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"Il Silenzio degli Abissi": Un Tuffo nel Mistero Sottomarino di Michael Crichton. Recensione di Alessandria today
Un thriller avvincente che svela segreti sommersi e intrighi pericolosi
Un thriller avvincente che svela segreti sommersi e intrighi pericolosi “Il Silenzio degli Abissi” è un romanzo di Michael Crichton, pubblicato in Italia nel 2016 da Garzanti. Originariamente scritto sotto lo pseudonimo di John Lange durante gli anni universitari dell’autore ad Harvard, il libro è stato successivamente riproposto con il vero nome di Crichton, offrendo ai lettori l’opportunità di…
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Notoriamente Faurisson era un negazionista (l'etichetta è stata coniata proprio per lui) che sfidò gli storici a fornire prove dell'esistenza delle camere a gas. Le tesi di Faurisson sono talvolta
deliranti, ma solo per questo delirio avvengono condanne penali e licenziamenti.
L'esistenza storica di Gesù è stata contestata a lungo. Quella di Maometto assai più di recente, e su basi ancor più labili (dato che a 10 anni dalla sua morte i musulmani stavano già conquistando mezzo mondo in suo nome). Nessuno è stato arrestato o licenziato per negazionismo.
Semplicemente, si sono accumulati indizi ed elementi che dimostrano l'implausibilità di una determinata tesi. Il caso Faurisson, emerso nel 1979, scoppiò con la dichiarazione di 34 storici che rispondevano a un suo articolo su le Monde in cui negava le camere a gas.
Che cosa dovrebbe fare uno storico in questo caso? Portare tutti gli elementi che dimostrano che le camere a gas sono realmente esistite. Persino il revisionista Nolte scriveva che negare l'Olocausto sarebbe come negare l'esistenza di Napoleone.
Ma qualcuno è mai finito nei guari per aver negato l'esistenza di Napoleone? La risposta degli storici è indicativa del desideri di sottrarre l'Olocausto alla storia per portarlo nel mito.
Ecco un passaggio: "Non bisogna domandarsi come un tale assassinio di massa sia stato tecnicamente possibile. È stato tecnicamente possibile poiché ha avuto luogo. Questo è il punto di partenza obbligato di tutta l'indagine storica sull'argomento."
Cioè, se per ogni evento storico bisogna partire dalla necessità di dimostrare che abbia avuto luogo, in questo caso si parte da un dogma che non richiede spiegazioni tecniche.
Alla replica (non pubblicata: le Monde aveva già ceduto alle pressioni) con cui Faurisson chiedeva "Une preuve… une seule preuve", iniziò un processo, in cui fu imputato fra l'altro di "falsificazione della storia".
Il tribunale si rifiutò di considerare, per mancanza di competenza, quest'accusa fantastica e si limitò a condannarlo per "danni a terzi". In seguito Faurisson fu rimosso dall'insegnamento universitario e subì altri processi e lievi condanne.
Il pericolo insito nel processare le visioni anche assurde della storia fu individuato da Chomsky, che espresse pubblicamente solidarietà a Faurisson a prescindere dalle tesi sostenute, in nome della libertà di espressione.
Il pericolo insito nel processare le visioni anche assurde della storia fu individuato da Chomsky, che espresse pubblicamente solidarietà a Faurisson a prescindere dalle tesi sostenute, in nome della libertà di espressione.
Giuliano Lancioni
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Sono trascorsi 500 anni dalla morte di Leonardo da Vinci e, per celebrare questo importante anniversario, torna alla ribalta uno dei suoi dipinti, La Dama in pelliccia, realizzato a Milano tra il 1495 e il 1499 e nascosto per quasi un secolo.
Si tratta di un'opera dal forte impatto emotivo, realizzata su un pannello di pioppo alto 61,5 cm e largo 54,5 cm. Molti sono gli elementi caratteristici dell'artista Leonardo: l'opera raffigura una giovane donna dallo sguardo malinconico e malizioso, con un accenno di sorriso, la cui ambiguità rimanda a quella della Gioconda. La posa delle mani è simile a quella della Dama con l'ermellino.
Sulla base della ricostruzione storica, è molto probabile che l'opera sia stata dipinta nel periodo milanese in cui Leonardo era al servizio di Ludovico il Moro e che il dipinto fosse ancora nelle mani di Leonardo durante il suo soggiorno a Roma e successivamente negli ultimi anni ad Amboise.
Dal 1691 al 1700, l'opera fece parte della collezione privata di Antonio Pignatelli, papa Innocenzo XII. In un successivo passaggio di proprietà, fu scoperta nella residenza di Domenico Morelli, vescovo di Strongoli, poi vescovo di Otranto.
Dal 1975, il dipinto è in possesso di una famiglia residente in Germania, ed è stato ora riportato alla luce da Silvano Vincetti, presidente del Comitato per la valorizzazione del patrimonio storico, culturale e ambientale.
Molti studiosi attribuiscono l'opera a Leonardo senza ombra di dubbio: in un suo scritto del 2 settembre 1921, Adolfo Venturi, uno dei più grandi storici dell'arte del secolo scorso, affermava: "Questo magistrale ritratto di giovane donna dal profilo delicato e gentile è sicuramente opera di Leonardo".
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Il Portogallo ha una storia islamica significativa, risalente al periodo di dominazione musulmana dal 711 al 1249; durante questo tempo, gran parte della penisola iberica, inclusa l'odierna Portogallo, era sotto il controllo musulmano, noto come Gharb al-Andalus.
La presenza islamica ha influenzato profondamente la cultura portoghese, dall'architettura alla scienza della navigazione; tuttavia, la narrazione storica tende a enfatizzare la "Reconquista" cristiana, trascurando le interazioni e le coesistenze pacifiche tra le comunità musulmane, cristiane ed ebraiche.
Lisbona, conosciuta come al-ʾIšbūnah durante la dominazione musulmana, conserva ancora elementi architettonici arabi, specialmente nel quartiere dell'Alfama e nella Mouraria.
Le antiche mura della città islamica, che delineano l'area storica di Alfama e Mouraria, riflettono la struttura urbana originale.
Il Castello di São Jorge, costruito dai musulmani, conserva elementi architettonici moreschi e offre una vista panoramica sulla città.
La Chiesa di São Vicente de Fora, originariamente una moschea, presenta archi a ferro di cavallo e un mihrab, simbolo della sua storia islamica.
Coimbra, importante centro mozarabo, ha una storia ricca di influenze islamiche, visibili in alcuni edifici storici. Durante il dominio islamico, che iniziò nel 711, la città divenne un punto strategico tra il mondo cristiano e quello musulmano; la Reconquista culminò con la conquista cristiana di Coimbra nel 1064, ma l'eredità islamica rimase evidente nella cultura e nell'architettura locali: elementi come archi a ferro di cavallo e decorazioni mozarabe testimoniano questa coesistenza.
Évora, famosa per i suoi portici moreschi e il sito archeologico di Almendres Cromlech: i portici, situati nella Praça do Giraldo, riflettono l'eredità islamica della città, risalente al periodo di dominazione araba nel VIII secolo.
Mértola è un piccolo paese che presenta resti significativi della cultura musulmana; scavi archeologici hanno rivelato ceramiche islamiche e strutture che testimoniano una lunga coesistenza tra diverse comunità, tra cui musulmani, ebrei e cristiani. Il sito include una chiesa costruita su una moschea, evidenziando l'influenza islamica nell'architettura locale; la ricerca continua a mettere in luce l'importanza di Mértola come centro di scambio culturale e come esempio di coesistenza pacifica nel passato.
Non si può parlare di immigrazione per il Portogallo, oggi: qui i musulmani stanno ritornando A CASA LORO, dopo essere stati cacciati secoli fa dai talebani cristiani.
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Quando l'asino non vuol camminare, raglia!
La disinformazione neotemplarista su San Giorgio Martire.
Care lettrici e cari lettori, come alcuni di voi sapranno, in questo lungo periodo ho ben altre cose serie a cui pensare, però sapete bene anche, quanto io mi fomenti nel momento in cui dei complottisti o negazionisti, imperversanti nel mondo "storico", si mettono ad emanar sentenze su argomenti che non dovrebbero toccare nemmeno con un bastone da rabdomante.
Questa volta tocca alla splendida chiesa di San Giorgio Martire, nel centro urbano di Petrella Tifernina in alto Molise, una cittadella che, tutta intorno, si sviluppa a guisa di quella veglia basilica, in cui, per molto tempo, ho passato periodi della mia adolescenza, quando mio padre, circa 16 anni fa, svolse numerosi sopralluoghi e studi di ricerca in compresenza del parroco Don Domenico, della sua associazione e di tanti accademici, archeologi, storici dell'arte e dell'architettura, molisani e d'oltre Regione.
Ora, come da tempo accade, è presa di mira anche da alcuni neo-templaristi, che purtroppo hanno visto troppi film d'azione sul medioevo, e soprattutto, troppi sulle leggende dei cavalieri Templari e delle crociate nella fattispecie, che vedono l'ordine come fautore di cose con le quali mai era stato legato, in tal caso, l'arrivo del culto per San Giorgio Martire nella penisola italiana, che a detta di talune pagine ed "eruditi", sarebbe sopraggiunto solo nel basso medioevo, al seguito delle crociate.
