#finestra luminosa
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アカリマド
明かり窓は、建物の壁面や屋根などに設置される開口部のことで、主に採光や換気を目的としたものです。一般的にガラスやアクリルなどの透明な素材で作られ、室内に自然光を取り入れることができます。また、換気のための開��機能を備えたものもあります。
手抜きイラスト集
#明かり窓#light window#finestra luminosa#ventana de luz#Lichtfenster#fenêtre lumineuse#手抜きイラスト#Japonais#bearbench#art#artwork#illustration#painting
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Te, nuda dinanzi la lampada rosa,
e gli avori, gli argenti, le madreperle,
pieni di riflessi
della tua carne dolcemente luminosa.
Un brivido nello spogliatoio di seta,
un mormorio sulla finestra socchiusa,
un filo d’odore, venuto
dalla notte delle acacie aperte,
e una grande farfalla che ignora
che intorno a te
non si bruciano le ali,
ma l’anima.
Luciano Folgore, Tutta nuda, dalla raccolta "Città veloce", 1919
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Te, nuda dinanzi la lampada rosa,
e gli avori, gli argenti, le madreperle,
pieni di riflessi della tua carne dolcemente luminosa.
Un brivido nello spogliatoio di seta,
un mormorio sulla finestra socchiusa, un filo d'odore, venuto
dalla notte delle acacie aperte,
e una grande farfalla che ignora
che intorno a te non si bruciano le ali, ma l'anima.
Luciano Folgore (1888-1966)
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La nuova casetta in provincia di Bergamo è buttata in una valle in mezzo alle montagne: apri la finestra e puoi fare lo yodel, la gente giù nella zona residenziale ti sentirà e risponderà a pieni polmoni. È grande e luminosa ed io mi sento già scomparire in mezzo a tutta quella luce. I mobili sono brutti, c'è troppo legno e sento l'odore di vecchio già a guardare le foto, ma c'è un orologio a pendolo che mi piace: mi ricorda l'orologio che vedevo a casa della mia prozia, il ticchettio costante e l'oscillazione ipnotizzante del pendolo e il brusco risveglio dall'ipnosi dato dal suono che faceva ogni tot. Mi vedo girare scalza per la casa silenziosa, quando non c'è nessuno, e guardarmi intorno dicendomi: forse ho esagerato quando dicevo che mi sarei rintanata in una casa sul cocuzzolo di una montagna. Certo che, se ci penso, passare dal mare alla montagna è veramente radicale come scelta, mi sorprendevo l'anno scorso quando mi giravo intorno a vedevo solo montagne quando io ho sempre visto solo mare acqua e spiaggia. Saranno solo un paio di mesi – chissàchissà – ma quella casa già è mia: immagino librerie lungo tutte le pareti nel salone, un tavolinetto con un paio di sedie sul balcone; angolo ufficio e angolo trucchi nella camera da letto, cameretta adibita a stanza per il computer; planetaria, macchinette per il caffè, forno, forno a microonde in cucina, col bancone per preparare il cibo separato dai fuochi e dal lavello; vedo tanti tappeti per la casa e me che lavo a terra perché tra tutte le faccende domestiche che in generale odio e schifo lavare a terra è l'unica che mi rilassa e mi diverte. Il padrone di casa dice che c'è un cane lì nel cortile, dice che non entra mai in casa e che è una pecorella talmente è buono, allora mi immagino che torno da lavoro io che apro il cancello e vedo un cane pastore grosso e mansueto battermi la coda e farmi le feste. Sono pensieri felici, forse un po' illusi, mi sembra quando da bambina mi mettevo a fantasticare robe talmente assurde che sembravano reali e fattibili. Ma a far venire i pensieri intrusivi ci vuole un attimo, d'altronde da piccola le mie fantasticherie venivano in poco tempo buttate giù ed infangate: i primi tempi mi sa dalle persone a me vicine, in poco tempo poi imparai a farlo da sola. Ad esempio, se mi fermo un attimo, penso che mi fa paura questo cambiamento: temo di rimanere sola abbandonata a me stessa e di non sapermi gestire. Questo perché questa notte ho sognato letteralmente di impazzire: avevo gli occhi furiosi, un odio che partiva dal petto e saliva in gola, gridavo ma di un grido grosso e feroce, mi sentivo quasi posseduta come quella volta che gridai nel sonno terrorizzata perché mi sentivo posseduta. In questi giorni poi sono tornata a fare sogni nervosi, dove litigo con la gente, addirittura con dei miei ex colleghi della pizzeria coi quali invece non ho mai avuto problemi. Guardo le mie reazioni inconsce e mi spavento all'idea di rimanere da sola in un posto così lontano. Però guardo anche le foto, vedo tutta quella luce e penso che sarà ottima per fare le foto e allora penso che mi servirà un cavalletto e altre cianfrusaglie varie. Chissà, magari un giorno realizzerò anche il sogno di mio padre di avere un telescopio. Intanto però mi dico che: se passati questi due mesi sarò costretta a ritornare giù al sud, sarà la volta buona che impazzirò definitivamente.
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tornare a essere adolescenti, a fumare sigarette dalla finestra, nascondendo la scia luminosa che brucia, nascondendosi da sguardi curiosi.
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Te, nuda dinanzi la lampada rosa,
e gli avori, gli argenti, le madreperle,
pieni di riflessi
della tua carne dolcemente luminosa.
Un brivido nello spogliatoio di seta,
un mormorio sulla finestra socchiusa,
un filo d'odore, venuto
dalla notte delle acacie aperte,
e una grande farfalla che ignora
che intorno a te
non si bruciano le ali,
ma l'anima.
Luciano Folgore
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Da grande vorrei avere una casa con una cucina anche un po' piccola ma luminosa e soprattutto con la finestra sopra il lavello, dalla quale si vedano tanti alberi
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Non ho l'età della leggerezza, della spensieratezza,
dei sogni affacciati alla finestra a guardare la luna
Non ho l'età della semina, della fioritura, del frutto succoso.
Ho l'età della pausa, della riflessione, dei sogni dimenticati in fondo all'armadio
Ho l'età della mietitura, del raccolto, delle stoppie,
della farina in fondo al sacco.
Ho l'età per voltarmi indietro con tanti rimpianti e un po' d'amarezza per quello che poteva essere e non è stato...
Ho l'età per cercare tra tante ombre un piccolo raggio di sole,
una scia luminosa per non perdermi nel tempo che resta.
Giovannamaria Brundu
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CHOCOLATE | steve harrington x eddie munson
trama: il ricercato eddie munson, dopo essere stato giudicato responsabile della morte di chrissy cunningham, è scappato da hawkins e vive la vita da criminale vagabondando sul suo camper per lo stato. l'incontro inaspettato con steve harrington li porterà a vivere insieme una spericolata notte.
pairing: eddie munson x steve harrington
word count: 9,3k
avvertenze: slow burn, angst (ansia, rabbia, angoscia, paura), armi, fluff, smut, preliminari, linguaggio, au post s4, 1988
masterlist | wattpad
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chocolate
La testa di Eddie Munson oscillava sulla cadenza di The Trooper, sdraiato sul letto del suo camper con le gambe incrociate e i talloni sul vetro della finestra, le scarpe ancora addosso. Le cuffie collegate al walkman che conservava nella tasca dei jeans gli permettevano di abbandonare la Terra e viaggiare in un mondo tutto suo insieme agli Iron Maiden. Faceva cadere la cenere dalla sigaretta picchiettando l’indice sul filtro, provando a centrare il posacenere appoggiato sul materasso di fianco a lui, ma inesorabilmente lo mancava, sporcando le lenzuola di grigio. L’altra mano impegnata a tamburellare a ritmo sul suo addome nudo, gli occhi chiusi. Lattine di birra sul pavimento e cartacce di Snickers sul tavolino.
Da quando Chrissy Cunningham era morta misteriosamente nel caravan in cui viveva con lo zio Wayne e da quando era stato giudicato responsabile del tragico quanto brutale evento, la nuova casa di Eddie era la strada. Nessuno gli avrebbe mai creduto, era una storia troppo assurda da raccontare. Nemmeno lui era sicuro di ciò che aveva assistito. Le ossa di quella ragazza si erano rotte una dopo l’altra e i piedi si erano sollevati da terra come per magia. Pensava di star sognando o di essere diventato pazzo, per cui scappò, consapevole del fatto che non avrebbe mai potuto spiegare cosa era successo e risultare attendibile. Gli avrebbero attribuito la colpa e sbattuto in prigione, senza potersi difendere in alcun modo in quanto la sua brutta reputazione e i pregiudizi della piccola e chiusa di mente Hawkins lo avrebbero anticipato. Il nome di Munson era maledetto da generazioni e lui era destinato a continuare la tradizione, prima o poi. Era solo.
Erano due anni che girava per il paese con un solo scopo: fuggire. La vita da ricercato non era affatto facile, rubare per vivere e cambiare nome e città ogni settimana. Il suo nuovo appellativo Eddie il criminale Munson lo convinse a proseguire come tale e ad adattarsi. Anche la sua nuova dimora era frutto di un furto. Suo padre gli aveva insegnato come far partire un’auto collegando i fili quando era piccolo, poi era scomparso senza mai più farsi rivedere. Le conoscenze giuste gli procurarono una targa nuova e bastò una riverniciata alla carrozzeria per battezzare il camper suo.
Dopo essere stato nella colorata e gioiosa New Orleans, ora si trovava a Lafayette, decisamente più tranquilla. Il sole stava per tramontare, l’aria era tiepida e a Eddie venne un certo languirono. Nel camper c’erano solo barrette di cioccolato, latte e birre nel frigo e fagioli in barattolo. Ciò che gli fece sfilare le cuffie dalle orecchie e mettersi una maglietta dei Metallica – trovata per terra e molto probabilmente macchiata – fu il pacchetto vuoto di sigarette. Per cui sospirò e si alzò dal letto, abbandonando gli Iron Maiden e il comodo cuscino su cui era appoggiato, e dopo aver intascato le chiavi del camper uscì alla ricerca di un posto dove viziarsi e riempirsi la pancia.
L’insegna luminosa di una tavola calda attirò la sua attenzione. Afferrò la maniglia e la tirò verso di sé aprendo la porta. Non fece in tempo ad entrare completamente che una graziosa ragazza dai capelli biondi raccolti in due trecce lo accolse con un sorriso smagliante. ”Prego, da questa parte.” Lo accompagnò a un tavolo libero. Il locale era un classico ristorante anni cinquanta, pavimento a scacchi e poltrone morbidissime ai tavoli.
Eddie ricambiò amichevolmente il sorriso, ”Grazie.” Disse mentre si sedeva.
