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"Il Silenzio degli Abissi": Un Tuffo nel Mistero Sottomarino di Michael Crichton. Recensione di Alessandria today
Un thriller avvincente che svela segreti sommersi e intrighi pericolosi
Un thriller avvincente che svela segreti sommersi e intrighi pericolosi “Il Silenzio degli Abissi” è un romanzo di Michael Crichton, pubblicato in Italia nel 2016 da Garzanti. Originariamente scritto sotto lo pseudonimo di John Lange durante gli anni universitari dell’autore ad Harvard, il libro è stato successivamente riproposto con il vero nome di Crichton, offrendo ai lettori l’opportunità di…
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Notoriamente Faurisson era un negazionista (l'etichetta è stata coniata proprio per lui) che sfidò gli storici a fornire prove dell'esistenza delle camere a gas. Le tesi di Faurisson sono talvolta
deliranti, ma solo per questo delirio avvengono condanne penali e licenziamenti.
L'esistenza storica di Gesù è stata contestata a lungo. Quella di Maometto assai più di recente, e su basi ancor più labili (dato che a 10 anni dalla sua morte i musulmani stavano già conquistando mezzo mondo in suo nome). Nessuno è stato arrestato o licenziato per negazionismo.
Semplicemente, si sono accumulati indizi ed elementi che dimostrano l'implausibilità di una determinata tesi. Il caso Faurisson, emerso nel 1979, scoppiò con la dichiarazione di 34 storici che rispondevano a un suo articolo su le Monde in cui negava le camere a gas.
Che cosa dovrebbe fare uno storico in questo caso? Portare tutti gli elementi che dimostrano che le camere a gas sono realmente esistite. Persino il revisionista Nolte scriveva che negare l'Olocausto sarebbe come negare l'esistenza di Napoleone.
Ma qualcuno è mai finito nei guari per aver negato l'esistenza di Napoleone? La risposta degli storici è indicativa del desideri di sottrarre l'Olocausto alla storia per portarlo nel mito.
Ecco un passaggio: "Non bisogna domandarsi come un tale assassinio di massa sia stato tecnicamente possibile. È stato tecnicamente possibile poiché ha avuto luogo. Questo è il punto di partenza obbligato di tutta l'indagine storica sull'argomento."
Cioè, se per ogni evento storico bisogna partire dalla necessità di dimostrare che abbia avuto luogo, in questo caso si parte da un dogma che non richiede spiegazioni tecniche.
Alla replica (non pubblicata: le Monde aveva già ceduto alle pressioni) con cui Faurisson chiedeva "Une preuve… une seule preuve", iniziò un processo, in cui fu imputato fra l'altro di "falsificazione della storia".
Il tribunale si rifiutò di considerare, per mancanza di competenza, quest'accusa fantastica e si limitò a condannarlo per "danni a terzi". In seguito Faurisson fu rimosso dall'insegnamento universitario e subì altri processi e lievi condanne.
Il pericolo insito nel processare le visioni anche assurde della storia fu individuato da Chomsky, che espresse pubblicamente solidarietà a Faurisson a prescindere dalle tesi sostenute, in nome della libertà di espressione.
Il pericolo insito nel processare le visioni anche assurde della storia fu individuato da Chomsky, che espresse pubblicamente solidarietà a Faurisson a prescindere dalle tesi sostenute, in nome della libertà di espressione.
Giuliano Lancioni
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Sono trascorsi 500 anni dalla morte di Leonardo da Vinci e, per celebrare questo importante anniversario, torna alla ribalta uno dei suoi dipinti, La Dama in pelliccia, realizzato a Milano tra il 1495 e il 1499 e nascosto per quasi un secolo.
Si tratta di un'opera dal forte impatto emotivo, realizzata su un pannello di pioppo alto 61,5 cm e largo 54,5 cm. Molti sono gli elementi caratteristici dell'artista Leonardo: l'opera raffigura una giovane donna dallo sguardo malinconico e malizioso, con un accenno di sorriso, la cui ambiguità rimanda a quella della Gioconda. La posa delle mani è simile a quella della Dama con l'ermellino.
Sulla base della ricostruzione storica, è molto probabile che l'opera sia stata dipinta nel periodo milanese in cui Leonardo era al servizio di Ludovico il Moro e che il dipinto fosse ancora nelle mani di Leonardo durante il suo soggiorno a Roma e successivamente negli ultimi anni ad Amboise.
Dal 1691 al 1700, l'opera fece parte della collezione privata di Antonio Pignatelli, papa Innocenzo XII. In un successivo passaggio di proprietà, fu scoperta nella residenza di Domenico Morelli, vescovo di Strongoli, poi vescovo di Otranto.
Dal 1975, il dipinto è in possesso di una famiglia residente in Germania, ed è stato ora riportato alla luce da Silvano Vincetti, presidente del Comitato per la valorizzazione del patrimonio storico, culturale e ambientale.
Molti studiosi attribuiscono l'opera a Leonardo senza ombra di dubbio: in un suo scritto del 2 settembre 1921, Adolfo Venturi, uno dei più grandi storici dell'arte del secolo scorso, affermava: "Questo magistrale ritratto di giovane donna dal profilo delicato e gentile è sicuramente opera di Leonardo".
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Quando l'asino non vuol camminare, raglia!
La disinformazione neotemplarista su San Giorgio Martire.
Care lettrici e cari lettori, come alcuni di voi sapranno, in questo lungo periodo ho ben altre cose serie a cui pensare, però sapete bene anche, quanto io mi fomenti nel momento in cui dei complottisti o negazionisti, imperversanti nel mondo "storico", si mettono ad emanar sentenze su argomenti che non dovrebbero toccare nemmeno con un bastone da rabdomante.
Questa volta tocca alla splendida chiesa di San Giorgio Martire, nel centro urbano di Petrella Tifernina in alto Molise, una cittadella che, tutta intorno, si sviluppa a guisa di quella veglia basilica, in cui, per molto tempo, ho passato periodi della mia adolescenza, quando mio padre, circa 16 anni fa, svolse numerosi sopralluoghi e studi di ricerca in compresenza del parroco Don Domenico, della sua associazione e di tanti accademici, archeologi, storici dell'arte e dell'architettura, molisani e d'oltre Regione.
Ora, come da tempo accade, è presa di mira anche da alcuni neo-templaristi, che purtroppo hanno visto troppi film d'azione sul medioevo, e soprattutto, troppi sulle leggende dei cavalieri Templari e delle crociate nella fattispecie, che vedono l'ordine come fautore di cose con le quali mai era stato legato, in tal caso, l'arrivo del culto per San Giorgio Martire nella penisola italiana, che a detta di talune pagine ed "eruditi", sarebbe sopraggiunto solo nel basso medioevo, al seguito delle crociate.
Vogliate concedermi una riflessione a riguardo, poiché affermazioni di questo tipo, ricopiate e ricalcate dalle pagine sensazionalistiche ed esoteriste, ed anche da parte di alcuni storici "non addetti ai lavori", sono assolutamente false e in evidente contrasto con la storia del nostro paese, seguendo un'ottica primitiva, oggi superata ampiamente dal mondo universitario e più propriamente storiografico.
Passerò pertanto a discutere su due punti salienti di questa lunga riflessione:
1) l'icona di San Giorgio
2) la lunetta del Magister Alferio.
Nel primo caso, viene asserita da taluni individui, la datazione della formella di San Giorgio Martire, al XIII secolo inoltrato, una cosa che assolutamente stride con qualsiasi nozione di storia dell'arte esistente, soprattutto per l'inesistente plasticità e tridimensionalità del bassorilievo, che nelle proporzioni ed irregolarità delle forme, nonché staticità dei corpi, si accosta al gran numero di produzioni di scalpellini di ambito centromeridionale tra la fine del X e la prima metà del XII secolo, con una netta evoluzione graduale tra gli stilemi arcaici preromanici di epoca longobarda/bizantina, e quelli romanici d'epoca normanna/sveva, che con la seconda fase sfocieranno nel protogotico svevo-angioino, seguendo una ripresa sempre più marcata di elementi classici, elaborazione nelle proporzioni, espressività e plasticità degli elementi, che si noterà principalmente in cantieri come quello di Santa Maria Maggiore a Monte Sant'Angelo, Santa Maria della Purificazione a Termoli, San Giovanni in Venere a Fossacesia, Santa Maria e San Leonardo a Siponto, San Clemente a Casauria e tante altre località tra Abruzzo, Lazio, Campania, Molise, Puglia ed anche Basilicata e nord della Calabria.
Per delucidazioni aggiuntive consiglio vivamente la lettura del libro: Molise medievale cristiano, Edilizia religiosa e territorio (secoli IV - XIII),di Federico Marazzi, Manuela Gianandrea, Francesco Gangemi, Daniele Ferraiuolo, Paola Quaranta, and Alessandra Tronelli.
Sulla rarità di icone preromaniche occidentali, che raffigurino il santo nell'atto di uccidere il drago, vorrei preventivamente chiarificare non sia esattamente così, la rarità è circoscritta quasi unicamente per il territorio italiano, e rarità non è sinonimo di inesistenza se il vocabolario me lo consente.
Si rammenti che nella penisola, già nel VI e nel secolo successivo si attesta la presenza del culto di San Giorgio Martire, escludendo in toto la teoria di una giunta dell'agiografia georgiana solo al seguito della sua Legenda Aurea, ma già attestata da fonti indirette ed apocrife, precedenti di molto ai secoli delle crociate, che vedrebbero la componente del mostro o drago, giungere nei territori dell'Est Europa e dell'Occidente, a cavallo tra il X e l'XI secolo, ed addirittura, essere postulata proprio in "territorio europeo" con una evoluzione graduale, che vede l'aggiunta, nella sua agiografia, del salvataggio della principessa dal drago, simbolo del demonio, una dicotomia tra bene e male che incarna tutta la storia della teologia stessa e dei santi martiri, che null'ha a che fare con le crociate, se non essere parte di esse, tanto che nel corso della prima crociata, troviamo informazioni che ci fanno capire in Occidente fosse già ben nota l'iconografia cavalleresca di Giorgio, tanto che più tardivamente, addirittura, sarebbe sviluppatasi in Oriente, adottando il mostro dall'icona di San Teodoro.
