#e un pensiero va comunque sempre a te... A.
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Comunque dai. Diciamo le cose così come stanno veramente.
Non è il Natale la rottura di palle.
Ma il contorno.
Perché se foste liberi di fare quello che vi pare - niente parenti, pranzi e cenoni interminabili, la corsa ai regali - e starvene sul divano a guardare vecchi film.
Ad ascoltare musica con un bicchiere di rosso o un buon whisky.
Magari con la persona giusta - quella persona, quella che non rompe il cazzo ma vi fa sentire al centro dell'universo - tutta sta rottura de cojoni su quanto non ve piace il Natale ce la risparmiereste!
O no?
Barbara
- Buona fine a tutti e miglior principio. Sperando che l'anno nuovo vi porti tutto ciò che desiderate. O perlomeno che non infierisca...
Auguri!
#buon anno#buon 2024#bisognerebbe però imparare a ringraziare anche per le piccole cose#ciao 2023#e un pensiero va comunque sempre a te... A.#pentesilea
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Ho finito il mese e mezzo come animatore in un campo estivo, coi bimbi di seconda elementare. In ordine sparso, ho imparato che:
la posizione di aprifila, così come i posti a tavola a pranzo, sono decisioni politiche. Quale che sia la tua scelta, sarà sbagliata. Scelte sbagliate portano a disastri, scelte giuste portano comunque a disastri ma un po' più piccoli.
sei l'arbitro di ogni disputa, da "chi è più forte tra Messi e Ronaldo" a "gli alieni esistono?". Niente, e dico niente, fa incazzare gli ottenni quanto le posizioni moderate o democristiane.
i bimbi ti chiederanno sempre perché sei così alto/basso/magro/grasso/biondo/moro, spesso tutte e sei le cose nella stessa frase. Se hai una bassa autostima non penso sia facile sopravvivere.
i bimbi hanno un sacco bisogno di contatto fisico, ma solo se ci sono 45° all'ombra, hai appena mangiato, e possono esprimerlo tirandoti testate sulla pancia.
se un bimbo vuole parlare con te, improvvisamente tutti i bimbi vorranno farlo, possibilmente allo stesso tempo e cercando di distrarre il più possibile il bimbo iniziale, idealmente cercando di infilzarlo con le matite. Ho sentito l'inizio di 3 milioni di storie e la conclusione di tipo sedici.
quando devi recarti dal punto A al punto B e la tua classe insiste per venire con te, sei come mamma chioccia con un codazzo di gnomi urlanti. E puoi essere cinico quanto vuoi ma è una sensazione davvero soddisfacente.
ultimo pensiero, che è più un consiglio, quando ti dicono "tieni!" e ti danno qualcosa in mano, non prenderlo M-A-I. Se va bene è un fazzoletto usato, se va male è un ragno morto, se va davvero male è un ragno vivo.
La verità è che i bimbi sono contemporaneamente la peggior rottura di cazzo al mondo e delle creaturine meravigliose, e fare questa esperienza è stato davvero tosto ma anche tanto soddisfacente.
Alla prossima estate, piccole pustole.
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IL MANDATO FAMILIARE: QUANDO GETTARE LA SPUGNA VA PIÙ CHE BENE.
Nessuno di noi sfugge al mandato familiare, quella missione che implicitamente e tacitamente viene assegnata dal sistema familiare senza che tu te ne accorga.
A volte è davvero tardi per accorgersene, ma i più “connessi” alla propria coscienza, non cedono facilmente al risucchio e si dibattono come pesci nelle reti, fino ad ottenere la libertà.
Una libertà che di solito si ottiene a caro prezzo e quel pagamento spesso avviene sotto forma di perdite, traumi, shock o eventi di vita che ti schioccano un voltaggio impressionante di energia che ti rende estremamente lucido per qualche giorno.
Una donna che intraprende ad esempio una carriera tipicamente maschile, pericolosa, violenta e dice di farlo “per il padre” di gareggiare per lui, che è stato sempre lui a dargli la forza, la spinta, la cazzimma…. Vittorie, sudore, fatica ma anche incertezze.
Quella figlia sta vivendo il ruolo che gli ha dato il padre, molto probabilmente: certo io non posso saperlo, parto da un caso singolo per espandere il pensiero anche ad altri.
Poi il padre muore e l’energia del sistema inizia a cambiare: quella promessa inizia a non gravare più come un macigno, quel contratto firmato chissà dove e chissà quando, diventa “carta straccia”.
