#eco moda
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Tendenze autunno 2024 della Gen Z: artigianalità e sostenibilità
Tendenze autunno 2024, già ci pensate? Ecco alcune idee per quanto riguarda li accessori. Con l’arrivo dell’autunno, il focus della moda e della bellezza si sposta verso la creatività e l’individualità, soprattutto per la Gen Z. Secondo le ultime rivelazioni di Pinterest, questa stagione sarà dominata da accessori fatti a mano e da un forte interesse per nuovi hobby creativi. Le ricerche per…
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Moda e stile: le tendenze primavera/estate 2024 da tenere d'occhio
La moda è un settore in costante evoluzione, con nuove tendenze che emergono ogni stagione e influenzano lo stile e l’abbigliamento di milioni di persone in tutto il mondo. Le tendenze primavera/estate 2024 promettono di portare freschezza, innovazione e stile alle passerelle e ai guardaroba di tutti gli appassionati di moda. Continue reading Moda e stile: le tendenze primavera/estate 2024 da…
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#colori vivaci#eco-sostenibilità#inclusività#moda#moda genderless#moda loungewear#stampe floreali#stampe tropicali#stile#tendenze primavera/estate 2024
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Stella McCartney // Fall 2024
#PFW - Paris Fashion Week
#Stella McCartney#Fashion#Eco#Time#sustentabilidade#sustentable#Paris Fashion Week#PFW#Paris#Moda#Minimal#90s
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https://www.modaonlinemagazalari.com/moda-markas/heavy-eco/
Heavy Eco
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Trama Afetiva desfila na Brasil Eco Fashion Week
Trama Afetiva desfila na Brasil Eco Fashion Week
A Trama Afetiva, plataforma de cocriação com direção criativa de Jackson Araujo, se prepara para mostrar pela primeira vez o resultado de suas coleções colaborativas com Thais Losso, Jorge Feitosa e Itiana Pasetti, durante um desfile na Brasil Eco Fashion. Para quem não sabe, há três anos o projeto desenvolve pesquisas de design sobre inovação e ressignificação dos resíduos da indústria têxtil,…
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#agrund#arlindo grund#brasil eco fashion week#estilo#fashion#moda#moda feminina#moda masculina#style#trama afetiva#woman style
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youtube
#learn more#teach#how to#buttons#button#install#snaps#snap fasterners#modern sewing#modern fashion#modern patterns#eco fashion#moda#clothes#clothing
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Dall’eco-ansia all’eco-razzismo
Di Marcello Veneziani
L’angoscia si esprime oggi in due modi: ego-ansia ed eco-ansia. Siamo angosciati per l’io e per il pianeta; di tutto quel che sta nel mezzo – persone, famiglie, società, nazioni, popoli, culture, religioni, civiltà, umanità – ci interessa sempre meno.
L’eco-ansia è la patologia dei nostri giorni, una specie di infiammazione ecologica. I malati più acuti sono i ragazzi, poi vengono i media e tutti gli altri; ma ne patiscono anche alcuni ministri. La nuova linea di discriminazione tra i buoni e i cattivi, gli insider e gli outsider, è quella: se ti affibbiano il marchio di negazionista ambientale sei fritto, come il pianeta; hai perso ogni rispetto, non puoi coprire alcun ruolo, devi solo nasconderti.
Ma cos’è l’eco-ansia? E’ un fenomeno non solo italiano ma occidentale, trae suggestioni dal movimento di Greta Thunberg, però non nasce dal nulla: alcune emergenze ambientali e climatiche toccano reali alterazioni dell’eco-sistema. Quanto però queste dipendano dai comportamenti umani è da verificare: alcune di più (per es. la plastica nei mari), altre assai meno (i mutamenti nell’ecosistema). E poco dipendono da singoli stati e singoli paesi, di modeste dimensioni, come il nostro. L’eco-ansia è divenuto improvvisamente ossessivo, monomaniacale, con un giacobinismo ideologico e un fanatismo patologico.
Ma la sua motivazione originaria, la salvaguardia della natura in pericolo, è sacrosanta. Ed è più coerente con una visione del mondo conservatrice e tradizionale, in cui è un bene primario la difesa, il rispetto e l’amore per la natura, a partire dalla natura umana. Il legame profondo tra l’uomo e la terra, le sue radici, il suo habitat, i suoi luoghi originari e identitari sorgono non a caso in una concezione della tradizione, nei suoi legami spirituali e biologici, naturali e culturali. A lungo questa visione della natura ha trovato come suoi avversari il capitalismo e il comunismo, il mercato globale e la pianificazione statale socialista, figli entrambi della rivoluzione industriale, e legati entrambi a una visione utilitarista, produttivista e antinaturale. Alla fine degli anni ottanta, in Processo all’Occidente, analizzai questo scontro tra la difesa della natura e i suoi nemici ideologici, sovietici e mercantilisti.
