#educazione genitori e figli
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pier-carlo-universe · 9 days ago
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L’ultima volta che siamo stati bambini - Memoria e amicizia attraverso il cinema
Un viaggio tra storia e infanzia: il Cineforum Progetto Genitori propone il film diretto da Claudio Bisio.
Un viaggio tra storia e infanzia: il Cineforum Progetto Genitori propone il film diretto da Claudio Bisio. Un evento speciale per il Giorno della Memoria. All’Associazione Cultura e Sviluppo di Alessandria, in piazza De Andrè 76, riprendono gli incontri del Progetto Genitori con il cineforum dal titolo “Guardiamo un film insieme?”. In questa occasione, venerdì 31 gennaio alle ore 20.30, verrà…
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scogito · 6 months ago
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Di recente ho parlato con un uomo fiero di non volere nessun tipo di relazione col genere umano e ostinatamente cosciente di quanto non gli frega nulla del prossimo. A esclusione dei rapporti formali o di ruolo (lavoro, condivisione di spazi, situazioni sociali standard), per lui è importante soltanto il suo nucleo familiare.
In sintesi: si fottano tutti tranne moglie e figli.
Quest'uomo ha una figlia di 18 anni che già dai 10 presentava le stesse caratteristiche e che oggi hanno anche in lei la fermezza di chi dice ad alta voce: tanto a me non frega niente di nessuno.
L'altra figlia che di anni ne ha 13, non dice, ma rivela nel comportamento una prepotenza di fondo che trapela la stessa superiorità emotiva. Avendo una personalità di base più portata alla socialità tuttavia indossa una maschera più docile e mirata ai suoi scopi.
Il padre si preoccupa per loro, soprattutto per un fattore finanziario, ma non si rende minimamente conto delle conseguenze che il suo corpo emotivo e il suo comportamento hanno generato.
Questo è quello che intendo quando ripeto che le parole con l'educazione emotiva hanno il peso di una piuma, mentre l'esempio pratico è quasi l'unico a produrre risultati.
Molti genitori si preoccupano del futuro della loro prole dal punto di vista materiale e non vedono quello che creano a un palmo dal naso nella struttura del pensiero.
Come lui, dietro il concetto di famiglia, chissà quanti ce ne sono, poi si arriva a un livello di odio sociale collettivo e ci si chiede come mai.
Poi è colpa dei giovani...
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yourtrashcollector · 11 months ago
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Ma io glielo dirò lo stesso, perché per una madre ogni silenzio di verità è un aborto, ogni sacrificio di memoria è una rosolia dell'anima che genera figli deformi dentro, incapaci di ricordo, a basso quoziente di libertà.
Michela Murgia, Dare la vita
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scogito · 2 years ago
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La natura insegna.
Un bambino se non riesce, riprova.
Un bambino a cui sono state trasferite ansie e paure, cade, piange, si arrabbia, brontola, non ritenta più.
Un bambino le cui paure sono state rinforzate dà la colpa a tutto ciò a cui può dare la colpa, tranne alla sua resa.
Un bambino educato ad affrontare ciò che teme senza ingigantire gli scarsi risultati, ritenterà, cercando altre strategie o aiuti se è il caso.
Quando non vedi i tuoi atteggiamenti o non sei stato abituato a correggerli, fai lo stesso fino alla vecchiaia. Non importa quanto pensi di avere ragione, o quanto "grande" credi di essere.
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angelap3 · 18 days ago
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Un giovane chiese al nonno:
"Nonno, come facevi a vivere in passato senza tecnologia...
senza computer...
senza droni...
senza bitcoin...
senza connessione internet...
senza TV...
senza condizionatori...
senza auto...
senza telefoni cellulari?"
Il nonno rispose:
"Proprio come vive la tua generazione oggi...
senza preghiere,
senza compassione,
senza rispetto,
senza buona educazione,
senza vera istruzione,
con una personalità povera,
senza gentilezza umana,
senza vergogna,
senza modestia,
senza onestà.
Noi, le persone nate tra il 1930 e il 1980, eravamo i benedetti. Le nostre vite ne sono una prova vivente." Giocavamo e andavamo in bicicletta senza mai indossare il casco.
Dopo la scuola, facevamo i compiti da soli e giocavamo nei prati fino al tramonto.
Avevamo amici veri, non amici virtuali.
Quando avevamo sete, bevevamo dalla fontana, dalle cascate o dal rubinetto, non dall’acqua minerale.
