#filosofia della lentezza
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Il silenzio e il suo potere nascosto: riscoprire la bellezza della quiete. Ascoltare il silenzio per ritrovare sé stessi. Recensione di Alessandria today
Viviamo in un mondo pieno di rumori: traffico, notifiche, conversazioni continue, musica di sottofondo. Eppure, in questa frenesia, abbiamo dimenticato il valore di una cosa fondamentale: il silenzio.
Viviamo in un mondo pieno di rumori: traffico, notifiche, conversazioni continue, musica di sottofondo. Eppure, in questa frenesia, abbiamo dimenticato il valore di una cosa fondamentale: il silenzio. Non il silenzio vuoto, quello che spaventa, ma quello ricco di significato, che permette di ascoltare non solo il mondo intorno a noi, ma anche noi stessi. Il silenzio è una dimensione preziosa,…
#Alessandria today#armonia interiore#ascoltare il silenzio#bellezza della quiete#benefici della tranquillità#benessere interiore#camminare nella natura#concentrazione e silenzio#consapevolezza#Crescita Personale#distacco dal caos#equilibrio mentale#filosofia della lentezza#Gestione dello stress#gestire l’ansia con il silenzio#Google News#il potere del silenzio#il silenzio come risorsa#imparare a stare in silenzio#importanza della pausa#introspezione#Introspezione Profonda#italianewsmedia.com#la potenza dell’assenza di rumore.#l’arte del silenzio#l’equilibrio della solitudine#Meditazione#Mindfulness#minimalismo mentale#pace interiore
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(Christian Vogt, The Pair, 1987)
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"La francese" (Roberto Bolaño)
Una donna intelligente.
Una donna bella.
Conosceva tutte le varianti, tutte le possibilità.
Lettrice degli aforismi di Duchamp e dei racconti di Defoe.
In genere con un autocontrollo invidiabile,
Salvo quando si deprimeva e si ubriacava,
Cosa che poteva durare due o tre giorni,
Un susseguirsi di bordeaux e valium
Da far venire la pelle d’oca.
Allora di solito ti raccontava le storie che le erano successe
Fra i 15 e i 18 anni.
Un film porno e dell’orrore,
Corpi nudi e affari ai limiti della legge,
Un’attrice per vocazione e allo stesso tempo una ragazza con strani tratti di avidità.
La conobbi che ne aveva appena compiuti 25,
In un periodo tranquillo.
Suppongo che avesse paura della vecchiaia e della morte.
La vecchiaia per lei erano i trent’anni,
La Guerra dei Trent’Anni,
I trent’anni di Cristo quando aveva cominciato a predicare,
Un’età come un’altra, le dicevo mentre cenavamo
A lume di candela
Contemplando la corrente del fiume più letterario del pianeta.
Ma per noi il prestigio era altrove,
Nelle bande possedute dalla lentezza, nei gesti
Squisitamente lenti
Dell’esaurimento nervoso,
Nei letti bui,
Nella moltiplicazione geometrica delle vetrine vuote
E nella fossa della realtà,
Il nostro assoluto,
Il nostro Voltaire,
La nostra filosofia in camera e nel boudoir.
Come dicevo, una ragazza intelligente,
Con quella rara virtù, la previdenza
(Rara per noi, latinoamericani)
Che è così comune nella sua patria,
Dove perfino gli assassini hanno un libretto di risparmio,
E lei non sarebbe stata da meno,
Un libretto di risparmio e una foto di Tristán Cabral,
La nostalgia del non vissuto,
Mentre quel prestigioso fiume trascinava un sole moribondo
E sulle sue guance scendevano lacrime apparentemente gratuite.
Non voglio morire, sussurrava mentre veniva
Nel perspicace buio della camera,
E io non sapevo che dire,
Davvero non sapevo che dire,
Tranne accarezzarla e sostenerla mentre si muoveva
Su e giù come la vita,
Su e giù come le poetesse di Francia
Innocenti e castigate,
Finché non tornava sul pianeta Terra
E dalle sue labbra sgorgavano
Passaggi della sua adolescenza che all’improvviso riempivano la nostra stanza
Con doppioni suoi che piangevano sulle scale mobili della metro,
Con doppioni suoi che facevano l’amore con due tizi alla volta
Mentre fuori cadeva la pioggia
Sui sacchetti della spazzatura e sulle pistole abbandonate
Nei sacchetti della spazzatura,
La pioggia che tutto lava
Tranne la memoria e la ragione.
Vestiti, giacche di pelle, stivali italiani, biancheria intima da far impazzire,
Da farla impazzire,
Apparivano e scomparivano nella nostra stanza fosforescente e pulsante,
E cenni rapidi di altre avventure meno intime
Sfolgoravano nei suoi occhi feriti come lucciole.
Un amore che non sarebbe durato molto
Ma che alla fine si sarebbe rivelato indimenticabile.
Questo disse,
Seduta vicino alla finestra,
Il suo volto sospeso nel tempo,
Le sue labbra: le labbra di una statua.
Un amore indimenticabile
Sotto la pioggia,
Sotto quel cielo irto di antenne dove convivevano
I cornicioni del Seicento
Con le cacche di piccione del Novecento.
E in mezzo
Tutta l’inestinguibile capacità di provocare dolore,
Invitta attraverso gli anni,
Invitta attraverso gli amori
Indimenticabili.
Sì, ecco cosa disse.
Un amore indimenticabile
E breve,
Come un uragano?,
No, un amore breve come il sospiro di una testa ghigliottinata,
La testa di un re o di un conte bretone,
Breve come la bellezza,
La bellezza assoluta,
Quella che contiene tutta la grandezza e la miseria del mondo
E che è visibile solo a chi ama.
Roberto Bolaño da “I cani romantici”
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"Chi sei tu viandante?
Ti vedo andare per la tua strada, senza scherno, senza amore, con uno sguardo indecifrabile; umido e triste come uno scandaglio che da ogni profondità riemerge insaziato alla luce – che cosa cercava là sotto? – con un petto che non sospira, con un labbro che cela il suo disgusto, con una mano che afferra ormai solo con lentezza:
chi sei tu? che cosa hai fatto tu? Riposati qui: questo luogo è ospitale per ognuno – ristorati!
E chiunque tu sia: che cosa gradisci ora? Che cosa ti serve per ristorarti? Non hai che a dirlo: quel che ho, te lo offro!–
«Per ristorarmi? Per ristorarmi? Oh curioso che sei, che vai mai dicendo? Ma dammi, ti prego»-
Cosa? Cosa? Parla!–
«Una maschera ancora! Una seconda maschera!».
Friedrich Nietzsche, Al di là del bene e del male. Preludio di una filosofia dell’avvenire
Sentirsi riconosciuti è un aspetto importante per la nostra vita. Non si tratta di essere semplicemente accettati ma di essere accolti pienamente nel personale modo di essere-nel-mondo. La maschera sociale ha un ruolo nelle nostre vite, ma a volte può essere fonte di sofferenza, soprattutto quando diventa una difesa che si indossa per rendere la propria presenza qualcosa di sopportabile. Bisogna aver cura dell'autenticità e permettere a se stessi e a chi è vicino di perseguire la propria natura poichè, anche se celato dietro una maschera, il bisogno di riconoscimento non perde mai la spinta a perseguire la propria realizzazione; malgrado sia nascosto allo sguardo del mondo, continua a vivere in ognuno, in mute aspirazioni di accoglienza, quasi come un che di sospeso che fa capolino alle soglie della vita, in attesa di qualcuno che se ne accorga.
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Contiamo chi viene e chi se ne va, ma non raccontiamo chi erano e cosa hanno combattuto. La storia – quella che va al di là dei semplici manuali – è filosofia non tradotta, pezzi mancanti di significato che abbiamo perso.
Pierluigi Vizza, Diario fenomenologico
Quando si paragona la moltitudine infinita dei fenomeni della natura con i limiti del nostro intelletto e la debolezza dei nostri organi, che cosa ci si può attendere della lentezza dei nostri lavori, dalle loro lunghe e frequenti interruzioni e dalla rarità dei geni creatori, se non frammenti rotti e separati della grande catena che lega tutte le cose?
Denis Diderot, Pensieri sull'interpretazione della natura
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Meditazione: desiderio o necessità
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Quando l’essere umano ha scoperto qualcosa di nuovo, è stato sempre grazie ad un uso diverso della sua intelligenza. Ci sono attimi in cui le persone riescono a cambiare la modalità d’apprendimento ed attivare una modalità più avanzata.
La modalità classica ed inconscia, che tutti adoperiamo, è quella che si basa sulla memoria, lo studio, il ricordo e quindi sul passato. È un tipo d’apprendimento utile in certi contesti e dannoso in altri. Può essere utile per la conoscenza tecnica, dove devo avere una competenza pregressa prima di poter formulare valutazioni, interventi o espletare a livello pratico il mio compito, è totalmente dannoso a livello psichico, ma moltissime persone non se ne accorgono neanche.
Questa modalità non deve essere lasciata del tutto, è spesso un valido ausilio ma dobbiamo imparare dove ci è utile e dove non è utile. Anche nel contesto in cui si rivela efficace dobbiamo imparare quando è opportuno distaccarcene. In tutti i campi, infatti, si è rivelato molto più utile accedere ad un’attività mentale più energica. Se parliamo di genio artistico, di scienza, di filosofia o misticismo c’è poca differenza.
La percezione di una soluzione, una verità o un’ispirazione non verrà mai dal passato... non verrà mai dal movimento del pensiero e della memoria.
Perchè?
Il pensiero si basa sulla memoria già solo per essere in vita. Il linguaggio e le immagini che lo costituiscono sono già basati su un riferimento mnemonico (costruzione verbale, grammatica e parole così come immagini archiviate). Usato nel semplice contesto di formulare in parole concetti, il pensiero si rivela utile. La cosa cambia del tutto se invece il contenuto dei concetti viene formulato grazie al pensiero, in tal caso ha dei grossi limiti.
Non può essere innovativo, ovviamente, ma l'aspetto più sottile e grave è che si tratta di un pre-concetto, un pre-giudizio, in quanto germoglia da ciò che era lì a priori. Nella maggioranza dei casi non usiamo la mente per capire, ma per riformulare incessantemente il passato. Già nel progresso scientifico questo rallenta molto il nostro avanzamento; il vero genio che partecipa alla scienza sa benissimo che la verità arriva da una percezione, da una folgorazione e si ritrova a combattere con i pre-giudizi, con i concetti precedenti (pre-concetti) divenuti ‘leggi’. Forse in questo campo essere cauti può anche essere utile ma la lentezza che gli altri hanno a comprendere la verità, rallenta moltissimo la crescita che i geni potrebbero attuare.
Tutto è ancor più pericoloso in contesti più umani come quello sociale e psicologico.
Da qualsiasi punto lo consideriamo, quindi, il progresso dell’uomo è fermo o molto lento a causa di questa modalità d’apprendimento che non si stacca dal passato, dal pensiero e dalla memoria. Viene, invece, favorito dal distacco dalla memoria e l’innalzamento dell’energia mentale, dal porsi quesiti brucianti senza rispondere o anche semplicemente dal silenzio.
La stessa identica cosa può venir compresa dal mistico, dal filosofo, dal ricercatore dell’anima, da tutti coloro che vivono di percezioni e di silenzio. Il cammino è molto simile. La prima cosa che si dovrà capire riguarda la modalità d’apprendimento. Si deve capire che nessuna trasformazione può essere basata sui libri o sulle tecniche, anche fossero del più saggio tra gli uomini. Tali elementi sono d’aiuto a comprendere limitatamente la materia, ma poi si dovrà innalzare il modo d’imparare e si dovrà divenire un ricercatore attivo (come tutti i saggi hanno detto).
Il ricercatore ripiegherà dunque la sua mente a comprendere se stessa. L’osservazione diretta e distaccata renderà possibile la più avanzata modalità d’apprendimento: la consapevolezza. Impegnandosi ad osservare oggettivamente i fenomeni interiori nel loro insieme e senza scelta, con perseveranza, si vedrà dove tali fenomeni portano. Si sviluppa così discernimento delle conseguenze delle dinamiche mentali e nasce uno stimolo molto intenso: lo stimolo del pericolo.