Poi con gli anni è avvenuto qualcosa: da una parte l’insensibilità verso i temi della natura in pericolo da parte di una “turbo-destra” liberista e ipermercatista, dall’altra la sostituzione di madre natura con la maternità surrogata dell’ambiente, termine più asettico che può valere per qualunque habitat, anche una fabbrica. Da lì nasce il ménage à trois fra eco-ansia, progressismo radical e capitalismo “eco-sostenibile”.
Il risultato che ne è derivato è questo ambientalismo allarmato, antinatura, ideologico e funzionale al nuovo capitalismo globale e allo sfruttamento del business ambientale. Al massimalismo ideologico e al suo profitto politico si unisce così l’eco-speculazione. La strategia pubblicitaria delle grandi aziende alimentari non vanta più le qualità dei prodotti ma il fatto che siano eco-sostenibili; vantano la loro buona coscienza ecologica oltre alla buona coscienza ideologica (gli spot con dosi obbligate di mondo verde, ma anche nero, gay e arcobaleno). Il pregio principale del prodotto è che non nuoce all’ambiente ed è ideologicamente conforme; non conta la qualità del cibo ma i rifiuti e gli effetti ideologici derivati. All’industria del food eco-sostenibile si è aggiunta la cosmesi e la moda eco-sostenibile; grandi marchi vendono vestiari, scarpe, creme eco-sostenibili. L’eco-sostenibile leggerezza dell’essere… Ma il core business dell’eco-ansia è nei farmaci, nella sanità e nelle cure psicanalitiche. Viene monetizzata l’ansia. Per non parlare della riconversione verde dell’industria e delle case, dei trasporti e dell’energia. Un business enorme sullo spavento diffuso e sulle nuove norme obbligate da adottare.
Sulla nuova pandemia chiamata eco-anxiety e sul suo target giovanile, ho scritto nel recente libro Scontenti. L’eco-ansia investe la salute mentale; vi si accompagna un disturbo psichico chiamato solastalgia, generato dal cambiamento eco-climatico. I sintomi e gli effetti dell’eco-ansia sono: attacchi di panico, traumi, depressione, disturbi da stress, abuso di sostanze, aggressività, ridotte capacità di autonomia e controllo, senso d’impotenza, fatalismo e paura, spinta al suicidio. E un grande senso di colpa ambientale. Il popolo degli eco-ansiosi reputa il futuro “spaventoso”.
Gli eco-ansiosi sono considerati malati virtuosi, i loro disturbi sono ritenuti lodevoli perché denotano sensibilità green. I colpevoli invece sono quegli adulti che hanno così malridotto il pianeta e non patiscono eco-ansia. L’umanità viene nuovamente divisa in buoni e cattivi, e dopo i no-vax, i no-war, ecco i no-eco: da una parte le vittime gli eco-ansiosi, dall’altra i negazionisti, gli eco-mostri, che minimizzano il problema da loro creato.
La follia ulteriore di questa drammaturgia ambientale è che non produce effetti concreti sull’ambiente: una volta esaltata la minoranza benemerita degli eco-attivisti e vituperata la minoranza maledetta degli eco-negazionisti, non viene fuori alcun risultato pratico in tema di degrado ambientale. Si è solo usata un’ennesima discriminazione ideologica per sostenere un nuovo, manicheo eco-razzismo da cui trarre profitto politico. Allo stesso tempo l’eco-ansia dirotta il mondo dalla realtà: l’incubo è il clima, concentriamoci sul riscaldamento globale, il resto è irrilevante o meno urgente. Non pensate più all’economia e alla politica, alla società reale e all’economia, alla famiglia e alle ingiustizie, alla disumanizzazione e alla fine della civiltà; è in ballo il pianeta da salvare. Tra l’io e il pianeta c’è di mezzo il vuoto; di quello spazio se ne occupa la governance globale. Voi pensate al clima, agli animali e ai ghiacciai, e al vostro io angosciato. Il mondo si va disumanizzando, ma il tema su cui concentrarsi è il clima. L’importante è salvare il pianeta; e se l’umanità è di ostacolo, salviamo il pianeta anche a prezzo dell’umanità.
