è un sollievo di pessimo livello
È un abbandono, ma camuffato
E non posso passare la vita ad aspettare il grande momento
   Tu mi fai pensare al passato e tornare a ridere
Sarebbe un miracolo, che è impossibile per definizione
Però mi manchi
So che lo capisci dalla mia voce quando ti parlo
Te lo leggo negli occhi
Li adoravo i tuoi occhi
La adoravo la nostra vita
Vivere è quello che farò
È quello che ho sempre fatto
Le nuvole devono far vedere il sole
   Troverò i, troverò i giorni migliori
Dentro di me so che saranno sempre a portata di mano
Saranno sempre a portata di mano
Saranno sempre a portata di mano
   Mi sono ridotto a come mi sento di solito
Quando tengo in mente che non ti vedrò
Mi sono ridotto a come mi sento di solito
Perché non ti vedrò
       8. Boxcar
Vagone
   Adesso mi costruisco un vagone
E vado lontanissimo nei miei posti preferiti che devo ancora vedere
I miei cuscinetti ABEC 7 mi sosterranno in qualsiasi cosa facciamo insieme
   Ritorniamo al primo giorno di scuola
Ero al primo anno, lezione di matematica
Tu eri seduta davanti e io in fondo in piedi
Avevo troppa paura di chiedere a qualcuno come ti chiamassi
Per cui ho tenuto a freno la lingua
E mi sono tenuto per me le parole che avrei dovuto dire
Ma che non ho detto perché pensavate che avrei peggiorato le cose
   Tu eri un rischio
Col passare della vita, deciderò il momento preciso per mettermi alla guida
E diventare soddisfatto della vita
   Questo vagone ce l’avevo sotterrato in testa
Le rotelle giravano, io invece ero lì che sognavo a occhi aperti
Questo vagone ce l’avevo sotterrato in testa
Le rotelle giravano, io invece ero lì che sognavo a occhi aperti
Questo vagone ce l’avevo sotterrato in testa
Le rotelle giravano, io invece ero lì che sognavo a occhi aperti
Questo vagone ce l’avevo sotterrato in testa
Le rotelle giravano, io invece ero lì che sognavo a occhi aperti
   Col passare della vita, deciderò il momento preciso per mettermi alla guida
E diventare soddisfatto della vita
       9. Spring Fever
Euforia primaverile
   Ci pensi all’amore?
Ti chiedi mai da dove viene?
Un’immagine chiara che sei proprio troppo testarda per osservare
Stai malissimo
È un cocktail di sostanze
Una fuga speciale dall’egoismo
Stai malissimo, stai malissimo
   Con la mentalità da Midwest di un migliore amico ormai perso
Continui ad andare avanti e non guardi mai indietro
Con la mentalità da Midwest di un migliore amico ormai perso
Continui ad andare avanti e abbandoni il passato
Abbandoni il passato
   Ti sei innamorata dei ponti ma non hai mai toccato l’acqua
Ti sei innamorata dei giardini ma non hai mai toccato un fiore
Ti sei innamorata della primavera ma non hai mai visto la neve che si scioglie
Ti sei innamorata di tutti gli altri tranne che di te
E mi dispiace davvero tanto
   Un cocktail di sostanze, un cocktail di sostanze
Ci pensi all’amore? Eh?
       10. Entrances & Exits
Entrate e uscite
   Mi sono perso di vista con tutti i miei migliori amici
Volevo provare la sensazione di tagliare il cordone ombelicale
I rimpianti restano presenti dal passato nella testa
Una boccata d’aria fresca me la posso solo immaginare
La vita ha troppe entrate e uscite
Beh, forse alla fin fine non sono poi così diverse
   Occhi castani, vestito blu
Sgridami
Voglio una voce dolce che mi illumini sulla mia situazione
Occhi castani, vestito blu
Sgridami
Voglio una voce dolce, voglio una voce dolce
   Sgridami
Ho sforzato la voce troppe volte
Sgridami
Salutandoci continuamente prima di andare
Sgridami
Ho sforzato la voce troppe volte
Sgridami
Salutandoci continuamente prima di andare
Sgridami
       11. Skinny Veins
Vene a fior di pelle
   Hai detto che vivere non significa solo sopravvivere
Diventa noioso se non hai nulla da temere
È quello il bello
   Ma non aver paura di morire o fifa di provarci
Perché è una cosa che ti frena e basta
Prenditi dei rischi
Perché non riuscire è meglio che non provarci neanche
   Hai detto che vivere non significa solo sopravvivere
Diventa noioso se non hai nulla da temere
   Faccio i bagagli, prendo il primo treno in partenza
Questa faccia non la vedrete mai più
Faccio i bagagli e me ne vado da ‘sto posto
Ci sono tante di quelle cose là fuori che mi aspettano
   Ti ho assorbito nella pelle
Coraggio sconfinato
Ti ho assorbito nella pelle
   Non sarei mai fuggito senza le tue parole dentro le mie vene a fior di pelle, vene a fior di pelle
Non sarei mai fuggito senza le tue parole dentro le mie vene a fior di pelle
   Faccio i bagagli, prendo il primo treno in partenza
Questa faccia non la vedrete mai più
Faccio i bagagli e me ne vado da ‘sto posto
Ci sono tante di quelle cose là fuori che mi aspettano
       12. Van Beers
Birre da furgone
   Vedo un tramonto sfumato nella foschia di una sigaretta che ti sei fatto sù per concludere la giornata
Abbiamo scarsa igiene, decisamente poco puliti ma non ci siamo mai sentiti più puri di così
Puzziamo di sudore fresco e di birra andata a male
Che profumo di paradiso che c’è
Da grandi magari ci perdiamo di vista
Ma dobbiamo essere forti perché siamo giovanissimi
Ti prego, sii forte
   Le uniche cose che conosciamo bene sono ‘ste autostrade
I parcheggi loschi li consideriamo casa nostra
So che sembrerà incredibile, ma dormiamo come dei sassi
È raro che ci preoccupiamo
Esistiamo finché siamo vivi
Per cui qualcuno mi spiega che fretta c’è?
Incrociamo le dita che non arrivino gli sbirri
Sono sicuro al 100% che le lattine di birra vuote sotto i sedili del furgone non le abbiamo trovate tutte
   Siamo troppo impegnati a raccontare storie
E a ridere di quanto possa diventare noiosa qualsiasi situazione
Se non c’è nessuno che cerca di tirarne fuori il meglio
   Quando è troppo non è mai davvero troppo
Se non apprezziamo quello che ci viene dato
Tientele strette le cose che ami mica che arrugginiscano
Quando è troppo non è mai davvero troppo
Se non apprezziamo quello che ci viene dato
Tientele strette le cose che ami mica che arrugginiscano
Quando è troppo non è mai davvero troppo
Se non apprezziamo quello che ci viene dato
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wdonnait · 5 years ago
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Bellezza: rimedi naturali viso, capelli e corpo
Nuovo post pubblicato su https://www.wdonna.it/bellezza-rimedi-naturali-viso-capelli-e-corpo/106466?utm_source=TR&utm_medium=Tumblr&utm_campaign=106466
Bellezza: rimedi naturali viso, capelli e corpo
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Se amate prendervi cura di voi, questo post fa al caso vostro. I rimedi naturali sono quelli antichi, quelli che le nostre nonne ancora continuano ad applicare. Esistono, infatti, la cosmesi 100%100 bio da poter fare direttamente a casa propria. Spesso i prodotti che troviamo in commercio hanno un inci molto aggressivo e le sostanze chimiche presenti possono addirittura essere dannose a lungo andare. E’ per questo che consigliamo rimedi naturali per Viso, corpo, capelli!
Vediamo come prenderci cura di noi utilizzando solo ingredienti naturali.
Viso rimedi naturali
Contro le impurità del viso preparate una maschera purificante all’argilla. Prendete l’argilla in erboristeria, mescolatela con un po’ d’acqua e qualche goccia di olio essenziale al rosmarino, applicatela sul viso e lasciatela in posa finché l’argilla non si secca. Poi risciacquate. Effettuate questa maschera una volta alla settimana.
Se siete alle prese con qualche brufolo, provate un impacco a base di uovo: montate a neve un albume con succo di limone e applicate il tutto sulla zona incriminata lasciando in posa per una decina di minuti.
Problemi di borse sotto gli occhi? Preparate questa maschera: frullate una mela e amalgamatela con un tuorlo d’uovo, applicate il tutto sulla zona d’interesse, tenete in posa per una decina di minuti e poi risciacquate.
Per un viso più fresco preparate una maschera al cetriolo e yogurt. Lasciate macerare un cetriolo nello yogurt per una notte intera, il giorno seguente applicate il composto sul viso e lasciatelo in posa per 10 minuti.
Per uno “scrub casalingo”, invece, utilizzate il miele solido.
Pelle Grassa :  Sapone limone e menta
La pelle grassa richiede particolari cure e attenzioni in modo da regolare l’eccesso di sebo e per combattere l’eventuale secchezza e irritazione della pelle. Per questo è necessaria una pulizia del viso con prodotti efficaci ma anche naturali e delicati.
Tra questi possiamo trovare un vero e proprio rimedio della nonna semplice e veloce da preparare. Si tratta del sapone preparato con glicerina, limone e menta, ingredienti utili per regolare il sebo in modo graduale e naturale.
La glicerina è un ingrediente naturale e di origine vegetale perfetta per pulire a fondo la pelle e per mantenerla idratata senza ungere. Usare un prodotto a base di glicerina è particolarmente utile poiché questa è meno aggressiva rispetto ad altri che contengono fosfati non adatti per la pelle.
Il limone, frutto dalle note proprietà detergenti e purificanti, è un ottimo alleato per rimuovere il grasso e ridare alla pelle una sensazione di freschezza. Per questo tipo di preparazione è sufficiente utilizzare la scorza di limone (preferibilmente di origine biologica) grattugiata che contiene più proprietà medicinali rispetto alla polpa ed è utile anche per esfoliare la pelle.
La menta come il limone è una pianta che ha proprietà astringenti e senza irritare la pelle aiuta a rimuovere il grasso in eccesso. Per questa preparazione è necessario utilizzare l’olio essenziale alla menta che ha un aroma molto deciso e un effetto potente anche in piccole quantità.
Rispetto ai prodotti convenzionali reperibili in tutti i supermercati il sapone fatto in casa è un’alternativa sicuramente più naturale oltre che economica.
Ingredienti per preparare il sapone: una tavoletta di 80/100 grammi di sapone di glicerina pura, scorza di un limone grattugiata, 20 gocce di olio essenziale alla menta, alcune foglie di menta fresca (facoltativo).