Se mi attivo a comprendere in prima persona le mie attività mentali svilupperò sia la modalità più attiva (la conoscenza diretta), sia il discernimento e la competenza (la comprensione del pericolo) su ciò che osservo. Questo è l’aspetto della meditazione che porta la trasformazione genuina e un vero distacco dal pensiero psichico.
Sarebbe bene capire che se la mente ancora immatura si mette a ‘meditare’ sperando in un risultato che desidera: la pace interiore, il risultato probabilmente non è alla sua portata. Avendo appreso (in modalità d’apprendimento classica) che meditare porta la pace interiore, la mente vorrà solo il risultato.
In questo caso possono accadere due cose: la prima è che ci sarà un risultato illusorio (spesso dovuto ad auto-ipnosi) che non comporterà una vera trasformazione ma un veloce espediente piacevole, che la mente continuerà a cercare, guidata dal suo desiderio. Oppure, nel secondo caso, ci sarà molto conflitto, perché si creerà una battaglia tra ciò che è (il caos) e ciò che dovrebbe essere (la pace interiore); il conflitto porterà ad un aumento stesso del caos.
La mente, in questo caso, non è pronta al 'risultato’, che ha ‘letto’ e ‘appreso’ che dovrebbe accadere, ma lo desidera comunque. Non sta lavorando dove e come serve ma ‘pretende’ ciò che non può avere: se lo prende con l’inganno (risultato illusorio) o lo trasforma in conflitto (dualità).
Tutto questo perché sta saltando una cosa fondamentale: la comprensione diretta. Non ha cambiato modalità d’apprendimento! Si basa su una conoscenza indiretta invece deve imparare da sé.
La prima parte della meditazione (al nostro livello) consiste invece nel rimuovere le cause d’ignoranza e cambiare modo d’imparare, per poi approdare ad un risultato vero.
Se non ho competenza sulle conseguenze distruttive del desiderio, della paura e del dolore, se non so come e perché si generano e, conseguentemente, non ho sviluppato il naturale stimolo a distaccarmi da queste attività: come e perché dovrei fermarle? Se riesco a fermarle sarà solo per il desiderio del risultato, della pace interiore che diviene la mia ricerca di piacere. Sto agendo all’ombra dell’ignoranza.
L’errore dell’uomo è sempre quello di rincorrere il piacere, di confonderlo con la felicità e di non comprendere i gravi pericoli del desiderio: origine di ogni caos. Se anche la meditazione è spinta dal desiderio non è efficace a livello basilare, ossia non va a modificare le tendenze e i vizi della mente. Se, al contrario, ripiego la mente su se stessa e scorgo il desiderio, lo vedo agire, imparando le conseguenze che porta, allora sto meditando al mio livello! Un livello in cui il desiderio agisce ancora, ma la consapevolezza è intenta a capirlo o frenarlo. Se posso frenarlo ben venga, se non riesco lo osservo, senza partecipazione, così almeno ne vedo la pericolosità e sviluppo discernimento sul suo pericolo. Così nasce lo stimolo di intervenire a suo riguardo per necessità (e non all’ombra del desiderio).
Se una parte di me è intenta a capire la vera natura del desiderio, mi sto attaccando alla sola cosa sicura che ho: la consapevolezza che, prima di tutto, inizia a dissipare la mia ignoranza.
Così il mio intento di meditare non sarà più diretto dal desiderio di un risultato ma dallo stimolo della necessità e avrà anche un tempismo perfetto, competente, naturale e sano. Essendo attaccati alla sicura ‘attenzione’, alla consapevolezza, approderò allora senza deviazioni al risultato reale, alla pace interiore. Anche se mi ci volesse un po’ più tempo, ne vale la pena.
L’intento rimane ma è portato dalla competenza e non dall’ignoranza del desiderio. Il risultato rimane ma rimanendo saldi nella consapevolezza sono sicuro di non perdermi, di non farmi deviare dai ‘surrogati’ mentali della pace ‘desiderata’.
C’è un silenzio ottenuto con lo sforzo, mentre siamo alle prese con l’osservazione, ma è uno sforzo che diviene sostenibile perché siamo stufi di attaccarci ad una dinamica contorta. Nasce dalla saggezza e non dal desiderio. Comunque, finché la saggezza e il distacco non sono fioriti sufficientemente, il silenzio non si auto-sosterrà, è dunque indispensabile imparare a non partecipare, durante le attività mentali. Il punto è: restare dentro! Solo con una grande perseveranza giungeremo al silenzio che si sostiene senza sforzi o con sforzi minimi. L’importante è innalzare molto l'attenzione e ritirarla in noi. Restate sempre saldi in lei.
Dobbiamo rimanere saldi nella consapevolezza a prescindere da cosa si palesa nella mente e non desiderare qualcosa di diverso da ciò che si palesa. Questa è la chiave della meditazione.
Col discernimento arriviamo a meditare senza conflitti. Ci allontaneremo dal pensiero e dalla memoria senza neanche desiderarlo, semplicemente perché ci teniamo saldi all’attenzione/consapevolezza. E’ come prendere un treno che passa attraverso la mente e poi la supera. Guardate dal finestrino e, senza neanche accorgervene, arriverete al silenzio.
Se la meditazione è una necessità matura, nata dal discernimento, diventa sempre più facile.
Capendo dov’è la causa del caos (la partecipazione al pensiero) la eviterò per necessità, per disgusto! Ma questa comprensione arriva dall’osservazione diretta, onesta, distaccata e perseverante del mio animo. In questo caso avanzo alla modalità d’apprendimento più alta (consapevolezza) e scopro la verità. Ed è la verità a cambiarmi senza sforzi, non un mio desiderio e i suoi conflitti, come ricordava sempre Krishnamurti.
Il mio intento non è farvi astenere dalla meditazione ‘formale’ ma di farvi capire che la mente può sviluppare illusioni che deviano dalla vera meditazione e il suo scopo e solo uno spirito umile e maturo lo riconosce. Sviluppiamo tale maturità, ripuliamo la mente stando fermi, non muovendoci ancora all’ombra del desiderio. Offriamoci a questo purgatorio! Così approdiamo presto al silenzio vero, il riflesso della coscienza pura, che è vuota e silente di per sé.
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La pazienza è la virtù dei forti…. Da sempre questo principio è stato alla base della filosofia della famiglia #Lunelli che da 120 anni è impegnata nella valorizzazione del mondo vinicolo, senza mai prendere scorciatoie o scendere a compromessi. E questo concetto è espresso in modo incisivo nel loro ultimo vino , che prende il nome di “Carapace Lunga Attesa“, e nasce nella cantina Umbra @carapacecastelbuono realizzata dall’architetto #ArnaldoPomodoro proprio a forma di guscio di tartaruga, animale iconico che rappresenta lentezza e longevità. Le uve di #sagrantino vengono attentamente selezionate dalla vigna al Pozzo, dove si trovano le piante più anziane della tenuta, di oltre 30 anni. E , con il prezioso aiuto del loro bravissimo enologo consulente, @lucadattomawec , il vino viene prodotto con un lunghissimo affinamento di 7 anni che avviene in 3 diversi contenitori : l’acciaio, il legno di tini Tronco-conici , ed una piccola parte in #orci e #anfore di terracotta. Ne deriva un vino dai sentori che spaziano dalla prugna al tabacco, e dal grande equilibrio con un #tannino molto fitto ma arrotondato e avvolto da polpa e materia che lo accompagnano in un finale lungo e persistente, con una chiusura che vira quasi verso la dolcezza. Un vino nato con la vendemmia 2015 dopo 20 anni di lunga esperienza nella terra Umbra, che oggi vanta, come le altre tenute , la certificazione Biologica. Solo 4.000 bt, presentate in uno splendido evento in tenuta, e per ognuno dei presenti , è stata accantonata nella loro cantina una bottiglia con la possibilità di regalarla ad una persona speciale… che la riceverà tra 5 anni insieme ad un nostro pensiero espresso nel biglietto!!! …. A chi l’avresti regalata??? ———————————————— #followmywinepassion #vinotv #chiaragiannotti #vinoitaliano #winetime #italianwine #winelover #winetasting #tasting #feedyoursoul (presso Il Carapace di Tenuta Castelbuono) https://www.instagram.com/p/Cj5i46ntDJf/?igshid=NGJjMDIxMWI=
#lunelli#arnaldopomodoro#sagrantino#orci#anfore#tannino#followmywinepassion#vinotv#chiaragiannotti#vinoitaliano#winetime#italianwine#winelover#winetasting#tasting#feedyoursoul
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...Un’età come un’altra, le dicevo mentre cenavamo A lume di candela, Contemplando la corrente del fiume più letterario del pianeta. Ma per noi l’incanto era da tutt’altra parte, Negli angoli posseduti dalla lentezza, nei gesti Divinamente lenti Del disordine nervoso, Nei letti al buio, Nella moltiplicazione geometrica delle vetrinette vuote E nell’abisso della realtà, Nostro assoluto, Nostro Voltaire, Nostra filosofia da camera e da toilette.
La francese (R. Bolano)
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#Repost @ffranchi ・・・ Oggi su #ROBINSON in edicola con @larepubblica #Ciclosofia --
Era il simbolo della fatica, oggi è un modo di essere. Nella giornata dedicata alla bicicletta raccontiamo i motivi del suo successo. Una passione diffusa spiegata da antropologi, storici e artisti. Che tra ecologia, libertà ed elogio della lentezza ne fanno la bandiera di una filosofia di vita. E del nostro futuro ... #bicicletta #bicycle #editorial #inspiration #robinson #italia #italy #magazine #graphicdesign #editorialdesign
#magazine#italia#repost#robinson#editorialdesign#italy#bicicletta#graphicdesign#editorial#ciclosofia#bicycle#inspiration
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daria m. capece – il tempo della filosofia – la lentezza della luce Daria M. Capece è una filosofa. Il suo intervento si intitola "Il tempo della filosofia". Il suo contributo si inserisce nell'ambito del progetto "La lentezza della luce: una riflessione corale" organizzato da Studio Campo Boario.
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Il tempo come custode della memoria: il valore dell’attesa e della consapevolezza. Recensione di Alessandria today
Rallentare per comprendere: il viaggio dell’anima attraverso il tempo
Rallentare per comprendere: il viaggio dell’anima attraverso il tempo Viviamo in un’epoca in cui tutto scorre troppo velocemente. Gli impegni si accumulano, le notizie si susseguono senza sosta, il tempo sembra sfuggire di mano. Eppure, nel caos della quotidianità, esiste un valore nascosto nell’attesa, nel saper rallentare per osservare, per comprendere davvero ciò che ci circonda. Il tempo…
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La specificità dei linguaggi artistici.
Il post precedente è incompleto, corre il pericolo d’esser tacciato di superficialità. Vediamo di completare “parlando d’altro”.
Malgrado la sordità intervenuta in vecchiaia, ero e sono (con l’aiuto di cuffie e ammenicoli di riproduzione vari) un buon ascoltatore di musica. Lo devo a mia madre, pianista fallita, e all’assoluto scoordinamento fra il mio cervello e i miei arti, una sorta di dislessia che mi ha costretto a constatare fin da piccolo l’impossibilità di suonare qualsiasi strumento. Quindi mi sono ridotto ad ascoltare. Ma lo faccio con attenzione. Per esercitarla però, anche in senso generale e non solo nell’ascolto della musica, ci vuole il silenzio assoluto, in qualche modo accostarsi a quanto è stato creato, appunto, nel silenzio. “Via, quindi, dalla pazza folla”, via dalla musica di sottofondo, di contorno o di riempimento, perché ci vuole il silenzio assoluto per ascoltare fino in fondo, condividere, assimilare quanto è stato creato nel silenzio.
