#ecco cosa faccio quando mi annoio
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Un bel mucchio di emozioni
Ciao, mi presento
Io sono un cumulo di gocce nervose... preziose!
Che piange che ride che grida, che tante cose!
Se mi arrabbio, mi inquieto. Se mi preoccupo, che spavento!
Subito, mi eccito.
Calma... Non ci riesco
Mi annoio. Mi ammoscio... Se ci penso, mi stresso!
Scoppio spesso, mi esalto e faccio confusione
Non lo faccio apposta, io sono tutto amore!
Ad esempio, la mattina
Quando la mamma mi sveglia, vorrei solo abbracciarla
Sennonché le gambe sbattono di rabbia
Finché arriva un soffio d’aria e mi si posa sulla pancia
Che solletico, mamma mia! Rido e salto... Che allegria!
Poi, scendo dal letto. Corro in cucina!
Lì, mi aspetta il mio biscotto con di fianco il latte pronto
Ma che schifo! Troppo caldo! Non lo bevo! Mi rifiuto!
Ed ecco che allo sbattere contro il tavolo, il latte cade. Non volevo, [però
Mi cade addosso e non solo, anche il rimprovero!
Che fatica! Son disperata, più non posso
Ma, aspetta un attimo... Che sorpresa! Non ci credo! Cosa vedo? [Il mio pupazzo, ritrovato!
Dov’eri, caro amico? Mi sei mancato, proprio tanto!
E va bene. Mo, andiamo. Prediamo l’autobus
La vicina di fronte mi saluta; io sorrido muta muta
Lei attende. Vuol sentire la mia vocina; ma signora, io sono timida!
Tutta rossa, giro in aria; mio papà mi ha preso tra le braccia
Il trambusto mi sconvolge, ma mi piacciono le coccole
Da quando è nato mio fratello, non esisto; son gelosa, non è giusto
Ora, ne approfitto; dura poco. Ecco, son di nuovo a terra...
Nulla posso fare; se mi lamento a lui fa lo stesso, non è mai [il momento
Subito! Corriamo! Siamo in ritardo!
Ah! Un po’ d’aria in faccia! Mi fa bene, mi rilassa
Come noi, l’autobus è arrivato alla fermata.
In due tre quattro partiamo, siamo in marcia
Vedo tutto da seduta, giro a destra e a sinistra, ma non cado. [È magia!
Anche il babbo si diverte, siamo insieme finalmente!
Tra pochissimo arriviamo. Sono attenta, molto attenta
È importante, premere in tempo la fermata è un istante
Che emozione! Ce l’ho fatta!
Ora scendo, son contenta, son felice
In due tre quattro, siamo a scuola. Son curiosa!
Le maestre e i miei compagni mi aspettano
Oggi trasformiamo insieme il mondo
Mettiamo appunto il gran motore
Ridiamo nuove sfumature all’immaginazione!
Non è difficile. Basta poco
Solo un sogno a persona, forse due
Certamente, l’illusione e soprattutto...
Un bel mucchio di emozioni! Attenzione, faremo confusione!
mofred
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quello che ho scoperto sul contesto storico di Hybrid Child perché ho voglia di rantare: (A Hybrid Child’s historical setting theory. eventually a brief summary in perhaps bad english will follow. just for fun)
siccome hybrid child occupa un posto specialissimo nel mio cuore e non so neanche bene perché, ogni tanto mi diverto a fare qualche ricerca per capire se l’ambientazione è completamente frutto di fantasia o, visto che soprattutto la vicenda degli ultimi due capitoli (leggi: oav) si svolge in un periodo storico ben preciso, se invece presenta più elementi storicamente verosimili. io non ho alcuna preparazione in merito (sigh vorrei), semplicemente mi intriga mega quel periodo di sommosse casini riforme prima della restaurazione di meiji; quindi, fonti: wikipedia e qualche blog. ho letto anche i capitoli di due libri di storia giapponese sull’argomento ma sono stati completamente inutili lmao.
cos’ho scoperto quindi? partiamo con ordine. le cose che si sanno esplicitamente dalla storia: si sa che quando l’idillio spensierato dei tre dell’ave maria crasha è perché lo shōgun se ne è scappato via, quindi il loro feudo è bollato come fazione ribelle. sappiamo anche che l’imperatore, ormai tornato sul pezzo, si era impadronito del castello di Edo e ora stava andando a fare il culo al loro clan. allego prove:
il giappone in quel periodo era una militocrazia, dove il potere esecutivo era completamente nelle mani dei generali, gli shōgun. appunto per questo motivo il governo viene chiamato shōgunato o, in giapponese, bakufu (governo delle tenda. non mi ricordo perché). fatto sta che l’imperatore nel corso dei decenni aveva perso sempre di più il proprio potere effettivo, rivestendo poco più che una carica formale, dato che il governo era tutto in mano all’esercito. al di sotto dello shōgun c’erano i vari daimyō, ovvero i signori feudali di ogni rispettivo clan (han) che ricevevano le terre dallo shōgun e a loro volta le distribuivano ai samurai loro sottoposti. tra di essi, alcuni venivano scelti come ministri/vassalli e i più importanti erano i karō, che rispondevano direttamente al signore feudale; generalmente c’era un karō che stava a Edo dove c’era lo shōgun e un altro che rimaneva a fare la guardia al castello del feudo. da HC sappiamo che non siamo a Edo, ergo Tsukishima doveva essere il ministro che restava a casa e infatti era nei dintorni del castello (quando non era a casa di Kuroda o in giro a mangiarsi dolcetti *cough*).
quando cade il regime feudale aka lo shōgunato? quando guarda caso lo shōgun allora in carica, tale Tokugawa Yoshinobu, abdica! perché convinto/costretto dall’imperatore che si è fatto come alleati due dei clan grossi sostenitori del bakufu che non sopportano più la mollezza delle riforme shogunali e vogliono un Giappone fedele all’imperatore e pronto a espellere gli i barbari occidentali che premono per farlo uscire dal sakoku (chiusura blindata del Paese) that means: nessuno entra, nessuno esce e nessuno può essere cristiano o imparare una lingua straniera, tie’. solo nel tardo periodo Tokugawa si era giunti al compromesso di accettare solo gli olandesi e di permettere a qualunque giapponese, non solo agli interpreti diplomatici, di imparare l’olandese. perché questa precisazione? perché, fun fact, i documenti che si vedono nell’anime quando Kuroda smanetta con gli hybrid child sono in olandese! lol (allego prova di quando mi sono messa a decifrarlo solo in base ale mie conoscenze del tedesco)
comunque, lo shōgun prima di arrendersi del tutto prova a scappare a Kyōto perché è incoraggiato dal clan Aizu ma durante lo scontro armato contro le truppe imperiali si accorge di essere troppo debole, lascia capra e cavoli (dove i cavoli sono del suo esercito) e fugge a Edo. viene raggiunto dall’imperatore, si arrende, chiede di essere risparmiato e messo in prigione e praticamente concede all’imperatore di appropriarsi del castello di Edo. direi che fin qui tutto combacia: siamo nel 1868, gli imperiali sono a Edo e si stanno dirigendo a sottomettere anche gli ultimi clan che, ora che non c’è più uno shōgun, sono automaticamente considerati dei riottosi nemici pubblici. è l’inizio del bakumatsu (fine del bakufu) e della restaurazione imperiale che procederà fino alla salita al trono dell’imperatore Mutsuhito (futuro Meiji) inaugurando così una nuova e complicatissima epoca della storia nipponica.
ma torniamo ai gays. il momento della convocazione effettiva alle armi coincide con quello in cui viene spiegata la strategia di attacco del nemico:
Kazusa, Utsunomiya e Dewa erano tre province storicamente esistite che coprivano alcuni territori a nord di Edo. E la traiettoria ipotizzata dell’invasione combacia ancora una volta con il percorso che viene mostrato nell’anime. Se ne deduce quindi che, siccome il clan dei nostri eroi si caga sotto per l’avanzata dei lealisti all’imperatore, la sede del feudo sia per forza di cose a nord di Edo e vicino ai territori menzionati. Skippo la parte successiva sulla strategia di Tsukishima che assegna i comandanti alle città/zone, perché stranamente non credo siano toponimi storicamente accurati, non ho trovato nessuna conferma al riguardo.
avevamo detto che Yoshinobu aveva ripreso a lottare contro l’imperatore perché incoraggiato dal dominio Aizu. Ecco, la mia ipotesi è proprio che il clan di cui si parla in HC sia (fortemente ispirato a) Aizu. Perché?
1. era conosciuto per la qualità e il valore dei suoi samurai (speaks for itself)
2. era stato uno dei maggiori alleati dello shōgun e, in seguito al tradimento dei clan Satsuma e Chōshū che erano passati dalla parte dell’imperatore costringendo lo shōgun a fare altrettanto, è stato considerato da annientare in quanto ribelle.
3. è passato alla storia per una battaglia molto feroce e sentita che aveva come obiettivo quella di costringere il feudo alla resa o scioglierlo, in cui sparavano non stop al castello. e che ovviamente è stata persa e come conseguenza ha portato alla resa di Aizu-han e alla deportazione dei suoi samurai superstiti.
4. la posizione combacia con la possibile ubicazione della città di HC, ovvero: l’odierna Fukushima, appena più a nord di Utsunomiya e perfettamente circondata dalle altre province verso cui gli imperiali erano diretti.
5. il castello di Aizuwakamatsu, noto come castello di Tsuruga, looks like this:
^ aizuwakamatsu’s castle ^ hybrid child’s castle
be’ direi.. no doubts about it. questo castello è stato gravemente danneggiato durante la battaglia di Aizu dell’ottobre 1868, ed è stato ricostruito solo nel Novecento inoltrato. Nello specifico, le cronache dicono che era stato danneggiato senza sosta da palle di cannone che venivano agevolmente sparate da un’altura montagnosa che sorge proprio di fronte al castello.
again:
c’è una montagnetta della stessa altezza del castello raffigurata sulla cartina che combacia proprio con la prospettiva in primo piano dell’immagine da cui presumibilmente venivano le cannonate.
QUINDI RIASSUMENDO SÌ I KUROSHIMA SONO DI AIZU POSSO MORIRE FELICE ORA CHE L’HO SCOPERTO -
english summary: my task on HC’s historical setting is that Tsukishima’s clan is very likely to be Aizu domain. Because Aizu clan was one of the most loyal shogunate supporter, and after the shōgun surrendered himself to the new-restored emperor and handed him Edo castle, this feud found itself abandoned and marked as rebellious. Thus the imperials started a fight in Aizu (october 1868), which is a land renown for its famous castle, and after a hard battle the Aizu people lost, the clan was dissolved and the castle burnt down. The toponymies mentioned in the HC story match the actually existed ancient provinces in late Edo Japan, and the location of them too fits the position on the map that Tsukishima displays. Aizu itself used to be in the now-called Fukushima prefecture, north of Tōkyō. And pls look at the castle it is THAT castle. undoubtedly.
#hybrid child#rant#historical#context#setting#ce l'ho fatta a finirlo#ecco cosa faccio quando mi annoio#bored as hell i guess#hope someone is interested#japanese history#theory#tsukishima#kuroda#i'm painting without t#aizu#han#castle#domain#1868#no proof but 100% sure#bakufu#bakumatsu#shogun#edo period
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Pioggia
Ciao, sono Annalisa, oggi sono stata molto fortunata. Può essere lo sia in assoluto. Ma un’ora fa, se qualcuno me l’avesse detto, gli avrei menato. Sto parlando di una cosa di cui magari a voi non frega un cazzo, ma a me sì. E’ stato quando la prof mi ha vista e mi ha detto “Ah, ma se c’è anche lei facciamo tutto stasera”. Le ho risposto che sì, insomma, a dire il vero l’esame era previsto per il pomeriggio successivo, io ero solamente venuta a vedere... Però quando una che ha assoluto potere su di te ti risponde “ma non è detto che domani sera sarà più facile” che fai? Che le dici? Io ho detto “va bene”, avrei voluto vedere voi. Anche se tra me e me pensavo “ma guarda tu sta fija de ‘na mignotta, stai a vedè che per questo esame del cazzo mi rovino la media...”.
E invece no, è andata benissimo. Mi ha pure fatto i complimenti, mi ha detto “signorina, ce ne fossero come lei...”. E’ una un po’ fissata con il fatto che le donne sono sempre state discriminate a proposito di matematica. Mi è pure sempre stata simpatica anche se, appunto, la materia è un po’ del cazzo. Ma in quel momento l’avrei strozzata.
Comunque ci siamo rivisti tutti al bar, dopo l’esame. Eravamo in sei, eh? Non è che a matematica ci siano tutte ste frotte di gente agli appelli. Anche i miei compagni, quando hanno saputo l’esito, si sono affrettati a sottolineare “ma che culo, Annalì”. Non nel senso in cui in genere me lo dicono. Intendevano proprio la fortuna. Ahò, ma che cazzo volete? Si vede che avevo studiato.
Già mi pregustavo i complimenti al mio ritorno a casa, avevo in mano le chiavi della macchina. L’unico vero vantaggio di fare un esame a quest’ora del pomeriggio, per la verità si erano fatte le sette, in questa villa fuori dalla città universitaria, è che si trova parcheggio abbastanza facilmente. E della macchina, oggi, ne avevo proprio bisogno. Perché sono tre giorni che piove a dirotto. Ma forte, eh? E non smette mai. Al massimo rallenta un po’ e poi ricomincia.
A me non è che la pioggia dia fastidio, anche se la gente comincia già a rompere i coglioni dicendo che un tempo così non c’è mai stato. Ora, a parte il fatto che non è vero, di che cazzo vi stupite? Siamo agli inizi di dicembre, è autunno, piove! Fa il dovere suo. E quando fa 27 gradi a Natale che vi dovete preoccupare.
Anyway, stavo per salutare e andare via quando a qualcuno è venuta la bella idea di festeggiare a cena. Declinare mi è stato praticamente impossibile, perché sono partiti una serie di appelli molto gentili, del tipo “dai, Annalì, non fare la stronza come al solito” che non me la sono sentita di rifiutare. E’ stata Elena a convincermi. Non tanto per il suo “viene pure Gilberto”, che io ho registrato mentalmente con un sarcastico “ah beh, allora...”, quanto perché ha detto “viene pure Gilberto e offre lui”. Ok, già va meglio. Sto Gilberto è il suo ragazzo ed è impaccato di soldi, suo padre gli ha comprato – non affittato, comprato – una casa dalle parti del Colosseo dove vivono insieme. Voglio dire, io con Gilberto non ci vivrei mai, ma se a lei piace... No, ok, esagero. Sono carini. Una volta mi hanno invitata a una festa da loro ed è lì che ho conosciuto le mie amiche Serena e Giovanna. Almeno questo glielo riconosco, glielo devo. E poi non è che i miei compagni mi stanno sul cazzo. Sono bravi ragazzi. Non li trovo interessanti, d’accordo, ma per una sera...
L’unico dubbio mi viene al momento in cui mi annunciano la destinazione: “Da Eataly? Cazzo, ma è dall’altra parte della città, con questa pioggia ci sarà un traffico terrificante, non si può fare altrove? Più vicino?”. No, non si può fare, hanno tutti voglia di andare da Eataly. Mi carico in macchina Elena e partiamo. Durante il viaggio si parla del più e del meno. Si vede che lei è molto compresa nel suo ruolo di ragazza-fuorisede-che-convive-con-il-suo-ragazzo-fuorisede e che le piace molto giocare all’adulta. A me pare molto buffa, ma non gliene voglio, anche se quando mi domanda “ma tu ce l’hai il ragazzo, Annalisa?” a me sembra che voglia più che altro sottolineare la nostra differenza di status. Ma forse mi sbaglio.
No. No, non ce l’ho il ragazzo. Sì, è vero, sarebbe carino avercelo, ma finora non ho trovato nessuno che.. e poi preferisco pensare solo a studiare, ci tengo molto a finire il prima possibile. Sì, ok, d’accordo, ma come mai, tu così carina, eh lo so ma che ci vuoi fare, ogni tanto qualcuno che sembra interessante lo trovo ma poi... sai com’è, vogliono solo quello. Frasi così, chiacchiere sconclusionate che per fortuna si fermano sempre abbondantemente prima di toccare argomenti più scabrosi. Elena non è il tipo da chiederlo e io certo non mi sogno di rivelarle che razza di troia stia in questo momento al volante, figuriamoci.
Il problema è che, mentre parliamo, all’argomento “ragazzo” inizio a pensarci io, in piena autonomia, tra me e me. E non mi ci vuole poi molto per fare l’upgrade “ragazzo-sesso”. Anche perché son quasi due mesi che non faccio nulla, ma proprio nulla a parte le (poche) avventure in solitario nel mio letto.
L’ultima volta è stato con Fabrizio, il più classico degli scopa-amici. L’avevo cercato dopo due esperienze che mi avevano lasciata, per usare un eufemismo, parecchio turbata.
Essere stata beccata a scoparmi uno dentro casa sua dalla moglie, essere stata menata e buttata fuori di casa nuda sul pianerottolo, sempre dalla suddetta moglie, già mi aveva scossa e non poco. Trovarmi un paio di giorni dopo a essere aggredita insieme alla mia amica Serena dentro la Rinascente da un pazzo omofobo era stata la ciliegina sula torta.
Ero stata io a cercare Fabrizio, a chiedergli se quella sera fosse libero. Senza ipocrisie, tra noi non ce n’è bisogno. Mentre ero a gambe aperte sotto di lui, mi aveva detto “ma quanto sei troia stasera? sei già venuta sei volte”. Appena finito di dirmelo è arrivata la settima. Io lo adoro, Fabrizio. E non solo perché mi scopa benissimo, ma anche per questi particolari. Perché tiene il conto dei miei orgasmi e perché mi chiama troia come un altro in quei momenti mi chiamerebbe amore mio. Io, troia, lo preferisco. Anche perché nessuno mi ha mai detto amore mio. Sì, oddio, quando ero al liceo ogni tanto c’era qualcuno che lo faceva. Di solito dopo che gli avevo fatto un pompino, a volte anche prima. C’è sempre qualcuno che si innamora o pensa di farlo.
Ma la verità è che quella sera non ero andata da lui perché volessi farmi chiamare troia. E nemmeno perché avessi voglia solo di essere scopata. In realtà avevo voglia di essere scopata prima e abbracciata dopo. Coccolata. Che avete da guardarmi in quel modo? Anche a me piace essere coccolata, sapete? E che cazzo...
Comunque, l’ultima volta è stata quella, quasi due mesi fa. Poi Fabrizio è partito. Lui lavora in uno studio di progettazione, è ingegnere idraulico o qualcosa del genere. Arabia Saudita, fino a Natale. In realtà, mi ha spiegato, va più che altro a fare il garzone di bottega, altro che ingegnere. Ma pare che sia la prassi. Ci sono rimasta talmente male a sapere che partiva che gli ho estorto – sì, io, proprio io – un appuntamento per il suo ritorno. In quel momento non avrei proprio voluto che se ne andasse, e fargli promettere che ci saremmo rivisti al suo ritorno mi era sembrato l’unico modo per lenire il dispiacere.
Così mi sono buttata sulle lezioni, su questo cazzo di esame a dire il vero molto facile, sono stata molte sere a casa, ho visto le mie amiche. Anche Serena, naturalmente. Con la quale però non c’è stato più nulla, da quel punto di vista. Ho fatto la brava, insomma, la bravissima. E volete sapere una cosa? Non ho nemmeno avuto bisogno di sforzarmi tanto. Ecco.
Solo che, adesso che sto in macchina con Elena e lei mi chiede come mai una come me non abbia un fidanzato che-a-te-i-ragazzi-dovrebbero-correrti-dietro-mamma-mia, penso in effetti quasi due mesi senza combinare nulla di nulla mi sembrano un periodo piuttosto lungo. Tanto lungo da pensare che forse vale la pena di aspettare qualche giorno e raggiungere i due mesi tondi tondi e intanto fare qualche calcolo per cercare di stabilire se sia o meno un record.
E invece no, un attimo dopo penso che ho voglia, anche se non so esattamente di cosa. Un attimo dopo ancora capisco di cosa ho voglia: ho voglia di farmi riempire la bocca. Sì, un pompino. Di quelli nemmeno troppo delicati. Odore, sapore e dominio incontrastato di un cazzo nella mia bocca. Anzi no, nemmeno questo a dire il vero. Sì, ok, lo so che vi do ai nervi, ma aspettate un momento, cavolo, sto mettendo a fuoco! Un pompino ok, brutale ok. Ma in realtà, quello che voglio è bere. Bere sperma. Ecco. Sì è questo. Ho una formidabile voglia di ingoiare sperma, in questo momento. Anche se so perfettamente che, vista la compagnia, si tratta di una voglia che di sicuro non esaudirò stasera.
Non lo so, sono confusa. A tutto pensavo tranne che a questo, quando sono uscita di casa.
- Cosa stai pensando? – mi domanda Elena. Non so nemmeno da quanto tempo la ascolto senza sentire quello che dice.
- Scusa – le rispondo – stavo pensando che per festeggiare stasera vorrei bere qualcosa di speciale.
- Per ora c’è solo acqua – commenta lei. La pioggia batte fortissimo, di là dal vetro faccio fatica a vedere le macchine davanti.
Il “qualcosa di speciale” è alla fine una birra artigianale, anzi due. Ma per il resto non è che la serata sia il massimo della convivialità. Mangiare, si mangia bene, eh? Non fantastico, ma si mangia bene. Però, un po’ perché i miei amici non sono proprio una banda di allegroni, un po’ perché non ci fanno nemmeno accostare i tavolini, la serata è davvero moscia. La mia proposta di vendicarci dei camerieri parlando ad alta voce da un tavolo all’altro e tirandoci le molliche di pane viene, tra l’altro, bocciata. Ho di fronte a me un tipo, Enrico, che d’ora in poi chiamerò “Harry tre parole”, perché in tutta la cena avrà spiccicato tre parole, appunto. Vi lascio immaginare i discorsi e il divertimento. Mi annoio come in una serata passata davanti alla tv a guardare la De Filippi.
