#famiglia e mistero
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"L'eredità di Christine" di Laura Usai. Un viaggio nella Londra vittoriana tra segreti di famiglia e sfide alle convenzioni. Recensione di Alessandria today
"L'eredità di Christine" di Laura Usai è un avvincente romanzo storico ambientato nell’Inghilterra del 1872.
“L’eredità di Christine” di Laura Usai è un avvincente romanzo storico ambientato nell’Inghilterra del 1872. La storia segue Christine, una giovane donna che, a un anno dalla tragica scomparsa dei genitori, si sente ancora fuori posto nella tranquilla vita di campagna nel Kent e prova una forte nostalgia per Londra. L’occasione per tornare nella capitale si presenta quando il suo legale la…
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Delitti di provincia: la circe della versilia
Maria Luigia Redoli, la Circe della Versilia. Amante, follemente innamorata di uomini e divertimento. Concupita e truffata da chi dell’incerto avvenire predisse smazzando carte, s’invaghì del giovane Carlo, bell’imbusto a cavallo. Figli adulterini squinternati, cene e spese folli, tutto alle spalle del vecchio Iacopi, l’usuraio, che tanto santo non fu nemmeno lui. Tradimenti, prodigi e magia…
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Del resto la timidezza ha accompagnato tutta la mia vita. Da ragazzo non alzavo gli occhi da terra. Strisciavo alle pareti per non esser visto. Sul principio pensavo che fosse una malattia mia o al massimo della mia famiglia. La mamma è di quelle che si intimidiscono davanti a un modulo di telegramma. Il babbo osserva e ascolta, ma non parla. Più tardi ho creduto che la timidezza fosse il male dei montanari. I contadini del piano mi parevano sicuri di sé. Gli operai poi non se ne parla. Ora ho visto che gli operai lasciano ai figli di papà tutti i posti di responsabilità nei partiti e tutti i seggi in parlamento. Dunque son come noi. E la timidezza dei poveri è un mistero più antico. Non glielo so spiegare io che ci son dentro. Forse non è né viltà né eroismo. È solo mancanza di prepotenza.
Don Lorenzo Milani - Lettera a una professoressa
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Premessa doverosa: non sono qui per giudicare nessuno. Anzi, sono per il "vivi e lascia vivere". Ma se ieri io stessa ho trovato divertente cercare di risolvere "il mistero" di chi mandasse o meno le foto di Louis e i suoi amici a Glastonbury ai vari UAs, devo ammettere che il fatto che queste foto venissero prese da un profilo privato mi ha messa un po' a disagio.
Per quanto infatti adori vedere Louis divertirsi con la sua cerchia di amici d'infanzia e la sua famiglia, allo stesso tempo mi sembra di superare un confine non consentito, di invadere senza alcun diritto quei pochi momenti privati che gli appartengono.
Mi sono anche detta che forse esagero, e che se le foto vengono pubblicate anche dopo che l'amico Ray ha impostato il profilo su privato, forse in realtà non c'è alcun problema, e che forse è stato dato il consenso ai vari UAs di pubblicare quei contenuti.
Tuttavia Beth, la fidanzata di Tommy (l'amico di Louis che indossava la maglietta dei 1D/Nirvana), chiede da ieri di smettere di prendere le foto o fare gli screenshots dal profilo privato del loro amico, e soprattutto di smettere di mettere il naso nell'account di suo fratello (che non è Ray, ma un altro ragazzo).
Ora, capisco che la richiesta non provenga dal diretto interessato nè tantomeno da Louis, ma questa ragazza è lì con loro a Glasto, è loro amica, sa quello che sta succendo e non avrebbe assolutamente alcun motivo di scrivere sotto al suo profilo sia di IG che X, e di venire a commentare sotto un UA scrivendo una bugia.
Allora mi chiedo, perché continuano a pubblicarle nonostante tutto ciò? Dov'è il rispetto per Louis? E il rispetto per Louis passa anche attraverso il rispetto per i suoi amici.
#louis glastonbury 2024#louis' privacy#louis' friends#sorry for the very long rant#but i had to#louis at glastonbury#glasto louis
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Non riesco ad avere figli e mi sembra di aver buttato la mia vita fino ad ora e che oltre non ci sia uno scopo...
Ti racconto una cosa.
Io ho 50 anni e la nostra prima figlia è nata che avevo 25 anni... una giovane coppia per quei tempi (1997) e un'età che adesso sarebbe definita prepubere.
Non ti faccio mistero che per un certo periodo della mia vita ho provato un sentimento molto vicino al disprezzo misto rabbia per tutte quelle persone che proseguivano la loro adolescenza lunga ponendosi al centro del mondo e ignorando la lotta esistenziale che un genitore doveva portare avanti anche solo per riuscire ad andare a letto la sera senza strisciare le ginocchia sul pavimento.
Oggi dico che ognuno cresce con le esperienze che gli sono più congeniali ed essere genitori è solo uno dei tanti modi per conoscere meglio la realtà... non ti rende migliore, ti fornisce solo una buona occasione per ridiscutere la tua centralità nel mondo.
Un figlio non è uno scopo, né una benedizione né una maledizione.
Un figlio non consolida il tuo ruolo nella società né conferma la tua validità di essere umano... se proprio dobbiamo dirla tutta ti provoca un'overdose di inadeguatezza e ti svela ogni giorno una nuova sfumatura del termine 'ansia'.
La domanda che ti devi fare prima di 'Sarò una buona madre?' e un'altra...
'Saprò amare gli altri anche se non sono come me?'
In caso contrario il figlio che sarà potrebbe essere per te solo un riscatto oppure una soddisfazione personale o anche una dimostrazione. O, peggio, un modo per accontentare o legare a te qualcuno.