Non ci preoccupavamo né ci ammalavamo, anche se condividevamo la stessa tazza o piatto con gli amici.
Non ingrassavamo, nonostante mangiassimo pane e pasta ogni giorno. Camminavamo a piedi nudi e non ci succedeva nulla.
Non prendevamo integratori alimentari per rimanere in salute. Creavamo i nostri giocattoli e ci giocavamo.
I nostri genitori non erano ricchi, ma ci davano amore, non beni materiali.
Non avevamo telefoni cellulari, DVD, PSP, console per videogiochi, PC, chat su internet… ma avevamo amici veri. Andavamo a trovare i nostri amici senza bisogno di inviti e condividevamo con loro il cibo e il tempo.
I genitori vivevano vicino a noi, e il tempo in famiglia era prezioso.
Le nostre foto erano in bianco e nero, ma i ricordi erano pieni di colori.
Siamo una generazione unica e la più comprensiva, perché siamo l’ultima che ha ascoltato i propri genitori. E siamo anche i primi che sono stati costretti ad ascoltare i propri figli.
Siamo un’edizione limitata.
Approfitta di noi. Impara da noi. Siamo un tesoro destinato a scomparire presto..
( Fonte Web)
Art..... Pablo Picasso
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smokingago · 10 months ago
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💔
"Si , i miei genitori mi picchiavano quando ero bambino e non sono poi così traumatizzato!" dice l'uomo che è stato denunciato dall'ex compagna per violenza fisica.
"Quando ero piccolo, i miei genitori mi lasciavano piangere fin’che mi addormentavo , e ci sarebbero volute ore, ma è così che ho imparato a essere indipendente", dice l'uomo che passa le notti sui social media, incapace di dormire.
"Sono stato punito duramente quando ero piccolo e sto bene", dice l'uomo che ogni volta che sbaglia si fa in tutti i modi, punendosi.
"Quando ero bambina mi menavano bene e adesso soffro di un 'trauma' chiamato 'educazione'", dice la donna che non capisce perché tutti i partner che ha finiscono per essere aggressivi con lei.
“Da bambina, quando ero pignola mio padre mi chiudeva in una stanza da sola a pensare a quello che facevo, e oggi lo apprezzo!” dice la donna che soffre di attacchi di panico e non capisce perché soffre di claustrofobia.
"Quando, da piccola, facevo i capricci in pubblico, i miei genitori mi dicevano che mi avrebbero lasciata o mi avrebbero data a uno sconosciuto e guarda, sono finita molto bene", racconta la donna che implorava amore in tutte le relazioni e perdonava infedeltà ripetute per non essere abbandonata.
"Quando i miei genitori mi guardavano stavo gelando, e guarda come sono diventata brava!", dice la donna che non riesce a mantenere il contatto visivo senza sentirsi intimidita.
"I miei genitori mi hanno costretto a scegliere una carriera in cui posso fare soldi, e guarda come sono finito bene!", dice l'uomo che attende ogni venerdì, disperato perché fa ciò che non gli piace ogni giorno.
“Quando ero piccola dovevo stare a tavola finché non finivo tutto il cibo nel piatto, anche per forza, non come fanno quei genitori permissivi!” dice la donna che non capisce perché ha sempre avuto problemi di alimentazione compulsiva .
«Mia madre mi ha insegnato cosa significa rispetto con la pantofola e mi ha fatto bene», racconta la donna che fuma un pacchetto di sigarette al giorno per tenere sotto controllo l'ansia.
"Ringrazio i miei genitori per ogni colpo e punizione, perché altrimenti chissà cosa avrebbero scelto per me", dice l'uomo che non ha mai avuto una relazione sana e il cui figlio gli mente sempre, per paura.
E così viviamo le nostre vite, circondati da tutte queste persone meravigliose e non traumatizzate, ma paradossalmente in una società piena di violenza e persone ferite.
La lezione non è giudicare i nostri genitori, anch'essi vittime a loro volta, ma capire che non andava bene, perdonare e lasciare un'altra eredità ai nostri figli.
