#estate e inverno
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petalidiagapanto · 1 month ago
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«Ti amo quando il sole sorge
E quando tramonta
Quando la luce invade ogni cosa
E quando la notte la nasconde.
Ti amo quando nel volo del pettirosso
Vedo il tuo silenzioso ritorno
E quando le sue ali prendono la distanza
Dal mio cielo.
Ti amo quando l’estate si arrende all’autunno
Ed ogni colore si accende di meraviglia
Nella quiete ritrovata
E nella resa tanto sognata
Ti amo quando la betulla si denuda
E l’immacolato tronco svetta
Nel suo bianco candore luminiscente
Tra le prime nebbie
Ti amo quando l’onda si allontana dalla riva
E quando si avvicina a concederle
Il suo ultimo bacio
Prima che la luna spenga le stelle
Ti amo in tutte le cose che mi sono care
In quelle preziose ed umili
Dove la tua anima si nasconde per pudore
E timidamente tace le parole
Ti amo quando le tue carezze
Riescono a superare ogni confine
Per sfiorami appena
Con tutta la loro passione»
(Giusy Tolomeo)
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aliceisinchains · 2 years ago
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Ho ritrovato la mia candela profumata preferita consiglio a tutti
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tabathamodaedesign · 1 year ago
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Pantone del giorno 28/01 - Lavender Frost
Il Lavender Frost di Pantone è una tonalità un po’ spenta e molto fredda di viola. Adatta a descrivere questi giorni d’inverno, se saprete abbinarla ad altri colori, regalerà al vostro outfit grazia e bellezza sia in inverno che in estate. Il bianco, per esempio, è una scelta eccellente per il periodo primaverile, ma se volete dare un tocco di vivacità al vostro outfit, allora l’hot pink è una…
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leggerezza-dell-essere · 10 months ago
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Nessuno di noi è preparato. Né lo saremo mai. Ma questo è ugualmente il nostro destino: cambiare. Si cambia con lentezza, la stessa lentezza che muta la primavera in estate, l’estate in autunno, l’autunno in inverno. Non ci si accorge mai in quale momento la primavera diventa estate: una mattina ci alziamo e fa caldo; l’estate è giunta mentre dormivamo.
Oriana Fallaci
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tiny-brunettegirl · 5 months ago
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Se in estate il mio appuntamento ideale è spiaggia, birra e pizza, in inverno è divano, tisana, coperta e Netflix.
🤍.
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elperegrinodedios · 5 months ago
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Forse tu neanche te ne accorgi, ma ti guardo e ti vedo triste, ti vedo sola anche nei pensieri. Io lo sento che è cosi anche se tu non me lo dici e questo rende triste anche me. Amica mia tu hai troppo inverno e poca estate nell'anima e tanta mente nel passato e poco cuore nel presente. È ora di uscire da quella prigione che tu stessa hai costruito intorno a te, è ora di lasciare andare, è ora di perdonare e ricominciare a vivere una vita a misura d'uomo, fatta di inverni freddi, ma pure di calde e splendenti estati, di diluvi ma anche e soprattutto di arcobaleni, conservando i ricordi del passato nella mente si, ma tornare ad aprire il tuo cuore adesso, oggi e poi domani, e ancora e ancora. Vieni via dalla tua confort zone e vieni con me, nel paese delle emozioni, dei sogni e di quell'amore, a cui hai rinunciato tanto tempo fa. Togli i veli, torna a splendere nella luce e torna a respirare a pieni polmoni con l'allegria nel cuore.
lan ✍️💌
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francesca-70 · 6 months ago
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Lei aveva l estate negli occhi
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...e l' inverno nel cuore
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angelap3 · 23 days ago
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INVERNO - FABRIZIO DE ANDRE'
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Tra le mie preferite...