Un figlio, in realtà, è un atto di amore ma non verso te stessa o verso chi ti sta accanto... è un atto di amore (e di fede) verso ciò che non sei tu, verso quel mondo che, dal giorno della tua scelta, diventerà più ricco e ancora più pieno di amore.
Perchè il bambino non nasce nell'utero ma nella testa e nel cuore.
Sappi essere madre senza figli e quello che tu chiami 'scopo' diventerà una tua consapevolezza profonda con la quale potrai aprirti all'altro anche senza legami di sangue e scoprire che la famiglia non ha nulla a che vedere con la biologia o la parentela.
Io sono figlio unico ma ho mille fratelli e sorelle... e ho ben più che due figlie, credimi.
Saprai amare gli altri anche se non sono come te?
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Racconti di viaggio - parte 1
L'India non è per tutti.
È un paese complicato che mette a dura prova te stesso in molti aspetti.
Il primo aspetto è l'igiene. Io non sono affatto una persona schifettosa e igieno-fobica come molte persone del primo mondo sono (anzi faccio cose che solo a dirle molti mi vomiterebbero in faccia), per cui ho un'alta tolleranza alla carenza di igiene e pulizia e la cosa mi è pesato solo in un punto. In India hanno le case mediamente a posto, ma fuori è letteralmente una discarica a cielo aperto: non ci sono cestini, proprio non esistono, e l'immondizia si butta a terra con tutta la non-chalance del mondo, che sia una bottiglia di plastica o un piatto di carta con rimasugli di cibo. Tutto a terra, sempre. Questo ovviamente crea spesso odori molto sgradevoli e una presenza esagerata di insetti e mosche ovunque. La cosa molto triste è anche che ci sono tantissimi animali in giro tra mucche e cani abbandonati (letteralmente centinaia, mai visti così tanti sebbene dove sono cresciuta è sempre stato pieno) che mangiano quella roba e spesso è praticamente plastica. Più dello schifo questa cosa mi ha messo molta tristezza. L'unico punto che proprio non ho tollerato su questo tema è l'assenza di carta igienica. Pensavo fosse una mancanza della casa del mio amico e invece persino nei ristoranti non c'era. Piuttosto mettono sempre una fontana o una mini doccia da usare a mo' di bidet... va bene, perfetto, ma io dall'acqua puoi come mi asciugo? Mistero della fede (ancora oscuro).
Il secondo aspetto è la povertà. Ero nella capitale per cui in teoria ci dovrebbe essere una concentrazione alta di gente che riesce a vivere dignitosamente (e infatti è così perché i miei amici avevano case okay, sebbene i palazzi siano fatiscenti all'esterno), eppure la quantità di gente che vive in delle baracche di fortuna o per strada è allarmante. Manco fossero in guerra come in Palestina. Una volta ho letteralmente visto una madre che faceva il bagnetto in strada a sua figlia con una bottiglia d'acqua. In più, quando la madre del mio amico mi ha detto: "dopo arriva la persona che pulisce per cui chiedile anche di pulire la tua stanza" io mi aspettavo una donna, come da noi, matura o quanto meno adulta... invece mi ritrovo davanti una BAMBINA. Avrà una decina di anni e viene pagata dalla famiglia del mio amico per pulire e lavare a terra (con lo straccio tra le mani, mica con la mazza da scopa), lavare i piatti ecc. Quando me la sono trovata davanti e l'ho vista pulire ho avuto una pietà infinita.
Esiste una parte di India ancora più povera di quella che ho visto, eppure, esiste anche un'India che sa rivaleggiare con il primo mondo. Quando sono andata in ospedale perché la mia amica giapponese scema si è sentita male tra febbre e diarrea, l'ospedale non sembrava affatto fatiscente e anzi non aveva nulla da invidiare a un comune ospedale italiano. Bollywood sa sfornare film di una profondità e di un genio disarmanti. In ultimo, quest'anno sono riusciti ad andare totalmente da soli sulla luna. È un piccolo continente che racchiude in sé i problemi di tutto il globo e, da europea, la cosa è straniante.
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Credo malgrado tutto che ogni persona sia sola, tutto il tempo.
Si vive soli. Gli altri ci stanno intorno, ma si vive soli. Ognuno è come imprigionato nella sua testa, e tuttavia noi siamo quello che siamo solo grazie agli altri. Gli altri ci “abitano”. Per “altri” si deve intendere la cultura, la famiglia, gli amici. A volte possiamo cogliere il mistero dell’altro, penetrarlo, ma è talmente raro! È soprattutto l’amore a permettere un incontro di questo genere.
Paul Auster
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Scritto da una pensatrice e parlamentare tedesca.
E HO DOVUTO ACCETTARE...
Che non so nulla
Del Tempo…
Che è un mistero
Per me
E che non comprendo
L'Eternità.
Ho dovuto accettare,
Che il mio corpo
Non sarebbe stato immortale,
Che sarebbe invecchiato
E un giorno si sarebbe consumato.
Che siamo fatti di,
Ricordi e oblii;
Desideri, Memorie,
Residui, rumori,
Sussurri, silenzi,
Giorni e notti,
Piccole storie
E sottili dettagli.
Ho dovuto accettare che,
Tutto è passeggero
Transitorio.
E ho dovuto accettare,
Che sono venuto al mondo
Per fare qualcosa per esso,
Per cercare di dare
Il meglio di me
Per lasciare
Tracce positive
Dei miei passi
Prima di partire.
Ho dovuto accettare,
Che i miei genitori
Non sarebbero durati per sempre
E che i miei figli,
Poco a poco,
Avrebbero scelto la loro strada e
L'avrebbero seguita
Senza di me.
E ho dovuto accettare,
Che non mi appartenevano,
Come supponevo, e che
La libertà di andare e venire
È anche
Un loro diritto.