La cameriera indossava un grembiule bianco sopra alla divisa rosa, smalto trasparente sulle unghie e occhi scuri. ”Cosa posso portarti?”
Anche se non serviva, Eddie diede un’occhiata veloce al menù come da abitudine. Sapeva già cosa ordinare, ”La più grande vaschetta di patatine fritte che avete, un milkshake alla fragola e dei waffle. Tanta panna montata, grazie.” Il ragazzo chiuse la carta e rivolse un’occhiolino alla bionda, fece cadere lo sguardo sulle sue cosce coperte da un paio di collant bianchi e giurò di averla vista arrossire. Un sorriso furbo e carismatico mise in mostra le fossette sulle guance. Sapeva benissimo cosa stava facendo e il potere che aveva in mano.
Wendy – così diceva la targhetta sul grembiule – scrisse tutto sul taccuino e con il viso dello stesso colore della sua divisa se ne andò saltellando. Tornò con la sua ordinazione e con le ciglia più lunghe e nere di prima, pronte a sfarfallare. ”Patatine, waffle e il milkshake. Questo, invece, è da parte mia. Non ho nulla da fare, stasera.” Gli passò un tovagliolo che Eddie accettò sfiorandole la mano di proposito. Su di esso il suo numero di telefono.
Ora solo, Eddie si riempì la bocca di cibo. La pasta al formaggio in scatola era insignificante al confronto con la bontà del fast food.
”Prego, da questa parte.” Il copione di Wendy era lo stesso con ogni cliente che entrava alla tavola calda.
”Oh, no, grazie. Credo che prenderò un hamburger da portare via. Aspetto al bancone.” Rispose la nuova persona. Era così familiare. Ma dove…
Eddie alzò lo sguardo per vedere chi avesse parlato e risolvere il suo dubbio. Conosceva già quella voce. Ma chi…
Steve Harrington.
La sua arrogante faccia era esattamente come Eddie se la ricordava. Indossava una t-shirt bianca infilata nei jeans a vita alta chiari, le maniche arrotolate, scarpe da ginnastica ai piedi e gli occhiali da sole sulla testa tra i capelli color nocciola, che lasciati crescere gli sfioravano le spalle, mossi. Il solito belloccio ma con una novità. Attorno al collo un evidente segno più scuro, una cicatrice. Nascondeva una storia tanto profonda quanto lo era la ferita.
Il cibo gli andò di traversò e quasi si strozzò. Un colpo di tosse attirò l’attenzione del ragazzo appena entrato il quale, una volta essersi girato per vedere da dove provenisse, assunse la stessa espressione di Eddie: gli occhi spalancati e le sopracciglia corrugate. ”Ma che cazzo?” Sussurrò Steve mentre si dirigeva verso di lui. Prese posto sulla poltrona dall’altra parte del tavolo. ”Munson?!”
Eddie ingoiò il boccone che quasi lo uccise. ”Cosa cazzo ci fai in Louisiana?!” Esclamò. L’ultima cosa che voleva era che qualcuno sapesse dove si trovava. Certo, il giorno dopo non sarebbe stato nello stesso posto, ma era ugualmente preoccupato. Non uno qualunque, ma Steve Harrington, il ragazzo dalla piega sempre perfetta, dagli ottimi voti a scuola, una coda di ragazze con la bava alla bocca sempre dietro. Non l’aveva mai sopportato. Guardato sempre da lontano, dal tavolo degli sfigati, mentre lui, il preferito di tutti, in cima al suo personale piedistallo. Re Steve. Per nessun motivo al mondo sarebbe tornato in quell’inferno di Hawkins.
Steve, sbalordito, agitava le mani per trovare qualcosa da dire. ”Io– Ma che– Tu! Cosa cazzo ci fai tu in Louisiana?” Inciampò sulle sue stesse parole per quanto fosse incredulo.
Il sangue di Eddie ribolliva nelle vene. Doveva andarsene da lì al più presto e cambiare stato prima che quella bocca larga di Steve potesse spifferare in giro la sua posizione. ”Non sono affari tuoi, Harrington. Ti saluto.” Si pulì la bocca con il tovagliolo donatogli da Wendy e lo sbatté sul tavolo con prepotenza, poi si alzò spingendo in avanti il tavolo e camminò in direzione dell’uscita. Ovviamente, senza pagare.
”Wuoh wuoh wuoh–” Provò a fermarlo Steve, ma essendo bloccato dal tavolo ci mise qualche istante in più ed Eddie era già sparito. Steve conseguentemente uscì di corsa e girò ogni angolo del locale. Lo trovò e lo affiancò. ”Eddie! Eddie, per favore, aspetta!”
”Non seguirmi, sto cercando di evitarti.” Eddie aveva le mani in tasca e le spalle alte, lo sguardo dritto davanti a lui come se l’altro ragazzo non gli stesse dietro. Aumentò la velocità dei suoi passi.
”Non puoi andartene così! Tu– tu non hai pagato?” L’espressione sul suo volto diventò se possibile più perplessa di prima. Le sopracciglia arcuate e le mani che non riuscivano a stare ferme. La frase non doveva finire in quel modo ma si accorse che effettivamente Eddie era fuggito dal ristorante senza lasciare traccia come un fantasma. Manteneva il suo passo veloce mentre il cielo si stava oscurando e il sole scendendo.
”Il ragazzo ha occhio.” Eddie rise ironicamente per prenderlo in giro.
Mentre Steve non guardava neanche dove metteva i piedi per poter scorgere il viso nascosto dai ricci del ragazzo che stava provando a seminarlo, Eddie non voleva e non riusciva a ricambiare lo sguardo. Ignorare la sua presenza sembrava la scelta migliore.
”Ma non puoi!”
”Benvenuto nel mio mondo.” Eddie tirò fuori dalle tasche le mani per alzarle al cielo.
”Ascolta, dobbiamo parlare di un sacco di cose.” Steve lo pregò con il linguaggio del corpo e abbassò il tono di voce per rendersi più comprensibile e meno accattivante. Mantenere la calma, agire lentamente e senza fare movimenti bruschi. Forse l’orso non attaccherà in questo modo.
Non rispose.
”Eddie.” Riprovò Steve. ”Devi sapere che Chrissy–”
A Eddie venne un brivido lungo la schiena. I suoi muscoli completamente rigidi ma ciò non cambiò le cose, non interruppe la camminata. I pugni stretti talmente tanto da far diventare la pelle bianca, la mandibola serrata. ”Non sai un bel niente! Non starò qui a farmi dare dell’assassino da Steve bei capelli Harrington. Levati dalle palle e lasciami in pace!” Erano arrivati al camper. Lasciando Steve alla sprovvista, lo afferrò per il colletto della t-shirt e lo portò all’altezza del suo naso, stringendo il materiale della maglietta tra le dita con una forza tale da farlo alzare sulle punte dei piedi. Dalla gola del ragazzo sottomesso fuoriuscì un suono acuto, dovuto più alla sorpresa che alla paura. I loro volti vicini, gli occhi di Eddie iniettati di rabbia. Fece un profondo respiro per calmarsi e lo lasciò andare. Salì i due gradini che gli servivano per entrare nell’abitazione e prima di chiudersi dentro disse come ultimo avvertimento ”Dimenticami e se ne fai parola con gli sbirri, finisce male.” La facciata del cattivo ragazzo come meccanismo di difesa.
Aver riportato quel nome a galla gli fece inondare gli occhi di lacrime, le quali scesero rapide lungo le gote, Eddie le raccolse veloce allo stesso modo con l’indice. Il respiro irregolare usciva dalle labbra arrossate come piccoli affanni che provava a trattenere. Si trascinò al suolo e appoggiò la schiena alla cucina. Non avrebbe saputo gestire un altro attacco di panico, per cui si tirò una ciocca di capelli e lasciò andare un tremendo e agonizzante verso che gli bruciò la gola. Lottò con tutte le sue forze per superare la cosa, ma il trauma lo mangiava da dentro e gli occhi bianchi di Chrissy lo tormentavano in sogno. Quel sangue, il rumore della morte. Non poter far nulla per impedire che avvenisse.
Steve si ritrovò con il vento della porta che gli venne sbattuta in faccia a muovergli i capelli. Portò le mani sui fianchi e il peso del corpo su una sola gamba. Sospirò rumorosamente e guardò in basso. ”Io ti credo.”
Silenzio. Le parole di Steve raggiunsero le orecchie di Eddie fievoli ma potenti come un treno che deraglia a tutta velocità. Aprì gli occhi e abbassò le sopracciglia in confusione. Non capì immediatamente cosa volesse dire con quella frase, ma di sicuro sapeva qualcosa. Si alzò in piedi, avvicinandosi alla porta.
”Ti credo, Eddie. Ho bisogno di parlarti e dirti cos’è successo. Chrissy non è la sola e non sei stato tu.” Continuò il ragazzo con i jeans chiari.
Con l’ultima frase convinse Eddie ad aprire la porta, non completamente. Lasciò quello spiraglio di qualche centimetro che gli permise di mettere il muso fuori e poterlo finalmente guardare negli occhi. Ora che le acque incominciavano a calmarsi, Eddie riuscì a studiarlo meglio. La preoccupazione era reale sul volto di Steve. Non era lì per giudicarlo. ”Cosa?”
”Abbiamo cercato di contattarti in tutti i modi, sei sparito. Noi– abbiamo visto delle cose e devi starmi a sentire, può sembrare pazzesco ma dammi una chance. Possiamo…?” Steve si interruppe da solo per lasciargli intendere che voleva che lo raggiungesse fuori per ragionare.
Eddie allora aprì del tutto la porta. Il sole era totalmente sparito lasciando il suo compito ad un solo lampione sulla strada. Luce debole e gialla sulle loro figure. Solo allora si rese conto dell’importante cicatrice che gli circondava il collo. Annuì e uscì dal camper, scendendo i gradini e raggiungendolo. Gli fece cenno di seguirlo e Steve si trovò ancora una volta al suo fianco, stando al suo passo fino a scoprire dove lo stava portando.
Un desolato parco a qualche metro da dove era parcheggiato il camper, il luogo perfetto per stare soli e indisturbati. Anche qui, ad illuminarli soltanto un lampione. Alcune cicale ingaggiate per donare una colonna sonora alla serata. Eddie andò a sedersi sullo schienale di una panchina, i gomiti appoggiati alle ginocchia, la schiena ricurva e lo sguardo basso. Gli anelli che portava alle dita venivano usati al posto di un anti-stress, facendoli girare, sfilandoli e infilandoli ripetutamente, tracciandone i contorni. Steve si accomodò sull’altalena dinnanzi alla panchina, i piedi toccavano terra e lo facevano dondolare leggermente sulla giostra, una mano attorno alla catena.