L'imago del cavaliere che sconfigge il maligno in realtà, ivi si riferiva all'imperatore Costantino, come ci riporta il biografo Eusebio da Cesarea, una icona imperiale diffusa in molte aree mediorientali, ma che principalmente era posta sulla facciata del suo palazzo imperiale, tanto da ipotizzare che in realtà i crociati furono indotti ad indentificarla come icona del santo, solo tramite una loro conoscenza di essa, già appurata e radicalizzata tra l'est Europa, l'area costantinopolitana, e naturalmente altre regioni e nazioni dell'Europa occidentale, in cui non poteva mancare certamente l'Italia, cuore pulsante delle vie pellegrinali, di commercio ed anche delle crociate stesse ed ancor prima, delle milizie d'ogni tipo, la storia della Longobardia Minor dovrebbe aver già insegnato molto.
Tornando al San Giorgio di Petrella, la sua figura trova un riscontro iconografico, molto vicino a quello delle icone ancora primitive, che precedono lo sviluppo pieno del suo programma simbologico-agiografico, fiorito in maniera solida dopo la Legenda Aurea di Jacopo da Varagine.
Che però già esisteva tra il X e l'XI secolo.In special modo, queste icone sono caratterizzate dalla assenza di elementi come la principessa, dove gli unici individui sono Giorgio, il cavallo e il drago/mostro-serpente alato, trafitto dalla lancia del soldato.
Questi elementi iconografici sono diffusissimi nelle pitture rupestri della Cappadocia (XI sec.), ed anche negli affreschi di San Marzano in provincia di Taranto (X-XI sec.), e nel bassorilievo della Cattedrale di San Paolo ad Aversa (X-XI sec.), e l'elenco di esempi su San Giorgio ed il drago possono proseguire per molto, ma mi fermerò a questi per il momento.
A fare da contorno in tutto ciò, vi è lo stile che caratterizza la scultura petrellese, una formella con caratteri iconografici bizantini, ma dalle proporzioni incoerenti e scarsa plasticità, una costante delle produzioni lapidarie che hanno toccato vari insediamenti come Santa Maria della Strada a Matrice, Ma anche altri come a Guardialfiera, Roccavivara, Guglionesi, Petacciato, Cercemaggiore e così via, tutti edifici integri alternati a resti erratici o di reimpiego, databili tra una più antica manualità dell'VIII e IX secolo, ed una lieve evoluzione tra X ed XI, con un cambiamento ulteriore nel XII ed infine un distacco abissale con le produzioni dei secoli XII-XIII e XIII-XIV, che agli antipodi posseggono la Fraterna di Isernia da un lato, e la Cattedrale di Larino dall'altro.
L'arretratezza negli attributi e nello stile figurativo, fanno retrocedere presumibilmente la datazione come di consueto, tra il termine del decimo secolo e l'anno mille, come parte di uno dei primi cantieri che videro l'evolversi dell'impianto basilicale tra stadio pre-romanico e romanico "normanno", una doppia fase che si sposerebbe bene con la successiva ulteriore trasformazione del complesso, al seguito di un cataclisma, forse uno smottamento del terreno di fondazione o un sisma, che comportò un drastico cambiamento nell'assetto impiantistico, ed un enorme riuso dei resti del precedente tempio, per approfondimenti in merito, consiglio la lettura del volume: "Medioevo in Molise: Il cantiere della chiesa di San Giorgio Martire a Petrella Tifernina" dello storico dell'arte Francesco Gandolfo, che a suo tempo avemmo il piacere di conoscere nel corso delle ricerche sul campo.
Da qui ci si sposta alla questione invece di altri elementi, come il portale maggiore, che si mostra con uno pseudoprotiro e facciata che rientra nelle caratteristiche del pre-romanico e romanico locale (vedi Matrice), con una lunetta che presenta un evidente caso di rimontaggio, come in altri punti dell'edificio, forse proprio nel corso della trasformazione dell'intero orientamento della struttura, pur presentandosi nel complesso, al suo stato originale, con stilemi a girale, fitomorfi, scene apocalittiche e creature zoomorfe inscritte dentro cornici tipiche dei cantieri, specialmente benedettini, dell'XI-XII secolo, come appunto chiarisce un ulteriore dettaglio della lunetta maggiore, la firma dell'esecutore, tal "ALFERIO DISC(IP)OLO GEO(RGI)", come si può leggere tramite una attenta analisi ravvicinata dell'incisione (e non da fotografie sbiadite, tra l'altro, che permettono egualmente di leggervi quanto detto poc'anzi).
La tradizione locale (che tradizione non è), vuole attribuire la lunetta ad un tale MAG(ISTER) EPIDIDIVS, che in realtà nasce da una approssimativa lettura dei pochi caratteri esistenti, da parte del Carandente, presa per buona da alcuni eruditi ma priva di fondamento, specie se si considera che il nome Epididio sia quasi totalmente inesistente persino per alto e basso medioevo, e per trovarvi una spiegazione, dovrebbe quantomeno essere posto in teoria come una abbreviazione, ma al momento resta una fantasiosa ricostruzione del secolo scorso, già accantonata dalla comunità accademica.
Altro strafalcione del Carandente si riporta nella data incisa al lato destro della lunetta, "MDECIM", per il quale, secondo una idea di attribuzione tarda, doveva leggersi (Anno Domini) Millesimo Duecentesimo Undicesimo (1211), non potendo però constatare per l'epoca, che nessuno dei fregi e bassorilievi della basilica, potesse essere avvicinabile a questi anni, privi di ogni caratteristica sopracitata.
Il suo errore è da contestualizzarsi nella mentalità locale di almeno uno o due secoli fa, dove il territorio molisano venne circoscritto, dal punto di vista artistico e culturale, ad una terra con "produzioni di ambito locale, o minore", con delle eccezioni senza alcun nesso, prima dei contributi che hanno permesso, da 30-40 anni, ad oggi, di sfatare tutto ciò, ed anzi, di riscoprire l'alveo culturale quale era il Molise, un territorio tra Abruzzo Citeriore, Terralaboris, Capitanata e così via, più comunemente territorio che possiamo definire proprio centro della Longobardia Minor, e successivamente, parte del Regno di Sicilia settentrionale.
Un cuore pulsante di "scuole", botteghe e cantieri ecclesiastici ed anche nobiliari, che hanno permesso l'evoluzione e il proliferare, di queste componenti artistiche, esattamente come dei movimenti, ove era cruciale il ruolo delle vie di comunicazione, per esempio la Via Francigena, le sue arterie meridionali, i tratturi e così via, che hanno permesso soprattutto, di capire negli anni passati, il motivo di una espansione di medesimi archetipi, stilemi e caratteristiche culturali riscontrabili nello stesso tempo in più parti dell'Europa, dall'Italia all'Est, al Medio-Oriente fino ad arrivare in Francia, Spagna e naturalmente Regno Unito, tante realtà che, ovviamente, si sono fuse con quanto era già presente in questi paesi.
Le componenti estere sono sempre state il fondamento base della storia dell'arte, sia in età longobarda, con influenze bizantine, occidentali ed arabe, sia con i normanni, ed ovviamente sotto Federico II di Svevia, dove si può dire fosse nata l'architettura gotica italiana (e non solo), ereditata ed espansa sotto il dominio angioino e perfezionata dai motivi orientaleggianti catalani con gli aragonesi, mentre non va trascurata la parentesi di ambito veneziano trecentesco/quattrocentesco, e anche quella del gotico abruzzese (XIII-XIV sec.).
Dopo aver riportato questo grande aneddoto sul conto del Molise, per il quale ampiamente ha dibattuto e pubblicato la professoressa Maria Stella Calò Mariani, seguita da Francesco Aceto e da Giuseppe Basile, ma anche dallo stesso Bertaux e molti prima e dopo di loro, ritorniamo alla epigrafe di Petrella.
Più semplicemente, questa attestazione in caratteri latini, di per sé in contrasto con quelli evidenziati in tutto il territorio centro-italiano del '200, (vedi la data sul campanile di Santa Maria della Strada), non si riferirebbe affatto al 1211, bensì al 1010, (AD) M(illesimo)DECIM(o), semanticamente più accurata e meno costrittoria della versione del Carandente, avvicinandosi perciò alle scene cavalleresche del campanile di Petacciato, forse ascrivibili per stile ai medesimi fregi della lunetta, che troverebbe riferimento nella vicenda della Battaglia di Canne del 1018, con la presenza forse della più antica immagine di un cavaliere normanno e di due cavalieri bizantini in lotta.
Questa lettura non solo trova riscontro nei caratteri, ma anche nello stile arcaico che compone interamente la basilica ed i suoi bassorilievi, taluni di epoca precedente, ed altri del cantiere d'appartenenza, al quale sarebbe dovuto seguire un altro cantiere come si può evincere da un unico elemento duecentesco (o trecentesco) presente nella navata destra della chiesa, un semicapitello piatto, con motivo di foglie di acanto molto plastiche ed estruse, poggiato su un’acquasantiera in disuso, mai impiegato, ma che nel suo stile sembra essere ascrivibile ai cantieri di Santa Maria e San Pardo a Larino e di Sant'Emidio ad Agnone, ma per quanto riguarda il complesso, pare in realtà esserci una totale assonanza con i cantieri delle basiliche di San Giorgio, San Bartolomeo e San Mercurio a Campobasso (IX-X-XI sec.), alcuni elementi di Sant'Andrea a Jelsi (XI sec.), San Giovanni Rotobonis a Oratino (La Rocca) (IX-X sec.), e così via.
Senza contare che, per rievocare momentaneamente le questioni del culto per San Giorgio, nella Longobardia Minor e nei territori circostanti, sono attestate molteplici ecclesie dedicate al Santo Martire, tutte tra VII-VIII e IX secolo, che farebbero già intendere quanto non sia assolutamente fondata la supposizione sul suo culto giunto solamente dopo i risvolti della prima crociata, alla fine dell'XI secolo, ricordando ulteriormente a chi legge, che stessa sorte capitò per il vescovo di Myra, Nicola, detto anche San Nicola di Bari almeno dal 1087 in poi, ma che già era ampiamente venerato dal VI secolo, persino nella nostra regione, con chiese e badie risalenti al X secolo, la più vicina alla mia posizione proprio a Petacciato, presso il luogo di sepoltura dell'abate Adamo di Tremiti, poi Sant'Adamo confessore.