Vogliate concedermi una riflessione a riguardo, poiché affermazioni di questo tipo, ricopiate e ricalcate dalle pagine sensazionalistiche ed esoteriste, ed anche da parte di alcuni storici "non addetti ai lavori", sono assolutamente false e in evidente contrasto con la storia del nostro paese, seguendo un'ottica primitiva, oggi superata ampiamente dal mondo universitario e più propriamente storiografico.
Passerò pertanto a discutere su due punti salienti di questa lunga riflessione:
1) l'icona di San Giorgio
2) la lunetta del Magister Alferio.
Nel primo caso, viene asserita da taluni individui, la datazione della formella di San Giorgio Martire, al XIII secolo inoltrato, una cosa che assolutamente stride con qualsiasi nozione di storia dell'arte esistente, soprattutto per l'inesistente plasticità e tridimensionalità del bassorilievo, che nelle proporzioni ed irregolarità delle forme, nonché staticità dei corpi, si accosta al gran numero di produzioni di scalpellini di ambito centromeridionale tra la fine del X e la prima metà del XII secolo, con una netta evoluzione graduale tra gli stilemi arcaici preromanici di epoca longobarda/bizantina, e quelli romanici d'epoca normanna/sveva, che con la seconda fase sfocieranno nel protogotico svevo-angioino, seguendo una ripresa sempre più marcata di elementi classici, elaborazione nelle proporzioni, espressività e plasticità degli elementi, che si noterà principalmente in cantieri come quello di Santa Maria Maggiore a Monte Sant'Angelo, Santa Maria della Purificazione a Termoli, San Giovanni in Venere a Fossacesia, Santa Maria e San Leonardo a Siponto, San Clemente a Casauria e tante altre località tra Abruzzo, Lazio, Campania, Molise, Puglia ed anche Basilicata e nord della Calabria.
Per delucidazioni aggiuntive consiglio vivamente la lettura del libro: Molise medievale cristiano, Edilizia religiosa e territorio (secoli IV - XIII),di Federico Marazzi, Manuela Gianandrea, Francesco Gangemi, Daniele Ferraiuolo, Paola Quaranta, and Alessandra Tronelli.
Sulla rarità di icone preromaniche occidentali, che raffigurino il santo nell'atto di uccidere il drago, vorrei preventivamente chiarificare non sia esattamente così, la rarità è circoscritta quasi unicamente per il territorio italiano, e rarità non è sinonimo di inesistenza se il vocabolario me lo consente.
Si rammenti che nella penisola, già nel VI e nel secolo successivo si attesta la presenza del culto di San Giorgio Martire, escludendo in toto la teoria di una giunta dell'agiografia georgiana solo al seguito della sua Legenda Aurea, ma già attestata da fonti indirette ed apocrife, precedenti di molto ai secoli delle crociate, che vedrebbero la componente del mostro o drago, giungere nei territori dell'Est Europa e dell'Occidente, a cavallo tra il X e l'XI secolo, ed addirittura, essere postulata proprio in "territorio europeo" con una evoluzione graduale, che vede l'aggiunta, nella sua agiografia, del salvataggio della principessa dal drago, simbolo del demonio, una dicotomia tra bene e male che incarna tutta la storia della teologia stessa e dei santi martiri, che null'ha a che fare con le crociate, se non essere parte di esse, tanto che nel corso della prima crociata, troviamo informazioni che ci fanno capire in Occidente fosse già ben nota l'iconografia cavalleresca di Giorgio, tanto che più tardivamente, addirittura, sarebbe sviluppatasi in Oriente, adottando il mostro dall'icona di San Teodoro.
L'imago del cavaliere che sconfigge il maligno in realtà, ivi si riferiva all'imperatore Costantino, come ci riporta il biografo Eusebio da Cesarea, una icona imperiale diffusa in molte aree mediorientali, ma che principalmente era posta sulla facciata del suo palazzo imperiale, tanto da ipotizzare che in realtà i crociati furono indotti ad indentificarla come icona del santo, solo tramite una loro conoscenza di essa, già appurata e radicalizzata tra l'est Europa, l'area costantinopolitana, e naturalmente altre regioni e nazioni dell'Europa occidentale, in cui non poteva mancare certamente l'Italia, cuore pulsante delle vie pellegrinali, di commercio ed anche delle crociate stesse ed ancor prima, delle milizie d'ogni tipo, la storia della Longobardia Minor dovrebbe aver già insegnato molto.
Tornando al San Giorgio di Petrella, la sua figura trova un riscontro iconografico, molto vicino a quello delle icone ancora primitive, che precedono lo sviluppo pieno del suo programma simbologico-agiografico, fiorito in maniera solida dopo la Legenda Aurea di Jacopo da Varagine.
Che però già esisteva tra il X e l'XI secolo.In special modo, queste icone sono caratterizzate dalla assenza di elementi come la principessa, dove gli unici individui sono Giorgio, il cavallo e il drago/mostro-serpente alato, trafitto dalla lancia del soldato.
Questi elementi iconografici sono diffusissimi nelle pitture rupestri della Cappadocia (XI sec.), ed anche negli affreschi di San Marzano in provincia di Taranto (X-XI sec.), e nel bassorilievo della Cattedrale di San Paolo ad Aversa (X-XI sec.), e l'elenco di esempi su San Giorgio ed il drago possono proseguire per molto, ma mi fermerò a questi per il momento.
A fare da contorno in tutto ciò, vi è lo stile che caratterizza la scultura petrellese, una formella con caratteri iconografici bizantini, ma dalle proporzioni incoerenti e scarsa plasticità, una costante delle produzioni lapidarie che hanno toccato vari insediamenti come Santa Maria della Strada a Matrice, Ma anche altri come a Guardialfiera, Roccavivara, Guglionesi, Petacciato, Cercemaggiore e così via, tutti edifici integri alternati a resti erratici o di reimpiego, databili tra una più antica manualità dell'VIII e IX secolo, ed una lieve evoluzione tra X ed XI, con un cambiamento ulteriore nel XII ed infine un distacco abissale con le produzioni dei secoli XII-XIII e XIII-XIV, che agli antipodi posseggono la Fraterna di Isernia da un lato, e la Cattedrale di Larino dall'altro.
L'arretratezza negli attributi e nello stile figurativo, fanno retrocedere presumibilmente la datazione come di consueto, tra il termine del decimo secolo e l'anno mille, come parte di uno dei primi cantieri che videro l'evolversi dell'impianto basilicale tra stadio pre-romanico e romanico "normanno", una doppia fase che si sposerebbe bene con la successiva ulteriore trasformazione del complesso, al seguito di un cataclisma, forse uno smottamento del terreno di fondazione o un sisma, che comportò un drastico cambiamento nell'assetto impiantistico, ed un enorme riuso dei resti del precedente tempio, per approfondimenti in merito, consiglio la lettura del volume: "Medioevo in Molise: Il cantiere della chiesa di San Giorgio Martire a Petrella Tifernina" dello storico dell'arte Francesco Gandolfo, che a suo tempo avemmo il piacere di conoscere nel corso delle ricerche sul campo.
Da qui ci si sposta alla questione invece di altri elementi, come il portale maggiore, che si mostra con uno pseudoprotiro e facciata che rientra nelle caratteristiche del pre-romanico e romanico locale (vedi Matrice), con una lunetta che presenta un evidente caso di rimontaggio, come in altri punti dell'edificio, forse proprio nel corso della trasformazione dell'intero orientamento della struttura, pur presentandosi nel complesso, al suo stato originale, con stilemi a girale, fitomorfi, scene apocalittiche e creature zoomorfe inscritte dentro cornici tipiche dei cantieri, specialmente benedettini, dell'XI-XII secolo, come appunto chiarisce un ulteriore dettaglio della lunetta maggiore, la firma dell'esecutore, tal "ALFERIO DISC(IP)OLO GEO(RGI)", come si può leggere tramite una attenta analisi ravvicinata dell'incisione (e non da fotografie sbiadite, tra l'altro, che permettono egualmente di leggervi quanto detto poc'anzi).
La tradizione locale (che tradizione non è), vuole attribuire la lunetta ad un tale MAG(ISTER) EPIDIDIVS, che in realtà nasce da una approssimativa lettura dei pochi caratteri esistenti, da parte del Carandente, presa per buona da alcuni eruditi ma priva di fondamento, specie se si considera che il nome Epididio sia quasi totalmente inesistente persino per alto e basso medioevo, e per trovarvi una spiegazione, dovrebbe quantomeno essere posto in teoria come una abbreviazione, ma al momento resta una fantasiosa ricostruzione del secolo scorso, già accantonata dalla comunità accademica.
Altro strafalcione del Carandente si riporta nella data incisa al lato destro della lunetta, "MDECIM", per il quale, secondo una idea di attribuzione tarda, doveva leggersi (Anno Domini) Millesimo Duecentesimo Undicesimo (1211), non potendo però constatare per l'epoca, che nessuno dei fregi e bassorilievi della basilica, potesse essere avvicinabile a questi anni, privi di ogni caratteristica sopracitata.