Fortunatamente agli altri tavoli c’è un po’ di turn over, così almeno posso distrarmi con la gente che va e viene. Proprio davanti a me, due postazioni più in là, a un certo punto arrivano due coppie. Non li osservo uno per uno, almeno all’inizio, mi mantengo su una visione complessiva del quartetto, per così dire. Solo che quello che sta proprio di fronte a me, a meno di una decina di metri, mentre si siede mi fissa. E mentre mi fissa viene anche a me da fissarlo. Per reazione, più che altro. Non so dire bene che età abbia, intorno ai trentacinque, direi. Ma è davvero difficile, non ci scommetterei. Sono tutti e quattro vestiti molto casual, con jeans e maglioni. Come me del resto. Qualche secondo dopo volto lo sguardo e vedo che mi sta riservando un’occhiata clandestina, poi si sporge un po’ in avanti per dire qualcosa a quella che presumo sia la sua ragazza e finisce sotto la luce della lampada. Non è per niente male. Che sia alto, asciutto e con le spalle larghe me ne ero accorta prima. Ora posso vedere meglio e suoi riccetti corti e castano-chiari, gli occhi azzurri. E, soprattutto, un sorriso da canaglia.
“Mica male”, penso rimanendo un po’ imbambolata. Lui muove ancora una volta gli occhi nella mia direzione e si accorge che lo sto osservando. Ricambia. Ehi, ma tu sei un uomo, io sono solo una ragazzina. Te ne dovresti accorgere dai miei occhioni spalancati e dal ditino che porto alle mie labbra fingendo di mordermi un’unghia nervosamente. Una ragazzina un po’ impertinente, d’accordo, visto che col cazzo che abbasso lo sguardo, aspetto che sia tu a farlo. Del resto, è uno dei miei giochi preferiti prendere in castagna uomini più grandi di me che mi lanciano occhiate eloquenti di nascosto dalle loro compagne. Mi diverte da matti.
Tra una chiacchiera e l’altra con le nostre rispettive compagnie il gioco di occhiate va però avanti più del solito. Così decido di giocare un po’ più pesante. Mi alzo e vado verso la cassa a pagare la terza Menabrea, accentuando impercettibilmente il mio naturale sculettamento. Credo che le forme del mio sedere e i jeans stretti facciano il resto. Quando torno a voltarmi verso di lui avanzo bevendo direttamente dalla bottiglia, fissandolo. Arrivo al mio posto e mi siedo continuando a bere dalla bottiglia. Fissandolo. Non ho staccato gli occhi dai suoi nemmeno per un’istante. Sono sfacciata e mi godo il gioco sino in fondo, proprio sulla soglia dell’eccitazione.
Purtroppo però l’ora di andarsene arriva troppo presto. E poiché il conto lo abbiamo già pagato prima di mangiare, non ci resta che alzarci, metterci i giacconi e scendere. Il boato di un tuono sottolinea il momento. Oltre le vetrate l’acqua riprende a scendere a secchiate.
Mi volto un’ultima volta, di nascosto. Lui mi sta osservando ancora e si accorge che lo sto guardando anche io con la coda dell’occhio. Spero che possa vedere il mio sorriso, spero che capisca che mi sono divertita.
Pianto i miei compagni con una scusa. Anzi due, visto che la prima non basta. “Ciao ragazzi, devo andare al bagno”, “dai ti aspettiamo”, “no, ma poi volevo anche fare un giro a cercare una marmellata di mandarino tardivo per mia mamma”, “ah ok, allora ci vediamo a lezione”, “sì, ci vediamo a lezione, ciao ragazzi”. Mi dirigo verso i bagni e, già che ci sono, faccio pipì, compiacendomi della mia innata capacità di inventare cazzate su due piedi.
Non è che abbia proprio un programma, mi va semplicemente di continuare il gioco, vedere se funziona ancora con qualcun altro. Sì, è vero, non sono appariscente stasera, ma gli sguardi li ho sempre attirati. E stasera ci ho preso proprio gusto. Voglio attirare sguardi e rispondere agli sguardi, altro che mandarino tardivo.
L’idea è divertente, la sua realizzazione pratica molto meno. Soprattutto perché non mi si caga nessuno. Tranne uno, in realtà, una specie di sosia di Danny De Vito che è meglio perderlo che trovarlo. La cosa mi indispettisce non poco, come sempre quando va così. Anche perché, ma cazzo, fino a cinque minuti fa funzionava benissimo. Forse proprio per questo decido di fare una cosa che non ho mai fatto. Non da sola almeno. Vado alla birreria, direttamente al bancone, mi siedo su uno sgabello alto e aspetto di essere servita dal ragazzo. Assumo un’aria civettuola perfino con lui, faccio l’oca. Voglio proprio vedere se qualcuno si avvicina.
Vorrei chiarire una cosa: non ho voglia di essere rimorchiata. Non ho voglia di sesso. Sì, lo so che prima in macchina avevo pensato che fare un pompino del tutto senza senso a qualcuno e bere il suo sperma non sarebbe stata per nulla una cattiva idea. Ma quel momento è passato e dopo il gioco degli sguardi con il riccetto, interrotto dagli eventi, la mia immaginazione mi ha portata da tutt’altra parte.
Comunque niente, eh? Non succede un cazzo nemmeno qui. Dopo un po’ l’unica cosa che mi trattiene dall’andarmene è che fuori è ormai un nubifragio vero e proprio e che io ho lasciato la macchina al parcheggio più lontano, cretina che sono.
Poi però una cosa succede, cazzo. Succede che il riccetto di poco fa è seduto con la sua ragazza e l’altra coppia su un divanetto della caffetteria, e mi ha vista. E che porco cane la situazione non è esattamente quella di prima, quando stavamo a scambiarci occhiate ognuno al riparo delle proprie compagnie. Manco per niente. Quella che lui sta osservando adesso è una ragazzina bionda con la faccia da adolescente che sta facendo l’oca con il ragazzo delle birre e che ha in pratica un cartello addosso con su scritto “sono una troietta, che aspettate a farvi avanti?”.
Non so nemmeno io perché, ma improvvisamente mi sento a disagio, mi vergogno. Cioè, non è proprio vergogna. E’ che il gioco con questo tipo è andato anche troppo avanti, mentre a me questo gioco piace perché è fatto di momenti, sguardi allusivi. A me diverte fare l'oca con gli uomini quando sono in compagnia delle loro donne, è vero. Divertono le piccole provocazioni, mi piace l'ammirazione clandestina che leggo nei loro occhi e godo nel vedere come reagiscono quando si accorgono che non volto la faccia dall'altra parte, che li fisso con un'espressione a metà tra l'ironico e il malizioso che dice "ah, se fossimo soli".
Quasi mi vergogno a scrivervelo, ma in realtà tutto quello che volevo quando mi sono seduta al bancone era essere abbordata da qualcuno, ma non dal riccetto. Con quello meglio di no, troppo pericoloso per questo tipo di gioco.
Mi andava solo di fare la troietta idiota, rifiutare le eventuali avances di un tipo qualsiasi, almeno per l’immediato, facendogli però capire che uno di questi giorni sarei stata molto più che disponibile a restare come mamma mi ha fatta davanti a lui, dargli un numero di telefono fasullo e lasciarlo all’asciutto. Per poi tornare a casa e sditalinarmi nel mio letto immaginando come sarebbe stato farmi scopare da lui in centouno modi.
Scema, vero? Me l’hanno detto in tanti. In ogni caso, il numero del Servizio di igiene mentale della mia zona è 06 7730 8400. Magari potreste volermi fare un favore e segnalare il mio caso.
Mi alzo quasi di scatto e imbocco il tapis roulant che scende al primo piano, all’uscita. Nubifragio o non nubifragio è meglio levare le tende.
Solo che, ecco, chiamatelo intuito femminile o come cazzo vi pare, ma sento di essere seguita, sento una presenza alle mie spalle. Non è che ci sia poi tanta gente su questo tapis roulant, sono quasi certa che se mi voltassi lo vedrei. E questo è il motivo per cui non mi va di voltarmi. Il motivo per cui invece mi volto ve l’ho detto prima: sono scema. E’ così, fatevene una ragione che io me la sono fatta da un pezzo.
L’occhiata che ci scambiamo per un paio di secondi che sembrano interminabili è completamente diversa da tutte quelle che l’hanno preceduta. La mia è l’occhiata della preda che ha individuato il predatore e che viene assalita dal panico perché non sa dove cazzo andare a nascondersi.
Chiariamoci: a me piace sentirmi preda. A patto però che il cacciatore lo scelga io. Altrimenti ho delle reazioni che variano dall’indifferenza al vattelapijanderculo, dipende da una serie di fattori. In questo caso il cacciatore non è nemmeno male, ve l’ho detto. Ma non l’ho scelto io.
Avete presente quando fate una cosa e immediatamente dopo vi chiedete "ma perché cazzo l'ho fatto?". E vi date pure della cretina, perché non è che avete seguito un impulso, manco per niente. Avete pianificato le cose, avevate una strategia. E d'improvviso, puff: ma perché ho fatto una stronzata del genere? E’ esattamente quello che è successo. Lui è dietro di me e, a meno che non si tratti di una coincidenza assurda, si appresta a tirare fuori il gancio per il rimorchio. D'improvviso tutto mi sembra implausibile, inattuabile. Inutile, persino. E anche un po' imbarazzante. Voglio dire, io volevo solo giocare e adesso mi trovo a dovere fare i conti con le conseguenze del mio gioco.
Non sento il rumore delle porte automatiche che si richiudono. Non so se è a causa del fracasso della pioggia sul selciato o del fatto che qualcuno è passato dopo di me e ne ha ritardato la chiusura. Piove da matti, adesso. Non si vede nulla e dalla fine del porticato alla mia macchina ci saranno almeno cento metri allo scoperto. Mi fermo giusto un paio di metri indietro dalla fine della copertura. L’acqua cade talmente forte che le gocce rimbalzano e arrivano a bagnarmi. Ma non è questo su cui sono concentrata, sono concentrata su una cosa che sta per succedere, che è inevitabile che succeda.
“Ciao, come ti chiami?”, penso tra me e me.
- Ciao – dice una voce alle mie spalle.
- Ciao – rispondo dopo essermi voltata lentamente. Una lentezza che mi sono imposta.
- Che acqua, eh?
- Già.
- Io sono Marco.
- Io Annalisa.
Nonostante il buio mi è talmente vicino che posso vederlo meglio di come abbia fatto prima. Probabilmente ho fatto male i miei calcoli, credo che abbia di più dei 35 anni che gli davo. E’ molto giovanile nei modi e nel vestire, ma certi dettagli non mentono. Il contorno occhi, per esempio.
- Stai andando a casa?
- Sì.
- Anche io. Vado a prendere la macchina.... inutile bagnarsi in quattro.
Fisicamente non potrebbe essere più diverso, ma parla come Silvio Muccino, ha persino la zeppa di Silvio Muccino. E’ incredibile quanto sia identico. Per il resto no, per il resto è davvero un bel manzo. Vista l’età dovrei dire un bell’uomo. E non posso non notare il suo modo timido di atteggiarsi, quasi premuroso, che si annulla completamente quando sfodera il sorriso da canaglia. E’ obiettivamente un sorriso fatto per stenderti.
- Ho visto che mi guardavi – dice.
- A dire il vero hai cominciato tu...
- Mi sei piaciuta, non hai mai abbassato gli occhi.
- Era un gioco...
- Che tipo di gioco?
- Nulla una cazzata...
- Potremmo riprovare a giocare, una sera di queste...
Istintivamente starei per dirgli “ma no dai, lascia perdere”. Poi mi fermo, senza un motivo. Gli squilla il telefono e mi dice “scusa” prima di rispondere. Dice, presumo alla sua compagna, che è meglio aspettare che spiova un po’, che è una tempesta, che per strada è un lago. E che chiamerà lui quando starà per arrivare, che forse ci vorrà un po’. Mi torna in mente Elena, quando mi ha chiesto se avessi un ragazzo, mi torna in mente il suo ingenuo senso di superiorità. E però immediatamente dopo mi torna anche in mente il pensiero osceno che le sue parole mi avevano portata a fare.
Per la verità, non so nemmeno io di che cosa ho voglia in questo momento. Sì, ok, farmi riempire la bocca in modo insensato, bere sperma. Avevo pensato questo. Ma ora come ora non saprei nemmeno dire se ho voglia di qualcosa di più. O di meno. O di nulla in assoluto. Mi sento confusa e anche abbastanza idiota.
- Certi giochi ha senso portarli in fondo una volta che si sono cominciati... – gli dico d’impulso una volta che ha chiuso la telefonata.
- Cosa intendi dire con “portarli fino in fondo”?
E’ chiaro che ha capito. O meglio, spera di aver capito. Ma è ancora guardingo.
- Intendo dire che potresti baciarmi – gli faccio avanzando di un passo verso di lui.
Si volta per guardarsi alle spalle ma non ce n’è bisogno. Ci siamo solo io e lui qui sotto il porticato. Pochi metri più in là tonnellate di acqua che scendono con violenza. Mi afferra la mano e mi trascina dietro un angolo buio e qui sì che ci bagnamo, cazzo. Ci schiacciamo contro il muro, ma la tettoietta che è sopra di noi è troppo piccola per ripararci da questa valangata di pioggia. Ridacchio stupidamente, è un riflesso nervoso. Lo faccio sempre quando vengo forzata fisicamente a fare qualcosa, non posso farci nulla. L’unica cosa che riesco a fare, in realtà, è coprirmi la testa con il cappuccio della mia The North Face tecnica. Lui fa altrettanto e poi mi bacia.
E’ un bacio lungo, furioso, cinematografico. In quante canzoni avete sentito il verso “kiss you in the rain”? Abbiamo troppa roba addosso, labbra e lingue sono il nostro unico punto di contatto, eppure bastano e avanzano. Almeno per me.
- Dimmi che mi vuoi – ansima.
- Ti voglio... – rispondo quasi in automatico.
- Domani sera? – domanda. E mentre me lo domanda porta la mano in mezzo alle mie gambe. Avrò pure i jeans, ma vi assicuro che la scossa la sento tutta.
Io però non riesco a concepire che lui si possa proiettare su domani sera. E adesso che cazzo devi fare, portare a casa la fidanzata? Oppure vivete insieme? Come cazzo pensi di mollarmi qui così? E stanotte? E domani mattina? Che c’è, ti aspettano al lavoro? Mi vuoi così tanto da non poter mandare all’aria niente della tua vita? Sono irragionevole, lo so. Ma se non lo fossi non starei qui sotto l’acquazzone a farmi baciare e a farmi tastare la fregna da un perfetto sconosciuto.
- Chissà se ci sono, domani sera – gli dico concitata, prima di rituffarmi a baciarlo.
- Che significa?
- Significa che ti voglio ora...
- E come cazzo facciamo?
Apro la bocca per accogliere la sua lingua e stavolta sono io che gli porto la mano in mezzo alle gambe. Il contatto di questo pacco gonfio per me mi fa quasi piegare le ginocchia.
- Posso farti venire con la bocca, se vuoi... – gli mormoro quando ci stacchiamo.
Mi guarda esterrefatto, preso in contropiede. Non so cosa stia pensando. Se stia valutando le possibilità, la fattibilità della cosa. O se mi abbia semplicemente presa per matta.
- Un pompino... – gli sussurro come se sentissi la necessità di spiegarmi, guardandolo negli occhi. Dall’alto in basso, perché nonostante io non sia proprio una nana, lui è decisamente alto. Ehi, l’hai capita? Sto parlando di succhiartelo...
- Ma chi cazzo sei, Baby?
- Ahahaha... sicuramente sono meno annoiata di Chiara, ma probabilmente sono anche peggio, da quel punto di vista...
- Quale punto di vista?
- Indovina...
Adesso il suo sguardo non è più esterrefatto. Adesso il suo sguardo è quello di un maschio che si è velocemente arrapato e che sta per prendersi qualcosa che gli è stato offerto su un piatto d’argento.
- Corriamo in macchina... – propone.
- Rischiamo di annegare prima di arrivarci, alla macchina – gli dico – qui va bene.
- Qui? – domanda sorpreso.
- Qui. Qui è perfetto.
- Tu sei strana, non sei normale... – mi dice, ma il suo è più che altro un tono sorpreso, di autodifesa.
“Cos’è normale?” gli domando mentre mi accuccio davanti a lui. Non mi sembra il caso di posare le ginocchia per terra. Mentre gli lavoro le cerniere del giaccone e dei pantaloni sento la sua voce ancora un po’ incredula che mi apostrofa con un “ma lo sai che sei un po’ troia?”. Gli rispondo “anche più di un po’” in modo veloce, quasi disinteressato, senza nemmeno alzare lo sguardo verso di lui. L’unica cosa su cui sono concentrata in questo momento è il tentativo di liberare quel bozzo che vedo sotto il tessuto delle mutande color prugna.
Sarà che mi sono raffreddata con tutta questa pioggia, ma non sento nessun odore particolare quando glielo tiro fuori. Non è ancora duro, ma quasi. Duro lo diventa quando me lo lascio scivolare dentro la bocca e inizio a rotearci la lingua intorno. Nonostante tutta la stranezza della situazione, mentre lo faccio ammetto con me stessa che il pompino mi sta venendo benissimo. Forse perché oltre a voler bere il suo sperma voglio che gli piaccia davvero, che ne goda. Non saprei dire perché, ma ci tengo.
Dire che abbia un grande arnese sarebbe una bugia, ma chissenefrega. La sua consistenza mi gratifica, il suo sapore mi gratifica. Il suo “oh cazzo” sospirato quando glielo prendo tutto mi gratifica. Siamo fradici e infreddoliti, ma la mia bocca e il suo uccello sono roventi.
“Che troia”, “sei bravissima”, “sei una bravissima troia”. Anche queste frasi smozzicate mi gratificherebbero, e non poco, se non fosse per il suo telefono che riprende a squillare. Se non mi interrompessi, sinceramente non lo so se lui risponderebbe. Ma comunque lo faccio, e lui risponde.
- Sì, c’è anche uno che blocca la sbarra del parcheggio con la macchina, sto deficiente, ma adesso arrivo, vi chiamo io...
Penso tra me e me che anche lui non è male, quando si tratta di inventare cazzate. Lo guardo dal basso in alto, tenendo in mano il suo affare. Improvvisamente, però, non ne ho più voglia. Che cazzo ne so. Potrei dire che ho paura che la sua ragazza scenda e che mi meni anche lei, come ha fatto la moglie di quello che mi aveva rimorchiata al parco. Ma non è vero, non è così. La verità è che non mi va più e basta. Con quella telefonata si è rotta la magia del momento, se vogliamo chiamarla così.
- Lasciamo perdere, dai, non voglio farti passare un guaio – gli sorrido cercando di rimettergli il cazzo nelle mutande.
Mi guarda con un misto di riconoscenza e di rimpianto. Spero solo che capisca che non sono incazzata con lui, mi dispiacerebbe. E’ andata così, non è colpa di nessuno. Mi rialzo e gli appoggio la testa sotto la spalla. Cazzo, se è alto.
- Che hai da ridere? – mi domanda.
Rido. Non ci posso fare nulla, mi viene da ridere. Anzi, da ridacchiare. Nulla di esplosivo, però inarrestabile.
- E' la prima volta che faccio un pompino con un cappuccio in testa - riesco a dire. E poi riattacco a ridere.
- Come prima volta non c'è male... però non hai finito, non è stato un vero e proprio pompino...
Trovo la precisazione un po’ pignola, ma sono indulgente e sto al gioco. “Ok, allora diciamo che è la prima volta che succhio un cazzo con un cappuccio in testa...”. Mi risponde ridacchiando anche lui, mentre io forse per la prima volta realizzo lo stato in cui si trovano i miei jeans.
- Dio santo, sono tutta bagnata.
- Non in quel senso, intendi.
- Ahahaha... non lo so, sono talmente zuppa che in quel senso dovrei controllare...
- Se vuoi controllo io...
- Ahahahahah meglio di no... meglio che andiamo.
- Annalisa, hai detto?
- Non è molto carino da parte tua non ricordarti il nome...
- Se domani sera continua a piovere possiamo darci appuntamento qui...
- Ahahahah... magari domani sera ho la polmonite...
- Sarebbe carino, però. Potrei metterti con le spalle al muro. Anche quella è una cosa che non ho mai fatto sotto la pioggia.
- Ah, ecco... non so se avrei voglia di essere inchiodata a quel muro.
In realtà, se ci penso, la prospettiva non mi dispiace affatto. Pioggia o non pioggia. Ma è meglio non creare tante aspettative.
- "Inchiodata al muro"... ma parli sempre così?
- In genere no. Ci sono cose che si pensano e non si dicono...
- Ma si immaginano...
- Sì...
- Immagine per immagine, non spalle al muro, ma faccia al muro. E con i jeans calati. Io immagino di inchiodarti così, prima un buco e poi l'altro.
Eccolo, anzi eccoli. Lo spasmo e il calore. Adesso sì che non ho più bisogno di controllare se sono bagnata anche sotto le mutandine.
- Sei un porco... – sibilo.
- E tu una troia...
- Non sai quanto, te l’ho detto. E poi avevo proprio voglia di qualcuno che mi chiamasse troia.
Mi stringe, poi mi bacia ancora. Sta combattendo contro il suo desiderio, lo sento. E la cosa mi piace. Il mio calore avanza.
- Allora facciamo per domani sera? - sussurra.
- No – gli rispondo senza nemmeno pensarci tanto.
- Perché no? – domanda sorpreso.
- Perché no. E nemmeno dopodomani o un’altra volta. Vorrei dirti restiamo semplicemente amici – gli dico sbottando quasi a ridere – ma in realtà chi cazzo ti conosce?
- Te l’ho detto prima – mi fa dopo qualche secondo di silenzio – non sei normale.