Come preparare il sapone: iniziate facendo sciogliere la glicerina a bagnomaria o nel microonde, successivamente unite la scorza di limone grattugiata e lasciate raffreddare. Prima che il sapone solidifichi aggiungete anche l’olio essenziale. Trasferite il liquido all’interno di uno stampo e lasciate indurire. A questo punto il sapone è pronto per essere utilizzato.
Come si usa: utilizzate il sapone alla glicerina, limone e menta una o più volte al giorno. La mattina dopo aver lavato il viso con il sapone applicate un tonico e una crema idratante. La sera prima di andare a letto per eliminare il trucco e per una completa pulizia del viso.
Capelli : rimedi della nonna
L’olio di lino è un ottimo ingrediente per nutrire e rendere luminosi i capelli: applicatelo prima dello shampoo e lasciatelo in posa 20 minuti.
Non avete tempo per lavarvi i capelli? Niente panico! Cospargete la chioma con una spruzzata di borotalco e spazzolate via i residui. I vostri capelli saranno di nuovo belli e profumati.
Schiarire i capelli con la birra
Ma chi l’ha detto che per essere belle è necessario spendere molto?
Esistono dei metodi infallibili e poco pubblicizzati che permetteranno a noi donne di curarci ma senza spendere un patrimonio! I metodi naturali non vanno mai dimenticati ,anzi!
Le nostre nonne sapevano come essere belle ed ecco che uno dei consigli che generalmente si tramanda è quello dell’utilizzo della birra per schiarire i propri capelli. Mostriamo quindi subito questo metodo alternativo naturale ai coloranti chimici. Cio’ che utilizzeremo è quindi una semplice birra. Si, avete letto bene! La birra è davvero ottima come schiarente naturale e oltre a proteggere il cuoio capelluto avrà un ‘effetto naturale!
Procedimento:
Proteggiamo i vestiti con un asciugamano
Prendiamo una birra chiara di qualsiasi marca, apriamola aspettando due o tre minuti (il tempo che si sgasi) e poi applichiamola sui nostri capelli con un pennello in maniera uniforme.
A questo punto tiriamo su i capelli così spalmati con un mollettone e ricopriamo la testa con una cuffietta.
Attendiamo un’ora e risciacquiamo bene con shampoo e balsamo.
Corpo: ceretta fatta in casa
Anche nella lotta contro i peli superflui è possibile ricorrere a metodi naturali. In che modo? Con la ceretta a base di zucchero, miele e limone. Prendete un pentolino e versateci dentro un bicchiere acqua, due cucchiai di zucchero, due cucchiai di miele e il succo di mezzo limone. Mettete sul fuoco fino a quando il tutto sarà ben sciolto e amalgamato. A quel punto togliete il tegame dal fuoco, immergete il composto in acqua fredda in modo che si raffreddi e poi fate una palla da cui si possano staccare piccoli pezzi, che andrete poi a stendere sulla zona da depilare.
Per avere una pelle più elastica e prevenire così le smagliature, effettuate dei massaggi con l’olio, come quello di mandorle dolci, di semi di lino, di rosa mosqueta o di cocco.
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cristinaparuta-blog · 6 years ago
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Nebbia - #raccontiminimi 2
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Era arrivata improvvisamente. La nebbia aveva avvolto tutto come un fumo denso e lattiginoso. A malapena distingueva i contorni del paesaggio che fino ad un attimo prima erano nitidi. Il silenzio era compatto e il bosco aveva perso in un attimo tutta la sua lucentezza. Era sola e il panico iniziò ad intrufolarsi nei suoi pensieri. Avrebbe dovuto fermarsi prima, ma ora era inutile recriminare, così come prendersela con Giorgio che, di fronte ai suoi timori di escursionista pavida, l’aveva rassicurata frettolosamente: basta che segui la pista e poi ci sono i cartelli.  Calma, stai calma si ripeteva, come i bambini che canticchiano sottovoce compulsivamente per scacciare i mostri. Anche se era all’aperto, si sentiva prigioniera in una gabbia dalle inferriate invisibili. Si abbassò e si slacciò gli sci, li infilò nella neve vicino alle racchette, trangugiò un sorso di tè dal thermos e mangiò qualche noce. E ora? Il cellulare ovviamente non aveva campo ma la informò che erano passate quasi due ore dall’inizio della sua escursione. Le pareva di ricordare che l’ultima indicazione situava il rifugio “Stella alpina” a qualche chilometro, ma aveva seguito la giusta direzione? Era meglio tornare indietro o continuare? Il battito cardiaco accelerò: come sempre entrambe le opzioni non offrivano alcuna certezza. Doveva muoversi perché cominciava a sentire freddo. Si rimise gli sci e riprese la salita con un sospiro. Aveva deciso di proseguire sperando di trovare il rifugio lungo quel percorso. La nebbia non accennava a sciogliersi, le sembrava ancora più compatta, ma forse era soltanto la sua paura che le mostrava i particolari più spaventosi e insinuava immagini angoscianti. La paura è come un’onda che si propaga, è come gettare un sasso in uno stagno e osservare i cerchi concentrici che si allargano sempre più. Iniziò dal centro, dalla sua paura più angosciante: “Escursionista trovata assiderata sull’altopiano di Asiago a pochi chilometri dal rifugio” questa avrebbe potuto essere la notizia nel peggiore dei casi. Quanto ci si impiega a morire assiderati- si chiese - dipendeva dalla temperatura esterna e probabilmente dal vento. Questo immaginare gli scenari più catastrofici, con tanto di giornale locale che dava la notizia della sua morte, la fece sorridere. L’immagine successiva, quella di suo marito che l’aspettava inutilmente e dei bambini che piangevano perché la mamma non tornava, la angosciò moltissimo. Era il suo solito gioco, lo faceva da quando era piccola. Immaginare il peggio poteva risvegliarla con la puntura dell’ironia, oppure farla piombare in uno stato confusionale.  Avrebbe dovuto dosare con cura le sue fantasie. Era meglio concentrarsi sul respiro e sintonizzarlo con i passi strusciati dello sci da fondo. Frusc frusc frusc, tum tum tum, doveva soltanto seguire un ritmo monotono, come quando si esercitava al pianoforte: immaginare di sintonizzarsi sul suo metronomo interiore, un passo dopo l’altro, un respiro dopo l’altro, fino al termine di quel lungo pendio.
La salita terminò in cima al nulla. Era sempre intimorita dalla discesa e affrontarla in quel biancore smarginato le pareva ancora più arduo. Non si vedeva quanto fosse ripida, se c’erano delle curve strette, se terminava in piano o con una contropendenza. Le venne la tentazione di togliere gli sci e di farsela a piedi, ma non doveva perdere tempo perché non mancava molto alla fine del pomeriggio. Il suo indugiare ceco le restituì l’immagine di una condizione esistenziale. Essere nella nebbia è una metafora usata per esprimere confusione, indica quelle situazioni in cui non ci sono punti di riferimento e non si bene dove andare. Quante volte si era sentita così? La similitudine non diminuiva l’inquietudine ma in qualche modo la restituiva a sé stessa, la faceva sentire più presente, protagonista della sua vicenda. Per il momento, avrebbe dovuto accontentarsi e restare nella nebbia, affrontando le sue paure con tutta l’attenzione necessaria.
La discesa era lunga ma non ripida. Si concentrò sul baricentro leggermente spostato in avanti e sull’ esterno dei piedi: era soltanto un corpo che acquistava velocità, riuscì a provare il piacere di essere per qualche istante in sintonia la forza di gravità. Sì! Ce l’avrebbe fatta.
Poi, improvvisamente, si ritrovò con la faccia nella neve, una gamba ripiegata malamente e una sensazione di dolore alla caviglia. Lo stupore e le sensazioni spiacevoli attivarono velocemente Il segnale di pericolo.
Ancora prima di pensarlo, si ritrovò in piedi pronta a ripartire. Immaginò l’adrenalina come un liquido arancione che scorreva nei muscoli e tra i pensieri e le infondeva energia. Si sentiva euforica: il corpo le aveva mostrato tutta la sua forza, usando risorse a lei sconosciute.
Finalmente arrivò ad un bivio in cui c’erano una serie di cartelli direzionali: “Rifugio 1, 5 km”.
Era un’impressione o la nebbia si stava diradando? Appena prima del rifugio che si intravvedeva poco più avanti, scorse un angolo di azzurro alla sua destra, appena sopra gli alberi.
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animiribelli · 8 years ago
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Caffè corretto
Schiudo gli occhi. Un pizzicante aroma di legno accompagna il mio risveglio. Inizio a mettere a fuoco, una figura a fianco a me, disteso su un fianco, mi da le spalle. I capelli color cioccolata affollano il cuscino, odorano di muschio. Mi avvicino e appoggio il viso sulle sue spalle robuste, sfioro con la mano il suo torace muscoloso. Lo bacio sulla schiena, ma piano, non voglio svegliarlo. Un leggero profumo di caffè mi solletica il naso. Mi volto, un espresso fumante mi aspetta sul comodino.
- Oh, che delizia! Dev'essersi appena riaddormentato.
Avvicino le labbra alla tazza soffiando delicatamente e poi ne bevo un sorso.
- Uh, terrificante!
Apro con prudenza il cassetto sottostante, estraggo la fiaschetta di grappa Roc Maol, e ne verso un ‘goccio’ nella bevanda. Estasi.
- Ah, caffè corretto! Vale la pena vivere solo per questo.
Mi alzo, e con la pozione saldamente stretta in mano mi dirigo verso la finestra. Supero il suadente crepitio del fuoco nel camino, la vestaglia di seta scivola sui fianchi pronunciati e mi carezza le gambe. Mi affaccio al vetro, un paesaggio maestoso. Senza pensarci due volte spalanco l'infisso. Una fredda brezza invade la stanza. Fuori cime innevate, interminabili distese di alberi e rocce circondano la piccola baita in legno. Un profumo pungente di pino si riversa nelle mie narici. Inspiro prepotentemente. Il fischio di una marmotta mi invita a sporgermi. Con uno sguardo carico d'astuzia mi fissa e mi scruta, per qualche secondo i suoi occhi vividi si incollano su di me, intraprende due piccoli passi verso la sua tana per poi stridere di nuovo.
Guardo il cielo, limpido, puro, una sola nuvola concede la sua presenza. Stormi di uccelli volteggiano all'orizzonte creando figure contorte ed enigmatiche. Prendo un altro sorso di caffè, il liquido amaro mi scalda il petto, un brivido mi attraversa il corpo.
Entra un soffio prepotente di vento, e mi percuote.
La vita là fuori sembra chiamarmi.
- Sto arrivando!