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YSBLF
Hi everyone. I finished watching YSBLF and omg. I binge-watched about 50 episodes and now am drowning in schoolwork and actual work. But I am here to say that I loved it. It was so amazing and I cried, laughed, and cheered for Armando and Betty. This novela means a lot to me.
I want to watch eco-moda but I seriously cannot find it online 😭 if anyone knows where to watch it pls let me know!
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Mutande mestruali lavabili, ecco le migliori secondo Altroconsumo
Le mutande mestruali lavabili assorbenti rappresentano una svolta nel modo di gestire il ciclo mestruale che ad oggi convince sempre più donne. I vantaggi sono tanti. Le period pants infatti offrono un’opzione confortevole, ecologica e a lungo termine rispetto ai metodi tradizionali come assorbenti, tamponi e coppette mestruali. In commercio ne esistono tantissime proposte da marche…
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Close-up of our iconic #Welt eco black frame with bio-based orange lenses shown by @zeneraa 🌿 #TBDEyewear #Sustainability . . . . . . . . #sunglasses #occhiali #lunettes #gafas #oculos #sonnenbrille #sunnies #specs #elegance #vintage #style #accessories #optical #opticien #ottica #optician #sustainablefashion #ecofriendly #ecofashion #mido #fashion #moda #mode #vintagestyle #accessories #menswear #mido #sustainable #casualchic #sustainable (at Lisbon, Portugal) https://www.instagram.com/p/Cp2iEXgsnG9/?igshid=NGJjMDIxMWI=
#welt#tbdeyewear#sustainability#sunglasses#occhiali#lunettes#gafas#oculos#sonnenbrille#sunnies#specs#elegance#vintage#style#accessories#optical#opticien#ottica#optician#sustainablefashion#ecofriendly#ecofashion#mido#fashion#moda#mode#vintagestyle#menswear#sustainable#casualchic
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E' FURNUTA, SE N'E' ACCORTO PURE IL MANIFESTO -
Nei grandi circoli della finanza capitalistica (...) la transizione ecologica non sembra più raccogliere i consensi di un tempo.
Tra i grandi proprietari cresce la fazione che contesta l’eccessiva rigidità delle misure necessarie a ridurre le emissioni inquinanti. L’idea che ora va di moda è che la transizione “green” è troppo veloce e che l’aumento dei costi di produzione rischia di diventare insostenibile.
Il cambio di orientamento ai vertici del potere si avverte un po’ ovunque nel mondo. Attuale capofila è il premier britannico conservatore Rishi Sunak, che ha messo in discussione non solo il ritmo di abbattimento delle emissioni ma anche gli obiettivi di eco-compatibilità fino ad oggi vigenti nel Regno Unito.
Ma anche nel nostro paese si avvertono riverberi della nuova tendenza. Al recente Italian Energy Summit del Sole 24 Ore, l’amministratore delegato di Eni è intervenuto sulla nuova “dottrina” di Sunak sostenendo l’esigenza di ridimensionare gli obiettivi europei della transizione verde, e possibilmente di adattarli alle specifiche caratteristiche di ciascun paese. Un adattamento al ribasso, ovviamente.
Questi nuovi venti di «capitalismo anti-ecologico» sembrano esser diventati dominanti anche nella topica vicenda dell’Ex Ilva di Taranto. L’idea della ricapitalizzazione da parte dello Stato, per portare avanti la riconversione ecologica dell’impianto e la bonifica del territorio, appare ormai sconfitta. Il governo Meloni non ha nessuna voglia di mettere altri soldi pubblici sul progetto di acciaieria «verde», e si para affermando che i contribuenti non capirebbero. (...)
I capitalisti nemici dell’ambiente stanno pescando consensi in una classe lavoratrice frammentata e già martoriata dall’inflazione, (...) che ciò nonostante appare sempre più insofferente verso i costi della transizione ecologica. Con qualche ragione, a ben vedere. (...)
In questo scenario, c’è il rischio concreto che nei circoli dell’alta finanza la questione ecologica perda il suo glamour. (...)
Ci potremo arrivare con il libero mercato, come i circoli del capitalismo ecologista talvolta amano suggerire? Con buona pace delle fantasiose storielle sui benefici della cosiddetta «finanza verde», la risposta è negativa. Per quanto turbi gli animi dei ricchi, ecologisti o meno che siano, la soluzione potrà essere una soltanto: una versione, inedita e innovativa, di piano collettivo.