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rideretremando · 1 year ago
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"Mi aveva colpito, al culmine dell'isteria social sul fatto del giorno, la dedica di una donna tra i miei contatti al suo compagno ovvero quanto si ritenesse fortunata ad averlo incontrato, perché lui, fra tutti i degni (cioè indegni) rappresentanti del patriarcato, si distingueva per probità e virtù. Naturalmente mi aveva fatto sorridere l'ingenuità della dichiarazione e mi aveva un po' indispettito l'arroganza, la presunzione manichea di riconoscere e sapersi accaparrare il grano, mentre il loglio toccherebbe alle altre. Queste altre, chi sarebbero. Io, per esempio. Credo di potermi dire emancipata, sono indipendente economicamente, non soffro di deficit affettivi conclamati, e vengo considerata persona dal carattere forte, a torto o a ragione. Questo anche anzi soprattutto vent'anni fa, quando ero in formazione come studiosa, cominciavo a guadagnare da poterci vivere certo senza fasti e avevo una famiglia ancora integra, genitori vivi etc. Eppure. Eppure avevo un fidanzato ossessivo, geloso, qualche volta violento. Per lo più con le cose, che usava sbalestrare sul pavimento o scaraventare contro il muro, ma qualche volta anche contro di me. Mi strattonava, per lo più. Piatti rotti, ogni tanto. Mi controllava il telefono? Sì. Mi permetteva di avere accesso al suo? No. Una volta finse di essere a Roma (abitava in un'altra città) intimandomi di tornare a casa (ero a cena con due amiche). Io gli obbedii. Non c'era nessuno ad aspettarmi al portone. Invece c'era, eccome, la volta in cui mi prese a calci. Uno solo, per la verità, ma con vistoso ematoma, formularmente. Perché lo racconto? Perché questo fidanzato non era affatto un troglodita paracadutato nella civiltà direttamente dalle caverne. Era un intellettuale, colto, raffinato, con una educazione affettiva nutrita di classici e poesia contemporanea. Ora ha un lavoro, una famiglia, figli, vedo dai social. Ma io perché sopportavo le sue scenate, ne subivo il controllo, le scariche di rabbia? Perché ero fragile, debole, vittima del patriarcato insieme a lui? La risposta è molto banale, e anche, mi rendo conto, pericolosa. Perché ero innamorata di questa persona. Non della violenza, logicamente. Non del controllo, che mi esasperava. Ma di tutti gli altri aspetti della sua vita e della nostra relazione che violenti non erano, e tutt'altro. Bianco bianco no, e nero nero nemmeno. Mi avrebbe potuto uccidere, in un accesso di ira? Non lo so, chi può dirlo. Posso dire perché me ne sono andata. Non per istinto di sopravvivenza, ma perchè le cose alle volte si aggiustano da sole, alle volte serve una spinta (una persona a me vicina con diplomazia churcilliana parlò con entrambi e ci convinse ad allontanarci perche insieme eravamo "un sistema instabile"). Lui trovò subito un'altra (che vidi, spero per puro accidente, con una stampella, in un'occasione pubblica). Con questo non voglio sostenere e rappresentare nessuna posizione e nessuna idea definita meno che mai assiomatizzare. Solo riflettere sul fatto che nessuno può dire se non in falsa coscienza ''io no''. Perché io sì, invece, e quasi tutti, nella vita affettiva, abbiamo avuto a che fare con la violenza (controllata, certo, ma forse è anche peggio perché se si ha questo potere, di tenerla sotto la soglia di rischio, si avrebbe anche quello di non lasciarle alcun margine, penso) e non necessariamente in un contesto estremo, retrogrado o patriarcale. La passione è violenta, le relazioni hanno sempre qualcosa di terrificante e patologico (citofonare Groddeck). Io, mio, tuo: moratoria anche su aggettivi e pronomi possessivi? Tutto da rifare, nel discorso soprattutto. La scompostezza, l'egolalia, l'accoramento emotivo e compulsivo. E togliersi i sassetti dalla scarpa, con la trave nell'occhio."
Gilda Policastro
Sempre bravissima.
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scogito · 1 year ago
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Condivido.
Questo Sistema non a caso è figlio del femminile corrotto e perfido... E non a caso è il femminile Sacro la sola strada che può salvarlo.
Cos'hanno distrutto col femminismo? Cosa stanno distruggendo con l'identitá fluida?
La Giustizia non ha parenti. Ricordarselo davanti a tutti gli atti quotidiani in cui si coprono malefatte per "affetto".
Non importa quanto è profonda la gravità. Si comincia sempre da una briciola, ed è sempre la stessa malattia che si continua a ri-generare. Madri dopo madri, completamente disfunzionali.
Quando il branco di bestie non arriva all’uva se la prende con la forza, dicono che era consenziente e pensano, in fondo, che l’uva acerba è tr0ia. La madre di uno del branco aggiunge che l’uva acerba è una poco di buono. Donne (madri) che odiano altre donne (figlie) pur di salvare il membro del branco che hanno partorito e diseducato.