Accettata la contraddizione denunciata nel post precedente, non mi rimane che dedicarmi a puntualizzare cosa intendo per specificità del linguaggio artistico adottato per comunicare. Il caso di quello musicale è emblematico, più di quelli visivo, letterario o cinematografico ecc. Ci ha tentato John Cage a introdurre Duchamp nell’ascolto1, ma con risultati piuttosto dubbi e la musica ha continuato imperterrita sulla sua strada, sperimentando, mescolando campi e tendenze musicali diverse, concentrando l’attenzione sul folk, le tradizioni etniche, la specificità degli strumenti (il loro interno, la gamma e diversità degli armonici ecc). Sembra una banalità affermare che l’organo principe attraverso il quale passa la comunicazione musicale sia l’orecchio: i sordi come me sono tagliati fuori da concerti, gazzarre con altoparlanti e quant’altro. Il cervello esige che dei suoni arrivino al suo interno prima di emettere il giudizio che ne decreterà l’importanza o almeno la sufficienza. Sembra una banalità, ma condiziona la vita stessa del linguaggio musicale, al punto che la critica viene svolta praticamente solo dagli esecutori attraverso le scelte del loro repertorio (i critici, i musicologhi contano poco). L’esecutore è comunque anche lui un artista, dalla sua c’è la capacità di tradurre in suono l’invenzione del compositore o quando questi viene escluso, come nel caso del grande Jazz, a sostituirlo del tutto, affidando il messaggio al “momento” dell’esecuzione.
Queste non sono banalità se passiamo a esaminare altri linguaggi. Lasciamo da parte quello visivo, perché vengo spesso tacciato di essere di parte, e facciamo l’esempio di quello cinematografico. Cosa intendo per sua specificità? La formula è applicabile a qualsiasi linguaggio artistico, certo alla musica, ma anche al teatro, alla fotografia, alla letteratura, alla cucina (perché, quella culinaria non è arte?) ecc ed è questa: un’opera artistica è tale quando, nel linguaggio prescelto per comunicare bontà, piacere, liberazione, catarsi insomma, e far pensare, esiste una sorta di insostituibilità. Per essere precisi, il nucleo della comunicazione non può essere trasmesso in altri linguaggi: se non conoscete l’italiano o Il tedesco non potete apprezzare appieno né Dante, né il Faust, c’è poco da fare. Rispetto a questa affermazione talebana non accetto compromessi, anzi preciso che il male che ha colpito il linguaggio visivo è proprio la confusione instaurata da quando questo, quasi un secolo fa, ha espresso un interesse eccessivo, manifestazione evidente di complesso di inferiorità, nei confronti della letteratura e quindi anche della filosofia, insomma del pensiero esprimibile con un linguaggio non artistico: la lingua franca, appunto.
Per rimanere con gli occhi aperti senza necessariamente palare dell’Arte Visiva, anche il cinema corre chiaramente questo pericolo, ma se avete apprezzato per esempio film come Stalker di Tarkoswsky o Taurus di Sokurov o Una moglie di Cassavetes o Satantango di Bela Tar, dovete darmi ragione: la lentezza con cui il secondo dei russi fruga nell’agonia di Lenin, non ha pari in nessuna letteratura, non è esprimibile altrimenti che attraverso la sequenza dei quadri inventati da quel regista; la fantasmagorica frenesia del “teatro” messo in piedi da un Cassavetes non ha niente a che fare con il racconto: la narrazione, la storia sono insignificanti e io non sto certo qui a specificare il miracolo della splendida unione matrimoniale tra Gina Rowlads e Il tenente Colombo (Peter Falk): soltanto il cinema ha potuto rendere l’unicità del personaggio e far tramontare il racconto letterario.
Che dico! Quale eresia è scappata dalla mia boccuccia infame. Perdonate, non volevo essere il boia della letteratura. Per chi non se ne fosse reso conto, sto scrivendo. Non faccio dell’arte però, non lo pretendo: uso anch’io la lingua franca, ma so benissimo quale sia la specificità della letteratura e della poesia, so bene che il racconto non è tramontato, grazie a Carver, grazie a Wallace, a Gadda, a Grazioli (Luigi). L’immensa potenzialità delle Belle Lettere comprende la Paesologia di un Arminio, l’enciclopedismo un po’ faticoso di un Belpoliti, il parlato di Tillie Olsen ecc., ma è a parole, non può esserlo in altro modo, per esempio col cinema. Oggi la letteratura pecca di cinema esattamente come quest’ultimo di letteratura, ma è un altro discorso.
Per concludere il post, rimandando (forse) la difesa della necessità delle mie banalità ad altre occasioni, dirò che il microscopio elettronico ci ha regalato il coronavirus (prima si moriva senza saperlo), la complessa apparecchiatura di ripresa di Taurus la Morte di Lenin (una, almeno una, morte eccellente, saputa fino in fondo); e se non capite cosa intendo con questo accostamento, peggio per voi: un po’ di mistero condisce anche una letteratura che non pretende di essere artistica, ma semplicemente critica.
FDL
1. Ma di ascolto sempre si tratta in 4’ e 33”: allo scopo di far intervenire i rumore della platea, la musica si interrompe per quest’intervallo, ma poi riprende.
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Modello Snark: network, creatività, progetto, territorio
di Gaspare Caliri e Sonia Fanoni - pubblicato su Ticonzero, n° 3/2010
Non c’è nulla di nuovo, oggi, nel parlare di interdisciplinarità, o di multidisciplinarità, specie nel mondo della progettazione per lo spazio pubblico. In questa sede si vogliono esporre le peculiarità di “Snark – Space making”, network multidisciplinare orientato alla collaborazione, ma de facto azienda di progettazione urbanistica e territoriale, dedita alla messa a punto di servizi per la governance e di policy design dello spazio condiviso, fortemente caratterizzata da un flusso organizzazionale “creativo”, dove i know-how delle varie discipline implicate (architettura, management, geografia, semiotica) trovano cittadinanza in istanze operative, più che teoriche, e operano una performance creativa e progettuale in un terreno neutro generato proprio dall’occasione di progetto. -- Non è una novità sentire parlare di interdisciplinarità nella progettazione per lo spazio pubblico, o in studi professionali che, in generale, si occupano di territorio o di progettazione territoriale. Da quando è parsa chiara l’insufficienza degli approcci della vecchia pianificazione territoriale, la cui crisi oggi è al centro di un dibattito a scala internazionale che travalica ormai le sue singole manifestazioni nazionali, è emersa l’importanza di approcciarsi a modelli di complessità. Di conseguenza, ad architetti, urbanisti e pianificatori si sono affiancati, per le questioni di progetto relativo al territorio, figure provenienti dall’economia, dal management, dal marketing, dalle scienze sociali.
1 – Progettazione territoriale, nuove interdisciplinarità
Sono le stesse municipalità[1] ad avere recentemente iniziato a creare la domanda per approcci interdisciplinari, per far fronte alla necessità complessa di abbattere le barriere tra ricercatori, progettisti, clienti e city-user, e per riflettere in modo più sinergico su processi di governamentalità (o governance, per usare un termine più adeguato per la progettazione territoriale odierna), su strategie basate su network di attori, su sistemi bottom up di manifestazione delle esigenze delle città e dei territori. L’obiettivo della pianificazione del futuro è insomma di coinvolgere, nei processi decisionali, strumenti di planning di diversa derivazione, che provengano dall’architettura, dall’urbanistica, ma anche dall’ubiquitous computing, dall’analisi sociale, dal mondo dei social media. Per far fronte a queste esigenze, esistono già esempi – anche italiani - interdisciplinari o multidisciplinari impegnati in approcci simili. Ne riportiamo un paio. Uno dei casi più interessanti e famosi deriva dall’esperienza di Avventura Urbana di Torino[2], associazione di progettazione urbana partecipata con un ampio ed eterogeneo ventaglio di attività (dall'elaborazione di programmi di riqualificazione urbana, piani strategici e azioni di sviluppo di spazi pubblici a quella di eventi di democrazia deliberativa per le politiche pubbliche) che mirano alla gestione creativa sia delle politiche pubbliche che delle iniziative di intervento private in atto nel territorio. Il metodo di lavoro impiegato, vista anche la varietà dei progetti seguiti, non è strettamente proceduralizzato, bensì in progress e contingente, caratterizzato da un continuo e parallelo arricchimento di conoscenza ma soprattutto dal coinvolgimento diretto ed effettivo dei destinatari delle iniziative progettuali, che vengono a ragione inclusi nella polifonia decisionale per lo sviluppo di prodotti e il raggiungimento di soluzioni efficaci e condivise. Esiste anche, su un versante più accademico-progettuale, e a una scala più ampia, il caso dello studio di architettura Carlo Ratti Associati[3], organizzazione interessante, oltre che per le aree progettuali coperte o per le singole soluzioni proposte, per la scelta di appoggiarsi, nelle attività di ricerca e sviluppo, alle ricerche accademiche condotte dal SENSEable City Laboratory, diretto dallo stesso Carlo Ratti, del Massachussets Institute of Technology (MIT) di Boston[4]. I progetti di ricerca in questione, benché svolti in ambito universitario, si articolano in proposte estremamente operative, che lo studio utilizza in chiave progettuale e di filosofia aziendale[5]. Di nuovo, quindi si nota come l'ampliamento degli attori e dei punti di vista coinvolti sia funzionale alla buona riuscita di organizzazioni che fanno della sinergia di attività e di pensieri il loro vantaggio competitivo[6]. Il caso di Snark, che qui vorremmo presentare, è un esempio di piattaforma progettuale, di nascita molto recente, che in qualche modo si distacca dai modelli già presenti di interdisciplinarità, per sviluppare un approccio multi-operativo, snello e flessibile, e in qualche modo “creativo”, riferendoci con questa espressione a quanto affermato in letteratura a proposito di modelli di creatività organizzazionale. Vorremmo cioè proporre un caso-studio che potrebbe diventare un modello di studio professionale di progettazione territoriale, che, a fronte di una volontà di darsi uno statuto e un riconoscimento come entità quasi-fissa, nei fatti sia dipendente da modelli organizzativi di network mobili di professioni e know-how diversi. Un modello che, come vedremo, in un certo senso si avvicina a quanto analizzato nella creolizzazione e ri-territorializzazione disciplinare della microfisica da Peter Galison, nel suo Image And Logic (1997). Infine, cosa forse ancora più importante, un modello che si avvicina più a una realtà aziendale, per una serie di caratteristiche che illustreremo, piuttosto che a uno studio tradizionale, caratterizzato invece generalmente da dimensione artigianale, non replicabilità del progetto, relazione univoca tra singolo progetto e committente, così come tra progetto e fornitori - o consulenti - e tra progetto e comunicazione.
2 – Snark – space making
“Snark – Space Making”[7] è un network interdisciplinare che coinvolge architetti, urbanisti, geografi, semiologi, economisti ed esperti di management, giornalisti. I temi che tratta riguardano, in senso lato, la progettazione urbana, con una particolare attenzione a tecnologie di comunicazione mobile e di geolocalizzazione. Snark studia soluzioni per il reale e il virtuale a varie scale: dallo spazio pubblico di un quartiere alle macro-aree regionali, per cui è necessaria un’ottica di progettazione strategica. Gli approcci e i servizi che offre sono molteplici: spaziano dall’analisi etnografica ed etnosemiotica, al light urbanism, allo studio di fattibilità strategico-territoriale, al concept di dispositivi di partecipazione, di piattaforme informatiche, di social media. Il gruppo di lavoro è nato per un’occasione concorsuale, e anche questo fa di Snark un caso studio interessante per il mondo del design di best practices urbane e territoriali. Nella fattispecie, si trattava di progettare una strategia di riqualificazione urbana per un’area del centro storico di Modena, per il concorso di idee ModenaCambiaFaccia, indetto dal Comune di Modena nel 2007. Fin da subito, è stato chiaro come gli obiettivi richiesti dal concorso portassero alla messa a punto di un ambiente di progettazione non limitato alla sola urbanistica tradizionale. Si è dunque messo in moto il network di contatti professionali delle persone che oggi compongono Snark; il pool di competenze non è stato costruito gerarchicamente, o scomponendo l’iter del processo di progettazione secondo per focalizzare, in maniera discreta, i vari know-how necessari. Per una sorta di chiusura “autopoietica”[8] del network, la squadra di lavoro si è attestata su quello che è poi diventato il nucleo dei fondatori di Snark: cinque persone provenienti dall’architettura, dalla semiotica, dalla geografia, dal management e dalla comunicazione.
