#film d’azione moderno
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pier-carlo-universe · 2 months ago
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Rai Play. "Sicario" (2015): Un thriller d’azione mozzafiato tra FBI e narcotraffico
"Sicario", film diretto da Denis Villeneuve e scritto da Taylor Sheridan, è un thriller d'azione intenso e inquietante che esplora le zone d’ombra della lotta al narcotraffico.
Una missione al limite della legalità nei confini tra Stati Uniti e Messico.“Sicario”, film diretto da Denis Villeneuve e scritto da Taylor Sheridan, è un thriller d’azione intenso e inquietante che esplora le zone d’ombra della lotta al narcotraffico. Con un cast stellare composto da Emily Blunt, Benicio Del Toro e Josh Brolin, il film si distingue per la sua atmosfera cupa, la tensione costante…
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Wrath of Man Film Completi - Streaming ITA in Gratis
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La Trama Wrath of Man in Italiano 2021
Un uomo anziano rifiuta categoricamente ogni assistenza da parte della figlia, nonostante l'età inizi a farsi sentire. Con il passare del tempo, e mentre cerca di venire a patti con i cambiamenti ai quali la vecchiaia lo costringe, l'uomo inizia a dubitare di ogni cosa; dei suoi affetti, della sua mente e persino della realtà che lo circonda.
Verrà trasmesso in prima assoluta la sera di domenica 4 aprile su moviestreet,net.
Dettaglio ▪️ Data di uscita: N.D. ▪️ Genere: Azione, Drammatico ▪️ Anno: 2021 ▪️ Regia: Guy Ritchie ▪️ Attori: Jason Statham, Jeffrey Donovan, Josh Hartnett, Holt McCallany, Scott Eastwood, Lyne Renee, Laz Alonso, Raúl Castillo, Deobia Oparei ▪️ Paese: USA ▪️ Sceneggiatura: Guy Ritchie ▪️ Fotografia: Alan Stewart ▪️ Montaggio: James Herbert ▪️ Produzione: moviestreet.net,
Wrath of Man, il film con i due iconici rivali protagonisti in un’avventura inedita, arriva in Italia in esclusiva digitale dal 18 marzo 2021. Il film è disponibile per l’acquisto e il noleggio premium sulle piattaforme digitali (Apple Tv, Prime Video, Sky Primafila, Google Play, YouTube, Rakuten Tv, Chili, Timvision, Microsoft Movies & Tv, PlayStation Store).
Storia dei film Wrath of Man
Wrath of Man - Nulla è come sembra è un film del 2020 diretto da Florian Zeller, al suo esordio alla regia.
Wrath of Man è un film del 2021 diretto da Guy Ritchie.
Remake del film francese del 2004 Le Convoyeur, diretto da Nicolas Boukhrief,[1] la pellicola segna la quarta collaborazione tra il regista Ritchie ed il protagonista Jason Statham dopo Lock & Stock - Pazzi scatenati (1998), Snatch - Lo strappo (2000) e Revolver (2005).
Il nuovo film: Guy Ritchie è Wrath of Man Il regista britannico si ricongiunge a una delle sue star-feticcio, Jason Statham, in un thriller d’azione che vuole essere un sorta di remake del francese Cash Truck. Le Convoyeur.
Dopo oltre 15 anni, Guy Ritchie torna a lavorare con Jason Statham, l’attore che lo stesso regista ha contribuito a trasformare in una star assoluta dei film d’azione. Dopo aver collaborato in Revolver, i due si riuniscono per Wrath of Man, nuovo thriller il cui primo trailer ufficiale è stato diffuso nelle scorse ore e che per Ritchie rappresenta anche un modo per riappropriarsi del genere action più puro (ultimamente ha firmato i due Sherlock Holmes e King Arthur, il musical Disney Aladdin e la commedia The Gentlemen, uscita lo scorso dicembre distribuita in digitale su Amazon Prime Video).
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der-reisende-lammergeier · 4 years ago
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1992 Ridley Scott’s “Christopher Columbus” - La (tremenda) trasposizione cinematografica della “conquista del Paradiso” nel cinquecentenario del primo viaggio colombiano
«Cinquecento anni fa, la Spagna era una nazione abbandonata alla paura e alla superstizione, sotto la legge della corona e di un’Inquisizione che perseguitava senza pietà tutti coloro che osavano sognare. Un solo uomo ha sfidato questo potere. Consapevole del proprio destino, ha attraversato il Mare delle Tenebre, alla ricerca di onori ed oro, per la maggior gloria di Dio»
Queste le parole che scorrono a schermo per fare da collegamento tra i titoli di testa e il girato di 1492: La Conquista del Paradiso, il film di Ridley Scott su Cristoforo Colombo uscito nelle sale nell’ottobre del 1992, durante il cinquecentenario dello sbarco del genovese a Guanhani.