Ed ecco che questa figlia inizia a non farcela più, inizia a perdere colpi, a fare improvvisi retromarcia, ad allontanarsi dal personaggio pensato per lei;
fino al ritiro repentino e definitivo: il mandato è stato strappato.
In questi casi la coscienza è abbastanza desta ed evidentemente la fame di vita “propria” è urgente: la decisione sembra il frutto di eventi circostanziali ma io, credo, sia il risultato di un lungo rimuginio, e non la reazione scomposta ad una sconfitta.
Le urla di rabbia e dispiacere sono dedicate al padre, all’averlo deluso, scontentato, non “onorato”.
E meno male, dico io.
Ma la liberazione è inevitabile, il richiamo alla vita è troppo forte.
Conosco molte persone che hanno trovato la via soltanto dopo la morte di un genitore ingombrante che aveva incasellato il figlio/figlia in un ruolo predeterminato, posando una greve scure sulle sue ali e instradandolo verso percorsi alieni alla sua essenza.
Io penso che tutto sommato, questa donna, come molti altri, ora inizierà la sua vita.
Queste sono mie interpretazioni non hanno alcuna pretesa di verità.
Sono mie sensazioni che nascono spontaneamente osservando delle dinamiche che ho osservato per 15 anni ogni giorno.
Gli eventi di massa li osservo per comprenderne le dinamiche profonde e per cercare di entrare in contatto con le forme che assume la vita quando tentandi farsi largo.
La vita per rompere gli argini e ricondurti a se, trova i modi più strani la cui logica sfugge ad occhi inesperti.
Credo che tutto sommato, nulla sia accaduto per caso, la sua rivale, la perdita del padre, la sconfitta, l’attenzione su di lei.
E alla fine, sorpresa: le viene riconosciuto comunque un premio in denaro pari a quello che ricevono le medaglie d’oro e questo accade sempre per motivi legati alle leggi universali, cioè perché la vita premia la vita.
La vita l’ha premiata lo stesso perché la resa era la cosa giusta.
Cambiare strada.
Rinnovarsi.
Abbattere la scure.
E tutto questo è davvero meraviglioso se guardato cogli occhi di un ricercatore.
Nulla accade per caso, soprattutto quando strappi il foglio del mandato familiare ( anche senza rendertene conto come in questo caso, o forse sì chi lo sa ) e inizi a disegnare su un foglio bianco la tua vita.
Dedico questo post a chiunque senta di aver fatto a pezzi questo mandato e anche a chi ne sente il peso senza riuscire ancora a volare.
Noi siamo i figli che per volare devono “pagare le ali”.
Auguri a tutti noi.
ClaudiaCrispolti
( lo sport non mi interessa, non seguo le olimpiadi, non sono un’esperta di sport, mi reputo una ricercatrice nel campo della crescita e dell’evoluzione e amo osservare la realtà come se fosse un grande laboratorio. I grandi eventi di massa sono una ghiotta occasione di studio e riflessione per me.
Queste sono SOLTANTO mie interpretazioni lo ripeto.
Niente polemiche, niente tifo pro e contro. Qualsiasi commento inadeguato per tono o contenuto verrà eliminato e la persona bloccata.
Ho molto da fare, ma scrivere fa parte del da fare.)
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🍀
I giorni difficili.
Quelli che iniziano con un pensiero e finiscono con lo stesso identico pensiero. Irrisolto.
I giorni in cui, quando ti svegli, non ti ricordi bene dove sei. Forse nemmeno chi sei.
I giorni in cui percorri chilometri con lo sguardo fisso verso il finestrino e ti passano davanti le strade, la campagna, la vita di prima, quella di adesso.
I giorni in cui torni a casa ma non sai più qual è la destinazione. I giorni in cui hai l'impressione che la testa non possa contenere tutte le domande che ti sgorgano dal cuore, in cui vorresti fare ordine ma il caos avvolge tutto.
I giorni in cui guardi un luogo, un tempo, una sedia. E ti rendi conto che non sei al tuo posto, dove dovresti essere, sei nel posto sbagliato, un posto che non è fatto per te.
I giorni in cui alcune distanze ti rivelano troppo. Di te, degli altri. I giorni in cui ti rendi conto che hai riposto male la fiducia, che le persone racconteranno sempre e solo quello che credono di sapere, non la verità. Ma non ti va più nemmeno di spiegare, di precisare, di fare proclami. Che ognuno creda ciò che gli fa comodo, quello che mette in maniera fittizia in pace la coscienza. Del resto, ai più non interessa conoscere, ai più non interessa nulla.
