#fagocitato
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PRIMA PAGINA La Provincia di Oggi giovedì, 24 ottobre 2024
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Categorie di persone nei confronti delle quali provo un'invidia dall'accezione positiva:
Chi d'inverno può fare a meno della doccia calda
Quelli che si addormentano in tre secondi
Quelli che dicono di leggere tanto e leggono tanto
Chi sa cantare
Chi, pur non sapendo cantare, canta lo stesso
Quelli che ti guardano negli occhi quando si rivolgono a te
Chi si innamora
Quelli che non hanno paura di nascondere i propri gusti
Chi prende sempre lo stesso tipo di pizza
Quelli che possono ancora dialogare coi loro nonni
Quelli che hanno un cane in casa
Chi, sorridendo, si beve un americano alle ventuno del lunedì sera
Chi sa farsi capire senza parlare
Chi sa farsi capire parlando
Quelli che piangono
Chi, a costo di seguire le sue passioni, ne viene fagocitato
Quelli che hanno come stagione preferita l'autunno
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E ora di giorno maledico di averti incontrata il vuoto che avevo dentro si è allargato e mi ha fagocitato
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A inizio maggio sono andata in Caserma, un centro sociale realizzato senza troppe sorprese in una caserma militare abbandonata della mia città.
Ci sono andata per un festival di fumetti e arte indipendente che fanno ogni anno, il classico evento che alcuni definirebbero punk underground e altri come poracciata.
In mezzo a fiumane di giubbotti di pelle, calze a rete e cani randagi, io indossavo una maglietta con le margheritine e il rossetto rosso perché adoro affermare la mia unicità indossano le cose meno adeguate ai luoghi che frequento.
Con C., A. e G. stavamo attraversando l'ingresso scalcinato e gremito che portava alla "sala concerti", un quadrato in tufo senza finestre in cui circa 50 persone erano ammassate ad ascoltare gli urli di un gruppo hardcore che sembrava tutto fuorché progressista.
Stavamo appunto attraversando questo ingresso, non tanto per andare ad ascoltare i quattro nerboruti musicisti sbraitanti ma piuttosto per accaparrarci un triangolino smunto e umidiccio di focaccia al modico prezzo di 1 euro.
Nella calca della gente affamata, ubriaca e probabilmente fumata, ad un certo punto ho perso l'equilibrio rischiando di precipitare dritta addosso a un ragazzo basso con un discutibile taglio mullet e un'altrettanto discutibile camicia gialla a quadri neri addosso.
Per una frazione di secondo, una frazione molto lunga, non l'ho riconosciuto. Poi il mio cervello l'ha collocato nella formina corrispondente.
Era lo Skiavodellacucina.
Lui non mi ha visto, per mia grande fortuna. O, se mi ha visto, probabilmente non mi ha riconosciuto perché l'ultima immagine che ha di me è quella di uno zerbino senza apparente straccio di sanità mentale.
Non che adesso io sia il baluardo dell'equilibrio psicofisico, ma posso riconoscere senza falsa umiltà che dal 2021 a oggi un po' di passi avanti li ho fatti. Se non altro, ho mollato quell'inferno che era il posto dove ho lavorato per 4 anni e dove ho conosciuto lo Skiavodellacucina.
Anzi, a detta dello Skiavo quel posto era piuttosto un Purgatorio. Un triste limbo esistenziale dove tutte le aspirazioni umane andavano ad arenarsi tra grasso di bacon, battute sessiste e ritmi di lavoro massacranti.
Tornando allo scampato inciampo nello Skiavo, ho naturalmente approfittato del non essere stata vista per girare i tacchi e nascondermi in mezzo agli oliver twist in cerca di un fazzoletto di focaccia unta.
Nel lasso di tempo in cui io ho preso il mio triste triangolino spugnoso e pagato la ragazza incaricata dei vettovagliamenti, lo Skiavo è stato fagocitato dalla massa sudaticcia e psichedelica del concerto e non l'ho più rivisto.