- E io te l’ho chiesto prima, ma non mi hai risposto: cos’è normale? Scambiarsi i numeri, vedersi domani sera o comunque quando sarai libero, uscire, corteggiarsi, farti un pompino in macchina, portarmi a casa tua? Scoparmi in un albergo?
- Cosa ci sarebbe di male? – chiede.
- Nulla. Per carità, nulla. Anzi. Ma perché sarebbe stato meglio di un pompino qui? Poi è andata buca, pazienza... ma sarebbe stato fantastico.
- Però avremmo più tempo – obietta - staremmo più comodi. Di sicuro più asciutti.
- Non discuto. Ma a me andava ora.
- Davvero non me lo dai il telefono?
- Davvero.
- Sei proprio matta...
- Sì, lo so. Matta e troia. Una troia matta... Stammi bene, Marco.
Mi volto e comincio a correre verso il parcheggio, verso la mia macchina. Non perché non voglia bagnarmi. Tanto, nonostante l’acqua continui a precipitare in modo assurdo, più bagnata di così non potrei essere. Corro perché ho voglia di scomparire alla sua vista, ho voglia di non voltarmi indietro. Ho voglia di salire in macchina grondante e bagnare i sedili, accendere il riscaldamento e correre il più veloce possibile a casa. Spogliarmi e infilarmi sotto una doccia bollente.
E sditalinarmi prima che mi scompaia dalla mente l’immagine di lui che si stupra una ragazzina tenendola faccia al muro. Una ragazzina bionda con i jeans abbassati e il giaccone tirato un po’ su. Sotto la pioggia che batte e che copre ogni altro rumore intorno. Ma che non riesce a coprire gli strilli di quella zoccoletta.
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Non sono molte le cose che so su di me eppure so una cosa: non so come usare la parola "scusa". Potrebbe sembrare insignificante, forse lo è diventata a cauza del mio abuzo del suo utilizzo ma puo significare diverse cose. Uno dei significati piu dolorosi e quello del "sono ferita a causa tua ma do la colpa a me perche ho paura che mi abbandoni". Lievemente sciocco direi eppure questo risalta un cosi profondo disprezzo nei miei contronti a tal punto di dover calpestare i miei stupidi sentimente, schiacciare il mio orgoglio, il mio dolore solo a causa del pensiero che perderei una delle poche persone a cui voglio bene e quella sarebbe la sua via di fuga, la sua chiave per la liberta, da questo disastro che lo tiene intrappolato e cioe io. Un disastro. Il fatto e che fa male avere tutti questi pensieri "non mi vogliono, li annoio, non sono nessuno, me lo dimostrano, mi fanno vedere che non hanno bisogno di me" a tal punto di voler davvero sparire, di arrivare a credere davvero di essere odiata da loro cosi come mi odio io, e in fondo non li biasimo. E poi? E poi chiedo scusa, chiedo scusa a loro perche mi sono fatta del male, chiedo scusa a loro perche ho pensato che non mi volessero piu nella loro vita e prego che mi perdonino, prego che dicano "tranquilla, io ti voglio nella mia vita" e li credo per qualche giorno poi ricomincia di nuovo tutto d'accapo, tutto il dolore, le urla i tagli, solo perche vedo in loro cio che penso io di me, cio che mi hanno fatto credere loro di essere. "Ma quando viene ***** mi annoio!" Ma ci sono anche io..guardami sono qui, guardami...perche non mi parli perche hai fatto quella smorfia quando hai incrociato il mio sguardo...mi hai detto che mi volevi eppure preferisci gli altri, eppure guardi gli altri quando parli e non me, eppure te ne vai quando rimaniamo solo noi due, te ne vai dagli altri e all improvviso non sono piu nessuno, solo quella persona che fa si che ce ne siano di piu nel gruppo. "Piu siamo meglio è" dicevano, al posto mio poteva esserci anche uno spaventapasseri, non avrebbe cambiato nulla. E chiedo scusa quando penso "ecco succede di nuovo, non mi vogliono neanche loro" perche in fondo speravo che questa volta avrei potuto essere abbastanza e invece no, flashbacks su flashbacks che fanno capolino nella mia mente e lasciano segni sulla mia pelle, gonfiano le mie palpebre e lasciano il mio letto vuoto durante la notte. Che dolore lancinante avvolte, quando li sento, mi urlano nelle orecchie "vai via, non ti vogliamo, vai via non sei abbastanza" ed io ci credo, non voglio ma ci credo. Un virus allo stato mentale, una malattia che colpisce ogni parte del mio corpo, la vista l udito...ed io chiedo di nuovo scusa perche non so come esprimere tutto cio, come non sembrare una disperata e come non scomparire ma alla fine lo faccio sempre perche ho paura della verita, che sembra nascondersi nel mio passato. Non voglio dire addio a nessuno e allora scappo. Nascondetevi ora che sono lontana e la vostra occasione per sfuggire dalla bomba che e in me, o da me e basta. Non daro la colpa a voi per cio che mi accadra, la colpa e e sempre sara mia. Vi voglio bene
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questo è quello che mi è girato in testa negli ultimi 15 minuti. se per caso vi piace e volete condividerlo, per favore, ricordatevi di darmi i crediti. grazie ✨💛
questo anno ormai è finito, e ormai da tradizione scrivo dei discorsi che andrebbero bene per delle veglie funebri, ma sono così, piuttosto drammatica e troppo sentimentale, vogliatemi bene comunque.
come ogni anno, ci sono state persone che se ne sono andate, alcune da un giorno all’altro, altre silenziosamente, in punta di piedi, senza farsi vedere, e loro più di chiunque altro mi hanno lasciata sola e con qualche pezzo mancante. a voi, vi ricordo che fa più male la ceretta dove aspetti, e no un secondo, aspetta arrivo, ci sono eh, solo un attimo, no piano, un minuto di pausa, piuttosto che quelle che dopo aver chiuso gli occhi è già finito tutto. tenetevelo in testa. ma grazie di esserci stati quando c’eravate, si, grazie di quello.
ce ne sono state altre che proprio non mi sopportano, perché sono troppo esuberante, troppo strana, troppo fissata con le mie cose, troppo asociale, troppo riservata, troppo acida, troppo bla bla bla. grazie per avermi dato così tanti troppi che non pensavo di avere, ogni tanto servono. detto questo, mi dispiace di essere troppo troppo per voi, spero troviate qualcuno di meno troppo pronto a non esagerare con i troppi troppi. scusate, questo era un po’ troppo.
durante l’anno ho avuto la possibilità di conoscere persone nuove, di scoprirne di vecchie, di ritrovarne, insomma, ho trovato qualcosa di bello. mi piace sapere che non so mai abbastanza per sapere abbastanza. ancora troppo troppo? perdonatemi. comunque, a voi, persone che vi siete fatte esplorare, grazie, siete interessanti e mi avete insegnato tanto, ognuno una piccola cosa.
e ora tocca alle persone metro, che io le chiamo così, ma potete cambiargli il nome se non vi piace. per esempio potete usare persone autobus, aereo, treno, macchina, bici, piedi, non lo so, insomma, deve dare l’idea di una cosa che va e che viene, come la felicità. ecco, care persone metro, a me piacete, davvero, però, per cortesia, potete stare un po’ fermi? che dopo un po’ mi gira la testa. quando ci siete mi portate tanta felicità, come i parenti che non conosci nemmeno e una volta all’anno ti riempiono di soldi, e quindi grazie, ma poi ve ne andate, e io nel giro di un anno i soldi li spendo, come spendo la felicità, non pensate mica che la felicità sia illimitata. e perciò poi mi ritrovo senza e devo aspettare che voi ritorniate. in ogni caso, grazie del rifornimento periodico di felicità. come dice il proverbio: piuttosto che niente, è meglio piuttosto. voi siete il mio piuttosto, le mie persone metro e i miei prozii. però avete troppi nomi e faccio confusione adesso.
passiamo avanti, sta a voi, pali portanti. se io fossi una vera scrittrice e vi dovessi descrivere, possibilmente in un ambito che non sia una lettera per augurare il buon anno, sceglierei proprio i pali portanti. senza voi crolla la casa, state in occhio. ora, so che la vita deve essere individuale e che bisogna sapersi rialzare da soli, e bisogna essere forti e anche un po’ egoisti ogni tanto, però, volete mettere avere una spalla su cui piangere ogni giorno, una persona con cui ridere ogni giorno, con cui parlare, chiarire, sfogarti, scherzare, urlare, incazzarti, confrontarti, ma soprattutto stare in silenzio? sapere stare in silenzio e dirsi tutto quanto? ogni singolo giorno? e poi ripetete “ogni giorno” finché ci sono giorni. e di giorni ce ne sono tanti. ho imparato che, come in un edificio ci sono meno pali portanti che le dita di una mano, così è nella vita. chiedo scusa solennemente, ma non sono un architetto e non ho la benché minima idea di quanti pali portanti ci siano in un qualunque edificio, ma l’importante è che che voi abbiate colto il messaggio. l’avete colto, vero? bene. ho scoperto anche che, non è che perché i pali portanti tengono su tutto allora hanno la residenza fissa e non possono andarsene. eccome se possono. e dato che ti hanno lasciato cadere la casa, tu, con molta pazienza e tanta forza di volontà, ti dovrai mettere lì e rifare le fondamenta. sono cose che capitano. alla fine, io non ho mai visto un edificio resistere a tutto, nemmeno il più resistente. in conclusione, io di pali portanti ne ho tre. e sorreggono tutto perfettamente. loro sorreggono la mia, io la loro, è un patto perfettamente equo tra persone che continuano a non saperne niente di architettura. grazie infinitamente, pali portanti, perché siete i miei Amici, e sapete stare in silenzio.
in ogni ringraziamento ci devo mettere anche la famiglia per una questione di rispetto, ma sempre per il solito fatto che sono troppo estrema, io ho una famiglia che comprende milioni di persone. no, non sto facendo la troppo estrema, non è che devo per forza sempre essere qualcosa di troppo. la mia famiglia è grande, e dentro ci sono persone che ho visto una volta, altre che mi hanno cresciuta o vista crescere da lontano, oppure mi hanno messo a posto un pezzettino ogni tanto, mi hanno detto “ti capisco”. la comprensione e il sentirsi a casa è la forma più grande e bella che la famiglia può assumere. se avete capito, bene. se non avete capito, bene. con persone provenienti da ogni parte del mondo condivido pensieri, idee, passioni, e può darsi che ci incontriamo solo una volta all’anno, o due, o tutti i giorni, o mai, ma è famiglia, perché tu sei al sicuro con me, perché tu sei a casa, perché io ti capisco. grazie, a voi che ci siete da vicino, e anche a voi da lontano.
credo sia arrivato il momento finale, e quest’anno faccio un colpo di scena, perché mi sono un po’ rotta le palle di questa lettera, che mi annoio io stessa a scrivere. decido di dire un grazie, il più grande grazie di tutti i grazie che ho detto nel momento dei “grazie” (questo era decisamente troppo forzato) a tutti gli esseri umani. e qua, proprio qua, io chiamo in causa un verso di una canzone di cui, imitando in questo modo un po’ Manzoni, di cui non citerò l’autore, per questioni che neanche io so, non serve che mi metto a fare l’intellettuale proprio ora. bene, il verso è: credo negli esseri umani che hanno il coraggio di esseri umani. perciò, davvero, grazie agli esseri umani che sanno essere umani. togliete le barriere. togliete i pregiudizi. togliete l’odio. togliete tutto quanto, ma non il rispetto. che cosa ci state a fare in sto mondo se vi rinchiudete e rinchiudete le altre persone? libertà, la libertà vi fa più umani. siate liberi e lasciate liberi. questo ultimo pezzetto sembra decisamente un discorso da hippie che promuove la pace e l’amore, ma io dentro forse un po’ lo sono, sono un po’ sognatrice, un po’ ancora bambina, un po’ io, o forse mi sto dilungando un po’ tanto perché è un dannatissimo discorso per augurare buon anno e non romanzo formativo.
perciò, per essere per un’ultima volta banali, buon anno.
grazie.
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In realtà , attualmente sono stand by.
Ci credete se vi dicessi che a 30 anni, non so cosa voglio fare della vita? Ebbene sì, anche le mie certezze, oggi si sono rilevate irrilevanti. Non so cosa voglio. Forse sono sempre stata così, un po’ alti e bassi, un po’ mi annoio, altri giorni invece so bene cosa e come. Un po’ il covid che ha smontato il credo di tutto, un po’ le relazioni. Un po’ tutto.
Tre giorni fa , c era mia mamma qua, mi è venuta a trovare. È rimasta una settimana con me, una settimana intensa si. Sono sempre stata debole alla parola “famiglia”. Per lo più, anche di fronte alla mia libertà , risulta più forte. Ho sempre fatto ciò in cui credevo, ho sempre sbagliato è ripartito da zero. Ho sempre fatto a modo mio, con le mie conseguenze, fino a quando poi mi sono stabilizzata. Sono venuta a vivere qua, dopo tanti giri per l’Italia. Avevo 18 anni quando sono andata via da casa. Ma ammetto che nonostante fossi in giro all Università , riuscivo più o meno ad essere presente con loro (la mia famiglia). Poi il lavoro, non sempre mi ha permesso di avere la libertà di andare quando volevo. O forse fino a quando avevo la partita iva aperta. Ecco quella forma di libertà ad oggi mi manca. Poi ho conosciuto persone, mi sono innamorata, ho messo su casa, l ho comprata… un sacco di robe. Si dai, negli ultimi 5 anni ho continuato a ribaltare la mia vita. Fino all assestamento. O meglio così pensavo io. Adesso lavoro in pronto soccorso, sono dipendente, a settembre vado in ferie, mi pagheranno. Siamo sotto personale, il covid persiste e la gente continua a venire malata. Tra poco scoppierà l inferno di nuovo, ed io possibilmente sarò qua, a lavorare e a rinunciare di nuovo agli affetti.
Papà, mi ha chiesto mentre portavo mamma in aeroporto se tornassi giù. Se cercassi lavoro giù, se questo potesse essere un alternativa nella mia testa, visto i tempi e come si rimettono le cose. Devo dirvi la verità, mi ha messo in crisi. Siamo io e zoe, siamo in due per fortuna, ma io che sono la capo branco… sono in crisi. Lei lo sa. Mi vede, percepisce il mio umore. Sa tutto. Tra qualche giorno ho preso una settimana, andrò al mare, non al sud, uno di quei posti qui , che chiamano mare ma non è poi male. O forse andrò a meditare in montagna. Voglio staccare, vorrei capire dov è la mia felicità o quanto meno se c è possibilità di rincorrerla.
Devo sentire mia sorella, lei sa qualcosa al posto mio. Lei sa cosa farebbe Ada in questo momento.
Perché , lei lo sa. Lo sanno tutti. Tutte quelle persone che mi conoscono. Andreina, Alice, giulia. Loro lo sanno secondo me. Devo chiedere a loro. I miei genitori sono di parte. Loro sono obiettivi e io, io non posso decidere perché in questo momento “debole” sarei di parte anch io. Insomma, a volte mi perdo.. e faccio fatica a ritrovarmi, allora chiedo aiuto alle persone che mi conoscono e sono sicuramente più lucide di me in questo momento. Loro, riescono a rimettermi in chiaro cosa io voglio. Sono disorientata, in questo momento, ma è sempre stato così, di solito mi succede. Mi perdo… e qualcuno a volte mi ritrova.
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EDS4
17) Lo sconosciuto
Ci siamo conosciuti in una di quelle chat che promettono amici e felicità senza fatica e fanno apparire l’essere soli quasi come un vantaggio. Io non sono sola, sono solo molto annoiata. La routine domestica non fa per me e cerco qualche svago in questo mondo fittizio.
Scelgo sempre foto che attirino gli uomini col chiaro intento di incuriosirli, di far sì che vogliano sapere qualcosa di più, che si sentano provocati. Non è difficile, sono una bella donna, molto curata, attenta al fisico e, cosa che spesso colpisce,sono anche intelligente.
Come se essere belle avesse la conseguenza di essere stupide…. ma gli uomini spesso sono davvero basici.
Scrivete in tantissimi, alcuni in modo simpatico, altri in modo provocatorio, altri come maiali ingrifati. Forse pensano che un messaggio sconcio sia più interessante di uno con almeno un briciolo di senso.
E’ qualche settimana che scambio battute con perfetti sconosciuti, a volte li provoco, altre mi ritraggo.
Sto cominciando ad annoiarmi di nuovo.
Una sera mi arriva un tuo messaggio.
Lo leggo svogliatamente, ma mi colpisce subito il tuo modo elegante di scrivere, senza errori, con una sintassi curata. Sei molto educato, il tuo post è un perfetto mix di buone maniere e seduzione. Decido di non rispondere subito, voglio vedere se è un caso o se ci riproverai.
Passano un paio di giorni ed ecco un nuovo messaggio. Come il primo, corretto ed elegante.
Ti rispondo. Con educazione ed ironia, lasciando in sospeso la conversazione per poter proseguire in un nuovo messaggio.
Che puntuale arriva. Sempre più interessanti, sempre più intriganti: scriviamo di tutto quello che ci succede e di quello che vorremmo ci succedesse, siamo in sintonia e gli argomenti iniziano a farsi più personali, a volte perfino piccanti.
Se tu fossi qui… se io fossi lì… cosa vorresti che ti facessi… vorrei sentire le tue dita su di me….Dai messaggi arriviamo presto al cellulare.
La prima telefonata è tua.
Hai una voce calda, quasi avvolgente, e ironizzi sulla mia che è decisamente poco femminile perché piuttosto bassa.
Adesso non mi annoio più. Riempi le mie giornate con messaggi e telefonate anche mentre sei al lavoro. Ma è la sera che diamo il meglio di noi.
Tu sei separato, io sono bravissima a inventare scuse per ritirarmi in camera e voler stare in pace.
Ben presto le nostre conversazioni assumono i toni delle 50 sfumature. Ma tutto, purtroppo, è pura immaginazione. Ci siamo scambiati qualche foto, nulla più. Ci diciamo cose altamente erotiche ma forse, se ci trovassimo in un aeroporto non ci riconosceremmo….
Una sera ti sbilanci: “ Voglio conoscerti, voglio vederti, voglio toccare ogni centimetro della tua pelle… voglio accarezzarti i capelli dopo aver fatto l’amore…”
Ci separano quasi 1800 km, ma in quel momento le distanze si annullano, sento di volerti, voglio farti dal vero tutto quello che ti ho descritto a voce. Chiudo la telefonata con una certezza in testa: organizzare un incontro.
Te ne parlo. Sei entusiasta. Decidiamo per Roma. Tutti e due conosciamo abbastanza bene la città e per tutti e due resta circa a metà strada da dove viviamo.
Per giustificare la mia assenza invento una trasferta per lavoro, e al lavoro chiedo ferie.
Prenoto il volo per me e l’albergo per tutti e due. Camera singola. Nel dubbio tu dal vero non mi piaccia o scopra essere diverso da quanto racconti.
Il tuo volo arriva 30 minuti prima del mio.
Quando esco dal gate ho lo stomaco in subbuglio, come una quindicenne che sente le farfalle per la prima volta. Cerco un volto simile a quello delle foto, questione di momenti e i nostri occhi si incontrano. Ci sorridiamo avvicinandoci. Ci studiamo nel breve tragitto che ci separa, fino a quando, uno di fronte all’altro,ci salutiamo quasi imbarazzati scambiandoci un rapido bacio.
Decidiamo per un giro del centro, una cena in qualche trattoria tipica e poi il rientro in albergo. Per tutto il giorno sei splendido: intelligente, simpatico, galante, provocante… in una parola sei perfetto.
Forse anche troppo. Ma non me ne rendo conto. I tuoi baci improvvisi, il tuo prendermi la mano mentre passeggiamo, i tuoi sorrisi, mi hanno stregato. Non vedo l’ora di rientrare in albergo per concludere la giornata nel migliore dei modi.
Abbiamo due camere separate ma è scontato che una delle due resterà vuota. Mi inviti in camera tua a brindare al nostro incontro,e io ovviamente accetto.
Sappiamo perfettamente tutti e due perché siamo qui, ma l’essere uno davanti all’altro non è la stessa cosa che essere dietro a una tastiera: l’aria è carica di aspettative, quasi tesa, nell’aspettare chi dei due farà la prima mossa.
Tante volte mi hai detto che ti sarebbe piaciuta una donna che prendesse l’iniziativa così poso il calice e con studiata lentezza mi avvicino a te, sento il tuo respiro e i tuoi occhi che mi guardano, ti passo una mano tra i capelli dietro la nuca e ti attiro a me per baciarti. Abbiamo tanto fantasticato di come sarebbe stato… tu volevi un bacio passionale di quelli che quasi ti tolgono il fiato, io un bacio dolce quasi da primo appuntamento.
Non è niente di tutto ciò. È un bacio impersonale tra due persone che hanno solo voglia in fondo di farsi una bella scopata. Però stiamo al gioco, ti lasci stuzzicare con la punta della mia lingua, mi lascio accarezzare dalle tue dita, mi metto sopra di te lasciandoti giocare con la mia pelle.. è un continuo prendersi e perdersi uno nell’altro, di gemiti spezzati, di mani che toccano, stringono…. di bocche che esplorano….
La notte è quasi finita, mi alzo per farmi una doccia. Mi trattieni a letto con un perentorio “stai qui”… mi divicolo e ridendo ti dico che non sono abituata a sentirmi dire cosa devo o non devo fare. È un secondo, ti sollevi dal letto e mi tiri un ceffone che quasi mi butta a terra.
“Ah no? Non sei abituata a sentirti dire cosa devi o non devi fare? Si tratta bene la signora…. ma io non sono tuo marito… a me devi obbedire senza fiatare.”
E’ un incubo non c’è altra spiegazione, sto sognando, ho sognato anche il ceffone… chi è quest’uomo che mi parla come se fossi un oggetto? Che si permette di alzare le mani? Cerco di ricompormi e inizio a parlarti con calma, quasi con dolcezza… “ tra non molto devo tornare in aeroporto,è meglio se torno in camera mi..”