- Chairsharing
Il caso di Modena è utile anche per esemplificare l’evoluzione di Snark; la proposta progettuale con cui il collettivo di professionisti si è presentato al concorso, a seguito di un’analisi sul campo e di uno studio di fattibilità, consisteva nello sviluppo del progetto SlowMOde, un’idea di intervento urbanistico “leggero” (detto light urbanism), basato su un concept di lentezza virtuosa, di indugio e fruizione meditata degli spazi e delle possibilità già presenti in nuce nel quartiere, da sviluppare poi con i mezzi della progettazione effettiva. A questa prima fase di progetto ne è seguita un’altra, commissionata direttamente dal Comune di Modena, per sviluppare, tra tutti gli aspetti della prima proposta, quelli più “connaturati” all’arredo urbano, cioè il progetto di “sedute pubbliche”. Anche in questo caso, non si è trattato di un movimento di estrazione e sviluppo autonomo di un elemento progettuale astratto dal contesto, ma di un’orchestrazione di servizi attorno a quello che doveva semplicemente essere una seduta urbana, una panchina “evoluta”. Seguendo un approccio stratificato – al pari e anche maggiormente della prima occasione di progetto – il risultato di questa seconda fase è stata la messa a punto di un servizio di condivisione di sedie per lo spazio pubblico, prelevabili e riconsegnabili da una rastrelliera, come in un bike-sharing, chiamato, coerentemente con le sue familiarità, è chairsharing[9]. Ogni sedia è stata progettata per essere anche un’antenna WiFi in grado di offrire connettività gratuita ai city-user; al servizio è stato affiancato un sistema di strumenti che recuperano una visione di insieme tendente alla riqualificazione del quartiere, tra cui una fidelity-card di raccolta punti legata all’uso delle sedie, un sistema di mapping, un portale web che crea prossimità virtuale, tramite mappe interattive, con le risorse sostenibili della città. La complessità del progetto dà conto, anche solo a fronte di una veloce descrizione, dell’intreccio di know-how che ha implicato, come del risvolto “creativo” e “innovativo”, nelle accezioni che descriveremo a breve, del lavoro di Snark. Di tutto questo processo di progettazione, ci interessano soprattutto alcuni aspetti tipici del modo di lavorare che contraddistingue l’organico di Snark. La storia che porta dal primo concept alla consegna del progetto esecutivo di chairsharing non è stata senza soluzioni di continuità, sia temporali che fisiche. I progettisti, benché conoscessero tutti a fondo la realtà modenese, vivevano e vivono dislocati in diverse città nel mondo (Barcellona, Londra, Bologna, Milano, Washington); i momenti chiave delle decisioni, del processo creativo e progettuale sono avvenuti spesso tramite riunioni virtuali, condivisione file e istant messaging via VoIP (Skype) e quasi in nessuno dei casi in una stanza con presente tutta la compagine. La vicenda di chairsharing è inoltre costellata di momentanee soste nel processo di progettazione e di avviamento in parallelo di altri progetti. Una condizione di progetto che in realtà non ha comportato una perdita di efficacia, ma anzi occasioni di crescita tramite la condivisione del progetto stesso, ancora in fieri, con altri nodi (spesso anche esterni) del network di Snark e attorno a Snark. In questo modo chairsharing si è confrontato e arricchito grazie all’accostamento con altri progetti, sviluppati parallelamente: tra gli altri, un piano strategico territoriale per un distretto culturale, un sistema di social media logistico-qualitativo per un bikesharing evoluto, un modello di coabitazione sociale, un processo di riqualificazione culturale a varie scale su un centro di aggregazione infantile, varie mappature. E, chiaramente, vale viceversa. FIGURA 1 – Il sistema di loghi, che ripercorrono gli usi possibili, per la comunicazione coordinata di chairsharing. L’evoluzione progettuale di chairsharing ha poi visto un momento (dilatato anch’esso, e ancora in evoluzione) di campagna promozionale, tramite social media e media tradizionali.
– Network e azienda
L’assenza di una “sede” dove raccogliere fisicamente le presenze dei progettisti è compensata da uno “sforzo” (in termini economici) quasi naturale per massimizzare, a causa della distanza, le comunicazioni e l’efficienza della condivisione. Non solo: se parliamo di network è proprio perché ogni componente del gruppo di lavoro non è un singolo elemento, è un nodo della rete che raccoglie e sfrutta il suo sotto-network per favorire la creatività e l’innovatività delle proposte di Snark. La distanza si tramuta dunque in moltiplicazione di ambienti di riferimento e di stimoli che ognuno di questi milieux può produrre. Una delle conseguenze dell’approccio al lavoro di Snark è la moltiplicazione procedurale; avere molte possibilità di input e di output, e la potenzialità di una rete non gerarchica, crea una notevole flessibilità, e quindi la possibilità di Snark di inserirsi, a seconda dei casi, nei vari momenti del processo di progettazione territoriale. In questo sta una delle principali differenze – professionali – rispetto ad altri casi di gruppi di progettazione interdisciplinare: esempi come Avventura Urbana o Carlo Ratti Associati, infatti, si concentrano comunque su fasi abbastanza precise del percorso che un progetto di urbanistica deve compiere; il primo sulla fase preparatoria, per così dire (e dei momenti di emersione partecipata delle esigenze della popolazione), il secondo – riassumendo - sulla ricerca e sullo sviluppo di strumenti tecnologici utili a una fase più avanzata. La flessibilità di Snark posiziona invece il suo intervento indifferentemente sui vari momenti di quel percorso. In questo, Snark si avvicina allo spirito con cui l’azienda spagnola Santa&Cole, partner di progetto e fornitore per chairsharing (nonché leader per la fornitura dell’arredo urbano di Barcellona), si presenta: un’idea di curatela del progetto, non legata necessariamente a impianti di produzione di prodotti o servizi, ma capace di aggregare a sé quella rete di esecutori e di competenze di volta in volta necessaria al progetto. Quanto alle dinamiche aziendali, anche in questo caso chairsharing è un esempio utile. Il modo in cui Snark pensa ai suoi progetti non è come eventi unici e isolati, ma come pacchetto di prodotti e servizi. Chairsharing è un progetto per Modena, ma è un prodotto che, ora, fa parte dell’offerta di Snark; e ciò avviene anche per altri progetti, sviluppati ancora per occasioni concorsuali o per altre spinte. In uno studio, generalmente, se la partecipazione a un concorso di progettazione non ha esito positivo, il progetto in questione viene accantonato. La visione aziendale di Snark pensa invece ai concorsi come momenti utili per sviluppare servizi e prodotti da mettere nel proprio sistema di offerta. Anche in questo caso, ci sembra interessante – e, ancora una volta, sintomatico di un modello nascente – l’accostamento tra il network flessibile (visione orientata al progetto) e l’azienda (discorso orientato al management e al marketing). È centrale, per leggere un incastro di questo tipo, ancora uno sguardo all’interdisciplinarità e alle teorie sulla creatività.
3 – Interdisciplinarità e complessità territoriale
È sicuramente difficile tracciare una teoria dell’interdisciplinarità aziendale. Prendendo ad esempio la proposta sviluppata da Newell nel suo articolo “A Theory of Interdisciplinary Studies”, e il dibattito che questa ha generato[10], si nota subito come il discorso sull’interdisciplinarità sia principalmente focalizzato su questioni accademiche, più che operative. Newell segnala questioni terminologiche, epistemologiche, “barriere” tra paradigmi. Considera l’interdisciplinarità come un punto di arrivo piuttosto che di partenza, una missione da perseguire con fatica. C’è chi, come Bailis (2001), sottolinea come l’interdisciplinarità sia un “risultato” solo perché ne è possibile estrarre gli elementi discreti con il senno di poi. Con riferimento a Modena, l’interdisciplinarietà non è stata stabilita secondo una segmentazione dell’a priori teorico, ma è emersa nei risultati fattuali di un lavoro di ricerca sopra un oggetto di analisi complesso come il quartiere di una città. Del resto, se un’interdisciplinarietà è possibile solo a partire dai risultati, lo stesso vale per le fasi del suo agire, che possono solo essere ricostruite, non costruite. Nel caso di Snark, le questioni dei confini tra le discipline non sono materia progettuale, ma delle attività di ricerca dei componenti del network, in ambienti diversi rispetto quello operativo, per così dire. Eppure, la validità interdisciplinare è senza dubbio una conditio sine qua non per il progetto urbanistico e territoriale, specie in un mondo come quello delle “best practices” di governance. Newell riconosce che l’approccio pluridisciplinare diventa necessario nel momento in cui si trattano problemi complessi, quindi anche in questo caso, parlando di città e di nuovi modi di affrontare la questione progettuale nelle complesse dinamiche territoriali. Eppure, il passo successivo affrontato in letteratura - da Newell, ma anche da Meek (2001) - è la messa a fuoco di un “protocollo” che sistematizzi e renda replicabile una procedura interdisciplinare. La proposta che qui avanziamo è che il protocollo non si possa posizionare, nel caso di Snark, cioè di un network “curatoriale”, come si diceva sopra, nella fase di concept e progettazione vera e propria, quanto nella gestione aziendale (e di project management) della messa a frutto (come prodotti e servizi) dell’offerta.