La verità di tutto ciò è molto diversa, spesso dei gruppi neotemplaristi, pur di mettere i Templari al di sopra di ogni argomento storico, finiscono per affidargli la paternità di cose che non gli sono appartenute, o meglio, che non hanno creato loro ma che essi possono solo aver sposato successivamente alla loro nascita.
Quest'anno per esempio sono già dovuto intervenire dopo un convegno neotemplarista al Cinema Sant'Antonio di Termoli, in cui si sono susseguiti una marea di sproloqui nei confronti dell'Agnus Dei (Agnello di Dio, o Agnello Crucifero), presente in una moltitudine di forme nelle facciate delle nostre chiese antiche, che un "meneghino" ha definito come simbolo templare, e che queste chiese fossero state costruite perciò dai Templari, nonostante questi stesse mostrando dei fregi dell'VIII e del IX-X secolo, ed uno della prima metà dell'XI, tutti elementi che sono antecedenti sia all'ordine di San Giovanni Gerosolimitano (Ospitalieri), sia ai cavalieri Templari, con una forte affinità di carattere evangelico invece, ispirazione ancestrale di tutte le maestranze che che hanno costruito "i pilastri della terra" in cui noi veneriamo i nostri idoli.
Ecco perché non smetterò mai di ripetere una sola cosa:Studiate, studiate e STUDIATE!!!
Bibliografie di riferimento.
•San Giorgio e il Mediterraneo, in Atti del II Colloquio internazionale per il XVII Centenario (Roma, 28-30 novembre 2003), a cura di G. De' Giovanni-Centelles, Città del Vaticano, 2004.
•La Storia di Varzi, Vol. II, di Fiorenzo Debattisti, 2001.
•Jacopo da Varazze, Legenda Aurea, Einaudi, Torino 1995.
•Eduardo Ciampi, Mino Freda, Paolo Palliccia, Paolo Velonà, San Giorgio e il Drago: l'indispensabile mito. Storia, Metastoria, Arte e Letteratura, Roma, Ed. Discendo Agitur, 2023.
•Medioevo in Molise, il cantiere della Chiesa di San Giorgio Martire a Petrella Tifernina, Di Walter Angelelli, Manuela Gianandrea, Francesco Gandolfo, Francesca Pomarici, 2012.
•Bianca Maria Margarucci Italiani, San Giorgio Martire fra Oriente e Occidente, 1987.
•Pagani e Cristiani. Forme e attestazioni di religiosità del mondo antico in Emilia, XI, 2012.
•San Giorgio e il drago riflessioni lungo un percorso d'arte, Di Sebastiano Giordano, 2005.
•Il Molise medievale e moderno, storia di uno spazio regionale, Giovanni Brancaccio, 2005.
•Italian Romanesque Sculpture, An Annotated Bibliography, Di Dorothy F. Glass, 1983.
•Gycklarmotiv i romansk konst och en tolkning av portalrelieferna på Härja kyrka, Di Jan Svanberg, 1970.
•Molise, appunti per una storia dell'arte, Luisa Mortari, 1984.
•Carlo Ebanista, Alessio Monciatti, Il Molise medievale, archeologia e arte, 2010.
•Federico Marazzi, Molise medievale cristiano, edilizia religiosa e territorio (secoli IV-XIII), 2018.
•L'arte georgiana dal IX al XIV secolo, A cura di Maria Stella Calo' Mariani, Volume 1, 1986.
•L'arte del duecento in puglia di maria stella calo mariani. fotografie di paolo monti u.a, Di Maria Stella Calò Mariani, 1984
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My Lady Jane: Quando la Storia si Trasforma in Magia e Risate
Lady Jane Grey: La Regina dei Nove Giorni... o dei Nove Episodi?
Lady Jane Grey è conosciuta nei libri di storia come la "Regina dei Nove Giorni". Una figura tragica che fu usata come pedina politica e che trovò una fine prematura. Tuttavia, la serie televisiva My Lady Jane prende questa narrativa e la stravolge completamente.
La serie offre a Jane un destino radicalmente diverso. In questa versione della storia. La protagonista, infatti, non è una vittima passiva degli eventi, ma una giovane donna intelligente e determinata. In questo mondo fantastico è in grado di cambiare il suo destino con l'aiuto di una buona dose di magia.
Tudorland: Benvenuti nel Regno di Maghi e Metamorfosi
L'ambientazione della serie rimane l'Inghilterra Tudor, ma è arricchita da elementi fantastici che rendono il mondo di My Lady Jane unico nel suo genere.
Tanto per dirne uno: il regno è popolato da persone che possono trasformarsi in animali (what?!). Inoltre, le già intricate dinamiche politiche sono complicate ulteriormente da questi elementi soprannaturali.
Questi cambiamenti non solo aggiungono un tocco di magia alla narrazione, ma permettono anche ai personaggi di esplorare le loro identità in modi nuovi e inaspettati.
Risate Reali: Quando la Storia si Prende una Pausa
Uno degli aspetti più affascinanti di My Lady Jane è la sua capacità di trattare temi seri con un tocco di leggerezza e ironia. La serie non si prende mai troppo sul serio. Questo approccio rende la visione estremamente piacevole.
I dialoghi sono frizzanti e pieni di battute argute, e le situazioni assurde in cui si trovano i personaggi sono gestite con una comicità brillante. Questo stile distintivo è uno dei motivi principali per cui My Lady Jane si distingue tra i numerosi adattamenti storici.
Non ha niente a che vedere con le serie televisive Starz come The White Princess, The White Queen o Becoming Elizabeth.
La protagonista non è più la storia. Al centro brilla la fantasia e la libertà di cambiare il destino storico di un personaggio drammatico come quello di Jane Grey.
Un Cast da Fiaba: Principesse e Principi (e Animali) Incantati
Il successo di My Lady Jane non sarebbe stato possibile senza un cast eccezionale. La giovane attrice protagonista porta sullo schermo una Jane Grey piena di vita e spirito. Gli altri membri del cast offrono interpretazioni altrettanto memorabili.
Ogni personaggio, dai principali ai secondari, è caratterizzato da una profondità e complessità che rendono la storia ancora più coinvolgente.
L'eroina : Jane è una ragazza che vuole ampliare le proprie conoscenze. È intelligente e curiosa. Nonostante la costrizione al matrimonio da parte di sua madre, Jane non perde lo spirito. Per l'intera serie la ragazza dimostra di essere però anche leale. Essa è pronta a rischiare la sua vita per gli amici e per le sue convinzioni.
Il bello e dannato : Guildford viene introdotto come un ragazza senza un vero scopo. In un bar recita versi "poetici" e beve come se non ci fosse un domani. Tuttavia il suo personaggio diventa uno dei più particolari e complessi. Il suo passato continua a tormentarlo e il pubblico finirà per tifare per lui.
Il re malato: Edward non è solo un bambino malaticcio. In questa versione, in cui il monarca inglese è un ragazzo di colore interessato agli uomini (altro che licenza poetica), Edward prende in mano il suo destino.
Dal Libro allo Schermo: Una Magia Diversa, ma Sempre Incantata
Pur rimanendo fedele allo spirito dei libri, la serie televisiva My Lady Jane introduce diverse modifiche rispetto ai romanzi. Alcune sottotrame sono state semplificate o eliminate. Inoltre, nuovi personaggi sono stati aggiunti per arricchire la narrazione.
Questi cambiamenti non fanno che migliorare l'adattamento, rendendolo più adatto al formato televisivo e mantenendo l'attenzione del pubblico. Inoltre, l'elemento visivo della trasformazione degli esseri umani in animali è reso con effetti speciali che aggiungono un ulteriore livello di fascino alla serie.
Conclusione
My Lady Jane è un esempio brillante di come un adattamento televisivo possa prendere una storia conosciuta e trasformarla in qualcosa di completamente nuovo e affascinante. Con la sua combinazione di storia, ironia e magia, la serie offre un'esperienza di visione unica che riesce a intrattenere e sorprendere ad ogni episodio. Se siete alla ricerca di una serie che sappia mescolare abilmente passato e fantasia, My Lady Jane è sicuramente una scelta imperdibile.
Ho trovato questa serie brillante, ma ancora di più la capacità dei creatori di spingere l'hyper per uno show anche relativamente semplice. La storia non è un racconto epico e complesso. Tuttavia cattura il pubblico con colpi di scena e un focus intelligente su certe tematiche rilevanti.
Ovviamente tanto fa anche la chimica tra i due protagonisti, cosa che non fa male ad una storia semplice e senza troppi personaggi.
Ho visto le nove puntate tutte d'un fiato in soli tre giorni. La storia è organizzata bene affinché il pubblico sia spinto a guardare lo show in poco tempo.
Se amate le serie come me, non perdetevi gli altri articoli.
Stay Tuned, la vostra EasyTears.
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L'Italia ha un tesoro artistico fatto di castelli imponenti e ben conservati.
I castelli italiani incorporano non solo elementi tradizionali dell'architettura militare medievale e dell'architettura gotica, ma anche quelli degli stili architettonici rinascimentali, bizantini e moreschi italiani.
Eccezionali con le loro forme geometriche e l'aspetto imponente, i castelli italiani sono meravigliosi.
È interessante notare che non esistono due castelli uguali e ognuno ha caratteristiche uniche che si correlano con eventi storici, ambiente naturale e cambiamenti politici nel corso dei secoli.
Vale anche la pena notare che i castelli in Italia non sono concentrati solo in una o due regioni, ma coprono tutto il paese.
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Il "mito" del sistema di governo di Venezia, fonte della celebrata "pax et quies" millenaria del regime lagunare, dalla complessità stratificatasi e stabilizzatasi nel tempo, trovò la sua definizione, coi suoi particolari meccanismi di competenze congiunte e di reciproco controllo, a partire dal 1200.