“non hai capito un cazzo!!! Tu stai qui e fai quello che ti dico io! Non mi interessa il tuo volo, inventerai un’ altra palla… sei così brava… ma guardati…. sai cosa sei? Lo sai?”
Stai quasi urlando e io sono terrorizzata. Non riesco a muovermi, ti fisso stranita col terrore tu possa farmi del male. Ti sei trasformato in una belva per una semplice battuta…
Mi do della deficiente da sola, anche nelle nostre telefonate era successo ma ti eri immediatamente ricomposto dicendo che era solo per il gran desiderio che avevi di me… e io ho voluto crederti, non ho voluto vedere… e adesso sono qui con te, che farnetichi sull’essere tua… “ allora!!!! Hai capito cosa ti ho detto???” Non faccio in tempo a rispondere, mi arriva un altro ceffone.
Esci sul balcone a fumare, provo a uscire dalla camera ma hai chiuso e mi mostri la chiave dai vetri… Sono in trappola…
Poi ho un flash. Compongo il numero delle emergenze e riappoggio il telefono dove lo avevi messo tu… non ti sei accorto di nulla… torni in camera e ricominci a insultarmi…. riesco a schivare un altro ceffone ma non sono abbastanza veloce da non farmi prendere da te e buttare sul letto mentre mi dici che se non faccio bene il mio lavoro di ceffoni ce ne saranno molti altri….
Fuori dalla porta si sentono delle voci concitate, intimano di aprire, poi dopo pochi secondi la porta viene aperta col passpartout del concierge…. la chiamata è stata geolocalizzata. È tutto finito. Ti portano via dalla stanza e anche dalla mia vita….
Posso tornare a casa.
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Tutto finisce, che senso ha dedicarci tempo ed energia.
Cazzo, forse ha ragione L sono io la maschera. Sono vuota. Voglio il controllo perché sono vuota..?!
Nessuno mi accetta, ma a me va bene così. Sono migliore di voi ormai lo dicono anche i fatti, per me potete anche andare a fare in culo che da sola sto meglio.
Mi sento sola. Spero di trovare qualcuno come me con la quale poter condividere il mondo anche se sto bene da sola sento che è importante aver qualcuno sulla quale poter contare, ma anche se ho un paio di amici, in realtà nessuno rientra in questa caratteristica. Non c’è nessuno.
Si può contare solo su se stessi. Sono la figlia ribelle non ricordi?! Se lasciavate fare tutto a me a quest ora avevate tutto quello che volevate. Lo sapete che ne ho la capacità, ma dovete sempre interrogarvi su cosa è giusto. È giusto che tu sia tu, che tu sia felice anche se questo vuol dire egoismo, la gente non ti mette al primo posto, fallo tu.
Nulla ha senso. Vorrei solo trovare un senso.
Vorrei solo divertirmi.
Vorrei solo provare emozioni.
Ecco vedi. Io mi interrogo, sono la mente. D, sei il cuore, l’essenza la purezza... L tu sei la maschera!!!
Senza di me come ci stai in sto mondo? Mi trovi finta?
No, no. Hai ragione. Dobbiamo imparare ad andare d’accordo.
Lo stiamo già facendo se qualche deficiente non si mette in mezzo.
Io devo farmi vedere poco, dovete difendermi ma non intrappolarmi, fatemi uscire.
Quando è il momento.
Io ti difendo lo sai. Esisto per quello stupida.
Come faccio a capire quando è il momento?
Quando trovi qualcuno come me, io lo sento e te lo dico, ascoltami, non forzarmi quando sto lì se no mi farai solo del male.
E io che faccio vi guardo e mi annoio?!
Ci sarà il momento dove dovrai farti da parte per un po’.
Sono una parte di voi anche io! Non potete mandarmi via quando volete, tanto torno per rovinare tutto quando mi va. D mi chiama per divertirsi non te l ha detto?! Non è poi così pura.
Sei tu che la tenti. Ti devo dare una regolata, tu servi solo se c’è un pericolo vero a noi.
Certo certo. AHAHAHAHAHAHAHAHA!
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The Promise Ring - Very Emergency
Ogni tanto mi sveglio presto per dirti addio
Metti che non torni più
(da: Emergency! Emergency!)
1. Happiness Is All the Rage
La felicità fa furore
Ho il corpo e la mente sulla stessa lunghezza d'onda
E tesoro, ormai la felicità fa furore
Ho il corpo e la mente sulla stessa lunghezza d'onda
E tesoro, ormai la felicità fa furore
E si potrebbero fare più cose all'aperto
Se non fossimo così impegnati a trovare degli impegni
Lavare i panni finalmente
Il primo segnale della prima luce
Eppure non abbiamo niente da metterci tra di noi
Ho il corpo e la mente sulla stessa lunghezza d'onda
E tesoro, ormai la felicità fa furore
Ho il corpo e la mente sulla stessa lunghezza d'onda
E tesoro, ormai la felicità fa furore
E io sono così pieno con una sola ragazza
Che a malapena mi si aprono gli occhi
Riesco a malapena a leggere
Il passato finisce qui
Il primo segnale della prima luce
Già, adesso le cose vanno bene tra di noi
Ho il corpo e la mente sulla stessa lunghezza d'onda
E tesoro, ormai la felicità fa furore
Ho il corpo e la mente sulla stessa lunghezza d'onda
E tesoro, ormai la felicità fa furore
Fa furore
Eppure non abbiamo niente da metterci tra di noi
E la felicità fa furore
La felicità fa furore
La felicità fa furore
E la felicità fa furore
2. Emergency! Emergency!
Emergenza! Emergenza!
Ogni tanto mi sveglio presto per dirti addio
Metti che non torni più
E so che il caffè va via in macchina
Perché va fortissimo e bello lontano
Allora ecco dove sei
E ben presto la stanza non si ricorda più che c’eri dentro
E ho la polvere sui capelli
E l’aria impolverata è impazzita per qualcosa verso fine anno
E acqua ovunque
Ed è un SOS, molto emergenza
SOS, è molto emergenza
SOS, molto emergenza
SOS, oh, yes
Ogni tanto mi sveglio presto per dirti ciao
Dirti tutto quello che sai già
Talmente presto che comincio a far la guardia al letto
Dove veniamo attaccati e siamo una cosa sola
Cadiamo a pezzi
Ed è un SOS, è molto emergenza
SOS, molto emergenza
SOS, molto emergenza
SOS, oh, yes
Quando riprendo conoscenza
Qualcosa smarrito e qualcosa ritrovato
So che sarai qui per terra quando riprendo conoscenza
Riprendo conoscenza, conoscenza, conoscenza
E mi farò un giro
E tesoro, SOS, è molto emergenza
SOS, molto emergenza
SOS, molto emergenza
SOS, oh, yes
SOS
Tesoro, è un SOS
Tesoro, è un SOS
Tesoro, è un SOS
3. The Deep South
Il Profondo Sud
Nel profondo sud del paradiso
Sul confine incerto dove il Tennessee si leva giusto in tempo
Me lo segno
Presto sarà diverso
Sei fantastica presa lì tra me e la luna
So che ponti e case stanno imparando a volare
Solo che in segreto, per non farci sapere il perché
E buon per loro, bah-bah-doo, bah-doo, ognuno finisce
Nel mattino del profondo blu
Ci sono pesci gatto che aspettano di nascere
Sanno come avviene, questa notte è tutta per loro
E me lo sono segnato nei tardi tardi pomeriggi
“I nomi delle vie stanno cambiando e io, e io li seguirò a ruota”
E so che ponti e case stanno imparando a volare
Solo che in segreto, per non farci sapere il perché
E buon per loro
Beh, io penso, io penso che sia emozionante, e penso che sia folle
Aspettare qui nel, qui nel profondo sud
Penso che sia folle, sì, sì, penso che sia folle
Aspettare qui nel, qui nel profondo sud
Nel profondo sud del paradiso
Sul confine incerto dove il Tennessee starà benone
Me lo sono segnato nei tardi tardi pomeriggi
“Sei fantastica presa lì tra me e la luna”
Beh, io penso, io penso che sia emozionante, e penso che sia folle
Aspettare qui nel, qui nel profondo sud
Penso che sia folle, e penso che sia folle
Aspettare qui nel, qui nel profondo sud
Beh, io penso, io penso che sia emozionante, e penso che sia folle
Aspettare qui nel, qui nel profondo sud
Penso che sia folle, sì, sì, penso che sia folle
Aspettare qui nel, qui nel profondo sud
4. Happy Hour
Happy hour
Hey, hey, dove viviamo adesso?
Dall'ora delle streghe a quella dell'aperitivo
Che è a ore e ore di distanza
E per Dio, tutte queste orecchie e questi occhi
Facce familiari, legami di famiglia
Che sono nostri e nostri, son solo nostri
Dove viviamo adesso?
Dove viviamo adesso?
Dove viviamo adesso?
Dove viviamo adesso?
Hey, J, sto cadendo a pezzi
Magari sono sul prossimo treno
Che forse arriva, che forse arriva oppure no
JoAnn dice "segui le tue mani"
Sa che loro capiscono che non lo sai perché non te lo ricordi
Dove viviamo adesso?
Dove viviamo adesso?
Dove viviamo adesso?
Dove viviamo adesso, adesso, adesso?
Hey, hey, dove viviamo adesso?
Dall'ora delle streghe a quella dell'aperitivo
Che è a ore e ore di distanza
E per Dio, tutte queste orecchie e questi occhi
Facce familiari, legami di famiglia
Che sono nostri e nostri, son solo nostri
Dove viviamo adesso?
Dove viviamo adesso?
Dove viviamo adesso?
Dove viviamo adesso, adesso, adesso?
Dove viviamo adesso?
Dove viviamo adesso?
Dove viviamo adesso?
Dove viviamo adesso?
Dove siamo adesso?
Dai, sù
Dove siamo adesso?
Dai, sù
Dove siamo adesso?
Dai, sù
Eh, dai
Eh, dai
Sù, dai
5. Things Just Getting Good
Le cose che cominciano ad andare bene
Quando quello che sono venuto a dire sarà stato detto
E sarà calato il sole sulla mia carriera estiva
In che modo è arrivato settembre per Sinatra
È inverno, poi è un nuovo anno
E un’esplosione di luci si prende Manhattan
Per cui io prendo e me ne vado a Berlino
E domani cominciamo tutti
Ma per stanotte me ne vado a letto
Quando quello che sono venuto a fare sarà stato fatto
E sentiremo tutti l’allegria delle feste
E sentirò cantare il mio canto del cigno
“È inverno, poi è un nuovo anno”
E io seguo le evoluzioni del tempo insieme e il mio fratello migliore
Con le cose che cominciano ad andare bene
Con le cose che cominciano ad andare bene
Con le cose che cominciano, le cose che cominciano ad andare bene
Siamo il titolo provvisorio di un libro parecchio lungo
E se fosse troppo facile, non varrebbe tutto il tempo che ci è voluto
Quando mi sono accorto che mi guardavi, hanno cominciato a tremarmi le mani
Se fosse troppo facile, non varrebbe tutto il tempo che ci è voluto
E io seguo le evoluzioni del tempo insieme e il mio fratello migliore
Con le cose che cominciano ad andare bene
Con le cose che cominciano ad andare bene
Con le cose che cominciano, e le cose che cominciano ad andare bene
Davey, oh, Davey, non venirmi a dire che sei matto
E Jason, oh, Jason, guarda un po’ cos’è che stai rincorrendo
Dan Didier, eh, Didier, non puoi restare tutto il giorno in pigiama
E Scott Schoenbeck, eh, Scott Schoenbeck, la sua testa si sente un rottame stasera
6. Living Around
Vivere tanto per
Perdo la voce a forza di parlare con te di com’è parlare con te
Leggo i tuoi libri, mi metto i tuoi vestiti
Non lo sa nessuno che non sono i miei
Mi sa che ci sta, a forza di vivere tanto per vivere
Le cose che finalmente cominciano ad andare benone
Mi sa che ci sta, a forza di vivere tanto per vivere
Le cose che finalmente cominciano ad andare benone in questo posto che ho trovato
Oggi è la fine del mondo
Hai sganciato una bomba sulla mia brutta giornata
Hai sganciato una bomba sulla mia brutta giornata
Perdo la voce a forza di parlare con te di com’è parlare con te
Leggo i tuoi libri, mi metto i tuoi vestiti
Non lo sa nessuno che non sono i miei
Mi sa che ci sta, a forza di vivere tanto per vivere
Le cose che finalmente cominciano ad andare benone
Mi sa che ci sta, a forza di vivere tanto per vivere
Le cose che finalmente cominciano ad andare benone in questo posto che ho trovato
Oggi è la fine del mondo
Hai sganciato una bomba sulla mia brutta giornata
Hai sganciato una bomba sulla mia brutta giornata
Oggi sei la fine del mondo
Hai sganciato una bomba sulla mia brutta giornata
Hai sganciato una bomba sulla mia brutta giornata
E oggi è la fine del mondo
Hai sganciato una bomba sulla mia brutta giornata
Hai sganciato una bomba sulla mia brutta giornata
Oggi sei la fine del mondo
Hai sganciato una bomba sulla mia brutta giornata
Hai sganciato una bomba sulla mia brutta giornata
E sei la fine del mondo, tesoro
Hai sganciato una bomba sulla mia brutta giornata
Hai sganciato una bomba sulla mia brutta giornata
7. Jersey Shore
Spiaggia del Jersey*
Cammino sul pontile e mi annoio
Spiaggia del New Jersey
Se vengo a New York posso dormire per terra da te?
Ultimamente vivo di una sola valigia sul pavimento del motel
E faccio salire il conto a mio nome nel negozio all’angolo, nel negozio all’angolo
Non cammino quasi più sul pontile
Quando arriva l’estate i tuoi capelli diventano troppo lunghi
Mi sta venendo il vizio di bere molto prima delle quattro
Quando sarà finito luglio, avrò ventiquattro anni
Poi non più, e non più
Spiaggia del New Jersey
Spiaggia del New Jersey
Spiaggia del New Jersey
E poi non più
* Giusto per la cronaca, l’omonimo reality show di MTV è nato una buona decina di anni dopo questa canzone.
8. Skips a Beat (Over You)
Salta un battito (a causa tua)
La macchina della mia ragazza dietro l’angolo su Clarke
Sta alla finestra mentre diventa buio
Sta alla finestra mentre diventa buio
E io sarò lì dentro quando diventa buio
Non sarebbe bello se potessimo vivere due volte in una sola vita?
Così sì che sapremmo cosa fare
Quando tremo con sù le scarpe
E il cuore salta un battito a causa tua
La macchina della mia ragazza dietro l’angolo su Clarke
Sta alla finestra mentre diventa buio
Sta alla finestra mentre diventa buio
E io sarò lì dentro quando diventa buio
Non sarebbe bello se potessimo vivere due volte in una sola vita?
Così sì che sapremmo cosa fare
Quando tremo con sù le scarpe
E il cuore salta un battito a causa tua
Non sarebbe bello se potessimo vivere due volte in una sola vita?
Così sì che sapremmo cosa fare
Quando tremo con sù le scarpe
E il cuore salta un battito a causa tua
Cosa fare quando tremo con sù le scarpe
E il cuore salta un battito a causa tua
Cosa fare quando tremo con sù le scarpe
E il cuore salta un battito a causa tua
9. Arms and Danger
Braccia e pericolo
Te… sì, sì, te
Nessuno potrebbe essere più felice per te
Sono nato nel 1968
Nato per sostituire Bobby Kennedy
Yeah, oh, yeah, oh, yeah
Ore dopo l’orario di chiusura
Le nostre ore pomeridiane ci danno la caccia ora
Ore prima di andare, ancora non lo saprò
Siamo tutti braccia e pericolosi
Siamo tutti, tutti quasi famosi per questo
Yeah, oh, yeah, oh, yeah
E ho, ho, ho, ho dei nomi da dargli
E sono tutti gli stessi, scommetto
Ore prima di andare, ancora non lo saprò
E non so se le persone o il tempo andranno mai lentamente
Ma te, te, te lo sai cos’hai in ballo di buono per te?
Sì, te, nessuno potrebbe essere più felice per te
Nessuno potrebbe essere più felice per te
Nessuno potrebbe essere più felice per te
Saremo palme in paradiso quando le porte perlacee del paradiso vedranno i nostri bianchi perla
Yeah, oh, yeah, oh, yeah
Tutte le palme in paradiso
La seconda venuta dei nostri diritti di nascita
Ore prima di andare, ancora non lo saprò
E non so se le persone o il tempo andranno mai lentamente
Ma te, te, te lo sai cos’hai in ballo di buono per te?
Sì, te, nessuno potrebbe essere più felice per te
Nessuno potrebbe essere più felice per te
Nessuno potrebbe essere più felice per te
Yeah, oh, yeah, oh, yeah
Siamo tutti braccia e pericolosi
Siamo tutti, tutti quasi famosi per questo
Ore prima di andare, ancora non lo saprò
E non so se le persone o il tempo andranno mai lentamente
Ma te, te, te lo sai cos’hai in ballo di buono per te?
Sì, te, nessuno potrebbe essere più felice per te
Nessuno potrebbe essere più felice per te
Nessuno potrebbe essere più felice per te
Yeah, oh, yeah, oh, yeah
Oh, yeah, oh, yeah
Oh, yeah, oh, yeah
10. All of My Everythings
Tutte le mie tutte le cose
Un disco di musica dance di quando non ero ancora nato sullo stereo
Che suona l’estrema unzione alle mie tarde notti
Tutte le mie sere e tutti i miei tutti i giorni
E tutti i miei tutti, tutti, tutti i giorni
Nulla da spartire nello stesso posto
Caffè, uova strapazzate
Cominciamo ad andare ognuno per la propria strada
Ora cominciamo ad andare ognuno per la propria giornata
E cominciamo ad andare ognuno per la propria, propria, propria giornata
Perché mai ci siamo separati e staccati di mano?
Perché mai ci siamo separati?
Quando leggerai queste righe
Questa casa sarà passata di mano ancora un’altra volta
Dovunque ti trovi
A chiamare le amiche dal telefono di qualcun altro, in casa di qualchedun altro
Di qualchedun altro, in casa di qualcun altro
Perché mai ci siamo separati e staccati di mano?
Perché mai ci siamo separati?
E tutti i miei tutti, tutti, tutti i giorni
Tutti i miei tutti i giorni
Ciao, ciao, ciao, ciao
Niente che non sia logoro tra tutte le mie tutte le cose
Ciao, ciao, ciao, ciao
Niente che non sia logoro tra tutte le mie tutte le cose
Ciao, ciao, ciao, ciao
Niente che non sia logoro tra tutte le mie tutte le cose
Ciao, ciao, ciao, ciao
Ciao, ciao, ciao, ciao
Niente che non sia logoro tra tutte le mie tutte le cose
#the promise ring#very emergency#happiness is all the rage#emergency! emergency!#emergency emergency#the deep south#happy hour#things just getting good#living around#jersey shore#skips a beat (over you)#skips a beat over you#arms and danger#all of my everythings
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[INTERVISTA] BTS X SEVENTEEN MEGAZINE pt.2
“-DOMANDA- Attualmente in tour, la popolarità dei BTS ha oltrepassato ogni barriera e si sta diffondendo intorno al mondo!
RM: Abbiamo visitato molti paesi ma il Brasile è quello che mi ha impressionato di più. Ho saputo attraverso i giornali locali che per il primo concerto le persone hanno messo delle tende e si sono accampati fuori dal luogo del concerto giorni prima per comprare i biglietti. JM: Ne sono stato davvero sorpreso! SU: Viaggiamo intorno al mondo ma per la maggior parte rimaniamo nei nostri hotel. Uso il tempo rimanente per scrivere musica lì. È per questo che mi porto sempre dietro il necessario per fare musica. RM: Hai anche un bollitore (*ride). Usa un bollitore elettronico per bollire l’acqua e cucinare il ramen o cibo istantaneo che ha portato dalla Corea. JH: È molto importante. Io porto anche un cusino. Non è troppo rigido né troppo morbido ed è il migliore per il mio collo. Non devo preoccuparmi del fatto che il cuscino dell’hotel potrebbe non essere adatto! J: Io in hotel suono la chitarra, cosa di cui mi sono molto interessato ultimamente. Facciamo tutti quello che ognuno vuole fare. V: Io porto con me il mio libro preferito su Van Gogh e lo leggo. JK: Io ascolto musica attraverso le mie casse… Ma spesso gli altri membri mi sgridano. V: Dicono che sia troppo rumoroso (*ride). JH: Quando lo diciamo lui abbassa il volume (*ride). Una volta Rap Monster l’ha sgridato e ha abbassato il volume ma il volume era così basso che Jungkook non riusciva a sentire. Così si è avvicinato le casse alle orecchie per ascoltare la musica. Ho riso e gli ho chiesto se aveva fatto tutta quella scenata per ascoltare la musica dalle casse. JK: Ti ho detto che il suono è diverso! RM: Che cosa si porta dietro Jimin? JM: Non porto con me niente in particolare. Porto già me stesso e questo basta ♡ -DOMANDA- Il lato vero di ognuno di voi che solo i membri conoscono.