Sale la nebbia sui prati bianchi
come un cipresso nei camposanti
un campanile che non sembra vero
segna il confine fra la terra e il cielo
Ma tu che vai ma tu rimani
vedrai la neve se ne andrà domani
rifioriranno le gioie passate
col vento caldo di un'altra estate
Anche la luce sembra morire
nell'ombra incerta di un divenire
dove anche l'alba diventa sera
e i volti sembrano teschi di cera
Ma tu che vai ma tu rimani
anche la neve morirà domani
l'amore ancora ci passerà vicino
nella stagione del biancospino
La terra stanca sotto la neve
dorme il silenzio di un sonno greve
l'inverno raccoglie la sua fatica
di mille secoli da un'alba antica
Ma tu che stai perché rimani?
un altro inverno tornerà domani
cadrà altra neve a consolare i campi
cadrà altra neve sui camposanti
De André
Compositori: Gian Piero Reverberi / Fabrizio De Andre
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fallimentiquotidiani · 5 months ago
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Estate
Sei calda come i baci che ho perduto
Sei piena di un amore che è passato
Che il cuore mio vorrebbe cancellar
Odio l'estate
Il sole che ogni giorno ci donava
Gli splendidi tramonti che creava
Adesso brucia solo con furor
Tornerà un altro inverno
Cadranno mille petali di rose
La neve coprirà tutte le cose
E il cuore un po' di pace troverà
Odio l'estate
Che ha dato il suo profumo ad ogni fiore
L'estate che ha creato il nostro amore
Per farmi poi morire di dolor
Odio l'estate
Odio l'estate
Tornerà un altro inverno
Cadranno mille petali di rose
La neve coprirà tutte le cose
E il cuore un po' di pace troverà
Odio l'estate
Che ha dato il suo profumo ad ogni fiore
L'estate che ha creato il nostro amore
Per farmi poi morire di dolor
Odio l'estate
Odio l'estate
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fuoridalcloro · 4 months ago
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E lo so che sei stanca. E lo so che non ci credi più. E lo so che è Settembre. Che un’altra estate è volata via e, questa, più veloce di una cometa. Che l’aria s’è fatta più fresca e anticipa un inverno che, puntuale, arriverà sempre prima. E lo so. So tutto di te. So tutto di me. Ti guardo disillusa. Mi guardo delusa. Lo vedo il tuo ghigno beffardo. Lo vedo il mio mezzo sorriso pungente. E lo so. E lo sai. Ma foss’anche l’ennesimo momento buio… Fosse pure il milionesimo tentativo… Tu lascia aperto, ancora una volta, un’ultima volta… Che, magari, un po’ di luce entrerà. Di sicuro non so, senza dubbio non sai. Poca o tanta, accecante o pallida, quanta o quale luce, non sappiamo. Tu dì: “Non si sa mai” ed io risponderò: “Non si sa mai”. (Non si sa mai). Perché è vero, non si sa mai! E per sicurezza, lasciamo aperto.
-Valentina Marconi-
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frammenti--di--cuore · 3 months ago
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Il mare ti piace solo in estate, con il vento caldo e le onde che ti fanno da coperta. In inverno non ci vai, non ci va mai nessuno. Hai fatto lo stesso con me.
Zoe
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tabathamodaedesign · 1 year ago
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Pantone del giorno 11/01 - Doe
Il Doe di Pantone è un’altra nuance che rientra nella gamma dei colori della terra e della natura. Colore che prende il nome dal vellutato manto del daino e che si abbina a molti dei toni caldi che già conosciamo e che ci piacciono tanto. Anche se può sembrare, non è una tonalità che rientra al 100% tra i neutri, ma la sua natura delicata gli permette di distinguersi tra i toni pastello. Per…
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raccontidialiantis · 2 months ago
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Sabato sera d'agosto in paese
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“Amare od aver amato, basta: non chiedete nulla, dopo. Non è possibile trovare altre perle nelle oscure pieghe della vita: amare è essere completi” (Victor Hugo)
“Spesso ci sono più cose naufragate in fondo a un’anima che in fondo al mare” (Victor Hugo)
“Vivere è simile all’arte del disegnare, solo che si fa senza la gomma” (Victor Hugo)
“Il peggior modo di sentire la mancanza di qualcuno è esserci seduto accanto e sapere che non l'avrai mai.” (Gabriel Garcia Marquez)
“Non siamo mai così indifesi verso la sofferenza come nel momento in cui amiamo.” (Sigmund Freud)
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Era passata da poco la mezzanotte. Fra un po’ avrebbero finito la serata, nel pub della cittadina in cui anche Mario, rappresentante di commercio, era nato e dove tornavano ogni estate per le vacanze. Quello era decisamente il loro posto dell’anima. Lui suonava la chitarra, nel loro gruppo. Si ritenevano a buon diritto una “jazz band”, ma poi in pratica suonavano di tutto: oltre agli standard di jazz, eseguivano impeccabilmente brani rock dei gloriosi anni sessanta-settanta e canzoni italiane sempreverdi.