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vintagebiker43 · 1 year ago
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"Nascere maschi rimane un privilegio, e lo si nota, evidente, nella quotidianità. Come nel film di Cortellesi C’è ancora domani, non conto gli episodi in cui, in molte case, ho visto le donne alzarsi da tavola per aggiungere, togliere, servire piatti, e gli uomini seduti, sempre. Entrando nei negozi di giocattoli, sperimento la stessa rigida distinzione a cui ero sottoposta da piccola: quelli di cura e di bellezza per le femmine, quelli di potere e di avventura per i maschi. Ovunque, il linguaggio ribadisce la stessa feroce suddivisione: il notaio, l’avvocato, l’ingegnere ricorrono al maschile (anche quando sono le donne a svolgere queste professioni); la maestra, la signora delle pulizie, la tata al femminile (anche se la cura è amore ed educazione, e non dovrebbe avere perimetri di genere). Il sottinteso resta: il palcoscenico del mondo ai maschi, le retrovie di casa alle femmine. Il ruolo dei maschi è da protagonisti, quello delle femmine ancillare. Una bambina oggi, come me, mia mamma, mia nonna, assorbe un non detto scandaloso: le femmine valgono meno.
E, se valgono meno, possono essere pagate meno, occuparsi da sole di altri – marito, figli, genitori – mai di loro stesse. Se sono meno, possono essere picchiate, violentate e uccise. Come si picchia, si violenta e si uccide qualcuno a cui non si riconosce dignità, che non si ascolta, non si guarda; figuriamoci se si ama.
I femminicidi non sono una questione sentimentale, ma di potere: un problema strutturale della nostra società. L’amore è il contrario del potere. Se ti amo, non voglio che tu mi appartenga. Se ti amo, non sopporto di vederti serva, muta, umiliata. Se ti amo, ti accompagno in questa vita, non ti soffoco. Per amare c’è una condizione di granito: la parità. Nella sottomissione si può solo ferire. [...] Allora serve una detonazione dei rapporti di forza e del linguaggio. Un mondo aperto: liberato. Dove i figli si crescono alla pari, gli anziani si curano alla pari, le carriere si percorrono alla pari: in cui si decide e si agisce alla pari. E nessuna è un meno. E tutte siamo persone: rispettate, libere, quindi amate."
Silvia Avallone, su 7Corriere - il 19 gennaio 2023
*Silvia Avallone - Fotografia di Luca Brunetti
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pier-carlo-universe · 12 days ago
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INAUGURAZIONE DEL PROGETTO “IN E OUTDOOR EDUCATION”. Alessandria
Mercoledì 29 Gennaio, alle ore 16.30, nel Quartiere Cristo presso l’asilo nido comunale “Paola Trucco” in via Donato Bramante n.18, sarà inaugurato il Progetto “In e Outdoor Education”, con il primo laboratorio “Pittura con Pennelli Naturali”, rivolto all
Mercoledì 29 Gennaio, alle ore 16.30, nel Quartiere Cristo presso l’asilo nido comunale “Paola Trucco” in via Donato Bramante n.18, sarà inaugurato il Progetto “In e Outdoor Education”, con il primo laboratorio “Pittura con Pennelli Naturali”, rivolto alle bambine ed ai bambini da 1 anno a 6 anni e alle loro famiglie che abitano nel quartiere Cristo (e zone limitrofe). Il progetto, in attuazione…
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scogito · 9 months ago
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🎯
Ho assistito di persona a una situazione in cui il genitore doveva chiedere scusa e per quanto ne so non l'ha fatto.
Sarebbe stato un vero esempio di maturità, di responsabilità e dell'amore per l'altro, eppure ha preferito mettersi sul piedistallo e pretendere la ragione, giusto per quel solito senso di potere malato che faticano ad abbandonare.
Spesso non se ne rendono nemmeno conto di quanto sono replicanti del Sistema, di come trattano coloro che dicono di amare alla stessa maniera di come vengono trattati dall'autorità marcia.
Sottomissione, controllo e mai una scusa: tale Stato tali genitori.
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scogito · 2 years ago
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E qui, cari papà e mamma, c'entrate voi.
Che non riconoscete e non date riconoscimento quando si deve e come si deve. Tappando spesso le ali per creare figli a vostra immagine e somiglianza. Perché ammettiamolo, il più delle volte giocate a fare Dio e, non essendolo, fate solo casini della miseria.