In queste parole è condensata, in effetti, buona parte del messaggio di una pellicola che, lungi dal voler restituire la complessità di una figura storica altamente simbolica e problematica, si limita a portare avanti una narrazione celebrativa del navigatore, rifacendosi alle “agiografie” dei discendenti, alla retorica antispagnola anglosassone e all’immagine di un illuminista ante-litteram. Da questo incontro fra secoli di strumentalizzazione ed Hollywood, dunque, quello che nasce non è certo un buon prodotto di ricostruzione storica, ma la conferma dell’appartenenza di Colombo a un pantheon di eroi della sola civilizzazione europea.
 Cristoforo: uomo di scienza e d’azione
Il film ruota attorno al personaggio di Colombo, interpretato da Gerard Depardieu. Sono ben rare le scene in cui il genovese non compare, e ancor meno quelle in cui non è il centro dell’azione. Il ruolo di protagonista che gli viene già affidato dalla sceneggiatura è dopotutto in linea con il tema principale della storia, ovvero quello della lotta di un uomo solo contro tutto e tutti. Quella che viene restituita allo spettatore è l’immagine di un sognatore, che è però sempre pronto a scendere in prima linea per far valere le sue idee non convenzionali.
In quanto uomo di scienza, la sua prima battaglia, in senso figurato, è quella contro gli accademici castigliani. A un Colombo che porta a suo favore dati e ricerche moderne si contrappongono chierici oscurantisti, cultori dell’auctoritas aristotelica, che rifiutano per principio tesi diverse da quelle in disaccordo con la dottrina. A differenza loro il Colombo di Scott non è un uomo che si è fermato allo studio dei libri. Appare pienamente consapevole dell’importanza dell’esperienza rispetto alla teoria, accusando i monaci che lo sostengono, ma che evidentemente non condividono il suo “genio”, di non aver mai abbandonato le loro scrivanie per uscire e vedere «di cos’è fatto il mondo». Sensibilità empirista che è evidente anche quando, durante il viaggio, gli viene chiesto di spiegare in quale modo sapesse orientarsi la notte usando il sestante “come i saraceni”. Ma il film non si limita a suggerire tutto ciò; durante l’edificazione di La Isabela, la voce fuori campo di Colombo stesso, intento a scrivere una lettera, informa il pubblico su come l’impianto urbano che avrebbe preso a modello sia quello della “città ideale” di Leonardo da Vinci. Difficile non scorgere in questo passaggio un tentativo di porre in continuità i due personaggi storici, seguendo il fortunato filone retorico del “genio italico”.
Ma l’azione non si limita alla messa in pratica delle conoscenze scientifiche. Colombo, come ogni esploratore che si rispetti, guida personalmente i suoi uomini nello sbarco a Guanhani e nelle perlustrazioni dell’isola. È un vero leader anche quando si tratta di ultimare il campanile della nuova cattedrale di La Isabela, spingendo carri e tirando funi come tutti gli altri, ma anche quando si tratta di dover dare battaglia agli indigeni che hanno ucciso i guardiani della miniera, o di dare la caccia a Moxica e i suoi compagni rivoltosi.
Il Colombo cinematografico è peraltro disposto a tutto pur di raggiungere questi suoi scopi. Disposto a lasciare la famiglia per anni, a rischiare le vite dei suoi uomini a partire dal primo viaggio, nonché quindi ad impugnare una spada e ad uccidere quando la situazione degenera. Nonostante ciò, non passa mai l’idea di un uomo spregiudicato. Sono piuttosto sempre le circostanze a costringerlo alle azioni più brutali.
 Cristoforo e la Spagna
Come in ogni buona storia che si rispetti, ad un protagonista deve contrapporsi un antagonista. In questo film, il suddetto ruolo è generalmente riconoscibile in buona parte del mondo spagnolo che gravita attorno alla vicenda, trovando poi una personificazione drammatica, per non dire eccessivamente stereotipata, in Adrián de Moxica.