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Che poi alla fine erano queste ultime, quelle che facevano battere il piedino a tutti. Erano bravissimi: anche gli altri componenti della band erano tutti professionisti fuori sede da decenni. Un professore, un ingegnere, un poliziotto e un dermatologo. Uomini maturi che si riunivano puntualmente in paese nell'agosto di ogni estate. Tutto l’anno ognuno nella propria città si impegnava e proponeva spunti agli altri via web.
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Si scambiavano idee e brani, mantenendo così viva la loro grande passione per la musica. Accadde che quel sabato, verso la fine, durante una pausa, gli altri quattro membri della band erano già scesi dal palco: chi per andare a fare pipì, chi a bere una birra. Ma Mario invece era rimasto ancora un attimo seduto, con lo strumento in grembo. Perché gli sembrava di aver improvvisamente scorto, all’ultimo tavolo in fondo e nell’angolo buio del locale, il viso di Sonia.
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All’epoca, primi anni settanta, avevano entrambi diciott’anni. Lui aveva avuto in regalo in estate dai genitori una bellissima e fiammante motocicletta Gilera 124 con cui la portava in giro e grazie alla quale potevano appartarsi lontani dalla città. Di lei era innamoratissimo e anche Sonia sembrava ricambiarlo. Amavano entrambi il rock inglese: Yes, Genesis, King Crimson, Gong, Gentle Giant…
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Tra gli italiani, erano entrambi fan di Lucio Battisti; come tutti in quel periodo. E sulla moto ovviamente spesso cantavano a squarciagola “Il tempo di morire” (motociclettaa… dieci accappìììì…) e poi altre canzoni dell’epoca, quelle che oggi chiameremmo a buon diritto “evergreen.” Stettero insieme solo un altro inverno e la successiva estate, giusto il tempo di passare l’esame di stato. Lui era convinto che l’avrebbe sposata. Le aveva giurato amore eterno.
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Faceva nella sua testa mille progetti. Lei invece a settembre a bruciapelo gli distrusse il cuore. Dal juke box del baretto in cui si videro l’ultima volta prima di lasciarsi si sentiva “L’Aquila” di Lucio Battisti. Questo le diede il coraggio e lo spunto per farlo: gli disse perciò che lei si sentiva come un’aquila. Che era nata libera e perciò troppo costretta in quel paesello; voleva andarsene e avere molto di più, dalla vita. Infatti dopo qualche giorno si trasferì a Roma per frequentare l’università.
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Mario seppe in seguito che forse non era stato estraneo alla faccenda un altro giovane che l’aveva incantata a sua insaputa quando ancora stavano insieme. Stupido, ingenuotto, farlocco: non s'era accorto di nulla! Dopo aver rammendato - ma non curato - il suo cuore, anch’egli si iscrisse all’università. Nelle sue intenzioni da sempre avrebbe voluto anche lui scegliere Roma, ma per ragioni ovvie d’orgoglio preferì darci un bel taglio e scelse Pisa. Nessun dolore.