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”Non posso tornare. Anche se la polizia non può incastrarmi, la gente continuerà per sempre a puntarmi il dito contro. Sono marchiato.” Disse Eddie coprendosi il volto con le mani.
Steve gli raccontò per filo e per segno cosa lui e la sua squadra dovettero passare. Gli omicidi erano frutto di eventi paranormali collegati con una dimensione parallela a quella attuale, oscura e popolata da creature malvagie. Per quanto potesse sembrare la trama di un film fantasy, Eddie credette ad ogni parola. Steve, Robin Buckley e Nancy Wheeler rischiarono la vita affrontando la forza oscura che avevano soprannominato Vecna e la cicatrice attorno al collo di Harrington assunse significato.
”E come sta Dustin?” Domandò Eddie.
Steve sorrise. ”Se la cava, il piccoletto. Mi manca, da quando ho lasciato Hawkins ci sentiamo raramente. Siamo tutti un po’ scossi e ci siamo persi di vista.” Eddie lo guardò con aria interrogativa, per cui continuò ”Sono a Lafayette da ormai un anno.” Dopo quegli eventi traumatici, per tutti i ragazzi farsi una nuova vita fu la scelta migliore.
”La Louisiana mi piace, ma non ci resterò a lungo.” Eddie si infilò una mano in tasca per cercare il pacchetto di sigarette che si era fermato a prendere prima di arrivare al parco. Lo sfilò dall’involucro di plastica che lo circondava e con esso ci fece una piccola pallina che lanciò nel pattume più vicino. Quelle carnose labbra ora erano assottigliate per non permettere alla sigaretta di cadere. Le sopracciglia aggrottate mentre l’accendeva con la fiamma del suo fidato accendino Zippo. Aiutandosi con le mani sopra le ginocchia, si alzò, i piedi ancora sopra la panchina. Con un salto raggiunse il suolo e iniziò a vagare. ”Il Canada è il mio obiettivo. Non scapperò più, è tempo di cambiare. Lì sarò totalmente una persona nuova e il cognome di mio padre non mi perseguiterà più.”
Steve seguiva i movimenti di Eddie rimanendo seduto sull’altalena. Si tolse gli occhiali da sole che portava sulla testa e li fermò al colletto della sua t-shirt con una delle asticelle, ”Anche io credevo alle voci che giravano, Eddie lo svitato Munson.”
Il tiro che Munson fece fu più lungo degli altri. I polmoni pieni di fumo, svuotati poi grazie a un sospiro deluso. Nascose il dolore con un sorriso ironico. ”Ti ringrazio, Harrington.”
Steve portò le mani in avanti, ”Parlando con Dustin e Mike mi sono reso conto che mi sbagliavo. Non ti conoscevo.”
”Sai, questa non è la prima volta che ci vediamo.”
”Davvero?”
Il cuore del metallaro saltò un battito. Non ricordava. ”La festa che desti per la fine del primo anno scolastico, a casa tua. Forse non mi hai riconosciuto, avevo i capelli rasati ed ero venuto da solo.” Eddie ammirava Steve. Così popolare, così desiderato. Lo aveva invitato di persona e lui ne era entusiasta, finalmente non veniva escluso come al solito. Era arrivato in anticipo, prima di tutti quanti. Aveva trovato il proprietario di casa a bordo piscina, accomodato su una sdraio con una sigaretta tra i denti. Eddie si sedette di fianco a lui, Steve gli offrì la sua metà di sigaretta e parlarono come se si conoscessero da una vita. In quel momento, il ragazzo dai capelli allora rasati sorrideva realmente e non aveva avuto bisogno di nessuno scudo dietro cui proteggersi, pronto ad un attacco improvviso come quelli che riceveva dai bulli. Con Steve si sentiva al sicuro. Ma una volta arrivato il resto degli ospiti, era di nuovo invisibile. A quel party Steve Harrington era il re, protagonista di ogni cosa. Mentre Eddie, lui rimaneva appoggiato ad un muro a fumare, a viversi la festa da spettatore e non da partecipante, lo sguardo triste. Era doloroso per lui non poter esprimere ciò che provava e dopo l’arrivo di Nancy Wheeler, la cosa era diventata ancora più difficile. Con il passare degli anni, il sentimento che nutriva nei confronti di Steve diventava sempre più forte, ma non volendolo accettare, si tramutò in invidia. Sapeva che non sarebbe mai arrivato al suo livello e peggio, sapeva che non sarebbe mai diventato suo. ”Tranquillo, anche io mi dimenticherei.”
I primi anni della Hawkins High, Steve era un vero stronzo. E lo riconosceva, riconosceva di aver fatto soffrire molte persone. Talmente tante, da non ricordane più il volto di ognuna. Eddie era una di queste. L’avvicinamento con Dustin Henderson e i suoi amici e al mondo del Sottosopra l’avevano cambiato. Rischiare la pelle in queste avventure gli aprì gli occhi su cosa era davvero importante nella vita e non era avere un bel faccino e farsi desiderare da tutti.
Steve si passò una mano tra i capelli, sistemandoli all’indietro. Un ciuffo gli cadde sulla fronte come lo sguardo in basso. ”Mi spiace.”
Eddie, lontano di qualche passo e che prima di allora gli dava la schiena, si girò all’improvviso, sollevando soltanto un angolo della bocca in un sorrisetto. Con due lunghe e veloci falcate raggiunse il ragazzo seduto sull’altalena. Con entrambe le mani afferrò le catene in prossimità della sua testa e si chinò per poterlo guardare dritto negli occhi. L’improvvisa mossa fece scuotere Steve sul posto. I loro volti erano vicinissimi. Il sorriso a bocca aperta di Eddie si ampliò, mostrando i denti, il suo intero viso impegnato a ridere, le piccole rughe intorno agli occhi e le fossette sulle guance. ”Ti stai rammollendo, Harrington? ”
I suoi caldi occhi ammaliarono Steve, tanto da poterli sentire bruciare sulla pelle. Non si accorse che il respiro gli divenne affannoso, le labbra separate e leggermente bagnate. Deglutì e quando si accorse che lo stava fissando per troppo tempo, gli diede una spinta sul petto per allontanarlo. Eddie si fece indietro con un ghigno sul volto. ”Chiudi quel becco e levati, non è vero. Ho fame.”
Il mozzicone finito della sigaretta di Eddie venne lanciato via, poi incominciò a camminare. L’altalena rallentò fino a fermarsi, Eddie era lontano abbastanza da non sentirne più l’odore. Si arrestò, si girò per guardare Steve oltre la curva della sua spalla e ”Andiamo?” gli fece un cenno con la testa.
Tornarono al camper, Eddie prese le chiavi che teneva in tasca ed aprì la porta. Entrò per primo e allargò le braccia per donargli un’accogliente benvenuto nel piccolo e ristretto spazio del camper. ”Posso offrirti cioccolatini e… Credo sia tutto.” Frugò con le mani tra gli involucri vuoti di merendine sul tavolo, guardò nella credenza sopra i fornelli, nel frigo.
Al suolo vestiti usati, il letto, alla fine dell’abitacolo, sfatto, le lenzuola in disordine, il posacenere vicino al cuscino. Un giradischi su un bancone della cucina, una chitarra classica e una elettrica appese alla parete e l’amplificatore ai piedi del materasso. Dei poster facevano da tappezzeria e visto che lo spazio scarseggiava, erano fissati uno sopra l’altro con dei pezzi di nastro adesivo, rendendo l’ambiente ancora più stretto e scuro. Su una delle due poltrone cinque carte d’identità, tutte con la stessa foto ma con nomi differenti. Scompiglio, confusione, niente era al proprio posto, rappresentava in pieno la persona di Eddie Munson, un disastro totale. Steve si guardò intorno. Per qualche ragione, non si sentiva affatto intimorito dal cupo e per niente ordinato locale. Anzi, si sentì a suo agio e appoggiò il fondoschiena sul tavolino al centro, mettendosi comodo, i palmi delle mani appoggiate ai suoi lati. Forse, non potendone più della perfetta, severa e immacolata famiglia Harrington, trovò conforto nel caos. E forse, Eddie era proprio quello di cui aveva bisogno. Uscire dagli schemi, una spinta verso il fanculo tutto. Ciò che stonava dentro quella casa, era il profumo. Un forte e piacevole odore di cioccolato.
”Sto pensando a quel succoso hamburger che mi sono perso per inseguirti.” Disse Steve con la mente altrove.
”Non hai saputo resistermi, dolcezza.” Eddie ridacchiò mentre si dirigeva al piccolo scomparto di un mobile che usava come armadio. Tirò fuori una giacca di jeans a cui aveva tagliato le maniche e la indossò. Un gilet completamente personalizzato. Aveva ritagliato la stampa di una t-shirt rappresentante l’album The Last In Line della band Dio e cucita sul retro. Sul taschino e vicino al colletto spille di altre band Metal. Le estremità sfilacciate e consumate per quanto fosse stata indossata e amata. ”Ma se vuoi, ho qualcos’altro di succoso, qui.”
”Cosa?”
”Me.”
Gli occhi di Steve si alzarono al cielo. ”Quella bocca non fa altro che sparare stronzate?”
Il metallaro si avvicinò, Steve si irrigidì sul posto. Le sue iridi erano calme, ”Davvero vuoi sapere cos’altro è capace di fare?” la sua voce morbida e di una tonalità più bassa.
”Okay, basta, stai esagerando.” Le sue mani gesticolavano sapendo benissimo esternare ciò che provava: erano sempre state più espressive di lui. Le sopracciglia alzate, non riusciva a guardarlo.
”Avanti, Harrington, non arrossire.”
”Non sto arrossendo!”
La tensione tra i due era palpabile. Eddie lo sapeva, la sentiva, gli piaceva. Facendosi sempre più vicino, il corpo di Steve reagiva come un magnete con il suo stesso polo, si allontanava, la sua schiena si inarcava all’indietro, reggendosi al tavolino coi pugni. ”Tranquilla, principessa, devo solo aprire la finestra.” E ciò fece, allungò un braccio per raggiungere il finestrino dietro di lui e abbassarlo di qualche centimetro.