Dalla fondazione Venezia era retta dall'erede dell'antica autorità del duca bizantino, il doge, eletto a vita con un sistema particolarissimo di voti e sorteggi alternati volto a impedire corruzioni e "accordi di maggioranza" . A fianco del doge sedeva il consiglio ducale o minor consiglio (sei membri, uno per sestiere) e il più ampio maggior consiglio (l'assemblea delle più rilevanti famiglie dei cives originari della città); inoltre esisteva la concio popolare, l'assemblea di tutti gli abitanti. Alla fine del 1200 la concio popolare era scomparsa e l'autorità del doge ridimensionata, pur potendo esso intervenire in ogni campo dell'amministrazione comune. Due eventi il primo in linea, il secondo opposto a quanto accadeva nel resto dei comuni.
Di fatto il maggior consiglio costituiva l'istituzione centrale del governo lagunare. La Serrata del 1297 ne consentiva ancora una limitata permeabilità riservata ad alcune categorie di cittadini; ciò fu soppresso dalla riforma del 1319, la quale trasformò il consiglio nell'assemblea di tutti i maschi di maggiore età (quattordici anni compiuti) di famiglie fisse prestabilite: il patriziato cittadino che si istituzionalizzava. Si trattava alla fine di due o tre migliaia di persone.
Per rendersi operativo, il maggior consiglio aveva generato una serie di commissioni particolari interne che nel corso del 1200 diventarono istituzionali. La più antica era la quarantia, la cui funzione era di principale corte di giustizia civile e penale, giudice d'appello, corte dei conti; svolgeva anche un'intensa attività legislativa. Alla metà del Duecento venne istituito il consiglio dei pregadi o senato, composto di sessanta membri, deputato soprattutto a regolare la materia cruciale dei traffici mercantili. Pregadi e quarantia si riunivano insieme per trattare le questioni importanti. Infine il consiglio dei dieci: inizialmente corte di alta giustizia nominata per indagare su una congiura, poi autorità di inquisizione civile, designata alla tutela della pace sociale e dell'ordine pubblico. I dieci erano in stretto rapporto con gli uffici di polizia e avevano autorità anche su altre istituzioni. Una zonta (= aggiunta) consultiva affiancava i dieci quando il consiglio trattava questioni di particolare gravità.
Si sviluppò quindi una peculiare forma "mista" di governo - sia monarchica che aristocratica e parzialmente democratica: a fianco e in controllo al doge governavano questi cinque consigli - minore, maggiore, quarantia, dei pregadi e dei dieci. Le loro competenze erano parzialmente sovrapposte, non perfettamente definite; erano sia organi consultivi che esecutivi, legislativi e giudiziari, tutti allo stesso titolo compartecipi dell'amministrazione municipale e reciprocamente controllanti. Il numero di consigli, aggiunto agli altri uffici e incarichi particolari, garantiva partecipazione diffusa e controllo reciproco nell'ambito del patriziato, evitando pericolose concentrazioni di potere e il prevalere di consorterie legate alle famiglie più ricche, come avvenne fatalmente negli altri comuni.
elementi storici tratti da https://www.treccani.it/enciclopedia/il-diritto-civile_%28Storia-di-Venezia%29/
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Unrecorded: my first FKT
Foto di Elisa Bessega, l'articolo era stato pubblicato per la prima volta con un titolo diverso in The Pill n. 55.
Il Cammino Rigoni Stern è un sentiero escursionistico che collega l’Accademia Olimpica di Vicenza alla casa natale di Mario Rigoni Stern ad Asiago. Ufficialmente misura 80 chilometri con 1400 metri di dislivello, ed è stato ideato dall’associazione culturale Cammini Veneti per il centenario della nascita dello scrittore. Il CRS deve ancora essere inaugurato, ma sul percorso sono già presenti dei segnavia provvisori sulla base dei quali, il 30 aprile 2022, io e Andrea abbiamo percorso per primi l’intera pista. L'abbiamo percorsa nella direzione Asiago-Vicenza, in una sola tappa, in 7h48' e in modalità supported.
(Preparativi in Piazza Carli, Asiago)
Per chi non è addentro al gergo della corsa, un FKT è un percorso su cui si registra il tempo più veloce, è un record se volete. Gli FKT sono nati per creare un storico dei tentativi e dei migliori tempi di percorrenza su percorsi su cui non era possibile organizzare una gara per motivi legali. Per sistematizzare la cosa venne aperto un sito web per raccoglierli tutti, e oggi, potenzialmente chiunque può disegnare un percorso, registrare il proprio tempo, e caricarlo sul sito. Questa semplicità unita alla sospensione delle gare durante la pandemia ha portato all'esplosione del fenomeno anche in Europa, facendo progressivamente perdere valore al movimento. Nell’ultima settimana (oggi è il 2 maggio 2022) sul sito fastestknowntime.com sono stati registrati trentadue FKT. Di questi, cinque nel Regno Unito, due in Germania, uno in Italia, e i restanti negli Stati Uniti. Fra questi trentadue convivono pacificamente il recente record di Jeff Browning sul Grand Canyon Crossing, uno dei più importanti percorsi nella storia dell’ultrarunning, e un FKT di 10 chilometri su un percorso arbitrario in un parco pubblico di Mannheim, una cittadina del land del Baden-Württemberg ricordata dai musicologi e da nessun altro per aver dato il nome alla Mannheimer Schule. Il valore di questi due percorsi è molto diverso: il primo è un percorso storico della tradizione dell'ultrarunning, il secondo è un percorso che probabilmente nessuno ripeterà mai. Tradizionalmente il valore di un FKT è dato dalla sua storia, dalla logicità del percorso e dalla semplicità nel ripeterlo con il minor supporto esterno possibile. Inoltre, nascendo come record escursionistici sui grandi cammini, un FKT dovrebbe avere un interesse escursionistico, ancor prima che sportivo. Tutti questi elementi concorrono a rendere un FKT da un lato interessante per chi cerca il record del percorso, dall'altro per chi, pur non avendo le capacità di tentare il record, può tentare il percorso per motivi storici e paesaggistici. Ciononostante, l'80% degli FKT oggi esistenti non ha probabilmente valore per nessun altro al di fuori di chi li ha registrati. Che il sito fastestknowntime.com non abbia un criterio di selezione ha contribuito all’esplosione del fenomeno FKT, ma ne ha anche sminuito il valore. In Italia oggi il sito registra novantotto FKT. Di questi, alcuni sono belli e logici (come Ortogonale 1 e Alta Via del Granito), altri meno. In ogni caso manca la voglia generale di ripeterli, mentre è un po’ troppo presente quella di crearne di nuovi. In questo vedo il principale limite del movimento e del sito fastestknowntime.com.
Registrare il percorso sul sito non mi sembra un valore aggiunto, né un criterio di legittimazione. Per questa ragione abbiamo deciso di non registrare il nostro tentativo su fastestknowntime.com, ma soltanto di informare l’associazione che si occupa del sentiero del nostro tentativo prima e del risultato poi, e di rendere pubblico l'FKT con un articolo ragionato. Limitando l'accesso alle informazioni sul percorso se non attraverso l'articolo e il sito Cammini Veneti, i futuri ripetitori saranno più portati a informarsi sulla sua storia e sulla sua identità, dandogli più valore.
(Correndo i primi chilometri in compagnia del Geno, sulla Strada del Trenino poco dopo Roana)
In realtà il Cammino Rigoni Stern non è ancora un percorso storico, anzi, deve ancora nascere: l’apertura ufficiale era prevista per il 2021, centenario della nascita di Mario Rigoni Stern, ma per questioni amministrative è slittata più volte. Non esiste una traccia ufficiale e le indicazioni sul percorso sono provvisorie. L’associazione che se ne occupa, Cammini Veneti, è nota soprattutto per il Cammino Fogazzaro Roi, un percorso parallelo al Rigoni Stern, che già da anni porta escursionisti tra pianura e Prealpi vicentine. Noi abbiamo scelto di percorrere il CRS in discesa, da Asiago a Vicenza, sia per motivi logistici che affettivi (rappresentava un ritorno a casa); ma anche per motivi estetici: percorrere un sentiero al 75% in pianura significa entrare in relazione con un territorio poco considerato da chi fa outdoor e soprattutto da chi fa trail running. Abbiamo un’idea di trail talmente legata alla montagna e al dislivello che quasi non ci accorgiamo della potenzialità di questi spazi.
Ho scoperto questo percorso finendoci a correre dentro per caso, mentre cercavo dei sentieri vicino a casa, per evitare l'asfalto. Ho iniziato a studiarlo e a unirne i pezzi, un po’ alla volta, come si fa con una via di arrampicata. Avevo voglia di entrarci, anche emotivamente, con «l’idea che i chilometri che macini con le tue gambe in qualche modo ti appartengano. Li conosci da vicino un metro alla volta, quello che era un numero diventa un paesaggio, ambiente e territorio, senti che ti appartiene nel senso che te ne senti parte», come ha scritto Elisa il giorno dopo il nostro tentativo. Coinvolgere Andrea è stata la chiave per condividere con qualcuno il momento conclusivo di un processo in larga parte solitario. Andrea è rimasto totalmente coinvolto e assorbito dall’idea, dall’ambiente e dalla corsa. Durante le prime ore di corsa, mentre il nostro amico Davide ci accompagnava alle porte dell’Altopiano, abbiamo parlato parecchio tra noi, ma quando io e Andrea siamo rimasti soli, iniziando la discesa verso la Val d'Astico, siamo caduti nel silenzio. Eravamo noi due coi nostri pensieri, a correre uno davanti all’altro tra i boschi umidi che costeggiano il fiume.
(Un pezzo di sentiero che taglia il Costo Vecchio che dall'Altopiano scende a Cogollo del Cengio)
Da Piazza Carli, deserta, si prende la ciclabile del trenino che porta prima a Canove di Roana e poi a Tresche Conca. La pista attraversa prima i pascoli di Asiago e poi un fitto bosco di pecci. Al limite occidentale dell'Altopiano si percorre il Costo vecchio fino in valle, a Cogollo del Cengio, su una serpentina di tornanti prima sterrati e poi asfaltati. Tra Calvene e Fara si attraversano due piccole valli circondate da colline e ville palladiane: la pianura inizia poco dopo. Al quarantesimo chilometro, a Breganze, si imbocca definitivamente l’argine dell’Astico, che dopo aver cambiato nome in Tesina conduce fino alle porte di Vicenza. Passiamo prima a un paio di chilometri da casa mia, e poi davanti a quella di mia nonna (che, positiva al covid, ci aspettava alla finestra). Via Aldo Moro, viale della Pace, Borgo Berga, e Olimpico, l’unico teatro di Vicenza in cui non ho mai suonato, e in cui ormai non suonerò più. Correre per primi un cammino che attraversa i luoghi in cui sei cresciuto, se accompagnati da una certa predisposizione d’animo, può essere toccante. Il paesaggio, i colori morbidi, il cielo che sembra limpido ma non lo è, perché è sporco di una leggera umidità che solo chi è nato in pianura sa conoscere. Perché la limpidezza che c’è appena dopo un temporale è tutta un’altra cosa.