Tu mi sembri un po’ stupita - Perché rimango qui indifferente Come se tu non avessi parlato - Quasi come se tu non avessi detto niente
Ti sei innamorata - Cosa c'è, cosa c'è che non va? Io dovrei perciò soffrire da adesso - Per ragioni ovvie d'orgoglio e di sesso
E invece niente, no, non sento niente, no - Nessun dolore -Non c'è tensione, non c'è emozione - Nessun dolore
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E adesso nel pub quella lì in fondo era lei: ne era sicuro. Scherzava e rideva assieme ai suoi amici di tavolo. Forse uno di loro era suo marito. O forse no. Era la prima volta che la rivedeva dopo moltissimi anni e gli sembrava sempre bellissima. Gli venne spontaneo: rialzò il volume dell’amplificatore e piano, da solo iniziò a suonare “L’aquila”. Dopo un’era geologica fu la prima volta.
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Perché era un brano che categoricamente si rifiutava di suonare, coi suoi amici. Loro sapevano, capivano e lo rispettavano. Chi l’ha detto che dopo un po’ di tempo qualsiasi rancore sparisce: per la freddezza e l’egoismo con cui era stato liquidato, ancora dopo decenni provava soltanto un’intensa rabbia. Una pena sorda nel cuore. Eppure cominciò a suonare in modo dolcissimo.
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Erano, gli arpeggi iniziali, a loro modo inesorabili e penetranti: rimandavano a una canzone che era impossibile non riconoscere. Il timbro caldo che scaturiva dalle sue dita portava l’armonia in alto. Senza ancora la melodia vocale inconfondibile: un accompagnamento armonico nudo, scarno ma bellissimo. Lei si fece seria: di sicuro ora l’aveva riconosciuto. Le era tornato in mente il brano e quell’espressione della donna fu l’ultima che vide, perché subito dopo abbassò il viso e si concentrò sui tasti, sulla diteggiatura e sulla dinamica dell’esecuzione.
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Sentì appena la voce di lei che da lontano del pezzo iniziava a cantare le parole. Dapprima esitante, poi via via più decisa. Incredibile a dirsi, si fece silenzio nel locale, durante quell’esecuzione drammatica: si percepiva chiara la forte tensione emotiva tra i due. Lontani tra loro dieci metri e trent'anni. Eppure eseguivano il pezzo benissimo, incastrando la melodia della voce con l'armonia degli accordi.
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Lei man mano si avvicinò: dal tavolo raggiunse dapprima il centro del pub, più vicina al palchetto. Cantava con una tale intensità che qualcuno si commosse, persino. Aveva una voce stupenda e intonata; lui l’accompagnava e sottolineava le frasi con rara perizia nel fraseggio. Finito di suonare, insieme ma ancora lontanissimi, lei arrivò vicina alla pedana.
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Muta, lo fissò per tutto il tempo. Mario non alzò neppure per un momento lo sguardo. Ripose lo strumento nel suo fodero imbottito, che con un rapido movimento mise in spalla. Poi staccò la spina, prese con l'altra mano l’amplificatorino da pub che usava in quelle occasioni, si girò e senza dire una parola se ne andò.
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Disse appena ai suoi amici poco distanti e imbarazzati che si sentiva poco bene, che continuassero senza di lui: tanto all’una avrebbero comunque finito e mancava pochissimo. Tornato a casa fece una doccia, si infilò nel letto in silenzio insieme alla moglie che già dormiva serena da tempo.
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La guardò a lungo, ritrovò nel comodino, tra i calzini e i libri in perenne standby, un sorriso ancora pulito; le accarezzò i capelli pianissimo per non svegliarla. Si infilò sotto le coperte e finalmente si concesse due lacrime, prima di cadere nel sonno. Lei si girò e nel dormiveglia gli si strinse. Il suo cuore ebbe un lieve sobbalzo. L’amore da qualche parte in lui esisteva ancora, evidentemente.