💌
Se nello sviluppo della mia identità non vengo pienamente accettato per quello che sono, con i miei sentimenti e bisogni, rischio di non riconoscere la mia voce interiore, e ciò che faccio è volto ad essere visto e accolto dall’Altro.
Di conseguenza mi ritroverò a non distinguere chi SONO da ciò che gli altri vogliono che io sia.
Alice Miller
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carmenvicinanza · 2 months ago
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Shirley Chisholm
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Voglio essere ricordata come una donna che ha osato essere catalizzatrice di un cambiamento. Non voglio passare alla storia come la prima deputata nera della nazione o la prima donna nera deputata. Mi piacerebbe che dicessero che Shirley Chisholm aveva fegato.
Politica, attivista, educatrice, Shirley Chisholm, è stata la prima donna nera eletta al Congresso degli Stati Uniti.
Unbought and Unbossed, (Non comprata e non comandata) è stato il suo motto che l’ha accompagnata per tutta la vita e che voluto anche sulla tomba.
Prima, durante e dopo i sette mandati alla Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti, dal 1969 al 1983, si è sempre schierata in difesa dei diritti donne e delle minoranze, per la tutela dell’educazione pubblica, dell’infanzia e della sanità, contro le guerre e per giusti salari. Spesso isolata, inimicandosi il suo stesso partito.
Shirley Anita St. Hill nacque a Brooklyn, New York, il 30 novembre 1924,  era la maggiore di quattro figlie di genitori immigrati, Charles St. Hill, operaio della Guyana e Ruby Seale, sarta delle Barbados.
Dal 1929 al 1934 ha vissuto dalla nonna in un piccolo villaggio di Barbados, dove ha iniziato le scuole elementari e preso l’accento che l’ha contraddistinta per tutto il resto della sua vita. Tornata a New York ha dovuto affrontare pregiudizi e discriminazioni perché troppo intelligente e troppo combattiva, oltre che nera.
Dopo il diploma alla Brooklyn Girls’ High School, le erano state offerte borse di studio per atenei prestigiosi, ma non potendo gravare sulla famiglia, aveva scelto di frequentare il Brooklyn College, dove si era laureata in lettere con specializzazione in sociologia e spagnolo. All’università aveva vinto diversi premi nella squadra di dibattito e fatto parte della Harriet Tubman Society, dove è iniziato il suo attivismo.
Nel 1949 ha sposato Conrad Q. Chisholm, un investigatore privato da cui aveva preso il cognome che ha portato anche dopo il divorzio, avvenuto nel 1977.
Il suo primo lavoro è stato come insegnante di scuola materna, di sera studiava per il Master in educazione della prima infanzia che ha conseguito alla Columbia University, nel 1951.
È stata direttrice di diverse scuole e poi consulente educativa della New York City Division of Day Care diventando presto un’autorità in materia di istruzione precoce e benessere infantile.
Si è avvicinata alla politica all’inizio degli anni Cinquanta, raccogliendo le istanze delle proteste contro la segregazione razziale e la necessità di portare sempre più donne in rappresentanza.
Ha fatto parte della League of Women Voters, National Association for the Advancement of Colored People (NAACP), Urban League e della sezione locale dei Democratici, da dove ha iniziato effettivamente la sua carriera.
Il suo equilibrio e intelligenza sono stati fondamentali nel delicato lavoro di far comprendere le urgenze più radicali all’establishment, tanto da diventare l’unica interlocutrice credibile per mediare tra il sistema e gruppi come le Black Panthers. 
Nel 1960, ha contribuito a formare The Unity Democratic Club, organizzazione interrazziale tra le cui missioni spiccava l’educazione della cittadinanza al processo politico, per spiegare quanto incidesse sulle loro vite, spingendo le persone a registrarsi e a votare.
Ha aderito all’atto fondativo del movimento femminista National Organization for Women ed è stata presidente della sezione di Brooklyn di Key Women of America.
Teneva insieme la lotta femminista con quella di classe. Portava la sua prospettiva di donna nera, figlia di immigrati della classe operaia. 
Nel 1964 si è autofinanziata una durissima campagna elettorale estiva strada per strada con un messaggio chiave: voglio servire la mia comunità da dove si giostra il comando. Ha vinto con 18151 voti, con un margine ampio nella corsa a tre contro il candidato liberale e quello repubblicano.
Un prodotto di quella politica è stato la Bedford-Stuyvesant Restoration Corporation, il primo modello di associazione no profit negli Stati Uniti per lo sviluppo di una comunità, per migliorare le condizioni di vita e le opportunità di occupazione in quell’area depressa di Brooklyn.