Il suo errore è da contestualizzarsi nella mentalità locale di almeno uno o due secoli fa, dove il territorio molisano venne circoscritto, dal punto di vista artistico e culturale, ad una terra con "produzioni di ambito locale, o minore", con delle eccezioni senza alcun nesso, prima dei contributi che hanno permesso, da 30-40 anni, ad oggi, di sfatare tutto ciò, ed anzi, di riscoprire l'alveo culturale quale era il Molise, un territorio tra Abruzzo Citeriore, Terralaboris, Capitanata e così via, più comunemente territorio che possiamo definire proprio centro della Longobardia Minor, e successivamente, parte del Regno di Sicilia settentrionale.
Un cuore pulsante di "scuole", botteghe e cantieri ecclesiastici ed anche nobiliari, che hanno permesso l'evoluzione e il proliferare, di queste componenti artistiche, esattamente come dei movimenti, ove era cruciale il ruolo delle vie di comunicazione, per esempio la Via Francigena, le sue arterie meridionali, i tratturi e così via, che hanno permesso soprattutto, di capire negli anni passati, il motivo di una espansione di medesimi archetipi, stilemi e caratteristiche culturali riscontrabili nello stesso tempo in più parti dell'Europa, dall'Italia all'Est, al Medio-Oriente fino ad arrivare in Francia, Spagna e naturalmente Regno Unito, tante realtà che, ovviamente, si sono fuse con quanto era già presente in questi paesi.
Le componenti estere sono sempre state il fondamento base della storia dell'arte, sia in età longobarda, con influenze bizantine, occidentali ed arabe, sia con i normanni, ed ovviamente sotto Federico II di Svevia, dove si può dire fosse nata l'architettura gotica italiana (e non solo), ereditata ed espansa sotto il dominio angioino e perfezionata dai motivi orientaleggianti catalani con gli aragonesi, mentre non va trascurata la parentesi di ambito veneziano trecentesco/quattrocentesco, e anche quella del gotico abruzzese (XIII-XIV sec.).
Dopo aver riportato questo grande aneddoto sul conto del Molise, per il quale ampiamente ha dibattuto e pubblicato la professoressa Maria Stella Calò Mariani, seguita da Francesco Aceto e da Giuseppe Basile, ma anche dallo stesso Bertaux e molti prima e dopo di loro, ritorniamo alla epigrafe di Petrella.
Più semplicemente, questa attestazione in caratteri latini, di per sé in contrasto con quelli evidenziati in tutto il territorio centro-italiano del '200, (vedi la data sul campanile di Santa Maria della Strada), non si riferirebbe affatto al 1211, bensì al 1010, (AD) M(illesimo)DECIM(o), semanticamente più accurata e meno costrittoria della versione del Carandente, avvicinandosi perciò alle scene cavalleresche del campanile di Petacciato, forse ascrivibili per stile ai medesimi fregi della lunetta, che troverebbe riferimento nella vicenda della Battaglia di Canne del 1018, con la presenza forse della più antica immagine di un cavaliere normanno e di due cavalieri bizantini in lotta.
Questa lettura non solo trova riscontro nei caratteri, ma anche nello stile arcaico che compone interamente la basilica ed i suoi bassorilievi, taluni di epoca precedente, ed altri del cantiere d'appartenenza, al quale sarebbe dovuto seguire un altro cantiere come si può evincere da un unico elemento duecentesco (o trecentesco) presente nella navata destra della chiesa, un semicapitello piatto, con motivo di foglie di acanto molto plastiche ed estruse, poggiato su un’acquasantiera in disuso, mai impiegato, ma che nel suo stile sembra essere ascrivibile ai cantieri di Santa Maria e San Pardo a Larino e di Sant'Emidio ad Agnone, ma per quanto riguarda il complesso, pare in realtà esserci una totale assonanza con i cantieri delle basiliche di San Giorgio, San Bartolomeo e San Mercurio a Campobasso (IX-X-XI sec.), alcuni elementi di Sant'Andrea a Jelsi (XI sec.), San Giovanni Rotobonis a Oratino (La Rocca) (IX-X sec.), e così via.
Senza contare che, per rievocare momentaneamente le questioni del culto per San Giorgio, nella Longobardia Minor e nei territori circostanti, sono attestate molteplici ecclesie dedicate al Santo Martire, tutte tra VII-VIII e IX secolo, che farebbero già intendere quanto non sia assolutamente fondata la supposizione sul suo culto giunto solamente dopo i risvolti della prima crociata, alla fine dell'XI secolo, ricordando ulteriormente a chi legge, che stessa sorte capitò per il vescovo di Myra, Nicola, detto anche San Nicola di Bari almeno dal 1087 in poi, ma che già era ampiamente venerato dal VI secolo, persino nella nostra regione, con chiese e badie risalenti al X secolo, la più vicina alla mia posizione proprio a Petacciato, presso il luogo di sepoltura dell'abate Adamo di Tremiti, poi Sant'Adamo confessore.
La verità di tutto ciò è molto diversa, spesso dei gruppi neotemplaristi, pur di mettere i Templari al di sopra di ogni argomento storico, finiscono per affidargli la paternità di cose che non gli sono appartenute, o meglio, che non hanno creato loro ma che essi possono solo aver sposato successivamente alla loro nascita.
Quest'anno per esempio sono già dovuto intervenire dopo un convegno neotemplarista al Cinema Sant'Antonio di Termoli, in cui si sono susseguiti una marea di sproloqui nei confronti dell'Agnus Dei (Agnello di Dio, o Agnello Crucifero), presente in una moltitudine di forme nelle facciate delle nostre chiese antiche, che un "meneghino" ha definito come simbolo templare, e che queste chiese fossero state costruite perciò dai Templari, nonostante questi stesse mostrando dei fregi dell'VIII e del IX-X secolo, ed uno della prima metà dell'XI, tutti elementi che sono antecedenti sia all'ordine di San Giovanni Gerosolimitano (Ospitalieri), sia ai cavalieri Templari, con una forte affinità di carattere evangelico invece, ispirazione ancestrale di tutte le maestranze che che hanno costruito "i pilastri della terra" in cui noi veneriamo i nostri idoli.
Ecco perché non smetterò mai di ripetere una sola cosa:Studiate, studiate e STUDIATE!!!
Bibliografie di riferimento.
•San Giorgio e il Mediterraneo, in Atti del II Colloquio internazionale per il XVII Centenario (Roma, 28-30 novembre 2003), a cura di G. De' Giovanni-Centelles, Città del Vaticano, 2004.
•La Storia di Varzi, Vol. II, di Fiorenzo Debattisti, 2001.
•Jacopo da Varazze, Legenda Aurea, Einaudi, Torino 1995.
•Eduardo Ciampi, Mino Freda, Paolo Palliccia, Paolo Velonà, San Giorgio e il Drago: l'indispensabile mito. Storia, Metastoria, Arte e Letteratura, Roma, Ed. Discendo Agitur, 2023.
•Medioevo in Molise, il cantiere della Chiesa di San Giorgio Martire a Petrella Tifernina, Di Walter Angelelli, Manuela Gianandrea, Francesco Gandolfo, Francesca Pomarici, 2012.
•Bianca Maria Margarucci Italiani, San Giorgio Martire fra Oriente e Occidente, 1987.
•Pagani e Cristiani. Forme e attestazioni di religiosità del mondo antico in Emilia, XI, 2012.
•San Giorgio e il drago riflessioni lungo un percorso d'arte, Di Sebastiano Giordano, 2005.
•Il Molise medievale e moderno, storia di uno spazio regionale, Giovanni Brancaccio, 2005.
•Italian Romanesque Sculpture, An Annotated Bibliography, Di Dorothy F. Glass, 1983.
•Gycklarmotiv i romansk konst och en tolkning av portalrelieferna på Härja kyrka, Di Jan Svanberg, 1970.
•Molise, appunti per una storia dell'arte, Luisa Mortari, 1984.
•Carlo Ebanista, Alessio Monciatti, Il Molise medievale, archeologia e arte, 2010.
•Federico Marazzi, Molise medievale cristiano, edilizia religiosa e territorio (secoli IV-XIII), 2018.
•L'arte georgiana dal IX al XIV secolo, A cura di Maria Stella Calo' Mariani, Volume 1, 1986.
•L'arte del duecento in puglia di maria stella calo mariani. fotografie di paolo monti u.a, Di Maria Stella Calò Mariani, 1984
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My Lady Jane: Quando la Storia si Trasforma in Magia e Risate
Lady Jane Grey: La Regina dei Nove Giorni... o dei Nove Episodi?
Lady Jane Grey è conosciuta nei libri di storia come la "Regina dei Nove Giorni". Una figura tragica che fu usata come pedina politica e che trovò una fine prematura. Tuttavia, la serie televisiva My Lady Jane prende questa narrativa e la stravolge completamente.
La serie offre a Jane un destino radicalmente diverso. In questa versione della storia. La protagonista, infatti, non è una vittima passiva degli eventi, ma una giovane donna intelligente e determinata. In questo mondo fantastico è in grado di cambiare il suo destino con l'aiuto di una buona dose di magia.
Tudorland: Benvenuti nel Regno di Maghi e Metamorfosi
L'ambientazione della serie rimane l'Inghilterra Tudor, ma è arricchita da elementi fantastici che rendono il mondo di My Lady Jane unico nel suo genere.