Ho dovuto accettare,
Che tutti i miei beni
Mi sono stati
Affidati in prestito,
Che non mi appartenevano
E che erano fugaci
Quanto fugace era
La mia stessa esistenza
Sulla Terra.
E ho dovuto accettare che,
I beni sarebbero rimasti
Per l'uso di
Altre persone
Quando io,
Non sarò più qui.
Ho dovuto accettare,
Che spazzare il mio marciapiede
Ogni giorno
Non mi garantiva
Che fosse
Proprietà mia
E che spazzarlo
Con tanta costanza
Era solo un'illusione
Futile di possederlo.
Ho dovuto accettare,
Che ciò che chiamavo
“La mia casa” era solo
Un tetto temporaneo
Che un giorno, più o meno,
Sarebbe stato il rifugio terrestre
Di un'altra famiglia.
E ho dovuto accettare che,
Il mio attaccamento alle cose,
Avrebbe solo reso più doloroso
Il mio addio
E la mia partenza.
Ho dovuto accettare,
Che gli animali
Che amo e
Gli alberi che ho piantato,
I miei fiori e i miei uccelli
Erano mortali.
Essi,
Non mi appartenevano
È stato difficile, ma
Ho dovuto accettarlo.
Ho dovuto accettare,
Le mie fragilità,
Le mie limitazioni e
La mia condizione
Di essere mortale,
Di essere effimero.
Ho dovuto accettare,
Che la vita
Sarebbe continuata senza di me
E che,
Dopo un po' di tempo,
Mi avrebbero dimenticato.
Umilmente confesso,
Che ho dovuto combattere
Molte battaglie
Per accettarlo.
E ho dovuto accettare che,
Non so nulla del Tempo,
Che è
Un mistero per me.
Che non comprendo,
L'Eternità e che
Non sappiamo nulla
Su di essa.
Tante,
Parole scritte,
Tanto bisogno di
Spiegare,
Capire e
Comprendere questo
Mondo e la vita
Che viviamo in esso!
Ma,
Mi sono arreso e
Ho accettato ciò che dovevo
Accettare,
E così ho smesso di soffrire.
Ho scartato,
Il mio orgoglio e
La mia arroganza,
E ho ammesso che
La Natura
Tratta tutti
Allo stesso modo,
Senza favoritismi.
Ho dovuto,
Disarmarmi
E aprire le braccia
Per riconoscere
La vita com'è.
Riconoscere che,
Tutto è transitorio
E che funziona
Mentre siamo
Qui sulla Terra.
Questo mi ha fatto
Riflettere
E accettare,
E così raggiungere
La pace tanto desiderata!
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Storia Di Musica #305 - Robert Johnson, King Of The Delta Blues Singers Vol.1, 1961
Riparto da quel tavolino della copertina di Bringing It All Back Home. Su quel tavolino c'è anche questo disco, che probabilmente non dirà moltissimo ai più, ma è uno dei dischi fondamentali della musica occidentale del '900, e sta lì per svariati motivi. Il re dei cantati del Blues del Delta (è quello del fiume Mississippi) è Robert Leroy Johnson, una delle figura più misteriose, carismatiche e leggendarie di tutte. Intorno alla sua figura, alla sua musica, alla sua vita breve e di cui si sa pochissimo c'è un alone quasi mistico e fu questo disco, una compilation delle sue maggiori registrazioni degli anni '30. Di Johnson si sa pochissimo: non è sicura la data di nascita del maggio 1911, nemmeno i genitori, la tesi più accreditata afferma che nacque una relazione extraconiugale della madre Julia Dodds con Noah Johnson, dopo che il marito di Julia, Charles Dodds Jr., l'aveva abbandonata per un'altra donna e la sua infanzia e adolescenza è avvolta in misteri e leggende, aiutati dal fatto che nel Mississippi di quei tempi i documenti per una famiglia nera non fossero la prima preoccupazione ad Hazlehurst della Contea di Copiah. Sta di fatto che all'inizio, aiutato da uno dei figli di Noah, impara a suonare l'armonica a bocca, e poi la chitarra, ma all'inizio è tutt'altro che appassionato allo strumento. Si sposa due volta, nel 1929 con Virginia Travis, che muore di parto l'anno successivo a 16 anni con la bimba neonata, e nel 1931 con Calletta Craft. Secondo la leggenda, da lui stesso raccontata e accresciuta, lascia la seconda moglie per seguire la sua passione per la musica e, nel vagabondare, all'incrocio più profondo e sperduto nelle terre del Delta, fa un patto con il Diavolo, a cui vende l'anima in cambio dell'arte di saper suonare la chitarra. Secondo molti che ne alimentano il mito, davvero d'un tratto Johnson ebbe un miglioramento colossale nel suonare, e secondo alcuni biografi, fu suo maestro un misterioso bluesman di nome Ike Zimmerman, altra figura avvolga nel mistero: Johnson sfruttò alla grande queste storie, a cui lui aggiunse una particolare vocazione nel suonare nei cimiteri, tra le tombe, nota al punto da venire additato quale emissario del demonio. Se il patto è vero, funzionò: Johnson, dopo aver registrato la sua musica in modi e tempi che vi dirò a breve, morì a 27 anni, nel'Agosto del 1938, primo nome di quel futuro Club dei 27, che comprende i grandi della musica morti a quell'età. Anche sulla morte ci sono numerose leggende, ma la tesi più accreditata è che fu avvelenato dal barman del locale dove lui, Sonny Boy Williamson II e David Honeyboy Edwards erano la resident band, nei pressi di Greenboro, contea di Jackson: Johnson divenne l'amante della moglie del proprietario, che lo avvelenò versando un veleno nella sua bottiglia di whisky. A rendere tutto ancora più iconico, nessuno sa dove sia sepolto, dato che nella contea di Jackson, dove fu scritto il certificato di morte, esistono tre tombe di Robert Johnson, e nessuno sa con certezza quale delle tre sia autentica.