Da IL MANIFESTO, https://ilmanifesto.it/perche-ai-capitalisti-non-piace-piu-il-green
I sapientoni benecomunisti se ne sono finalmente resi conto: la transizione eco energetica - t.e.e. - non tira più come prima tra chi ci ha messo i capitali e ne ricava i profitti (mentre i costi rimangono a chi é lasciato vivere purché consumi). La t.e.e. non ha MAI tirato tra chi lavora, ha sempre suscitato la perplessità di chi ha acquisito con profitto la matematica di terza media ma era un affarone troppo ghiotto per la finanza globale. I benecomunisti, sempre i più boccaloni perché confondono i loro desideri con la realtà, non hanno mai voluto capire è che la t.e.e. era solo un calesse momentaneo dopo altri per la speculazione finanziaria. Si sono illusi che fosse una reale conversione del Globalismo finanziario alle loro Verità, ma il loro statalismo era il solito riflesso monopolista, i soldi ai burattini da Greta ai giornalai era cibo a cani da guardia, quelli ai ricercatori era per ottenere ricerca sc sc scientifica "educated" e guidare il parco buoi. Ora non più, è furnuta: il grido che non si sente ma c'è è RIENTRARE, chi ha dato ha dato ... rimangono solo le retroguardie retrò provinciali tipo Elkann. Ai compagni delle Ztl che girano per i terrazzi a caccia di apericene, non resta che chiagnere ...
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Estaba mirando tras la ventana a dos pequeños jugar, se miran y sonríen y en algunos momentos parecen discutir para luego solo burlarse de si mismos y de su tamaña ridiculez de estar enojados. cuando un voz fuerte comienzo ha pasar la lista. Allí mi nombre entre tantos otros. Tome asiento y las minucias de este momento en concreto los paso por algo.. la lapicera y las notas sobre la mesa, el café cargado, y ese aire insoportable de diversos de perfumes a cada dos pasos .. todos parecen estar meditando grandes asuntos según sus rostros, escucho en un lejano sonido temas como; los balances del mes, el porcentajes de vidas, las ropa que está de moda y lo que se supone atribuye un atractivo al carácter de una persona. Y yo solo puedo pensar en esos dos niños y su fantástico mundo, en sus miradas y sus pensamientos claros como sus risas, en sus sencilla forma de expresarse sus anhelos y querer sin causar una despliegue de egos, solo así, como se cae la brisa, como se escucha los pájaros. Me pesan los huesos y el cansancio se hace segundo a segundo parte de mi respiración. Recojo mi agenda y el lápiz, me dirijo a la salida. de forma mecánica estoy cruzando la calle directo al parque de almendros. Como un agüero en las manos solo miro pasar los minutos, solo repaso mi propia respiración y me mantengo entre un aparente vacío que busca pensamiento, hasta que su mano tocan mi hombro.
- ¡hace un clima algo revolcado el día de hoy..! -
Su sonrisa delgada se funde entre su labio inferior, el aire mojado de su voz hace un contraste con sus ojos de fuego,
- lo es. Se dice que estará así durante todo el mes según el reporte del clima .. -
Soltó una risa divertida en cada palabra. Era una mezcla de ternura, de sorpresa y algo de preocupación. Al oír su risa navegar entre el eco del viento también comencé a reír. No podía creer que le hubiera hablado de aquella manera, me faltó agregar, "que se intuían lluvias tempestuosas según las noticias dado a los últimas estadísticas de los años anteriores" .. se ruborizó ligeramente, se sentó a mi lado tomando mi mano como un roce de brisa
- si ha de llover a cantaros hagamos dos pececitos para así nadar juntos por las costas del almendro. ¿No te parece un gran plan de ataque para un clima tan dispuesto? -
Allí la vida despertada a su recorrido, se aceleraba entre mis pulmones. Nada pesaba, todo era tan suave y colorido, como un mundo aparte.
- ¡Lo ves..!, ahora sí están presentes tus ojos, tu mirar verdadero, no ese otro que pretendías mostrarme, aunque no te niego que tiene su encanto metódico y su mirar recio un no sé que..
- lo mismo le pasan a tus ojos cuando te adoleces y estás ausente, y aun así esa otra parte tiene también uno sé que..
Volvió a reír, y con suavidad apretó mis manos entre sus dedos,
- lo sé. Más aun tu mirada me devuelve a mí, a mis centros y esencia -
Allí nos quedamos mojándonos por la lluvia.
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It's so typical of this show's humor to have every higher-up in Eco Moda obsess over what sinister plot the ebul all-powerful ex-secretary might be spinning to cacklingly throw them into pits of even greater misery than they're already wallowing in, meanwhile cut to Betty trying to crack the mystery of high heels and just enjoying her new-found freedom from all these assholes.