Poggio la tazza sul morbido tappeto di lana e mi aggrappo con una mano alla persiana. Con forza sollevo il mio corpo, e salgo sul davanzale. Sotto di me un dirupo, coperto da un soffice manto bianco di neve. Allargo le braccia e inspiro a fondo, di nuovo.
Un tuono alle mie spalle: “Ma che diavolo stai facendo?!!”
“Assaggio la vita, ne vuoi un sorso?”
@animiribelli
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VICTUS
Difficile dire ora quali siano state le circostanze che mi abbiano portato in quella realtà alterata, ricordo però di essere stato sveglio e lucido quando vidi il mondo trasformarmisi intorno. Avevo deciso di isolarmi dal caos e dal frastuono della città, che generavano forti allucinazioni e paranoie nella mia malandata testa. Mi trasferii in un piccolo chalet sulle Alpi, distante un paio di chilometri da Bolzano. La casa aveva un solo piano, divisa in una cucina-salotto, un bagno e una stanza singola. Non avevo bisogno d’altro, anche perché tendevo a stare pochissimo chiuso dentro. L’unico conforto all’interno di quelle quattro pareti era il grande camino nel soggiorno. Quando calava la notte, e le temperature invernali mi rendevano impossibile stare all’aperto, mi sedevo a terra, di fronte al camino, a guardare il fuoco crepitare, a scrivere e leggere Baudelaire. Come ho già detto, passavo intere giornate all’aperto, passeggiando per i boschi innevati che ingoiavano lo chalet. L’aria fresca, la neve soffice e i rumori della natura riuscivano a badare al mio povero cervello in frantumi. Ormai erano un paio di settimane che non avevo disturbi di nessun tipo, fino a questa mattina almeno. Era una giornata soleggiata, resa ancora più luminosa dal manto di neve fresca che rifletteva la luce, sentivo versi fiorenti di bestie e uccelli tutti intorno a me. Stavo vagando da circa cinque o sei ore ed il sole ormai aveva raggiunto lo zenit. Mi trovavo nel pieno della foresta ma a un centinaio di metri i grossi pini lasciavano intravedere un grosso spazio aperto. Raggiunta la fine di quegli imponenti alberi si aprì davanti ai miei occhi un piccolo paradiso terrestre. Un minuscolo altopiano, largo 500 metri e lungo circa la sessa misura, ricoperto di erbetta soffice e grosse macchie di stelle alpine. Di tanto in tanto spuntavano dal terreno rocce di diversa grandezza, ricoperte da un muschio di un verde smeraldo. Al centro della piccola radura notai uno strano particolare. Un piccolo laghetto nel quale non si rigettava nessun torrente e dal quale non usciva nessun ruscello. Fosse stata solo questa la stranezza non ci avrei fatto molto caso, (molti laghi vengono generati da sorgenti sotterranee), ma quello che il mio occhio notò immediatamente fu la forma del lago stesso: la roccia corrosa dall’acqua creava un bacino perfettamente circolare, di precisione innaturale. La domanda mi venne spontanea: Chi l’aveva costruito? Perché? Cominciai ad addentrarmi nello slargo naturale, e mi resi conto di una cosa: Faceva un caldo tremendo. Mentre mi dirigevo verso lo specchio d’acqua notai un particolare che fino ad allora era rimasto nascosto dietro la meraviglia e lo stupore della scoperta, li non c’era neve. Questo era dovuto probabilmente all’alta temperatura in quella zona. La causa di quell’afa mi rimane e forse mi rimarrà per sempre indefinita. La mia testa è ormai allo stremo, e anche se riuscissi a mantenere la sanità mentale non mi rimarrebbe molto da vivere. Mi affretto dunque a raccontare il resto della vicenda nella speranza che qualcuno possa leggere queste pagine. Raggiunsi la pozza d’acqua, aveva un diametro di una trentina di metri, il fondale aveva una forma emisferica e nel punto centrale, raggiungeva la profondità massima di una 15 di metri. Una semisfera perfetta. L’acqua era perfettamente limpida, incolore, e riuscivo a vedere chiaramente sotto la superficie anche nella parte più profonda. Quello che vidi al suo interno generarono in me un terrore puro che non sono in grado di descrivere, un terrore che però non mi immobilizzava, al contrario mi spingeva ad indagare, sperando di smentire il tutto dando la colpa ad uno dei miei deliri. Ancorati sul fondo roccioso dello stagno trovavano posto alghe di un azzurro opalescente, con steli rosso cremisi che sembravano emanare luce propria, provai a immergere la mano per afferrarne una ma questa rimbalzò contro lo specchio d’acqua che rimase piatto, immutato. Si vennero a creare soltanto alcune increspature nel punto in cui la mia mano aveva cercato di immergersi. Non sapevo più cosa pensare, in preda ad una curiosità morbosa mi rimisi in piedi e provai a poggiare un piede, sembrava reggere. Riuscii ad arrivare al centro dello stagno camminando su quello strano liquido, ma una volta essermi fermato nel mezzo di colpo sprofondai fino alle caviglie e la prodigiosa acqua assunse lo stato solido in un attimo, bloccandomi lì, come se avessi i piedi nel cemento solido. Preso dal terrore, in quel momento avevo rinunciato a credere che si trattasse di un allucinazione. Provai a liberarmi ma fu tutto inutile, quella maledetta acqua rimase immobile nonostante avessi cercato di liberarmi con tutte le mie forze. Ero allo stremo quando un forte rumore che non sono in grado di descrivere mi invase le orecchie. Un onda sonora proveniente da sotto la superficie che mi risuonò nelle ossa, come delle pulsazioni di un enorme cuore annegato in quello stagno. Guardando in basso vidi le alghe emettere luce al ritmo di quelle palpitazioni. Successivamente gli steli cominciarono a rilasciare uno strano liquido rosso, colorando l’intero stagno di sangue. Da quest’ultimo emersero tre spade da cavaliere di un acciaio splendente, con l’ elsa rivolta al cielo. Io mi trovavo al centro, e dopo essere arrivate all’altezza delle mie spalle cominciarono a ruotarmi lentamente intorno. Sul dorso delle lame erano impressi simboli incomprensibili, ma non appena tentai di decifrarli il metallo comincio a contorcersi e i simboli divennero pian piano lettere latine. Quello che lessi in quel momento, nonostante la mia ragione sia quasi svanita del tutto, riesco ancora a ricordarlo perfettamente: Voi siete sordi – Io sono quiete Voi siete muti – Io sono silenzio Voi siete ciechi – Io sono oscurità. Non appena riuscii a leggere le tre incisioni le spade rivolsero le punte contro di me, all’altezza del collo accelerando la loro rotazione. Cominciarono a stringersi, ad avvicinarsi a me fino a quando non mi tranciarono la testa di netto, almeno così mi sembrò. Ricordo un buio improvviso, e poi il folle risveglio sotto un cielo crepuscolare. Mi tirai su e lo spettacolo raccapricciante che mi si presentò di fronte mi fa rabbrividire al solo pensiero. Avevo i piedi immersi in un liquame nero che emanava un miasma di morte e putrefazione, intorno a me si ergevano colossali spadoni di pietra, alcuni grandi quanto me stesso altri grossi come colline. Le loro else grondavano sangue, che colando sulle lame andava a finire in quella melma pestifera. Di fronte a me vidi un enorme spada alta una cinquantina di metri, abbastanza inclinata da poter essere scalata, ci corsi incontro e mi trascinai in cima cercando di scappare da quel puzzo indescivibile. Arrivato in cima la vista di un orizzonte interminabile di terra nera, invasa da quella orrenda melma frantumò completamente la mia ragione. Sentii le mani bruciarmi all’improvviso e osservandole le vidi ricoperte del sangue che colava dalla spada su cui mi ero arrampicato. Sentii le gambe molli e svenni di colpo. La mia mente si era arresa di fronte a tanto orrore. Poi la normalità. Mi risvegliai nel soggiorno dello chalet affianco al camino, ancora turbato da ciò che avevo visto o sognato, ma cosciente del fatto che fosse stato solo un sogno. Decisi subito di andarmene, la pace che avevo trovato era sparita con quel sogno ed era ora ti trovare un altro rifugio per la mia anima. Raccattai quel poco che mi ero portato, ma quando feci per uscire dal portone d’ingresso un pugnale cadde giù dal cielo trafiggendomi la coscia. É circa un ora che sono chiuso in casa e una pioggia di spade, lance e pugnali continua a martoriare lo chalet. In alcuni punti il soffitto è crollato riversando quella pioggia d’acciaio all’interno. Non importa che io muoia dissanguato o per merito di quella pioggia mortale, sto per levarmi la vita io stesso. Non posso reggere un altro minuto con questo dannato martellare nelle orecchie e questo terrore nel cuore. Lascio questo diario nel camino in pietra sperando rimanga illeso a testimonianza dell’accaduto. V.G.
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davidemorelli · 5 years ago
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Altra raccolta di poesie di Davide Morelli...
PUBBLICO LUDIBRIO(2006)
N.B: nel regno dell'inconscio
1
Essere come una pianta,
che ha fame di sole.
Essere come una pianta
che, per crescere,
deve essere abitata dalla luce.
E invece abitare pensieri,
che non giungono nemmeno
all'ombra delle cose.
2
Di te luna stasera
qualche labile traccia.
Stasera sei quasi una comparsa.
Sei quasi l'ogiva
di un volto evanescente.
Il tuo riflesso argenteo
benedice l'amalgama
di corpi innamorati
e l'amare senza amore.
3
Una nebulosa di associazioni mentali,
frammenti di identità alla deriva;
oscillano gli opposti
e in qualche decimo di secondo
ecco il tutto indistinto
e il paesaggio si eclissa,
gli snodi dei rami nel cortile
non ritagliano più spazi marginali di cielo,
non pregano più questo cielo gravido di nubi.
Rimangono le pulsazioni di questo mondo
e l'implicito, il rimosso, l'omesso
ci liberano dallo sguardo della natura.
4
Non so se il mio volto
ha una sua ontologia.
Non so se ogni mio gesto
è una pura tautologia.
Non so se le tue labbra
hanno la stessa consistenza
di frasi di circostanza,
pronte ad ogni evenienza.
Non so se ogni mio viaggio
è un viaggio iniziatico.
So che all'improvviso
dell'ordinario si può liberare
il magma dell'epifania.
So che la mia mente
è fatta di spazi bianchi
e di reminiscenze.
So che approdare alla verità umana
significa includere anche,
oltre alle grammatiche provvisorie
ed alle costruzioni logiche della mente
il prerazionale e ciò che è viscerale.
5
Una donna con la sporta della spesa,
che aspetta l'autobus ed osserva
rami spogli e contorti;
un uomo assorto nei suoi pensieri;
tre adolescenti e le loro risate,
che risuonano nella piazza.