Mi è andata bene, tutto sommato. Ho evitato l'imbarazzo di non doverlo salutare pubblicamente.
Al tempo stesso, però, penso che un po' mi piacerebbe salutarlo e farci una chiacchiera. Giusto per ringraziarlo, perché grazie a strani magheggi del destino e delle coincidenze è un po' merito suo se adesso lavoro come copywriter e ho la Partita Iva.
Ma poi rifletto che probabilmente non sarei in grado di superare nemmeno i convenevoli senza far trasparire l'insofferenza che mi provoca quel suo giocare a fare il povero e il suo ritenere che il lavoro sia un vizio borghese.
Quindi alla fine va bene che non mi abbia visto o non mi abbia riconosciuto.
E se mi ha visto e riconosciuto ma ha scelto di ignorarmi, tanto meglio. D'altronde, è esattamente quello che ho fatto io.
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Ormai ci siamo il 2024 è alle porte. Dopo un periodo già complicato vivremo ancor più faticosamente questi ultimi giorni, giorni che salutano l’anno ormai passato. Come da un cilindro sono risbucati fuori in questi giorni, tutte le incongruenze, le paure, gli irrisolti, le fragilità, i conflitti e tutto ti ha di nuovo travolto, apparentemente infragilito, spiazzato. Il 2024 sarà l’anno del giro di boa, quello in cui si paleserà per tutti la necessità di un risveglio interiore, di un lavoro spirituale. La cruna dell’ago assottiglia ancor di più il suo passaggio, rendendo ancor più stretto il suo varco, costringendo tutti al cambiamento. Hai sentito di nuovo il fiato corto in questi giorni, la paura dell’oblio, il terrore degli abissi, il raschiarti la pelle e il cuore dagli irrisolti. Ti sei di nuovo sentito fagocitato, vulnerabile, in balia, stanco, arreso.
I cicli si stanno chiudendo per mano a quelle parti di te che credevi appartenenti al passato. Gli ultimi giorni sono stati la chiosa di un periodo che segna un passaggio fondamentale tra ciò che era e ciò che sarà. Il freddo che ti ha gelato e il caldo che ti faceva bruciare, erano adattamento ed evoluzione. I primi mesi dell’anno saranno fondamentali, potranno essere portale e base di lancio, definisci bene gli obiettivi e le prospettive, non arretrare di un passo dal lavoro interiore che hai cominciato, incanala bene ogni respiro affinché sia direzione, energia e luminosa luce, affinché tu possa sorprenderti finalmente e veder dipanare le fitte tenebre che ti hanno lungamente avvolto. Parole d’ordine da non scordare: morbidezza, inarrestabilità, profondità e fiducia.
tizianacerra.com
(Foto Kevin Turcios, unsplash)
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VIttoria dell'apparato sul demos
Quando parliamo di declino sistemico della democrazia poniamo implicitamente un'epoca d'oro in cui si poteva dire che la democrazia fosse pienamente realizzata, questo è fuorviante, in quanto si tratta più di analizzare lo scarto sempre presente fra l'ideale e la concreta realizzazione dell'ideale. La cultura occidentale, quella europea e nordamericana in primis, mena vanto di essere la più genuina custode dei valori democratici, e allora qui si tratta di comprendere quanto questa ostentazione sia effettivamente fondata. In una democrazia che si rispetti la voce del demos dovrebbe avere un peso decisivo (demos-crazia), mentre noi assistiamo nei fatti a una riduzione del peso dell'opinione popolare che viene perlopiù indirizzata dai suoi rappresentanti dentro schemi ritenuti più adeguati. Questi schemi ritenuti più adeguati sono quelli dettati principalmente dalle tecniche, economiche e non, che lungi dall'assumere un semplice valore politico, e quindi opinabile, soggette a cambiamenti di indirizzo, assumono sempre più la valenza di esigenze imprescindibili. Fatta la tara a tutta l'opera di persuasione politica e di ammaestramento delle masse, rimane l'impressione, ed è qualcosa di più che un'impressione, che l'apparato, indipendentemente dalla volontà dei suoi interpreti, abbia fagocitato il demos, e questo si traduce in una disaffezione diffusa e sconsolata per l'istituto della democrazia che contribuisce ad accelerarne il declino.