I giorni in cui le lacrime scelgono di scendere, anche se non vuoi. Scendono e portano via alcune cose, le affidano a chi si trova lì a raccoglierle senza nemmeno pensarci. A chi vuole esserci.
I giorni in cui sei allo specchio. E lo specchio sono gli occhi della persona che hai di fronte.
I giorni in cui sai di avere degli sguardi addosso e, senza nemmeno ricambiarli, conosci ad uno ad uno, esattamente, i sentimenti di chi ti sta osservando.
Le sere in cui raccogli. Anche se non hai abbastanza forze per sistemare le esperienze, le parole, gli attimi.
Le sere in cui l'unica cosa che sai è che andrai avanti, sempre e comunque, nonostante gli sbagli, nonostante le delusioni atroci, nonostante le mancanze strazianti, nonostante tutto.
Le sere in cui devi rimettere i pezzi insieme.
Le sere come questa.
Laura Messina
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Appena mi hanno messo la patente in mano, ancora incredula, ho pensato a te. Assurdo, no? Eppure ho pensato a te, avrei voluto dirti “hai visto? Ce l’ho anch’io la patente ora”. Mi ricordo quanto me lo facevi pesare. Quante volte mi hai abbandonata per strada, in mezzo al nulla, dicendomi scocciato o urlandomi fuori di te che se avessi avuto la patente sarei potuta tornare a casa come mi pareva quando mi pareva. Eppure non l’avevo, sai, ma tu mi lasciavi lo stesso da sola. Potenzialmente in pericolo - solo perché donna, spesso senza mezzi per poter tornarmene a casa. Me lo facevi pesare appure ti scopavi la fidanzata del tuo migliore amico che non l’aveva. Questa cosa mi ha sempre fatto tanto male. All’Aurora ragazzina si squarciava di nuovo il cuore, la mia testa andava in tilt, vivevo uno stato di ansia così forte da tremare. Non pensavo ad altro, come ora, d’altronde, con Rebecca. So che dipende da me. Comunque al solo pensiero, adesso, inorridisco. Mi fai schifo e, se fosse vero, mi fa schifo anche lei. Chissà come se la passa, chissà come ve la passate tutti. Non ho più vostre notizie, non cerco più niente di voi. Non abbiamo niente in comune. Però per un secondo, uno solo, oggi, ti ho pensato. Avrei voluto dirti che adesso ce l’ho, la patente, e potrei venire da te, a trovarti, a calmarti quando stai male, a portarti al lago o dove ti va. Venire agli eventi che organizzavi con tanta passione. Aspettandomi la stessa reazione d’amore che avrei sempre voluto da te, ma che non è arrivata mai. Ogni tanto mi illudo ancora, anche se non ti voglio veramente più. Però, dopo quel secondo, è risalita la rabbia, sono rinvenuta, e mi sono detta: hai visto, Aurora? Hai la patente, finalmente. Alla faccia di tutto e tutti. Ora puoi andare dove vuoi. Da sola con te stessa. E libera. Lontano da lui
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Tutti che mi chiedono ossessivamente cosa voglio fare, come occupo il mio tempo, cosa desidero
Ecco io in realtà non lo so cosa voglio fare, mi sento completamente incapace di decidere quale sia la mia strada, ho il terrore di sbagliare, di non essere in grado di fare cose che si danno per scontato che tutti sappiano fare come dare il resto, portare un piatto appena uscito dalla cucina di un ristorante, saper interloquire con il cliente... E se poi sbaglio? Mamma mi risponde «Buttati, tanto cos'hai da perdere?» Ma il mondo del lavoro prevede responsabilità e conseguenze, o almeno così ho studiato e questo mi spaventa, pertanto appena sento mia mamma parlare di concorsi e quindi di eventuali posti in ambienti dove la responsabilità del proprio operato è un masso in bilico sopra la propria testa per tutto il tempo pronto a crollarti addosso al primo errore, beh storcio il naso.