– Governance e Trading Zone interdisciplinare
L’approccio alla “trans-disciplinarietà” di Snark è più simile a quello di Pier Carlo Palermo, che di fatto lavora su qualcosa che è a tutti gli effetti multidisciplinare. Palermo (2009) parte da problemi che riguardano più direttamente l’urbanistica e sposta l’interesse verso un ambito “laterale” dalla teoria che la riguarda, cioè le urban policies e i government tools. Di fatto egli compie un’operazione interdisciplinare, ma solo alla luce di una necessità operativa, non eminentemente teorica. Palermo inquadra problemi che non riesce a risolvere con l’urbanistica tradizionale e quindi cerca altrove strumenti alternativi. Per fare urbanistica oggi, sostiene Palermo, non basta più dotarsi di strumenti quali lo zoning urbanistico, ma bisogna occuparsi di government tools in grado di essere operatori attivi nelle città. Il processo che ha portato al tipo di interdisciplinarietà che vorremmo qui esporre è stato molto simile. In un certo senso, abbiamo messo tra parentesi il “problema” dell’interdisciplinarietà; per Snark è un “taken for granted”, una macro-questione, che non è stato necessario affrontare in prima istanza, ma che semmai emerge dal processo, dal prodotto, o meglio, dall’”assemblaggio”, per usare un termine caro alla Actor Network Theory (ANT) proposta da Buno Latour (2005). Le discipline “di partenza”, autonome, rimangono tali (visione dall’esterno); o meglio, non vengono direttamente spese nell’interdisciplinarietà. I loro rapporti, le loro intersezioni, la loro segmentazione reciproca emergono solo “in vitro”, una volta raggiunto il risultato operativo. Realtà come Snark trovano cioè un terreno “terzo” dove le differenze disciplinari non sono pertinenti, e dove si crea un modo di lavorare, una “procedura”, che non ha a che fare con i paradigmi di partenza. Per parlare dell’approccio di Snark, che mette insieme – nel processo – analisi e progetto, appare più utile rifarsi a Peter Galison. Galison, in Image And Logic, analizza la difficoltà, specificamente nella microfisica, di trovare un’unione ottimale e fruttuosa tra comunità scientifica sperimentale e comunità scientifica teorica. Il dato di partenza è l’impossibilità di condivisione delle due comunità, se considerate per dinamiche interne ed esterne. Un microfisico “sperimentale” fa i suoi esperimenti, legge libri di sperimentali e va ai convegni degli sperimentali. Può non incontrare mai un teorico. Stesso dicasi per i “teorici”. Eppure esistono casi (come quello dei fisici e degli ingegneri della Room 4-133, una stanza del Rad Lab dell’MIT creata nel 1940) in cui le barriere appena elencate vengono meno, e si crea una terza comunità che fa da “ponte” tra le prime. Non esiste, secondo Galison, una “soglia” di traduzione tra le prime due comunità, ma un “territorio di attrito”, una Trading Zone, in cui la compresenza, la prossemica spaziale, le pratiche implicate consentono la nascita di una zona neutra, di una comunità “creola”, di un “pidgin”. “I fisici e gli ingegneri della Room 4-133, quando montano insieme un nuovo circuito, non sono impegnati in processi di traduzione, né producono commenti “neutrali”: stanno semplicemente lavorando a un nuovo, potente linguaggio, valido localmente, che possa coordinare le loro azioni.” [Galison 1997: 833, trad. nostra] L’importanza di un terreno terzo e del “luogo” mediatore ci fa pensare alle pratiche di Snark – le call conference, la condivisione in remoto, e soprattutto la necessità di affrontare nuovi problemi alla progettazione territoriale – come a un esempio di border-crossing Trading Zone. Si tratta di una de-territorializzazione disciplinare e di una ri-territorializzazione operativa, che oltre distinzioni come tra “teorici e sperimentali”. Semmai si dirige verso un terreno di “innovatività” e “creatività” nuovo. 4 – Creatività Si è finora sottolineato come la risoluzione di problemi, in particolare grazie a nuovi approcci alla progettazione territoriale, sia la principale missione di Snark. Lo svolgimento stesso di questo ampio “problem solving” è, più che le singole proposte progettuali elaborate, l'area di applicazione in cui si concentra maggiormente l'attività creativa del gruppo Snark. Se l'ormai consolidato abuso del termine “creatività”, sommato alla dinamicità dello stesso, può creare incomprensioni, un riferimento alla letteratura è senza dubbio utile per ridefinire l'area di indagine; in particolare l'evoluzione del concetto tra XIX e XX secolo, tracciata da Walter Santagata, sembra un ottimo punto di partenza. Santagata (2004) mostra, infatti, il passaggio da una caratterizzazione intellettuale e psicoanalitica della creatività, rappresentabile con l'immagine del “genio romantico” all'idea di creatività come atto del cervello umano, che prende la forma di un processo. La tesi sostenuta è il progressivo collasso dei due modelli fino al raggiungimento, nel XXI secolo, di una sorta di sintesi che vede l'aspetto processuale evolvere in procedurale, evidenziando inoltre le dimensioni emozionale, fisica e contestuale. “La creatività è considerata come un processo caratterizzato da una doppia natura: socio-estetica e organizzativa.” [Santagata 2004: 5] Nell'epoca dell'economia della conoscenza, in cui per le aziende la differenziazione dell'offerta non ha più nulla o quasi a che vedere con la qualità dei prodotti, è proprio la creatività, intesa quindi nel suo aspetto procedurale, a costituire il vantaggio competitivo. Organizzazioni “creative” possono dunque lavorare in modo più produttivo ed efficace di altre. Ma ciò che rende un’organizzazione creativa è la presenza contestuale di numerose caratteristiche e contingenze idiosincratiche, tanto complesse che sistematizzarle in un modello che le comprenda tutte sembra essere estremamente arduo, se non impossibile. Uno di tali aspetti, oltre alla creatività individuale dei soggetti coinvolti, è la citata dimensione contestuale, la cui importanza implica inoltre la rilevanza di quella sociale. Amabile (1988) e Woodman, Sawyer & Griffin (1993) sostengono che i fattori correlati all'ambiente di lavoro siano importanti antecedenti alla nascita di attività creative. Speculazioni sui network sociali sembrano mostrare come legami “deboli” siano a tal fine più efficaci di legami “forti”, cioè come posizioni periferiche con numerose e frequenti connessioni esterne al network conducono più probabilmente ad output creativi e potenziali innovazioni, in quanto facilitano l'accesso a un'ampia varietà di alternative: “An individual working within diverse contexts more likely will be exposed to different and unusual ideas.” [J.E. Perry-Smith, e C.E. Shalley 2003: 92] Le caratteristiche dell'organizzazione di riferimento creano il contesto di influenza che opera sia sui singoli individui che sui gruppi da essi composti, e influenza la creatività dei loro output. L'organizzazione di Snark, per definizione non gerarchica e decentrata, sembra corrispondere al modello dei legami deboli e minimizza, grazie all'eterogeneità non solo delle competenze presenti, ma anche dei network di appartenenza (e quindi delle sfere di influenza a cui i singoli membri sono soggetti) le possibilità di stagnazione delle idee e cosiddetto “groupthink” (Janis 1972). Infine, la creatività è per definizione[11] considerata un bene di natura pubblica, il cui effetto, secondo Thompson (2003), è la produzione di idee “nuove e utili”. Quale può essere dunque il rapporto tra l'utilizzo di un bene pubblico come leva per un attività che coinvolge la progettazione di uno spazio anch'esso pubblico? E ancora: esiste un ideale di utilità condivisa da tutti i fruitori di un sistema complesso quale lo spazio pubblico? Certamente un'organizzazione che intenda affrontare tali problematiche necessita di un altissimo grado di flessibilità e di ampiezza delle prospettive contemplate. Ciò è necessario al fine di trovare soluzioni creative che sintetizzino, nel modo più originale e funzionale, le numerose e variabili esigenze dei portatori di interesse coinvolti, ma soprattutto per innovare realmente rispetto alle soluzioni precedentemente proposte. E l'innovazione avviene solo con l'implementazione delle idee. 5 – Conclusione Si accennava sopra alle best practises, in riferimento alla produzione di strumenti per la governance e per la progettazione strategica territoriale. Abbiamo elencato alcuni elementi – tra cui la flessibilità del network, l’interdisciplinarità, la creatività – da cui osservare il modo in cui un’azienda come Snark affronta la questione della complessità territoriale. Sintetizzando per punti le dinamiche organizzative tipiche del Modello Snark, sottolineiamo:
progettazione interdisciplinare costante
relazioni che sfruttano la dinamica del network aperto
modalità di lavoro non per fasi ma per progetto
concorso come momento per il confronto interno oltre che esterno ed esercizio di crescita del team
replicabilità del progetto, che diventa prodotto e/o servizio
management e marketing aziendale
Si è quindi segmentato il punto di vista in due prospettive utili: quello della progettazione vera e propria, e quello del management aziendale. A questa divaricazione vorremmo tornare per concludere. Non esiste solo il piano progettuale, quello del territorio, dove si crea la necessità di pensiero laterale, della costruzione di una Trading Zone, di una sufficiente flessibilità in grado di affrontare variabilità di scala, di problemi, di approcci. Esiste anche un altro piano, quello del management, che è in grado di operare, sul territorio, una valutazione di comparazione in grado di trasformare l’episodio isolato (a misura di studio) in offerta di servizio o di prodotto. Anche in questo si basa l’idea di best practice: sulla possibilità di fare di un’esperienza un modello. BIBLIOGRAFIA Amabile, T.M. 1988. A Model of Creativity and Innovation in Organizations. In Research in Organizational Behavior, 10: 123-167. Bailis, S. 2001. Contending with Complexity: A Response to William H. Newell’s “A Theory of Interdisciplinary Studies”. In Issues in Integrative Studies, 19: 27-42. Evans, R. e Marvin, S. 2006. Researching the sustainable city: three models of interdisciplinary. Environment and Planning A, 38: 1009-1028. Galison, P. 1997. Image & Logic: A Material Culture of Microphysics. The University of Chicago Press, Chicago, IL. Janis, I. 1972. Victims of groupthink. A psychological study of foreign-policy decisions and fiascoes. HMH, Boston, MA. Latour, B. 2005. Reassembling the social: an introduction to actor-network-theory. Oxford Uiversity Press, Oxford. Maturana, H.R. e Varela, F.J. 1984. El árbol del conocimiento: las bases biológicas del entendimiento humano. OEA, Santiago, Chile. Meek, J. 2001. The Practice of Interdisciplinarity: Complex Conditions and the Potential of Interdisciplinary Theory. In Issues in Integrative Studies, 19: 123-136. Newell, J. 2001. A Theory of Interdisciplinary Studies. In Issues in Integrative Studies, 19: 1-25. Palermo, P.C. 2009. I limiti del possibile: governo del territorio e qualità dello sviluppo, Donzelli, Roma. Perry-Smith, J.E. e Shalley, C.E. 2003, The social side of creativity: a static and dynamic social network perspective. In The Academy of Management Review, 28 (1): 89-106. Santagata, W. 2004. I beni della creatività tra arte contemporanea e moda. In Working paper series, 2/2004, EBLA, Torino. Thompson, L. 2003. Improving the creativity of organizational work groups. In Academy of Management Executive, 17 (1): 96-109. Woodman, R.W., Sawyer, J.E., Griffin, R.W. 1993. Toward a Theory of Organizational Creativity. In The Academy of Management Review, 18 (2): 293-321. [1] Si veda, riguardo ai progetti delle municipalità inglesi, R. Evans e S. Marvin, “Researching the sustainable city: three models of interdisciplinary”, in Environment and Planning A, 38, 2006. [2] http://www.avventuraurbana.it/ [3] http://www.carloratti.com/ [4] http://senseable.mit.edu/ [5] Si veda la pagina “Presentation” del sito: http://www.carloratti.com/presentation/index.htm [6] Segnaliamo a questo proposito anche il “design dei servizi” di Ezio Manzini, la sua attività presso il Politecnico di Milano e il suo blog (http://www.sustainable-everyday.net/) [7] http://www.snarkive.eu/ [8] Si veda il testo seminale per il concetto dell’autopoiesi, poi diventato fondamentale per le teorie della complessità: El árbol del conocimiento, dei biologi H.R. Maturana e F.J. Varela. [9] Chairsharing è un progetto di “Snark – space making”, sviluppato da Emanuele Bompan, Gaspare Caliri, Marco Lampugnani, Beatrice Manzoni. Si veda www.snarkive.eu e www.chairsharing.it. [10] Si veda il numero 19 di Issues in Integrative Studies. [11] Si veda ancora W. Santagata, “I beni della creatività tra arte contemporanea e moda”, in Working paper series, 2/2004, EBLA, Torino.
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⁖ ♡ Sophia & Sydney @ Dormitorio Femminile di Grifondoro / 26 Febbraio.
Quando condividi la stanza con qualcuno, non è così difficile capire quando c'è qualcosa che non va, soprattutto se sei al corrente del motivo, ché è quasi certa che sia per via di suo fratello che Sophia è così... /sfuggente/ ultimamente. Le dispiace, vorrebbe darle un conforto, ma non potendo comprendere fino in fondo, essendo figlia unica, preferisce tacere per il momento, così si limita a tendere verso di lei il vasetto di fragole che tiene in grembo, in silenzio. Non devono parlare per forza, però... a Sydney potrebbe far piacere se lo facesse, perché che si tratti di Sophia o di chiunque altro, /odia/ veder giù le persone.
È più che probabile che l'altra non sarebbe in grado di comprendere neanche se non lo fosse, figlia unica, ché quello che hanno lei e Valentyne è qualcosa che si sente una volta su mille, sulla pelle. Sarebbe difficile per chiunque immedesimarsi nei panni di Sophia, che dal proprio compleanno sembra essere un fantasma; sempre sola, sempre sfuggente, poco incline al contatto. È a lezione, al campo da Quidditch, o chiusa nelle tende del proprio baldacchino. Se adesso si trova nei paraggi del letto altrui è solo perché deve superarlo, per poter arrivare al proprio. Però... muta, s'accomoda sulla punta per accettare una di quelle fragole. Le adora. ‹ Grazie. › un mormorio.
Solleva gli angoli delle labbra in un sorriso, ché vederla prendere posto proprio lì è un buon segno per lei, quindi s'affretta a dire, più per smania di parlare e rompere il silenzio, aprendo la via ad una conversazione che per sentita necessità: ‹‹ Figurati! Credo che non siano mai state così buone! ›› Ne prende subito un'altra, infatti, infilandola tutta in bocca con il solo scopo di fare una faccia buffa che possa far sorridere la compagna. E' una cosa stupida, ma figuratevi se le importa.