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Elly, ti presento Salvo
Fortuna che si è riposata un po’, perché al rientro a Roma Elly Schlein ha avuto il suo daffare. Non a rispondere sull’inceneritore di Roma. Ma a cenare nell’attico ai Parioli di Claudio Baglioni con quasi tutto il meglio del cinema, della canzone e della tv. Nulla di scandaloso o di strano. Aveva già detto tutto Ennio Flaiano col suo immortale marziano Kunt: appena un alieno atterra nella Capitale, viene ricevuto, coccolato, riverito, sbaciucchiato, fagocitato, attovagliato, insalottito, interrazzato dalla Roma che conta. Poi inizia ad annoiare, da guest star diventa soprammobile, finisce spernacchiato o peggio ignorato e se ne riparte in astronave nell’indifferenza generale. È accaduto a Bossi, Monti, Renzi, Boschi, Salvini, Di Maio.
.....
L'articolo di Travaglio poi prosegue parlando di un ospite della cena, un personaggio davvero sconfortante.
E anche questa Elly non vale niente. Non ha sostanza e neppure quel minimo di forma, ahimè. Povera sinistra (si fa per dire), sempre più sinistrata.
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La nostra società è disfatta
e la borghesia è morta,
il teatro non esiste più,
l'erotismo è stato fagocitato dal consumismo,
ci hanno anestetizzato,
imbottito di tranquillanti,
sono riusciti a non farci più reagire.
Hanno proprio vinto gli imbecilli,
gli idioti.
Carmelo Bene.
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Nirvana - In Utero
Passiamo troppo tempo a domandarci come bisognerebbe vivere e ci dimentichiamo il senso, il perchè vivere. Affrontiamo difficoltà indicibili, le superiamo ma ci perdiamo le vere soddisfazioni, le piccole gioie, momenti fondamentali per condurre un’esistenza piena, senza rimpianti, procediamo distratti e tutto viene fagocitato dalla società in cui viviamo, cresciamo senza realmente poterci…
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La “Diga” - Quartiere Diamante a Begato, Genova. Foto di Jacqueline Poggi (© Jacqueline Poggi). Fonte: Paola Valenti, art. cit. infra Nel saggio "La fine
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La deriva narcisista dell’umanità sta distruggendo il mondo. Gli esseri umani si credono chissà chi, hanno costante bisogno di ammirazione e controllo e una radicata mancanza di empatia verso gli altri ed il pianeta. È questa la fonte di ogni male che ci sta portando all’autodistruzione. Lo si vede ovunque. Al bar come nei palazzi del potere. Tutti che parlano e nessuno che ascolta davvero. Tutti che gridano confondendo le loro opinioni con la verità e il tifo col ragionamento. Giudicando, aggredendo. Al solo scopo di celare le proprie debolezze e sentirsi vanamente superiori mentre andiamo tutti a fondo senza che nessuno faccia nulla. Una pandemia narcisista impressionante, con le altre persone ridotte a mezzi per i propri scopi oppure a nemici da cui difendersi. Al bar come nei palazzi del potere. Frasi fatte, automatismi mentali ripetuti fino alla noia, tutti rinchiusi nel proprio piccolo mondo incapaci di mettersi nei panni altrui e di mettere i valori prima dei propri interessi. Nessuno che chiede scusa, nessuno che ammette errori, nessuno che fa passi indietro. Tutti all’attacco convinti di essere indispensabili e nel giusto in attesa che cali il salvifico sipario. Una deriva interiore che si è fatta sistema. Egoismo che si è fatto capitalismo e che ha fagocitato tutto. Perfino i cuori delle persone. Rendendoli aridi e in balia di illusorie chimere materiali. [...]