Tanto per dirne uno: il regno è popolato da persone che possono trasformarsi in animali (what?!). Inoltre, le già intricate dinamiche politiche sono complicate ulteriormente da questi elementi soprannaturali.
Questi cambiamenti non solo aggiungono un tocco di magia alla narrazione, ma permettono anche ai personaggi di esplorare le loro identità in modi nuovi e inaspettati.
Risate Reali: Quando la Storia si Prende una Pausa
Uno degli aspetti più affascinanti di My Lady Jane è la sua capacità di trattare temi seri con un tocco di leggerezza e ironia. La serie non si prende mai troppo sul serio. Questo approccio rende la visione estremamente piacevole.
I dialoghi sono frizzanti e pieni di battute argute, e le situazioni assurde in cui si trovano i personaggi sono gestite con una comicità brillante. Questo stile distintivo è uno dei motivi principali per cui My Lady Jane si distingue tra i numerosi adattamenti storici.
Non ha niente a che vedere con le serie televisive Starz come The White Princess, The White Queen o Becoming Elizabeth.
La protagonista non è più la storia. Al centro brilla la fantasia e la libertà di cambiare il destino storico di un personaggio drammatico come quello di Jane Grey.
Un Cast da Fiaba: Principesse e Principi (e Animali) Incantati
Il successo di My Lady Jane non sarebbe stato possibile senza un cast eccezionale. La giovane attrice protagonista porta sullo schermo una Jane Grey piena di vita e spirito. Gli altri membri del cast offrono interpretazioni altrettanto memorabili.
Ogni personaggio, dai principali ai secondari, è caratterizzato da una profondità e complessità che rendono la storia ancora più coinvolgente.
L'eroina : Jane è una ragazza che vuole ampliare le proprie conoscenze. È intelligente e curiosa. Nonostante la costrizione al matrimonio da parte di sua madre, Jane non perde lo spirito. Per l'intera serie la ragazza dimostra di essere però anche leale. Essa è pronta a rischiare la sua vita per gli amici e per le sue convinzioni.
Il bello e dannato : Guildford viene introdotto come un ragazza senza un vero scopo. In un bar recita versi "poetici" e beve come se non ci fosse un domani. Tuttavia il suo personaggio diventa uno dei più particolari e complessi. Il suo passato continua a tormentarlo e il pubblico finirà per tifare per lui.
Il re malato: Edward non è solo un bambino malaticcio. In questa versione, in cui il monarca inglese è un ragazzo di colore interessato agli uomini (altro che licenza poetica), Edward prende in mano il suo destino.
Dal Libro allo Schermo: Una Magia Diversa, ma Sempre Incantata
Pur rimanendo fedele allo spirito dei libri, la serie televisiva My Lady Jane introduce diverse modifiche rispetto ai romanzi. Alcune sottotrame sono state semplificate o eliminate. Inoltre, nuovi personaggi sono stati aggiunti per arricchire la narrazione.
Questi cambiamenti non fanno che migliorare l'adattamento, rendendolo più adatto al formato televisivo e mantenendo l'attenzione del pubblico. Inoltre, l'elemento visivo della trasformazione degli esseri umani in animali è reso con effetti speciali che aggiungono un ulteriore livello di fascino alla serie.
Conclusione
My Lady Jane è un esempio brillante di come un adattamento televisivo possa prendere una storia conosciuta e trasformarla in qualcosa di completamente nuovo e affascinante. Con la sua combinazione di storia, ironia e magia, la serie offre un'esperienza di visione unica che riesce a intrattenere e sorprendere ad ogni episodio. Se siete alla ricerca di una serie che sappia mescolare abilmente passato e fantasia, My Lady Jane è sicuramente una scelta imperdibile.
Ho trovato questa serie brillante, ma ancora di più la capacità dei creatori di spingere l'hyper per uno show anche relativamente semplice. La storia non è un racconto epico e complesso. Tuttavia cattura il pubblico con colpi di scena e un focus intelligente su certe tematiche rilevanti.
Ovviamente tanto fa anche la chimica tra i due protagonisti, cosa che non fa male ad una storia semplice e senza troppi personaggi.
Ho visto le nove puntate tutte d'un fiato in soli tre giorni. La storia è organizzata bene affinché il pubblico sia spinto a guardare lo show in poco tempo.
Se amate le serie come me, non perdetevi gli altri articoli.
Stay Tuned, la vostra EasyTears.
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L'Italia ha un tesoro artistico fatto di castelli imponenti e ben conservati.
I castelli italiani incorporano non solo elementi tradizionali dell'architettura militare medievale e dell'architettura gotica, ma anche quelli degli stili architettonici rinascimentali, bizantini e moreschi italiani.
Eccezionali con le loro forme geometriche e l'aspetto imponente, i castelli italiani sono meravigliosi.
È interessante notare che non esistono due castelli uguali e ognuno ha caratteristiche uniche che si correlano con eventi storici, ambiente naturale e cambiamenti politici nel corso dei secoli.
Vale anche la pena notare che i castelli in Italia non sono concentrati solo in una o due regioni, ma coprono tutto il paese.
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Nick McBrain ha lasciato i Maiden: era ora
Da più parti l’abbandono di Nicko McBrain ha suscitato stupore, dolore, tristezza. Io dico, meno male che ha lasciato. Meno male perché dopo tutti i problemi di salute che lo hanno coinvolto, non avrebbe certo proseguire. Meno male perché, a 72 anni, 72, reggere un intero tour non deve essere facile. Se non lo è per gli altri musicisti, ancor peggio è per un batterista. Meno male perché ha dato tutto quello che doveva e poteva e anche di più.
Meno male perché il tempo passa per tutti e conoscere i propri limiti è fondamentale. Da dove quindi la tristezza? Umanamente non si può essere tristi per un uomo che pensa prima alla propria salute. Artisticamente neppure. A 72 anni, cosa potrebbe ancora dare alla musica? Sembra un discorso cinico, ma non lo è. Oggettivamente, cosa avrebbe mai potuto aggiungere al mondo Maiden? Poco o nulla. Non foss’altro che per sopraggiunti limiti fisici anche se non avesse avuto problemi di salute.
Oggi la musica va in altre direzioni. Lui sarebbe stato il vessillo imperituro dei nostalgici. Dal mio punto di vista la tristezza e il dispiacere arrivano da un mero discorso egoistico da parte di chi lo segue. Non si deve ritirare perché io voglio ancora ascoltare la sua musica. Deve rimanere in attività fino alla morte perché se lui smette devo ammettere che il tempo è passato e passa anche per me. Devo fare i conti con quello che sono adesso. Non deve smettere perché vorrebbe dire che è finita la mia giovinezza.
Si sono persi per sempre i miei vent’anni. Ma i vent’anni si sono persi da un pezzo. Cercare di tenerli in vita in maniera artificiale non porta da nessuna parte. Anzi. Ci fa perdere ciò che di buono c’è anche oggi. Aggrapparsi con le unghie e con i denti a ciò che è stato non fermerà il tempo. La vita scorrerà lo stesso. E mentre noi siamo ancorati ad un tempo che non c’è più accanto passerà ottima musica che non riusciremo ad ascoltare.
Posso capire il dispiacere per dipartite premature di artisti che oggettivamente avrebbero potuto dare ancora molto. Per chi ha deciso di farla finita nonostante tutto. Il dolore del vuoto lasciato. Non capisco tanto rumore per un meritato pensionamento. Un esempio ed una strada che dovrebbero prendere anche gli altri elementi della band. E non solo di questa. Avete fatto la storia, questo nessuno lo può cancellare, ma adesso siete altro. ‘Ma così toglieresti la possibilità alle nuove generazioni di vedere dal vivo un pezzo fondamentale del metal!’.
No, si eviterebbe solo ai giovani di assistere allo spettacolo patetico di vedere live una tribute band. Inutile girarci attorno, per moltissimi gruppi storici la musica non è più espressione di se stessi. È diventato solo un lavoro. Un modo per guadagnarsi da vivere. Campano dei fasti una volta. Sull’onda lunghissima di ciò che sono stati. Le nuove generazioni cosa potranno mai apprezzare di un manipolo di pensionati che cerca di suonare come se gli anni non fossero trascorsi? Con quali occhi vedrebbero questo spettacolo?
Con uno sguardo di ammirazione o, piuttosto, di compassione e simpatia? I giovani sono abituati ad altro. Come lo eravamo noi quando avevamo vent’anni. Ai nostri tempi giudicavamo la musica dei nostri genitori vecchia e mai ci saremmo sognati di andare a vedere un concerto dei loro beniamini. Lo avremmo fatto per accontentarli. Ma non saremmo mai riusciti ad apprezzarli a dovere. Perché per i giovani d’oggi dovrebbe essere diverso? Solo perché, questa volta, i beniamini sono i nostri? Non credo sia un discorso che possa reggere.
A vederla oggettivamente, noi ancora ascoltiamo dischi di 30, 40 anni fa. È tantissimo tempo. Troppe cose sono cambiate perché si possa pretendere che le nuove leve possano capire quella musica. Per noi sono note ancora validissime. Per loro possono essere semplicemente noiose. A Nick McBrain possiamo solo fare i nostri migliori auguri, ringraziarlo per quanto fatto per noi e per la storia della musica. Non possiamo impedire che il tempo passi. Possiamo solo godere di ciò che ci ha lasciato.