‹ Vero, non posso darti torto—— › con un sorrisetto fugace, spento, che le compare sul volto alla vista di quella faccia buffa; niente a che vedere con i suoi soliti sorrisi, ma perlomeno non ha più la faccia tesa e le labbra stirate verso il basso. Per ora. E a differenza dell’altra la propria fragola la mordicchia, tenendola per le foglioline, ché nonostante tutto è pur sempre stata educata da nobile. E già mangiare con le mani è difficile, per lei. ‹ Dove le hai trovate? ›
Non sarà un grande sorriso, ma è già qualcosa e Sydney non può trattenersi dall'allargare il proprio, di sorriso, mostrando i denti macchiati di rosso per il succo, fregandosene del palese contrasto che viene a crearsi tra Sophia così composta e ordinata e lei così incurante e /selvaggia/. ‹‹ Gli Elfi sanno essere molto gentili se tu sei altrettanto gentile con loro! ››
Inclina il capo d'un lato, lei, a quelle parole –– ché... be', certo, ogni volta che è andata in cucina gli elfi sono stati gentili, ma... ‹ Non sono chiuse, le cucine? › però poi scrolla le spalle, perché non è che li importi poi troppo. In realtà si limita a succhiarsi il succo dalle dita, gettando via le foglioline. ‹ Fatto sta che sono buonissime. ›
‹‹ Tecnicamente sì, ma... ›› Stringe le labbra tra loro, facendole schioccare prima di distenderle in un sorriso furbo, di chi sa il fatto suo, ed aggiungervi addirittura un occhiolino. Non si perde in ulteriori spiegazioni: ognuno ha i suoi trucchi, del resto, no? ‹‹ Puoi finirle tu, se vuoi, comunque. A me non vanno più. ››
Inclina un sopracciglio, lei, a quella reazione –– però non dice niente. Immagina sia proprio così: ognuno ha i suoi trucchi. E certo, dopo quello che Ezra le ha detto a proposito di Sydney è un po' difficile averci a che fare, però–––– ‹ Mi dispiace se mi sono comportata da stronza, appena arrivata. › con una smorfia.
In tutta risposta, Sydney si stringe appena nelle spalle. Non è una persona che cova rancore, perciò non può che accettare le scuse di Sophia e approfittarne per confessare anche le proprie /colpe/, perché sa di non essere stata così tanto amichevole con lei all'inizio, anche se ci si è sforzata comunque. Ma ora, ora che sa che con Ezra non c'è più nulla e che non sa più cosa ci sia tra loro due stessi, invece, sembra quasi più facile mostrarsi per quella che è, per un'amica sempre ponta a dare un aiuto, una risata, un conforto o - appunto delle fragole - se necessario. ‹‹ Non importa. Ho sbagliato anch'io a guardarti in quel modo, a non dirti fin da subito di Ezra, a pensar male... dispiace anche a me. ››
Le persone come Sydney sono un’incognita, per lei, forse perché troppo abituata ad avere a che fare con se stessa — o con persone come Valentyne, la loro mamma, i loro cugini. In un mondo fatto di ricchezze, invidie e rapporti conflittuali è difficile trovare qualcuno di così affabile, che non cova odio o rancore. Sophia stessa è un accumulo di rabbia. Perciò batte le palpebre più volte, perplessa, lo sguardo che va a calarsi sulle proprie mani per nascondere l’espressione del proprio viso. ‹ Partecipi all’orientamento? › repentina a cambiare discorso, perché è fatta così: quando le cose si fanno difficili, lei svia.
Tutto qui? Lei le ha quasi aperto il cuore, parlando in tutta sincerità, e in cambio le sembra di ricevere solo... non lo sa, non sa come interpretare quel silenzio e il successivo cambio d'argomento, ma non è che le piaccia granché, o meglio non le piace l'idea che ci sia qualcos'altro di taciuto, a questo punto. Ecco perché ignora completamente la sua domanda per azzardare: ‹‹ Ho detto qualcosa di sbagliato? ››
Lei torna a sollevare lo sguardo sull’altra con lentezza quasi estenuante, a quella domanda, un sospiro che lascia le labbra carnose ed oramai schiuse. La verità è che le sarebbe piaciuto Sydney fosse una persona orribile, quella giusta con cui prendersela o quella ideale da detestare — ma non è così. È Sophia, quella che cova rancore. È lei ad essere ingiusta, no? Per Ezra, per Dustin. E quindi si stringe appena nelle spalle. ‹ No, non hai detto niente di sbagliato. È ch’è difficile, no? Perché sei una persona carina. Non come me. ›
Sydney /odia/ l'idea che qualcuno possa odiarla al punto da rischiare di non poterci dormire la notte, perché è cresciuta circondata dall'amore e da altri valori altrettanto positivi di cui ha fatto la propria filosofia di vita e che si è imposta di rispettare sempre e comunque ed è per questo che cerca sempre di reprimere gli impulsi negativi, porre gli altri in primo piano, trovare sempre una via per la /pace/... ‹‹ Vorresti odiarmi? ›› Non ha timore di chiederle, tuttavia, ché è quello che le è parso di leggere tra le righe.
Sophia non è in grado di capirle, certe cose. Non perché non abbia mai ricevuto amore o valori positivi, ma la sua... è una famiglia particolare. Tra i titoli nobiliari da lato di padre e le Industrie di sua madre, la sua fase di crescita non è propriamente stata / facile /. Né all'insegna della gioia, soprattutto. E poi è così abituata alla negatività! È abituata a farsi consumare dalla rabbia, dalla gelosia. Perciò adesso che la fissa dritta in volto annuisce, senza vergogna. ‹ Sarebbe più facile, no? Almeno per me. ›
Se la cava abbastanza nel capire le persone, Sydney, perciò quando riceve conferma di ciò che pensava, si ritrova a piegare le labbra in un piccolissimo sorriso pregno di amarezza ed è con lo sguardo basso e quasi colpevole, infatti, che confessa subito dopo: ‹‹ Scusa se ti rendo le cose difficili, allora, ma... non ci riesco. ›› A fomentare l'astio, a pensare di poter avere una rivale, qualcuno di cui essere irrimediabilmente gelosa... sono tutte emozioni che vorrebbe tenere lontano da sé.
Non le capisce, Sophia, queste cose. Perché lei s'è sempre lasciata consumare dalla gelosia, sin da quando era piccolissima. Ma non sono mai esistite minacce reali, rivali, fino ad ora. Mai. Perciò... non sa come reagire, a questa situazione. Soprattutto perché Sydney è una persona carina, e deve condividere con lei la stanza per ancora un anno e mezzo. Perciò adesso l'osserva con il naso arricciato. ‹ Come fai a non essere gelosa? Io al tuo posto starei impazzendo. ›
‹‹ Lo ero, all'inizio. ›› Rivela, togliendo di mezzo il sorriso per lasciare spazio ad un'espressione ben più rea, quasi si vergogni di essere umana anche lei, dopotutto. ‹‹ Ma ho cercato di reprimere la gelosia, perché sarebbe stata deleteria, soprattutto sapendo che saremmo state compagne di stanza. Poi mi ha detto che non c'era più niente e... ti ho creduto. ›› E lo sguardo che le rivolge a questo punto pare dire: " Devo smettere di farlo? "
Sophia si stringe appena nelle spalle, a quella domanda implicita –– la fronte che s'aggrotta. ‹ Hai fatto bene. A credermi, dico. Tra me ed Ezra ci sono sempre state tante cose, e ci sono ancora, ma non––– amore, non in quel senso. › col naso che s'arriccia un po'. Però c'è anche la questione / Dustin / di mezzo, no? Anche se l'altra non lo sa. Tanto che adesso che l'osserva meglio se la figura pure a letto con lui, motivo per cui distoglie lo sguardo in fretta.
❪ ... ❫
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#treasure 🔥 ☀️ 🏹
⋮ 𝖫𝗂𝗅𝗎𝗒𝖾 & 𝖫𝖾𝗋𝗈𝗒 ⋮ 𝗏𝗂𝗅𝗅𝖺𝗀𝖾 ⋮ 𝗁𝗂𝗀𝗁 𝗉𝗋𝗂𝖾𝗌𝗍𝖾𝗌𝗌'𝗌 𝗁𝗈𝗎𝗌𝖾
Il sole le accarezzava morbidamente la pelle ambrata, intervallata qua e la su braccia e schiena da precise linee di inchiostro nero mentre, delle nivee piume di garzetta, un volatile tipico di quelle terre, le svettavano lungo la spina dorsale come tante piccole ali. Liluye se ne stava li, appena fuori dalla capanna, assorta con le sue movenze sinuose a raccogliere bacche e bizzarre foglie dalla forma concava e le proprietà più disparate. Sollevò appena la lunga gonna cremisi, usandola come recipiente per le sue erbe, i frutti e le piante esotiche appena colte, sorridendo al sentore di una giovane figura in avvicinamento, un ragazzo a giudicare dal suono dei passi che provenivano dalle sue spalle. Senza voltarsi, la sacerdotessa continuò a cogliere i piccoli frutti scuri che le stavano davanti, portandosene uno alle labbra con estrema disinvoltura. -" sai, da questi frutti si ricava un potentissimo filtro d' amore "- Lo apostrofò con quella frase quasi detta sovrappensiero -" mentre da quelle foglie . . . "- snudò un sorriso allettante voltandosi verso il ragazzo -" possono dare a un uomo la forza di un orso . . . almeno nelle gambe "- ridacchiò ferina prima di esortare l' altro ad entrare nella capanna -" ma sono certa che a questo giovane viaggiatore interessi altro "-
___
Leroy non era intervenuto granché, seguendo passivamente la donna nelle direzioni ch'ella prendeva. Un pirata della sua nave gli aveva giocosamente proposto di visitare la sacerdotessa ━ non quanto per una scommessa o simil cosa, ma per sfidarlo a guardare anche nel mistico. Leroy, si sapeva, era un tipo parecchio materiale & pragmatico, doveva fare degli sforzi assurdi per credere alle sedute spiritiche od addirittura, a Dio stesso. Per lui, v'era troppo male nel mondo ━ che se fossero esistite delle entità superiori, sarebbero scappate già da tempo. Insomma, si trovava lì perché gli era stato consigliato / di provare / ━ e non gli erano nuove le voci sulla bravura della donna. Eppure, rimaneva scettico a modo suo, tra una battuta colorita ed un'altra, tra un boccale di birra ed un altro. « Ma non dirmi! » aveva esclamato, quando la sacerdotessa aveva citato i filtri d'amore ━ il mozzo aveva le mani ritratte sulla schiena, e lo sguardo fintamente attratto da quelle foglie. Per lui non si trattava di tempo perso, avrebbe imparato comunque da qualsiasi cosa sarebbe successa. Una risata accennata era però uscita dalla bocca di Leroy, assorbendo quell'informazione sulla pianta che prometteva forza per le sue parti inferiori. Diciamo che non ne aveva bisogno, il mozzo era grezzo e funzionava benissimo in qualsiasi ambito. « Mh, diciamo che questo giovane viaggiatore non crede nelle . . .cose magiche? Okay, non so come chiamarle, perdonami. Ma ecco, magari puoi farmi cambiare idea. »
___
Una flebile risata gorgogliò dalla gola glabra della donna nativa, riecheggiando nello spazio che li separava con fare ovattato, quasi materno, caratterizzato da note voluttuosamente addolcite, le stesse che la sacerdotessa sfoderava con i bambini quando li introduceva per la prima volta al culto del sole. Ed è proprio questo che vede in Leroy, un bambino, ingenuo, inconsapevole, candido nel suo scetticismo e nel suo flebile tentativo di fare ironia. Gli fece strada, scostando con il braccio nudo un pesante tendaggio che fungeva da porta all'entrata della lussureggiante capanna che, al contrario delle abitazioni dei suoi connazionali, si trovava in una zona ben più isolata in cui i suoi riti non venivano disturbati da nessuno, così il suo perenne contatto con Dio. Osservò il piccolo pirata con la coda dell'occhio, affinando il suo sorriso quando, dopo un gesto teatrale e armonioso della mano, tutti i bracieri disposti in cerchio si accesero in sequenza, come per magia, il tutto reso più scenografico dalla sua lingua natia, recitata magistralmente e al momento giusto. Piccole dimostrazioni di potere. Così le chiamava, sfoggi ben dosati delle sue conoscenze e delle abilità che il sole le aveva concesso per diritto di nascita, come a sua madre. Sorridente, a suo agio alla stregua di un grande predatore nella sua tana, Liluye si fermò a pochi centimetri da un rudimentale ripiano ricolmo di ogni genere di stranezza, parti animali essiccate, polveri multicolore e recipienti trasparenti pieni di sostanze non ben identificate e creature esotiche. Sollevando ulteriormente la sua gonna rossa, invitò il giovane ad avvicinarsi a lei per aiutarla a riporre i suoi ritrovamenti insieme a tutte le varie scorte. -" la magia è intorno a noi, cucciolo d'uomo, ed è la magia della fiamma che alberga in ogni cosa, in me, in te, nella foresta, negli animali, tutto frutto del sole, nostra madre e creatrice "- Con la posa aggraziata di un serpente impigrito e l'espressione rilassata, compiacente, la sacerdotessa prese un lungo respiro, esponendo con fierezza il seno semi scoperto in avanti, impreziosito al centro dal solito rubino scarlatto, pulsante della luce infusa dalle fiamme circostanti -" con il tempo scoprirai le verità che ti circondano, dovrai solo avere fede e pazienza e, se vorrai, ti guiderò nel tuo cammino verso la conoscenza, la vera conoscenza, ora aiutami a sistemare questi frutti preziosi "-