Regia e sceneggiatura danno pieno spazio alla leyenda negra nel dipingere a tinte fosche la Castiglia del 1492: folle esaltate assistono a dei roghi in piazza, non è dato sapere se di eretici o altro, per mano dell’Inquisizione, che “magnanimamente” ricorre alla garrota per chi si è pentito in extremis dei suoi peccati, risparmiandogli la pena delle fiamme. A questa scena assiste, ovviamente disgustato, Colombo, che cerca di allontanare il figlio dalla vista di quell’orrore. Anche dal punto di vista puramente visivo, è facile cogliere la pervasività dell’elemento religioso, tramite l’onnipresenza dell’elemento della croce. Altro tema della parte della storia ambientata in Spagna, è quello della Reconquista appena conclusa. Alla conquista di Grenada si fa più volte riferimento, tanto nei dialoghi quanto visivamente. Molto del girato è ambientato nei suoi palazzi dalle decorazioni moresche e due scene in particolare mostrano la fine dell’esperienza musulmana nella città: la lunga colonna di persone ferme a pregare lungo la via dell’esilio e l’abbattimento di una mezzaluna dal tetto di una cupola mentre una croce di legno viene portata per le strade in processione. Al dogmatismo e al fanatismo imperanti, però, Cristoforo contrappone una religiosità umanista, genuina, che si manifesta nella scena corale dell’innalzamento della campana sulla cattedrale appena realizzata a La Isabela; tutti sono chiamati a partecipare nell’erezione di una nuova chiesa nel Nuovo Mondo.
C’è però chi non intende affatto partecipare alla “conquista del Paradiso” nei termini voluti dal genovese. Ai nobili propositi di Colombo si contrappone infatti l’aristocrazia spagnola, che trova due tipi principali in Gabriel Sánchez e Adrián de Moxica, entrambi personaggi realmente esistiti. Mentre il primo è il principale rivale dell’esploratore in Castiglia e trama per beneficiare a suo discapito delle scoperte oltreoceano, il secondo è l’incarnazione del conquistador violento e arrogante. Un vero e proprio villain, Moxica ne rispecchia i canoni anche a livello estetico; viso affilato, lunghi capelli neri, come pure gli occhi e gli abiti. Un’iconografia chiaramente marcata, resa ancor più evidente nel confronto con un Colombo biondo e spesso in camicia bianca, come nel (mancato) duello finale. Nella finzione cinematografica, sarà proprio l’insubordinazione di Moxica e di altri nobili spagnoli a segnare l’inizio della fine per il progetto colombiano a La Isabela, liberando sostanzialmente Colombo da ogni colpa.
Una delle scene in cui, forse, è resa al meglio la distanza fra Colombo e la società spagnola, che viene messa alla berlina per la sua ipocrisia, è quella dell’esecuzione dei capi della rivolta sopravvissuti a Moxica. Creando un parallelismo con le immagini dei roghi all’inizio del film, lo strumento con cui viene eseguita la pena capitale è ancora una volta la garrota, ma la reazione della folla circostante è ben diversa: ad assordare non sono le grida, accompagnate da una colonna sonora carica di pathos, bensì il silenzio. Nessuno prova piacere alla vista della morte dei nobili spagnoli, anzi; se durante il rogo il clero assisteva compiaciuto, a La Isabela il suo rappresentante più alto, frate Buyl, si alza e se ne va, incapace di assistere. Lo stesso Buyl, che, prima di abbandonare la città per tornare in Spagna, accusa Colombo di trattare alla stessa stregua spagnoli e indigeni, dimostrando, almeno agli occhi dello spettatore moderno, scarso spirito di fratellanza cristiana con questi ultimi.
C’è però un personaggio iberico che sfugge a questa feroce critica antispagnola: la regina Isabella di Castiglia. È lei che permette a Colombo di partire nonostante la contrarietà degli accademici; è lei che gli consente di tornare su Hispaniola nonostante i risultati del primo viaggio non siano stati dei migliori; è lei che gli concede la libertà dopo l’arresto, come pure di partire per il suo terzo viaggio. Questa benevolenza, nel film, è giustificata dal suo essere molto simile a Colombo stesso. Entrambi sono riusciti in imprese da tutti giudicate impossibili ed entrambi hanno molto faticato per questo: se al primo incontro Isabella, reduce della conquista di Grenada, appare più vecchia di quanto non sia realmente, così Colombo, di un anno più giovane della sovrana, sembrerà molto più vecchio di lei nel loro ultimo incontro, dopo le peripezie del secondo viaggio.
 Cristoforo e i Taino
L’altra società con cui Colombo deve misurarsi è quella degli indigeni Taino. Nonostante Colombo, ancora con una voce fuori campo, affermi che essi «non sono selvaggi», il rapporto fra i, de facto, invasori e i locali appare sbilanciato già nelle premesse ideologiche. I Taino non sono davvero riconosciuti dal genovese come soggetti alla pari, ma come persone da trattare «come si tratterebbero le proprie mogli e i propri figli» e quindi poste sostanzialmente sotto tutela, e in quest’ottica paternalistica sono anche stabilite le leggi a divieto di saccheggio e stupro. È dalla religione, con il chiaro riferimento alla futura, possibile, conversione di questi popoli dell’«Eden», che sembrano scaturire le ragioni di questa buona predisposizione verso i Taino.