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Si è appena conclusa la settimana storica dell’ATH di Bitcoin. Al momento, il prezzo continua a oscillare attorno ai 100.000 USD, tra entusiasmo e attese per un possibile nuovo allungo. Bitcoin analisi on-chain del breakout dei 100.000$ I 100.000 USD si sono fatti attendere poco più di due settimane. Nelle nostre precedenti analisi on-chain avevamo evidenziato una serie di elementi positivi che ci facevano propendere con una certa consapevolezza verso il breakout di questo livello psicologico. Al contempo, avevamo anche più volte segnalato di prestare attenzione all’eccesso di leva sui derivati. Gli indirizzi in gain restano al 100% Partiamo da questo dato e dall’immagine celebrativa del sito IntoTheBlock che mostra, come gli indirizzi in gain nell’area di scambio a 100.000 USD sono ancora il 100%, nonostante l’ATH sia stato fissato a 103.900 USD. Soprende l'andamento degli indirizzi A livello on-chain, sebbene il prezzo di BTC abbia superato i 100.000 USD, la crescita degli indirizzi negli ultimi mesi è rimasta moderata, con un solo incremento visibile da inizio novembre. La metrica "Bitcoin: New Address Momentum" di Glassnode, misura il ritmo di crescita dei nuovi indirizzi creati sulla rete Bitcoin e ci consente di osservare l’andamento degli ultimi due anni. "Bitcoin: New Address Momentum" - Fonte: Glassnode - La media a 30 giorni (linea rossa) è tornata a essere superiore alla media a 365 giorni (linea blu), indicando un’espansione nell’attività on-chain. - Questo segnale positivo è generalmente interpretato come un indicatore di interesse crescente nel mercato. Meno indirizzi rispetto alle attese Nonostante i massimi storici di Bitcoin e la fase rialzista in corso, è sorprendente che il numero di nuovi indirizzi non stia crescendo a un ritmo più sostenuto. Le whales e gli investitori istituzionali dominano la scena Questo potrebbe indicare che, sebbene vi sia un ampio interesse mediatico attorno a Bitcoin, la domanda che sta spingendo il prezzo è attribuibile principalmente alle whales e ai grandi investitori istituzionali, come gli ETFs, che ormai sono pienamente integrati nel sistema. Ruolo delle liquidazioni e comportamento dei Long-Term Holders Un ruolo importante nella fase precedente al breakout di 100.000 USD è stato giocato dalle liquidazioni. È noto che anche i Long-Term Holders hanno iniziato a liquidare, come evidenziato dalla metrica “Bitcoin: Long-Term Holder Realized Price and MVRV,” che ci aiuta a comprendere il loro comportamento. Bitcoin: Long-Term Holder Realized Price and MVRV - Fonte: Glassnode L'immagine mostra che il prezzo di Bitcoin si trova a circa 99.945 USD, ben al di sopra del Long-Term Holder Realized Price, fissato a 24.284 USD. Questo indica che i detentori a lungo termine sono in una posizione di assoluto profitto. L'MVRV Ratio per i long-term holders è pari a 4,12, segnalando una fase di mercato caratterizzata da "avidità". Al contempo questo segnala che potrebbe esserci il rischio di prese di profitto. I Long-Term Holder han preso profitto BTC: Long-Term Holder Net Position Change” - Fonte: Glassnode Questo dato è ben visibile osservando la metrica “BTC: Long-Term Holder Net Position Change” che mostra le variazioni nette nelle posizioni dei detentori di Bitcoin a lungo termine. L’immagine mostra che il recente rally di Bitcoin ha portato i LTH a ridurre significativamente le loro posizioni, una dinamica comune in prossimità di massimi storici e che potrebbe anticipare un consolidamento o anche una correzione. Bisogna anche ricordarsi che le pause e le correzioni fanno parte della costruzione di un trend. Le Whales proseguono l'accumulo Long-Term Holder non devono essere confusi con le Whales, che svolgono un ruolo fondamentale grazie al volume di BTC che detengono. Nell’immagine allegata abbiamo analizzato il comportamento delle Whales di Bitcoin, ovvero gli indirizzi che detengono almeno 100 BTC, 1.000 BTC o 10.000 BTC. Total Whales Number Il grafico mostra l'andamento da inizio anno, evidenziando una costante crescita del numero di whales, con un’accelerazione significativa a partire da ottobre. Nell’arco di due mesi, il numero delle whales è aumentato del 6,70%, raggiungendo oggi un totale di 19.458. Questi indirizzi detengono circa il 71,20% dell’attuale supply circolante di BTC, che oggi ammonta a 19.792.821 milioni di BTC. Gli indirizzi che possiedono tra 10 e 100 BTC, invece, detengono il 21,749% della supply circolante. Read the full article
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Emily in Paris 3: Lily Collins sempre più indecisa nella serie Netflix
Le scelte della protagonista Lily Collins (e non solo) sono al centro di Emily in Paris 3.
È stata fin dagli esordi una sorta di guilty pleasure di Netflix che si è presa tutte le accuse possibili, compresa quella di un'immeritata candidatura ai Golden Globe. Eppure Emily in Paris continua ad essere uno dei capisaldi di Netflix. Un mistero dovuto ad un fortunato e fortuito mix di elementi che circondano la comedy di Darren Star. Per esempio, per promuovere la terza stagione alla premiere parigina si è presentata sul tappeto rosso nientemeno che Mano di Mercoledì con indosso un basco: una foto che ha fatto velocemente il giro dei social, unendo due promozioni della piattaforma in una e facendo capire quanto la serie sia sulla bocca di tutti, anche delle altre produzioni Netflix. Ancora una volta dovremo affrontare alti e bassi in questa terza stagione ma nella quale sembra che la serie abbia imparato la lezione dagli errori della seconda… ma non fino in fondo.
Questione di scelte
Emily in Paris 3: una scena della serie
La terza stagione di Emily in Paris è indubbiamente quella delle scelte per la protagonista interpretata da Lily Collins. La prima è indubbiamente quella lavorativa con cui l'avevamo lasciata nel finale precedente, con quel colpo di scena in cui Sylvie (Philippine Leroy-Beaulieu) lasciava Savoir insieme a Julien (Samuel Arnold) e Luc (Bruno Gouery) per aprire un'agenzia propria e aveva chiesto a Emily contro ogni previsione di entrare nel progetto. Intanto era arrivata da Chicago una sempre più incinta Madeline (una ritrovata Kate Walsh), il capo di Emily negli Usa pronta a riportarsela oltreoceano finita la sostituzione per maternità.
Emily in Paris 3: un momento della serie
Con l'addio di Sylvie e dello staff la situazione a Savoir precipita, costringendo Madeline a fermarsi a Parigi e provare a tamponare le ferite e non far andare via i clienti storici, chiedendo alla sua "protetta" di aiutarla nell'impresa. Emily tiene sostanzialmente il piede in due scarpe, abitudine che comincia a diventare un po' troppo fastidiosa per il personaggio, e come sappiamo non lo fa solo in ambito lavorativo. Sul piano sentimentale la ragazza è divisa tra la fiamma dal primo momento in cui ha messo piedi a Parigi, lo chef Gabriel (Lucas Bravo), ora impegnato con Camille (Camille Razat), e la new entry della seconda stagione, l'avvocato dal fascino britannico Alfie (Lucien Laviscount), conosciuto al corso di francese. Finalmente Emily sembra imparare un minimo di francese ma il suo cuore e la sua mente continuano a non voler decidere, come se potessero decidere gli eventi per lei.
Questione di social strategy
Emily in Paris 3: una foto di scena
Il mondo dei social media e della comunicazione torna maggiormente protagonista nei nuovi dieci episodi dopo che nella seconda lo show si era un po' perso nella sua stessa frivolezza. Complice la "guerra" tra agenzie a colpi di fashion disaster ed eventi della concorrenza a cui imbucarsi, grazie alle performance di Kate Walsh e Philippine Leroy-Beaulieu. Complice il dover riacchiappare i clienti convincendoli a restare o a passare dall'altra parte, Emily Cooper sembra dover riprendere in mano i trucchi del mestiere in cui sembra essere così tanto brava, in una serie in cui le offerte di lavoro per i trentenni - all'estero e senza conoscere la lingua - piovono come coriandoli.
Emily in Paris 3: Lily Collins in una scena
A proposito di nuove strade lavorative, sono soprattutto i personaggi secondari a soffrire in Emily in Paris, profondamente concentrata sulla sua protagonista. La carriera da cantante di Mindy (Ashley Park) sembra poter decollare e dovrà anche lei prendere delle decisioni sia in campo sentimentale che professionale. Ma la sua storyline sembra ancora una volta la più debole nel quadro generale. Gabriel e Camille rimangono maggiormente solidi, complice la loro vicinanza ad Emily e Alfie, e anche la loro storia vivrà un processo di maturazione e cambiamento. Interessante è invece il percorso di Sylvie, una donna che sa regalare ancora sorprese, e Lucien e Luc, che troveranno maggiore spazio complice l'avviarsi della nuova agenzia. D'altronde, come recita il poster della terza stagione non è più tempo di fare i turisti, ma è tempo di iniziare a mettere radici in terreno francese.