Raggiunto il letto, Eddie si sedette sul bordo. Estrasse una sigaretta dal pacchetto ormai non più nuovo e la portò tra le labbra. Una volta accesa, si buttò con la schiena sul materasso. I lunghi capelli castano scuro si sparsero sulla superficie come una ruota, la frangetta gli cadeva ai lati della fronte. Lo sguardo di Steve vagava sulla sua figura. Le scarpe da ginnastica Reebok, la linguetta e le suole consumate, una aveva le stringhe slacciate, erano bianche ma sporche abbastanza da dire al mondo che non gli importava. I jeans neri avevano degli strappi su entrambe le ginocchia e uno sulla coscia destra, sotto la tasca. Ad unire due passanti era una catena color argento, essa fece notare a Steve il dettaglio della fibbia della sua cintura, un paio di manette. La t-shirt dei Metallica si era leggermente alzata con il precedente movimento, mettendo in vista il suo addome e il suo ombelico contornato da una striscia di peli scura che scendeva fino all’inizio dei pantaloni, nascondendosi al di sotto.
Steve si ritrovò i palmi delle mani sudati. Che stava succedendo? Non avrebbe dovuto sentirsi in quel modo. Insomma, Eddie è un ragazzo.
”Steve, la sessualità è un concetto troppo astratto per avere etichette. Può piacerti davvero chi cazzo di pare.” Le parole di Robin Buckley, la sua migliore amica, gli rimbombarono in testa quasi come se lei fosse lì, in quel momento, ad osservare la situazione.
Il viso di Eddie era rivolto verso il soffitto e l’atleta riusciva a scorgere soltanto la sua mandibola, tesa e spigolosa, che si muoveva ogni volta che aspirava un tiro dalla sigaretta. La mano destra vicino alla bocca, così carnosa e rossa, tra le dita il filtro color arancione pallido delle Marlboro, al polso una catenina molto simile a quella dei pantaloni, usata come braccialetto, e un elastico nero per capelli. All’interno dell’avambraccio un tatuaggio di una marionetta appesa a quella che sembrava la mano di un demone. Vicino al gomito, un altro disegno. Delle sagome di pipistrelli. La cicatrice intorno al collo di Steve pulsò, provocandogli dolore. Ci passò una mano sopra per attenuarlo e provare a non pensare a ciò che Vecna e il suo esercito di mostri, molto simili appunto a pipistrelli, gli avevano fatto.
Gli anelli che portava su ogni dito della mano sinistra erano enormi, dalle forme differenti, scintillanti e rumorosi, come Eddie, che si poteva riconoscere soltanto dal suono dei suoi passi, ancor prima che potesse aprir bocca.
Il ricordo di Eddie seduto sulla sdraio di fianco alla sua a bordo piscina lo investì in pieno. Ma certamente, i capelli rasati, lo sguardo perso. La sigaretta condivisa, le risate. ”Perché mi odi?” Gli domandò, completamente fuori contesto ma le parole uscirono bisognose di essere ascoltate dalla sua gola.
Eddie non rispose subito e nemmeno gli rivolse lo sguardo. ”Non ti odio. Non l’ho mai fatto, in realtà.” Il fumo emerse attraverso i suoi denti e si trasformò in una nuvoletta che fluttuò per qualche secondo sulla sua testa prima di sparire del tutto. ”Mi hai solo fatto un po’ male ignorandomi a quella festa, dimostrando ancora una volta agli emarginati come me che il loro posto non è affatto in un ambiente simile. Ho trovato Henderson, Wheeler e Sinclair e li ho accolti come avrei voluto che qualcuno avesse fatto con me. Poi Dustin continuava a parlarmi di te ed io mi sono ingelosito ancora di più.”
Steve si ricompose e tornò con la schiena dritta, si allontanò dal tavolino per esplorare il camper. Eddie avvertì i suoi movimenti così si alzò e si resse coi gomiti al letto, studiando cosa volesse fare. Notò i documenti sul sedile del passeggero e li prese, impilandoli uno sull’altro. Con una mano ne portò uno in alto per avvicinarlo alla luce e alla vista. ”William Brown. Nato nel 1948. Li porti bene i tuoi quaranta anni, Bill.” Lesse il primo documento, poi lo portò in fondo al mucchietto. ”Michael– Michael Myers? Sul serio?”
Una fragorosa risata lasciò il corpo di Eddie, si coprì gli occhi con una mano, asciugando ironicamente delle lacrime immaginarie che dovevano dimostrare quanto fosse esilarante la cosa. ”Avevo una sola possibilità di scelta, come potevo farmela sfuggire?”
Harrington sospirò, poi scosse la testa in disapprovazione, sfogliando le altre tessere. ”Hai idea di quanto pericoloso sia viaggiare con documenti falsi? Non puoi farlo.”
”Datti una calmata, Stacy.”
”Come mi hai–”
”Non mi serve il grillo parlante che mi dica cosa sia giusto e cosa sia sbagliato.” Lo interruppe Eddie, continuando a ridere. ”Steeeve Harrington.” Allungò il suo nome in un suono stridulo e fastidioso. ”Devi lasciarti un po’ andare. Mammina e papino ti hanno tenuto per troppo tempo dentro una palla di cristallo.”
La provocazione di Eddie stava funzionando. Steve avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di ribellarsi ai suoi genitori che, nonostante si fosse trasferito a mille chilometri di distanza, continuavano a tormentarlo. ”Guarda che io posso fare quello che voglio, quando voglio.”
Eddie si sollevò e lo raggiunse, ondeggiando le spalle lentamente ogni volta che faceva un passo. Un sorriso malizioso. ”Io ricordo che Steve Harrington, al secondo anno, organizzò una festa nella palestra della scuola senza che il preside o la polizia sapesse nulla, perché sì, ricordo che c’era tanto alcol ma che nessuno dei presenti aveva l’età giusta per bere. Invece, lo Steve Harrington che mi trovo davanti, sembra una fichetta che ha paura di rimanere in compagnia del brutto, spaventoso e ricercato Eddie Munson, e si preoccupa di cosa possa pensare di lui.”
”Io– Io–” provò a difendersi Steve, ma venne interrotto da Eddie che, con entrambe le mani appoggiate alle sue spalle, gli diede una spinta. Steve barcollò all’indietro e cadde sulla poltrona del tavolino. Il fumo della Marlboro gli accarezzò il viso e gli fece socchiudere gli occhi. La presenza di Eddie si palesò dietro questa nuvoletta. Lo mise alle strette, una mano appoggiata allo schienale della poltrona, l’altra sul tavolino. Steve non aveva via di fuga.
”Io, io.” Lo canzonò Eddie. ”Steve Harrington aveva fatto a botte con Jonathan Byers per una ragazza. Due volte.” Alzò la voce. ”Colpiscimi.”
”Cosa? No.” Scuoteva la testa, due rughe sulla fronte davano prova alla sua perplessità.
”Colpiscimi!” Il tono di voce di Eddie era diventato più alto, roco e intimidatorio. Si picchiò il palmo della mano sul petto che risuonò come un tamburo.
Steve reagì e si scansò di dosso il metallaro, alzandosi in piedi. ”No!”
Una risata beffarda fece eco nel camper e accompagnata dal chiaro di luna di mezzanotte rese l’atmosfera inquietante. Eddie alzò le mani al cielo in segno di resa. Spense la sigaretta nel lavandino, tss. ”Credo che tocchi a me ricordare a Steve Harrington come ci si diverte.”
Steve incrociò le braccia, pronto per ascoltare le malsane idee che il ragazzo con il mullet aveva per la mente. ”Cosa intendi?”
Eddie giunse, ancora, al suo armadio. Abbandonava per terra gli indumenti che non gli interessavano per cercare una specifica cosa. Trovò una felpa nera con disegni astratti creati con la candeggina, la stese per vederla meglio e sorrise. Dei piccoli buchi nella parte inferiore, sulla e nelle vicinanze della tasca, dovuti alla cenere ancora calda caduta dalla distrazione di Eddie e dalla sua capacità di ciccarsi sempre addosso e mancare l’apposito contenitore. ”Tieni questa.”
La felpa col cappuccio e senza zip si schiantò sul corpo di Steve dopo che Eddie ne fece una palla da scagliargli contro. ”Perché–”
”Mettila!” Lo incoraggiò Eddie, ritornando con la testa dentro lo scomparto del mobile. Steve obbedì. ”Okay, quale preferisci?” In una mano, una bandana rossa, nell’altra una nera con dei teschi bianchi stampati. Le sfoggiava come un mago avrebbe fatto con un coniglio appena estratto dal cilindro.
Il ragazzo con la felpa indicò quella rossa e anch’essa nella stessa maniera della felpa, venne appallottolata e lanciata. Questa volta riuscì a catturarla prima che potesse urtare il suo corpo. ”Cosa ci devo–”
”Serviranno dopo.” Gli accennò, interrompendolo di nuovo e senza dargli altre spiegazioni. Successivamente, lo superò per arrivare ai cassetti della cucina. Aprì il primo dall’alto e un rumore metallico investì le orecchie di Steve. Una revolver Colt Cobra calibro 38 Special, il manico color legno, la canna corta. A farle compagnia una scintillante e classica Colt 1911 nera. Afferrò quest’ultima e la passò a Steve, che però non accettò.
”Wuoh! Cosa vuoi fare, Munson?”
Eddie la fece oscillare con un dito nella guardia del grilletto. ”Tranquillo, è finta.”
Lo sguardo di Steve cadde nel cassetto per controllare l’altra pistola. ”E quella? Quella mi sembra abbastanza vera.”
”Scarica.” Disse, rassicurandolo con un sorriso. Steve esitò e prima di prendere la 1911 diede un’ultima occhiata all’altro ragazzo che intanto si era infilato la 38 nella cintura. Egli fece la stessa cosa. ”Fammi vedere che sei ancora un duro, Harrington.”
–
”Dove stiamo andando?” Eddie stava guidando da un quarto d’ora e Steve incominciava a sudare. Guardò fuori dal finestrino dal sedile passeggero su cui era seduto. Non c’era niente, a parte la strada. Nemmeno un lampione, non una sola macchina. Un lungo, dritto e buio tragitto. Poi, Eddie svoltò a destra, in un parcheggio vuoto, facendo muovere entrambe le figure per l’improvviso cambio di rotta. Steve si tenne alla maniglia della portiera.
Eddie spense il motore del camper e scese, portandosi dietro due zaini vuoti, uno color militare e l’altro nero. Quest’ultimo veniva chiaramente usato da Eddie per andare a scuola, fori e sbucciature indicavano quanto fosse stato sballottato in giro, ricolmo di libri pesanti. Sollecitò Steve ad andargli dietro. Buttò gli zaini tra i loro piedi e alzando le braccia, si sistemò i capelli in una crocchia disordinata con l’elastico che portava sempre al polso. Era abituato a fare la stessa azione ogni volta che doveva concentrarsi, quasi scaramanticamente. La frangia e due ciuffi ai lati degli zigomi liberi. Legò la bandana dietro la testa in modo da coprirgli il viso, lasciando visibili soltanto gli occhi. Steve lo imitò. Da lontano scorsero le luci al neon di una stazione di servizio.