Oltre il mito, Johnson fu rivoluzionario per tre motivi: il suo fingerpicking, divenuto iconico e all'epoca del tutto prorompente, il suo modo di cantare, che abbandonava i toni bassi per una voce squillante e lamentosa, che sprigionava tutta la dolorosa natura del blues, e il fatto che fu il primo che in pratica sviluppò i racconti musicali di quei periodi nelle strutture del blues. È certo che non scrisse mai propriamente una canzone, ma rielaborava al momento motivi conosciuti o inventati su cui improvvisava dei testi, i quali sprigionano una così forte carica evocativa e spirituale che non passarono inosservati. Inoltre molti dei suoi alimentavano le leggende oscure e diaboliche che lo riguardavano.
Johnson registrò solo 29 canzoni: per 13 di esse è stato possibile rinvenire anche le rispettive alternate take – all'epoca scartate in quanto giudicate meno brillanti delle versioni poi pubblicate su 78 giri – per un totale di 42 registrazioni complessivamente note. Tutte registrate tra il 1936 e il 1937, probabilmente a Dallas, ma anche su questo ci sono leggende infinite, e molti sostengono che le registrazioni che abbiamo siano velocizzate, fatto che conferirebbe il particolare tono acuto alla voce di Johnson.
Tutte le sue canzoni sono degli standard, e dopo che la Columbia iniziò, con il disco di oggi, The King Of The Delta Blues Singers Vol. 1 (che esce nel 1961, il Vol.2 uscirà nel 1970, quando era super conosciuto) a riproporle, diventeranno il trampolino di lancio per la rinascita del blues in tutto il mondo. Questo del 1961 fu il primo tentativo di riportare le registrazioni degli originali 78 giri, della etichetta Vocalion, al suono mono di un Lp. Le note di copertina dell'epoca erano del tutto inventate, nell'impossibilità di risalire all'epoca a notizie "certe" su Johnson, e furono del tutto riscritte negli anni '90 con la pubblicazione in CD. In scaletta, classici ripresi da centinaia di artisti: Cross Road Blues, 32-20 Blues (32.20 è il calibro delle munizioni Winchester), Ramblin' On My Mind per citare solo i più conosciuti, sono standard nel repertorio di migliaia di artisti, e sono stati i testi basi su cui gente del calibro di Eric Clapton, Jimmy Page, Jimi Hendrix, i Rolling Stones hanno sviluppato la loro sensazionale musica. E Bob Dylan? il disco è lì per due motivi: uno, piuttosto estetico, è che sebbene non ebbe all'inizio nessun successo commerciale, l'album divenne una sorta di distintivo su che musica si ascoltava, era per usare un termine di quegli anni decisamente hip. E poi c'è un motivo più profondo, e uso le parole dello stesso Dylan: Quando Johnson ha iniziato a cantare, sembrava un ragazzo che sarebbe potuto balzare dalla testa di Zeus in armatura completa. Ho subito differenziato tra lui e chiunque altro avessi mai sentito. Le canzoni non erano solite canzoni blues. Erano così fluide. All'inizio passavano veloci, anche troppo veloci per arrivarci. Sono saltati dappertutto per portata e argomento, brevi versi incisivi che hanno portato ad alcuni fuochi panoramici della storia dell'umanità che esplodevano sulla superficie di questo pezzo di plastica rotante (da Chronicles, Volume 1).
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La strategia dell'opossum: Un Intrigante Mix di Ironia e Mistero tra le Strade di Palermo. Recensione di Alessandria today
La strategia dell'opossum, pubblicato da Sellerio Editore il 7 aprile 2022, è un romanzo di Roberto Alajmo che racconta con ironia e umorismo l’avventura investigativa di GiovanniUn’indagine surreale in una Sicilia che profuma di tradizione e pettegolezzo
Un’indagine surreale in una Sicilia che profuma di tradizione e pettegolezzo. La strategia dell’opossum, pubblicato da Sellerio Editore il 7 aprile 2022, è un romanzo di Roberto Alajmo che racconta con ironia e umorismo l’avventura investigativa di Giovanni Di Dio, un’inedita guardia giurata siciliana catapultata, contro la propria volontà, in un mondo di segreti e trame familiari. Questo…
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Primavera di libri
Torniamo a suggerirvi nuove letture e film “raccomandati” dai vostri bibliotecari di fiducia.
Un autentico caso letterario l’inedito di Gabriel García Márquez Ci vediamo in agosto, che, come narra la leggenda a proposito dell’Eneide di Virgilio, l’autore avrebbe voluto distruggere: “un omaggio alla femminilità, una storia di libertà e di desiderio che non si sopisce con l’età e nemmeno con l’amore coniugale”. I figli hanno consentito la pubblicazione di questo breve romanzo, che esce in contemporanea in tutti i paesi e ci delizia come una sorpresa inaspettata, nonostante la volontà del suo artefice, forse troppo esigente con sé stesso.
Tutt’altro che deprimente, Piccoli suicidi tra amici di Arto Paasilinna è ormai diventato un classico. Scritto con stile quasi cronachistico, la sua apparente freddezza (che peraltro ben si addice alle gelide lande della Finlandia da cui provengono i personaggi del libro) non fa che accrescere l’ironia, magari un po’ macabra, di cui è pervaso. “… ogni giorno è per ciascuno sempre il primo della vita che gli resta da vivere, anche se siamo troppo occupati per rendercene conto” è la sintesi filosofica di un romanzo divertente, originale, che si risolve in un inno non banale alla vita, alla solidarietà, all’amicizia. Un vero toccasana “per tempi agitati”, citando Mauro Bonazzi, come sono quelli in cui ci troviamo a vivere. Dalla postfazione di Diego Marani: “Una delle cose più belle dei romanzi di Paasilinna è che dopo il tumulto, il fragore e le spericolate rincorse tutto si risolve delicatamente, come una risata di cui resta solo il gioioso ricordo, nell’acqua increspata d’un lago, nel vento della sera, nell’odore di foraggio appena tagliato. … In questo libro la grande beffata è la morte”.