Nonostante queste premesse esplicitate, la rappresentazione cinematografica degli indigeni finisce per appiattirsi su un dualismo del buono e del cattivo selvaggio di retaggio cinquecentesco. I Taino prima accolgono Colombo e i suoi compagni con curiosità e benevolenza, per poi obbedire placidamente fino alle angherie di Moxica; ma le violenze indigene sono sempre perpetrate da altri; i membri della spedizione che rimangono a Hispaniola al termine del primo viaggio sono uccisi dai Caribes, popolazione rivale dei Taino, mentre l’eccidio di spagnoli alla miniera d’oro è compiuto da una sanguinaria tribù guerriera. Solo tre personaggi vanno a dare un poco di spessore a questo mondo: Juan, il ragazzo spagnolo dal labbro leporino; il “sovrano” dei Taino di Hispaniola; Utapán, guida e interprete di Colombo.
Per quanto riguarda il primo, il mozzo della Santa Maria è tratteggiato mentre si converte agli usi e ai costumi degli isolani, probabilmente a simboleggiare la possibilità di riscatto individuale che la vita nel Nuovo Mondo può offrire a chi, probabilmente anche a causa della sua deformità, era in patria costretto ai ranghi più bassi della scala sociale. Il capotribù di Hispaniola, invece, trascende l’idilliaca e stereotipica figura dell’indigeno che, buono per natura, fa tutto quello che gli viene chiesto di fare dal conquistatore europeo; è consapevole dei fini di Colombo e lo sembra anche del fatto che non possa fare nulla per impedirne le azioni.
È però Utapán il personaggio Taino più rilevante nel film, perché strettamente legato a Colombo. Come sua guida e interprete gli è sempre al fianco fin dallo sbarco a San Salvador, ma è nell’ultima scena in cui compare che si esplicita l’idea che il film vuole dare del perché il rapporto fra l’esploratore e i nativi non sia andato come sperato; Colombo non ha mai imparato la sua lingua, ovvero non ha mai provato a mettersi nei panni degli indigeni.
 Cristoforo e la natura
Questo dialogo finale fra Colombo e Utapán avviene all’inizio della violentissima tempesta che si abbatte su La Isabela. Come a coronare la serie di ribellioni contro il protagonista, al seguito degli indigeni e degli aristocratici castigliani giunge la natura a dare il colpo di grazia all’esperimento di città ideale avviato nel 1494. Una natura che è infatti l’unico avversario a cui Colombo non può opporre alcuna resistenza.
Introdotta fin dalla comparsa della costa di Guanhani fra le brume dei Sargassi, a dominare è la giungla caraibica. Descritta come l’Eden da Colombo durante la fase iniziale di conoscenza con i nativi, la terra scoperta sembra perfetta per la fondazione di una colonia, dove le sementi crescano rigogliose e gli animali si riproducano in abbondanza. L’ambiente, però, è anche denso di minacce, che siano serpenti velenosi o malattie sconosciute, per l’esploratore e i suoi uomini, che non demordono dalla loro ricerca di tesori fino a che non diventa evidente che Pinzón, il secondo di Colombo, è troppo debilitato e deve essere riportato in Spagna.
Ma è proprio nell’uragano finale che si realizza appieno la potenza di questa natura. Il vento e la pioggia fanno scempio degli edifici, persino di quelli in muratura, penetrando fra le finestre e raggiungendo un Colombo che cerca riparo senza trovarne. La violenza della scena culmina con un fulmine che, colpendo la croce sulla piazza, la incendia.  Al mattino seguente, una colonna di formiche va e viene dalla camera di Colombo: la natura si è ripresa i suoi spazi.
 Alcune conclusioni
Questo film è molto lontano dall’offrire un quadro preciso e affidabile della reale vita di Cristoforo Colombo, ma non è questa la sede in cui evidenziare le pur numerosissime imprecisioni storiche. Ciò che forse è più importante è notare come la figura del genovese sia palesemente ripresa solo da fonti a lui favorevoli.
La cosa è resa palese nei primi e negli ultimi minuti della pellicola, quando si intende che la narrazione si avvale delle memorie scritte dal figlio Fernando. In alcune parole, che scorrono a schermo al termine del girato, è poi evidente che si ritenga che tali memorie famigliari siano da considerarsi più che valide; si dice infatti, nero su bianco, che la biografia di Colombo redatta da Fernando ha «reso [al padre] il suo posto nella Storia». La famiglia Colombo in realtà si impegnò in una battaglia per la riabilitazione di Cristoforo non solo a livello memoriale, ma anche legale, dalle accuse che portarono al suo arresto e alla privazione dei titoli, proprio al fine di riappropriarsi dei privilegi promessi nelle Capitulaciones di Santa Fe e minacciati dal resto della nobiltà spagnola. Considerati quindi gli interessi materiali dei Colombo, è difficile pensare che utilizzare solo i loro scritti come fonte di ricostruzione del protagonista possa essere una scelta onesta.