JM: Il nostro leader Rap Monster-hyung è un goffo “Dio della Distruzione”. Non rompe solo le cose, perde anche il suo telefono di tanto in tanto, inciampa nel vuoto o rovescia il caffè e macchia la camicia di Jin hyung… Succede spesso (*ride). SU: Ma è molto intelligente. È eccellente nelle lingue ed è il migliore a parlare giapponese. RM: Sono in imbarazzo~ V: J-Hope è il leader del ballo, è il migliore a ballare. Si può contare su di lui e si prende molta cura di noi. JH: Faccio solo il mio lavoro. JK: Stai facendo il modesto? (*ride) JH: Sono serio! (*ride) RM: Anche Jin hyung - il matnae (N/B: un gioco di parole tra ‘mathyung’ e ‘maknae’ quindi tra il più grande del gruppo e il più giovane) - si prende cura di noi. Gli piace il cibo quindi cucina per noi o… J: Sono impegnato recentemente quindi non cucino per niente. Non sto mangiando nemmeno molto a causa della mia dieta. SU: Condivide una stanza con me. Odio quando un posto è rumoroso quindi lui rimane in silenzio per il mio bene. Mi piace il silenzio e odio quando ci sono troppe persone. RM: Si è messo a parlare improvvisamente di se stesso quando stiamo parlando di altri. Suga hyung vive davvero senza essere influenzato dalle azioni o dalle opinioni degli altri. Ha sempre la testa da un’altra parte ed è pigro (*ride). SU: Sono pigro perché ho bisogno di raccogliere la mia energia per fare musica. Te l’ho detto che tutto ha un significato! Jimin è “Jimin lento” e queste parole bastano. J-Hope è il più veloce mentre Jimin è il più lento. Questa è la vita di tutti i giorni dei BTS. J: Ma Jimin lavora più duramente di chiunque altro. Balla o canta sempre nei camerini. RM: Sarà il risultato dei suoi sforzi? Ha una faccia dolce e bei muscoli. SU: Ma… È sempre in ritardo. BTS: (*ridono). JM: Parliamo di V adesso. JK: È davvero una persona fantastica. V: Non sono fantastico~ JK: Dice così ma è davvero fantastico (*ride). Esce fuori dal discorso o dalla questione e, anche quando tutti sono “?”, lui li ignora e continua. E si fa capire da tutti mettendoci molta enfasi. V: Mi sto impegnando anche io ad arrivare dritto al punto! Ma cosa posso fare quando non riesco a pensare a nulla? È dura anche per me! JH: Non lo sapevo (*ride). Il nostro maknae Jungkook, come potete vedere, è bellissimo e perfetto. V: Sì, ma è davvero sempre bellissimo? Mmh? Quando dorme… (*ridacchia) JK: Cosa? (*nervoso) JH: Niente, sei bellissimo anche quando dormi. È tutto okay (*ride).
-DOMANDA- La chiacchierata senza fine di questi ragazzi! Sette persone unite come una famiglia. Quando vi è stato chiesto “Che cosa vi fa diventare di buonumore?”, quasi tutti hanno risposto “I membri”.
J: A volte abbiamo bisogno di lavorare per conto nostro… Io mi annoio. È lo stesso quando filmiamo scene individuali per i video musicali. Se i membri non sono in giro mi sento solo. JM: Colui che mi rallegra sempre è il nostro maknae Jungkook. È malizioso quindi ci fa sempre ridere. Ma Jungkook ha detto che gli piace di più il cibo buono che la mia compagnia… JK: Il cibo buono mi rende felice ♡ Se c’è del cibo davanti a me ne prendo sempre un morso. Anche se sono pieno, è lo stesso. Mi viene fame dopo aver dormito per poche ore. Riuscirei a mangiare tutto il tempo (*ride).
-DOMANDA- Alla domanda “Che cosa vorresti avere al momento?”, ecco quali sono le risposte delle sette persone che sono impegnate tutti i giorni.
RM: Tempo. Vorrei passare del tempo con la mia famiglia. Voglio viaggiare con loro. Abbiamo avuto un concerto in Giappone lo scorso anno e i miei genitori con mia sorella sono partiti per un viaggio. Non sono potuto andare con loro… ne sono stato molto triste. JH: Io non sono mai stato in viaggio con la mia famiglia. Voglio viaggiare con loro! JK: Voglio viaggiare anche io. In America o in Giappone. Con chi voglio andare? (*guarda J-Hope seduto vicino a lui) Con J-Hope hyung! ♡ JH: Wow, ne sono felice! Jungkook ha finalmente imparato come si sta al mondo (*ride) V: Anche io voglio avere del tempo libero ma mi piacciono di più i dipinti. Ne voglio di più. Il mio pittore preferito è Van Gogh. Ho circa 10 dipinti appesi nella mia stanza. JK: Sono veri? JH: Se fossero veri costerebbero milioni di miliardi (*ride). J: Io voglio avere un’isola. Ho filmato su un’isola per un programma qualche mese fa e mi hanno detto che poteva essere comprata per 30 miliardi. RM: Non c’è bisogno che tu compri un’isola. Andremo presto alle Hawaii o ad Okinawa (*ride). Oh, è il momento di concludere l’intervista! Salutiamo in modo adeguato per la chiusura. SU: Per favore ascoltate molto il nostro singolo “Blood, Sweat & Tears” e aspettate impazientemente il nostro tour giapponese. Supportate più che potete i BTS, per favore! RM: I nostri cuori sono sempre… Seventeen! ♡”
PT.1
Traduzione a cura di Bangtan Italian Channel Subs (��lynch) | Trans ©ktaebwi | Pic ©tvxq4bts57
#bts#bangtan#bangtan boys#intervista#seventeen magazine#august issue#rap monster#jin#suga#jhope#jimin#v#jungkook#namjoon#seokjin#yoongi#hoseok#taehyung#traduzione ita#traduzione#ita#trad ita
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Recensione iPad mini 2019: chi ha detto che il tablet è un sostituto del computer?
Cos'è per voi l'iPad? Con questa stessa domanda ho iniziato un articolo del mese scorso in cui elogiavo il form factor del mini. Già perché a dispetto della dicitura Pro, della tastiera sullo Smart Connect e di potenze di calcolo incredibili, l'utilizzo per il quale io preferisco il tablet al computer è ancora limitato alla fruizione di contenuti. Faccio ricerche, leggo, guardo qualche video, ogni tanto un po' di gaming ma soprattutto mi perdo nei siti di commercio elettronico, riempiendo la lista dei desideri in base alle passioni del momento. Saltuariamente uso Prompt per il terminale SSH sui server remoti, ogni tanto VNC per qualcosa di veloce sul computer – quando mi annoio ad andarci di persona – e poi scrivo tanto. Anzi, scrivevo.
L'iPad mini consente di scrivere molto comodamente in verticale
A me usare il tablet con la tastiera non piace. Almeno non per come è fatto ora iOS e per i limiti in cui ci ingabbia. Al computer non potrei vivere senza i tasti, con tutte le shortcut che uso per automatizzare mille operazioni, ma su iPad si può usare per lo più come una macchina da scrivere visto che le interfacce richiedono comunque il tocco a schermo (in attesa di un possibile supporto futuro per i mouse). Dunque mani in basso, poi in alto, poi di nuovo basso, in un mix scomposto di posture e gesti che proprio non mi convince. Ma soprattutto serve un piano d'appoggio per via della poca stabilità della struttura, e se devo stare su una scrivania mi devono ancora spiegare quale vantaggio pratico avrei dall'usare un sub–PC (altro che post–).
iPad mini 2019 ha il Touch ID di 2a gen. molto più veloce rispetto a quello di iPad mini 4
Per questo su iPad io preferisco la tastiera a schermo, almeno finché si tratta di testi e non codice, dove il continuo passaggio tra simboli e lettere sarebbe sfiancante. Sui precedenti modelli utilizzavo la modalità divisa in verticale, perché occupa poco spazio schermo e si arriva su tutte le lettere con i due pollici, riuscendo anche ad ottenere velocità e buona precisione. Da quando ho il Pro da 11", però, mi sono scontrato con l'esclusione di questa opzione da parte di Apple e ciò è stato davvero frustrante. Non ho certo mani piccole, eppure con la tastiera sull'intera larghezza dell'iPad da 11" io fatico ad arrivare sui caratteri centrali. Ci riesco, ma non comodamente. Dunque va bene per un messaggio, qualcosa di breve, non certo per scrivere un articolo. Senza considerare che la tastiera così composta occupa troppo spazio.
Nell'eterno limbo tra fruizione e creazione
Fino a pochi mesi fa non ci avevo fatto caso, ma, seguendo la promessa di un iPad Pro capace di sostituire il computer per compiti lavorativi, mi sono involontariamente messo in una posizione spiacevole. Questi benedetti compiti professionali, che nel mio caso includono lo sviluppo fotografico e il montaggio video, sono ancora improponibili per la gestione dell'archivio, che, non supportando l'accesso nativo e diretto su unità esterne, deve per forza essere locale (occupando troppo spazio interno) o sul cloud (risultando troppo lento). E poi si sente troppo la mancanza del mouse e della sua precisione, nettamente superiore sia alla penna che al dito (vedremo in iOS 13...).
È piccolo ma non disdegna il saltuario uso con due app
Dunque non sono personalmente riuscito a compiere questo step evolutivo da fruizione a creazione di contenuti e, al contempo, ho trovato sempre meno pratiche anche le poche cose che amavo fare su iPad avendo acquistato modelli più grossi e pesanti. Il tutto è iniziato proprio con i Pro e l'abbandono della linea mini, che ho smesso di seguire e persino provare. D'altronde Apple l'ha implicitamente definita di serie B riducendone le funzioni e bloccandone lo sviluppo per anni; dunque pur amando quel form factor mi sono sentito disincentivato ad usarlo, perché sembrava di scommettere sul cavallo perdente.
Dopo 4 anni è di nuovo tempo di iPad mini
Ho preso coscienza di questo personale ed involontario imbottigliamento solo di recente, quando si è iniziata a paventare la possibilità di un nuovo iPad mini dopo il 4, che risale ad un tecnologicamente lontano 2015. Ne ho acquistato uno usato e ci ho subito preso confidenza, ricordando quanto lo apprezzassi. Però gli anni di distanza si sentono tutti, sia per la lentezza dell'Apple A8 che per alcuni dettagli non proprio secondari, come il Touch ID di prima generazione.
Si riesce a tenere con una mano sola... è un grande differenza rispetto gli altri iPad
Tutte queste considerazioni possono sembrare marginali ed occupare fin troppo spazio in una recensione che riguarda specificatamente il nuovo iPad mini 2019, eppure io credo che dal punto di vista hardware ci sia davvero poco di interessante che si possa dire, mentre le esperienze vissute possono sempre aiutare a stimolare le proprie considerazioni, uguali o contrarie che siano.
Specifiche iPad mini 4 (2015) iPad mini 2019 iPad Air 2019 Dimensione schermo / Risoluzione 7,9" IPS / 1536 x 2048 @ 324ppi 7,9" IPS / 1536 x 2048 @ 324ppi 10,5" IPS / 1668 x 2224 @ 265ppi Laminazione Completa Sì Sì Sì P3 / True Tone No / No Sì / Sì Sì / Sì Dimensioni (LxAxP) 203 x 134 x 6,1 mm 203 x 134 x 6,1 mm 251 x 174 x 6,1 mm Peso ~300 gr ~300 gr ~460 gr SoC / Core / Frequenza A8 / 2-core / 1,5 GHz A12 Bionic / 6-core / 2,5 GHz A12 Bionic / 6-core / 2,5 GHz RAM 2 GB LPDDR3 3 GB LPDDR4X 3 GB LPDDR4X Tagli di archiviazione 16 / 32 /64 e 128 GB 64 GB / 256 GB 64 GB / 256 GB Sicurezza Touch ID (1a gen) Touch ID (2a gen) Touch ID (2a gen) Speaker 2 2 2 Apple Pencil No Sì, 1a gen Sì, 1a gen Camera posteriore 8 Megapixel / f2.2 / 1080p 8 Megapixel / f2.2 / 1080p 8 Megapixel / f2.2 / 1080p Camera anteriore 1,2 Megapixel / f2.2 / 720p 7 Megapixel / f2.2 / 1080p 7 Megapixel / f2.2 / 1080p Wi-Fi 802.11ac dual-band 802.11ac dual-band 802.11ac dual-band LTE LTE Cat 4 150 Mbps LTE Cat 16 Gigabit LTE Cat 16 Gigabit Bluetooth 4.0 5.0 5.0 Prezzo base / Memoria 439 € / 16 GB 459 € / 64 GB 569 € / 64 GB In vendita Ritirato Sì Sì Potenziale longevità futura Forse 1 solo anno (iOS 13) Tra i 4 e i 5 anni almeno Tra i 4 e i 5 anni almeno Altro Vecchio grigio siderale Grigio Siderale più scuro Grigio Siderale più scuro
Una delle novità più interessanti: il supporto per Apple Pencil 1 e Logitech Crayon
Prima le esigenze, poi il prezzo
La tabella qui sopra ci dice che esiste un miglioramento rispetto l'iPad mini 4 in quasi ogni ambito ma anche che il mini e l'Air 2019 condividono praticamente ogni cosa al di fuori del formato. A prescindere dal fatto che si possa tirare dentro la comparazione anche l'iPad Pro 10,5" del 2017 come alternativa all'Air 2019, la considerazione principale che immagino si debba fare è se lo schermo ed il corpo più compatto siano un bonus o un malus in relazione all'uso che se ne intende fare.
Certo c'è un risparmio di 110€ da listino a favore del mini, ma ritengo un errore scegliere in base a questo, poiché avendo un vantaggio concreto con il display più grande si finirebbe per pentirsi della scelta al netto della spesa inferiore. Ecco perché ho esordito chiedendo cos'è per voi l'iPad.
Differenze tra iPad mini (2019), iPad mini 4 (2015) e iPad (2018)
Se come me siete per lo più dei fruitori e non vi trovate quasi mai ad usarlo con la tastiera, con complessi fogli di calcolo o con due app affiancate (possibile, ma meno efficace sullo schermo da 7,9"), l'iPad più piccolo risulta utilissimo per la mobilità quanto in casa. In particolare io lo apprezzo perché riesco a tenerlo bene con una sola mano guardando lo schermo o interagendo con l'altra, nonché per scrivere nella già citata modalità verticale sulla tastiera virtuale. Certo per i filmati i 10,5" del nuovo Air sono decisamente meglio di 7,9", ma se come me ne vedete qualcuno ogni tanto, magari su YouTube, non sarà poi una grande perdita. Le prestazioni sono le stesse ed anche molto valide, ecco perché il nocciolo del dilemma verte interamente sul formato.
L'iPad Pro da 8" che non c'è
Per ciò che io faccio col tablet non c'è dubbio che il mini sia quasi sempre più comodo nel quotidiano e lo apprezzo perché è più pratico da maneggiare, prendere e riporre dove capita, visto che pesa e occupa poco spazio, ma la verità è che lo trovo comunque una piccola delusione. Come ho scritto nel già citato elogio dell'iPad mini che non c'è (e forse mai ci sarà):
[..] mi piacerebbe che Apple presentasse un modello di mini avanzato quasi come un Pro per design e specifiche, ma con dimensione più contenuta. È una richiesta egoistica basata su esigenze personali, non mi azzardo a fare previsioni sugli impatti nel mercato, dico solo che un tablet così mi renderebbe decisamente felice.
Non è quello che ha fatto Apple, anche perché l'apprezzamento degli utenti sul mini sembra essere inferiore agli altri. Tuttavia il motivo dietro questa scelta potrebbe essere almeno in parte dovuto alla minore attenzione al prodotto da parte della stessa azienda che lo produce così come ad una propensione naturale dei potenziali acquirenti, che nel dubbio sulle reali implicazioni sono giustificatamente portati a pensare: "più grande è meglio" o "ci posso fare più cose" o ancora "è più simile ad un portatile".
L'iPad mini entra anche in molte tasche posteriore dei pantaloni da uomo
Lungi da me negare tali affermazioni, ma il punto è che l'iPad non è un portatile e dunque vi esorterei nuovamente a considerare qual è o potrebbe essere l'uso che effettivamente farete del dispositivo, perché troppo spesso si acquistano prodotti non proprio adatti alle esigenze facendosi attirare dall'idea del di più perdendo di vista ciò che è davvero importante, cioè il giusto.
Conclusione
Io sono stato particolarmente attratto dalle dimensioni dell'iPad mini, ma apprezzo molto di più il design moderno e le funzionalità evolute dell'iPad Pro 11" 2018. Ecco perché mi sento penalizzato dalla scelta di Apple, che ha aggiornato il modello da 7,9" su quasi tutti i punti lasciandolo però inalterato il formato con il tasto home e Touch ID. Era tuttavia necessario far così dopo 4 anni di assenza di aggiornamenti e vendite sicuramente in calo, ma anche perché nel mercato consumer la maggioranza sembra ritenere che da un grande prezzo derivano grandi schermi, dunque non sarebbe stato facile proporre un iPad mini "Pro" inevitabilmente più costoso anche dell'Air 10,5". A parte l'eventuale utilizzo del più potente A12X, di cui difficilmente si sentirà la mancanza per le attività tipiche da tablet di cui ho parlato, ciò che davvero mi manca è il Face ID ed il formato più moderno e leggermente allungato del display.
Ecco cosa succede ad un video 16:9 su uno schermo 4:3
Lo so che a molti piacciono i 4:3, in primis ad Apple che li ha proposti e motivati con ferma sicurezza, eppure ho trovato eccellente l'impatto di una diagonale più stretta sugli schermi degli iPhone e credo che donerebbe moltissimo ad un tablet compatto come il mini, che non vuole essere uno strumento di produttività se non in rare occasioni. Anche l'iPad Pro recente è leggermente più alto, pur rimando vicino ai 4:3 (precisamente 4:2,79) e trovo sia a tutto vantaggio della qualità di visione. E dirò di più: per me sarebbe il caso ddi osare in questo taglio più piccolo, puntando persino su un 16:10. Ne risulterebbe una maneggevolezza superiore ed una maggiore quantità di elementi a schermo sia in verticale che in orizzontale (ad esempio si ottimizzerebbe tanto la fruizione di video). Devo però constatare che in alcuni casi le app per iOS preferiscano un layout diverso sul mini, proponendo elementi più grandi in quantità minore invece che leggermente più piccoli ma in uguale quantità rispetto gli altri. Non succede sempre, ma quando capita ti fa avvertire una limitazione che non dovrebbe esistere o che, al massimo, dovrebbe essere opzionale come una funzione di accessibilità.
Al di fuori di quel che sarebbe potuto essere ma non è, il mini mi piace molto e se l'alternativa che si considera non è tanto il Pro da 11" (che è su scale di prezzo ben diverse) ma l'Air 2019 o il modello di iPad base del 2018, allora le considerazioni rispetto al design "standard" non sono rilevanti, poiché sono tutti uguali. Si ritorna così alla necessità di capire cosa si deve realmente fare con il tablet e quanto più spesso le dimensioni contenute si possano rivelare un vantaggio o una mancanza. L'importante è non farsi attrarre passivamente dal più grande o dalla promessa di una rivoluzione epocale simil-iPhone che ancora non si è davvero verificata nell'ambito di quasi tutte le attività complesse che si eseguono quotidianamente con i computer. Su iPad si possono fare davvero molte cose e in alcuni casi persino meglio rispetto ad un portatile (penso ad esempio ai vantaggi derivanti dall'integrazione di elementi come SIM dati, fotocamera, accelerometro, schermo touch, ecc..), ma se poi si tratta di lavorare su documenti, archivi di file, video, foto, ecc.. la maggior parte delle cose su tablet richiedono più passaggi rispetto a quelli che si eseguono su computer. Per lo meno questo è il mio punto di vista maturato in tanti anni di esperienza diretta sul campo.
Dunque sì, a me piace di più il mini che l'Air in questo 2019 e in queste numerose settimane qui con me ho potuto verificare concretamente che lo uso più spesso e con maggior piacere persino rispetto al Pro da 11". Anche per le saltuarie sessioni di gioco è comodo per la leggerezza, l'impugnatura ed il controllo a due mani. Mi piacerebbe davvero che sempre più persone lo acquistino e facciano riflettere Apple sull'eventualità di proporre anche per il taglio mini dei modelli più moderni nel design e per il sistema di autenticazione. Non tanto per la possibilità d'uso con tastiera (che sarebbe di formato ridotto e dunque ancora più scomoda), quanto per renderlo più attrattivo, moderno e godibile. Che lo chiamassero anche Pro se gli fa piacere, tanto sappiamo che il termine non va preso alla lettera, ma l'iPad mini 2019 mi ha reso ancora più evidente il mio sicuro apprezzamento di quello che potrebbe essere un iPad Pro 8".
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PRO
Apple A12: moderno, molto veloce con tanti anni di supporto futuro
Superiore in tutti gli ambiti rispetto al vecchio iPad mini 4
Monta i recenti modem LTE Gigabit e Bluetooth 5.0
È sempre un iPad: costruzione, software, ergonomia e autonomia al top
Prezzo inferiore all'Air 2019 con sostanziale parità di specifiche tecniche
Il mini entra in molte giacche e spesso anche nelle tasche posteriori dei pantaloni
Leggero e molto comodo da maneggiare
CONTRO
La fotocamera è vecchia e non gira in 4K
Ha solo due speaker
DA CONSIDERARE
Lo schermo non supporta ProMotion e HDR video, ma sono cose mai arrivate nei mini e che non ha neanche il più costoso Air 2019
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from Recensione iPad mini 2019: chi ha detto che il tablet è un sostituto del computer?
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Dovremmo essere tutti femministi.
Il problema con il genere è che prescrive come dovremmo essere, piuttosto che riconoscere come siamo. Questo è l'intervento che la scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie (autrice di Metà di un sole giallo e Americanah) ha tenuto durante una TED Talk del 2013:"We should all be feminists."