(Trying to cool down in Lupia)
L’argine è un cannocchiale sulla pianura che attraversa paesi, campi, periferie e zone industriali senza essere visto, unendosi e dividendosi con altri mille fiumiciattoli, fossi e torrenti, creando un’enorme ragnatela che copre la pianura da Torino a Venezia. È allo stesso tempo un sentiero, un universo biologico a sé stante e il prodotto di politiche di regolazione idrica antichissime; ma è soprattutto un punto di vista rialzato in un paesaggio in cui tutto è orizzontale.
(Somewhere on the riverbank between Quinto Vicentino & Marola)
Avevamo voglia di fare questa cosa anche per essere liberi di correre con uno stile che ci piac: nudi. I primi cacciatori di FKT – David Horton, Brian Robinson, Ted ‘Cave Dog’ Keizer – nei loro percorsi cercavano la solitudine. Negli anni quello stile si è perso, andando sempre di più verso una modalità di corsa assistita, supported. Leggere questa tendenza solo come una questione di prestazione sarebbe parziale, credo invece che, per gente come noi, avere assistenza sia più che altro un modo per condividere l’esperienza con persone a cui vogliamo bene: fare le cose da soli in fondo non è così interessante, al di là della scarica iniziale di trovarsi da soli di fronte a ottanta, cento o mille chilometri. Non c’è niente da misurare e niente contro cui misurarsi. E se è la solitudine che cerchi, presto o tardi la trovi comunque, pur correndo uno accanto all’altro, con una macchina ogni venti chilometri. Così abbiamo preferito condividere.
Adesso andate su quella pista e tirateci giù il tempo.
(The coolest finishline banner ever)
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Alex Van Halen: un pilastro nascosto del rock
Nel vasto panorama del rock, i Van Halen rappresentano uno dei fenomeni più influenti e innovativi. Fondato a Pasadena nel 1972 dai fratelli Eddie e Alex Van Halen, il gruppo ha impresso un segno indelebile nella musica rock, tanto da ridefinire gli standard sonori e tecnici di un intero genere. Molti riconoscono il talento di Eddie Van Halen, chitarrista di punta del gruppo e inventore di un suono inimitabile, ma un elemento altrettanto essenziale nel DNA della band è stato il fratello maggiore, Alex Van Halen, la cui tecnica, potenza e creatività hanno contribuito a costruire il suono iconico dei Van Halen.
L’Inconfondibile Stile di Alex Van Halen
Per comprendere l’importanza dei Van Halen, occorre partire proprio da Alex. Meno celebrato rispetto al più carismatico Eddie, Alex è uno dei batteristi più innovativi e potenti della scena rock. Il suo stile mescola un’aggressività tipica del rock con una precisione tecnica che rende il suo drumming unico. Brani come Hot for Teacher sono emblematici del suo talento: in quel pezzo, la batteria di Alex apre la canzone con un rullo rapido e furioso che ha quasi un effetto “mitragliatrice”. Questo approccio spigoloso e quasi tribale lo distingue dai batteristi più lineari dell’epoca, dandogli un ruolo attivo e in primo piano nella struttura dei brani.
Alex si distingue anche per il suo uso della doppia cassa, elemento che, negli anni ’70 e ’80, era ancora una rarità. Questo gli permette di costruire un suono intenso, che non fa solo da tappeto ritmico, ma quasi dialoga con la chitarra di Eddie, creando una sorta di sfida musicale all’interno di ogni pezzo. La sua batteria è in realtà una seconda voce, che sottolinea i momenti salienti e li riempie di energia, una capacità che ha influenzato molti dei suoi contemporanei e che, in parte, ha contribuito a plasmare il modo di intendere la batteria rock degli anni a venire.
Un Successo “Limitato” in Italia
Nonostante il loro impatto globale, i Van Halen non sono mai riusciti a sfondare in Italia con la stessa forza di altri artisti rock e hard rock. Ci sono diversi motivi per questo fenomeno, molti dei quali legati a fattori culturali e storici.
Negli anni ’70 e ’80, l’Italia viveva una situazione culturale diversa rispetto agli Stati Uniti e persino rispetto ad altri paesi europei. La scena musicale era dominata principalmente dal cantautorato, con artisti come Fabrizio De André e Lucio Battisti che incarnavano un filone intimista e narrativo. L’hard rock, nella sua accezione più pura, aveva un pubblico molto di nicchia.
Inoltre, i Van Halen proponevano uno stile musicale – spesso irriverente e festaiolo – che contrastava con la sensibilità culturale italiana del periodo. Il loro immaginario glam, eccessivo e incline all’intrattenimento puro, si allontanava dalle tematiche sociali e intimiste che spesso dominavano il mercato musicale italiano. Se pensiamo a gruppi hard rock come i Deep Purple e i Led Zeppelin, che sono riusciti a trovare un pubblico fedele in Italia, notiamo che avevano un approccio più vicino al blues e alle radici rock europee, elementi che, storicamente, hanno sempre trovato una buona accoglienza in Italia.
Un altro motivo è legato alla barriera linguistica e alla mancanza di grandi tour europei della band negli anni del loro massimo successo, che li hanno tenuti in parte distanti dall’Italia. Negli anni ’80, l’accesso alla musica straniera in Italia era più limitato, e per molti artisti stranieri il mercato italiano era difficile da penetrare.
Eredità e Influenze
Oggi, a distanza di anni, l’influenza dei Van Halen e, in particolare, di Alex è innegabile. Molti batteristi hard rock e metal, tra cui Lars Ulrich dei Metallica, hanno dichiarato di essere stati ispirati dal suono potente e articolato di Alex Van Halen. E anche se i Van Halen non sono diventati un fenomeno di massa in Italia, rimangono un punto di riferimento per chiunque ami il rock. La loro energia, il loro virtuosismo e la loro capacità di creare un sound unico e immediatamente riconoscibile continuano ad ispirare le nuove generazioni di musicisti.
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The Boys 3: gli eroi sempre più cattivi di Prime Video
The Boys 3 è un mondo dove i supereroi sono al pari degli influencer, dove avere poteri speciali significa essere una star, e dove tutti, ma proprio tutti, sono propensi a comportamenti molto scorretti. Un mondo di cui avevamo bisogno, data la sua fortissima carica satirica non solo nei confronti dei supereroi.
Un anno vissuto poco pericolosamente
The Boys 3: Jack Quaid in una scena
Alla fine della seconda stagione di The Boys, con la scoperta che Stormfront aderiva a ideologie naziste e la morte inaspettata di Becca, moglie di Butcher. Il leader dei Boys ha tenuto un profilo basso per dodici mesi, anche se non ha mai smesso di indagare su metodi per eliminare definitivamente Homelander, il quale a sua volta è sotto pressione su più fronti per mantenere un'immagine rispettabile dopo che è venuto fuori che frequentava una supereroina nazista. Per questo i dirigenti di Vought decidono di rimaneggiare la leadership ufficiale dei Sette, le cui fila sono oggetto di discussione tra nuove reclute e membri storici che vogliono tornare. Quanto a Hughie, egli è felicemente impegnato con Starlight e contento di lavorare per la deputata Victoria Neuman, la quale gestisce un dipartimento adibito al monitoraggio legale delle attività dei Super. Tutto regolare, quindi, se non fosse che la stessa Neuman, come abbiamo scoperto nel finale della seconda annata, è a sua volta dotata di poteri che usa per il proprio tornaconto. E tra lei che non può nascondere per sempre la sua vera natura e Homelander che non ne può più di essere sottomesso, l'equilibrio precario messo in piedi nella scorsa stagione è decisamente a rischio…
Amore e anarchia
The Boys 3: una scena della serie
Gli episodi lasciano intendere che lo spirito della serie sia tutto sommato intatto, anzi, con un desiderio di spingersi sempre più oltre, come in una scena del primo capitolo dove gli autori sembrano quasi voler dichiarare di essere pronti a tutto per raggiungere nuove vette di humour estremo e per certi versi "esplosivo". Il tutto in un ambito satirico che si fa sempre più sfrenato, dimostrando di stare al passo coi tempi in modo deliziosamente caustico: il film sui Sette, di cui abbiamo visto le riprese nella stagione precedente, diventa qui una frecciatina multipla nei confronti del genere supereroistico, tra riprese aggiuntive (con tanto di allusione a un altro blockbuster che è stato rigirato pesantemente, Rogue One: A Star Wars Story) e la possibilità di dirottare i titoli direttamente in streaming (in questo caso una piattaforma di nome Vought+). E agli elementi di genere si sovrappone un ritratto fin troppo verosimile, e in più punti inquietante, del mondo in cui viviamo: vedere per credere, un accostamento tutt'altro che casuale fra Homelander e un certo ex-presidente degli Stati Uniti.
The Boys 3: una foto di scena
Ma tra una gag scurrile e un momento di violenza inaudita, cifra stilistica che si riconferma con grande gioia, si fa strada anche una sincerità emotiva sempre più potente, che ci ricorda che sotto la scorza archetipica si celano persone (più o meno) umane, nelle quali ci riconosciamo in modo che l'impatto dello show sia ancora più forte. È quasi più memorabile una conversazione a letto fra Hughie e Starlight che la trovata stomachevole di turno, o almeno sono essenzialmente allo stesso livello, perché nel corso degli episodi è stato costruito un universo che fa ridere ma anche riflettere, perché non tanto lontano dal nostro in termini di come si comportano gli individui che lo popolano.
Conclusioni
The Boys 3 è una stagione che conferma la spudoratezza e l'irriverenza, ma anche il cuore, della serie di Amazon Prime Video.