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“Fagocitato”? Gli ex sudditi dell’URSS non vedevano l’ora di entrare nella NATO, quanto a Finlandia e Svezia se non ci fosse stata l’invasione dell’Ucraina sarebbero ancora neutrali, l’unico regime totalitario che “fagocita” altri stati è quello di Putin🤡
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10 di 365
Ieri stavo tutta arzilla per una risposta positiva ad un'email e i voti ricevuti dall'erasmus. Troppo sovraccarica e presa bene per scrivere. Non c'è niente da fare, si scrive quando si sta male (io almeno, sto pluralia maestatis non c'azzecca). Ho lincenziato la psicologa, mi ha scritto un messaggio ma non le ho nemmeno scritto. E' bastato qualche giorno di fiducia, di presabene e mi pare di poter tirare giù gli Appennini. Era una cosa a drenarmi di energia. Tutto mi drenava di ogni energia, ovvero non avere uno scopo, e ogni volta che l'avevo, pareva deludermi e ferirmi a morte mentre vedevo tutto fallire, svanire mangiato dal mio dispiacere. E io diventato un boccone del mio stesso dispiacere. La mia mente lo diventava, e i miei rapporti, il mio stato d'animo. Tutto mangiato, fagocitato. Poi mi basta un po' di campagna, magari pure qualche tiro di canna e torno a casa tutta contenta, ispirata, fiduciosa, ottimista. Con ottomila sfumatura di meraviglia negli occhi.
Mamma ha preso un virus alla pelle. Sono preoccupata, ho paura le arrivi all'intestino e al fegato come quell'uccellaccio del malaugurio del medico ha borbottato. Ma le ho detto di non preoccuparsi, e me lo so detta pure a me stessa. Dài, sì riprende presto certo che tra lei e papà, negli ultimi mesi...
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Europee, Tajani: "Obiettivo Forza Italia e' superare il 10%"
“Renzi? Suo partito fagocitato, lui e’ distratto dai viaggi in Arabia Saudita”source
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Isometry: ottimo debutto, prog senza confini
Le opere prime, oggi, non sono più dei semplici debutti. Spesso sono dischi maturi, completi, con pochissime sbavature. È il caso di Break the Loop dei torinesi Isometry. Un disco prog con tutti i crismi. Tecnica sopraffina, brani complessi ma allo stesso tempo fruibili. Produzione ineccepibile. Ciò che maggiormente salta all’orecchio è la capacità della band di alternare frangenti super tecnici a momenti più ‘leggeri’, space, onirici. Una caratteristica che dona al disco una grande varietà di atmosfere.
Per avere un ‘confronto’ stilistico si devono per forza chiamare in causa i grandi nomi del prog metal. Meno di quello, si è fuori scala. Ed è proprio il riferimento del cantato ad uno di esse che, in taluni brani, rappresenta un po’ il tallone d’Achille del disco. La complessità dei brani non permette un track by track. Si può solo cercare di dare un’idea d’insieme e stimolare all’ascolto. Cominciamo col dire che ci troviamo di fronte ad un concept. Dettaglio non di poco conto.
Un racconto che ha caratteristiche ben precise sia temporali sia di ambientazione. A livello generale tutto il lavoro suona come la colonna sonora di un film cyberpunk. E non �� un modo di dire. Ascoltandolo l’idea che emerge è proprio quella. Di star vedendo un film dai contorni distopici ambientato in un futuro prossimo non ben specificato dove dominano androidi, realtà virtuale e una società perfetta.
Per molti, ma non per tutti. Fin dall’intro dell’intero disco si è catapultati in questo mondo di luci al neon, oscuro, piovoso. Un mondo in cui si cammina tra le strade di megalopoli che non dormono mai. Agglomerati urbani dove l’aspetto umano ha perso lucidità fagocitato dalla tecnologia. Strade sulle quali ci si può perdere in men che non si dica sopraffatti dalle insegne troppo luminose o dentro se stessi.