Dopotutto, però, il fine del film sembra essere più che altro quello di narrare la storia avventurosa di un eroe romantico ante-litteram, lasciando in disparte la simbologia politica, ideologica e culturale che il nome Colombo si porta appresso nella realtà. A dominare è la retorica, toccando livelli altissimi in alcuni discorsi o dialoghi del protagonista. Durante il primo viaggio, ad esempio, Colombo sprona il suo equipaggio, provato dal lungo navigare e propenso a credere in una maledizione divina contro l’impresa, parlando della gloria a loro riservata quando «la gente parlerà del coraggio dei primi uomini che attraversarono questo oceano e tornarono» e loro potranno dire «io c’ero». Al termine di quest’arringa, il vento torna a gonfiare le vele dopo la bonaccia, come a sancire il sostegno divino di cui i marinai avevano dubitato.
Oppure, nella parte finale del film, nel dialogo fra Sánchez e Colombo e fra il nobile castigliano e il prelato Rojas. Il tesoriere accusa Cristoforo di essere un «sognatore», al che il genovese gli fa presente come i palazzi e i campanili, la civiltà che lui e Sánchez possono vedere dalla finestra, siano opera di «uomini come me», altri sognatori che, proprio al pari di Colombo sono riusciti a realizzare le proprie aspirazioni. Rincarando la dose, poi, Cristoforo fa presente allo spagnolo che la differenza che incorre fra i due sia che solo «io ce l’ho fatta. Voi no», lasciandolo interdetto. Sánchez sembra quindi aver compreso quanto dettogli nel momento in cui, poche scene dopo, così risponde a Rojas che, visto Colombo in lontananza, giudica la sua esperienza una «tragedia. Lo spreco di una vita»: «Uno spreco? Se il vostro nome, o il mio, saranno mai ricordati […] sarà solo grazie al suo».
Sembra esserci nei personaggi, dunque, una forse eccessiva consapevolezza del peso che la vicenda di Colombo avrebbe effettivamente ricoperto nei secoli a venire, e soprattutto del peso di Colombo stesso nella Storia. Una consapevolezza più probabilmente propria dello sceneggiatore e del regista.
In ultimo, a coronare l’opera di mitizzazione positiva, è da sottolineare come viene presentata la privazione di Colombo del titolo di viceré e il nulla osta di Isabella a compiere un ultimo viaggio. Il genovese sembra sollevato dal non dover più essere governatore, mentre è subito pronto per una nuova avventura per mare, come se dopo il disastro di Hispaniola abbia ripreso coscienza della sua vera natura: essere un esploratore assetato di conoscenza. Come un novello Ulisse, in sostanza, con il quale l’analogia appare ulteriormente marcata dal rapporto con l’amante Beatrice che, come Penelope è stata fatta oggetto delle proposte di molti uomini durante l’assenza dell’eroe, ma ha atteso sempre l’amato girovago.
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pangeanews · 5 years ago
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“Accetta la possibilità che un male incrini il tuo universo di certezze e lascia che passi”. Riflessioni su Apocalisse, Big Crunch, Ming lo Spietato e Coronavirus
17 marzo 2020, ore 00.00
173.344 di casi nel mondo, 6.610 morti.
7.700.000.000 di anime sulla Terra.
Non è la salute. È la paura di perderla. È l’onda anomala emotiva. Abbiamo visto troppi film postapocalittici scadenti.