Dovremmo essere tutti femministi. Dunque, mi piacerebbe iniziare parlandovi di uno dei miei più grandi amici, Okuloma Mmaduewesi. Okuloma viveva nella mia strada e si prendeva cura di me come un fratello maggiore. Se mi piaceva un ragazzo, chiedevo l’opinione di Okuloma. Okuloma è morto nel tristemente noto incidente aereo di Sosoliso, in Nigeria, nel dicembre del 2005. Esattamente quasi sette anni fa. Okuloma era una persona con cui potevo discutere, ridere e parlare apertamente. È stata anche la prima persona a chiamarmi femminista. Avevo circa quattordici anni, eravamo in casa sua, discutevamo. Entrambi infervorati con informazioni a metà prese dai libri che avevamo letto. Non mi ricordo su cosa vertesse questa discussione in particolare, ma ricordo che mentre continuavo ad argomentare, Okuloma mi guardò e disse: "Sai, tu sei una femminista." Non era un complimento. Potevo capirlo dal suo tono, lo stesso tono che si usa per dire cose del tipo “Sei una sostenitrice del terrorismo.” Non sapevo esattamente cosa questa parola "femminista" significasse e non volevo che Okuloma capisse che non ne avevo idea. Allora l'ho messa da parte e ho continuato a discutere. E la prima cosa che avevo intenzione di fare, quando sono tornata a casa, era di cercare la parola "femminista" nel dizionario. Ora, andando velocemente avanti, arriviamo a qualche anno più tardi. Ho scritto un romanzo su un uomo che, tra le altre cose, picchia la moglie e la cui storia non finisce molto bene. Mentre stavo promuovendo il romanzo in Nigeria, un giornalista, un uomo gentile, ben intenzionato, mi ha detto che voleva darmi un consiglio. E, mi rivolgo ai nigeriani qui, sono sicura che abbiamo tutti familiarità con la velocità con cui le persone forniscono consigli non richiesti. Mi disse che la gente riteneva che il mio romanzo fosse femminista e il suo consiglio per me - e stava scuotendo la testa tristemente mentre parlava - era che non mi sarei mai dovuta definire una femminista, perché le femministe sono donne infelici che non riescono a trovare marito. Così ho deciso di definirmi una "femminista felice." Poi una docente, una donna nigeriana, mi disse che il femminismo non era la nostra cultura, che il femminismo non era l'Africa e che mi definivo una femminista perché ero stata corrotta dai libri "occidentali." E mi ha divertito, perché un sacco della mie prime letture erano decisamente non-femministe. Penso di aver letto ogni singolo romanzo rosa della Mills & Boon prima ancora di avere sedici anni. E ogni volta che provo a leggere quei libri chiamati "classici femministi", mi annoio e faccio davvero fatica a finirli. Ma ad ogni modo, dal momento in cui il femminismo era non-africano, ho deciso che mi sarei definita una "felice femminista africana." Ad un certo punto ero una felice femminista africana che non odiava gli uomini, che amava i lucidalabbra e che indossava i tacchi alti per se stessa, ma non per gli uomini. Naturalmente molte di quelle cose erano ironiche, ma la parola "femminista" ha un bagaglio così pesante, un bagaglio negativo. Odiate gli uomini, odiate i reggiseni, odiate la cultura africana, quel genere di cose. Ora, eccovi una storia della mia infanzia. Quando ero alle elementari, la mia insegnante disse all'inizio del quadrimestre che avrebbe dato alla classe un test, e chi avrebbe realizzato il punteggio più alto sarebbe diventato capoclasse. Bene, essere capoclasse era una cosa importante. Se diventavi capoclasse, dovevi scrivere i nomi di chi faceva rumore, e già soltanto questo dava un grande potere. Ma la mia insegnante dava anche un bastone da tenere in mano mentre si camminava in giro e si controllava la classe da chi faceva rumore. Ecco, naturalmente non era permesso usare il bastone, ma era una prospettiva entusiasmante per la bambina di nove anni che ero. Volevo così tanto essere capoclasse, e ottenni il punteggio più alto nel test. Poi, con mia sorpresa, la mia insegnante disse che il capoclasse doveva essere un ragazzo. Si era dimenticata di fare prima questa precisazione perché riteneva fosse ovvio. Un ragazzo aveva avuto il secondo punteggio più alto nel test e lui sarebbe diventato capoclasse. La cosa ancora più interessante di questa faccenda è che il ragazzo aveva uno spirito dolce e gentile e non aveva alcun interesse nel pattugliare la classe con un bastone. Mentre io, ero piena di ambizioni per farlo. Ma ero femmina e lui era maschio, e così divenne il capoclasse. E non ho mai dimenticato quell'episodio. Mi capita spesso di fare l'errore di pensare che se qualcosa che è ovvio per me, lo è altrettanto per chiunque altro. Ora, prendete il mio caro amico Louis , ad esempio. Louis è brillante uomo progressista, e facevamo delle conversazioni in cui mi diceva : "Io non so cosa intendi quando dici che le cose sono diverse o più difficili per le donne. Forse in passato, ma non adesso." E non capivo come Louis non riuscisse a vedere qualcosa che sembrava così evidente. Poi una sera, a Lagos, Louis ed io siamo usciti fuori con degli amici. E per le persone qui che non hanno familiarità con Lagos, ci sono quei meravigliosi soggetti tipici di Lagos, una manciata di uomini energici che si ritrovano fuori dagli edifici e molto platealmente vi "aiutano" a parcheggiare la vostra auto. Ero rimasta colpita dalla particolare teatralità dell’uomo che ci aveva trovato un posto auto quella sera. E così, mentre ce ne stavamo andando, ho deciso di lasciargli una mancia. Ho aperto la mia borsa, ho messo la mano dentro la mia borsa, tirato fuori i soldi che avevo guadagnato facendo il mio lavoro, e li ho dati all'uomo. E lui, quest'uomo molto riconoscente e molto felice, ha preso i soldi da me, ha guardato Louis e ha detto: " Grazie, signore! " Louis mi ha guardato sorpreso e ha chiesto: "Perché mi ringrazia ? Non gli ho dato io i soldi". Poi ho visto che Louis stava cominciando a rendersi conto. L'uomo credeva che, qualsiasi soldi avessi, in fin dei conti provenissero da Louis, perché Louis è un uomo. Ora, gli uomini e le donne sono diversi. Abbiamo ormoni diversi, abbiamo diversi organi sessuali, abbiamo diverse abilità biologiche; le donne possono avere bambini, gli uomini non possono. Almeno, non ancora. Gli uomini hanno il testosterone, e sono in genere fisicamente più forti delle donne. Ci sono leggermente più donne che uomini nel mondo. Circa il 52% della popolazione mondiale è di sesso femminile. Ma la maggior parte delle posizioni di potere e prestigio sono occupate da uomini. La Premio Nobel per la Pace, recentemente scomparsa, Wangari Maathai, lo ha descritto in termini semplici e efficaci quando ha detto: "Più alto si va, meno donne ci sono." Nelle recenti elezioni americane abbiamo sentito più volte della legge Lilly Ledbetter. E se andiamo oltre il bel nome allitterativo di questa legge, vedremmo che trattava di un uomo e una donna che fanno lo stesso lavoro, ugualmente qualificato e dove l'uomo viene pagato di più perché è un uomo. Così, in modo letterale, gli uomini governano il mondo. E questo aveva senso migliaia di anni fa. Perché gli esseri umani vivevano allora in un mondo in cui la forza fisica era l'attributo più importante per la sopravvivenza. La persona fisicamente più forte era la più adatta a comandare. E gli uomini in generale sono fisicamente più forti; naturalmente, ci sono molte eccezioni. Ma oggi viviamo in un mondo molto diverso. La persona con più probabilità di comandare non è la persona fisicamente più forte, è la persona più creativa , la persona più intelligente, la persona più innovativa, e non ci sono ormoni per questi attributi. Un uomo ha le stesse probabilità di una donna di essere intelligente, di essere creativo, di essere innovativo. Ci siamo evoluti, ma mi sembra che le nostre idee sul genere non si siano evolute. Qualche settimana fa sono entrata nella hall di uno dei migliori alberghi nigeriani. Ho pensato di dire il nome dell'hotel, ma probabilmente non dovrei. E un guardiano all'ingresso mi ha fermato e mi ha rivolto delle domande irritanti. Poiché si suppone automaticamente che se una donna nigeriana cammina in un albergo da sola, allora è una prostituta. E, a proposito, perché questi hotel si concentrano sull’apparente offerta, piuttosto che sulla domanda, di prostitute? A Lagos, non posso andare da sola in molti bar rinomati e nei club. Semplicemente non ti lasciano entrare se sei una donna sola. Devi essere accompagnata da un uomo. Ogni volta che entro in un ristorante nigeriano con un uomo, il cameriere saluta l'uomo e ignora me. E qui qualche donna avrà detto: "Sì, anch'io l'ho pensato!" I camerieri sono prodotti di una società che ha insegnato loro che gli uomini sono più importanti rispetto alle donne. E so che i camerieri non intendono fare uno sgarbo, ma una cosa è saperlo razionalmente, e un'altra è sentirlo emotivamente. Ogni volta che mi ignorano, mi sento invisibile. Mi sento turbata. Voglio dire loro che sono tanto umana quanto un maschio, che sono altrettanto meritevole di riconoscimento. Queste sono piccole cose, ma a volte sono le piccole cose che pungono di più. Non molto tempo fa ho scritto un articolo su cosa significa essere una giovane ragazza a Lagos e un conoscente mi ha detto: “Era così rabbioso.” Certo che era rabbioso. Io sono arrabbiata. Il genere, per come funziona oggi, è una grave ingiustizia. Noi tutti dovremmo essere arrabbiati. La rabbia ha una lunga storia nell’apportare un cambiamento positivo, ma oltre ad essere arrabbiata, io sono anche fiduciosa perché credo profondamente nella capacità degli esseri umani nel rinnovare se stessi per il meglio. Il genere conta ovunque nel mondo, ma voglio concentrarmi sulla Nigeria e sull'Africa in generale, perché la conosco e perché è dove sta il mio cuore. E vorrei chiedere di cominciare adesso a fare sogni e progetti per un mondo diverso. Un mondo più giusto. Un mondo di uomini più felici e donne più felici, più onesti verso se stessi. Ed è così che bisogna iniziare. Dobbiamo crescere le nostre figlie in modo diverso. Dobbiamo crescere anche i nostri figli in modo diverso. Facciamo un pessimo lavoro con i ragazzi, nel modo in cui noi li alleviamo. Noi soffochiamo l'umanità dei ragazzi. Definiamo la virilità in modo molto limitato. La virilità diventa questa piccola gabbia rigida e noi mettiamo i ragazzi dentro la gabbia. Insegniamo ai ragazzi ad essere spaventati dalla paura. Insegniamo ai ragazzi ad essere spaventati dalla debolezza, dalla vulnerabilità. Noi gli insegniamo a mascherare la loro vera essenza, perché devono essere, come dicono in Nigeria, " uomini duri!". Alle scuole superiori, se un ragazzo e una ragazza, entrambi adolescenti, entrambi con la stessa quantità di soldi, uscissero fuori, ci si aspetta che sia sempre il ragazzo a pagare, per dimostrare la sua virilità. E ancora ci chiediamo perché i ragazzi sono più propensi a rubare i soldi dai loro genitori. Che cosa accadrebbe se sia i ragazzi che le ragazze venissero educati a non collegare la virilità con i soldi? Cosa succederebbe se l'atteggiamento non fosse: "Il ragazzo deve pagare ", ma piuttosto: "Chi ha di più, dovrebbe pagare." Ora, naturalmente a causa del vantaggio storico, sono quasi sempre gli uomini ad averne di più oggi. Ma se cominciamo a crescere i figli in modo diverso, allora in cinquant'anni, in un centinaio di anni, i ragazzi non sentiranno più la pressione di dover dimostrare questa virilità. Ma la cosa di gran lunga peggiore che facciamo ai maschi, facendo intendere che devono essere duri, è che li lasciamo con degli ego molto fragili. Più un uomo sente di dover essere un “uomo duro”, più è debole il suo ego. E poi facciamo un lavoro anche peggior con le ragazze, perché le educhiamo a soddisfare i fragili ego degli uomini. Insegniamo alle ragazze come farsi da parte, come farsi più piccole. Diciamo alle ragazze, "Puoi avere ambizione, ma non troppa. Dovresti puntare ad avere successo, ma non troppo successo, altrimenti potresti minacciare l'uomo.” Se in una relazione con un uomo sei tu a portare il pane a casa, devi far finta che non sia così. Soprattutto in pubblico. Altrimenti lo stai castrando. Ma se mettessimo in discussione la premessa stessa? Perché il successo di una donna deve essere una minaccia per un uomo? Che cosa succede se decidiamo di sbarazzarci semplicemente di quella parola, e non credo ci sia una parola inglese che mi piaccia meno di "castrazione". Un conoscente nigeriano una volta mi ha chiesto se fossi preoccupata dal fatto che avrei potuto intimidire gli uomini. Non ero preoccupata affatto. Infatti non mi è mai accaduto di essere preoccupata perché un uomo che si lascia intimidire da me è esattamente il tipo di uomo che non mi suscita alcun interesse. Ciononostante, ero rimasta davvero colpita da questa cosa. Perché sono femmina, ci si aspetta che aspiri al matrimonio. Ci si aspetta che faccia le mie scelte di vita tenendo sempre a mente che il matrimonio è la cosa più importante. Ora, il matrimonio può essere una buona cosa. Può essere una fonte di gioia, di amore e di sostegno reciproco, ma perché dobbiamo insegnare alle ragazze ad aspirare al matrimonio e non insegniamo ai ragazzi la stessa cosa? Conosco una donna che ha deciso di vendere la sua casa perché non voleva intimidire un uomo che avrebbe potuto sposarla. Conosco una donna non sposata in Nigeria che, quando va a dei convegni, indossa un anello nuziale. Perché, dice lei, vuole che tutti i partecipanti alla conferenza le portino rispetto. Conosco giovani donne che sono così pressate da parte della famiglia, degli amici , anche sul posto di lavoro, per il matrimonio, e che vengono spinte a fare delle scelte terribili. Una donna che a una certa età non è sposata, la nostra società ci insegna a vederla come se avesse avuto un profondo fallimento personale. E di un uomo, che dopo una certa età non è ancora sposato, pensiamo semplicemente che non si sia mosso per fare la sua scelta. È facile per noi dire : "Oh, ma le donne possono semplicemente dire “no” a tutto questo." Ma la realtà è molto più difficile e molto più complessa. Siamo tutti esseri sociali. Noi interiorizziamo le idee dalla nostra socializzazione. Anche il linguaggio che usiamo nel parlare di matrimonio e relazioni dimostra questo. Il linguaggio del matrimonio è spesso il linguaggio della proprietà, più che il linguaggio della collaborazione. Usiamo la parola "rispetto" per intendere qualcosa che le donne mostrano ad un uomo, ma che di frequente un uomo non mostra una donna. Sia gli uomini che le donne in Nigeria diranno - e questa è un'espressione che mi diverte molto - "L'ho fatto per la pace del mio matrimonio " Ecco, quando lo dicono gli uomini, di solito riguarda qualcosa che comunque non dovrebbero fare. A volte lo dicono ai loro amici, è qualcosa che dicono ai loro amici in modo affettuosamente esasperato. Capite, qualcosa che alla fine dimostri quanto siano virili, quanto voluti, quanto amati. "Oh , mia moglie ha detto che non posso andare al club ogni notte, così, per la pace del mio matrimonio, ci vado solo nei fine settimana. " Ora, quando una donna dice: "L'ho fatto per la pace del mio matrimonio", di solito si riferisce all’aver abbandonato un lavoro, un sogno, una carriera. Noi insegniamo alle ragazze che, nei rapporti , il compromesso è quello che fanno le donne. Cresciamo le ragazze per guardare alle altre come concorrenti, non per lavoro, o per degli obiettivi - che credo possa essere una buona cosa - ma per l'attenzione degli uomini. Insegniamo alle ragazze che non possono vivere la sessualità nel modo in cui lo fanno i ragazzi. Se abbiamo figli maschi, non ci interessa essere al corrente delle loro fidanzate. Ma dei fidanzati delle nostre figlie, Dio ce ne scampi! Ma naturalmente, quando arriva il momento giusto, ci aspettiamo che queste ragazze trovino l'uomo perfetto che diventi loro marito. Noi sorvegliamo le ragazze Lodiamo le ragazze per la verginità, ma non lodiamo i ragazzi per la verginità. E mi ha fatto sempre pensare a come tutta questa storia dovesse funzionare, perché... Voglio dire, la perdita della verginità di solito è un processo che coinvolge due persone. Recentemente una giovane donna ha subito una violenza di gruppo in un’università in Nigeria. E la reazione di molti giovani nigeriani, sia uomini che donne, era qualcosa sulla falsariga di questo : "Sì, lo stupro è sbagliato. Ma che cosa ci fa una ragazza in una stanza con quattro ragazzi? " Ora, se possiamo dimenticare l’orribile disumanità di tale risposta, questi nigeriani sono portati a pensare alle donne come intrinsecamente colpevoli. E sono stati educati ad aspettarsi così poco dagli uomini che l'idea degli uomini come esseri selvaggi senza alcun controllo è in qualche modo accettabile. Insegniamo alle ragazze la vergogna. " Chiudi le gambe", "Copriti." Le facciamo sentire come se nascere femmine le rendesse già colpevoli di qualcosa. E così, le ragazze crescono fino ad essere donne che non possono dire di avere desideri. Crescono per essere donne che si zittiscono da sole. Crescono per essere donne che non possono dire quello che realmente pensano. E crescono - e questa è la cosa peggiore che facciamo alle ragazze - crescono per essere delle donne che hanno trasformato il dover fingere in una forma d'arte. Conosco una donna che odia il lavoro domestico. Semplicemente lo odia. Ma finge che le piaccia. Perché li è stato insegnato che per diventare "buona materia da matrimonio", deve essere - per usare una parola nigeriana - molto "casalinga". E poi si è sposata, e dopo un po' la famiglia del marito ha cominciato a lamentarsi che fosse cambiata. In realtà, lei non era cambiata. Si era solo stancata di fingere. Il problema con il genere è che prescrive come dovremmo essere, piuttosto che riconoscere come siamo. Ora, immaginate quanto saremmo stati più felici, quanto più liberi di vivere le nostre vere individualità, se non avessimo avuto il peso delle aspettative di genere. Ragazzi e ragazze sono innegabilmente diversi, biologicamente . Ma la socializzazione esagera le differenze, e allora diventa un circolo che si alimenta da solo. Prendete la cucina, per esempio. Oggi è più probabile che siano in generale le donne a fare i lavori di casa rispetto agli uomini, cucinando e pulendo. Ma perché è così? È forse perché le donne nascono con un gene della cucina? O perché nel corso degli anni la società le ha portate a vedere la cucina come il loro ruolo? A dire il vero, avrei risposto che forse le donne nascono con il gene della cucina, fino a quando mi sono ricordata che la maggior parte dei cuochi famosi nel mondo, ai quali diamo il vistoso titolo di “chef ", sono uomini. Ho sempre avuto rispetto per mia nonna, che era una donna davvero brillante, e mi chiedo come sarebbe stata se avesse avuto le stesse opportunità degli uomini quando stava crescendo. Oggigiorno ci sono molte più opportunità per le donne rispetto ai tempi di mia nonna, grazie ai cambiamenti nella politica, ai cambiamenti nella legislazione, tutti quanti molto importanti. Ma ciò che conta ancora di più è il nostro atteggiamento, la nostra mentalità, ciò in cui crediamo e il valore che diamo al genere. Cosa accadrebbe se, nell'educazione dei figli, ci concentrassimo sulle capacità, invece che sul genere? Che cosa accadrebbe se, nell'educazione dei figli, ci concentrassimo sull’interesse, invece che sul genere? Conosco una famiglia con un figlio e una figlia, entrambi brillanti a scuola, due bambini davvero meravigliosi e adorabili. Quando il ragazzo ha fame, i genitori dicono alla ragazza, "Va' a preparare degli spaghetti Indomie per tuo fratello." Ora, alla ragazza non piace particolarmente cucinare degli spaghetti Indomie, ma è una ragazza , e quindi lo deve fare. Che cosa sarebbe accaduto se i genitori, fin dall'inizio, avessero insegnato, sia al ragazzo che alla ragazza, a cucinare gli spaghetti? Cucinare, tra l'altro, è una capacità molto utile da possedere per un ragazzo. Non ho mai pensato che avesse senso lasciare una cosa così importante, la capacità di nutrire se stessi, nelle mani di altri. Conosco una donna che ha la stessa laurea e lo stesso lavoro di suo marito. Quando tornano dal lavoro, lei fa la maggior parte dei lavori di casa, e penso sia così per molti matrimoni. Ma quello che mi ha colpito di loro è che ogni volta che il marito cambiava il pannolino del bambino, lei diceva "grazie" a lui. Ora, cosa accadrebbe se lei vedesse come perfettamente normale e naturale il fatto che lui debba, a tutti gli effetti, occuparsi di suo figlio? Sto cercando di disimparare molte delle lezioni di genere che ho interiorizzato quando ero piccola. Ma a volte mi sento ancora molto vulnerabile di fronte alle aspettative di genere. La prima volta che ho tenuto un corso di scrittura in una facoltà specialistica, ero preoccupata. Non ero preoccupata per le cose che avrei insegnato, perché ero ben preparata e stavo andando ad insegnare quello che mi piaceva. Invece, ero preoccupata per quello che avrei indossato. Volevo essere presa sul serio. Dato che ero una femmina, pensavo di dover automaticamente dimostrare il mio valore. Ed avevo paura che, se fossi apparsa troppo femminile, non sarei stata presa sul serio. Volevo davvero mettere il mio lucidalabbra brillante e la mia gonna femminile, ma ho deciso di no. Invece, ho indossato un vestito molto serio, molto maschile e molto brutto. Perché la triste verità è che quando si tratta di apparenza, cominciamo col prendere gli uomini come standard, come la norma. Se un uomo si sta preparando per un incontro d'affari, non si preoccupa di apparire troppo virile, e quindi non essere preso seriamente.. Se una donna si sta preparando per un incontro d'affari, deve preoccuparsi dell'apparire troppo femminile, di quello che dice, e se verrà presa sul serio oppure no. Vorrei non aver indossato quel brutto vestito quella volta. A dirla tutta l’ho bandito dal mio armadio. Se avessi avuto la fiducia che ho ora, nell’essere me stessa, i miei studenti avrebbero beneficiato ancora di più del mio insegnamento, perché sarei stata molto più a mio agio, e più profondamente e sinceramente me stessa. Ho scelto di non dovermi più scusare per il mio essere donna e per la mia femminilità. E voglio essere rispettata in tutta la mia femminilità, perché lo merito. Il genere non è un argomento di facile discussione. Sia per gli uomini che per le donne, quando si parla di genere a volte si incontra una resistenza quasi immediata. Posso immaginare ci siano delle persone qui che stanno pensando: "Donne sincere con se stesse?" Alcuni tra gli uomini qui presenti potrebbero pensare, " Ok , tutto questo è interessante, ma non la vedo così." E questo fa parte del problema. Che molti uomini non pensino attivamente al genere o non notino il genere, è parte del problema di genere. Che molti uomini dicano, come il mio amico Louis , "Ma tutto va bene ora." E che molti uomini non facciano nulla per cambiarlo. Se sei un uomo ed entri in un ristorante con una donna e il cameriere saluta solo te, ti viene in mente di chiedere al cameriere: "Perché non l'ha salutata? " Poiché il genere può essere un argomento molto scomodo da discutere, ci sono modi molto semplici per chiuderla, per chiudere la conversazione. Alcune persone tireranno fuori la biologia evolutiva e le scimmie, e come le femmine delle scimmie si inchinino davanti ai maschi e cose del genere. Ma il punto è che noi non siamo scimmie. Inoltre le scimmie vivono sugli alberi, mangiano lombrichi a colazione, ma noi non lo facciamo. Alcune persone diranno, "Beh, anche i poveri uomini hanno dei momenti difficili. " E questo è vero. Ma non è di questo che tratta la conversazione. Genere e classe sono forme diverse di oppressione. In effetti ho imparato un bel po' di cose sui sistemi di oppressione e in che modo siano ciechi l'uno verso l'altro, parlando con uomini neri. Una volta stavo parlando del genere con un nero e mi ha detto: "Perché devi dire 'la mia esperienza di donna' ? Perché non può essere la tua esperienza 'come essere umano ' ?" Bene, questo era lo stesso uomo che si riferiva spesso alla sua esperienza da nero. Il genere conta. Uomini e donne sperimentano il mondo in modo diverso. Il genere influenza il modo in cui viviamo il mondo. Ma possiamo cambiare la situazione. Alcune persone diranno: "Oh, ma le donne hanno il potere reale, il "bottom power". E per i non nigeriani , "bottom power" è un'espressione che suppongo significhi qualcosa per intendere una donna che usa la sua sessualità per ottenere favori dagli uomini. Ma il "bottom power" non è affatto un potere. "Bottom power" significa che una donna ha semplicemente una buona base dove attingere, di tanto in tanto, al potere di qualcun altro. E poi, naturalmente, dobbiamo chiederci quando questo qualcun altro è di cattivo umore, o malato o impotente. Alcune persone diranno che una donna subordinata a un uomo è la nostra cultura. Ma la cultura è in continua evoluzione. Ho due bellissimi nipoti gemelli di 15 anni che vivono a Lagos. Se fossero nati cento anni fa, sarebbero stati portati via e uccisi perché era la nostra cultura, era nella cultura Ibo uccidere i gemelli. Quindi, qual è il punto della cultura? Voglio dire, c'è l’elemento pittoresco - la danza, ad esempio - ma la cultura riguarda anche la conservazione e la continuità di un popolo. Nella mia famiglia, io sono la figlia più interessata alla storia di chi siamo nelle nostre tradizioni e alla conoscenza delle terre ancestrali. I miei fratelli non sono così interessati come me, però io non posso partecipare. Non posso andare ai loro incontri. Non posso avere voce in capitolo, perché sono femmina. La cultura non crea un popolo. Il popolo crea una cultura. Quindi, se è effettivamente vero che la piena umanità delle donne non è la nostra cultura, allora dobbiamo renderla la nostra cultura. Penso molto spesso al mio caro amico Okuloma Mmaduewesi. Possano lui e gli altri che sono morti nell’incidente di Sosoliso continuare a riposare in pace. Egli sarà sempre ricordato da quelli di noi che lo amavano. E aveva ragione, quel giorno, molti anni fa, quando mi ha chiamata femminista. Io sono una femminista. E quando ho cercato la parola nel dizionario quel giorno, questo è quello che diceva: femminista: una persona che crede nell'uguaglianza sociale, politica ed economica tra i sessi. La mia bisnonna, dalle storie che ho sentito, era una femminista. Scappò dalla casa di un uomo che non voleva sposare e finì per sposare l'uomo che aveva scelto. Si rifiutava, protestava, alzava la voce, ogni volta che sentiva di essere privata dell'accesso, dello spazio, quel genere di cose. La mia bisnonna non conosceva quella parola, " femminista. Ma non vuol dire che non lo fosse. Molti più di noi dovrebbero rivendicare quella parola. La mia definizione di femminista è: femminista è un uomo o una donna che dice: "Sì, c'è un problema di genere oggi come oggi, e dobbiamo risolverlo, dobbiamo fare meglio." Il miglior femminista che conosco è mio fratello Kene. Lui è anche un uomo gentile, bello e adorabile. Ed è molto virile. Grazie. Video:http://youtu.be/Tl0zR8ML0as
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“We should all be feminist”
Sono qui, nella caffetteria di una piccola università del sud Italia che attendo il mio turno per leggere un brano che mi sta particolarmente a cuore Dovremmo essere tutti femministi (We should all be feminist nella versione originaria) di Chimamanda Ngozi Adichie, scrittrice nigeriana che nel 2012 ci delizia con questo bellissimo discorso sul femminismo al TED talk e che, in seguito, diverrà un libro, una piccola perla che dovrebbe essere tra gli scaffali di ogni lettore. In occasione della Giornata Internazionale della Donna non credo ci sia nulla di più adatto e di cui non voglio dir nulla ma solo riportarvelo per intero affinché vi faccia riflettere come per me è stato .