Ha fatto parte dell’Assemblea dello Stato di New York per tre legislature dove ha presentato cinquanta progetti di legge, di cui otto vennero approvati.
I programmi del suo Seek (Search for Education, Elevation, Knowledge) sono componenti integranti della vita accademica della City University of New York e della State University of NYC. Ha condotto un’accesa battaglia contro i finanziamenti alle scuole private e si è spesa invano per un progetto di legge che voleva rendere obbligatorio, per diventare poliziotti, la frequenza accademica di corsi sui diritti e sulle libertà civili per una cultura del rispetto delle minoranze e dei rapporti interrazziali.
Nel 1968, è stata eletta come rappresentante del Comitato Nazionale Democratico dopo dieci mesi di campagna elettorale durissima trascorsa a raccontare la sua storia di giovane donna immigrata che aveva deciso di sfidare e battere il proprio grande partito. In quel contesto ha coniato lo slogan: Fighting Shirley Chisholm – Unbought and Unbossed. Un manifesto vincente per dire: il mio voto non è in vendita, sono emancipata dalla schiavitù e dal colonialismo e sono una donna forte che non si fa comandare tanto a casa quanto nell’organizzazione politica.
È stata una delle fondatrici del National Women’s Political Caucus nel 1971 e, nel 1977, la prima donna nera e seconda in assoluto a far parte del potente House Rules Committee la commissione che stabilisce come viene dibattuta e emendata ogni proposta di legge.
Nel 1972 si è candidata alle presidenziali senza riuscire ad aggiudicarsi le primarie del Partito Democratico. In questo periodo, è sopravvissuta a tre tentativi di omicidio.
Era osteggiata dall’establishment del partito che voleva promuovere candidati maschi e dagli stessi uomini della comunità nera, che non vedevano di buon occhio una donna in politica. Aveva contro anche i media che la descrivevano come una femminista nera arrabbiata.
È stata la prima donna a partecipare ad un dibattito televisivo per le presidenziali, solo dopo aver fatto ricorso, perché le venivano negati gli spazi pubblici. “Quando mi sono candidata al Congresso, quando mi sono candidata alla presidenza, ho incontrato più discriminazioni come donna che come nera. Gli uomini sono uomini” ha affermato.
Al Congresso ha lavorato per migliorare le opportunità per i residenti,  sostenuto l’aumento della spesa per l’istruzione, l’assistenza sanitaria e i servizi sociali. Si è occupata di garantire il salario minimo e si è concentrata sulla discriminazione contro le donne e sui diritti delle popolazioni native. 
Si è spesa per la revoca dell’Internal Security Act del 1950 e si è opposta alla guerra del Vietnam e all’espansione dello sviluppo delle armi. È stata una fervente oppositrice della leva militare e ha chiesto un trattamento migliore per i rifugiati haitiani.
Nel 1979 è stata una delle protagoniste della raccolta di figurine da collezione Supersisters, che aveva l’obiettivo di proporre modelli femminili di successo in campo politico, sportivo, sociale e culturale.
Ritiratasi dal Congresso nel 1983, ha insegnato al Mount Holyoke College, ha contribuito a fondare il National Political Congress of Black Women e l’organizzazione Donne afroamericane per la libertà riproduttiva.
Si è trasferita in Florida e nel 1993, ha rifiutato la nomina di Bill Clinton che la voleva ambasciatrice in Giamaica per problemi di salute. Nello stesso anno è stata inserita nella National Women’s Hall of Fame.
Nonostante l’allontanamento dalla scena pubblica e la salute cagionevole, non ha mai fatto mancare la sua voce su temi importanti.
È morta il 1° gennaio 2005, nella sua casa di Ormond Beach, in Florida.
Sulla sua vita sono stati tratti film e documentari.
Al Brooklyn College c’è un progetto che porta il suo nome per promuovere programmi di ricerca sulle donne. Lo Shirley Chisholm Legacy Project mira a promuovere la giustizia climatica e affrontare le sfide interconnesse tra ambiente, povertà, discriminazione razziale e disuguaglianza di genere.
A Brooklyn c’è una statua che la ricorda.
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viviween · 4 months ago
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La realtà delle famiglie disfunzionali, dove i genitori sono coppia eterosessuale, che porta i figli ad avere atteggiamenti non tolleranti verso i "diversi", anche per educazione religiosa, ci offre l'idea netta che l'eterosessualità non è affatto una garanzia in campo Educativo.