Ambientato a Bologna durante le festività natalizie tra la fine del 1953 e l’inizio del ’54, Intrigo italiano di Carlo Lucarelli ci ripropone la compagnia del commissario De Luca, sempre ombroso, inappetente e drogato di caffeina. Lo accompagna un giovane poliziotto che lo introduce negli ambienti musicali degli amanti del jazz, di cui era appassionato un noto professore morto in circostanze non chiare. Ma il mistero si infittisce quando anche la vedova viene trovata uccisa e De Luca stesso è controllato dai Servizi Segreti. Non siamo più in tempo di guerra mondiale, ma di guerra fredda e anche i migliori si devono aggiornare. Un giallo di classe, con una ricostruzione storica sempre molto accurata. È del 2022 il ritorno del commissario Marino, segretamente ma attivamente antifascista, in Bell’abissina, dopo l’esordio del 1993 con Indagine non autorizzata, quando era ancora soltanto ispettore. Si tratta di un cold case soltanto apparente, perché la serie di delitti, legati da somiglianze via via sempre più chiare, si protrae dal passato al presente pericolosamente minacciato dall’imminente scontro bellico. Marino ha un temperamento diverso da quello di De Luca e si getta anima e corpo in questa indagine che coinvolge corrotti fiancheggiatori del regime. Un incontro, come dice l’autore stesso nei Ringraziamenti, tra la storia, con la s minuscola, frutto di fantasia, e la Storia, quella del secondo conflitto mondiale che Lucarelli conosce molto bene e che ha trattato anche in diverse trasmissioni televisive.
Irresistibile la doppietta di Simenon che vi proponiamo. Gli altri, inedito in Italia fino alla pubblicazione di Adelphi del 2023, è scritto in forma di diario-confessione e ci guida con il suo ritmo irresistibile tra i meandri di un suggestivo castello francese, che racchiude, ça va sans dire, una morte misteriosa, una giovane e affascinante castellana, nonché un burbero e attempato maggiordomo, sospettosamente depositario di ogni segreto… Come sempre, con pochi abili tratti l’autore descrive una serie di personaggi che non potrebbero essere fra loro più diversi, anche se appartenenti alla stessa famiglia: la sua penna riesce a far sembrare del tutto naturali e accettabili legami apparentemente inconciliabili e al limite della moralità. Il finale è riservato all’apertura del testamento: a chi andrà la cospicua eredità del vecchio Antoine Huet? Ma soprattutto: in che modo la ricchezza influirà sulla vita e le abitudini dei protagonisti? A voi il piacere di scoprirlo. Il romanzo La prigione inizia ex abrupto con un misterioso omicidio, su cui la polizia indaga. Ma duplice è la ricerca intrapresa dall’autore: da una parte il movente del delitto, dall’altra la psicologia del protagonista, costretto a scavare nella sua vita per scoprire su sé stesso e sulle persone che gli erano più intimamente vicine segreti che ignorava o che, più probabilmente, cercava di rimuovere per superficialità, paura o inadeguatezza. Così la prigione diventa una metafora per descrivere una vita fasulla che implode in un solo istante di un giorno d’autunno. Al di là del caso limite rappresentato dal fatto di sangue e delle inevitabili differenze di carattere, è talmente accurata l’analisi psicologica che ogni lettore potrebbe ritrovare qualcosa di sé nell’indole del protagonista e comprendere i suoi atti apparentemente privi di logica. Simenon, come sempre, con ritmo inesorabile e accanito vaglio introspettivo ci conduce all’unica soluzione possibile.
Furio Scarpelli e Agenore Incrocci hanno firmato, sotto la nota sigla di Age&Scarpelli, “le più memorabili sceneggiature dell’epoca d’oro del cinema italiano”, da Totò le Mokò di Bragaglia, a La banda degli onesti di Mastrocinque, C’eravamo tanto amati di Scola, I soliti ignoti, L’armata Brancaleone e La Grande guerra di Monicelli, per citarne solo una minima parte. Tra gli inediti di Scarpelli che Sellerio sta ripubblicando (è del 2019 Amori nel fragore della metropoli) vi consigliamo Si ricorda di me, signor tenente?, romanzo che introduce i protagonisti alternando, con la tecnica del flash back, la narrazione contemporanea al memoriale di guerra. Lo scavo nel complesso passato del personaggio principale porterà alla luce gravi traumi, profondi e rimossi sensi di colpa. Ma chi è lo sgangherato seccatore che apostrofa con la domanda del titolo il vecchio Giulio, tranquillo pensionato che passeggia per le vie della Milano del 1999? Un truffatore, un commilitone o un rigurgito della sua coscienza addormentata? Si legge piacevolmente tutto d’un fiato.
Per una lettura diversa dal solito vi proponiamo Nightmare Alley, La fiera delle illusioni di William Lindsay Gresham, “una tipica storia noir”, da cui sono stati tratti ben due film: un classico con il fascinoso Tyrone Power in una veste per lui inedita e il recentissimo remake di Guillermo Del Toro con Bradley Cooper, Cate Blanchett, Willem Dafoe. Diviso in due parti (con un finale ad anello): da un lato il fantastico, bizzarro, grottesco mondo del circo, con i suoi misteri e le sue crudeltà; dall’altra quello dell’alta borghesia, non meno pericoloso. In sintesi, il libro e i due film sono “Tre facce della stessa storia che presentano tutte letture degne di essere lette e viste per una storia che potrebbe benissimo svolgersi anche al giorno d’oggi. I prestigiatori, che siano o meno appassionati di mentalismo/spiritismo, vi troveranno molti spunti interessanti.”