Nell’antichità si aspettava con timore la fine del mondo, accompagnata da uno squillo di trombe, come il momento della resa dei conti. I chiliasti erano uniti nel terrore misto alla speranza del millenario regno di Dio e la Gerusalemme celeste. La scienza oggi ci suggerisce invece che la possibile fine naturale del nostro pianeta sarà a miliardi di anni di qui a venire e un ipotetico Big Crunch, che determinerà la cessazione dell’universo intero, ancora più in là nel tempo, avvenimenti con una giustificazione scientifica che di fatto azzera qualsiasi folkloristica previsione fatta di cavalieri con la trombetta e angeli e giardini con vergini saltellanti, sorgenti d’acqua fresca e pacificazione dello spirito. Certo, esistono innumerevoli e affascinanti teorie scientifiche sul destino dell’universo, tutte lì in bell’attesa di prova sperimentale, dall’idea di universo ecpirotico a quella di inflazione eterna, dalla teoria delle bolle e dell’universo oscillante alla morte termica dell’universo, al multiverso e tutto quello che vi pare. Invece, dopo l’Apocalisse nella tradizione giudaica, cristiana e islamica, si attuerà la fine escatologica del mondo, le anime saranno smistate, i misteri disvelati. Qui la prova sperimentale non è richiesta. Insomma alla fine sapremo finalmente della natura del paradiso e dei misteri divini e del destino degli uomini. Ma non sulla Terra, perché la Terra non ci sarà più. Per tutti, uomini di fede e di scienza, la Terra non ci sarà più. Per quelli di fede qualcosa di nuovo e migliore ci attende, dove non ci lasceremo vanamente gonfiare la mente carnale. Dio nel giudizio universale finalmente darà a chi se lo merita un bel destino e agli altri l’inferno. Dal purgatorio, quella località dove albergano i defunti ancora in attesa di una sentenza, si uscirà e si verrà giudicati, probabilmente senza un processo equo. Per quelli di scienza, per contro, ci sono il nulla o teorie indimostrate, tanto bizzarre quanto quelle della fede.
*
La trasformazione del mondo, perché poi è di questo che nell’Apocalisse si tratta, è l’avvenimento che la religione prevede non prima che tutti i segni si siano rivelati, e questi segni sono tra i più indecifrabili di tutte le scritture, ma siccome il testo va interpretato, il simbolismo in esso contenuto deve essere compreso all’interno del contesto storico-letterario e sociale nel quale è stato scritto: oggi molto pragmaticamente lo consideriamo semplicemente il frutto del suo tempo, e non ci riguarda. E la scienza prevede la fine di tutto fra miliardi di anni e quindi neanche questo ci riguarda, perché per la scienza siamo qui da troppo poco tempo e tra miliardi di anni probabilmente saremo già bell’e che spariti, proprio come per acciacco siamo arrivati. Nella cultura di massa contemporanea il mondo invece mica finisce, solo rischia di finire, anzi, rischia semmai l’umanità, perché è cattiva e il mondo lo tratta male. Il mondo pop, o mondo contemporaneo, quello della gente, hic et nunc, è minacciato adesso e si devasterà tra poco, molto più presto di quel che siamo capaci a sopportare, per via di un complotto malvagio, un terrorista senza scrupoli, di scimmie che si umanizzano e ci schiavizzano, degli alieni o di un virus, ma resterà, e i pochi, molto pochi, sopravvissuti lo percorreremo sbandati e miserabili, dando sfogo alle peggiori porcherie di cui come uomini siamo capaci, in un paesaggio senza legge e senza morale. Questa cosa ci fa più paura dell’Apocalisse, o del Big Crunch, perché è adesso, imminente nella nostra letteratura quotidiana, nelle nostre vicende ecoinsostenibili, bucozoniste, fukushiane e virulente ed esclude la possibilità di salvezza per i buoni di spirito. Il male coglierà tutti, indistintamente, indipendentemente dalla qualità delle loro azioni nel tempo in cui il mondo era aggiustato. Unica speranza pop è l’eroico eroe che godrà della redenzione universale, dell’apocastasi come forma di pessimismo rassicurante. Sopravviverà e costituirà il germoglio palingenetico e abiterà sulla Terra desolata e sarà suo, dell’eroico eroe, il compito di ricostruire un mondo felice, ripopolarlo.
*
Ma nella realtà sembra non esserci un eroico eroe pronto per noi adesso. Siamo in preda al panico perché impreparati e terrorizzati di perdere la nostra misera vita. Non quella degli anziani infetti, già sfiancati dai mali che naturalmente sfibrano col passare degli anni il corpo consumato di ciascuno. Quello è solo lo spauracchio che ci ricorda l’inconsistenza della carne. Vedere i numeri dei morti, guardare gli anziani morire ci fa rabbrividire, ma muoiono sempre e non ci piace guardare e ora siamo costretti a leggerli quei numeri, che appaiono in ogni dove, non c’è scampo, respice post te, hominem te memento. Non guardiamo in faccia il sole perché sappiamo che ci accecherà, non guardiamo in faccia la morte perché ci dà la consapevolezza della caducità e questa consapevolezza vanifica ogni desiderio vitale, ogni arte, ogni progresso, azzera l’idea d’azione, ci pone in mesta attesa dell’ineluttabile.