Si intrecciano passi frettolosi,
si incrociano sguardi curiosi
nella piazza assolata.
Simboli di vita e segnali di morte
coesistono nel cuore della piazza.
Ma a dire il vero la maggior parte
delle volte accadono cose di poco conto
(cose così insignificanti che
nessuno le nota nel cuore della piazza).
Qualcuno raramente resta in attesa
di una rivelazione o di una piccola rinascita.
6
Le tue molliche di pane da donare ai pettirossi.
Vociferano le fratte ed ogni invettiva alle stelle
ha una caverna smisurata, un voto latente
all'odio delle cose eterne. E se di una biografia
fossero importanti i trucioli e le pagliuzze ?
I sepolcri dei millenni hanno sempre
il solito antico epitaffio, che sentenzia
insano sugli angeli caduti.
7
La passione del fabulatore si perde
tra le usanze delle ombre.
Incuneati tra le pieghe dei rapporti sociali
e strappa la corteccia del chiacchiericcio
e delle moine. Frasi come fiori di carta.
Bruciale. L'ingranaggio impazzisce.
Vertigine di una voragine, che si avvita
su se stessa. L'inferno è questo essere
complici della commiserazione.
8
Piove sul becco di un usignolo e sugli appuntamenti
di lavoro. La solitudine di quella donna con la sporta
della spesa non cova segreti incommensurabili,
ma un amaro sorteggio. Non credo sia didascalico
questo discostarsi da un paesaggio monotono,
che disubbidisce per ogni fibra e ad ogni lato
alle labbra asserragliate della luna.
9
Le ore sono fatte di silenzi e di parole. Le ore,
salvo alcune eccezioni, cadono nel vuoto.
I giorni, salvo alcune eccezioni, sono irriscattabili.
Ogni silenzio ha i suoi codici e le sue valenze.
Se ti chiudi in un silenzio i tuoi pensieri
volgono all'assurdo. La solitudine rientra nell'aleatorio.
10
Tra l'incudine e il martello, tra l'ozio irrorato
ed un torello vengono ricostruite pezzo dopo pezzo
le giunture della dialettica padrone-servo.
I cardini dell'ordine costituito non contemplano
le contingenze e le concause. Sentinelle sempre vigili
non sanno delle tue emicranie e del male votato
a cancellare da sempre la gioia.
11
Essere per lo più... se l'essere non è stato violato
o se ha fatto testamento a quel gatto randagio per esempio...
no..non credo che sarebbe uno scempio, perché è chiaro
che incartocciarsi su se stessi non significa che uccidersi
involontariamente(dato che la vera intenzione era inscenare
un finto suicidio). Se tu pensi che sapere di vento una sola
sera, conciliarsi con uno spiraglio di cielo, battezzare un'eclissi
sia un collante per tutti gli uomini...io non voglio più ispessire
le mie vene del collo, mi metterò in disparte ed ammirerò
l'amoralità degli istinti e l'immoralità dei rischi calcolati.
12
La parabola dell'inespresso sosta su nuove soglie.
Niente le è precluso. Si accorda all'unisono con qualsivoglia
altrove. La dimora dell'identità è questo dare forma
all'astrazione informe. L'origine va ricercata in queste connotazioni
di luce, che albergano sui ponteggi delle impalcature degli edifici
di fronte. E di nuovo il canto labile della città, grumo inscindibile
di noia e di alterità.
13
Che cosa abbiamo noi del mattino ? Solo un presagio.
E della notte che cosa abbiamo ? Solo una postilla.
14
Quell'Inverno alzò la sua voce per giorni con la neve
sulle strade e sui tetti. Se scavassimo nel sottosuolo
non troveremo nessun sostrato: solo elementi spuri di nessun conto.
Intanto il vociare dei ragazzi fuori riempie intervalli di vuoto.
15
Frasche, tralci, collo non lasciano traccia. Goccia dopo goccia,
foglia dopo foglia, strato su strato echi e rimandi della natura
creano nella mia dissoluzione un senso incompiuto.
16
Questo dilungarsi con gli sguardi sull'arbitrio dell'abitudine,
questo dimenarsi dei soliti numeri sulla punta della lingua
(dopo aver spremuto nel bicchiere dieci gocce di limone).
17
Il mio volto, che lotta con la luce, è un insieme di linee
disarmoniche, disegno di traiettorie abituali,
per il repertorio delle espressioni facciali.
18
Tu mi dici amica: fisime, spasimi.
Declini malamente verbi ed inviti. Dici che solo i chiodi
restano confitti nella mente. Parti da un punto qualsiasi
della superficie. Aumenti l'intensità. Perdi lo sfondo.
Ti misuri con il fondo più fondo. Ma le cantine della psiche
sono abominevoli scannatoi.
19
Un mio amico becchino mi racconta che ogni volta
deve correggere le posture e riassestare i volti dei cadaveri.
Nella peggiore delle ipotesi la sequenza dei miei respiri
è screziata dai colori lividi del tramonto.
20
La resa è mia, non del mondo. La resa è mia, come una medusa
liquefatta sulla spiaggia. Il semicerchio dell'orizzonte abbraccia
i canneti e gli alberi. Clivi, poggi, ulivi sono costanti del paesaggio
toscano. Li introietti giorno dopo giorno. Ti entrano dentro la pelle
come iniezioni sottocutanee. La resa è imminente.
21
Chi esiste pienamente se non le rose ?
Se non l'edera attorcigliata al muro ?
Se non il cane che mi lecca la mano ?
22
Accendo la televisione. Mi metto sul letto. Il cuscino dietro la schiena.
Assaggio il retrogusto amaro di opinionisti dell'ultima ora.
23
Ogni effluvio di fiori è un'esortazione al sottinteso, un volgersi
al raccoglimento della forma in sè.
24
Si contraggono i lineamenti. Si perdono i basamenti. La forza
centrifuga ha la meglio per un indeterminato intervallo di tempo.
25
Uno stormo squarcia i drappeggi color porpora del tramonto.
Il cielo è sempre lo stesso che ha visto piangere le pietre tagliate
dal vento. Le peripezie del tempo sono ferme
all'ingresso dell'assurdo.
26
La fotosintesi non crede alle sottigliezze di noi bipedi.
I simboli non sono che ectoplasmi del reale.
La notte ha cento iridi per scrutare gli amplessi
e gli attimi dei nuovi concepimenti.
27
Le lucciole non sono che spiccioli di luce.
Esequie di nuvole istoriate dalla luce lunare.
L'antimateria costruisce nuove protesi
alla mente universale.
28
Le mie parole abitano il nulla.
Svelano le falsità di una verità sempre meno umana.
Tutte le imprecazioni finiscono in cielo.
Tu scoperchi fondamenta instabili e poi cambi argomento,
chiedendoti se la fiducia e la libertà vanno conquistate
o sono diritti inalienabili.
29
Dal brodo prebiotico alle sinapsi chimiche...
dagli acidi nucleici all'uomo......vita, sei stata semplice protoplasma,
che andava per tentativi ed errori con i suoi pseudopodi.
Ma il codice genetico è una propaggine miracolosa e ora
stiamo qui a chiederai se l'universo è chiuso o aperto.
30
Dice la filosofia di non moltiplicare gli enti e che niente è
nell'intelletto che non sia stato nei sensi. Per me solo la pioggia
lava i peccati della terra. Il rischiaramento avviene raramente
guardando un ciuffo d'erba incastonato tra le mura.
31
È lampante che ogni suicida invecchia di venti anni la sua levatrice,
bestemmia i non nati e le gocce evaporate di rugiada.
Ogni suicida è stato sopraffatto da tutti i gesti inutili compiuti
nell'arco della sua vita.
32
Mettiamo al riparo ogni fiore di campo, ogni bava di lumaca,
ogni scorza di salice, ogni frullare di ali. La pioggia diventa
un ritmo sincopato.
33
Se è vero che il sole parla raramente agli oggetti dei solai,
è altrettanto vero che indora rovi e fossi.
34
Uomini specchiatevi nel vostro passato remoto, quando il sangue
fecondava la terra e le semine e i raccolti scandivano la vita. Uomini
specchiatevi nel vostro passato remoto quando i giovani morivano
in guerra e le donne morivano di parto.
35
Non saranno l'imperativo categorico, il noumeno, il cielo
stellato a salvarci la psiche, ma il peso specifico di parole
che fanno ginnastica e la convalescenza di sensi slogati.
36
Se la luce del cielo ha vaste risonanze con le radici annodate
ed i rizomi allora scrivendo possiamo registrare gli ultrasuoni
della parte più atavica di noi stessi.
37
L'acqua diviene metafisica se si pensa alla placenta, che naviga
nel liquido amniotico. L'acqua è anche regressione:
ritorno nel ventre. È rinnovamento, che azzera ogni rovello
e fortifica l'ossatura dell'onirico.
38
È tutto terribilmente normale quando la mente ti trasporta altrove
ed una pantomima diviene il fulcro della finzione scenica.
Tutto terribilmente normale e mentre passi li senti conversare
e sanno già scegliere tra il petrolio del medio oriente o
per l'idrogeno islandese.
39
La luce ha un paradigma, il cui assunto è l'enigma.
Strisce di sole in percussione. Luce inviolata, trasognata, pura,
già purificata !!! Noi siamo solo una mistura di codici
e di soma. Siamo solo circonvoluzioni attivate dagli zuccheri.
Solo la luce è pura.
40
Io sono una nullità,  ma l'ornato di corolle mi rende
ancora capace di peccare.
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evilvenator · 5 years ago
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Capitolo 28
Posero la salma della Divina Adelasia sul terreno ghiacciato.
«Mi dispiace che non possiamo preparare una pira, come si conviene.» Julian fissava la sorellastra, il volto in ombra. «D'altra parte, se accendessimo un fuoco, ci sarebbero addosso in un attimo.» Si allontanò di qualche passo dal corpo, mentre Lisandra picchiava tre volte il bastone a terra.
Una serie di cerchi concentrici si aprirono sul terreno, inghiottendo la Divina Adelasia tra le pietre dell'antica fortezza di Ostagar.
«Quando avremo sconfitto Urthemiel, torneremo qui e gli daremo un funerale degno di una Divina. Per il momento, questo terrà l’Orda lontana.» Disse solennemente la maga.
“Quando.” Ellena a malapena riusciva a trattenere lo sconforto che l'aveva pervasa non appena si erano avvicinati alla fortezza. Un esercito di migliaia di uomini era stato spazzato via come foglie, come avrebbero fatto loro a vincere, con un paese diviso dalla guerra civile e così tanti soldati morti?