Un prezioso suggerimento dal passato: se vi fosse sfuggito, potete rimediare cogliendo dai nostri scaffali Il peso falso di Joseph Roth. Un autentico gioiello che mischia allo stile formulare dei poemi omerici, un’autentica passione d’amore e una finissima riflessione sull’essere umano, dominato dai suoi difetti, quasi deterministicamente volto verso il male, incapace di sfuggire alla tentazione del peccato, anche quando è mosso dalle migliori intenzioni. I temi sono quelli consueti della poetica di Roth, e spesso tornano anche gli stessi personaggi, che inevitabilmente cadono nella colpa: il tutto senza pessimismo né amarezza, anzi forse con una leggera sfumatura di fatalistica ironia.
Come una diabolica matrioska le vicende biografiche dell’autore, Herbert Clyde Lewis, giornalista e scrittore americano, nato a New York da ebrei russi emigrati, si ripercuotono sul protagonista del romanzo per poi accanirsi inspiegabilmente sulle vicissitudini editoriali dell’opera che vi vogliamo consigliare, Gentiluomo in mare. Sì, perché come l’autore ebbe una vita difficile, nonostante gli incessanti sforzi profusi per affermarsi e l’indubbio talento, così il protagonista di questo delizioso romanzo breve è vittima di “una sorte bizzarra e cattiva”, per citare la splendida canzone di Lauzi-Conte, e infine la novella fu ingiustamente ignorata alla sua prima pubblicazione nel 1937 per essere poi “ripescata” (è proprio il caso di dirlo) dall’abisso dei libri dimenticati per la prima volta in Argentina nel 2010: da quel momento il successo, più che meritato anche se postumo, divenne planetario. Davvero “una perlita”, come fu definito nella recensione argentina.
#gabriel garcia marquez#arto paasilinna#carlo lucarelli#georges simenon#furio scarpelli#agenore incrocci#william lindsay gresham#joseph roth
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Testimonianza di un convertito...
Spendere due minuti nella lettura, non è mai un tempo perduto e questa è una testimonianza di molti anni fa che però vale ancora oggi, sempre attuale e fedele e nel frattempo si è arricchita di molti altri personaggi, che determinano le sorti del mondo e, non è solo una storia che riguarda interpreti stranieri ma anche potenti italiani e di ogni parte del mondo. Non è solo per credenti e fedeli, ma ancor di più lo è per i non credenti.
(Seconda parte)
Il blocco più in alto è quello a cui fui iniziato io, il Consiglio dei 13 chiamato: Consiglio dei Grandi Druidi. Prendono ordini solo dai Rothschild e da nessun altro. Sono il loro sacerdozio privato e il consiglio dei 33 è direttamente sotto di loro che sono i 33 Massoni più importanti del mondo. Il Consiglio dei 500, con alcune delle persone più ricche al mondo ce ne sono effettivamente 500 fra tali persone, e le associazioni più ricche del mondo, sono la loro vera potenza. L'Alba d'Oro è il quarto blocco quassù ed è la congrega privata dei Rothschild. La Process Church del Giudizio Finale, è una chiesa che apparteneva a Charles Manson; ne ero membro anch'io. Loro credono nei sacrifici umani, mentre l'Ordine dei Rosae Cruz altro nome dei Rosacroce ed è l'ordine che compie realmente i sacrifici. Questo è il simbolo più importante ed è: la potenza degli illuminati.
Senza la Sfinge il grande mistero degli illuminati non avrebbe potere. È da qui infatti, che viene tutto il suo potere. Si noti che la sua testa, sono la famiglia Rothschild e il Consiglio dei 500. Poi sotto a questa i Rockfeller, i Dupont, i Kennedy, gli Onassis e altre famiglie. Ed anche la Regina Giuliana, fa parte del Consiglio dei 500. Qui al centro c'è il suo cuore, la Banca d'Inghilterra, la Banca di Francia la legge sulla Riserva Federale. Tutti hanno sempre pensato che questa Riserva Federale, sia una organizzazione statale. Invece no!!! Non ha nulla a che fare con il governo degli Stati Uniti: è una società per azioni di proprietà dei privati. Molte banche e società famose sono possedute o controllate dagli illuminati. Quando imparai tutte queste cose, mi portarono poi a Colorado Springs e fui sottoposto all'iniziazione per il Consiglio dei 13, dopodichè mi trasferii in San Antonio dove vissi fin quando mi salvai e da dove governavo una zona di 13 stati (il seguente episodio, è quello che ha poi portato alla mia salvezza). I Grandi Druidi si riuniscono otto volte l'anno per il Sabba delle Streghe, nelle varie sedi nel mondo. Io ero l'anfitrione dell'ultima riunione a cui io ho preso parte nella tenuta del Casinò di San Antonio. Il Dott. Buckland, ne tagliò il sigillo e ne tolse sei lettere sigillate con l'insegna degli illuminati. Le prime quattro, erano solo d'affari e pagamenti, da fare quà e là e cosi via. In realtà il Consiglio dei Grandi Druidi, è composto da tutti banchieri, che firmavano assegni di milioni ogni mese, per persone in campo politico e religioso. Ma le ultime due lettere, mi fecero venire voglia di andarmene. (Continua nella prossima parte)
Fine seconda parte
lan ✍️
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Dei ragazzi evasi dal Beccaria, uno aveva raggiunto degli amici a Sesto San Giovanni, in una piazza intitolata ai Marinai d'Italia; insieme ascoltavano un po' di musica, con una cassa portatile. Di che musica si trattasse i giornali non lo dicono.
Un altro, nei giorni scorsi, era stato subito trovato perché si era recato a casa della madre della sua compagna. Pare che la polizia sia andata a colpo sicuro, certa di trovarlo lì.