*
Perché allora questi numeri rimbalzano così ferocemente nonostante l’istinto, ora che ve n’è occasione? Forse per la perversa voglia di essere ascoltati, seguiti, di essere primi a dire le cose per poi rinfacciarle a tutti gli altri? Te l’avevo detto come magra consolazione? Oso dare la responsabilità ai quindici minuti di notorietà che oggi sono di fatto un inalienabile diritto. E per tirare in ballo il signor Eco, mi sento d’affermare che la rete non ha solo aperto i cancelli a quelli che prima avevano solo il bar come platea – che sarebbe cosa sacrosanta perdìo, se ne facesse una ragione, ma chi cazzo si credeva d’essere? – ma anche limato a lamina sottile e liscia il pensiero cosiddetto alto, che ormai gareggia zoppo e gregario contro una girandola vorticante di opinioni tanto fantasiose quanto deleterie, ma perde e perderà perché è il mondo moderno e oggi viviamo così. Cane mangia cane. Click mangia click.
*
Transeat. Non vuol certo dire metti la testa sotto la sabbia. Non vuol neanche dire non fare nessuna cosa, vuol dire letteralmente lascia che scorra, implicitamente, accetta. Accetta la possibilità che un male, per oggi oltretutto di media caratura, incrini il tuo universo di certezze e lascia che passi. Canta transeat Francesco de Gregori, quando prega Gesù bambino che la guerra “sia pulita come una ferita piccina picciò, che sia breve come un fiocco di neve e fa che si porti via la malamorte e la malattia, fa che duri poco e che sia come un gioco”
*.
Oggi, figli legittimi e orgoglioni della cultura della scienza, desideriamo, anzi, esigiamo di poter dilatare il nostro tempo, contrastare la fine del mondo, che essa avvenga attraverso una piaga o una catastrofe ambientale, un morbo terrificante o addirittura per l’avvento di qualcosa di deleterio venuto da lontano, dallo spazio. Allora moltiplichiamo gli eroici eroi moderni, da Flash Gordon che sconfigge il malvagio Ming del pianeta Mongo che con la Terra ci vuole solo giocherellare prima di annientarla, come certi bambini dan fuoco ai formicai, a Bruce Willis/Harry S. Stamper che ferma un meteorite o Greta della valle del vento, che però da qualche giorno lotta solo online. Il professor Burioni è il nostro paladino della scienza. Nuovo guru, e gli eroici infermieri, angeli del nostro destino, indefesse truppe delle sale di rianimazione, i suoi soldati, e crediamo nelle sue e di altri come lui parole senza spesso comprenderne il significato, ma chi del resto nell’antichità capiva il linguaggio criptico dei teosofi? La fede nella scienza ci fa credere di poter contrastare qualsiasi male.
*
Attenzione però: non è sfiducia nella scienza la mia. Sono perfettamente a mio agio con l’idea di vaccinare le persone, di curarle come si può, dell’uomo sulla luna e della Terra sferica, del fatto che mangiamo male e scoreggiando troppo facciamo gas che bucano l’atmosfera. Mi diverte altresì l’idea della meccanica quantistica come disciplina speculativa, non lontana dalla speculazione filosofica. L’indimostrato non è ancora di nostro appannaggio, forse non lo sarà mai o forse tra pochi minuti, ma è nella nostra natura cercare di fare luce su ciò che non conosciamo. Investire le nostre risorse per spingerci laddove nessun uomo è mai arrivato prima. È nella nostra natura lottare per sopravvivere. Il punto è stabilire che armi sono le più opportune per affrontare la lotta. Siamo nelle mani del dictator, gli è stato conferito summum imperium, tiene le redini e impone il sacrificio per il bene comune, chiede una nuova “giornata della fede”. Oro alla Patria!
*
Transeat dice Boris Johnson e viene dileggiato.
Nei prossimi mesi sapremo se nel Regno Unito saranno morte tante persone quante nel resto del mondo o enormemente di più.
Allora sapremo se il nostro sforzo di contrastare la morte è stato vano oppure efficace.
E se il mondo ci sarà ancora.
Ah, no, dimenticavo: il mondo ci sarà ancora e lo ripopoleranno gli eroici eroi.
Pietro Geranzani
P.S. Leggo fra le notizie della settimana che è morto a Milano, con il coronavirus nel sangue, l’illustre architetto Vittorio Gregotti, RIP. Aveva 92 anni ed era ricoverato per una polmonite.
Ora mi chiedo: è morto di coronavirus o di novantaduite?
*Le opere che corredano l’articolo sono di Pietro Geranzani
L'articolo “Accetta la possibilità che un male incrini il tuo universo di certezze e lascia che passi”. Riflessioni su Apocalisse, Big Crunch, Ming lo Spietato e Coronavirus proviene da Pangea.
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il-lato-nerd-della-forza · 6 years ago
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Il killer più spieato del cinema d’azione moderno sta per tornare sui grandi schermi con un terzo film. Parliamo ovviamente di John Wick, interpretato da Keanue Reeves, diretto sempre dal fedele Chad Stahelski, che dopo i primi due meravigliosi film tornerà sui grandi schermi il 16 maggio con John Wick 3: Parabellum, nel quale il serial killer dovrà vedersela con praticamente tutta la società criminale di cui egli stesso fa parte, dopo gli eventi del secondo capitolo.