Oliver. Oliver era stato ucciso in quel luogo, e ora probabilmente giaceva assieme agli altri cadaveri, o peggio, era stato rianimato da Urthemiel, uno soldato fra migliaia di altri. Suo fratello, l'unica famiglia che, scappata da Melwatch, credeva ancora di avere. Ora, guardando la vallata disseminata di morte sotto di loro, ne era certa: non lo avrebbe mai più rivisto.
Tundra le strofinò il naso umido contro la mano.
«Lo so. Manca anche a me.»
Si rimisero in viaggio.
Prima che calasse il buio, erano riusciti ad allontanarsi a sufficienza da Ostagar per accamparsi. Memori della notte precedente, stabilirono dei turni di guardia di tre alla volta.
Mentre mangiavano le provviste contenute negli zaini, Ellena estrasse i documenti trovati nel forziere della Divina. Erano tre lettere, di cui una appariva particolarmente stropicciata.
«Questa è di un certo Vlatian Lusius consigliere dell’Imperatore Julius Mede II dall’Impero Samuren.»
«L'imperatore …» Esclamò Julian.
«Stando a quanto dice, i suoi eserciti sarebbero dovuti arrivare da oriente insieme a mille dei più forti guerrieri della Camarilla.»
«Tipico dell’Impero, non mantenere le promesse!» Sbottò il ragazzo. «Scommetto che vedrebbero volentieri il Khanduras distrutto, pur di cercare di accaparrarsene almeno un pezzo.»
Ellena, per quanto avesse anche lei i suoi dubbi, scosse la testa. «Ti sbagli, sia la Camarilla che l’Imperatore sembrano sinceramente intenzionati ad un'alleanza con la Fratellanza, e in particolar modo con la Divina Adelasia.»
Il Venator afferrò la lettera, rileggendola più volte, incredulo. «Forse hai ragione... i succhiasangue della Camarilla hanno sempre tentato di stipulare un’alleanza con la Fratellanza per mettere fine alle loro lotte interne con il Clan Lasombra. Poi da quello che ho sentito dire, l’Imperatore è un uomo giovane e bello, e Adelasia… beh… era molto giovane e bella…»
«C'è dell'altro.» Lesse lei, prendendo la seconda pergamena. «Questa è del Conte Volkhardt.»
«Il Conte non è mai arrivato con le sue forze ad Ostagar, Adelasia scelse di non aspettare tanto a lungo.» Si intromise Lisandra, avvicinandosi a loro. «Ulfric e tutti i suoi consiglieri erano contrari, ovviamente, ma la Divina era coraggiosa quanto avventata.»
«Non parla soltanto della battaglia, ma della sua preoccupazione per il troppo entusiasmo di Adelasia. Suggerisce alla Divina cautela e prudenza riguardo l’alleanza con l’Imperatore e con la Camarilla.»
«Ulfric deve aver letto questa roba, e avrà pensato di ucciderla per evitare un’alleanza tra la Fratellanza e l’Impero!»
«Non è tutto, Julian.» Gli allungò l'ultima lettera, era scritta da un vampiro, e in tono sospettosamente informale. Calò il silenzio, mentre gli altri due leggevano le parole scritte in inchiostro rosso, i caratteri pomposi e svolazzanti.
 «Stando a questo Vlatian Lusius, l'Imperatore aveva un piano ben preciso, su come annettere il Khanduras all'Impero, con il supporto di Adelasia.» Commentò Ellena, il disgusto palese nel suo tono. «Ulfric deve aver messo le mani sulle lettere, tirato le somme e deciso di impedire alla Divina di distruggere tutto ciò per cui lui aveva lottato.»
«Uccidendo la Divina e mandando a morire centinaia di Venator e Inquisitori!» Sbottò Julian, facendo sobbalzare tutti.
Ellena non si scompose. «La Divina sta per vendere il Khanduras ad un popolo che per anni ci ha fatto la guerra.»
«Lo stai difendendo?!»
«Nient'affatto!» Perse la pazienza lei. «Sto solo dicendo che ora capisco il motivo del suo tradimento! Non l'avrà fatto a cuor leggero, Julian…»
«Cuor leggero?! Ma che accidenti stai dicendo? La tua famiglia è stata massacrata dal suo tirapiedi, ha lasciato morire migliaia di persone facendo trionfare l’Orda! Che in questo momento sta massacrando persone innocenti. E tu maledizione continui a difenderlo!»
La ragazza represse l'istinto di rifilagli uno schiaffo, si alzò di scatto, furente. «Non hai capito un accidente.» Si andò a sedere al lato opposto del campo, dando le spalle al Venator.
Arsim vicino a lei non le disse nulla, ma le porse una fiaschetta di pelle, con l'aria di chi la sapeva lunga.
Lei si sorprese ad accettare, ringraziandolo.
«Figurati, ne abbiamo tutti bisogno.»
Ne prese un sorso. Il liquido le scese rovente per la gola, scatenandole un attacco di tosse. «Ma che è?» Riuscì a bofonchiare dopo aver ripreso faticosamente fiato.
«Lava di Hirol. Incredibile come in pianura si possa trovare più facilmente che ad Harrogath...»
Ellena si affrettò a restituirgli la fiaschetta, giurando solennemente a sé stessa che non avrebbe mai più accettato da bere dalla fiaschetta di un uomo delle montagne.
«Allora, tra te e il Venator?»
Lanciò uno sguardo risentito alle proprie spalle. «Non volevo litigare.»
«Spesso per chiarirsi serve urlare almeno un po'...»
«Non è esattamente nel mio stile.»
«L'avevo notato.» L’uomo fece tre lunghi sorsi dalla fiaschetta, senza battere ciglio. «Sai, a volte bisogna rompere della roccia per vedere la vena di argento.»
Lo guardò confusa.
«Quello che intendo dire, è che il ragazzo ha un gran bisogno di darsi una svegliata. Vede solo quello che vuole lui, e si comporta come un bambino, correndo dritto per la sua strada a conclusioni affrettate, senza ascoltare i pareri altrui.»
«È anche sotto un'enorme responsabilità...»
«Sicuro. E il fatto che quei due non vadano d'accordo praticamente su nulla, non semplifica certamente loro la vita. Ma dovrebbero entrambi smussarsi dalle loro posizioni, soprattutto se vogliono davvero guidare un esercito contro Urthemiel.»
Ellena annuì. Arsim aveva ragione, ma in fondo, chi tra di loro avrebbe saputo gestire una tale responsabilità? Sulle spalle di due poco più che ragazzini, gravava il peso di un'intera nazione. Sentì una stretta allo stomaco, seguita dal senso di colpa. Julian aveva già così tanto a cui pensare, e lei aveva peggiorato la situazione mettendocisi in mezzo, lasciandosi prendere dai sentimenti.
Da quando era scappata dopo averlo baciato, nei primi giorni il comportamento del ragazzo era stato più freddo e distaccato, ma piano piano era tornato ad essere il solito Julian, anche se qualcosa tra loro sembrava irrimediabilmente cambiato.
«Vorrei solo...» Si strinse nel mantello, cercando le parole giuste, invano. Scosse la testa.
Arsim annuì, come se avesse capito, senza aggiungere altro. «Beh, direi che vado a chiudere gli occhi, domani avremo un'altra bella marcia nella neve.» Annunciò, un filo di disgusto nel guardarsi attorno. Era chiaro come l'inverno non lo esaltasse.
Ellena rimase da sola a contemplare le Paludi attorno a loro, sovrappensiero.
«Un tè caldo?»
Alzò lo sguardo su Lisandra, un bicchiere fumante in mano. Annuì, riconoscente, mentre la maga le si sedeva accanto.
«Le tue considerazioni su Ulfric sono fondate, sai? Solo, l'odio di Julian verso il reggente non lo fa ragionare. Ha perso una figura importante per lui, ad Ostagar, e le cicatrici sono troppo fresche.»
«Rylan... com'era?» Chiese Ellena, curiosa sull'uomo che aveva reso Julian un Venator.
«L'ho conosciuto appena, quindi non saprei dare un vero giudizio, ma era una persona onorevole, ligio al dovere. Ha cercato di convincere la Divina a non scendere in battaglia, a non dar retta alle vecchie storie di eroi, ma i giovani sono imprudenti e sconsiderati.»
«Castalia ha menzionato come sia stata coscritta a forza nei Venator.»
«Sì, è nelle capacità di un Venator il poter arruolare chiunque tra le loro fila, dai semplici popolani a re e regine. Non è un metodo che usano spesso, come puoi facilmente immaginare, ma quando trovano qualcuno con delle abilità particolari che potrebbero portare grandi benefici alla Fratellanza, sono in grado di superare qualsiasi altra legge e coscrivere anche contro la volontà del reclutato.»
«Sembra orribile.» Rispose la ragazza dopo una breve pausa. Essere portati via a forza dalla propria casa, costretti ad affrontare dei mostri per il resto della vita... «Julian mi ha detto che Rylan aveva usato il Diritto di Coscrizione per portarlo via dagli Inquisitori, contro il volere del Comandante. Però lui era contento di lasciare quella vita.»
«Purtroppo, c'è più bisogno di eroi di quanti si offrano volontari, di questi tempi, e i comandanti devono fare delle scelte difficili, in caso di necessità.» Disse Lisandra. «E un Venator, come un re e molti altri in posizione di prestigio, non possono permettersi il lusso di cedere ai sentimenti.»
Ellena sentì le guance imporporarsi. Sperò che nella fioca luce delle piccole fiammelle bluastre accese dai maghi, non si notasse. «Lo so.»
«Sono stata giovane anche io, un tempo, anche se non si direbbe. So com'è facile innamorarsi di qualcuno, anche quando tutta la nostra ragione ci suggerisce il contrario. Il cuore è capriccioso, ma in molti casi è necessario imbrigliarlo.» Parlava come se stesse rimuginando su qualcosa, accaduto molto tempo prima. Ellena sapeva che le relazioni tra maghi erano viste di cattivo occhio, ma non si era mai interessata al punto di chiedere direttamente ai diretti interessati, complice anche il fatto che a ben pochi maghi veniva concessa la libertà di andarsene in giro. Erano pericolosi, se lasciati fuori dal vigile controllo della Fratellanza, e il mago del sangue che viaggiava con loro ne era la prova lampante.
«Vi siete mai innamorata di qualcuno al punto da immaginare per un attimo una vita diversa? Da voler scappare, anche solo per un poco, alla realtà?»
La maga sorrise con dolcezza, uno sguardo melanconico negli occhi. «Tanto tempo fa, quando ero giovane e avventata.»
«Siete ancora un po' avventata, a viaggiare con noi.»