”Hai detto che avevi fame?” Chiese il metallaro indicando con il pollice il negozio e le pompe di benzina dietro di lui. La voce ovattata per il materiale della bandana coi teschi premuto sulla bocca.
”Sì, è così.”
Eddie inclinò la testa da un lato e gli sorrise, ma Steve non potè vederlo, ”I cacciatori si stanno per procurare la cena.”
Steve alzò l’orlo della felpa per esporre la luccicante 1911 tenuta stretta nei pantaloni, ”Con queste?”
”Sei tornato vivo dalla fottuta Mordor, che sarà mai una piccola rapina.”
”…Mordor?”
”Avanti, Harrington. Ci divertiremo.” Eddie si avvicinò all’altro ragazzo e si permise di tirargli su il cappuccio. Sentiva che doveva proteggerlo, nascondendo la sua identità in tutti i modi possibili, mentre lui era arrivato al punto in cui non gli importava più, infatti le sue braccia erano scoperte mettendo in bella vista i suoi caratteristici e riconoscibili tatuaggi.
Afferrarono le borse e si incamminarono con passo deciso e veloce verso la stazione di servizio. Prima di spalancare le porte con un calcio, si diedero un’ultima occhiata. Gli sguardi così differenti, Eddie pieno di conforto e gioia, brividi, emozione, quello di Steve intimorito. Il negozio deserto, l’unica persona presente era l’annoiato cassiere che con la testa appoggiata al palmo leggeva una rivista. Era notte fonda.
Eddie si diresse verso la corsia degli snack, aprì lo zaino e ci fece cadere dentro pacchetti di patatine, barrette di cioccolato e caramelle. Tutto quello che gli passava sotto mano. Con un cenno della testa indirizzò Steve al bancone che, preso il suggerimento, si ritrovò a puntare la pistola contro a un piccolo uomo spaventato quasi quanto lui. L’impugnatura della Colt stretta tra le dita, le nocche arrossate, la pelle pallida e liscia. L’esatto contrario delle mani del metallaro che stringeva la piccola ma comoda 38 Special, i palmi ruvidi, pieni di calli, il pugno graffiato dai colpi che scalfiva sui tronchi degli alberi ogni volta che i brutti pensieri e gli incubi tornavano a galla. I polpastrelli tagliati dalle corde in nichel della sua amata chitarra elettrica, una NJ Warlock personalizzata, la sua bambina.
”Svuota i soldi!” Steve scosse la testa. ”Volevo dire, s-svuota la cassa!” Le braccia un po’ traballanti mentre gli lanciava addosso lo zaino. ”Tieni le mani in alto!”
”Come faccio a prendere i soldi con le mani in alto?!” Gridò l’uomo.
Eddie, che nel frattempo aveva svuotato il frigo dalle birre, corse in soccorso. La pistola puntava dritto alla testa della persona che stava trattenendo una risata, non prendendoli sul serio. ”Lo hai sentito? Tira fuori quei cazzo di soldi!”
”State scherzando?” Domandò, quasi ironicamente, il cassiere. Lentamente abbassò le braccia.
Eddie, però, non glielo permise. Indirizzò la pistola verso il televisore che trasmetteva i filmati delle videocamere di sicurezza e premette il grilletto. Il forte e improvviso rumore dello sparo mischiato al vetro della TV che cadeva in frantumi fece spaventare Steve, che si portò gli avambracci al viso per ripararsi. Il cuore gli batté all’impazzata e per qualche istante ebbe timore che gli potesse rompere lo sterno e uscire dal corpo.”Ti sembra che abbiamo voglia di scherzare, figlio di puttana?!”
”Avevi detto che–” Esclamò Steve, ricordando le parole del metallaro ’Tranquillo, è finta’ e ’Scarica’. Come risposta ricevette uno schiaffetto sul petto, quello che serviva per zittirlo.
L’uomo, con gli occhi spalancati e il labbro tremante, si affrettò a mettere quello che aveva nello zaino che Steve gli aveva scagliato contro. Tuttavia, mentre lo riempiva con le banconote, fu veloce abbastanza da premere il pulsante d’emergenza presente sotto al bancone. Eddie se ne accorse e ”Cazzo.” sussurrò, poi gli strappò dalle mani la borsa e diede una spinta all’atleta per fargli capire che era tempo di levare le tende.
Steve non capì immediatamente cosa stesse succedendo, scosso ancora per lo sparo di prima o per l’adrenalina che gli stava crescendo in corpo, ”Ma ci avrà dato sì e no venticinque dollari!”
”Che ci importa? Corri, corri!” Uscirono dal piccolo negozio e attraversarono le pompe di benzina a gambe levate. Le bandane sfregavano i loro volti, il respiro intrappolato nella stoffa. La paura cresceva in loro, le mani di Harrington vacillavano e dalla sua fronte scendevano gocce di sudore.
Ancora, il voler proteggere Steve a tutti i costi portava Eddie a rimanere indietro e mandare lui per primo. Se dovevano prendere qualcuno, il più lento, doveva essere lui e non Steve. Non se lo sarebbe meritato. Le armi ben salde, il revolver ancora caldo dal precedente sparo.
”Il camper?” Urlò Steve senza voltarsi indietro.
”Non c’è tempo, da questa parte!” Eddie afferrò in un pugno la felpa di Steve per tirarlo verso un vicolo buio. Gli zaini sulle loro spalle ballavano goffamente e le loro gambe incominciavano a bruciare. ”Di qua, di qua!” Non lo lasciò nemmeno un secondo, trovò una scala antincendio e lo incitò a salire. Il metallico rumore di quelle scale riecheggiava nel vicolo ad ogni loro falcata.
Le Nike ai piedi di Steve giunsero fino in cima e trovarono una finestra aperta all’ultimo piano, in cui entrarono. Un loft abbandonato, insieme all’intero condominio, recintato dal nastro giallo dello Stato che avvertiva di non avvicinarsi, da lì a poco sarebbe dovuto essere demolito. L’ampio spazio interno sembrava essersi fermato nel tempo. I mobili non erano stati spostati, solamente coperti da lenzuoli bianchi. Le pareti rivestite di mattoni e un soppalco in ferro nero, raggiungibile con una scala a chiocciola, il classico stile industriale. Le enormi finestre erano diventate opache, alcuni vetri rotti. La luce al neon della stazione di servizio era lontana, ma talmente forte e riconoscibile nella notte, che un bagliore rosso entrava comunque da quei vetri, illuminando ogni cosa di quel colore. In un certo senso era accogliente, a parte la polvere, protagonista, lo spazio aperto e riparato sembrava essere piombato dal cielo per loro, una salvezza.
I ragazzi si tolsero le bende dal viso e lasciarono cadere le borse a terra, Eddie fece più attenzione per via delle lattine di birra all’interno. La 1911 e la 38 Special vennero abbandonate anch’esse al suolo. Steve si mise le mani tra i capelli, le braccia alzate e i muscoli tesi. Si accovacciarono per sorvegliare nel modo più discreto possibile fuori la finestra. Le sirene della polizia erano sempre più vicine, due auto, come minimo. Entrambi i cuori sembravano tamburi impazziti all’interno dei loro petti sudati. Il fiato pesante, Steve non aveva mai provato una simile adrenalina e il suono assordante delle volanti gli rintronava in testa, amplificandogli le emozioni che lo stavano mangiando da dentro. L’espressione sul suo volto era chiaramente preoccupata ed Eddie, nonostante stesse combattendo con la stessa ansia, se ne accorse e si fece più vicino a lui, egli era talmente focalizzato a guardare attraverso il vetro rotto della finestra che non ci fece caso.
Le auto della polizia sfrecciarono davanti a loro con le luci lampeggianti. I loro cuori si fermarono e quando videro che proseguirono dritto, ricominciarono a battere, questa volta normalmente.
Si alzarono in piedi. Steve, con ancora le mani tra i capelli, fece uscire dalla gola un grido liberatorio ed Eddie scoppiò a ridere, saltellò sul posto in quanto incapace di reprimere la commozione di averla fatta franca. Mentre i loro respiri si regolarizzavano, si guardavano negli occhi, senza avere niente da dire. Sorridevano e si perdevano l’uno nell’espressione contenta dell’altro, quel silenzio stava parlando al posto loro. Steve Harrington posò lo sguardo su ogni centimetro del viso dell’altro. Le lentiggini coprivano le sue guance delicatamente, l’ombra della barba rasata da poco, qualche pelo sfuggito dalla lametta contornava il suo mento. Dietro la frangia riuscì ad intravedere una piccola cicatrice sulla fronte, molto vecchia e quasi sbiadita del tutto. La scarsa illuminazione metteva in evidenza i suoi lineamenti, rendendoli più accattivanti. Come il pomo d’Adamo, marcato e così attraente, gli zigomi e la mandibola, perfettamente scolpiti da qualche artista, come riferimento un Dio greco, sicuramente. Quelle labbra, piene e rosse come ciliegie da succhiare. E Steve… Steve non poteva resistergli.
L’insicurezza cresceva nella sua pancia. Cosa gli stava succedendo?
Uno Tsunami di turbamenti gli impedivano di vederci lucidamente. Eddie Munson gli aveva lanciato un incantesimo e non aveva intenzione di trovare alcun antidoto, si stava lasciando naufragare nei suoi ardenti occhi, di una sfumatura diversa dovuta alla luce rossa della stazione di servizio. Così fece la cosa che ritenne più giusta: lasciarsi andare. Decise che doveva seguire il flusso di emozioni che lo stava dirigendo verso quelle labbra scarlatte, senza chiedersi se fosse giusto o sbagliato. L’unica cosa certa, è che voleva farlo. Così, dopo una forte spinta data dall’eccitazione del momento, Steve affondò su quei rubini con le sue labbra, sorprendendo Eddie in tutti i modi possibili. E lui non lo respinse, anzi, gli afferrò la maglietta così forte da sgualcirla nei suoi pugni, la stoffa tra le dita, per tirarlo verso di sé e approfondire il bacio, intrecciando la sua lingua con quella di Steve.
Non aveva mai baciato un ragazzo prima, ma con Eddie, la cosa gli risultava così naturale, quasi come se fossero destinati a quel momento. La sua mano finì sul collo di Munson, il pollice gli sfiorava la guancia e il resto delle dita perse tra le ciocche ricce ancora tenute legate dall’elastico. Le loro labbra danzavano insieme in una coreografia perfettamente a ritmo coi loro cuori, che martellavano all’unisono, ormai non più per la paura ma per la frenesia.