Questione di stile
Emily in Paris 3: Lily Collins in un'immagine della serie
Nella terza stagione di Emily in Paris Parigi continua ad essere una città da cartolina, con i colori sgargianti, la fotografia pastello, l'uso della luce. Nella premiere la cena di lavoro si terrà - proprio per impressionare un brand estero e molto anglosassone come McDonald's - sul ristorante alla Tour Eiffel. I luoghi iconici sono sempre dietro l'angolo per i protagonisti, anche se si prova a visitarne qualcuno meno conosciuto. Tanto che sembra strano che Emily e Alfie non si incontrino nel periodo in cui sono entrambi in città a loro insaputa.
Emily in Paris 3: un'immagine della serie
Gli outfit di Lily Collins, così come quelli degli altri interpreti, vogliono replicare quanto fatto da Darren Star in Sex and the City e sembra sempre che nulla sia fuori posto e tutto invece risulti impeccabile, nella vita che tutti vorremmo vivere, all'estero e a Parigi, tra colazioni al bistrot, passeggiate negli scorci romantici e suggestivi con gli amici, eventi mondali irresistibili e qualche condivisione sui social media per ricordarci che dovrebbe essere l'argomento principale. Tra un cliché e uno stereotipo che si moltiplica a iosa, arriviamo ad un finale che ci porta obbligatoria della quarta stagione.
Conclusioni
Emily in Paris 3 si conferma il suo essere un guilty pleasure seriale stilosissimo con tutti gli elementi al proprio posto per continuare ad intrattenere, pur inciampando ogni tanto. I nuovi sviluppi dopo il precedente finale portano dinamiche nuove e interessanti, ma la serie rimane vittima degli eccessivi stereotipi e cliché su Parigi, che rimane una città troppo da favola, e dei personaggi secondari schiacciati dall’eterna indecisione della protagonista del titolo.
👍🏻
Le conseguenze dallo scorso finale e lo scontro tra agenzie.
Torna l’importanza della comunicazione nello show.
Il ritorno di Kate Walsh, la performance di Philippine Leroy-Beaulieu e Il maggior spazio e dignità dati ad Alfie…
👎🏻
… a dispetto di altri personaggi secondari come Mindy che rimangono i più carenti nel quadro generale.
La Parigi sfondo delle vicende continua ad essere troppo da cartolina, così come cliché e stereotipi.
Si poteva fare comunque di più sul tema della comunicazione.
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ftr: Dennin Aleste
Sistema Mega CD | Produttore Compile | Sviluppatore Interno | Versione Giapponese | Uscita 27 novembre 1992
In un’epoca di sparatutto spaziali, il Sega Mega CD si è distinto con un titolo dal carattere innovativo e d’atmosfera: Dennin Aleste, uno shoot-em-up verticale sviluppato da Compile. Questo gioco unisce elementi storici e fantascientifici ambientandosi in un Giappone feudale alternativo, dove Kagerou, il protagonista, pilota un potente mecha chiamato Aleste nel tentativo di fermare i piani di conquista del crudele signore della guerra, il solito Nobunaga Oda e della sua armata di robot.
L’ambientazione spicca grazie alla fusione di elementi giapponesi tradizionali e un’estetica steampunk, con livelli dettagliati e musiche coinvolgenti. Tuttavia, nonostante la qualità sonora, la soundtrack, seppur orecchiabile e ben ritmata, si rivela un po' troppo lenta rispetto alla frenesia dell’azione di gioco, talvolta incapace di sostenere la tensione delle battaglie più intense. Le capacità audio del Mega CD sono ben sfruttate per tracce di alta qualità, ma la scelta di un ritmo più rapido sarebbe stata ideale per supportare meglio il gameplay frenetico.
La giocabilità alterna momenti sorprendentemente facili a picchi di difficoltà che possono risultare frustranti, creando un’esperienza un po' discontinua. Anche i giocatori esperti troveranno impegnativo portare a termine l’avventura, poiché il gioco è difficile persino ai livelli di difficoltà più bassi. L’azione è intensa e strategica: i giocatori possono raccogliere vari power-up per migliorare le armi, necessarie per contrastare le numerose ondate di nemici e affrontare i potenti boss. Nonostante ciò, la curva di difficoltà non è sempre bilanciata, costringendo spesso a ripetere sezioni apparentemente facili che poi sfociano in improvvisi picchi di sfida.
Tengen ha portato Dennin Aleste in Nord America nel 1993, rinominandolo Robo Aleste, e lo stesso anno la stessa Sega ha curato la distribuzione europea del gioco, mantenendone il nome americano. Le versioni conservano l'ambientazione giapponese e i riferimenti storici, ma sono state modificate: l’introduzione animata è stata rimossa, la schermata del titolo cambiata (risultando meno accattivante), e alcuni ritratti segreti dei personaggi eliminati. Una scena a metà gioco è stata alterata per rimuovere una sequenza in cui Astaros, un antagonista, emerge da una vasca da bagno. Inoltre, la versione giapponese vantava diverse tracce audio bonus, totalmente assenti nelle versioni occidentali.
G
L'armeria In Dennin Aleste, avremo a disposizione quattro tipi di armi: il Bakuryu-housen-ka, di cuore rosso, rilascia bombe che esplodono all'impatto, utile per liberare lo schermo dai nemici; l’Hiei-meppu-jin, in giallo, crea opzioni protettive che attaccano i nemici vicini, ideali per minacce che provengono dal basso; il Raisen-ha, di colore blu, spara potenti fulmini ed è molto efficace contro i boss e i nemici frontali; infine, il Fuusha-shuriken, in verde, lancia shuriken in più direzioni, perfetto per affrontare le tante ondate nemiche.
Immagini The PC-Engine Software Bible
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Sardegna: alla scoperta dei misteriosi nuraghi
I nuraghi sono uno degli elementi più emblematici e misteriosi della Sardegna, essi rappresentano il simbolo di un passato antico e affascinante che attira l'interesse di storici, archeologi e visitatori da tutto il mondo. Queste strutture megalitiche, diffuse su tutta l'isola, sono la testimonianza più tangibile della civiltà nuragica, una delle culture più avanzate del Mediterraneo durante l'Età del Bronzo. In questo articolo esploreremo i nuraghi, la loro origine, le principali teorie sulla loro funzione, e quali sono i più famosi e assolutamente da visitare. Un viaggio che ci porterà al cuore di un passato ancora avvolto nel mistero.
Che cosa sono i nuraghi?
I nuraghi sono monumenti in pietra tipici della Sardegna, costruiti principalmente tra il 1800 e il 1200 a.C., durante l'Età del Bronzo. Queste costruzioni monumentali si presentano sotto forma di torri tronco-coniche, realizzate con la tecnica della pietra a secco, senza l'uso di leganti. Tipicamente, un nuraghe è costituito da una torre centrale, spesso circondata da mura e altre torri minori. L'interno di queste strutture presenta spesso una volta a "tholos", una tecnica in cui le pietre vengono sovrapposte gradualmente verso l'alto, creando una forma simile a un alveare.
Oggi in Sardegna si possono ancora vedere circa 7.000 nuraghi, anche se in origine il numero doveva essere significativamente più elevato, forse oltre 10.000. Questi monumenti sono distribuiti su tutto il territorio dell'isola, testimoniando l'importanza e la diffusione di questa civiltà. Tra i nuraghi più noti e visitati troviamo il Nuraghe Su Nuraxi a Barumini, in provincia di Sud Sardegna, il Palmavera ad Alghero e l'Arrubiu ad Orroli.
L'origine dei nuraghi
Le origini dei nuraghi risalgono alle radici più profonde della storia della Sardegna. La civiltà nuragica si sviluppò grazie all'incontro tra culture locali e influenze esterne durante l'Età del Bronzo. Le prime comunità umane in Sardegna, come la cultura di Ozieri (La cultura di Ozieri, nota anche come cultura di San Michele, fu una delle prime culture prenuragiche sviluppatesi in Sardegna tra il 4000 e il 3300 a.C. Questa cultura prende il nome dal sito archeologico di Ozieri, situato nella Sardegna settentrionale, dove sono stati scoperti importanti reperti, in particolare nella Grotta di San Michele, che hanno permesso di comprendere meglio la vita e le pratiche delle antiche popolazioni dell'isola.), giocarono un ruolo fondamentale nello sviluppo delle tecniche di costruzione e delle conoscenze architettoniche che portarono alla nascita dei nuraghi.
I nuraghi rappresentano un'evoluzione naturale delle strutture megalitiche precedenti, come le tombe dei giganti (grandi tombe collettive megalitiche utilizzate come luoghi di sepoltura, situate in diverse località della Sardegna, come Coddu Vecchiu e Li Lolghi) e l'altare di Monte d'Accoddi (un antico altare a gradoni, situato nei pressi di Sassari, in provincia di Cagliari, unico nel suo genere in Sardegna, utilizzato probabilmente per cerimonie religiose). La cultura Bonnanaro, una cultura proto-nuragica sviluppatasi attorno al 1800-1600 a.C., è considerata la precorritrice della civiltà nuragica, con le sue prime strutture note come protonuraghi. Successivamente, questi proto-nuraghi evolsero in forme più complesse e imponenti, divenendo simboli del potere e dell'organizzazione sociale della civiltà nuragica.