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https://notizieoggi2023.blogspot.com/2024/02/la-poesia-deve-alzare-le-proprie.html La poesia deve alzare le proprie barricate contro l'invasione dell'antiumanesimo Soltanto chi come me, o come qualcuno dei miei lettori, ama davvero la letteratura si rende conto, senza ipocrisia, che nella società odierna e per le attuali classi dirigenti la letteratura è diventata un impiccio, un residuato, qualcosa da portare in cantina a riempirsi di polvere. Oggi è, o sembra, tutto finito. Inutile ricordare agli uomini della politica e dell'economia, qualunque sia il loro colore politico, che se l'Italia non è rimasta una espressione geografica, ed è nata in quanto entità storica e statuale è stato soprattutto perché l'hanno sognata, preconizzata, amata i poeti, da Dante a Petrarca, da Foscolo a Manzoni al giovane Leopardi, da Carducci a D'Annunzio, da Ungaretti a Pasolini. Inutile ricordare che l'Italia è prima di tutto la sua lingua meravigliosa e dorata, è il suo patrimonio inesauribile d'anima, d'arte, di poesia, di musica. Sembra che sia chiaro soltanto tra i pochissimi grandi uomini rimasti in Italia, penso a Riccardo Muti. Sono venuti in odio i modelli eccellenti, erosi da un falso egualitarismo straccione, e dal dominio dei social, dove «uno vale uno» e il primo pirla può impunemente apostrofare un premio Nobel: fenomeno che condannò anche Umberto Eco, non sospettabile certo di simpatie per gli «apocalittici» nemici della modernità. La scuola, disastrata in maniera equanime da governi di sinistra e di destra sino all'abominio grillino dei banchi a rotelle, ha ridotto lo studio della letteratura a pochi autori, spesso soltanto del Novecento, ignorando i classici e il loro splendore e, di fronte ad ancora tanti bravissimi insegnanti, c'è sempre qualcuno (a volte ministri come il non rimpianto Franceschini) che preme per dare più spazio a fumettisti, saltimbanchi, cuochi, comici, rapper, trapper, cantautori, dj, influencer: seguendo pedissequamente ogni moda. Si è inventato il binomio scuola lavoro, come se l'insegnamento invece di formare prima di tutto esseri umani nella loro interezza dovesse formare pizzaioli, con tutto il rispetto per la categoria. Il lavoro della scuola era far crescere il sapere e l'anima del ragazzo, la sua comprensione di se stesso, della società, della storia, del mondo. E niente poteva farlo meglio di quell'antico ma sempre nuovo sistema di conoscenza che è la Letteratura. Niente formava di più e più in profondità che leggere poesie e romanzi, grandi strumenti di educazione al destino. Niente formava di più che il pensiero dei grandi, da Machiavelli a Galileo, da Vico a De Sanctis. Intendiamoci, non è che oggi non ci siano più quelli che scrivono poesie e romanzi. Ormai il 90 per cento degli italiani ha pubblicato un romanzo, i social diffondono a piene mani poesia, e chiamano poesia anche ogni incolpevole vagito e belato sentimentale. Ci sono in giro migliaia di sedicenti autori che scrivono tutti allo stesso modo, carino e insignificante, quasi sempre lontani da ogni scossa metafisica, da ogni senso del mistero, da ogni empito fantastico, e riducono il romanzo a qualche bella frase, a qualche trovata, o a tanto lacrimoso patetismo autobiografico. Eppure in questo mare magnum, dove nessuno distingue più niente da niente, ci sono ancora libri appassionanti e autori veri. Fiorisce la letteratura di genere, dove almeno persistono i temi eterni del male, della giustizia, della verità, e che il mercato premia (cosa che è vano vituperare): io leggo con piacere per esempio Donato Carrisi, e quando mi è capitato di conversare con Maurizio De Giovanni ho toccato con lui temi a me cari come il mito con più vivacità che con autori snobbetti e un po' premiati, magari usciti dalla celebratissima scuola Holden. Poeti veri e grandi, penso ad esempio a Milo De Angelis, esistono ancora. E ogni giorno ricevo testi di giovani che credono nella poesia e scrivono in cerca di nuove forme del vivere e di assoluto. Scrittori di alta qualità ci sono, Sandro Veronesi, Antonio Scurati, Eraldo Affinati, per esempio. E ci sono i critici, penso a Giorgio Ficara, a Alfonso Berardinelli, a Massimo Onofri, a Silvio Perrella, per altro saggisti e scrittori in proprio: ma esiste sempre di meno lo