Lisandra ridacchiò, riprendendo il racconto. «Come saprete, le relazioni tra maghi non sono incoraggiate, men che meno il matrimonio, perché produrrebbero molto probabilmente figli con capacità magiche. E qualunque figlio di maghi residenti in un’Accademia, viene cresciuto dalla Fratellanza e, se a sua volta in grado di usare la magia, mandato in un'altra Accademia diversa.»
Realizzò finalmente ciò che doveva essere successo. «Vi è stato portato via, quindi.»
La maga annuì. «Era per il suo bene, ma il padre cercò di dissuadermi, sollevò un polverone per mandare il bambino alla famiglia di sua sorella, almeno per i primi anni...»
«Era un mago?»
«No, non era un mago, era un Inquisitore. E forse ciò rese ancora più difficile gli anni a seguire. Dopo essere stato allontanato per un anno dalla Torre, tornò un uomo diverso, più freddo. Non credo mi abbia mai perdonata di non aver lottato per il nostro bambino, ma sapevo che era la scelta giusta. Ne sono ancora convinta.»
 Cadde il silenzio. Ellena non riusciva nemmeno ad immaginare quanta forza di volontà servisse a lasciar andare il proprio figlio, a non rivederlo più, sapendolo nelle mani di sconosciuti. «Non vi siete più sentiti?»
Lisandra scosse la testa. «A che servirebbe? Gli arrecherei soltanto altro dolore, adesso è anche lui un Incantatore Anziano di una prestigiosa Accademia a Sud, non c'è bisogno di aprire vecchie ferite.»
La ragazza si morse la lingua per non ribattere. Non era giusto, magari il figlio avrebbe voluto sapere qualcosa sulle proprie origini. Sapere di avere una famiglia, da qualche parte. Tuttavia, non erano affari suoi, e la maga sembrava soffrire abbastanza senza che lei ci mettesse del proprio.
«So che vi sembra assurdo ed egoista da parte mia.»
Ellena scosse la testa. «Non sta a me intromettermi nei vostri affari.»
La maga ridacchiò. «Siete così educata! Ai miei tempi, avrei fatto fuoco e fiamme, a sentirmi fare la ramanzina da una vecchia rompiscatole.»
«Non dite così!»
Risero entrambe.
«Ho notato gli sguardi tra voi ed Julian.» Proseguì l'anziana. «E, se posso permettermi, credo stiate facendo la cosa giusta. Avete entrambi troppe responsabilità, e troppo grandi, per potervi permettere di innamorarvi a cuor leggero.»
Ellena distolse lo sguardo, bevendo ciò che restava del tè caldo. «E se non volessi fare sempre la cosa giusta?» Ripensò alle labbra morbide di Julian, alla sua schiena forte, alle braccia muscolose che l'avevano stretta per un attimo, il suo profumo...
«So che può sembrare spietato da parte mia, ma l'amore è un lusso che nessuno di voi può permettersi. L'amore è egoista, e impone di scegliere l'altro sopra qualsiasi cosa. Occupa la mente e il cuore, impedendo di concentrarsi sui propri doveri. Potreste trovarvi davanti a delle scelte difficili, e sarà molto più arduo se uno di voi due fosse coinvolto personalmente.»
Le parole erano dure, ma Ellena sapeva che era la verità. La maga voleva solo proteggerli, finché erano ancora in tempo, dal finire in una situazione simile a quella che era capitata a lei.
«Questo è solo il mio consiglio, però.» Concluse Lisandra amaramente. «La scelta finale sta a voi, ma mi sembri abbastanza matura da capire i pericoli che correte.»
«Avete ragione.» Ammise a malincuore la ragazza. «Se fossimo stati due persone diverse, magari in tempi di pace...» Scosse la testa. «No, cosa dico. Ho sempre saputo che mi sarei sposata con qualcuno di nobili origini, e un Venator non sarebbe mai stato preso in considerazione, nemmeno se figlio illegittimo di qualche Re, o fratello della Divina in persona. E nella mia attuale situazione, sono l'ultima dei Von Meyer. Spetta a me portare avanti il nome della mia famiglia, e riprendermi ciò che è mio. Julian ha un compito importante, ma Urthemiel non è il solo che minaccia il Khanduras, e il miglior modo per stabilire un'alleanza tra le casate nobiliari, è sempre stato il matrimonio.» Realizzò con sgomento quanto assomigliasse alla madre, in quel momento. Aveva sempre sognato di sposarsi per amore, con un figlio di qualche nobile casata alleata, in una grande festa dove il padre l'avrebbe accompagnata dal futuro marito con un sorriso sul volto, attorniati dalle famiglie di entrambi.
Ora, ciò che probabilmente l'aspettava era un matrimonio basato sulla convenienza, mentre l'uomo che amava, anche nell'eventualità che fosse sopravvissuto alla guerra contro l’Orda, sarebbe partito per chissà dove al servizio dei Venator, senza poterlo vedere mai più.
Con un nodo alla gola, si voltò verso Julian, che ignaro di tutto si era messo a dormire, praticamente sepolto sotto la coperta in cui si era avvolto, russando leggermente. «È la cosa giusta da fare.» Ripeté, più a sé stessa che a Lisandra.
«Vi ho sgridato abbastanza per stasera, andrò a riposarmi.»
Guardò la maga allontanarsi. Presto, calò il silenzio.
Dall'altra parte del campo, incrociò lo sguardo triste di Castalia, gli occhi verdi velati di lacrime che riflettevano la luce delle fiammelle del falò. Kamal, che era di guardia con loro, era di spalle, immobile.
Un fruscio la fece sobbalzare, ma dalle fronde degli alberi si librò in volo un uccello, scheletrico e dall'aspetto malaticcio.
Sperò che la notte passasse in fretta, non vedeva l'ora di allontanarsi dalle Paludi.
 Il giorno dopo, partirono all'alba, sperando entro sera di raggiungere la strada maestra per Bowerstone. Verso mezzogiorno, Castalia annunciò che avrebbe preso una deviazione.
«Sei impazzita?» Esclamò sgomento Julian.
«Devo occuparmi di una cosa.» Fu l'unica risposta che riuscirono a cavarle, e la Druida fu irremovibile. A nulla servirono i tentativi dell'altro Venator di farla ragionare, sembrava che le Paludi infestate di mostri non la preoccupassero affatto. Permise soltanto a Ichabod e Kamal di accompagnarla e, dopo aver annunciato che li avrebbe raggiunti a Bowerstone entro breve, si allontanò senza salutare.
«Avrei dovuto fermarla.»
«Julian, per l'ennesima volta, non c'era nulla che tu potessi fare.»
«Avrei potuto prenderla di peso e trascinarla fino a Bowerstone.»
Ellena represse l'istinto di alzare gli occhi al cielo. «Ti avrebbe probabilmente staccato un braccio. A morsi...»
Il Venator emise un gemito affranto. «Si caccerà in qualche guaio. Non la vedremo più. Probabilmente sta pensando di affrontare Urthemiel da sola.»
«Julian, abbi un po' di fiducia. Se l'è cavata piuttosto bene, a Birchwood.» Cercò di confortarlo Lisandra.
«Oh, non dire che ti senti bene sapendola in viaggio con un guerriero del Kehjistan dagli istinti assassini e un mago del sangue!»
«Per quanto mi dispiaccia ammetterlo, sembra che con quei due vada d'accordo. E poi, le hai ceduto tu il comando, non ricordi?» Lo rimbeccò la maga.
«E anche se non l'avesse fatto, dubito che Castalia si sarebbe fatta dare ordini da qualcuno...» Bofonchiò Ellena, a voce abbastanza alta perché i suoi compagni di viaggio potessero sentirla.
Arsim ridacchiò, completamente estraneo alla loro preoccupazione. «Da quanto ho potuto vedere, la ragazza è in gamba. Smettetela di preoccuparvi.»
«È solo che non capisco dove sia andata! Cosa ci può essere nelle Paludi di così importante?»
«Magari c'è qualche rovina Nephilim, o cose così.»
Il Venator le rivolse uno sguardo scettico. «Sì, l'archeologia mi sembra un valido motivo per mettere in secondo piano una guerra civile e un Orda di Risvegliati.»
Ellena si strinse nelle spalle. «Qualsiasi cosa sia, ormai è inutile, è andata. E tornerà, come fa ogni volta.»
Julian borbottò qualcosa, cupo, ma lasciò cadere la conversazione.
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cioccolatoezenzero · 6 years ago
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Ricette veloci con biscotti avanzati
Ricette veloci con biscotti avanzati
Piccola raccolta di dolci, veloci, facili e senza troppe pretese, preparati con i biscotti avanzati.
Ricette che ho preparato da quando ho aperto il blog di cucina.
Una confezione di biscotti, quelli che preferite
due confezioni di panna fresca da 250 grammi
dello zucchero a velo a piacere
del cioccolato bianco
del cacao amaro
caffè freddo io ho usato una caffettiera da 6 tazze circa.
4 rossi d’uovo + due cucchiai di zucchero
contenitore per cottura a bagnomaria
  Montiamo non del tutto  le due confezioni di panna fredda lasciandola cremosa ma non liquida con poco zucchero a velo.
Nel contenitore del bagnomaria versiamo i rossi piu’ lo zucchero semolato, accendiamo la fiamma, con una frusta montiamo bene i tuorli in modo da farli diventare cremosi, evitiamo solo di far bollire l’acqua, quindi non alziamo troppo la fiamma.
Lasciamo raffreddare la nostra crema e poi andiamo ad aggiungere qualche cucchiaio di panna, questa è la nostra crema.
Inzuppiamo i nostri biscotti nel caffè freddo, sistemiamo gli strati di biscotti in un tegame o bicchiere, spezzandoli se fosse necessario in modo da riuscire ad adattarli al nostro contenitore, versiamo uno strato di crema e di panna, altri biscotti e così via, fino a quando non avremo finito tutti gli ingredienti.
Ultimiamo il nostro tiramisu con una bella colata di panna, del cacao amaro e del cioccolato bianco a scaglie.
Mettiamo e frigo per almeno un’ora.
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Biscotti con crema al limoncello
Per la crema 4 rossi d’uovo
dello zucchero a velo,  2 cucchiai colmi
Due tazze  di latte
del miele 1 cucchiaino
limoncello  qb
fecola di patate circa un cucchiaio
Mescolate lo zucchero con i rossi d’uovo, unite la fecola e amalgamate tutto bene.
Portate a bollore il latte, toglietelo dal fuoco e unitelo al composto d’uovo, riportatelo sul fuoco e mescolate a fiamma bassa, fino a quando non si sarà addensato, toglietelo dal fuoco e unite sempre mescolando il resto degli ingredienti, per ultimo il limoncello.
Lasciate raffreddare con una pellicola che aderisca alla crema, in modo che non faccia la crosticina.