Il fatto che esistano famiglie eterosessuali disfunzionali indica una realtà scientifica: essere genitori biologici non basta per crescere un bimbo.
Non esiste alcuna perfezione ideale nella "famiglia tradizionale" - e lo dimostra anche l'essere cresciuti omofobi o maschilisti.
Il problema non è mai stato mettere al mondo figli (fin dall'antichità esiste l' "utero in affitto"), ma se si è adatti a crescere figli: a farli diventare adulti sani, equilibrati, poiché è questo lo scopo del prendersi cura di qualcuno: renderlo Felice.
Quello che conta per un bimbo, anche quando non ne sei il tutore legale, è il rispetto che hai per lui: della sua integrità come individuo, della sua intelligenza.
Più che di una famiglia, abbiamo tutti bisogno di un'intera società sana, che ci ami, ci Rispetti e non ci molesti.
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cicofede7 · 5 months ago
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BUONA LETTURA E SE LO DESIDERATE DATECI SOSTEGNO...❤️⚽
CALCIO: iL PENSIERO IPOTETICO
Estratto dal cap.13
“Niente è più naturale per me.
Volevo giocare a calcio.”
Da che mi ricordi ho sempre e solo colpito la palla con i piedi.
Da bambina in cortile, quando i maschi facevano la partitina di calcio, non vedevo l’ora che la palla uscisse dal campo per essere io a prenderla e calciarla nella loro direzione. Non prendendola con le mani, ma calciandola al volo, di collo pieno. Un impatto bello e preciso, del quale rimanevano tutti stupiti, ed il classico era: “Boia (esclamazione di stupore classica del toscano)! Tira meglio di noi!!”
Questo accedeva automaticamente nella palestra della scuola, nelle ville e nelle piazze.
Anche alle scuole medie,durante l’ora di educazione fisica, quando c’era la partitella di pallavolo, invece che con le mani, ricevevo con i piedi. Niente di più che naturale per me.
Volevo giocare a calcio!!
Negli anni ’80 c’era a Livorno, una squadra femminile di calcio, la ACF che militava in serie C.
Ma purtroppo non avevo fatto i conti con la mentalità (per quei tempi direi quasi normale) di mio padre. Non gli piaceva l’ambiente e giocare a calcio per le femmine non avrebbe avuto senso. Quindi niente da fare.
Fu così che, per rimanere nell’ambito calcistico, mi iscrissi (su consiglio di mia cugina che già lo era) al corso di arbitri Uisp.
Avevo appena 14 anni, e da subito, mi appassionai a questa attività.(...)
10 SECONDI MUSICALI
Era il 1992 (20 anni precisi) quando venni contattata dal presidente di una delle società più blasonate di Livorno al tempo: Il Portuale.
Il presidente, durante il colloquio mi offrì la possibilità di insegnare il mio sogno ai bambini sapendo che amavo quel tipo di calcio.
I bambini di 5 anni, che a quei tempi venivano chiamati le “Nuove Leve”…classe 1987.
Accettai subito, senza un attimo di esitazione: bambini e calcio. Un connubio perfetto per i miei gusti.
Ho tenuto tre anni questo fantastico gruppo di bambini e genitori.
Il ricordo più gratificante che ho di quel tempo, è quello di Simone, un bambino sveglio e con in testa un caschetto di capelli liscissimi.
Eravamo al campo del Carli Salviano, e nonostante fossero ancora piccoli, con l’istruttore dell’altra squadra decidemmo di farli giocare tutti, perché un bambino deve sempre divertirsi e non stare a guardare gli altri, quindi un bell’11 vs 11 e via, con il pallone che rotolava da una parte all’altra del campo e attorno quasi tutti.
Ebbene, galoppò dalla metà campo fino alla porta avversaria, riuscendo a segnare un goal. Corse subito da me alla panchina, ed ansimando, per l’ulteriore sforzo, mi disse.” Katia, il primo goal della mia vita lo dedico a te!!”…mi verrebbe da aggiungere che la lacrimuccia sul mio viso non tardò.
Sono emozioni anche queste, piccole, ma intense. Inaspettate. Noi alleniamo un sogno, un bellissimo sogno, che talvolta premia con diamanti come questo.
Un altro ricordo emozionante di quel periodo, fu fuori dalla Chiesa il giorno del mio matrimonio (1995). Non mi sarei mai aspettata quello che vidi. Mai.
Si presentò l’intera squadra con la divisa di ordinanza, ed anche lì trattenere l’emozione è stato impossibile. Ed infatti le lacrime scesero a dirotto.