spazio editoriale e istituzionale per esercitare l'importantissimo compito della critica, vagliare la produzione letteraria, individuare i valori più forti, non transeunti, seguire gli autori, sostenere una tendenza. Oggi tutto è effimero, volatile, virtuale. Leggero: ma non si dica con criminale menzogna che è la leggerezza di Italo Calvino: tutt'al più è quella di Luciana Littizzetto. A cui preferisco le giovani tiktoker, che quando cinguettano innamorate di un titolo possono anche riservare sorprese, magari stanno rileggendo e rinverdendo un classico... Il vuoto è prima di tutto un vuoto sociale, culturale, spirituale. Ed è da connettersi al crollo dell'umanesimo, che dalla Firenze del Rinascimento sino all'esistenzialismo di Sartre e di Camus aveva innervato la cultura europea. Per molti esponenti del mondo intellettuale l'essere umano non è più al centro della società, l'essere umano intero, in carne ed ossa, con i suoi bisogni, i suoi desideri, le sue debolezze, la sua follia, la sua capacità di ribellione, di autodeterminazione del proprio futuro. Ed è caduto a picco il senso della Tradizione, che è da modaioli imbecilli vedere come passato e polvere, mentre è conoscenza attiva e critica delle radici e insieme forza propulsiva per proseguire nella costruzione di una civiltà. La letteratura è stata a lungo il midollo spinale (l'espressione è di Jacques Attali) di una Nazione. E certamente di quella Europa che per primo Victor Hugo sognò come «Stati Uniti d'Europa». Senza letteratura, senza poesia, senza il primato dello spirito si configura una società non liquida, come vuole una celebre definizione sociologica, ma smidollata, un'Europa vaso di coccio tra le Potenze del nuovo ordine mondiale, prona di fronte alle insidiose idiozie nichiliste della cosiddetta cancel culture che ha soffiato dall'America in questi anni e alla fine si è rivelata una cultura della cancellazione, o del tentativo di cancellazione, guarda caso, proprio della parte gloriosa della cultura europea, oggi indifesa, incapace di reagire, di ritrovare l'orgoglio e l'amore di se stessa. Per la prima volta nella storia dell'umanità al vertice dei valori, come potere assoluto e incontestabile, è rimasta l'economia, declinata come finanza e profitto. E per la prima volta nella storia dell'umanità tutto il resto viene considerato un ingombro, qualcosa di attardato e inutile: il sacro, l'ideale, la gratuità, il valore, l'onore, la bellezza spirituale, la ribellione: il tesoro millenario della letteratura, da Omero a Borges. Il primato totalitario del profitto non ha niente a che fare col liberalismo che conosco io, quello di Benedetto Croce, Panfilo Gentile, Salvador De Madariaga. È in realtà un feticcio, un idolo, un Vitello d'Oro senza nessun Mosè in vista pronto ad abbatterlo: una irresistibile forza disumanizzante. Il pericolo, senza un nuovo umanesimo per il XXI secolo, è che si corra verso un'era di uomini-macchina, in balia di piccoli desideri indotti dalla pubblicità (e non so ancora per quanto dai miserabili imbonitori elettronici detti influencer), un'era di esseri privi di carne, di anima, di sesso, di radici, di sogni, vacui consumatori di tempo libero, prodotti deperibili e altrettanto deperibili ideologie. Uno strumento di opposizione, di resistenza e forse di contrattacco rispetto alle forze dell'antiumanesimo è la voce legislatrice (anche se mai riconosciuta come tale) della poesia, quell'antico e attualissimo sistema di conoscenza dell'anima e dell'universo che chiamiamo letteratura. Per questo nel disegno dei dominatori tecnologici ed economici del mondo poesia e letteratura non devono valere più niente, non devono avere spazio né ascolto. O, come ho appreso interrogando Chat GPT, opere poetiche e narrative potranno essere prodotte, pulite e anestetizzate, dalla IA, «assolutamente sì». Non so se un disegno così riuscirà. Dico soltanto che se riuscirà, quando saranno abbattute le statue di Virgilio, Dante, Shakespeare, Michelangelo, Goethe, Beethoven, Voltaire, Tolstoj la civiltà europea sarà finita. A me questo disegno non piace, e sono disposto, cari lettori, ad avversarlo sino all'ultimo sangue. All'ultima pagina.
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Il World Economic Forum lo ha detto chiaramente:
"Non POSSIEDERAI nulla e SARAI felice".