___
Leroy seguì la donna con lo sguardo, dalla risata pronunciata da ella, al suo scostare con le sottili dita da donna ━ la tenda della capanna, stranamente collocata lontano da un villaggio. Leroy s'era accigliato al posto di chiederlo, rendendo il suo viso esilarante ; il mozzo era conosciuto per le sue sopracciglia a forma di ali di gabbiano ━ ma non era questa la particolarità: lo rendevano incredibilmente espressivo, talmente tanto che per lui diveniva difficile nascondere la confusione od un quesito. Tuttavia, Leroy non poté affatto contenersi quando la donna, con un mero movimento del braccio ━ causò la nascita delle fiamme nei bracieri, accompagnata da quelle parole nella sua lingua natia. Dunque, Leroy era sobbalzato indietro, evidentemente scosso. No, non era possibile ━ la magia non esisteva, l'aveva imparato una volta visto che i mostri del mare non erano reali ━ una volta appreso che i miracoli non esistevano, una volta visto che Dio lasciava una carrellata di persone nella miseria e morte. Non ci credeva ancora, il mozzo. « Eh?! Dov'è il trucco? » la domanda gli era uscita dalle labbra in maniera totalmente spontanea, ma non cattiva. Incapace di fare altro e confuso, accettò di avvicinarsi alla donna ed assecondarla, più che altro. V'era di tutto, su quella specie di tavolo rudimentale ━ ed il giovane non osò chiedere nemmeno cosa egli stava toccando per riporre quelle cose al loro posto. Aggiungiamo che, agli occhi del mozzo non sfuggirono affatto i pregi quasi scoperti della sacerdotessa. « Mh. » inclinava la testa, intanto. « "la magia della fiamma alberga in ogni cosa" è un po' come lo Spirito Santo che alberga in tutti noi? ( . . . ) Fede e pazienza . . . guarda, sono doti che non ho proprio per principio. Ma ━ mi hai avuto senza dubbio a "vera conoscenza". Che è? »
__-
Era divertita dallo scetticismo del giovane, ma al contempo si compiaceva della piccola scintilla di curiosità che era riuscita a instillare nel suo animo. In fondo, gran parte dei novizi del suo culto, iniziavano proprio così, si avvicinavano e, come falene bramose di crogiolarsi alla luce di una fiamma, finivano inevitabilmente col venir sedotti dalle mille e mirabolanti promesse di certezze e potere. Alcuni, proprio come la farfalla notturna, ne rimanevano ossessionati per poi bruciare nel fuoco della paranoia, altri, ben più meritevoli a dir di Liluye, abbracciavano la fede in tutte le sue sfaccettature, comprendendone la purezza dei riti e della filosofia. Forse, il piccolo mozzo dal visino rubicondo, rientrava proprio nella seconda categoria per via del suo occhio critico, in fondo erano in pochi quelli che si approcciavano al suo credo con quel genere di spirito d'osservazione. " Bene " pensò tra se e se leccandosi metaforicamente le labbra all'idea di aver adempiuto come sempre al volere del Sole, spargendo il verbo di quelle antiche conoscenze che, altrimenti, sarebbero state perdute in favore della menzogna cristiano-cattolica. -" voi e il vostro Dio cristiano . . . "- Commentò bonariamente mentre, con lo sguardo, accarezzava sensualmente il giovane pirata, ben consapevole e allettata dalle occhiate che l'altro le rivolgeva. La nudità, infatti, per gli invasori era qualcosa di estremamente malizioso e trasgressivo, qualcosa che nella loro società repressa non veniva minimamente concepita e che, logicamente, generava una certa curiosità, la stessa che ogni singola volta strappava un sorriso divertito alla sacerdotessa. -" senti forse un vecchio barbuto dentro di te? oppure il calore del tuo sangue? il pulsare del tuo cuore? ed è forse lui ad illuminare la tua giornata o ad invitare i fiori a sbocciare? oppure è il sole? "- Replicò con la lentezza enfatica di un abile narratore, quasi ipnotica -" il sole è li, in cielo, ed esiste da sempre, da prima di questo mondo, sorella e nemica del nulla, dell'oscurità "- Spiegò pazientemente poco prima di insinuare le sue mani tra quelle del ragazzo e afferrarne i palmi -" nessun trucco, quello che hai visto è uno dei tanti doni della nostra creatrice e protettrice, e se abbraccerai il suo potere lei in cambio ti benedirà di grandi doti, vedrai il passato, il presente e quello che verrà, sarai un portatore di vita, potente, capace di sbaragliare ogni nemico, di vedere cose in questo mondo che altrimenti ti sarebbero impossibili da vedere ( . . . ) la tua gente ha dimenticato, vede nel mondo qualcosa da possedere, oppure da fottere, tutto è avidità, fine a se stessa, tutto è menzogna "- iniziò a disegnare dei lenti movimenti concentrici con i pollici sui palmi maschili -" presto capirai e tutto ti sarà rivelato "-
___
Voleva capire cosa smuoveva le menti umane a dover necessariamente credere ciecamente in un qualcosa ━ a dover / essere devoti / ad un'entità che mai si rivelava ai loro occhi. Per Leroy, loro, tutte le creature, la vegetazione & gli astri, esistevano e basta. O meglio, coesistevano tra loro ━ ed alcuno doveva necessariamente chiedersi il motivo della propria esistenza. Certo, per lui esistevano ancora la fortuna, le coincidenze, i quesiti più importanti della vita ━ tipo / perché / certuna gente possedesse abilità tali a quelle della sacerdotessa ━ o tipo quesiti banali, come "cosa vi è dopo la morte?". E poi non li nascondeva, lo scetticismo e la confusione generati dalle domande di lei. Non avevano senso. « Non mi reputo cristiano. Cioè boh ━ a volte bestemmio, fai un po' te. ( . . . ) E comunque no, queste domande non hanno senso. Forse per qualcuno sì e quel qualcuno è fuori di testa. » li conosceva, gli uomini devoti ━ talmente tanto che sapeva che arrivavano a pregare in mare, un rosario stretto fra le mani lerce, implorando Dio di salvarli dalla tempesta ━ anziché aiutare la ciurma ad issare le vele, ad esempio. Erano terribili, anche i meno devoti. Non v'era nessuno là fuori da implorare, Leroy n'era certo. Non si era opposto al contatto delle loro mani, stando comunque attento a non farsi lanciare un sortilegio o cose simili. « Sono d'accordo sulle ultime cose che hai detto. Quelli sono uomini feccia. Sul resto...mh, non credo. Cioè ━ penso che alcune persone lo sappiano fare già di loro, manifestare questi doni, e non conosco il motivo ━ ma non credo proprio faccia al caso mio. Wow, sono venuto qui per darmi una spiegazione ma sono ancora più confuso. Penso me lo si legga in faccia. » e dette le ultime parole in maniera ironica, aveva puntato con l'indice il proprio viso.
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lo stile Shotokan
Lo Stile Shotokan (松濤館流 Shōtōkan-ryū?) è uno stile di karate, nato dall'incontro di varie arti marziali, codificato dal Maestro Gichin Funakoshi (1868-1957) e da suo figlio, il Maestro Yoshitaka Funakoshi (1906-1945). Un termine spesso accoppiato a Shotokan è Shotokai. Spesso si identifica erroneamente la parola Shotokai come un sottostile dello Shotokan, ma non è così: shotokai non è altro che l'associazione (kai=associazione[1]) mondiale che regola lo stile Shotokan. Il Maestro Gichin Funakoshi è universalmente riconosciuto per aver esportato e diffuso il karate dall'isola di Okinawa all'intero Giappone, anche se alcuni importanti maestri, come Kenwa Mabuni e Chōki Motobu, vi insegnavano già il karate da tempo prima. Lo Shotokan è dunque uno degli stili moderni del karate giapponese, oltre a Shitō-ryū e Wado-ryu. Nonostante abbia avuto origine come un'unica scuola di karate, sviluppatasi all'interno della Japan Karate Association, al giorno d'oggi esistono parecchie organizzazioni indipendenti.
Indice
1Etimologia
2Caratteristiche
3Filosofia
4Lo Stile Shotokan nel mondo
5Termini comuni
6Kata
7Kumite
8Note
9Bibliografia
10Voci correlate
11Altri progetti
4.1I Venti Principi Guida di Funakoshi (松濤二十訓, Shōtō Nijū Kun)
4.2Le Regole del Dōjō (道場訓, Dōjō Kun)
Shoto (松濤 Shōtō?) significa "brezza nella pineta" (o più precisamente "onda di pino") ed era lo pseudonimo che il Maestro Funakoshi utilizzava per firmare le sue poesie ed i suoi scritti. La parola giapponese kan (館 kan?) significa invece "sala", ed è riferita al dojo. In onore del loro Maestro, gli allievi di Funakoshi crearono un cartello con la scritta Shoto-kan che posero sopra l'ingresso del dojo in cui egli insegnava. In realtà il Maestro Funakoshi non diede mai un nome al suo stile, definedolo semplicemente "karate".
La pratica dello Shotokan è in genere divisa in tre parti: kihon (i fondamentali), kata (forme o sequenze di movimenti, ovvero un combattimento reale contro uno o più avversari immaginari) e kumite (combattimento). Le tecniche eseguite nel kihon e nei kata sono caratterizzate, in alcuni casi, da posizioni lunghe e profonde, che consentono stabilità, permettono movimenti forti e rinforzano le gambe. Le tecniche del kumite rispecchiano queste posizioni e movimenti al livello base, ma con maggior esperienza diventano più flessibili e fluide. Nel karate shotokan, inoltre, si usano tecniche di leve e di proiezioni.
Il Maestro Gichin Funakoshi espose i Venti Principi del Karate (o Niju kun), che costituirono le basi della disciplina prima che i suoi studenti fondassero la JKA. In questi principi, fortemente basati sul bushidō e sullo zen, è contenuta la filosofia dello stile Shotokan. Essi contengono nozioni di umiltà, rispetto, compassione, pazienza e calma sia interiore che esteriore. Il Maestro Funakoshi riteneva che attraverso la pratica del karate e l'osservazione di questi principi, il karateka era in grado di migliorarsi. Molte scuole Shotokan recitano tuttora il Dōjō kun alla fine di ogni allenamento, per trovare e aumentare sia la motivazione che lo spirito.
Lo stesso Maestro Funakoshi scrisse: "Lo scopo ultimo del karate non si trova nella vittoria o nella sconfitta, ma nella perfezione del carattere dei partecipanti".
Nella prima metà degli anni sessanta, i responsabili della Japan Karate Association, in primis il maestro Masatoshi Nakayama, decisero che era giunto il momento di portare il "loro" karate nel mondo. A tale scopo inviarono negli Stati Uniti e in Europa alcuni giovani maestri che sarebbero diventati nel tempo pietre miliari del karate internazionale: Hidetaka Nishiyama e Hirokazu Kanazawa negli Usa, Taiji Kase in Francia, Hiroshi Shirai in Italia, Keinosuke Enoeda in Inghilterra, Hideo Ochi in Germania. Da questi paesi la diffusione fu capillare, niente fu lasciato al caso: stages, competizioni, seminari e una organizzazione perfetta, fecero sì che in pochi anni il karate Shotokan ebbe sotto la sua egida milioni di praticanti in tutto il mondo.[2]
I venti principi fondamentali dello spirito del Karate insegnati dal maestro Gichin Funakoshi sono:[3]
Non dimenticare che il karate-dō comincia e finisce con il saluto. (一、空手は礼に初まり礼に終ることを忘るな 。)
Nel karate non esiste primo attacco. (Karate ni sente nashi), (二、空手に先手無し。).