Eddie esplorava l’intera figura di Steve da sopra i vestiti e scelse che doveva averne di più. Tirò la sua t-shirt verso l’alto per sfilarla dai jeans e senza mai staccarsi da quell’umido bacio, vi intrufolò le mani al di sotto. I polpastrelli quasi si ustionarono a contatto con la pelle bollente di Steve, gli addominali lisci e il petto decorato da peli ricci e virili. Un dettaglio stonava, tuttavia. I suoi fianchi non erano vellutati come il resto del torso. Al contrario, quasi rugosi, la cute sembrava persino essere più sottile in quei punti, Eddie non capiva cosa fosse questa strana sensazione sotto le sue dita. Perciò, dopo essersi allontanato, con rammarico, dalla bocca dell’altro ragazzo per togliergli completamente la bianca maglietta e abbandonarla al suolo, posò gli occhi sulla parte centrale del suo corpo, per controllare cosa fosse diverso al tatto. Due sfregi su ambi i lati del tronco, color rosa chiaro, contrastavano con il suo incarnato armonioso e abbronzato. Cicatrici provenienti dal Sottosopra. Le ammirò ma non abbastanza per rendersi conto che quelli erano evidenti piccoli ma spietati morsi, Steve gli sollevò il mento per far tornare la sua attenzione sui propri occhi, o meglio, sulle proprie labbra. Riconosceva che erano delle brutte ferite da guardare, non voleva che il metallaro ne fosse disgustato, anche se facevano parte di lui e raccontavano la sua storia. Eddie non rispose al suggerimento e si inginocchiò dinnanzi a lui. Le mani a coprirgli le cicatrici, stringendolo amorevolmente, i baci stampati su tutta la sua pancia servivano a rassicurarlo. La sua lingua vi tracciò un disegno invisibile e bagnato, seguì la striscia di peli sotto l’ombelico sino ad arrivare al bottone dei pantaloni. Si aggrappò con le dita ai passanti e guardò in alto per cercare l’approvazione di Steve.
Eddie Munson viveva tranquillamente la sua sessualità, non si era mai creato dei problemi al riguardo. Gli piaceva flirtare, scherzare, stuzzicare e conoscere corpi, persone, menti. Invece, per Steve era tutto nuovo. La sua era un’infinita lista di ragazze che si era portato a letto ma quello che gli mancava era la connessione. Neanche lui sapeva cosa volere e cercare, ma a quanto pareva lo aveva trovato. Ed era lì, in ginocchio davanti a lui.
Steve si inumidì le labbra con la punta della lingua e le socchiuse, incatenò il suo sguardo a quello di Eddie e portò una mano sulla sua guancia per accarezzarla. L’espressione del metallaro era ricolma di lussuria. Le sopracciglia erano completamente sparite dietro la frangetta, i lati della bocca alzati in un sorriso malizioso e le ciglia curvate all’insù. Non ruppe mai il contatto visivo che li legava e gli slacciò il bottone di quei jeans a vita alta, ma prima di riuscire ad abbassare la zip, Steve lo fermò e gli afferrò delicatamente il viso per portarlo di nuovo alla sua altezza. Senza spostare la mano, gli morse il collo come se fosse cioccolato, dolce. Una volta, due volte, tre volte. Passionalmente, senza fargli male, incideva i denti nella sua carne quel tanto che bastava per farlo gemere rumorosamente. Accarezzava con la lingua le parti lesionate per sollevarlo dal dolore trasformato in piacere dal suo respiro umido.
Il gilet de i Dio venne poi tolto e accompagnato dalla maglietta dei Metallica, entrambi lanciati da qualche parte nel loft. Eddie si allontanò per raggiungere quello che sembrava essere un divano, al centro dell’ambiente. Agguantò il lenzuolo e con una mossa agile scoprì quello che a tutti gli effetti era un sofà a tre posti. Modello Chesterfield, color verde foresta con i dettagli in oro. Si riallacciò alle labbra di Steve, questa volta con più foga, e lo portò a sedersi su di esso. Sprofondò nel comodo materiale vellutato e divaricò le gambe grazie al suggerimento di Eddie, il quale vi si infilò in mezzo, le ginocchia scoperte dagli strappi dei jeans toccavano il polveroso pavimento, le punte dei piedi piegate e i talloni verso l’alto. Le sue mani completarono ciò che aveva interrotto in precedenza, abbassò la zip dei pantaloni di Steve e li calò fino alle caviglie, egli lo aiutò sollevando il bacino. Anche le Nike vennero tolte e i jeans completamente sfilati. Steve ora rimaneva vestito soltanto delle calze e dei boxer. Quest’ultimi divenuti più stretti e scomodi per via dell’erezione che stava crescendo dentro di essi.
Eddie passò le mani sul suo torace scendendo fino all’elastico dell’intimo di cotone. Vi ancorò gli indici e lo tirò giù lentamente, esponendo quella magnifica V sempre di più. Una straziante tortura che portò Steve a respirare affannosamente, il petto si alzava e si abbassava ampio e le sue dita ritrovarono i capelli di Munson. Il suo membro ebbe un piccolo spasmo, Eddie se ne accorse e ridacchiò prima di esporlo completamente. La rosea punta era bagnata dal liquido pre-seminale, una goccia scese lungo la prolissità e prima che potesse toccare le palle, Eddie la fermò con la lingua. Un grottesco suono uscì dal fondo dei polmoni di Steve, il quale fece eccitare ulteriormente il metallaro, che si portò una mano a slacciarsi la fibbia della cintura e ad accarezzarsi da sopra il materiale dei jeans. La sua lingua salì e raggiunse il glande, lo avvolse con le proprie labbra e succhiò leggermente. Steve gemette in modo osceno e fece crollare la testa all’indietro, appoggiata allo schienale imbottito del divano, il polso del braccio libero sulla fronte. Eddie pian piano prese l’intero pene in bocca, bagnandolo con la saliva e creando movimenti circolari con la lingua. La sua testa rimbalzava sul cazzo di Steve fino a toccargli la gola. Lacrime che non avevano intenzione di cadere si erano formate tra le sue ciglia, le guance incavate, una mano alla base e l’altra a procurarsi piacere da solo. Il naso gli sfiorava l’addome e veniva solleticato dai peli pubici. Si staccò giusto il tempo per sputarci volgarmente sopra e riprendere fiato, poi ricominciò a succhiarlo.
Il ragazzo dai capelli ricci si levò con un pop e guardò l’altro che nel frattempo aveva sollevato il capo per capire il motivo della brusca interruzione. Sorrise. Steve Harrington era bellissimo, una visione divina: la bocca bagnata, gli occhi pieni di desiderio, le gambe aperte e il suo sesso gonfio e arrossato appoggiato al suo addome. L’intero corpo nudo stravaccato sul grande divano. Eddie si abbassò la zip dei jeans neri strappati e si chinò su Steve, facendo ricongiungere le loro labbra in un bacio pieno di sentimento ed eccitazione. Afferrò la mano di Steve per portarla sul suo rigonfiamento ed egli tentennò. ”Io non ho mai…” Provò a dire.
”Non dobbiamo fare niente che tu non voglia, dolcezza.” Eddie lo rassicurò. Si sedette di fianco a lui e si calò i pantaloni insieme ai boxer fino alle ginocchia. La prorompente erezione si presentò nella sua gloriosa forma e sbatté sulla sua pancia. Steve sgranò gli occhi quando vide che sul suo frenulo era presenta un scintillante piercing e lo portò ancora più volentieri ad accomodarsi sulle sue gambe. I suoi fianchi vennero stretti dalle grandi mani di Eddie che lo accompagnavano in ogni sua azione. Eddie fu capace di fargli dimenticare per una volta di quegli sfregi, completamente abbandonato al piacere del momento. I loro spiriti erano connessi e tutto ciò che li circondava era sparito. Un mondo che Eddie riusciva a trovare soltanto con il suo walkman e un paio di cuffie, il Nirvana. Egli accarezzava il suo rovente corpo, le dita percorrevano la sua schiena inarcata – in cerca di maggiore contatto – e seguivano il disegno astratto che i nei componevano, come una nuova costellazione da scoprire. Steve stringeva il volto dell’altro ragazzo e ancora una volta fece scontrare le proprie bocche, cercava la sua vicinanza come se da un momento all’altro potesse sfumare via. I capelli spettinati, il ciuffo che regolarmente era fuori posto solleticava la fronte di Eddie. Le gote arrossate come le punte delle orecchie e del naso. Il respiro pesante.
I due sessi sbatterono l’uno contro l’altro e la cosa fece gemere Steve che immediatamente cercò di nuovo quel contatto, muovendo il bacino avanti e indietro su di Eddie. Quest’ultimo ansimò ad alta voce contro la sua bocca per l’iniziativa che ebbe Harrington e lo assecondò. I membri erano bagnati dell’eccitazione di entrambi, Eddie li circondò con la sua mano adornata dagli anelli e iniziò a pompare, su e giù, su e giù. Faceva sfregare le parti sensibili l’una contro l’altra. Le fredde palline del piercing toccarono un punto in particolare che fece staccare Steve dal bacio per spalancare la bocca e guardare l’altro ragazzo. Eddie fece cadere lo sguardo sul bagnato labbro inferiore di Steve e ne tracciò il contorno con il pollice dell’altra mano, non riusciva a togliergli gli occhi di dosso. Successivamente inserì il medio e l’anulare nella sua gola, le quali l’atleta accolse succhiandole e socchiudendo gli occhi. Eddie fece assumere alle dita la forma di un uncino e lo avvicinò al suo viso, gli baciò il collo, le clavicole, il petto, senza fermarsi dal masturbare ambedue. Sapeva che quella era la sua prima esperienza e voleva che fosse indimenticabile. La mano, dalla sua bocca, si spostò sul suo culo, avvinghiandolo talmente forte da lasciargli un’impronta rossa, le unghie scavate nella carne. L’indice si intrufolò tra la fessura e stuzzicò la sua entrata. Steve si avvicinò ulteriormente all’altra persona, il suo affanno contro l’orecchio di Eddie, fece cadere la fronte nell’incavo tra il suo collo e la spalla, il naso a contatto con i tatuaggi raffiguranti una Vedova Nera e un demone sulla parte alta del petto, la collana con un plettro come ciondolo.