👍🏻
Le trovate provocatorie ed eccessive continuano a funzionare alla grande.
I nuovi ingressi nel cast annunciano promesse intriganti per gli episodi a venire.
La trama orizzontale assume contorni ancora più interessanti.
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ftr: Dennin Aleste
Sistema Mega CD | Produttore Compile | Sviluppatore Interno | Versione Giapponese | Uscita 27 novembre 1992
In un’epoca di sparatutto spaziali, il Sega Mega CD si è distinto con un titolo dal carattere innovativo e d’atmosfera: Dennin Aleste, uno shoot-em-up verticale sviluppato da Compile. Questo gioco unisce elementi storici e fantascientifici ambientandosi in un Giappone feudale alternativo, dove Kagerou, il protagonista, pilota un potente mecha chiamato Aleste nel tentativo di fermare i piani di conquista del crudele signore della guerra, il solito Nobunaga Oda e della sua armata di robot.
L’ambientazione spicca grazie alla fusione di elementi giapponesi tradizionali e un’estetica steampunk, con livelli dettagliati e musiche coinvolgenti. Tuttavia, nonostante la qualità sonora, la soundtrack, seppur orecchiabile e ben ritmata, si rivela un po' troppo lenta rispetto alla frenesia dell’azione di gioco, talvolta incapace di sostenere la tensione delle battaglie più intense. Le capacità audio del Mega CD sono ben sfruttate per tracce di alta qualità, ma la scelta di un ritmo più rapido sarebbe stata ideale per supportare meglio il gameplay frenetico.
La giocabilità alterna momenti sorprendentemente facili a picchi di difficoltà che possono risultare frustranti, creando un’esperienza un po' discontinua. Anche i giocatori esperti troveranno impegnativo portare a termine l’avventura, poiché il gioco è difficile persino ai livelli di difficoltà più bassi. L’azione è intensa e strategica: i giocatori possono raccogliere vari power-up per migliorare le armi, necessarie per contrastare le numerose ondate di nemici e affrontare i potenti boss. Nonostante ciò, la curva di difficoltà non è sempre bilanciata, costringendo spesso a ripetere sezioni apparentemente facili che poi sfociano in improvvisi picchi di sfida.
Tengen ha portato Dennin Aleste in Nord America nel 1993, rinominandolo Robo Aleste, e lo stesso anno la stessa Sega ha curato la distribuzione europea del gioco, mantenendone il nome americano. Le versioni conservano l'ambientazione giapponese e i riferimenti storici, ma sono state modificate: l’introduzione animata è stata rimossa, la schermata del titolo cambiata (risultando meno accattivante), e alcuni ritratti segreti dei personaggi eliminati. Una scena a metà gioco è stata alterata per rimuovere una sequenza in cui Astaros, un antagonista, emerge da una vasca da bagno. Inoltre, la versione giapponese vantava diverse tracce audio bonus, totalmente assenti nelle versioni occidentali.
G
L'armeria In Dennin Aleste, avremo a disposizione quattro tipi di armi: il Bakuryu-housen-ka, di cuore rosso, rilascia bombe che esplodono all'impatto, utile per liberare lo schermo dai nemici; l’Hiei-meppu-jin, in giallo, crea opzioni protettive che attaccano i nemici vicini, ideali per minacce che provengono dal basso; il Raisen-ha, di colore blu, spara potenti fulmini ed è molto efficace contro i boss e i nemici frontali; infine, il Fuusha-shuriken, in verde, lancia shuriken in più direzioni, perfetto per affrontare le tante ondate nemiche.
Immagini The PC-Engine Software Bible
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Sardegna: alla scoperta dei misteriosi nuraghi
I nuraghi sono uno degli elementi più emblematici e misteriosi della Sardegna, essi rappresentano il simbolo di un passato antico e affascinante che attira l'interesse di storici, archeologi e visitatori da tutto il mondo. Queste strutture megalitiche, diffuse su tutta l'isola, sono la testimonianza più tangibile della civiltà nuragica, una delle culture più avanzate del Mediterraneo durante l'Età del Bronzo. In questo articolo esploreremo i nuraghi, la loro origine, le principali teorie sulla loro funzione, e quali sono i più famosi e assolutamente da visitare. Un viaggio che ci porterà al cuore di un passato ancora avvolto nel mistero.
Che cosa sono i nuraghi?
I nuraghi sono monumenti in pietra tipici della Sardegna, costruiti principalmente tra il 1800 e il 1200 a.C., durante l'Età del Bronzo. Queste costruzioni monumentali si presentano sotto forma di torri tronco-coniche, realizzate con la tecnica della pietra a secco, senza l'uso di leganti. Tipicamente, un nuraghe è costituito da una torre centrale, spesso circondata da mura e altre torri minori. L'interno di queste strutture presenta spesso una volta a "tholos", una tecnica in cui le pietre vengono sovrapposte gradualmente verso l'alto, creando una forma simile a un alveare.
Oggi in Sardegna si possono ancora vedere circa 7.000 nuraghi, anche se in origine il numero doveva essere significativamente più elevato, forse oltre 10.000. Questi monumenti sono distribuiti su tutto il territorio dell'isola, testimoniando l'importanza e la diffusione di questa civiltà. Tra i nuraghi più noti e visitati troviamo il Nuraghe Su Nuraxi a Barumini, in provincia di Sud Sardegna, il Palmavera ad Alghero e l'Arrubiu ad Orroli.
L'origine dei nuraghi
Le origini dei nuraghi risalgono alle radici più profonde della storia della Sardegna. La civiltà nuragica si sviluppò grazie all'incontro tra culture locali e influenze esterne durante l'Età del Bronzo. Le prime comunità umane in Sardegna, come la cultura di Ozieri (La cultura di Ozieri, nota anche come cultura di San Michele, fu una delle prime culture prenuragiche sviluppatesi in Sardegna tra il 4000 e il 3300 a.C. Questa cultura prende il nome dal sito archeologico di Ozieri, situato nella Sardegna settentrionale, dove sono stati scoperti importanti reperti, in particolare nella Grotta di San Michele, che hanno permesso di comprendere meglio la vita e le pratiche delle antiche popolazioni dell'isola.), giocarono un ruolo fondamentale nello sviluppo delle tecniche di costruzione e delle conoscenze architettoniche che portarono alla nascita dei nuraghi.
I nuraghi rappresentano un'evoluzione naturale delle strutture megalitiche precedenti, come le tombe dei giganti (grandi tombe collettive megalitiche utilizzate come luoghi di sepoltura, situate in diverse località della Sardegna, come Coddu Vecchiu e Li Lolghi) e l'altare di Monte d'Accoddi (un antico altare a gradoni, situato nei pressi di Sassari, in provincia di Cagliari, unico nel suo genere in Sardegna, utilizzato probabilmente per cerimonie religiose). La cultura Bonnanaro, una cultura proto-nuragica sviluppatasi attorno al 1800-1600 a.C., è considerata la precorritrice della civiltà nuragica, con le sue prime strutture note come protonuraghi. Successivamente, questi proto-nuraghi evolsero in forme più complesse e imponenti, divenendo simboli del potere e dell'organizzazione sociale della civiltà nuragica.
Il significato e la funzione dei nuraghi
Nonostante la loro imponenza e la vasta diffusione, il significato e la funzione precisa dei nuraghi rimangono oggetto di dibattito tra gli studiosi. Numerose teorie sono state proposte nel corso degli anni. Alcuni esperti ritengono che i nuraghi fossero strutture difensive, costruite per proteggere le comunità locali da attacchi esterni. Questa ipotesi è supportata dalla presenza di torri, mura possenti e passaggi stretti che potrebbero aver facilitato la difesa.
Altri studiosi suggeriscono che i nuraghi avessero una funzione cerimoniale e religiosa, utilizzati come luoghi di culto per divinità legate alla natura o come osservatori astronomici. Infatti, alcuni nuraghi presentano particolari orientamenti che potrebbero essere stati utilizzati per osservare fenomeni celesti, analogamente ad altre strutture megalitiche europee come Stonehenge.
Un'ulteriore teoria ipotizza che i nuraghi fossero simboli di potere e status sociale, costruiti dalle famiglie più influenti per esibire il proprio prestigio. Il fatto che molti nuraghi siano situati in posizioni elevate e strategiche suggerisce che potessero avere anche una funzione simbolica di controllo territoriale.
Probabilmente, i nuraghi avevano una molteplicità di funzioni, adattandosi alle diverse necessità delle comunità nel corso dei secoli. Ciò che è certo è che queste strutture furono utilizzate anche in epoche successive, durante i periodi punico e romano, dimostrando la loro rilevanza per le popolazioni locali.
I nuraghi più famosi
Tra i numerosi nuraghi presenti in Sardegna, alcuni sono diventati dei veri e propri simboli dell'isola, grazie alla loro imponenza e al loro stato di conservazione.
Su Nuraxi di Barumini
Su Nuraxi di Barumini è il nuraghe più conosciuto e rappresentativo della Sardegna, tanto da essere stato inserito nella lista del Patrimonio Mondiale dell'UNESCO nel 1997. Questo straordinario sito archeologico si trova nel sud della Sardegna, vicino al paese di Barumini, ed è costituito da una torre centrale (mastio) circondata da quattro torri minori, il tutto racchiuso da un ampio bastione e un vasto villaggio nuragico. La torre centrale, alta oltre 14 metri, è costruita con una serie di pietre sovrapposte che formano una struttura troncoconica estremamente solida. Il villaggio nuragico, composto da oltre 50 capanne, offre una visione unica della vita quotidiana della civiltà nuragica. Gli scavi archeologici, iniziati negli anni '50 e proseguiti nella seconda metà del XX secolo, hanno rivelato una complessità architettonica e organizzativa straordinaria, che testimonia l'elevato livello di sviluppo sociale e tecnologico della civiltà nuragica.