Il karate è dalla parte della giustizia (三、空手は義の補け。).
Conosci prima te stesso, poi gli altri (四、先づ自己を知れ而して他を知れ。).
Lo spirito viene prima della tecnica (五、技術より心術。).
Libera la mente (il cuore) (六、心は放たん事を要す。).
La disattenzione è causa di disgrazia (七、禍は懈怠に生ず。).
Il karate non si vive solo nel dōjō (八、道場のみの空手と思うな。).
Il karate si pratica tutta la vita (九、空手の修行は一生である。).
Applica il karate a tutte le cose, lì è la sua ineffabile bellezza (十、凡ゆるものを空手化せ其処に妙味あり。).
Il karate è come l'acqua calda, occorre riscaldarla costantemente o si raffredda (十一、空手は湯の如く絶えず熱を与えざれば元の水に返る。).
Non pensare a vincere, pensa piuttosto a non perdere (十二、勝つ考えは持つな、負けぬ考えは必要。).
Cambia in funzione del tuo avversario (十三、敵に因って転化せよ。).
Nel kumite devi saper padroneggiare il Pieno e il Vuoto (十四、戦は虚実の操縦如何にあり。).
Considera mani e piedi come spade (十五、人の手足を劔と思え。).
Oltre la porta di casa, puoi trovarti di fronte anche un milione di nemici (十六、男子門を出づれば百万の敵あり。).
La guardia è per i principianti; più avanti si torna alla posizione naturale (十七、構えは初心者に、あとは自然体。).
I kata vanno eseguiti correttamente; il kumite è altra cosa (十八、型は正しく、実戦は別もの。).
Non dimenticare dove occorre usare o non usare la forza, rilassare o contrarre, applicare la lentezza o la velocità, in ogni tecnica (十九、力の強弱、体の伸縮、技の緩急を忘るな。).
Sii sempre creativo (二十、常に思念工夫せよ。).
Le regole del Dojo Kun, che letteralmente significa "
Regole del luogo in cui si pratica la Via
", in giapponese
Hitotsu, Jinkaku Kansei ni Tsutomuru Koto - Prima di tutto, cerca di perfezionare il carattere
Hitotsu, Makoto no Michi wo Mamoru Koto - Prima di tutto, percorri la via della sincerità
Hitotsu, Doryoku no Seishin wo Yashinau Koto - Prima di tutto, rafforza instancabilmente lo spirito
Hitotsu, Reigi wo Omonzuru Koto - Prima di tutto, osserva un comportamento impeccabile
Hitotsu, Kekki no Yu wo Imashimuru Koto - Prima di tutto, astieniti dalla violenza e acquisisci l'autocontrollo
Molti termini utilizzati nel karate derivano dalla cultura giapponese. Mentre alcuni sono nomi (ad es. Yame, Gankaku), altri sono esclusivi delle arti marziali (ad es. kata, kumite). Parecchi termini sono solo raramente utilizzati nella vita quotidiana (ad es. zenkutsu dachi) mentre altri appaiono di frequente (ad es. rei). Questa terminologia giapponese è spesso mantenuta anche nelle scuole al di fuori del Giappone, per conservare la cultura originaria di Okinawa e la filosofia del Maestro Funakoshi.
I kyu sono 9 a partire dalla cintura bianca fino alla cintura marrone che è il passaggio da kyu a 1º dan la cintura nera. Riguardo ai kata, inizialmente questi erano 15 (oltre i Taikyoku, considerati preliminari), che il Maestro Funakoshi considerava la base dello stile. Heian shodan, Heian nidan, Heian sandan, Heian yodan, Heian godan, Tekki shodan, Tekki nidan, Tekki sandan, Bassai-dai, Kanku-dai, Jion, Empi, Jitte, Hangetsu, Gankaku. Gli altri furono aggiunti successivamente.
Taikyoku shodan
Taikyoku Nidan
Taikyoku sandan
Heian shodan
Heian Nidan
Heian Sandan
Heian Yondan
Heian Godan
Tekki Shodan
Tekki Nidan
Tekki sandan
Bassai dai
Bassai sho
Kanku sho
Kanku dai
Jion
Empi
Hangetsu
Gankaku
Jitte
Nijushiho
Sochin
Unsu
Gojushiho dai
Gojushiho sho
Jiin
Wankan
Meikyo
Chinte
Gichin Funakoshi esegue il kata
Kanku dai
(観空)
Il kumite è l'applicazione dei kihon (o tecniche basilari) attraverso il confronto con un avversario. Una delle regole più importanti di questa applicazione è l'autocontrollo. Senza autocontrollo non è possibile combattere in modo sicuro, in quanto ci si potrebbe infortunare anche in modo grave (fratture ecc.). L'obiettivo, invece, è quello di sprigionare la massima energia, rapidità e forza nell'attacco, in modo da renderlo il più reale possibile ma con il massimo controllo, soprattutto a livello del viso. Ai praticanti più avanzati si permette infatti un contatto a livello del tronco, Allo stesso modo, chi difende, deve essere il più veloce e scattante possibile per parare, evitare i colpi, rientrare a sua volta con tecniche di attacco e rimettersi nella posizione che garantisca una difesa impeccabile.
Il kumite può avere diversi tipi di forme:
1. Gohon kumite: l'attaccante fa 5 attacchi, ognuno con il passo avanti
2. Sanbon kumite: l'attaccante fa solo 3 attacchi con il passo avanti
3. Kihon ippon kumite: l'attaccante fa un solo attacco con un solo spostamento in avanti
4. Jiyu ippon da 3 metri: uguale a quello precedente, solo che l'attaccante è distante 3 metri dal difensore e quindi deve avanzare
5. Jiyu kumite: gli avversari combattono senza dichiarare i colpi (kumite libero).
^ 会 - Wikizionario
^ Copia archiviata, su budokan.it. URL consultato il 26 giugno 2010 (archiviato dall'url originale il 2 aprile 2009)..
^ Gichin Funakoshi, I Venti Principi Guida del Karate, Edizioni Mediterranee, 2010, ISBN 978-88-272-2104-4.
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“Prima che la bestia dentro di me prenda il sopravvento… fotografo!”: dialogo con Alan Marcheselli, guru della ‘fotografia istantanea’
Secondo me i fotografi sono un po’ folli. L’idea stessa di trapiantare una scheggia di mondo, un frammento di tempo nello spazio rettangolare di un foglio, è folle. Come riassumere l’oceano in goccia. I fotografi, intendo, hanno uno sguardo folle. Si accorgono di cose che ai comuni sfuggono, lo spigolo di un evento, per dire, evoca in loro immagini epiche: è la fotografia, in effetti, a rendere totale il particolare, eterno il morituro. Nel contesto della fotografia, poi, i cosiddetti polaroider, sono, per usare un gergo calcistico, quelli che preferiscono il calcio a 5. Sono dei fenomeni nello spazio breve: beccano l’attimo, l’esatta trafittura del sogno. Sono un po’ folli i fotografi. Me ne accorgo leggendo la Filosofia istantanea di Alan Marcheselli, il capobanda dei polaroider, uno degli organizzatori dell’imponente “Festival della fotografia istantanea” che si terrà al Riccione dal 26 al 29 luglio (qui tutti i dettagli e il programma). “Ogni volta che m’accorgo di atteggiare le labbra al torvo, ogni volta che nell’anima mi scende un maggio umido e piovigginoso, ogni volta che mi accorgo di fermarmi involontariamente dinanzi alle agenzie di pompe funebri e di andar dietro a tutti i funerali che incontro, e specialmente ogni volta che il malumore si fa tanto forte in me che mi occorre un robusto principio morale per impedirmi di scendere risoluto in istrada e gettare metodicamente per terra il cappello alla gente, allora decido che è tempo di mettermi a fotografare al più presto. Questo è il mio surrogato della pistola e della pallottola”. Mica male. La dedizione verso l’istante pare una pratica liturgica, un tanto zen: occorre predisporsi a fermare il momento perfetto, come il samurai che sega la mosca, in aria, con un colpo fugace di katana. Guardate cosa fa Marcheselli con le ‘istantanee’: pare bloccare la prolusione di un sogno. Guardate cosa fanno i polaroider: si intuisce che dietro l’esperienza estetica, dietro il lavoro, c’è una disciplina di vita.
Domanda da cretini. Che cos’è la ‘fotografia istantanea’ e da che cosa – esteticamente – si differenzia dal resto della fotografia. Ogni fotografia, in fondo, eterna l’istante…
La fotografia intesa come gestualità non cambia a seconda del mezzo o del veicolo utilizzato per realizzarla, quello che cambia è l’approccio del fotografo; la fotografia istantanea (nome ormai alquanto anacronistico nell’era digitale) è lentezza, pensiero, passione e dedizione, ma sopratutto è la ricerca del singolo scatto a discapito dei tanti fattori che ne possono inficiare il risultato. Oggi in un’epoca di multi-scatto, di schede di memoria quasi infinite, il sapere che si hanno a disposizione poche possibilità di esprimersi (scatti) e che ognuno di questi ha un costo, porta il fotografo a una consapevolezza maggiore.
Nella tua interessante ‘Filosofia istantanea’ scrivi che fotografare istantaneamente “è il mio surrogato della pistola e della pallottola. Con un bel gesto filosofico Catone si getta sulla spada: io cheto cheto mi metto a scattare istantanee”. Pare una questione di vita e di morte: è così?
Più che di vita e di morte per me si tratta di equilibrio, di trovare un modo di esprimermi e quindi di sfogarmi prima che la bestia dentro di me prenda il sopravvento.
Perché Riccione per questo festival? E che ‘fenomeno’ è – se lo è – quello della fotografia istantanea?
“ISO600 nasce con l’idea di essere un festival Itinerante, quindi dopo Milano e Bologna si è deciso per Riccione; località che nel periodo estivo è un richiamo per tutto il mondo, nella volontà di divulgare questa ‘Arte’ che molti ancora relegano a immaginetta usa e getta”. Occorre diversificare, ci sono due ‘fenomeni’ legati alla fotografia istantanea: uno è il ritorno per le nuove generazioni al piacere di avere un immagine in mano e non più solo sul monitor dello smartphone, l’altro è quello mai sopito dei Polaroiders, fotografi che esprimono se stessi attraverso la fotografia istantanea.
A cosa stai lavorando, cosa stai inseguendo?
Personalmente sto lavorando da mesi tra gli altri ad un portfolio realizzato interamente con fotocamere Polaroid rotte o pesantemente danneggiate, con il fine ultimo di stringere ancora di più il legame tra fotografo e mezzo, spero di non risultare ridicolo, ma ogni fotocamera ha il suo nome e la sua inclinazione e dopo 8 scatti ovvero il contenuto di un film pack viene definitivamente messa in pensione. Si inseguono i sogni e io fortunatamente ne ho tanti.
Un giudizio sul valore della cultura in Italia: è tenuta in giusta considerazione? Voglio dire, tu sei uno di quelli che si lamentano sulle spalle di questo Paese o che rilanci, ti lanci, reagisci?
Ecco la domanda la cui risposta mi renderà antipatico al creato intero; Italia e Cultura sono due parole che mal si sposano, ci accontentiamo dei titoli e non leggiamo gli articoli, però no, lamentarsi non serve a niente, dal 2010 insieme a tanti appassionati partendo dal nostro network www.polaroiders.it nel nostro piccolo portiamo avanti questa voglia di condividere il mondo istantaneo, a volte con passione altre con rabbia e purtroppo anche con la delusione nel cuore, ma è il nostro piccolo mondo e ci fa piacere condividerlo.
L'articolo “Prima che la bestia dentro di me prenda il sopravvento… fotografo!”: dialogo con Alan Marcheselli, guru della ‘fotografia istantanea’ proviene da Pangea.
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