La band evidenzia perfettamente questo stato d’animo. Come mette in luce, attraverso la dinamicità dei brani, la lotta che ogni singolo abitante ha in corso dentro di sé per sopravvivere come essere umano. Si ascolti Outcast per avere la precisa idea di questa immagine. Il protagonista risulta quasi disperso in un mare di pensieri. Annegato da una folla in cotante movimento ma da solo.
Una caratteristica che colpisce costantemente nell’evolvere dei brani è la loro maestosità. La cura con cui sono stati costruiti. La sensazione è che gli Isometry abbiano avuto sempre ben presente che cosa volessero trasmettere e hanno costruito ogni canzone di conseguenza. Non è un ‘dettaglio’ da poco. È un aspetto che non solo dona uniformità all’intero lavoro ma avvolge l’ascoltatore, lo trasporta emotivamente all’interno della storia.
L’aspetto emotivo è un altro tratto caratteristico del disco. Gli inserimenti orchestrali fungono da levatrici per i sentimenti. Così come l’alternarsi di momenti puramente prog con passaggi semplicemente rock. Medesima osservazione vale per il buon utilizzo dei cori. Per essere un’opera prima è tutto al proprio posto. L’evocativià pare essere il fulcro dell’intero disco.
Riuscire a catturare l’ascoltatore, tenerlo fermo fino all’ultima nota. Gli stessi passaggi più marcatamente tecnici non sono scevri di stupore. Sono come onde enormi che salgono lentamente per poi travolgere senza lasciare fiato. Se dovessimo indicare due canzoni che meglio rendono quanto fin qui detto, potremmo indicare Final reconnection e X. La prima per l’infinita varietà di cambi.
Davvero contiene di tutto. Dal prog al jazz, e non sono lo richiami. Allo stesso modo la seconda. Tuttavia quest’ultima ha dalla sua un utilizzo della ritmica davvero impressionante. Questo è preso in prestito direttamente dal djent ma inserito in un contesto meno esasperato. Una scelta inusuale che arricchisce un disco già di per sé variegato.
Concludendo. Per essere un’opera prima questo disco degli Isometry è incredibile. La band pare essere più che matura per costruire dei brani complessi, variegati, coinvolgenti. Ma in quanto opera prima non può essere priva di dettagli da ottimizzare. Il riferimento, come in apertura, è all’eccessivo richiamo a James Labrie nelle metriche, nelle melodie e nella tecnica del cantato. Questo rischia, ad un ascolto superficiale, di fa etichettare il gruppo come l’ennesima copia di. Mentre non è così.
Difatti i momenti migliori la voce li esprime quando esprime solo se stessa senza voler essere come… Fortunatamente ciò avviene per la maggior parte del disco. Eppure gli episodi iniziali che più richiamano la band di Petrucci e soci, rischiano di inficiare quanto di buono avviene dopo. Stando così le cose è meglio correre ai ripari piuttosto che veder sminuito il proprio lavoro perché troppo derivativo.
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Sogno una nuova etica, l’unica possibile in un mondo che ha perso l’incanto degli antichi, del tempo ciclico dei greci e di quello escatologico della tradizione giudaico-cristiana ma anche dei moderni con la loro fede nell’Umanesimo della scienza e del progresso. Oggi pare non esista più nulla e tutto unicamente per colpa della res politica, fallimentare da qualunque punto di vista la si guardi.Politica che ha fagocitato ogni cosa masticando e risputandola nel mondo lordandolo fino alla nausea.
Sogno un’etica nuova e necessaria poiché nell’età della tecnica tutte le etiche dell’Occidente sono implose. Tutte le etiche che abbiamo inventato nel xx secolo, che sono etiche antropologiche in quanto mettono l’uomo al centro dell’universo, non funzionano più hanno fallito....troviamo l 'audacia di trovare una vera Etica, Epica,Estetica.....
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