Nuraghe Palmavera
Il Nuraghe Palmavera, situato vicino ad Alghero, è un altro esempio significativo dell'architettura nuragica. Alghero, conosciuta anche come la "piccola Barcellona" per via della sua storia catalana, offre un contesto ricco di cultura e tradizione che rende la visita al Nuraghe Palmavera ancora più affascinante. Villa Grazia B&B Alghero consiglia una visita al Nuraghe Palmavera di Alghero, per scoprire dal vivo uno dei più iconici e misteriosi tra i nuraghi della Sardegna. Il complesso è composto da una torre principale e una torre secondaria, circondate da un villaggio di capanne. Gli scavi hanno portato alla luce numerosi reperti, tra cui utensili come pestelli e macine in pietra, nonché ceramiche decorate utilizzate per la conservazione degli alimenti, che testimoniano la vita quotidiana degli abitanti. La vicinanza alla città di Alghero rende il Nuraghe Palmavera una meta facilmente accessibile e particolarmente interessante per chi desidera esplorare sia la storia che la bellezza del paesaggio. Il sito è facilmente raggiungibile in auto dal centro di Alghero.
Nuraghe Arrubiu di Orroli
Il Nuraghe Arrubiu, situato a Orroli, è uno dei più grandi e imponenti dell'isola. Il suo nome, che in sardo significa "rosso", deriva dal colore delle pietre vulcaniche utilizzate per la costruzione. Il complesso è composto da una torre centrale e diverse torri laterali collegate da una serie di mura e passaggi interni, evidenziando un'elevata complessità architettonica. Questo sito offre un'importante testimonianza delle capacità costruttive e dell'organizzazione della civiltà nuragica.
Nuraghe Santu Antine di Torralba
Nuraghe Santu Antine, situato a Torralba, è uno dei nuraghi più impressionanti e imponenti della Sardegna, tanto da essere chiamato "il Re dei Nuraghi". Costruito intorno al 1500 a.C., il complesso è costituito da una torre centrale circondata da tre torri minori, collegate da una serie di bastioni e corridoi. La torre centrale, alta circa 17 metri, rappresenta uno straordinario esempio di abilità ingegneristica della civiltà nuragica, con una scala interna che conduce a diversi livelli e terrazze. Il sito è noto anche per la presenza di un villaggio nuragico circostante, che offre uno spaccato sulla vita quotidiana dell'epoca. La struttura è particolarmente affascinante per la sua complessità architettonica e per l'ottimo stato di conservazione che permette ai visitatori di esplorare al suo interno.
Nuraghe Losa di Abbasanta
Il Nuraghe Losa, situato ad Abbasanta, è uno dei nuraghi meglio conservati e più visitati dell'isola. La sua particolare forma triangolare lo distingue da altri nuraghi e dimostra l'evoluzione delle tecniche costruttive della civiltà nuragica. Il complesso è costituito da una torre centrale e da un bastione con tre torri minori collegate tra loro, formando una pianta trilobata. L'interno della torre presenta una volta a tholos, con corridoi e scale che conducono ai livelli superiori. Il sito è circondato da un vasto villaggio nuragico, dove sono stati rinvenuti numerosi reperti archeologici, tra cui ceramiche e utensili in bronzo. La posizione strategica del Nuraghe Losa, lungo importanti vie di comunicazione dell'epoca, suggerisce che avesse un ruolo significativo nel controllo del territorio e nelle attività commerciali.
Altri nuraghi di interesse
Oltre ai più famosi, la Sardegna è costellata di nuraghi che meritano una visita per la loro bellezza e per il contesto paesaggistico in cui si trovano. Tra questi, spicca il Nuraghe Serbissi a Osini, situato in una posizione panoramica che domina la valle dell'Ogliastra, offrendo un'esperienza unica per chi ama combinare storia e natura. Anche il Nuraghe Serbissi a Osini, situato in una posizione panoramica che domina la valle dell'Ogliastra, offre un'esperienza unica per chi ama combinare storia e natura.
Consigli per le visite
Visitare i nuraghi significa intraprendere un viaggio nel tempo, alla scoperta di una civiltà antica e misteriosa. Ecco alcuni consigli per chi desidera esplorare questi monumenti:
Su Nuraxi di Barumini: Questo sito è una tappa obbligata per chiunque voglia approfondire la storia della civiltà nuragica. Le visite guidate sono essenziali per comprendere la complessità del villaggio e la vita quotidiana degli antichi abitanti.
Nuraghe Palmavera di Alghero: La visita al Nuraghe Palmavera è ideale per chi soggiorna ad Alghero o nei dintorni. L'accessibilità del sito e la bellezza del contesto lo rendono una meta perfetta per famiglie e appassionati di archeologia.
Nuraghe Arrubiu di Orroli: Per gli amanti dell'archeologia e della storia, il Nuraghe Arrubiu rappresenta una tappa imprescindibile. Le visite guidate offrono una prospettiva approfondita sulla storia e sulla costruzione del sito.
Nuraghe Santu Antine e Nuraghe Losa: Questi due nuraghi sono perfetti per chi si trova nella parte centrale dell'isola e desidera esplorare luoghi meno frequentati ma altrettanto affascinanti. Entrambi consentono di apprezzare la straordinaria abilità architettonica della civiltà nuragica.
Consigli pratici: È sempre consigliabile indossare abbigliamento comodo e scarpe adatte per camminare su terreni irregolari. La maggior parte dei nuraghi si trova in aperta campagna, quindi è essenziale portare acqua e protezione solare, soprattutto nei mesi estivi.
Conclusioni
I nuraghi rappresentano uno degli aspetti più affascinanti della Sardegna, un legame diretto con un passato che continua a vivere attraverso queste maestose strutture di pietra. Visitare i nuraghi significa non solo esplorare l'architettura e la storia di una delle civiltà più avanzate del Mediterraneo, ma anche immergersi nella bellezza paesaggistica di un'isola che offre panorami mozzafiato e un'accoglienza senza pari.
Se sei un appassionato di storia, un amante della natura, o semplicemente curioso di conoscere le radici più profonde della Sardegna, i nuraghi sono una tappa imprescindibile. Un viaggio attraverso queste torri di pietra è un viaggio nella storia dell'umanità, nelle sue conquiste e nel suo legame indissolubile con il territorio.
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Maglie che Raccontano: Simbolismo e Storia dei Trikots del Napoli
1.Introduzione
La SSC Napoli, fondata nel 1926, è molto più di una semplice squadra di calcio; è un simbolo di passione e identità nella città di Napoli. Ogni maglia indossata dai giocatori non rappresenta solo un design, ma è intrisa di significato , legata a eventi storici, figure leggendarie e al forte legame con i tifosi.
Negli anni, i maglia della SSC Napoli si sono evoluti, riflettendo non solo le tendenze estetiche, ma anche le innovazioni tecnologiche nel mondo del calcio all'avanguardia, migliorando le prestazioni in campo e l'esperienza per i tifosi.
2.La Storia dei maglia
La storia dei maglia della SSC Napoli inizia nei primi anni di vita del club, quando, nel 1926, la squadra adottò una maglia azzurra, colore simbolo della città e del mare. I primi modelli erano semplici, realizzati in tessuti pesanti e privi di design distintivo.
Negli anni '50 e '60, La Maglia del Napoli cominciò a presentare un dettaglio più elaborato e un design più curato, coincidente con l'emergere di star del calcio come Giuseppe Bruscolotti e Omar Sivori al branding e all'immagine della squadra .
Diego Maradona negli anni '80, I maglia assunsero unsignificato leggendario. La maglia numero 10, indossata da Maradona, divenne un simbolo di un'epoca d'oro per il Napoli, check conquistò grazie agli scudetti e alla Coppa UEFA.
Negli anni '90 e 2000, SSC Napoli attraversò periodici di alti e bassi, riflettevano fortuna del club Dal 2010, conil ritorno in Serie A, ill design maglia e tornado a riscuotere successo, Costruisci modernità e unisono tradizione e innovazione.
Oggi, maglia della SSC Napoli, una storia, una storia, una stagnazione, una porta con sé design, un affluente al passato, a mantenere viva l'eredità di unclub che è molto più di una semplice squadra di calcio.
3.Innovazioni Tecnologiche
Negli ultimi anni, la SSC Napoli ha abbracciato una serie di innovazioni tecnologiche che hanno rivoluzionato la produzione dei suoi maglia. è un posto fantastico dove stare, è un posto fantastico dove stare, è una grande performance.
Insolent, l'SSC Napoli è la vestibilità perfetta, il dry-fitting, il dry-fitting, il dry-fitting, il mantenimento, i giocatori freschi anche nelle condizioni più impeggnative Il beneficiario delle tecnologie all'avanguardia, il design del casa, il colore della casa, il colore della casa, il colore della facciata.
È un'esperienza personale, è un'esperienza personale, è un'esperienza personale, è un'esperienza personale, è un'esperienza personale, è un'esperienza personale, è un'esperienza personale.
Infine, pratica sostenibili nella produzione dei maglia, come l'utilizzo di materiali riciclati, segna un ulteriore passo avanti nel coniugare innovazione e responsabilità ambientale, quindi, non solo mira a innovare dal punto di vista tecnologico, è una buona cosa , è una buona cosa, è una buona cosa, è una buona cosa, è una buona cosa, è una buona cosa, è una buona cosa.
4.Design e simbologia
Design illegale di maglia SSC Napoli ed elementi non importanti di riflette non solo l'identità della squadra, ma anche la cultura e la storia della città di Napoli. È lo stesso del simbolo del mare, del circonda la città, dell'evocando un senso di appartenenza e l'orgoglio locale.
Corso degli anni, i dettagli del design si sono evoluti, integrando elementi simbolici. Le strisce orizzontali o verticali, le variazioni nei colli e nei polsini, e i loghi commemorativi hanno arricchito la narrazione visiva delle maglie storia del club, come le maglie celebrative per i titoli vinti o per anniversari importanti, creando un legame emotivo tra la squadra e i suoi sostenitori.
Insolent, ill design of completini calcio and influenza of elemental cultural. La collaborazione con l'artista locale designer hanno portato una creatività unica che riflette l'anima di Napoli, rendendo ogni maglia non solo un indumento sportivo, ma un'opera d'arte che celebra l'identità. partenopea.
La cosa più bella del mondo, la cosa più bella del mondo, il colore più bello del mondo, la storia più bella del mondo, la SSC Napoli Rappresenta Un'unica voce Con l'innovazione che continua a spingersi inoltre, il design tricots della SSC Napoli rimarrà un pilastro fondamentale nella narrazione del club, incarnando il perfetto equilibrio tradizione e modernità.