”Eddie…” Sussurrò Steve. Era vicino al suo apice ed Eddie riuscì a capirlo, per cui pompò più velocemente i loro cazzi insieme, lubrificati dal liquido pre-seminale che sgorgava a fiotti e Steve si contorse sotto il suo tocco. Eddie amava i suoni che uscivano dalla peccaminosa bocca dell’atleta, musica per le sue orecchie, la più bella che abbia mai udito. Quando sentì il suo nome accompagnato da quei gemiti, pensò di raggiungere l’orgasmo in quell’esatto momento. Si abbracciavano per far toccare i loro cuori. Si erano finalmente trovati e non volevano lasciarsi scappare. Incontrati nel momento giusto, Eddie stava per mollare tutto e Steve cadendo nella monotonia. Si completavano.
Steve agitava i fianchi sul sesso di Eddie, la lussuria aveva preso il sopravvento controllando il suo corpo. Il suo culo sfregava contro le cosce nude del metallaro. Lo avvolse con la sua mano ed Eddie fece lo stesso con lui, masturbandosi a vicenda. Egli era sorpreso, non credeva che Steve avesse il coraggio di toccarlo e andava bene così, ma ciò lo fece eccitare ancora di più. ”Sì, continua così– Ah–” Gemette. Steve inarcò la schiena all’indietro, appoggiandosi con una mano sul ginocchio di Eddie, mentre l’altra si muoveva freneticamente su di lui. Il metallaro non riusciva a non stringerlo, sentire la sua carne tra le dita, approfondirlo.
Erano arrivati al settimo cielo, fluttuavano nel mondo di brama che avevano creato, le nuvole erano i loro affanni pesanti, gli alberi crescevano insieme all’eccitamento, i fiori profumavano di cioccolato e loro gli unici esseri viventi nell’Eden. L’alba incombette su di loro, la fievole luce arancione del sole entrò dalle opache finestre ed un raggio illuminò prepotentemente il viso di Steve, trovando un vetro rotto e spargendosi come un’olografia. I suoi occhi marroni erano diventati miele trasparente sotto quel bagliore. Eddie arcuò le sopracciglia e una piccola ruga comparì al centro di esse. Ammirava l’opera d’arte che era Steve baciato dal sole e con un gemito più acuto degli altri, venne copiosamente sul proprio addome. Steve raggiunse l’orgasmo dimenandosi dal piacere nella mano di Eddie, il suo liquido caldo si confuse con quello dell’altro ragazzo. Fecero sfiorare i loro nasi prima di baciarsi ancora una volta, più lentamente e con meno foga. Mentre il respiro si regolarizzava, Steve si scostò dalle cosce di Eddie e si stravaccò sul divano, al suo fianco. Le sue gambe tremavano per il potente orgasmo appena vissuto.
”È stato… Tu sei…” Provò a parlare Steve, ma non sapeva esattamente cosa dire. Non aveva mai provato sensazioni ed emozioni simili ed era consapevole del fatto che non le avrebbe mai più ritrovate se non con Eddie Munson.
Eddie appoggiò il dorso della mano sul petto sudato dell’atleta, ”Non c’è bisogno di dire nulla.” Poi si sollevò in piedi, barcollando. Trovò la bandana nera coi teschi e la usò per pulire entrambi, si alzò i pantaloni ma li lasciò sbottonati. Prese lo zaino contenente il cibo e tirò fuori le barrette di cioccolato e un paio di lattine di birre, ne passò una ciascuna a Steve.
Harrington si rivestì dei jeans e anch’egli rimase a petto nudo. Concentrato a scartare la merendina dall’involucro, staccò un morso dalla barretta e con la bocca piena parlò ”Cosa… Cosa ti ha portato qui?”
La linguetta della lattina venne alzata, la schiuma della birra schizzò fuori ed Eddie si spostò per non sporcarsi. Scrollò la bevanda dalla mano che reggeva la latta, inevitabilmente si era bagnato. Raggiunse Steve sul divano Chesterfield e bevve un sorso. ”In questi anni ho capito che so soltanto scappare. Perché non farlo bene, allora.” Si sciolse i capelli dall’elastico e scosse la testa per dare un effetto spettinato ai suoi ricci, che scendevano morbidi sulle spalle. Abbandonò la birra al suolo e con un gesto veloce sovrastò il corpo di Steve con il suo, la schiena di quest’ultimo completamente aderita al velluto verde foresta. Si appoggiò coi gomiti ai lati della sua testa. ”Ma poi ho incontrato te.”
Steve si ritrovò schiacciato dal peso del metallaro, i suoi capelli gli stavano solleticando il viso e lo nascondeva come un sipario, per cui glieli portò dietro l’orecchio con un dito, scese poi lungo il collo, la clavicola. ”Poi hai incontrato me.”
Eddie spostò la mano per stringergli un fianco, non voleva lasciarselo sfuggire. ”Steeeve Harrington.” Ripetè in tono fastidioso e canzonatorio, lo stesso che usò qualche ora prima per provocarlo.
”E ora, Eddie Munson?”
Non poteva essere un caso che Steve si trovasse nel ristorante in cui stava cenando Eddie, dopo essersi visti per l’ultima volta dall’altra parte dello stato. Qualsiasi cosa il futuro aveva in serbo per loro, capirono che dovevano affrontarlo insieme.
”Che ne dici del… Canada?”
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Porta la natura a casa tua con le piante uniche di I Giardini di Giulia
Le piante non sono solo elementi decorativi, ma veri e propri doni della natura capaci di trasformare qualsiasi ambiente in un luogo accogliente e rilassante. Su I Giardini di Giulia, il nostro obiettivo è offrirti una selezione esclusiva di piante per interni ed esterni, adatte a ogni stile e necessità. Scopri le nostre proposte uniche, come l’olivo bonsai Boston Mini, il terrarium bosco incantato kokedama e il kit terrarium geometrico fai da te con 4 piantine, e lasciati ispirare dal fascino senza tempo delle piante.
L’olivo bonsai Boston Mini: eleganza in miniatura
L’olivo bonsai Boston Mini è una scelta perfetta per chi desidera un tocco di Mediterraneo in casa. Questo piccolo capolavoro naturale unisce la bellezza dell’olivo tradizionale alla raffinatezza del bonsai. Grazie alle sue dimensioni compatte, si adatta perfettamente a scrivanie, tavoli e mensole, offrendo un elemento decorativo unico.
La cura dell’olivo bonsai è semplice: richiede un’esposizione luminosa, preferibilmente vicino a una finestra, e un’irrigazione moderata. La sua presenza porterà un’atmosfera di calma e serenità ai tuoi spazi. Abbinato alla lingua della suocera, un’altra pianta di tendenza per interni, potrai creare un angolo verde perfetto per rilassarti dopo una giornata intensa.
Il fascino del terrarium bosco incantato kokedama
Se cerchi un’opzione unica e innovativa per decorare la tua casa, il terrarium bosco incantato kokedama è l’ideale. I kokedama, originari del Giappone, sono sfere di muschio che avvolgono le radici delle piante, creando un effetto visivo sorprendente e naturale.
Con il terrarium bosco incantato, puoi creare una piccola oasi verde in qualsiasi ambiente. Disponibile su I Giardini di Giulia, questo terrarium include piante selezionate e materiali di alta qualità, perfetti per dare vita a un angolo verde che incanta chiunque lo ammiri. È facile da mantenere e richiede solo una luce indiretta e un’umidità moderata.
Kit terrarium geometrico fai da te con 4 piantine
Per gli amanti del fai da te e della creatività, il kit terrarium geometrico fai da te con 4 piantine è una scelta irresistibile. Questo kit include un contenitore geometrico moderno e quattro piantine selezionate, ideali per creare un’opera d’arte vivente.
Il kit è perfetto sia per principianti che per esperti di giardinaggio. Grazie alle istruzioni incluse, potrai assemblare il tuo terrarium in pochi passi, personalizzandolo secondo il tuo gusto. Un terrarium geometrico è anche un’idea regalo originale, adatta a ogni occasione.
Bonsai Japan Box: il regalo perfetto
Il bonsai Japan Box è una delle nostre proposte più apprezzate, ideale per chi vuole avvicinarsi all’arte del bonsai. Questo set esclusivo include un bonsai di alta qualità, un vaso elegante e gli accessori necessari per la sua cura. È il regalo perfetto per amici e familiari che amano le piante e il design orientale. bonsai japan box vendita piante online
I bonsai sono simboli di armonia e pazienza, e la loro cura può diventare un’attività rilassante e gratificante. Con il bonsai Japan Box, offriamo un’esperienza completa, ideale per creare un angolo di serenità in casa.
I vantaggi di acquistare piante online su I Giardini di Giulia
Su I Giardini di Giulia, ci impegniamo a offrire piante di alta qualità e un’esperienza d’acquisto semplice e sicura. La nostra selezione è pensata per soddisfare ogni tipo di esigenza, dalle piante decorative per interni ai kit fai da te per chi ama il giardinaggio creativo.
Ecco perché scegliere il nostro negozio online:
Qualità garantita: Ogni pianta è selezionata con cura per assicurare una lunga durata e una bellezza unica.
Spedizione veloce e sicura: Consegniamo direttamente a casa tua, garantendo che le piante arrivino in perfette condizioni.
Ampia varietà di scelta: Dai bonsai ai terrarium, trovi tutto ciò di cui hai bisogno per arredare con il verde.
Assistenza clienti dedicata: Siamo sempre disponibili per rispondere alle tue domande e offrirti consigli su come prenderti cura delle tue piante.
Concludendo
Le piante sono molto più di semplici decorazioni: rappresentano una connessione con la natura e un modo per rendere i tuoi spazi più accoglienti e armoniosi. Su I Giardini di Giulia, troverai una vasta gamma di opzioni, come l’olivo bonsai Boston Mini, il terrarium bosco incantato kokedama e il kit terrarium geometrico fai da te, pensate per soddisfare ogni esigenza.
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Lettere d'amore a Peter Rabbit - pag.24
voce: Federico Federici e Marta Vilardaga. nella vasca tra gli ulivi ridono le rane, la betulla fruscia fresca sui lenzuoli increspati nel sonno l’arsura di una vela ti accarezza alla finestra che hai tenuto aperta l’aria luminosa tocca i panni filari lungo il roseto sfiorito si asciugano i germogli di gerani le formiche camminano tranquille tra le zolle spaccate dal badile un uomo dal…
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Te, nuda dinanzi la lampada rosa,
e gli avori, gli argenti, le madreperle,
pieni di riflessi della tua carne dolcemente luminosa.
Un brivido nello spogliatoio di seta,
un mormorio sulla finestra socchiusa, un filo d'odore, venuto
dalla notte delle acacie aperte,
e una grande farfalla che ignora
che intorno a te non si bruciano le ali, ma l'anima.