Non appena si sarà raffreddata farcite i biscotti, due a due.
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  Biscotti con crema pasticcera alla vaniglia bourbon
3 bicchieri di latte intero
un cucchiaio e mezzo di farina miscelata con un po’ di amido di mais e fecola di patate, se siete intolleranti va bene anche solo fecola.
2 cucchiaini abbondanti di estratto di vaniglia bourbon
3 rossi d’uovo medio
3 cucchiai di zucchero
Versare il latte in un tegame antiaderente.
Mettiamo il tegame sul fuoco.
A parte sbattiamo i rossi d’uovo con lo zucchero e uniamo le farine, amalgamiamo tutto molto bene, fino a quando non avremo ottenuto una bella crema.
Appena il latte andra’ quasi in ebollizione, togliere il tegame sul fuoco e incorporare la crema con una frusta, e rimettere il tegame sul fuoco.
Girare bene fino a quando la crema non si sara’ addensata.
Togliere dal fuoco il tegame, versare la crema in una scodella di coccio, rivestire con della pellicola trasparente e mettere a raffreddare nel frigo.
Non appena si sara’ freddata , procedete a farcire i biscotti in avanzo, magari ammorbidendoli prima con del latte.
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Biscotti con crema al latte e curcuma senza uova.
  Un bicchiere normale di latte circa 
125 grammi di panna da dolci
3 cucchiai colmi di zuccheri di canna
un cucchiaio raso di curcuma
se vi piace l’aroma di vaniglia una stecca di vaniglia
mezzo cucchiaio di fecola di patate
Versare il latte freddo in un pentolino antiaderente, stemperare poca alla volta la fecole mescolando continuamente e scioglierla completamente per evitare la formazione di grumi.
Aggiungere la panna sempre mescolando, poi la curcuma e lo zucchero e semi di vaniglia.
Mettere sul fuoco e mescolare fin quando la crema non si sarà addensata.
Coprire con della pellicola trasparente e lasciare freddare.
Questa crema puoi essere consumata subito con dei biscotti.
Se siete intolleranti al latte potete usare latte e panna di soia.
Per un risultato piu’ light, andrà bene anche solo tutto latte parzialmente scremato al posto della panna.
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Biscotti farciti con crema al confetto.
    1 confezione di panna per dolci e un po’ di latte per il latte circa mezzo bicchiere un baccello di vaniglia e dell’amido di mais quanto basta (deve diventare una crema) 50 di zucchero a me troppo dolce non piace circa 85 grammi di farina di mandorle
preparate la crema mettendo a bollire il latte con il baccello di vaniglia aperto appena un attimo prima della bollitura levate dal fuoco e unite a setacciata l’amido e mescolate fin quando diventa una crema poi unite la farina di mandorla lo zucchero rimettete un attimo nel fuoco e appena si addensa del tutto spegnate, ponete nel frigo e fate raffreddare almeno un’ora.
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Biscotti farciti con crema golosa allo yogurt
4 cucchiai di yogurt magro
una confezione di panna da montare
zucchero semolato
Preparate la crema montando prima la panna, aggiungete lo yogurt e lo zucchero, lasciate riposare in frigo qb.
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    Salsa al caramello
250 grammi di panna per dolci
200 grammi di zucchero di canna
un pizzico di sale
20 grammi di acqua
40 grammi di burro salato
In una pentola antiaderente, versare lo zucchero, l’acqua e un pizzico di sale.
Spennellare di acqua le pareti della pentola.
Fare scaldare a fiamma moderata, senza pero’ MAI girare lo zucchero, fino a quando non si sara’ sciolto.
Intanto fare scaldare senza portare in ebollizione la panna.
Appena lo zucchero si sara’ sciolto,spostate la pentola dal fuoco, incorporate poco alla volta la panna, mescolando velocemente con una frusta, e rimettere sul fuoco,  aggiungere il burro a pezzetti per altri 5/10 minuti, o comunque fino a quando, la crema avrà raggiunto la consistenza desiderata, tenete pero’ conto, che la salsa non dovrà addensare troppo, perché una volta raffreddata tenderà ad addensare, quindi lasciatela più sul liquido, al massimo appena cremosa.
Di solito si serve abbastanza calda, con qualche biscotti sbriciolato sopra, o con del cioccolato sciolto, o del burro dentro, insomma come volete.
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Tiramisu di biscotti con crema e frutti di bosco
qualche vaschetta di frutti di bosco misti
2 confezioni di panna per dolci
4 uova grandi
zucchero a piacere
una confezione di savoiardi
mentuccia romana
zucchero a velo
latte quanto basta
Montare a neve i bianchi d’uovo con un po’ di zucchero, montare i rossi d’uovo sempre con un po’ di zucchero, fare la stessa cosa con le due confezioni di panna fresca.
Prendere un contenitore capiente e comporre il nostro tiramisu bagnando uno alla volta i savoiardi, sistemateli sul fondo della teglia e anche ai lati, versare la crema composta da, bianco d’uovo, i rossi e la panna, unire i frutti di bosco e fare un altro strato, così via fino a quando non avremo finito tutti gli ingredienti.
Lasciare riposare nel frigo per almeno 2 ore, servire con foglie di mentuccia come decorazione e zucchero a velo.
Per pastorizzare le uova, è sufficiente sciogliere lo zucchero in poca acqua, portarlo a bollore e poi versarlo a filo nella planetaria , a velocità massima mentre monta le uova.
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Pavesini con nutella o crema spalmabile alla nocciola e cocco
    FARINA DI COCCO NUTELLA PAVESINI LATTE
PRENDERE I PAVESINI , A DUE A DUE,  SPALMARE IN MEZZO LA NUTELLA , CHIUDERLI PASSARLI NEL LATTE E POI NELLA FARINA DI COCCO , MAN MANO SISTEMARLI IN UN CONTENITORE E METTERLI IN FRIGO, VANNO SERVITI FREDDI.  FACILI E BUONI 
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Budino alla vaniglia con pavesini e zibibbo.
  1 bustina di budino alla vaniglia
Pavesini ( ma si possono fare anche con dei biscotti normali)
Zibibbo qb
Versare dentro ad una pentola il preparato per il budino seguendo le istruzioni riportate nelle confezione.
Una volta pronto, bagnate i pavesini nello zibibbo, devono essere molto  impregnati, sistemate una meta’ che copra tutto il fondo e l’altra meta’ verrà lasciata per quando verserete tutto il budino….. dopo aver sistemato e coperto il fondo di pavesini,  versate il budino caldo  e coprite il sopra con altri pavesini inzuppati di zibibbo… ponete nel frigo per almeno 3 o 4 ore,  provatelo veloce e buono.
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Crema*pasticcera alla vaniglia Bourbon
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Marvel’s|La Dea Maledetta - Capitolo 4
Aehl e Knutr si scambiarono un'occhiata: cercavano conferma l'uno nello sguardo dell'altro. Di certo non potevano rifiutarsi, avevano le mani moralmente e legalmente legate.
  "Prego." Accondiscese Knutr.
Eira sapeva che non avrebbero protestato; infatti, non l'avevano fatto. A quanto pareva, poteva avanzare quasi qualsiasi tipo di richiesta, tirare la corda come si suol dire, senza doversi preoccupare di ripercussioni. Che l'assecondassero per dovere morale o, più banalmente, per tornaconto personale, per vendere cara la pelle e al tempo stesso avere la loro vendetta, non importava: l'assecondavano. Lagäeira, dunque, poteva, per la prima volta da quando era giunta lì, vantarsi di stringere ancora le redini della situazione; per la maggior parte.
  "Splendido. Sapete, quando Alfred – o Northri, a voi la scelta – è morto, non mi sono rannicchiata sotto le coperte ad aspettare che qualcuno facesse tornare le cose normali. Mi sono rifatta una vita."
  "Una vita fra gli umani." La rimbeccò Aehl.
  "Sì, una vita fra gli umani." Si pizzicò la spallina destra della sua uniforme. "Questi qui mi hanno dato una casa, mentre voi non avete voluto riprendermi con voi. Ed ero piccola, una ragazzina, ed ero sola. Ma voi questo lo sapevate. No, tranquilli, non ve ne faccio una colpa: a 14 anni magari sarebbe stato troppo per me tutto questo. E anche se fossi stata pronta, innanzitutto non mi sarei trovata sulla Terra se...beh, a questo punto dovrei dire "se non fosse stato per Odino""
  Knutr alzò un palmo, come per placare quello sfogo che in realtà era stato pacato e freddo nei toni.
  "Eri troppo giovane e ancora lo sei, ad essere onesti. Ma chi pensi sia interceduto affinché questi qui ti trovassero?"
  Eira lo ignorò e proseguì. Si incurvò in avanti e poggiò gli avambracci sulle proprie ginocchia.
  "Ho un lavoro e delle responsabilità a cui non posso sottrarmi, ergo non posso abbandonare la Terra da un giorno all'altro.  O almeno non di giorno. Sono disposta a tornare durante la notte, anche perché mi sembra di capire che la notte umana corrisponda al giorno nifler."
  "Bene, allora faremo in modo di sfruttare tutto il tempo che abbiamo." Si precipitò a dire lo stregone, questa volta senza prima interpellare l'Anziano.
Ci fu un attimo di silenzio. Un attimo in cui i tre fecero un resoconto mentale di ciò che finora avevano concluso.   Ma al trio fu concesso un attimo soltanto. Furono difatti interrotti dall'entrata poco aggraziata di una guardia. La robusta donna marciò verso di loro a passi veloci ed imprecisi. Eira intravide il suo volto sotto il pesante elmo: era di una bellezza disarmante. Porse ad Aehl un rotolo di carta ingiallita stretto da un cordoncino dorato.
  "Da Asgard." Li informò la donna.
Aehl levò lo sguardo su di lei e aggrondò le folte sopracciglia.
  "Da Asgard?"
  "Precisamente."
  "Chi l'ha recapitata?" indagò Knutr mentre l'Anziano si adoperava a sfare il cordino.
  "Muginn. Come è apparso, si è volatilizzato."
In quel momento, Aehl distese la pergamena. "Come biasimarli...inviare un ambasciatore sarebbe un inutile spreco di uomini."
  "Mh, sembra che non abbiano nemmeno voluto investire in un buon interprete." Proseguì con gli occhi fissi sul foglio.
Knutr ringraziò la guarda e la licenziò.
  "Cosa dicono?"
  "Al Padre degli Dei è giunta la notizia e desidera avere un colloquio con la rediviva Lagäeira."
  "Oh."