Ti trasmettono tanto, il loro essere genuini e sorridenti, ma soprattutto il loro essere bambini. (…)
10 SECONDI MUSICALI
Mi stò ritrovando ad allenare figli di genitori che in passato ho arbitrato, roba non da poco.
Il commento più bello ed originale è quello fattomi da una signora qualche mese fa.
Incontrare le persone fa parte del quotidiano, ma alcune, vuol dire essere al ritmo del mondo che ci circonda.
Incontrai per caso, ed è stata lei a riconoscermi, sul posto di lavoro una signora, che avvicinandosi con il nipote per mano mi disse :” Ciao Katia!”
Rimasi un attimo sbalordita, ma lei incalzò: “ Vedi questa signora? Ha allenato a calcio tuo babbo.
Perché a Livorno il 5&5 è Gagarin, il Ponce è il Civili e l’Arbitro…beh l’arbitro è Katia!"
E mi raccontò che ogni tanto, quando è a tavola con suo figlio parlano di quel periodo e io ci entro come il prezzemolo.(…)
KATIA P. Istruttrice scuola calcio Livorno 9
CAMPAGNA CROWDFOUNDING ATTIVA fino al 10 Novembre 2024
CALCIO: IL PENSIERO IPOTETICO - FEDERICO LO CICERO
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susieporta · 1 year ago
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𝙇'𝙚𝙙𝙪𝙘𝙖𝙯𝙞𝙤𝙣𝙚 𝙨𝙚𝙣𝙩𝙞𝙢𝙚𝙣𝙩𝙖𝙡𝙚
Alcuni giorni fa stavo comprando delle scarpe in una grande rivendita cittadina. Molto grande e scarpe per tutti i gusti ed età.
Seduto su un divanetto circolare stavo provandomi delle "skechers" quando, circa mezzo metro accanto a me, sento un piccolo urlo prima ed un crescente pianto accorato poi di un bambino.
Mi volto alla mia destra e vedo, vicino a me intento anche lui in una prova di scarpe, un padre sui 40 anni con la faccia scocciata. Accanto un figlio di poco meno di 4 anni che piange, disperato, ferito più moralmente che fisicamente.
Arriva la madre e chiede "ma perché l'hai colpito?"...il padre "non mi dava pace!".
Mi sono chiesto: ma cosa sarà mai successo qui, a pochi centimetri da me, tra un figlio di 4 anni ed un padre di 40, di così grave, di così intenso, al punto da "togliere pace" a qualcuno?
Poco, probabilmente pochissimo. Eppure la procedura per insegnare al figlio a co-regolarsi in quel contesto è apparso colpirlo. Dal pianto, che si è protratto a lungo (ancora mentre stavo pagando alla cassa) e chissà per quanto ancora, è evidente che è la delusione, l'offesa, la mortificazione di un gesto di rabbia del padre contro di lui che l'ha così tanto insultato. Al punto che anche la madre non è apparsa capace di contenerlo.
Osservando seppur con tatto la vignetta familiare, mi sono reso conto di quanto quel padre non fosse consapevole di cosa ha prodotto. Ed è molto probabile che, il padre del padre (o madre) abbia usato con lui lo stesso metodo, alla stessa età, per ottenere una sorta di regolazione comportamentale ed emotiva.
Del tutto ignaro ipotizzo sia il nonno di questo bambino che l'attuale padre che, colpire fisicamente un figlio, scarica solo la propria frustrazione, ma non produce nessuna educazione. Nessuna capacità di ricomporsi emotivamente, di sentirsi regolati.
Ma soprattutto tramandando questa incapacità di generazione in generazione. Favorendo giovani adulti discontrollati, irritabili, irrispettosi dell'altro perché - nessuno - ha favorito un meccanismo di contenimento dei propri (piccoli o grandi) disordini interiori. Che anche a 4 anni si possono avere, si ha persino il diritto di avere.
L'educazione sentimentale, ben prima di farla a scuola ai ragazzi, dovremmo trovare il modo di farla a questi più o meno giovani genitori. Dove vivono, dove lavorano, dove si trovano con i loro figli. Dovremmo inventarci degli spazi (forse anche a scuola perché no, recentemente ne ho avuto occasione) nei luoghi di vita di questi giovani adulti, dove aprire uno spazio robusto di riflessione su questi temi. Sul pericolo del passaggio inter generazionale di una scarsa educazione sentimentale.
Nicola Artico
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