5.La Cultura dei Tifosi
La cultura è tifosi della SSC Napoli e il lavoro è svolto in modo sano. Sono un sostenitore non sono semplici spettatori, il mio proprio nucleo pulsante che vive la mia squadra, Rendendo ogni partita unevento collettivo, indossati con orgoglio dai tifosi, non sono solo un simbolo di appartenza, ma anche una manifestazione della loro passione e identità.
È un'esperienza personale, è una cosa creativa. È un'esperienza personale. È un ottimo lavoro e i bandieroni che colorano gli stadi durante le partite rappresentano l'entusiasmo che circonda ogni incontro, creando un'atmosfera magica e coinvolgente.
La cultura del tifo napoletano è l'evento più popolare del club. L'evento commemorativo è la beneficenza di Diego Maradona, i tifosi sono uniti e la squadra sta bene. Questa solidarietà si riflette anche nella scelta di maglie speciali per eventi significativi, creando un senso di unità che va oltre il campo di gioco.
Inoltre, la presenza dei tifosi napoletani si estende oltre i confini di Napoli di tifosi legati da un amore condiviso per la SSC Napoli.
In sintesi, la cultura dei tifosi della SSC Napoli non è solo una questione di sostegno alla squadra; è un movimento vibrante che celebra l'identità, la storia e la passione di una città ricca, unendo persone di tutte le età e provenienze in unico coro di passione e orgoglio.
6.Futuro e Sostenibilità
La cosa più bella della SSC Napoli è la cosa più bella, la cosa più bella del mondo, la cosa più bella del mondo, cercando di ridurre l'impatto ambientale e promuovere un'industria più responsabile.
La recente collezione di maglia ha visto l'introduzione di materiali riciclati, provenienti da plastica recuperata dagli oceani e altre fonti sostenibili.
Inoltre, la SSC Napoli, si impegna a sensibilizzare e la correttezza dei tifosi è l'importanza della sostenibilità.
Le maglie stess sono un simbolo di questo cambiamento, non solo rappresentando la squadra, ma anche fungendo da strumenti di consapevolezza e impegno verso un futuro migliore.
In sintesi, in futuro dei maglia della SSC Napoli non è solo indiscutibile design e performance, ma anche di responsabilità sociale e ambiente in cui l'amore per il calcio si unisce alla cura per il pianeta.
7.Conclusione
La cosa più bella del mondo L'SSC Napoli rappresenta la cosa più bella della storia, della cultura e dell'innovazione storia unica e significativa.
È tutta una questione di tifosi, è una questione di passione, è una questione di passione, è una questione di maglia, è una questione di solista, è una questione di tempo, è una questione di tempo. Ecologiche dimostrano come la SSC Napoli non si limiti a guardare al passato, ma si proietti verso un futuro responsabile e innovativo.
In definitiva, I maglia della SSC Napoli incarnano l'essenza del club: un perfetto equilibrio tradizione e modernità, passione e responsabilità. È la cosa giusta da fare in campo di gioco, unendo cuore, storia e un impegno per un futuro migliore.
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Posso chiedere una cosa? Mi è capitato di vedere che combatti guerre con certi elementi che...definire miserrimi è fargli un piacere... La domanda è: perché?
Perché date risposta a mentecatti che meriterebbero solo l'oblio e di stagnare nel porcile dei loro pensieri magri?
Come diceva Guccini: le verità cercate per terra da maiali, tenetevi le ghiande, lasciatemi le ali.
Fategli mangiare le ghiande a certi soggetti e volate alti.
perchè sono dei bersagli facili.
Qua sono sull'internetta, mica alla Sorbonne, dove per altro manco mi farebbero entrare.
È inutile che faccia fatica a discutere con dei filosofi o degli storici, forse non ne sarei all'altezza. (meriterebbe riflessione il come parlino e quando in Uni o ai convegni i filosofi che vanno in TV, ma anche i fisici come Zichichi e come poi parlino in TV).
Il pubblico su internet apprezza il sangue e il fango.
E sparare sulla croce celtica e facile, specialmente se si da delle arie da intellettuale e quindi nella cerchia di chi magari gli da retta riesce a guadagnarsi un po' di autorevolezza, ha un buon ROI.
Ora si potrebbe fare un discorso lungo sulla qualità e le modalità del tipo di informazioni che uno cerca di veicolare e sul fatto che io e tanti altri non necessariamente siamo le persone più qualificate a darle, e questo metterebbe in un contesto più comprensibile l'uso della parola "propaganda" ma la propaganda è un prerequisito a qualsiasi cambiamento... ed è per altro meno traumatico di farsi prendere a manganellate dagli sbirri quando fai uno sciopero o protesti a favore dei palestinesi (il che non esclude che...). Anche perchè se ti presenti in 20000 i fasci ci pensano un bel po' di volte se sia il caso di rischiare di prenderle male.
Ma se hai un dottorato in scienze politiche, scienze della comunicazione o affini... sono pronto a cospargermi il capo di cenere SE E SOLO SE mi dai delle alternative percorribili.
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ㅤ ㅤ ㅤ ㅤ ⟡ 𝐁𝐈𝐎𝐆𝐑𝐀𝐏𝐇𝐘 ㅤ ﹫ɪɴꜰᴏ ᴘᴏɪɴᴛ ⸝ ꜰʀᴇᴇㅤ ㅤ ㅤ ㅤ ㅤ ㅤ❤ㅤ ‧‧‧ㅤ on game ㅤ ㅤ ㅤ😭ㅤ ‧‧‧ㅤ off game ㅤ ㅤ ㅤ 🖇 basics : ㅤ ㅤ ♯ nome: india riley wood ♯ prestavolto: jasmine tookes ♯ pronomi: she/her ♯ luogo di nascita: boston, massachusetts ♯ vive a: manhattan, new york ♯ sessualità: etero ㅤ ㅤ 🖇 about them : ㅤ ㅤ ㅤ 𝐈ㅤ Nata in una pittoresca casa vittoriana a Boston, in Massachusetts, India ha trascorso gran parte della sua infanzia immersa in un ambiente stimolante, grazie ai suoi genitori che l’hanno sempre incoraggiata a esplorare il mondo attraverso l’arte e la cultura. Il padre, rinomato architetto, noto per il suo stile che mescola elementi moderni con richiami storici, le ha trasmesso la passione per l'arte, unita alla determinazione della madre, avvocato penalista. Un'infanzia, quella della Wood, che le ha permesso di trascorrere diversi periodi in città come New Orleans, una città intrisa di cultura, storia e arte che ha influenzato profondamente la sua personalità e le sue passioni, Washington in cui ha compreso la complessità dei giochi di potere e Savannah, facendosi ammaliare dalla storia del Sud. ㅤ ㅤ 𝐈𝐈ㅤ Il periodo trascorso in viaggio per gli States, ha permesso alla giovane Wood di affinare le sue passioni, elaborarle e svilupparle, visitando biblioteche, musei e siti storici, che non hanno fatto altro che nutrire la sua immaginazione e acceso la sua passione per la storia dell'arte. Fin dalla sua prima visita a New York, a sei anni, ha compreso che quello sarebbe stato il suo mondo. Durante una visita al Metropolitan Museum of Art, si è persa ma invece di spaventarsi, si era fermata davanti a un grande dipinto del Rinascimento e, incantata dai dettagli, era rimasta lì a osservarlo fino a quando i suoi genitori l'avevano trovata. Da quel momento, il museo divenne uno dei suoi luoghi preferiti, un rifugio dove poteva perdersi e ritrovarsi tra le opere d'arte. ㅤ ㅤ 𝐈𝐈𝐈ㅤ Oggi, India continua a esplorare il mondo dell'arte attraverso la scrittura e la fotografia. Nonostante la sua ansia, è riuscita a trasformare le sue vulnerabilità in forza, utilizzando l'arte come mezzo per affrontare le sue paure e connettersi con il mondo. Ama viaggiare, visitare musei e mostre, e scoprire nuovi talenti artistici. Ha una collezione di taccuini pieni di schizzi, poesie e riflessioni, che considera i suoi più preziosi tesori. India vive in un appartamento nel quartiere storico di SoHo, circondata da libri, piante e opere d'arte. Nel tempo libero, si dedica alla cucina, sperimentando ricette che uniscono le tradizioni del Sud con influenze europee, e organizza serate culinarie per amici e colleghi, dove si discute di arte, letteratura e filosofia. ㅤ ㅤ 𝐈𝐕ㅤ India lavora come critica d'arte freelance. Scrive per diverse riviste culturali e giornali, fornendo analisi approfondite su mostre d’arte, nuovi artisti emergenti e la connessione tra arte e società. Il suo stile di scrittura è poetico ma preciso, capace di trasportare il lettore nei mondi che descrive. Inoltre, tiene conferenze occasionali sulla storia dell'arte presso università e musei locali. Nel tempo libero, offre anche consulenze per collezionisti d'arte che vogliono acquistare opere di artisti emergenti. Recentemente, ha iniziato a lavorare al suo primo libro, un saggio che esplora come l'arte abbia influenzato i movimenti sociali nel corso della storia. ㅤ ㅤ ㅤㅤ ��� ᴘɴɢꜱ/ꜰᴀᴍɪʟʏ, quindi 𝗣𝗩 importanti che 𝗻𝗼𝗻 possono essere duplicati: ㅤ ㅤㅤ ㅤ ✦ㅤ oliver wood — ғᴏʀᴇsᴛ ᴡʜɪᴛᴀᴋᴇʀ ( father ) ㅤ ✦ㅤ evelyn riley dupree — ɢɪɴᴀ ᴛᴏʀʀᴇs ( mother ) ㅤ ✦ㅤ eli wood — ʟᴜᴄɪᴇɴ ʟᴀᴠɪsᴄᴏᴜɴᴛ ( brother ) ㅤ ✦ㅤ noah wood — ʀᴇɢᴇ́-ᴊᴇᴀɴ ᴘᴀɢᴇ ( brother ) ㅤ ✦ㅤ olivia caroline dupree — ᴋᴇʀʀʏ ᴡᴀsʜɪɴɢᴛᴏɴ ( aunt ) ㅤ ㅤ
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