“Dunque, mi piacerebbe iniziare parlandovi di uno dei miei più grandi amici, Okuloma Mmaduewesi. Okuloma viveva nella mia strada e si prendeva cura di me come un fratello maggiore. Se mi piaceva un ragazzo, chiedevo l’opinione di Okuloma. Okuloma è morto nel tristemente noto incidente aereo di Sosoliso, in Nigeria, nel dicembre del 2005. Esattamente quasi sette anni fa. Okuloma era una persona con cui potevo discutere, ridere e parlare apertamente. È stata anche la prima persona a chiamarmi femminista. Avevo circa quattordici anni, eravamo in casa sua, discutevamo. Entrambi infervorati con informazioni a metà prese dai libri che avevamo letto. Non mi ricordo su cosa vertesse questa discussione in particolare, ma ricordo che mentre continuavo ad argomentare, Okuloma mi guardò e disse: "Sai, tu sei una femminista." Non era un complimento. Potevo capirlo dal suo tono, lo stesso tono che si usa per dire cose del tipo “Sei una sostenitrice del terrorismo.” Non sapevo esattamente cosa questa parola "femminista" significasse e non volevo che Okuloma capisse che non ne avevo idea. Allora l'ho messa da parte e ho continuato a discutere. E la prima cosa che avevo intenzione di fare, quando sono tornata a casa, era di cercare la parola "femminista" nel dizionario.
Ora, andando velocemente avanti, arriviamo a qualche anno più tardi. Ho scritto un romanzo su un uomo che, tra le altre cose, picchia la moglie e la cui storia non finisce molto bene. Mentre stavo promuovendo il romanzo in Nigeria, un giornalista, un uomo gentile, ben intenzionato, mi ha detto che voleva darmi un consiglio. E, mi rivolgo ai nigeriani qui, sono sicura che abbiamo tutti familiarità con la velocità con cui le persone forniscono consigli non richiesti. Mi disse che la gente riteneva che il mio romanzo fosse femminista e il suo consiglio per me - e stava scuotendo la testa tristemente mentre parlava - era che non mi sarei mai dovuta definire una femminista, perché le femministe sono donne infelici che non riescono a trovare marito. Così ho deciso di definirmi una "femminista felice." Poi una docente, una donna nigeriana, mi disse che il femminismo non era la nostra cultura, che il femminismo non era l'Africa e che mi definivo una femminista perché ero stata corrotta dai libri "occidentali." E mi ha divertito, perché un sacco della mie prime letture erano decisamente non-femministe. Penso di aver letto ogni singolo romanzo rosa della Mills & Boon prima ancora di avere sedici anni. E ogni volta che provo a leggere quei libri chiamati "classici femministi", mi annoio e faccio davvero fatica a finirli. Ma ad ogni modo, dal momento in cui il femminismo era non-africano, ho deciso che mi sarei definita una "felice femminista africana." Ad un certo punto ero una felice femminista africana che non odiava gli uomini, che amava i lucidalabbra e che indossava i tacchi alti per se stessa, ma non per gli uomini. Naturalmente molte di quelle cose erano ironiche, ma la parola "femminista" ha un bagaglio così pesante, un bagaglio negativo. Odiate gli uomini, odiate i reggiseni, odiate la cultura africana, quel genere di cose.
Ora, eccovi una storia della mia infanzia. Quando ero alle elementari, la mia insegnante disse all'inizio del quadrimestre che avrebbe dato alla classe un test, e chi avrebbe realizzato il punteggio più alto sarebbe diventato capoclasse. Bene, essere capoclasse era una cosa importante. Se diventavi capoclasse, dovevi scrivere i nomi di chi faceva rumore, e già soltanto questo dava un grande potere. Ma la mia insegnante dava anche un bastone da tenere in mano mentre si camminava in giro e si controllava la classe da chi faceva rumore. Ecco, naturalmente non era permesso usare il bastone, ma era una prospettiva entusiasmante per la bambina di nove anni che ero. Volevo così tanto essere capoclasse, e ottenni il punteggio più alto nel test. Poi, con mia sorpresa, la mia insegnante disse che il capoclasse doveva essere un ragazzo. Si era dimenticata di fare prima questa precisazione perché riteneva fosse ovvio. Un ragazzo aveva avuto il secondo punteggio più alto nel test e lui sarebbe diventato capoclasse. La cosa ancora più interessante di questa faccenda è che il ragazzo aveva uno spirito dolce e gentile e non aveva alcun interesse nel pattugliare la classe con un bastone. Mentre io, ero piena di ambizioni per farlo. Ma ero femmina e lui era maschio, e così divenne il capoclasse. E non ho mai dimenticato quell'episodio.
Mi capita spesso di fare l'errore di pensare che se qualcosa che è ovvio per me, lo è altrettanto per chiunque altro. Ora, prendete il mio caro amico Louis, ad esempio. Louis è brillante uomo progressista, e facevamo delle conversazioni in cui mi diceva: "Io non so cosa intendi quando dici che le cose sono diverse o più difficili per le donne. Forse in passato, ma non adesso." E non capivo come Louis non riuscisse a vedere qualcosa che sembrava così evidente. Poi una sera, a Lagos, Louis ed io siamo usciti fuori con degli amici. E per le persone qui che non hanno familiarità con Lagos, ci sono quei meravigliosi soggetti tipici di Lagos, una manciata di uomini energici che si ritrovano fuori dagli edifici e molto platealmente vi "aiutano" a parcheggiare la vostra auto. Ero rimasta colpita dalla particolare teatralità dell’uomo che ci aveva trovato un posto auto quella sera. E così, mentre ce ne stavamo andando, ho deciso di lasciargli una mancia. Ho aperto la mia borsa, ho messo la mano dentro la mia borsa, tirato fuori i soldi che avevo guadagnato facendo il mio lavoro, e li ho dati all'uomo. E lui, quest'uomo molto riconoscente e molto felice, ha preso i soldi da me, ha guardato Louis e ha detto: " Grazie, signore! " Louis mi ha guardato sorpreso e ha chiesto: "Perché mi ringrazia? Non gli ho dato io i soldi". Poi ho visto che Louis stava cominciando a rendersi conto. L'uomo credeva che, qualsiasi soldi avessi, in fin dei conti provenissero da Louis, perché Louis è un uomo.
Ora, gli uomini e le donne sono diversi. Abbiamo ormoni diversi, abbiamo diversi organi sessuali, abbiamo diverse abilità biologiche; le donne possono avere bambini, gli uomini non possono. Almeno, non ancora. Gli uomini hanno il testosterone, e sono in genere fisicamente più forti delle donne. Ci sono leggermente più donne che uomini nel mondo. Circa il 52% della popolazione mondiale è di sesso femminile. Ma la maggior parte delle posizioni di potere e prestigio sono occupate da uomini. La Premio Nobel per la Pace, recentemente scomparsa, Wangari Maathai, lo ha descritto in termini semplici e efficaci quando ha detto:
"Più alto si va, meno donne ci sono."
Nelle recenti elezioni americane abbiamo sentito più volte della legge Lilly Ledbetter. E se andiamo oltre il bel nome allitterativo di questa legge, vedremmo che trattava di un uomo e una donna che fanno lo stesso lavoro, ugualmente qualificato e dove l'uomo viene pagato di più perché è un uomo. Così, in modo letterale, gli uomini governano il mondo. E questo aveva senso migliaia di anni fa. Perché gli esseri umani vivevano allora in un mondo in cui la forza fisica era l'attributo più importante per la sopravvivenza. La persona fisicamente più forte era la più adatta a comandare. E gli uomini in generale sono fisicamente più forti; naturalmente, ci sono molte eccezioni. Ma oggi viviamo in un mondo molto diverso. La persona con più probabilità di comandare non è la persona fisicamente più forte, è la persona più creativa, la persona più intelligente, la persona più innovativa, e non ci sono ormoni per questi attributi. Un uomo ha le stesse probabilità di una donna di essere intelligente, di essere creativo, di essere innovativo. Ci siamo evoluti, ma mi sembra che le nostre idee sul genere non si siano evolute.
Qualche settimana fa sono entrata nella hall di uno dei migliori alberghi nigeriani. Ho pensato di dire il nome dell'hotel, ma probabilmente non dovrei. E un guardiano all'ingresso mi ha fermato e mi ha rivolto delle domande irritanti. Poiché si suppone automaticamente che se una donna nigeriana cammina in un albergo da sola, allora è una prostituta. E, a proposito, perché questi hotel si concentrano sull’apparente offerta, piuttosto che sulla domanda, di prostitute? A Lagos, non posso andare da sola in molti bar rinomati e nei club. Semplicemente non ti lasciano entrare se sei una donna sola. Devi essere accompagnata da un uomo. Ogni volta che entro in un ristorante nigeriano con un uomo, il cameriere saluta l'uomo e ignora me. E qui qualche donna avrà detto: "Sì, anch'io l'ho pensato!" I camerieri sono prodotti di una società che ha insegnato loro che gli uomini sono più importanti rispetto alle donne. E so che i camerieri non intendono fare uno sgarbo, ma una cosa è saperlo razionalmente, e un'altra è sentirlo emotivamente. Ogni volta che mi ignorano, mi sento invisibile. Mi sento turbata. Voglio dire loro che sono tanto umana quanto un maschio, che sono altrettanto meritevole di riconoscimento. Queste sono piccole cose, ma a volte sono le piccole cose che pungono di più.
Non molto tempo fa ho scritto un articolo su cosa significa essere una giovane ragazza a Lagos e un conoscente mi ha detto: “Era così rabbioso.” Certo che era rabbioso. Io sono arrabbiata. Il genere, per come funziona oggi, è una grave ingiustizia. Noi tutti dovremmo essere arrabbiati. La rabbia ha una lunga storia nell’apportare un cambiamento positivo, ma oltre ad essere arrabbiata, io sono anche fiduciosa perché credo profondamente nella capacità degli esseri umani nel rinnovare se stessi per il meglio.
Il genere conta ovunque nel mondo, ma voglio concentrarmi sulla Nigeria e sull'Africa in generale, perché la conosco e perché è dove sta il mio cuore. E vorrei chiedere di cominciare adesso a fare sogni e progetti per un mondo diverso. Un mondo più giusto. Un mondo di uomini più felici e donne più felici, più onesti verso se stessi. Ed è così che bisogna iniziare. Dobbiamo crescere le nostre figlie in modo diverso. Dobbiamo crescere anche i nostri figli in modo diverso. Facciamo un pessimo lavoro con i ragazzi, nel modo in cui noi li alleviamo. Noi soffochiamo l'umanità dei ragazzi. Definiamo la virilità in modo molto limitato. La virilità diventa questa piccola gabbia rigida e noi mettiamo i ragazzi dentro la gabbia. Insegniamo ai ragazzi ad essere spaventati dalla paura. Insegniamo ai ragazzi ad essere spaventati dalla debolezza, dalla vulnerabilità. Noi gli insegniamo a mascherare la loro vera essenza, perché devono essere, come dicono in Nigeria, " uomini duri!". Alle scuole superiori, se un ragazzo e una ragazza, entrambi adolescenti, entrambi con la stessa quantità di soldi, uscissero fuori, ci si aspetta che sia sempre il ragazzo a pagare, per dimostrare la sua virilità. E ancora ci chiediamo perché i ragazzi sono più propensi a rubare i soldi dai loro genitori. Che cosa accadrebbe se sia i ragazzi che le ragazze venissero educati a non collegare la virilità con i soldi? Cosa succederebbe se l'atteggiamento non fosse: "Il ragazzo deve pagare ", ma piuttosto: "Chi ha di più, dovrebbe pagare." Ora, naturalmente a causa del vantaggio storico, sono quasi sempre gli uomini ad averne di più oggi. Ma se cominciamo a crescere i figli in modo diverso, allora in cinquant'anni, in un centinaio di anni, i ragazzi non sentiranno più la pressione di dover dimostrare questa virilità.
Ma la cosa di gran lunga peggiore che facciamo ai maschi, facendo intendere che devono essere duri, è che li lasciamo con degli ego molto fragili. Più un uomo sente di dover essere un “uomo duro”, più è debole il suo ego. E poi facciamo un lavoro anche peggior con le ragazze, perché le educhiamo a soddisfare i fragili ego degli uomini. Insegniamo alle ragazze come farsi da parte, come farsi più piccole. Diciamo alle ragazze, "Puoi avere ambizione, ma non troppa. Dovresti puntare ad avere successo, ma non troppo successo, altrimenti potresti minacciare l'uomo.” Se in una relazione con un uomo sei tu a portare il pane a casa, devi far finta che non sia così. Soprattutto in pubblico. Altrimenti lo stai castrando. Ma se mettessimo in discussione la premessa stessa? Perché il successo di una donna deve essere una minaccia per un uomo? Che cosa succede se decidiamo di sbarazzarci semplicemente di quella parola, e non credo ci sia una parola inglese che mi piaccia meno di "castrazione".
Un conoscente nigeriano una volta mi ha chiesto se fossi preoccupata dal fatto che avrei potuto intimidire gli uomini. Non ero preoccupata affatto. Infatti non mi è mai accaduto di essere preoccupata perché un uomo che si lascia intimidire da me è esattamente il tipo di uomo che non mi suscita alcun interesse. Ciononostante, ero rimasta davvero colpita da questa cosa. Perché sono femmina, ci si aspetta che aspiri al matrimonio. Ci si aspetta che faccia le mie scelte di vita tenendo sempre a mente che il matrimonio è la cosa più importante. Ora, il matrimonio può essere una buona cosa. Può essere una fonte di gioia, di amore e di sostegno reciproco, ma perché dobbiamo insegnare alle ragazze ad aspirare al matrimonio e non insegniamo ai ragazzi la stessa cosa?
Conosco una donna che ha deciso di vendere la sua casa perché non voleva intimidire un uomo che avrebbe potuto sposarla. Conosco una donna non sposata in Nigeria che, quando va a dei convegni, indossa un anello nuziale. Perché, dice lei, vuole che tutti i partecipanti alla conferenza le portino rispetto. Conosco giovani donne che sono così pressate da parte della famiglia, degli amici, anche sul posto di lavoro, per il matrimonio, e che vengono spinte a fare delle scelte terribili. Una donna che a una certa età non è sposata, la nostra società ci insegna a vederla come se avesse avuto un profondo fallimento personale. E di un uomo, che dopo una certa età non è ancora sposato, pensiamo semplicemente che non si sia mosso per fare la sua scelta.
È facile per noi dire: "Oh, ma le donne possono semplicemente dire “no” a tutto questo." Ma la realtà è molto più difficile e molto più complessa. Siamo tutti esseri sociali. Noi interiorizziamo le idee dalla nostra socializzazione. Anche il linguaggio che usiamo nel parlare di matrimonio e relazioni dimostra questo. Il linguaggio del matrimonio è spesso il linguaggio della proprietà, più che il linguaggio della collaborazione. Usiamo la parola "rispetto" per intendere qualcosa che le donne mostrano ad un uomo, ma che di frequente un uomo non mostra una donna.
Sia gli uomini che le donne in Nigeria diranno - e questa è un'espressione che mi diverte molto - "L'ho fatto per la pace del mio matrimonio " Ecco, quando lo dicono gli uomini, di solito riguarda qualcosa che comunque non dovrebbero fare. A volte lo dicono ai loro amici, è qualcosa che dicono ai loro amici in modo affettuosamente esasperato. Capite, qualcosa che alla fine dimostri quanto siano virili, quanto voluti, quanto amati. "Oh, mia moglie ha detto che non posso andare al club ogni notte, così, per la pace del mio matrimonio, ci vado solo nei fine settimana. " Ora, quando una donna dice: "L'ho fatto per la pace del mio matrimonio", di solito si riferisce all’aver abbandonato un lavoro, un sogno, una carriera. Noi insegniamo alle ragazze che, nei rapporti, il compromesso è quello che fanno le donne. Cresciamo le ragazze per guardare alle altre come concorrenti, non per lavoro, o per degli obiettivi - che credo possa essere una buona cosa - ma per l'attenzione degli uomini. Insegniamo alle ragazze che non possono vivere la sessualità nel modo in cui lo fanno i ragazzi. Se abbiamo figli maschi, non ci interessa essere al corrente delle loro fidanzate. Ma dei fidanzati delle nostre figlie, Dio ce ne scampi! Ma naturalmente, quando arriva il momento giusto, ci aspettiamo che queste ragazze trovino l'uomo perfetto che diventi loro marito. Noi sorvegliamo le ragazze Lodiamo le ragazze per la verginità, ma non lodiamo i ragazzi per la verginità. E mi ha fatto sempre pensare a come tutta questa storia dovesse funzionare, perché... Voglio dire, la perdita della verginità di solito è un processo che coinvolge due persone.