Il significato e la funzione dei nuraghi
Nonostante la loro imponenza e la vasta diffusione, il significato e la funzione precisa dei nuraghi rimangono oggetto di dibattito tra gli studiosi. Numerose teorie sono state proposte nel corso degli anni. Alcuni esperti ritengono che i nuraghi fossero strutture difensive, costruite per proteggere le comunità locali da attacchi esterni. Questa ipotesi è supportata dalla presenza di torri, mura possenti e passaggi stretti che potrebbero aver facilitato la difesa.
Altri studiosi suggeriscono che i nuraghi avessero una funzione cerimoniale e religiosa, utilizzati come luoghi di culto per divinità legate alla natura o come osservatori astronomici. Infatti, alcuni nuraghi presentano particolari orientamenti che potrebbero essere stati utilizzati per osservare fenomeni celesti, analogamente ad altre strutture megalitiche europee come Stonehenge.
Un'ulteriore teoria ipotizza che i nuraghi fossero simboli di potere e status sociale, costruiti dalle famiglie più influenti per esibire il proprio prestigio. Il fatto che molti nuraghi siano situati in posizioni elevate e strategiche suggerisce che potessero avere anche una funzione simbolica di controllo territoriale.
Probabilmente, i nuraghi avevano una molteplicità di funzioni, adattandosi alle diverse necessità delle comunità nel corso dei secoli. Ciò che è certo è che queste strutture furono utilizzate anche in epoche successive, durante i periodi punico e romano, dimostrando la loro rilevanza per le popolazioni locali.
I nuraghi più famosi
Tra i numerosi nuraghi presenti in Sardegna, alcuni sono diventati dei veri e propri simboli dell'isola, grazie alla loro imponenza e al loro stato di conservazione.
Su Nuraxi di Barumini
Su Nuraxi di Barumini è il nuraghe più conosciuto e rappresentativo della Sardegna, tanto da essere stato inserito nella lista del Patrimonio Mondiale dell'UNESCO nel 1997. Questo straordinario sito archeologico si trova nel sud della Sardegna, vicino al paese di Barumini, ed è costituito da una torre centrale (mastio) circondata da quattro torri minori, il tutto racchiuso da un ampio bastione e un vasto villaggio nuragico. La torre centrale, alta oltre 14 metri, è costruita con una serie di pietre sovrapposte che formano una struttura troncoconica estremamente solida. Il villaggio nuragico, composto da oltre 50 capanne, offre una visione unica della vita quotidiana della civiltà nuragica. Gli scavi archeologici, iniziati negli anni '50 e proseguiti nella seconda metà del XX secolo, hanno rivelato una complessità architettonica e organizzativa straordinaria, che testimonia l'elevato livello di sviluppo sociale e tecnologico della civiltà nuragica.
Nuraghe Palmavera
Il Nuraghe Palmavera, situato vicino ad Alghero, è un altro esempio significativo dell'architettura nuragica. Alghero, conosciuta anche come la "piccola Barcellona" per via della sua storia catalana, offre un contesto ricco di cultura e tradizione che rende la visita al Nuraghe Palmavera ancora più affascinante. Villa Grazia B&B Alghero consiglia una visita al Nuraghe Palmavera di Alghero, per scoprire dal vivo uno dei più iconici e misteriosi tra i nuraghi della Sardegna. Il complesso è composto da una torre principale e una torre secondaria, circondate da un villaggio di capanne. Gli scavi hanno portato alla luce numerosi reperti, tra cui utensili come pestelli e macine in pietra, nonché ceramiche decorate utilizzate per la conservazione degli alimenti, che testimoniano la vita quotidiana degli abitanti. La vicinanza alla città di Alghero rende il Nuraghe Palmavera una meta facilmente accessibile e particolarmente interessante per chi desidera esplorare sia la storia che la bellezza del paesaggio. Il sito è facilmente raggiungibile in auto dal centro di Alghero.
Nuraghe Arrubiu di Orroli
Il Nuraghe Arrubiu, situato a Orroli, è uno dei più grandi e imponenti dell'isola. Il suo nome, che in sardo significa "rosso", deriva dal colore delle pietre vulcaniche utilizzate per la costruzione. Il complesso è composto da una torre centrale e diverse torri laterali collegate da una serie di mura e passaggi interni, evidenziando un'elevata complessità architettonica. Questo sito offre un'importante testimonianza delle capacità costruttive e dell'organizzazione della civiltà nuragica.
Nuraghe Santu Antine di Torralba
Nuraghe Santu Antine, situato a Torralba, è uno dei nuraghi più impressionanti e imponenti della Sardegna, tanto da essere chiamato "il Re dei Nuraghi". Costruito intorno al 1500 a.C., il complesso è costituito da una torre centrale circondata da tre torri minori, collegate da una serie di bastioni e corridoi. La torre centrale, alta circa 17 metri, rappresenta uno straordinario esempio di abilità ingegneristica della civiltà nuragica, con una scala interna che conduce a diversi livelli e terrazze. Il sito è noto anche per la presenza di un villaggio nuragico circostante, che offre uno spaccato sulla vita quotidiana dell'epoca. La struttura è particolarmente affascinante per la sua complessità architettonica e per l'ottimo stato di conservazione che permette ai visitatori di esplorare al suo interno.
Nuraghe Losa di Abbasanta
Il Nuraghe Losa, situato ad Abbasanta, è uno dei nuraghi meglio conservati e più visitati dell'isola. La sua particolare forma triangolare lo distingue da altri nuraghi e dimostra l'evoluzione delle tecniche costruttive della civiltà nuragica. Il complesso è costituito da una torre centrale e da un bastione con tre torri minori collegate tra loro, formando una pianta trilobata. L'interno della torre presenta una volta a tholos, con corridoi e scale che conducono ai livelli superiori. Il sito è circondato da un vasto villaggio nuragico, dove sono stati rinvenuti numerosi reperti archeologici, tra cui ceramiche e utensili in bronzo. La posizione strategica del Nuraghe Losa, lungo importanti vie di comunicazione dell'epoca, suggerisce che avesse un ruolo significativo nel controllo del territorio e nelle attività commerciali.
Altri nuraghi di interesse
Oltre ai più famosi, la Sardegna è costellata di nuraghi che meritano una visita per la loro bellezza e per il contesto paesaggistico in cui si trovano. Tra questi, spicca il Nuraghe Serbissi a Osini, situato in una posizione panoramica che domina la valle dell'Ogliastra, offrendo un'esperienza unica per chi ama combinare storia e natura. Anche il Nuraghe Serbissi a Osini, situato in una posizione panoramica che domina la valle dell'Ogliastra, offre un'esperienza unica per chi ama combinare storia e natura.
Consigli per le visite
Visitare i nuraghi significa intraprendere un viaggio nel tempo, alla scoperta di una civiltà antica e misteriosa. Ecco alcuni consigli per chi desidera esplorare questi monumenti:
Su Nuraxi di Barumini: Questo sito è una tappa obbligata per chiunque voglia approfondire la storia della civiltà nuragica. Le visite guidate sono essenziali per comprendere la complessità del villaggio e la vita quotidiana degli antichi abitanti.
Nuraghe Palmavera di Alghero: La visita al Nuraghe Palmavera è ideale per chi soggiorna ad Alghero o nei dintorni. L'accessibilità del sito e la bellezza del contesto lo rendono una meta perfetta per famiglie e appassionati di archeologia.
Nuraghe Arrubiu di Orroli: Per gli amanti dell'archeologia e della storia, il Nuraghe Arrubiu rappresenta una tappa imprescindibile. Le visite guidate offrono una prospettiva approfondita sulla storia e sulla costruzione del sito.
Nuraghe Santu Antine e Nuraghe Losa: Questi due nuraghi sono perfetti per chi si trova nella parte centrale dell'isola e desidera esplorare luoghi meno frequentati ma altrettanto affascinanti. Entrambi consentono di apprezzare la straordinaria abilità architettonica della civiltà nuragica.
Consigli pratici: È sempre consigliabile indossare abbigliamento comodo e scarpe adatte per camminare su terreni irregolari. La maggior parte dei nuraghi si trova in aperta campagna, quindi è essenziale portare acqua e protezione solare, soprattutto nei mesi estivi.
Conclusioni
I nuraghi rappresentano uno degli aspetti più affascinanti della Sardegna, un legame diretto con un passato che continua a vivere attraverso queste maestose strutture di pietra. Visitare i nuraghi significa non solo esplorare l'architettura e la storia di una delle civiltà più avanzate del Mediterraneo, ma anche immergersi nella bellezza paesaggistica di un'isola che offre panorami mozzafiato e un'accoglienza senza pari.
Se sei un appassionato di storia, un amante della natura, o semplicemente curioso di conoscere le radici più profonde della Sardegna, i nuraghi sono una tappa imprescindibile. Un viaggio attraverso queste torri di pietra è un viaggio nella storia dell'umanità, nelle sue conquiste e nel suo legame indissolubile con il territorio.