Bisogna quantomeno dargli atto dell'onestà intellettuale; non hanno detto infatti:
"Non POSSIEDEREMO nulla e SAREMO felici".
Per apprezzare fino in fondo lo straordinario pezzo che segue consiglio di tenere bene a mente due ambienti: da un lato le meravigliose case degli anziani di paese, che straripano di oggetti, foto di famiglia, ninnoli e cianfrusaglie; dall'altro le asettiche residenze minimali che tanto vanno di moda oggi, che somigliano più a Bed&Breakfast che ad abitazioni e che straripano di tecnologia ma sono prive di qualsiasi riferimento al passato o alla storia della famiglia.
Quando tutta la memoria sarà digitale, bastera un click per cancellare il passato e riscrivere la storia a piacimento.
Giorgio Bianchi
TUTTA COLPA DI FIGHT CLUB.
Di Lorenzo Vitelli.
La musica su Spotify. I film su Netflix. I documenti su Cloud. I libri su Kindle. L’enciclopedia su Wikipedia. Le foto su Instagram. Il lavoro su Drive. Il cibo su Glovo. Siamo nullatenenti. Affittuari di esperienze. E se vi dicessimo che la colpa è di Fight Club, un’apologia del post-capitalismo?
Fight Club, il film diretto da David Fincher e tratto dall’omonimo romanzo di Chuck Palahniuk, ha segnato profondamente l’immaginario dei Millennials, la generazione che comprende i nati tra i primi anni Ottanta e la metà degli anni Novanta. Interpretato dal riuscito binomio Norton-Pitt, il primo un impiegato mediocre, frustrato e insonne, e il secondo (in verità il suo doppelgänger) un carismatico e imprevedibile giovane kerouachiano a capo di un’organizzazione eco-terrorista, questo lungometraggio è uscito nelle sale statunitensi nel 1999, sul finire del secolo, quando qualcuno credeva che la storia fosse giunta al termine. Negli anni si è affermato come un vero e proprio cult movie, un contenitore simbolico da cui i Millennials hanno attinto citazioni e riferimenti anti-capitalisti, pose e stili di vita, poster e magliette, tanto che taluni hanno eletto il film a manifesto generazionale. Affresco schizofrenico della società tardocapitalistica il film offre una critica ridondante e fuori tempo massimo alla società dei consumi.
Si tratta di una critica all’americana della società americana, un’esplicita condanna all’accumulazione di oggetti, alla mercificazione del mondo, alla corsa ai consumi emulativi che caratterizza la classe media, in particolare i colletti bianchi, le masse impiegatizie e salariate incastrate nella gabbia trigonometrica casa-starbucks-ufficio e ritorno. A questa vita si contrappone il fight club, zona franca dell’escapismo selvaggio all’interno della metropoli. Un luogo dove si combatte a mani nude, senza regole, e che permette ai suoi adepti, quelli che si sono risvegliati dall’american dream – un risveglio che assomiglia all’effetto della red-pill di Matrix (film uscito nello stesso anno) – di riscoprire la cattività del loro essere interiore attraverso una violenza che diventa ricreativa e terapeutica, violenza redentrice che desta l’individuo dalla sua disforia esistenziale, rendendogli evidente l’asimmetria tra ciò che crede di essere e ciò che realmente è. In modo superficialmente nietzschiano, il film trasmette messaggi di questo tipo: “Tu non sei il tuo lavoro, non sei la quantità di soldi che hai in banca, non sei la macchina che guidi, né il contenuto del tuo portafogli, non sei i tuoi vestiti di marca, sei la canticchiante e danzante merda del mondo!”. Stampata sulle magliette, tatuata sugli avambracci, utilizzata per citazioni fuori luogo sui propri profili Facebook è una frase che per assurdo oggi suona come un claim pubblicitario: “le cose che possiedi alla fine ti possiedono”. Una lezione, questa, che noi Millennial a quanto pare abbiamo introiettato alla perfezione, finendo poi per vederci costretti a metterla in pratica. Infatti non siamo più posseduti dalle cose che possediamo, perché non le possediamo più! Macchine, case, vestiti di marca, conti in banca in positivo sono prerogative che la nostra generazione non contempla. Nullatenenti, al massimo possiamo affittare esperienze: ascoltiamo musica e vediamo film in streaming, leggiamo libri su supporti virtuali, non acquistiamo più riviste né giornali, abitiamo case dormitorio per tempi sempre più ridotti, guidiamo macchine non nostre, lo smartworking ci ha privato persino di un ufficio in cui lavorare stabilmente. Le città testimoniano di questo mutamento: niente più negozi di dischi, biblioteche, cinema, teatri, niente più uffici e forse, a breve, neanche più scuole. Pur rimanendo professionalmente frustrati come il protagonista, stavolta non per colpa della vita impiegatizia ma della precarietà, ci atteggiamo a Tayler Durden quando accediamo al nostro fight club customizzato inserendo un nome utente e una password su una qualsiasi piattaforma digitale, dove non ci sono più oggetti a possederci (ma i contenuti cattura-attenzione prodotti da un algoritmo).