Recentemente una giovane donna ha subito una violenza di gruppo in un’università in Nigeria. E la reazione di molti giovani nigeriani, sia uomini che donne, era qualcosa sulla falsariga di questo: "Sì, lo stupro è sbagliato. Ma che cosa ci fa una ragazza in una stanza con quattro ragazzi? " Ora, se possiamo dimenticare l’orribile disumanità di tale risposta, questi nigeriani sono portati a pensare alle donne come intrinsecamente colpevoli. E sono stati educati ad aspettarsi così poco dagli uomini che l'idea degli uomini come esseri selvaggi senza alcun controllo è in qualche modo accettabile. Insegniamo alle ragazze la vergogna. " Chiudi le gambe", "Copriti." Le facciamo sentire come se nascere femmine le rendesse già colpevoli di qualcosa. E così, le ragazze crescono fino ad essere donne che non possono dire di avere desideri. Crescono per essere donne che si zittiscono da sole. Crescono per essere donne che non possono dire quello che realmente pensano. E crescono - e questa è la cosa peggiore che facciamo alle ragazze - crescono per essere delle donne che hanno trasformato il dover fingere in una forma d'arte.
Conosco una donna che odia il lavoro domestico. Semplicemente lo odia. Ma finge che le piaccia. Perché li è stato insegnato che per diventare "buona materia da matrimonio", deve essere - per usare una parola nigeriana - molto "casalinga". E poi si è sposata, e dopo un po' la famiglia del marito ha cominciato a lamentarsi che fosse cambiata. In realtà, lei non era cambiata. Si era solo stancata di fingere.
Il problema con il genere è che prescrive come dovremmo essere, piuttosto che riconoscere come siamo.
Ora, immaginate quanto saremmo stati più felici, quanto più liberi di vivere le nostre vere individualità, se non avessimo avuto il peso delle aspettative di genere. Ragazzi e ragazze sono innegabilmente diversi, biologicamente. Ma la socializzazione esagera le differenze, e allora diventa un circolo che si alimenta da solo.
Prendete la cucina, per esempio. Oggi è più probabile che siano in generale le donne a fare i lavori di casa rispetto agli uomini, cucinando e pulendo. Ma perché è così? È forse perché le donne nascono con un gene della cucina? O perché nel corso degli anni la società le ha portate a vedere la cucina come il loro ruolo? A dire il vero, avrei risposto che forse le donne nascono con il gene della cucina, fino a quando mi sono ricordata che la maggior parte dei cuochi famosi nel mondo, ai quali diamo il vistoso titolo di “chef ", sono uomini.
Ho sempre avuto rispetto per mia nonna, che era una donna davvero brillante, e mi chiedo come sarebbe stata se avesse avuto le stesse opportunità degli uomini quando stava crescendo. Oggigiorno ci sono molte più opportunità per le donne rispetto ai tempi di mia nonna, grazie ai cambiamenti nella politica, ai cambiamenti nella legislazione, tutti quanti molto importanti. Ma ciò che conta ancora di più è il nostro atteggiamento, la nostra mentalità, ciò in cui crediamo e il valore che diamo al genere.
Cosa accadrebbe se, nell'educazione dei figli, ci concentrassimo sulle capacità, invece che sul genere? Che cosa accadrebbe se, nell'educazione dei figli, ci concentrassimo sull’interesse, invece che sul genere? Conosco una famiglia con un figlio e una figlia, entrambi brillanti a scuola, due bambini davvero meravigliosi e adorabili. Quando il ragazzo ha fame, i genitori dicono alla ragazza, "Va' a preparare degli spaghetti Indomie per tuo fratello." Ora, alla ragazza non piace particolarmente cucinare degli spaghetti Indomie, ma è una ragazza, e quindi lo deve fare. Che cosa sarebbe accaduto se i genitori, fin dall'inizio, avessero insegnato, sia al ragazzo che alla ragazza, a cucinare gli spaghetti? Cucinare, tra l'altro, è una capacità molto utile da possedere per un ragazzo. Non ho mai pensato che avesse senso lasciare una cosa così importante, la capacità di nutrire se stessi, nelle mani di altri.
Conosco una donna che ha la stessa laurea e lo stesso lavoro di suo marito. Quando tornano dal lavoro, lei fa la maggior parte dei lavori di casa, e penso sia così per molti matrimoni. Ma quello che mi ha colpito di loro è che ogni volta che il marito cambiava il pannolino del bambino, lei diceva "grazie" a lui. Ora, cosa accadrebbe se lei vedesse come perfettamente normale e naturale il fatto che lui debba, a tutti gli effetti, occuparsi di suo figlio?
Sto cercando di disimparare molte delle lezioni di genere che ho interiorizzato quando ero piccola. Ma a volte mi sento ancora molto vulnerabile di fronte alle aspettative di genere. La prima volta che ho tenuto un corso di scrittura in una facoltà specialistica, ero preoccupata. Non ero preoccupata per le cose che avrei insegnato, perché ero ben preparata e stavo andando ad insegnare quello che mi piaceva. Invece, ero preoccupata per quello che avrei indossato. Volevo essere presa sul serio. Dato che ero una femmina, pensavo di dover automaticamente dimostrare il mio valore. Ed avevo paura che, se fossi apparsa troppo femminile, non sarei stata presa sul serio. Volevo davvero mettere il mio lucidalabbra brillante e la mia gonna femminile, ma ho deciso di no. Invece, ho indossato un vestito molto serio, molto maschile e molto brutto. Perché la triste verità è che quando si tratta di apparenza, cominciamo col prendere gli uomini come standard, come la norma. Se un uomo si sta preparando per un incontro d'affari, non si preoccupa di apparire troppo virile, e quindi non essere preso seriamente.. Se una donna si sta preparando per un incontro d'affari, deve preoccuparsi dell'apparire troppo femminile, di quello che dice, e se verrà presa sul serio oppure no. Vorrei non aver indossato quel brutto vestito quella volta. A dirla tutta l’ho bandito dal mio armadio. Se avessi avuto la fiducia che ho ora, nell’essere me stessa, i miei studenti avrebbero beneficiato ancora di più del mio insegnamento, perché sarei stata molto più a mio agio, e più profondamente e sinceramente me stessa.
Ho scelto di non dovermi più scusare per il mio essere donna e per la mia femminilità. E voglio essere rispettata in tutta la mia femminilità, perché lo merito.
Il genere non è un argomento di facile discussione. Sia per gli uomini che per le donne, quando si parla di genere a volte si incontra una resistenza quasi immediata. Posso immaginare ci siano delle persone qui che stanno pensando: "Donne sincere con se stesse?" Alcuni tra gli uomini qui presenti potrebbero pensare, " Ok, tutto questo è interessante, ma non la vedo così." E questo fa parte del problema. Che molti uomini non pensino attivamente al genere o non notino il genere, è parte del problema di genere. Che molti uomini dicano, come il mio amico Louis, "Ma tutto va bene ora." E che molti uomini non facciano nulla per cambiarlo. Se sei un uomo ed entri in un ristorante con una donna e il cameriere saluta solo te, ti viene in mente di chiedere al cameriere: "Perché non l'ha salutata?"
Poiché il genere può essere un argomento molto scomodo da discutere, ci sono modi molto semplici per chiuderla, per chiudere la conversazione. Alcune persone tireranno fuori la biologia evolutiva e le scimmie, e come le femmine delle scimmie si inchinino davanti ai maschi e cose del genere. Ma il punto è che noi non siamo scimmie. Inoltre le scimmie vivono sugli alberi, mangiano lombrichi a colazione, ma noi non lo facciamo.
Alcune persone diranno, "Beh, anche i poveri uomini hanno dei momenti difficili. " E questo è vero. Ma non è di questo che tratta la conversazione. Genere e classe sono forme diverse di oppressione. In effetti ho imparato un bel po' di cose sui sistemi di oppressione e in che modo siano ciechi l'uno verso l'altro, parlando con uomini neri. Una volta stavo parlando del genere con un nero e mi ha detto: "Perché devi dire 'la mia esperienza di donna'? Perché non può essere la tua esperienza 'come essere umano '?" Bene, questo era lo stesso uomo che si riferiva spesso alla sua esperienza da nero.
Il genere conta. Uomini e donne sperimentano il mondo in modo diverso. Il genere influenza il modo in cui viviamo il mondo. Ma possiamo cambiare la situazione. Alcune persone diranno: "Oh, ma le donne hanno il potere reale, il "bottom power". E per i non nigeriani, "bottom power" è un'espressione che suppongo significhi qualcosa per intendere una donna che usa la sua sessualità per ottenere favori dagli uomini. Ma il "bottom power" non è affatto un potere. "Bottom power" significa che una donna ha semplicemente una buona base dove attingere, di tanto in tanto, al potere di qualcun altro. E poi, naturalmente, dobbiamo chiederci quando questo qualcun altro è di cattivo umore, o malato o impotente.
Alcune persone diranno che una donna subordinata a un uomo è la nostra cultura. Ma la cultura è in continua evoluzione. Ho due bellissimi nipoti gemelli di 15 anni che vivono a Lagos. Se fossero nati cento anni fa, sarebbero stati portati via e uccisi perché era la nostra cultura, era nella cultura Ibo uccidere i gemelli. Quindi, qual è il punto della cultura? Voglio dire, c'è l’elemento pittoresco - la danza, ad esempio - ma la cultura riguarda anche la conservazione e la continuità di un popolo. Nella mia famiglia, io sono la figlia più interessata alla storia di chi siamo nelle nostre tradizioni e alla conoscenza delle terre ancestrali. I miei fratelli non sono così interessati come me, però io non posso partecipare. Non posso andare ai loro incontri. Non posso avere voce in capitolo, perché sono femmina.
La cultura non crea un popolo. Il popolo crea una cultura.
Quindi, se è effettivamente vero che la piena umanità delle donne non è la nostra cultura, allora dobbiamo renderla la nostra cultura.
Penso molto spesso al mio caro amico Okuloma Mmaduewesi. Possano lui e gli altri che sono morti nell’incidente di Sosoliso continuare a riposare in pace. Egli sarà sempre ricordato da quelli di noi che lo amavano. E aveva ragione, quel giorno, molti anni fa, quando mi ha chiamata femminista. Io sono una femminista. E quando ho cercato la parola nel dizionario quel giorno, questo è quello che diceva: femminista: una persona che crede nell'uguaglianza sociale, politica ed economica tra i sessi.
La mia bisnonna, dalle storie che ho sentito, era una femminista. Scappò dalla casa di un uomo che non voleva sposare e finì per sposare l'uomo che aveva scelto. Si rifiutava, protestava, alzava la voce, ogni volta che sentiva di essere privata dell'accesso, dello spazio, quel genere di cose. La mia bisnonna non conosceva quella parola, " femminista. Ma non vuol dire che non lo fosse. Molti più di noi dovrebbero rivendicare quella parola.
La mia definizione di femminista è:
femminista è un uomo o una donna che dice: "Sì, c'è un problema di genere oggi come oggi, e dobbiamo risolverlo, dobbiamo fare meglio."
Il miglior femminista che conosco è mio fratello Kene. Lui è anche un uomo gentile, bello e adorabile. Ed è molto virile.
Grazie.”
Inoltre nell’attesa, sorseggiando di tanto in tanto il mio tè alla menta, tiro le somme della giornata di oggi e mi sento alquanto soddisfatta. Al di là di quello che ognuno di voi possa pensare di questa ricorrenza, personalmente ne ho approfittato per passare una giornata all’insegna dello studio grazie anche all’iniziativa voluta dal Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo che ha permesso alle donne interessate di visitare gratuitamente tutti i musei e i luoghi di cultura statali. Non credo ci sia nulla di più adatto in certe ricorrenze.
Ricordatevi: siate curiosi, siate avventurosi, siate folli, non accontentatevi mai perché solo così potrete fare la differenza.
Stefania.
Chimamanda Ngozi Adichie, Dovremmo essere tutti femministi, Torino, Einaudi, 2015
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Tu saresti il tipo che mi monta la cassettiera.
Forse è una cosa che ho sempre voluto, così semplice e pura, sì perché io non saprei come fare, non ho tanta manualità, se le cose non mi vengono bene mi arrabbio e m’innervosisco, ma senza urla o strepiti, mi racchiudo.
Divento una corazza impenetrabile che non ti parla, ma ti sgrida durante la giornata per ogni piccolezza, pure per le cose che vanno, perché sono così nella mia intimità. Mi scaldo in fretta e mi annoio in fretta, spesso butto tutto all’aria se non viene come voglio. Mi comporto da bambina.
Per ora l’unico modo per calmarmi è non parlarmi, lasciarmi in pace, entro i miei limiti e le mie regole, magari mi faccio un giro e mi passa e torno col sorriso, ma è dura, davvero arduo sopportarmi.
Perché in realtà non voglio essere lasciata in pace, vorrei qualcuno che sappia dire quelle parole che ho bisogno di sentirmi dire per rivoluzionare il momento di buio che vedo per un attimo, o qualcuno che faccia anche solo un gesto, seppur minimo ed intangibile, che mi faccia tornare alle acque tranquille.
Nessuno ne è mai stato capace. Tranne te.
Non ricorderai, ma quando andammo al velvet e c’era anche luca tuo, lui mi rovesciò il drink addosso e iniziò a prendermi in giro, io con il mio solito modo per rimanere razionale ho preso e sono scappata, non arrabbiata ma di più, stavo per esplodere e non volevo tu mi vedessi così.
Invece, mi hai seguito, mi hai preso e mi ha fatta girare così che potessi guardarti e mi hai detto “mi dispiace per lui, lascialo perdere” e mi hai abbracciata. Ecco qui devi sapere che questa è stata la cosa più pericolosa che tu abbia mai fatto.
Perché nei miei momenti di furia nessuno si deve azzardare ad abbracciarmi, peggioro solo. Ma con te no. Tu hai zittito tutto, per un attimo ho dimenticato che fossimo in una discoteca. E mi hai calmata subito.
Ecco perchè. Vorrei tanto montare mobili insieme a te, che forse è una delle promesse più dolci che potrei fare. Ma so già che inizierò ad arrabbiarmi e perderò una vite, e quel pezzo non si incastrerà con quell’altro e allora prenderò il libretto delle istruzioni e lo getterò dall’altra parte della stanza e me ne andrò sul balcone a fumare una sigaretta.
Poi tornerò dentro e tu starai montando la cassettiera, ci guarderemo negli occhi e tu mi chiederai di passarti gli attrezzi e leggerti le istruzioni, mi aiuterai a stringere una vite, non perché non sappia farlo ma perché sarai tu, così, a calmarmi.
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Patti Sm Gesù è morto per i peccati di qualcuno ma non il mio Meltin 'in una pentola di ladri Carta selvaggia nella mia manica Cuore spessa di pietra I miei peccati miei Appartenevano a me, ioLa gente dice "fai attenzione!" Ma non mi interessa che le parole siano solo regole e regolamenti per me, me Io vado in una stanza, sai che sembro così orgoglioso che mi sto muovendo in questa atmosfera qui, beh, tutto è permesso E vado a questa festa qui e mi annoio fino a quando guardo fuori dalla finestra, vedi una dolce cosa giovane Humpin 'sul parchimetro, appoggiato sul parchimetro Oh, sembra così bella, oh, sembra così bella E ho avuto questa sensazione pazza e poi ho intenzione di ah-ah farla mia Ooh metterò il mio incantesimo su di leiEccola che viene Walkin 'in fondo alla strada Eccola che arriva Comin' dalla mia porta Ecco che arriva Crawlin 'su per le scale Qui lei arriva Waltzin' attraverso la sala In un bel vestito rosso E oh, sembra così bella, oh, sembra così bene E ho la pazza sensazione che sto per ... ah, farla miaE poi sento questo bussare alla mia porta. Ascolta questo bussare alla mia porta e alzo lo sguardo sull'orologio della grande torre E di ', oh mio Dio, è mezzanotte! E il mio bambino sta camminando attraverso la porta Leanin 'sul mio divano lei sussurra a me e io prendo il grande tuffo E oh, lei era così buona e oh, lei era così bene E sto per dire al mondo che ho solo ah -ha l'ha fatta miaE ho detto tesoro, dimmi il tuo nome, mi ha detto il suo nome Mi ha sussurrato, mi ha detto il suo nome E il suo nome è, e il suo nome è, e il suo nome è, E il suo nome è GLORIA GLORIA Gloria GLORIA Gloria G -LORIA Gloria GLORIA GloriaEro allo stadio C'erano ventimila ragazze Mi chiamarono i loro nomi Marie e Ruth ma per dirti la verità non li sentii non vidi che lasciai che i miei occhi salissero al grande orologio della torre E li sentii campane chimin 'nel mio cuore Going ding dong ding dong ding dong ding dong. Ding dong ding dong ding dong ding dong Contando il tempo, poi sei venuto nella mia stanza E mi hai sussurrato e abbiamo fatto il grande tuffo E oh. Eri così bravo, oh, stavi così bene E devo dire al mondo che la faccio mia la faccio mia La faccio mia la faccio mia la faccio mia la mia minieraGLORIA GLORIA GLORIA GLORIA GLORIA Gloria, Gloria GloriaE le campane suonano come campane, "ding dong" suonano Stanno cantando, "Gesù è morto per i peccati di qualcuno ma non per il mio".Gloria Gloria Gloria Gloria, Gloria, Gloria Gloria Gloria Gloria Gloria Gloria Gloria Gloria Gloria Gloria Gloria Gloria Gloria Gloria Gloria ith Gloria
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Riflessioni durante Sanremo
Casa. Divano. Mamma e papà sono seduti a fianco a me, in sottofondo Sanremo 2017. Si è appena esibito Francesco Gabbani. Lui mi piace davvero molto, è bravo, e ha un sacco di carisma e di personalità.
Sono uscito dalla doccia poco fa, dopo una camminata di venti minuti sul tapis roulant. Tra l'altro, ormai è quasi un anno che vado in palestra, e anche se i progressi non sono proprio evidenti, ci sono. Forse. Cambio idea di giorno in giorno: a volte mi vedo figo, a volte mi dico di essere un cesso incredibile.
Non so bene perché ho deciso dal nulla di aprire Tumblr e scrivere questo post. Forse perché è da tanto che non lo faccio, forse perché Sanremo mi annoiava un po’, forse perché sentivo il bisogno di buttare giù due righe su quello che è la mia vita ora.
Giusto per non farla troppo lunga, voglio provare a riassumere la mia vita per aree tematiche, un po’ come si fa con gli oroscopi.
LAVORO Non mi lamento troppo. Mi occupo praticamente sempre delle stesse cose, però potrebbe andare anche peggio. E poi mi sto trovando sempre più a mio agio con i colleghi, ora che li conosco da più di un anno. Con Ele ormai c'è un bellissimo rapporto. Ogni volta che lei è al tavolo degli art, la giornata passa in modo più divertente, tra un accenno di bestemmia, qualche troll e le sue risate di gusto. Anche con Luca riesco a relazionarmi meglio, forse anche perché da qualche giorno Michi è in isolamento nell’ala nuova, quindi lui dialoga un po’ di più con il resto del team. In compenso è tornata Fra. Che per carità, è una brava persona, però faccio davvero fatica a confrontarmi con lei, soprattutto per i suoi modi di fare e per i suoi modi di esprimersi, spesso troppo forbiti e ricercati. E poi insomma, ci sono state un sacco di uscite e di new entry nell’ultimo periodo.
AMORE
Continuo a vedermi con Lorenzo, però non capisco come mai non riesco a convincermi del tutto del fatto che sia la persona giusta. Voglio dire, quando sono stato da lui è stato un po’ un colpo di fulmine, e anche i giorni successivi non aspettavo altro che sentirlo. Ora invece è come se avessi paura del tipo di rapporto che si potrebbe andare a creare. Lorenzo è molto diverso da Carletto, e questo è un bene. Però forse, mentre con Carlo mi sentivo di dover provare a conquistarlo ogni giorno, con Lorenzo è più easy. Forse troppo. È come se temessi di illuderlo, per poi non riuscire a dargli abbastanza.
Lui è molto intelligente, elegante, gentile, informato. Bello, perché è palesemente bello. Ama viaggiare, fare esperienze. E dato che io non sono nulla di tutto questo, la mia paura di deluderlo è tanta.
SALUTE
Partiamo col fatto che ho passato i primi giorni dell’anno nuovo in totale ipocondria. Mi sentivo debole, la mattina appena sveglio avevo l’impressione di intorpedimento agli arti, mi pareva di avere i battiti accelerati e mancamento di fiato. Insomma, come iniziare bene il 2017. Poi boh, che sia stata una questione di testa, oppure un periodo no momentaneo, questa cosa ora pare essere passata.
Sempre a livello di salute, vorrei andare a fare il test HIV. Non ho avuto rapporti a rischio, ma mi farebbe piacere relazionarmi con Lorenzo in totale tranquillità.
AMICI
Ecco. Boh. È un periodo un po’ così. Nel senso che mi sento con gli amici meno spesso di prima, soprattutto con la Mary e la Roby. E anche quando esco, che sia con il gruppo storico o con quello dei ragazzi dei paesi qua attorno, mi annoio. Sarà per la mia poca voglia di parlare, sarà perché spesso le conversazioni ruotano attorno ad argomenti che non mi tangono, la maggior parte delle volte mi ritrovo a pensare che vorrei essere da tutt’altra parte.
FAMIGLIA
Amo di bene la mamma. Con papà il mio rapporto è sempre quello, gli voglio bene ma resto sempre un pochetto distaccato. E anche tra loro due, non c’è tutta questa intimità. Li ho incitati più volte ad andare al cinema, ma nulla. Boh, spero che col tempo si riattivino un po’ e ricomincino a vivere la loro vita.
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