Un altro ancora era tornato proprio a casa sua, così la famiglia per qualche ora lo ha accolto e nascosto, poi la sorella gli ha suggerito di costituirsi e di non tardare troppo.
Il quarto dei ritrovati, invece, era dalla zia.
Che cercavano questi "evasi" il 25 dicembre non è difficile capirlo. Perché lo Stato non lo abbia capito è un mistero. Damiano Frasca
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fuorisede
Ormai da circa un anno posso definirmi "fuorisede", e credo di non essere mai cresciuta così tanto in così poco tempo. Ho imparato un sacco di cose: a fare la spesa, a tenere la casa in condizioni umane, a buttare la spazzatura e in generale a sopravvivere. Ho imparato a vivere senza madre e padre, perciò adesso devo sgridarmi e darmi le pacche sulle spalle da sola. Per fortuna i miei genitori sono ancora un punto di riferimento, e la cornetta del telefono è uno punto abbastanza lontano da lasciarmi crescere in pace pur tenendomi d'occhio.
Stando fuori dalla mia solita sede, ho capito che "casa" è un concetto molto astratto. Lo sapevo già prima nel teorico, ma nel pratico lo sto vivendo solo ora. Ho visto la mia casa da fuorisede quando aveva ancora il cantiere davanti al cancello, l'ho vista senza le persiane, l'ho vista con la muffa in bagno e l'ho anche vista tirata a lucido in occasione dell'arrivo degli ospiti. Questa casa ha vissuto tutte le mie crisi di pianto per paura della solitudine, ha visto tante tisane messe a bollire dopo le 23 e ha osservato due coinquiline chiacchierare di qualsiasi cosa, una sdraiata sul divano e una sulla poltrona del soggiorno.
Ho compreso che fondamentale non so un cazzo della vita: appena iniziata la vita da fuorisede non sapevo come lavare il bagno, non ero in grado di organizzare la spesa e mi impanicavo alla minima difficoltà. Ora ci rido su. Ammetto di essere ancora una ragazzina inesperta, ma passo dopo passo cerco di apprendere tutto ciò che la vita da studentessa universitaria mi insegna. Questa vita mi ha reso palese che il disordine e il caos fanno parte di me: il lato destro del mio letto matrimoniale sembra sempre il mercato rionale. E se non è il letto, allora la poltrona verrà invasa da vestiti e borse di tela che cercavo da giorni: questa io la chiamo entropia.
Ogni volta che lavo i piatti poi, spargo acqua ovunque come fossi figlia del dio Poseidone. Il lavandino somiglia sempre a una di quelle battaglie navali che gli antichi Romani facevano nel Colosseo, ma va bene così. Mi piace lavare i piatti la sera, sentendo il casino del pub sotto casa che non fa mai dormire nessuno. Mi piace godermi la casa, sentire che è uno spazio tutto mio e che essa mi conosce in ogni intimo aspetto. Lei conosce me ma io non conosco lei, dato che ho scoperto dopo 7 mesi che c'era un altro interruttore della luce in cucina (meglio tardi che mai, no?).
Mi piace un sacco il calendario che c'è all'ingresso, che non viene mai girato ed è quasi sempre fisso su sabato (anche se è lunedì). Mi piace tantissimo il frigo, decorato da me con mille cartoline, calamite, scontrini e foto significative. Adoro il mobile dove si trovano i Tupperware, perché al minimo movimento sbagliato tutti i contenitori ci crollano addosso come una frana. Tutte queste piccolezze sono tasselli di un mosaico che compone l'immagine della mia quotidianità. Anzi, della nostra. Io non vivo da sola, e con la mia coinquilina siamo una famiglia.
Siamo una famiglia perché ci suddividiamo le spese, perché ci vogliamo bene e perché ci litighiamo sempre chi deve buttare la spazzatura. Se non è questo famiglia, cos'è dunque? Noi non sempre mangiamo insieme, i piatti li lavo sempre io, mentre i termosifoni li lascio regolare a lei perché la caldaia ancora è un mistero per me. Ci completiamo, e a mio parere siamo un equilibrio perfetto migliore di molte coppie sposate. Non riesco a immaginare la mia vita senza la mia coinquilina, che ormai è oltre una semplice amica. Insieme a 4 mura sottili, a un tetto e a un pavimento condividiamo anche una vita domestica fatta di attimi di dolce adultità.
Ciò che amo di più dell'essere fuorisede, tuttavia, è fare la spesa da sola. È rilassante poter comprare ciò che voglio, non rendere conto a nessuno, e poter refillare il frigo di lattine di birra senza sentirsi giudicati. È bello invitare a casa i propri amici, essere in tanti attorno a un tavolo scricchiolante e non avere più sedie libere. Amo creare piccoli atelier artistici in camera, attaccare post it ovunque, spargere bracciali ed elastici in giro per la camera come Hansel e Gretel con le bricioline.
Rifletto su ciò ora perché sono ammalata, a letto, stanca e senza forze. Ho preso il raffreddore, e nella mia casa da fuorisede devo gestire la mia prima influenza senza mio padre che mi prepara tante tazze di tè caldo. Ce la farò? Penso che forse è proprio questo il punto cruciale: casa è dove sei talmente a tuo agio, che prendi il raffreddore. E una volta che guarisci da sola, hai vinto.