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RDA
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sciatu · 9 days ago
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CIAURU
Quando ero piccolo capii che tutte le cose viventi e non, avevano un loro ciauru, un loro profumo. Le cose legate alla morte invece fidianu, cioè puzzavano e dovevo evitarle. Le donne di casa avevano un ciauru che sapevano di sugo della domenica, di cannoli, di torte alla crema, di pulito o che ci avvisava che era meglio star lontano da loro perché irascibili.  Gli uomini avevano un ciauru che sapeva di sapone da barba, di cuoio o di legno come quercia o castagno come quello di mio padre che era falegname o di limone, come quello di mio nonno che facendo il macellaio si levava il sangue dalle mani pulendole con fette di limone. Un ciauro aveva anche la casa che cambiava a seconda delle stagioni. In estate aveva un profumo luminoso, con le pietre delle sue mura arroventate dal sole o, in autunno ciauriava, profumava di mosto, di castagne, di minestra selvatica che la nonna raccoglieva in campagna. In inverno invece ciauriava delle spezie come il pepe nero o i semi di finocchio che mio nonno metteva nei salumi o nelle salsicce, oppure di cannoli e del fuoco dei bracieri con cui mia nonna si scaldava mentre lavorava all’uncinetto. Le stagioni avevano ciascuna un loro odore, di pioggia o di nebbia, di asfalto arroventato dal sole o di fieno, di erba tagliata o di fiori. Anche i giorni della settimana avevano un loro odore come la domenica che profumava del pane che mia nonna sfornava o delle torte che le zie preparavano, o il mercoledì, che sapeva di sangue perché il nonno tornava dal macello portando le carcasse degli animali che appendeva a frollare in macelleria. L’acqua stessa aveva un ciauro diverso se era quella stagnante del ruscello che correva nella fiumara o quella inquieta del mare. Tutto aveva un suo ciauro che era come l’anima dei viventi perché anche se non si vedeva, descriveva chi era, cos’era, se era parte della vita o apparteneva alla morte come le carcasse degli animali che trovavo nelle campagne, divorate dai vermi o dalle gazze.
U ciauru, il profumo era quindi per me qualcosa di tangibile, concreto. Nasceva dalle cose ed era quasi la loro vita, ed era tanto tangibile che come il vino, si poteva raccogliere e far maturare per renderlo migliore. Ad esempio, a lato del torrente c’era una striscia di terra in cui si coltivavano filari di gelsomino. In estate, prima che fiorissero, le donne al mattino presto raccoglievano i fiori che venivano poi inviati alla Fabbrica dei Profumi. Lo stesso accadeva ai limoni che a settembre, ancora verdi, raccoglievamo e spedivamo in casse di legno a questa Fabbrica dei Profumi da cui venivano estratte le essenze profumate. Lo stesso accadeva con i mandarini verdi e con altri agrumi come il bergamotto, un frutto brutto dalle sembianze antipatiche che eppure era fondamentale per la preparazione di tutti i profumi floreali. La Fabbrica dei Profumi infatti, da più di cento anni estrae essenze per chi, in Francia o in Italia, prepara i costosissimi profumi. Sono solo gli agrumi siciliani o quelli calabresi che danno le essenze migliori e i Vert o i Coeur o gli Integrales più preziosi ed unici che costituiscono tutti i profumi preparati dalle grandi case di moda.
Si possono preparare i profumi anche in laboratorio, sintetizzando degli esteri o delle aldeidi. Ma queste molecole dal sapore fruttato di banana o di altri frutti, sono solo una nota musicale. Le essenze degli agrumi sono invece delle sinfonie che contengono una nota dominante, un cuore e altri composti che esaltano l’intensità e la durata delle sostanze che profumano. A queste sinfonie si aggiungono anche molecole di sintesi o altri estratti naturali per personalizzarle così che ogni profumo abbia un carattere e un’identità diversa dagli altri tanto da non essere più il ciauru di qualcosa, ma di esistere di per se, per dare ciauro al corpo di qualcuno descrivendone la sua anima, come deve fare ogni ciauru che dell’anima delle cose, è la loro estensione.