Tra tutte le cose che rendono questi film unici una di quelle è sicuramente la fotografia, a cura di Jonathan Sela nel primo film e di Dan Laustsen nel secondo e terzo capitolo: ricca di colori, ombre, meravigliosi giochi di luce che ricordano quel cinema action anni ’80 che tutti noi non possiamo non amare. Fotografia ed estetica che viene omaggiatai in questi nuovissimi poster ufficiali particolarmente inediti nel loro essere molto “artistici”.
Ve li potete gustare nella galleria sottostante.
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John Wick 3: Parabellum (John Wick: Chapter 3 – Parabellum) uscirà nelle sale italiane il 16 maggio 2019, con Chad Stahelski alla regia, su sceneggiatura di Derek Kolstad, Shay Hatten, Chris Collins e Marc Abrams, con soggetto sempre di Kolstad, e con Basil Iwanyk, Erica Lee, David Leitch, John R. Saunders e lo stesso Stahelski come produttori. La fotografia è a cura di Dan Laustsen, mentre la colonna sonora è composta da Tyler Bates e Joel J. Richard.
Nel cast Keanu Reeves (John Wick), Asia Kate Dillon (il Giudice), Jerome Flynn (Berrada), Ian MacShane (Winston), Lance Reddick (Charon), Laurence Fishburne (Bowery King) e Halle Berry (Sofia).
John Wick 3: Parabellum, rilasciati nuovi artistici poster Il killer più spieato del cinema d'azione moderno sta per tornare sui grandi schermi con un terzo film.
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jaysreviews · 7 years ago
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Prologo: tanto tempo fa, vidi il trailer di un film dal titolo “Shawn of the Dead”, arrivato in Italia come “L’alba dei Morti Dementi” (sigh!). Sulle prime pensai fosse una parodia dei film sugli zombie. La visione del film smentì questa mia convinzione: dietro allo humor c’era un vero film horror con tutti i crismi! Grazie a quel film feci amicizia con Simon Pegg, Nick Frost e presi nota del nome del regista, Edgar Wright… seguirono poi “Hot Fuzz” il poliziesco, “World’s End” il film catastrofico di fantascienza e “Scott Pilgrim Vs The World” tratto dal fumetto. Qualche tempo dopo, in attesa di un film al cinema, io e la mia bella ci siamo trovati davanti al trailer di “Baby Driver”, ultima opera del Sig. Wright di cui sopra. Fu lei a dire che voleva vederlo (oltre a voler guidare come il protagonista). La storia ruota attorno a Baby (lui si presenta così), giovane molto particolare che fa da autista ai rapinatori per conto del losco Doc. La sua vita va a tempo di musica, che usa per coprire un problema all’udito, fino al giorno in cui incontra la dolce Debora, cameriera in un diner, e si trova a lavorare con lo spietato ed imprevedibile Pazzo. Ed è da qui che Baby si troverà a dover usare tutta la sua astuzia e l’abilità nella guida per uscire dai guai, grossi guai! Oggi: Edgar Wright non mi delude e non mi ha deluso! Questo film è il miglior uso di una colonna sonora dall’invenzione del sonoro! Tutto il film vive sulla sua colonna sonora: ogni azione, passo, sparo, sgommata, tutto segue il tempo della canzone che passa nell’iPod di Baby. E ne sentirete di musica tra rock, blues, funk, pop, in un caleidoscopio che comprende Commodores, T-Rex, Beck, Queen… E tutto con quei tocchi di classe visivi a cui ci ha abituati Wright dopo Hot Fuzz, Scott Pilgrim, ecc… come stacchi fluidi con la situazione, rapidità e quella nota di violenza che fa parte del suo stile. Il cast poi fa il suo ottimo lavoro partendo proprio dal protagonista Ansel Elgort che da il volto al giovane protagonista sempre un po’ distaccato dalla realtà; poi c’è Lily James che… sono io o somiglia a Jessica Lange? Comunque il resto del cast è una festa di pezzi da 90 come Kevin Spacey nei panni dell’elegante ma losco Doc, Jamie Foxx pericoloso e imprevedibile e John Hamm tra il romantico ed il folle omicida. Insomma Baby Driver è uno di quei film d’azione sulle rapine classico senza essere vecchio e moderno senza esagerazioni a la Fast & Furious. Ormai per me Edgar Wright è sullo stesso livello di Tarantino: gente che ama il cinema, ne ha mangiato a palate ed ora lo fa al meglio!
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