Poi mi vedo messa in continuazione in paragone con altri, banalmente «Hai visto come è brava quella commessa nel suo lavoro, ecco così bisogna essere, svelti!» oppure «Hai sentito sta facendo la magistrale, studia lingue, si è laureata con il massimo dei voti, ha preso 30 e lode a quell'esame» Istintivamente rispondo con: «Cosa vorresti dire scusa?» Cioè mi sento in continuazione con il dito puntato contro, tutti in attesa di vedere quale sarà il mio passo, tutti in attesa di dire la propria su qualsiasi passo farò, nessuno che consideri come un primo passo il fatto che sto realmente scrivendo un libro, che ho sogni piccoli ma per me giganteschi legati a quel libro, che in quel libro ci sto mettendo tutta me stessa in tutti i sensi perché in quel libro è raccontata la versione di me che sogno e immagino da quando ero bambina, ma c'è anche la me di ora che non sa davvero cosa vuole, che non sa decidere e che prende decisioni sempre o spinta da ciò che la famiglia pensa sia giusto per lei o che comunque trovano il sostegno nella famiglia, un "va bene te lo concedo", quindi niente che li possa deludere, niente che possa essere effettivamente ciò che vuole ma ritenuto dalla famiglia un non-lavoro o un lavoro non serio, non importante, non dignitoso, non ai loro standard.
Nessuno che si renda davvero conto di quanto tutto questo sentirmi bloccata mi faccia male, ai loro occhi sono solo una scansafatiche che sta rimandando sempre più in là quella decisione che sia iniziare la scuola guida, che sia iniziare un lavoro e dopo che aspetteranno che mi accaso con un ragazzo, che metto su famiglia e che altro?! Ma scusate è la mia vita o è solamente un copione già scritto da dover seguire alla lettera e nei tempi stabiliti dalla società, dalla famiglia, dal pensiero degli altri?! «Se resti in casa come le incontri le persone? Mica ti vengono a bussare alla porta!» Eppure quando esco di casa non mi pare ci sia la fila di gente che mi voglia conoscere eh anzi mi ignorano tutti nonostante io sia quella che sorride agli sconosciuti per regalare un piccolo raggio di gioia nelle loro giornate, in tutta risposta mi ritrovo sguardi infastiditi e perfino disgustati... Sono io sbagliata per questa società e questa epoca in cui se si è buoni e gentili si viene solo sfruttati, ghostati, insomma te la prendi nel culo sempre. Io quella che sorride fuori ed è un fiume di lacrime dentro che spesso fuoriescono ma chissà come mai quasi sempre di nascosto nel buio della mia cameretta, lontano dallo sguardo di tutti, tanto chi conosce o ormai conosceva davvero i miei crolli li considerava appunto crolli, semplicemente un momento continuo in cui bum essere fragili, piagnucoloni, fare i capricci e cercare attenzioni, abbracci e affetto... Eppure io non recito, quelle lacrime che scendono lungo le mie guance solo io so davvero quanto bruciano e quante ne reprimo. Solo io conosco quella sensazione che non mi abbandona mai e che al massimo resta nello sfondo qualche volta di quel vuoto nel petto, conosco il punto preciso in cui sento quel vuoto è proprio al centro del petto, è una voragine interiore circondata da tutte quelle ferite interiori mai davvero totalmente cicatrizzate: delusioni, bugie, doppiogiochisti, approfittatori, paure, quella parolina che urla dentro senza sosta "non abbastanza", mancanze, promesse infrante, "per sempre" diventati addii, rimpianti e rimorsi. In una parola dolore. Un vuoto circondato da dolore, eppure sorrido, eppure regalo affetto a destra e a manca, eppure ingenuamente continuo a mantenere viva una speranza, eppure cerco di vedere sempre il buono in ogni cosa, eppure eppure sono viva e respiro la vita, tocco la vita, sento la vita attraverso la musica, guardo la vita attraverso un cielo dipinto di azzurro o nelle stelle che brillano e mi ricordano che non sono sola anche se mi ci sento tanto, anche se proprio quelle stelle mi ricordano persone che sono diventate mancanze. Guardo la vita nella natura anche nella frenesia della città e di una società in cui tutto è scandito, in cui sembra proprio di seguire un copione e giammai fermarsi per beh banalmente vivere per davvero.
Quindi ritornando alle domande iniziali manca da rispondere all'ultima: cosa desidero? Io in realtà l'unica cosa che desidero è riuscire a sentire di meno questo vuoto interiore invece che ritrovarmi ad alimentarlo in continuazione, non voglio diventare il mio demone interiore ma non voglio lottare tutto il tempo, io desidero vivere per davvero e non limitarmi a sopravvivere... Ma ahimè non esistono manuali o istruzioni su come si vive, come affrontare la vita senza distruggersi.