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“ Oggi ancor piú ho precisato il mio collega Brizzi: il suo sacrario è la famiglia, in lei ritorna candido; fa tutto per i figli, perché non soffrano, perché si istruiscano, perché il plebeo non li ferisca. L'uomo è come un buco dentro la terra, ogni volta che si scava piú profondo vien fuori altra sostanza e terra piú nera o piú scialba o ghiaia o roccia o squama e ogni volta è un mistero che genera meraviglia. Avevo sempre frequentato Brizzi qui al manicomio ed anzi mi era sembrato che piú volte avesse voluto praticamente indicare, a me piú giovane, le sue definitive conclusioni, cioè che gli uomini sono disposti al peccato, che è necessario adattarsi alla ferocia dei tempi, e chi si abbandona alla generosità è debole o sciocco; ridicola ogni speranza. Oggi è Natale, ero solo, non sapevo dove andare e non mi riusciva scacciare, mentre si avvicinava mezzogiorno, una sconsolazione che sempre piú mi pungeva come volesse farmi arrivare al pianto. Proprio lui, Brizzi, oggi, Natale, è venuto apposta al manicomio, mi ha cercato, mi ha invitato a casa sua, nella quale non invita nessuno. Gli sono grato. Tre ore sono passate fuggendo, cosa per me fino ad ora rarissima durante i pranzi dei giorni celebrativi. Il merito è anche dei suoi due figli, educati ammirevolmente e di anima limpida, Vincenzo e l'altro minore che ora, dopo essersi laureato in medicina, si specializza in pediatria. Il padre era cosí felice in mezzo ai suoi figli da divenire timido e rincantucciava le membra in un gongolamento che gli toglieva ogni pensiero. Il giorno di Natale, oggi, io solo come un cane da pagliaio, come la Lella che oggi ha mangiato col gatto e quando ha saputo che anch'io sono stato invitato si è messa a piangere, Brizzi mi ha detto di andare a casa sua e io ho sentito che era sincero e ci sono stato con quella felicità che si intende dopo che è passata. Ma dunque è sera, sono le sei e mezzo, fuori è il plumbeo cielo del Natale ormai scuritosi in notte, io ho fra ventidue giorni quarantatré anni e il Brizzi mi ha fatto testimone della sua battaglia: crede invece segretissimamente al futuro, segretissimamente violenta si risolleva la sua religione, la piú nascosta; forse ripete, tentacolando cieco, e nello stesso tempo chiarissimo, che dobbiamo iniziare dalla famiglia. “
Mario Tobino, Le libere donne di Magliano, introduzione di Geno Pampaloni, A. Mondadori (collana Oscar n° 90), 1969²; pp. 190-192.
[1ª Edizione originale: Vallecchi, Firenze, 1953]
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Hai novant’anni. Sei vecchia, piena di acciacchi. Mi dicono che sei stata la più bella ragazza del tuo tempo e io ci credo. Non sai leggere. Hai le mani grosse e deformate, i piedi induriti. Hai portato sulla testa tonnellate di stoppie e legna, laghi d’acqua. Hai visto nascere il sole ogni giorno. Con tutto il pane che hai ammassato si potrebbe imbandire un banchetto universale. Hai allevato persone e bestie, ti sei messa i maialini nel letto quando il freddo minacciava di gelarli. Mi hai raccontato storie di apparizioni e di lupi mannari, vecchie questioni di famiglia, di un morto ammazzato. Trave della tua casa, fuoco del tuo focolare, sette volte incinta, sette volte hai partorito.
Non sai niente del mondo. Non ti intendi di politica, né di economia, né di letteratura, né di filosofia, né di religione. Hai ereditato un centinaio di parole pratiche, un vocabolario elementare. Con questo sei vissuta e vivi. Sei sensibile alle catastrofi e anche ai fatti di strada. Nutri grandi odi per ragioni che non ricordi più, e grandi dedizioni basate sul nulla. Vivi. Per te, la parola Vietnam è appena un suono barbaro che non si confà al tuo cerchio di una lega e mezza di raggio. Della fame sai qualcosa: hai già visto una bandiera nera issata sul campanile della chiesa (me lo hai raccontato tu, o avrò sognato che me lo raccontavi?). Porti con te il tuo piccolo bozzolo di interessi. E, tuttavia, hai gli occhi chiari e sei allegra. Il tuo riso è un fuoco d’artificio colorato. Come te, non ho mai visto ridere nessuno.
Ti sto davanti, e non capisco. Sono della tua carne e del tuo sangue, ma non capisco. Sei venuta al mondo e non ti sei curata di sapere che cos’è il mondo. Arrivi alla fine della vita e il mondo, per te, è ancora quel che era quando nascesti: un interrogativo, un mistero inaccessibile, una cosa che non fa parte della tua eredità. Cinquecento parole, un fazzoletto di terra di cui si fa il giro in cinque minuti, una casa di tegole e pavimento di terra battuta. Stringo la tua mano, passo la mia mano sul tuo viso rugoso e sui tuoi capelli bianchi, rovinati dal peso dei fardelli — e continuo a non capire. Sei stata bella, dici, e vedo bene che sei intelligente. Perché allora ti hanno rubato il mondo? Chi te lo ha rubato? Ma questo forse lo capisco io, e ti direi il come, il perché e il quando se solo sapessi scegliere delle mie innumerevoli parole quelle che tu potresti comprendere. Però ormai non ne vale la pena. Il mondo continuerà senza di te e senza di me. Non ci saremo detti l’un l’altro quel che più importava.
Non ce lo saremo detto, davvero? Io non ti avrei dato, perché le mie parole non sono le tue, il mondo che ti era dovuto. Resto con questa colpa di cui non mi accusi — ed è ancora peggio. Ma perché, nonna, perché ti siedi sulla soglia della porta, aperta sulla notte stellata e immensa, sul cielo di cui nulla sai e nel quale mai viaggerai, sul silenzio dei campi e degli alberi attoniti, e dici, con la tranquilla serenità dei tuoi novant’anni e il fuoco della tua adolescenza mai perduta:
« Il mondo è così bello,
e io ho tanta pena di morire! »
E’ questo che non capisco
ma la colpa non è tua.
José Saramago - "Di questo mondo e degli altri"
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