Fight Club perciò ci ha venduto come una forma ribellistica di liberazione dalla merce, l’esproprio che in realtà il post-capitalismo stava già mettendo in atto con il nostro tacito assenso. Interiorizzata tra i Millennials l’idea secondo cui “i beni che possiedi alla fine ti possiedono”, la nostra generazione si è rivelata un parterre perfetto, ideologicamente e antropologicamente restio all’accumulazione di oggetti, alla stabilità e alla vita borghese, a cui si potevano disinvoltamente vendere i nuovi prodotti fatti di byte, la cui immaterialità assicurava di non partecipare alla società dei consumi (come la si conosceva prima dell’avvento di internet), lasciando accedere i suoi membri al nascente mercato digitale privi di sensi di colpa ma con spirito da pionieri anti-sistema. Fight Club ha raccontato implicitamente un passaggio di consegne da un’architettura capitalistica a un’altra: il vecchio mondo fordista e industrializzato muore – come nell’epilogo del film in cui esplode la città – ma perché nulla cambi davvero. Fincher e Palahniuk hanno fornito ai Millennials un libretto di istruzioni per farla finita con il vecchio capitalismo dell’accumulazione, e una cartina per orientarsi nella geografia del nuovo mondo, hanno dato vita a una delle più riuscite apologie della società post-capitalista, insospettabilmente complice dello stile di vita anti-materico che nel frattempo la Apple aveva cominciato a pubblicizzare con il suo design buddhista e il suo comunismo light dello sharing. La Apple era già promotrice dell’abolizione degli oggetti, delle case vuote e minimaliste, di un certo nomadismo esistenziale, delle vite precarie ma customizzate. Come dice Ian Svenonius in Censura subito!!!: “Apple sprona alacremente la popolazione a liberarsi dei propri beni. La musica? Salvatela sul Cloud. I libri? Sul Cloud. I film, le riviste, i giornali, e la televisione devono essere tutti stoccati nell’etere, non per terra o in un armadio. È come vivere in un monastero modernista il cui culto è la Apple stessa”. E aggiunge: “Apple ha operato un rovesciamento del mondo che ha trasformato il possesso materiale in un simbolo di povertà, e l’assenza di beni in un indice di ricchezza e potere”.
Siamo dei nullatenenti, in definitiva, e ce ne vantiamo. Le cose intorno a noi stanno scomparendo. L’accumulazione di oggetti è diventata una pratica volgare e retrograda nonostante gli oggetti raccontino una storia, costellino i nostri ricordi. Gli oggetti erano, come dice sempre Svenonius, “dei ricettacoli di conoscenza, avevano un senso, erano totem di significato”, custodivano un sapere tramandato rispetto a quello sempre rinnovato, in costante aggiornamento virtuale, che troviamo online. Il fenomeno vintage testimonia la nostalgia per gli scaffali pieni di libri polverosi, i dischi accatastati, le videoteche e le dispense piene. Ma si tratta proprio di una posa in voga tra pochi privilegiati che conferma la tendenza della società a liberarsi degli oggetti, o comunque a dargli un’importanza sempre minore, a favore invece dell’esperienza connessa all’acquisto. Alla proprietà di qualcosa infatti, si preferisce fare l’esperienza di qualcosa: questo è diventato un mantra ormai banale tra gli startupper e gli esperti di marketing di tutto il mondo. La gente vuole fare cose, vuole condividere momenti, avventure, sensazioni, peripezie. È una rincorsa al consumo emulativo di attività esperienziali da rilanciare sui propri profili social. Siamo ancora la canticchiante e danzante merda del mondo, ma adesso non abbiamo neanche più degli oggetti dietro cui nasconderci. Vogliamo farlo sapere a tutti.
https://www.lintellettualedissidente.it/inattuali/tutta-colpa-di-fight-club/?fbclid=IwAR0x5vl4FC8oEg9lZV1UVoGoMc1CggtL7E-9IPBmDFksI_o1rASrFNUTA-4
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