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Maglie che Raccontano: Simbolismo e Storia dei Trikots del Napoli
1.Introduzione
La SSC Napoli, fondata nel 1926, è molto più di una semplice squadra di calcio; è un simbolo di passione e identità nella città di Napoli. Ogni maglia indossata dai giocatori non rappresenta solo un design, ma è intrisa di significato , legata a eventi storici, figure leggendarie e al forte legame con i tifosi.
Negli anni, i maglia della SSC Napoli si sono evoluti, riflettendo non solo le tendenze estetiche, ma anche le innovazioni tecnologiche nel mondo del calcio all'avanguardia, migliorando le prestazioni in campo e l'esperienza per i tifosi.
2.La Storia dei maglia
La storia dei maglia della SSC Napoli inizia nei primi anni di vita del club, quando, nel 1926, la squadra adottò una maglia azzurra, colore simbolo della città e del mare. I primi modelli erano semplici, realizzati in tessuti pesanti e privi di design distintivo.
Negli anni '50 e '60, La Maglia del Napoli cominciò a presentare un dettaglio più elaborato e un design più curato, coincidente con l'emergere di star del calcio come Giuseppe Bruscolotti e Omar Sivori al branding e all'immagine della squadra .
Diego Maradona negli anni '80, I maglia assunsero unsignificato leggendario. La maglia numero 10, indossata da Maradona, divenne un simbolo di un'epoca d'oro per il Napoli, check conquistò grazie agli scudetti e alla Coppa UEFA.
Negli anni '90 e 2000, SSC Napoli attraversò periodici di alti e bassi, riflettevano fortuna del club Dal 2010, conil ritorno in Serie A, ill design maglia e tornado a riscuotere successo, Costruisci modernità e unisono tradizione e innovazione.
Oggi, maglia della SSC Napoli, una storia, una storia, una stagnazione, una porta con sé design, un affluente al passato, a mantenere viva l'eredità di unclub che è molto più di una semplice squadra di calcio.
3.Innovazioni Tecnologiche
Negli ultimi anni, la SSC Napoli ha abbracciato una serie di innovazioni tecnologiche che hanno rivoluzionato la produzione dei suoi maglia. è un posto fantastico dove stare, è un posto fantastico dove stare, è una grande performance.
Insolent, l'SSC Napoli è la vestibilità perfetta, il dry-fitting, il dry-fitting, il dry-fitting, il mantenimento, i giocatori freschi anche nelle condizioni più impeggnative Il beneficiario delle tecnologie all'avanguardia, il design del casa, il colore della casa, il colore della casa, il colore della facciata.
È un'esperienza personale, è un'esperienza personale, è un'esperienza personale, è un'esperienza personale, è un'esperienza personale, è un'esperienza personale, è un'esperienza personale.
Infine, pratica sostenibili nella produzione dei maglia, come l'utilizzo di materiali riciclati, segna un ulteriore passo avanti nel coniugare innovazione e responsabilità ambientale, quindi, non solo mira a innovare dal punto di vista tecnologico, è una buona cosa , è una buona cosa, è una buona cosa, è una buona cosa, è una buona cosa, è una buona cosa, è una buona cosa.
4.Design e simbologia
Design illegale di maglia SSC Napoli ed elementi non importanti di riflette non solo l'identità della squadra, ma anche la cultura e la storia della città di Napoli. È lo stesso del simbolo del mare, del circonda la città, dell'evocando un senso di appartenenza e l'orgoglio locale.
Corso degli anni, i dettagli del design si sono evoluti, integrando elementi simbolici. Le strisce orizzontali o verticali, le variazioni nei colli e nei polsini, e i loghi commemorativi hanno arricchito la narrazione visiva delle maglie storia del club, come le maglie celebrative per i titoli vinti o per anniversari importanti, creando un legame emotivo tra la squadra e i suoi sostenitori.
Insolent, ill design of completini calcio and influenza of elemental cultural. La collaborazione con l'artista locale designer hanno portato una creatività unica che riflette l'anima di Napoli, rendendo ogni maglia non solo un indumento sportivo, ma un'opera d'arte che celebra l'identità. partenopea.
La cosa più bella del mondo, la cosa più bella del mondo, il colore più bello del mondo, la storia più bella del mondo, la SSC Napoli Rappresenta Un'unica voce Con l'innovazione che continua a spingersi inoltre, il design tricots della SSC Napoli rimarrà un pilastro fondamentale nella narrazione del club, incarnando il perfetto equilibrio tradizione e modernità.
5.La Cultura dei Tifosi
La cultura è tifosi della SSC Napoli e il lavoro è svolto in modo sano. Sono un sostenitore non sono semplici spettatori, il mio proprio nucleo pulsante che vive la mia squadra, Rendendo ogni partita unevento collettivo, indossati con orgoglio dai tifosi, non sono solo un simbolo di appartenza, ma anche una manifestazione della loro passione e identità.
È un'esperienza personale, è una cosa creativa. È un'esperienza personale. È un ottimo lavoro e i bandieroni che colorano gli stadi durante le partite rappresentano l'entusiasmo che circonda ogni incontro, creando un'atmosfera magica e coinvolgente.
La cultura del tifo napoletano è l'evento più popolare del club. L'evento commemorativo è la beneficenza di Diego Maradona, i tifosi sono uniti e la squadra sta bene. Questa solidarietà si riflette anche nella scelta di maglie speciali per eventi significativi, creando un senso di unità che va oltre il campo di gioco.
Inoltre, la presenza dei tifosi napoletani si estende oltre i confini di Napoli di tifosi legati da un amore condiviso per la SSC Napoli.
In sintesi, la cultura dei tifosi della SSC Napoli non è solo una questione di sostegno alla squadra; è un movimento vibrante che celebra l'identità, la storia e la passione di una città ricca, unendo persone di tutte le età e provenienze in unico coro di passione e orgoglio.
6.Futuro e Sostenibilità
La cosa più bella della SSC Napoli è la cosa più bella, la cosa più bella del mondo, la cosa più bella del mondo, cercando di ridurre l'impatto ambientale e promuovere un'industria più responsabile.
La recente collezione di maglia ha visto l'introduzione di materiali riciclati, provenienti da plastica recuperata dagli oceani e altre fonti sostenibili.
Inoltre, la SSC Napoli, si impegna a sensibilizzare e la correttezza dei tifosi è l'importanza della sostenibilità.
Le maglie stess sono un simbolo di questo cambiamento, non solo rappresentando la squadra, ma anche fungendo da strumenti di consapevolezza e impegno verso un futuro migliore.
In sintesi, in futuro dei maglia della SSC Napoli non è solo indiscutibile design e performance, ma anche di responsabilità sociale e ambiente in cui l'amore per il calcio si unisce alla cura per il pianeta.
7.Conclusione
La cosa più bella del mondo L'SSC Napoli rappresenta la cosa più bella della storia, della cultura e dell'innovazione storia unica e significativa.
È tutta una questione di tifosi, è una questione di passione, è una questione di passione, è una questione di maglia, è una questione di solista, è una questione di tempo, è una questione di tempo. Ecologiche dimostrano come la SSC Napoli non si limiti a guardare al passato, ma si proietti verso un futuro responsabile e innovativo.
In definitiva, I maglia della SSC Napoli incarnano l'essenza del club: un perfetto equilibrio tradizione e modernità, passione e responsabilità. È la cosa giusta da fare in campo di gioco, unendo cuore, storia e un impegno per un futuro migliore.
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Posso chiedere una cosa? Mi è capitato di vedere che combatti guerre con certi elementi che...definire miserrimi è fargli un piacere... La domanda è: perché?
Perché date risposta a mentecatti che meriterebbero solo l'oblio e di stagnare nel porcile dei loro pensieri magri?
Come diceva Guccini: le verità cercate per terra da maiali, tenetevi le ghiande, lasciatemi le ali.
Fategli mangiare le ghiande a certi soggetti e volate alti.
perchè sono dei bersagli facili.
Qua sono sull'internetta, mica alla Sorbonne, dove per altro manco mi farebbero entrare.
È inutile che faccia fatica a discutere con dei filosofi o degli storici, forse non ne sarei all'altezza. (meriterebbe riflessione il come parlino e quando in Uni o ai convegni i filosofi che vanno in TV, ma anche i fisici come Zichichi e come poi parlino in TV).
Il pubblico su internet apprezza il sangue e il fango.
E sparare sulla croce celtica e facile, specialmente se si da delle arie da intellettuale e quindi nella cerchia di chi magari gli da retta riesce a guadagnarsi un po' di autorevolezza, ha un buon ROI.
Ora si potrebbe fare un discorso lungo sulla qualità e le modalità del tipo di informazioni che uno cerca di veicolare e sul fatto che io e tanti altri non necessariamente siamo le persone più qualificate a darle, e questo metterebbe in un contesto più comprensibile l'uso della parola "propaganda" ma la propaganda è un prerequisito a qualsiasi cambiamento... ed è per altro meno traumatico di farsi prendere a manganellate dagli sbirri quando fai uno sciopero o protesti a favore dei palestinesi (il che non esclude che...). Anche perchè se ti presenti in 20000 i fasci ci pensano un bel po' di volte se sia il caso di rischiare di prenderle male.
Ma se hai un dottorato in scienze politiche, scienze della comunicazione o affini... sono pronto a cospargermi il capo di cenere SE E SOLO SE mi dai delle alternative percorribili.
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