When I was little I understood that all living and non-living things had their own ciauru, their own scent. Things related to death, on the other hand, fidianu, that is, they stank and I had to avoid them. The women of the house had a ciauru that smelled of Sunday sauce, of cannoli, of cream cakes, of cleanliness or that warned us that it was better to stay away from them because they were irritable. The men had a ciauru that smelled of shaving soap, of leather or of wood like oak or chestnut like that of my father who was a carpenter or of lemon, like that of my grandfather who, being a butcher, removed the blood from his hands by cleaning them with slices of lemon. The house also had a ciauru that changed according to the seasons. In the summer it had a bright scent, with the stones of its walls scorched by the sun or, in autumn ciauriava, it smelled of must, of chestnuts, of wild soup that the grandmother collected in the countryside. In winter, however, she smelled of spices like black pepper or fennel seeds that my grandfather put in salami or sausages, or of cannoli and the fire of the braziers that my grandmother warmed herself with while she crocheted. The seasons each had their own smell, of rain or fog, of asphalt scorched by the sun or hay, of cut grass or flowers. Even the days of the week had their own smell, like Sunday, which smelled of the bread that my grandmother baked or of the cakes that her aunts made, or Wednesday, which smelled of blood because my grandfather returned from the slaughterhouse bringing the carcasses of the animals that he hung to mature in the butcher's shop. The water itself had a different smell if it was the stagnant water of the stream that ran in the river or the restless water of the sea. Everything had its own ciauru that was like the soul of the living because even if you couldn't see it, it described who it was, if it was part of life or belonged to death like the carcasses of animals that I found in the countryside, devoured by worms or magpies. U ciauru, perfume was therefore for me something tangible, concrete. It was born from things and was almost their life, and it was so tangible that like wine, it could be collected and matured to make it better. For example, on the side of the stream there was a strip of land where rows of jasmine were grown. In the summer, before they bloomed, the women picked the flowers early in the morning that were then sent to the Perfume Factory. The same happened to the lemons that in September, still green, we picked and sent in wooden crates to this Perfume Factory from which the scented essences were extracted. The same thing happened with green mandarins and other citrus fruits like bergamot, an ugly fruit with an unpleasant appearance that was nevertheless essential for the preparation of all floral perfumes. In fact, the Perfume Factory has been extracting essences for those in France or Italy who prepare the very expensive perfumes for over a hundred years. Only Sicilian or Calabrian citrus fruits give the best essences and the most precious and unique Vert or Coeur or Integrales that make up all the perfumes prepared by the big fashion houses. Perfumes can also be prepared in the laboratory, by synthesizing esters or aldehydes. But these molecules with a fruity flavor of banana or other fruits are just a musical note. Citrus essences are instead symphonies that contain a dominant note, a heart and other compounds that enhance the intensity and duration of the substances that perfume. To these symphonies are also added synthetic molecules or other natural extracts to personalize them so that each perfume has a character and an identity different from the others so much so that it is no longer the ciauru of something, but exists in itself, to give ciauru to someone's body describing their soul, as every ciauru must do, which is the extension of the soul of things.
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matto77 · 6 months ago
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"Nessuno di noi è preparato.
Né lo saremo mai. Ma questo è ugualmente
il nostro destino: cambiare.
Si cambia con lentezza, la stessa lentezza
che muta la primavera in estate,
l'estate in autunno,
l'autunno in inverno.
Non ci si accorge mai in quale momento la primavera diventa estate:
una mattina ci alziamo e fa caldo;
l'estate è giunta mentre dormivamo."
Oriana Fallaci
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angelap3 · 7 months ago
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Nessuno di noi è preparato. Né lo saremo mai. Ma questo è ugualmente il nostro destino: cambiare. Si cambia con lentezza, la stessa lentezza che muta la primavera in estate, l’estate in autunno, l’autunno in inverno. Non ci si accorge mai in quale momento la primavera diventa estate: una mattina ci alziamo e fa caldo; l’estate è giunta mentre dormivamo.
Oriana Fallaci
Buongiorno🌈
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