Luciano Folgore (1888-1966)
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Stamattina, poco prima dell’alba, un cervo si è immobilizzato in una nebbia così fitta e luminosa che il secondo cervo, non troppo distante, sembrava l’ombra incompleta del primo. L’ho visto dalla mia finestra. Puoi colorare questa scena. Puoi chiamarla “Storia della memoria.”
#ragà QUESTE METAFORE quanto sto amando questo libro#Brevemente risplendiamo sulla terra#brevemente risplendiamo sulla terra#citazioni#citazione#citazioni libri#citazione libro#narrativa#frasi#libri letti#libri#Scaricato#Ocean Vuong#ocean vuong citazioni#ocean vuong citazione#libri da leggere
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Orchidea Cambria: Consigli per fioriture spettacolari
Ciao a tutti da Andrea! voglio condividere con voi la mia passione per le orchidee, in particolare, oggi vi parlerò della Cambria. Innamorarsi di questa bellezza non è stato difficile: i suoi fiori, che sembrano piccole opere d'arte, sfoggiano colori vivaci e forme incantevoli, e la loro fragranza delicata riempie la casa di un'atmosfera speciale. All'inizio, la cura di questa orchidea mi sembrava un'impresa ardua, un labirinto di termini tecnici e regole da seguire. Ma con il tempo e un pizzico di pazienza, ho scoperto che la Cambria non è poi così esigente come pensavo. Anzi, è una compagna di viaggio fiorita che regala immense soddisfazioni. Per aiutarvi a coltivare questa splendida orchidea, voglio condividere con voi alcuni consigli che ho imparato lungo il cammino, senza addentrarmi in un linguaggio troppo tecnico: Luce e temperatura: La mia Cambria ama la luce indiretta e luminosa, ma odia il sole diretto che può bruciarle le foglie. Per questo, la posiziono vicino a una finestra, ma mai sotto i raggi cocenti del sole. In quanto alla temperatura, lei preferisce un clima mite, tra i 18°C e i 24°C, evitando correnti d'aria e sbalzi termici. Acqua e umidità: Innaffiare la Cambria è un po' come un ballo delicato: troppo poca acqua la fa appassire, troppa la soffoca. Il segreto è trovare il giusto equilibrio, annaffiandola solo quando il terriccio è asciutto al tatto. Per aumentare l'umidità, che lei adora, la nebulizzo regolarmente con acqua tiepida o la posiziono su un vassoio di ghiaia umida. Concimazione e rinvaso: Per far fiorire la mia Cambria in tutto il suo splendore, la nutro con un fertilizzante specifico per orchidee ogni 2-4 settimane. Circa ogni 2-3 anni, quando le radici hanno riempito il vaso, la rinvaso in un nuovo contenitore con terriccio fresco per orchidee. Fioritura e propagazione: La fioritura della Cambria è uno spettacolo che emoziona ogni volta: i suoi fiori sbocciano in primavera e in autunno, colorando la mia casa con sfumature sempre nuove. Per favorire questo evento magico, le assicuro luce adeguata, una temperatura costante e un'umidità elevata. Se desidero moltiplicare la mia bellezza, posso dividerne i rizomi o provare la semina, anche se la divisione è sicuramente il metodo più semplice e veloce. Malattie e parassiti: La mia Cambria è una coccola, ma come tutte le orchidee, può essere soggetta ad afidi, cocciniglie e marciume radicale. Per questo, la controllo regolarmente per individuare precocemente eventuali problemi e intervenire tempestivamente. Consigli da amico: Vi consiglio di utilizzare un vaso con fori di drenaggio per evitare ristagni d'acqua che potrebbero far marcire le radici. Evitate l'acqua fredda per le annaffiature e non concimate la Cambria durante la fioritura. Se le sue foglie ingialliscono, potrebbe ricevere troppa acqua o poca luce; se invece diventano marroni, il problema è probabilmente l'eccesso o la carenza di acqua. Coltivare la Cambria non è solo una questione di regole e tecniche, ma un'esperienza che richiede amore, pazienza e attenzione. Prendervi cura di lei significa creare un legame speciale, un piccolo rituale quotidiano che porta colore e gioia nella vostra vita. Provateci anche voi, e lasciatevi conquistare dalla bellezza magnetica di questa orchidea speciale! Read the full article
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Il telescopio italiano Vst all'opera
L'Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) ha recentemente rilasciato tre affascinanti immagini di galassie, gruppi e ammassi di galassie, catturate dal telescopio italiano VST. Situato nel deserto di Atacama in Cile, il VST è gestito dall'INAF ed è specializzato nell'osservazione di vaste aree di cielo grazie alla sua fotocamera a grande campo, OmegaCAM. OmegaCAM, un vero e proprio "grandangolo cosmico", è in grado di immortalare in ogni ripresa un grado quadrato di cielo, pari a una porzione della volta celeste due volte più grande del diametro apparente della Luna piena. Le eccezionali immagini del VST ci offrono uno sguardo mozzafiato sull'universo, rivelando una miriade di galassie in forme e dimensioni sorprendenti. Un vortice di stelle: NGC 1097 La prima immagine mostra la galassia a spirale barrata NGC 1097, situata a circa 45 milioni di anni luce dalla Terra nella costellazione dell'Orsa Maggiore. L'immagine, ricca di dettagli, mette in risalto la struttura simmetrica della galassia, con le sue luminose braccia a spirale che ruotano attorno ad un nucleo centrale brillante. Numerose macchie scure all'interno delle braccia ospitano ammassi di gas e polveri, dove nascono nuove stelle. NGC 1097 è inoltre circondata da un anello di galassie satelliti, visibili come piccole masse luminose intorno alla spirale principale. Un incontro galattico: Arp 282 La seconda immagine cattura l'interazione tra due galassie, Arp 282, situate a circa 290 milioni di anni luce dalla Terra nella costellazione della Balena. L'immagine mostra le due galassie in una fase di fusione, con le loro strutture deformate e intrecciate a causa dell'attrazione gravitazionale reciproca. Questo processo cosmico, durato milioni di anni, ha dato origine ad una formazione irregolare ricca di gas, polveri e nuove stelle. Arp 282 offre agli astronomi un'opportunità unica per studiare i fenomeni che avvengono durante la fusione di galassie, un evento che ha avuto un ruolo fondamentale nella formazione e nell'evoluzione dell'universo. Un ammasso brulicante di galassie: Abell 1204 L'ultima immagine ci porta a circa 4,6 miliardi di anni luce dalla Terra, nell'ammasso di galassie Abell 1204 situato nella costellazione della Vergine. Questa immagine mozzafiato mostra migliaia di galassie, alcune grandi e spirali, altre piccole ed ellittiche, ammassate in un'area relativamente piccola del cielo. L'ammasso Abell 1204 è dominato da una galassia centrale gigante, visibile come una macchia luminosa al centro dell'immagine. La gravitazione di questa galassia gigante influenza il movimento delle altre galassie all'interno dell'ammasso, creando una struttura dinamica in continua evoluzione. Telescopio italiano VST, un tesoro di informazioni per gli astronomi Le immagini del telescopio VST rappresentano un tesoro prezioso per gli astronomi, offrendo loro una nuova finestra sull'universo e permettendo di studiare in dettaglio la formazione, l'evoluzione e l'interazione delle galassie. Grazie alla sua capacità di osservare vaste aree di cielo con un'elevata risoluzione, il VST ha già permesso di scoprire migliaia di nuove galassie e di ottenere importanti informazioni sulla struttura e sulla composizione dell'universo. Le future osservazioni con il VST continueranno ad aiutarci a comprendere meglio i misteri dell'universo e il posto che vi occupa la nostra galassia. Foto di WikiImages da Pixabay Read the full article
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“Tu (e la Cocaina)”: il nuovo singolo dei BOSCO tra relazioni tossiche e dipendenze
Esplorando un intreccio potente di amicizia, amore e dipendenza, la band dipinge un'immagine vibrante di eccessi, disfacimento e speranze infrante, in un viaggio emotivo alla ricerca frenetica di una via d'uscita luminosa.
I BOSCO lanciano per McFly Dischi / Ingrooves il singolo “Tu (e la cocaina)”, disponibile dal 22 marzo 2024 su tutte le principali piattaforme di streaming e in radio.
“Tu (e la Cocaina)” è una canzone che si addentra nelle profondità delle dipendenze, con un focus particolare sulle relazioni tossiche e l’isolamento.
Attraverso un testo potente e melodie ipnotiche, i BOSCO aprono una finestra su un mondo costellato di eccessi e desiderio di evasione. L'ispirazione arriva dalle atmosfere inquietanti e decadenti di Caligari e dalla periferia di Roma.
Il risultato è una narrazione cruda e intensa che rispecchia il disagio delle relazioni moderne.
Il singolo è un autentico viaggio emotivo, che guida gli ascoltatori attraverso un percorso pieno di alti e bassi nelle relazioni umane: momenti di pura gioia alternati a profonde riflessioni sulla malinconia.
“Tu (e la Cocaina)” anticipa la pubblicazione del nuovo EP della band romana, che vende la produzione artistica di Matteo Cantaluppi (TheGiornalisti, Dimartino, Ex Otago, Canova, Fast Animals and Slow Kids, Dardust, Tommaso Paradiso, Bugo, Dente), Andrea Messina (Bartolini, Cost, Levriero) e Gianluca Danaro (Sadside Project, 1789, Supernova Collective).
Storia della band
Bosco è nato a Roma e ci vive, ne parla, ne respira l’aria viziata sognando Berlino e Parigi.
Bosco crea: scrive ballate in bilico sui synth, tra le voci che si intrecciano ed i loop elettronici.
Bosco ascolta, assimila, prova, si prende sul serio quel che basta prima di farsi mandare affanculo.
Bosco è innamorato e non ne fa mistero, soffre, ride, si stona e vorrebbe non finisse.
Bosco è Daniele, Giulia, Francesco e Alessia.
Il progetto Bosco è nato a Roma da Daniele, Giulia, Francesco e Alessia e dal 2015 suona in giro per l’Italia. La band ha all’attivo un album (Era) e un tour nelle principali città italiane.
A gennaio 2024 i Bosco pubblicano per McFly Dischi / Visory Records il singolo “Leica”, che farà da apripista al nuovo lavoro: un EP di 6 tracce, di cui 3 realizzate in collaborazione con Matteo Cantaluppi (TheGiornalisti, Dimartino, Ex Otago, Canova, Fast Animals and Slow Kids, Dardust, Tommaso Paradiso, Bugo, Dente) e altre 3 con la produzione artistica di Andrea Messina (Bartolini, Cost, Levriero) e Gianluca Danaro (Sadside Project, 1789, Supernova Collective).
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