Aehl tese la pergamena ad Eira, la quale la accettò volentieri; subito iniziò a leggere. Effettivamente qualora Odino avesse assunto un interprete, questo aveva fatto un pessimo lavoro: la sintassi era arrangiata e la grammatica di alcune frasi era discutibile. Sarebbe potuta tranquillamente passare per una maccheronica traduzione di Google traduttore. Ma perché, in primo luogo, Odino aveva dovuto fare affidamento su un interprete? Lei, da che ne aveva memoria, era sempre stata in grado di parlare fluentemente qualsiasi idioma, pur non avendo mai frequentato una sola lezione di lingua. A questo punto doveva dedurre fosse un attributo "divino". L'unica lingua che aveva dovuto imparare come chiunque altro era quella che le aveva insegnato il padre. A quante pareva, il Nifler non era contemplata fra le lingue "normali".
In fondo alla pagina c'era un sigillo di ceralacca rossa; su di esso era impressa la sagoma di un palazzo e di due corvi.
  "Il dialogo non si addice ad Odino e per di più son secoli che racconta menzogne al suo popolo. Non è un'offerta sincera questa. Perché vorrebbe un nemico in casa propria?"
  "Magari perché mi vuole morta e vuole fare una pulizia veloce." Intervenne allora Eira, mentre riconsegnava la lettera ad Aehl. "Insomma, se accettassi il suo invito e andassi ad Asgard, anche se scortata, saremmo in minoranza, no? Gli sarà venuto un tuffo al cuore quando avrà scoperto che sono ancora viva...sarà andato nel panico."
 "Non accetteremo." Concluse Knutr, mentre stracciava la pergamena di cui intanto si era appropriato.
Ma Eira ci ripensò due volte. Aveva poche informazioni e doveva basarsi sulla versione dei due personaggi davanti a lei: volgarmente – e letteralmente – parlando, era l'ultima arrivata. Malgrado ciò, quando il più vecchio dei due aveva brevemente riassunto il contenuto della lettera, lei non si era trattenuta dal fantasticare di dare un volto alla persona che aveva reso la sua vita violenza, silenzio e lacrime. Ci erano voluti 11 anni perché smettesse di pensare e ripensare al perché la sua vita non era come quella degli altri. Non se n'era mai preoccupata fintanto che Northri era in vita; si rese per la prima volta conto che c'era qualcosa di strano quando, appena atterrata negli Stati Uniti e caricata su un SUV dello S.H.I.E.L.D, si affacciò da un finestrino e vide un uomo giocare a palla con un bambino. Aveva imparato a convivere con il fatto che a lei non fosse concesso essere una persona completa. Clinton si era preso cura di lei i primi tempi, l'aveva sempre chiamata a Natale e aveva sempre controllato che si pulisse le ferite invece di aspettare che facessero il loro corso. Natasha era un'anima incompleta come lei e la capiva; adesso avrebbe dovuto mettere da parte i suoi piani di fuggire via da tutto con lei.
Quella era l'occasione di dare un senso ai suoi pianti e alle sue domande. Sì, quasi sicuramente era una trappola, sì, non era producente andare nella tana del lupo, sì, avrebbe sputato l'anima pur di avere le sue risposte. No, non potevano e non le avrebbero detto di no, neppure se quella era la prima volta che metteva piede su Nifleheimr.
  "E invece sì, accettiamo."
  "Odino non è sincero-"
  "È un ordine."
Non osarono ribattere a quella presa di posizione: Northri aveva senza dubbio fatto un ottimo lavoro.
  "Ti ricordi degli insegnamenti di tuo padre?" chiese con una tinta di orgoglio Aehl.
Eira non rispose. Lo guardò negli occhi e annuì. 
Fu un attimo di distrazione. Venne investita da un ondata di dolore pulsante e quasi invalidante. Un copioso rivolo di liquido color rubino scivolò dal suo naso lungo le sue labbra e dalla sue labbra lungo il suo mento. Ben presto la bocca le si riempì di sangue e fu costretta a sputarlo sulla neve. Suo padre stava impettito davanti a lei: la spada che stringeva nella mano destra era pressoché pulita, mentre le scudo alla sua sinistra aveva una porzione di circonferenza schizzata di rosso.
La ragazzina riafferrò le sue armi e si rialzò. Si era distratta ed era stata colpita: che imbecille.
  "Sei deludente." La rimproverò l'uomo.
  "Lo so. Non accadrà più."
  "Lo spero. Mia figlia non è un'incapace. Ho perso il conto delle volte che ti ho detto di non distrarti."
  "Min Fåktar, mi fa male la faccia..."
  "Non piagnucolare: non sei un animale morente."
Lagäeira abbassò lo sguardo, sconfitta. Northri mise la punta della sua spada sotto il mento della ragazzina e la costrinse a rialzare lo sguardo.
  "Non devi abbatterti: non c'è ferita che ti possa fermare. Niente ti può fermare. Un giorno il sangue non ti farà più paura." Sfilò la spada da sotto il viso della ragazzina e la fece roteare. "Oggi non è quel giorno però perché ad oggi continui a deludermi. Sei una codarda piagnucolosa"
Un'altra ondata di dolore.
  "Allora Northri deve aver fatto proprio un buon lavoro!" dedusse Knutr.
  "Non basterà...nella sua debolezza, Odino le ha in parte sottratto la sua essenza."
  "Beh, si può rimediare." Suggerì con tono ovvio la donna. "Perché un rimedio c'è, vero?"
  "Sì, sì, un rimedio c'è."
Aehl si sistemò meglio sulla sedia.
  "L'abbiamo scoperto col tempo, con i secoli. Sotto le fondamenta di questo palazzo c'è una pozza d'acqua sotterranea che si pensa sia il bacino del fiume Ingegärd. Siamo quasi del tutto certi che si trattino di acque magiche e che possano nullificare gli effetti della Maledizione."
  "Teoricamente." Precisò Eira.
  "Sì, teoricamente. Ma non siamo a conoscenza di altri mezzi per restituirti i tuoi poteri."
  "Di quali poteri stiamo parlando?"
  "Beh, fortunatamente una grande porzione dei tuoi poteri è rimasta a te e l'hai esplorata a fondo. Ma parliamo di poteri su più grande scala, oltre che un'invecchiamento perfino più rallentato di quello che puoi vantare adesso."
  "Del tipo quale scala?"
  "Del tipo atmocinesi cosmica, esplosioni di forza concussiva e onde di disintegrazione."
  "Ah."
  "È anche per questo motivo che Odino invase Nifleheimr, 1900 anni fa. Ha paura di te. Chiunque abbia memoria dei sovrani di Nifleheimr, ha memoria anche di esseri potenti, forse più potenti del grande Odino."
   "Al padre degli dei piace vivere nella falsa convinzione che l'esistenza possa essere un idillio." Aggiunse grave Knutr. "La verità è che può bandire, incatenare, uccidere qualsiasi bestia lui voglia. Ma di certo non la dea dell'Inverno e della Guerra. Non la sua gente."
  "Tu, Lagäeira, cercavi un responsabile: l'hai trovato. Adesso sta a te riscattare gli anni che hai perduto a casa sua."
Gradino dopo gradino dopo gradino, quella buia e cupa scalinata sembrava non terminare più. Al tatto le pareti erano ruvide come carta vetrata ed irregolari, pietra nuda probabilmente. Non vi erano né fiaccole né bracieri appesi alle pareti, pertanto l'unica fonte luminosa era rappresentata dalla lucerna che la guardia aveva in mano. All'interno del gabbiotto di vetro, brillava una vivace ed intensa fiammella. Era un bene che ci fosse almeno quella lucerna ad illuminare la scalinata, giacché i gradoni erano sconnessi, alcuni perfino scivolosi.
La guardia, ancora una volta una donna, era l'unica compagnia. Era silenziosa e non dava segni di stupore o curiosità, cosa che invece Eira si aspettava; probabilmente era stata invitata a comportarsi come al suo solito.
L'aria diventava via via più sempre più umida. In compenso, in lontananza, un timido bagliore biancastro rischiarava la parete e più scendevano, più il bagliore si faceva meno debole. Quando giunsero finalmente ai piedi della scalinata, si ritrovarono dentro una caverna. Una volta lì, Eira si rese contro che bagliore di poco prima era in realtà la luce che, in qualche modo, l'acqua della piscina di fronte a lei emanava. La pozza non era di grosse dimensioni e il colore chiaro dell'acqua suggeriva che non fosse profonda; forse un metro, un metro e mezzo al massimo. Sembrava più una vasca artificiale che il bacino di un fiume. La grotta era piuttosto grande e il soffitto era molto alto, oltre che adorno di massicce stalattiti. Il pavimento era irregolare a causa della pietra; non c'era una spiaggia, dove il pavimento finiva si apriva la voragine che era la piscina.
Lagäeira prese per un momento in considerazione l'idea di mandar via la guardia, ma ricacciò via quel pensiero e non senza fatica. Sospirò e si denudò, lentamente, mentre fissava il vuoto. Posò i suoi capi sul bordo della vasca e si immerse. Come previsto, l'acqua non era affatto profonda; era gelida, di un gelo pungente, ma per Eira era alla pari di un piacere proibito. Le candide stalattiti che pendevano dal soffitto erano in gran numero proprio sopra la piscina e sembravano pronte a precipitare da un momento all'altro come una spada di Damocle; ma non sarebbero mai precipitate, si trovavano lì da fin troppo tempo. Portò il capo all'indietro per immergerlo, poi lo tirò su e si bagnò la faccia. Si gongolò qualche altro secondo nella piscina, chiuse gli occhi e si rilassò, ma dopo un po' dovette costringersi ad uscire. Se doveva essere sincera, non percepiva nulla di diverso, nulla di più e nulla di meno. Notò con piacere che alcuni secondi dopo essere uscita dall'acqua, era già completamente asciutta e ne fu davvero felice.
La risalita verso le sale del palazzo fu fortunatamente più breve dell'andata. Ci vollero solo una manciata di minuti perché rivedessero la luce di qualsiasi stella illuminasse Nifleheimr. Il duo passò dallo scendere interminabili ed inquietanti gradinate al deambulare fra i mille corridoi dell'edificio. Tutto ad un tratto, Eira venne folgorata dal riflesso di una figura: la sua figura. Abbandonò la guardia al suo vagare e si avvicinò incredula allo specchio appeso alla parete. La sua pelle aveva perso qualsiasi traccia di calore e colore, schiarendosi a tal punto da sembrare porcellana. I capelli e le sopracciglia, al contrario, si erano anneriti fino all'inverosimile. Stessa sorte era toccata alle labbra, che si erano tinte permanentemente di nero. Il disturbante ritratto era completato dai suoi occhi eterocromatici, uno azzurro e l'altro nero, e da un paio di canini affilati come coltelli.
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