#pensieri per la testa#persa tra i miei pensieri#pensieri#sfogo personale#pensieri bui#mi sono letta dentro#parlare al mio io interiore#vita#vivere#dolore#tristezza#fa male#silenzio#dentro me#paure#desideri#domande#mancanze#futuro#lavoro#decisione#scelta#decidere#sopravvivere#responsabilità#famiglia#parere altrui#non abbastanza#sentirsi incapaci#lacrime
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Da qualche parte potrai sempre ridere di me
Qualcuno con una missione; qualcuno di non ancora sconfitto. Qualcuno che mi spieghi l’orizzonte oltre la guerra dell’irrilevanza - sei morto, l’ho scoperto, ho cercato tue notizie, è passato già tanto. Mi riempio la bocca ed i pensieri mitizzando la ricerca del simile - tu mi hai insegnato a legittimarmi la voce, in un “credo” rauco che comunque non stavo rubando a nessuno, già solo perché c’ero anch’io sulla tua lista - ed invece, guardaci, io ho sempre scovato la via nel diverso, mi sono fatta mantenere in vita da altre stelle e dal mistero dell’assurdo. Tu, invece, con tutto ciò che mi è simile, ti sei avviato a morire che i polmoni ancora ti reggevano, e chissà cosa ti ha preso, quale pensiero, solitudine o sussulto, e come rideresti, un sacco, raccontando la storia di ciò che è successo, e quello che di te e delle tue parole preziose è stato fatto dopo. Chi conosceva il tuo nome, io temo, aveva poco più di quello di te. Altro discorso va fatto per coloro ch’erano sulla tua lista… era pieno d’ironia, di paradosso, il sentiero verso il tumulo sconsacrato che ti sei aperto.
Ho perso il diritto di piangerti, non è vero? Tu hai perso il diritto di fare come faccio io, e sprecare una pletora di parole dolcissime per sussurrare sempre lo stesso sgomento.
Mi chiedo se hai avuto mai paura. A sentirsi al sicuro si fa un torto alla sacralità della tua esperienza, ma io sono sacrilega e dico: era più paura che qualsiasi altra cosa. Non riesco nemmeno ad accettare di avere, con questo, dei conti da fare.
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Niente canzoni d'amore
Sono quello che ti uccide e poi piange per te Ma anche l'unico che ti legge il pensiero Fottevo Non nego più E sotto sotto tu sei una bandita come me Anche se ora fingi che con quello scemo con cui esci sia sul serio Davvero E almeno Tu
Passiamo il resto della vita assieme questa sera La vita è stare con te a letto, tutto il resto è attesa Ci possediamo solo il tempo che passiamo assieme E a tutti e due così sta bene La nostra storia che non finisce mai di finire Senza chiamarsi tutti i giorni con niente da dire E più ne faccio e più al setaccio passo le esperienze Niente non rimane niente
In me ci sarà sempre un po' di te in me Ci sarà sempre un po' di me in te Ma noi non siamo soltanto parole di un'altra canzone d'amore, eh Ci sono sempre troppe regole, ho visto già tutte le repliche Perché al mondo in fondo non serve un'altra canzone d'amore Uoh, uoh, uoh, uoh Uoh, uoh, uoh, uoh
Please, niente canzoni d'amore (niente canzoni d'amore tra me e te) Uoh, uoh, uoh, uoh Uoh, uoh, uoh, uoh Niente canzoni d'amore (niente canzoni d'amore tra me e te)
Sai di che sono convinto Un sacco di gente la fuori sogna cose che non esistono E ha aspettative altissime Da cui poi si lanciano e si feriscono Malattie che è meglio fare da piccolo
Quando siamo lontani penso agli affari Mi vedo con altre ma sono svaghi Non farmi drammi Abbiamo senso a nostro modo L'amore esiste in natura la coppia è un'invenzione dell'uomo Diamoci in veleno alle frustrazioni, consolazioni Perché tanto si soffre comunque soli Chiunque trovi Tu che vuoi, tu che puoi realizzarti con le relazioni E dopo questa penserai che cinico e cattivo Ma non so dire le bugie soltanto quando scrivo E sono un figlio di puttana però lascio sempre Spazio per te solamente
In me ci sarà sempre un po' di te in me Ci sarà sempre un po' di me in te Ma noi non siamo soltanto parole di un'altra canzone d'amore Ci sono sempre troppe regole, ho visto già tutte le repliche Perché al mondo in fondo non serve un'altra canzone d'amore Ooh-ooh-oh-oh-oh, ooh-oh-oh-oh, oh-ooh Ooh-ooh-oh-oh-oh, ooh-oh-oh-oh, oh-ooh
Ci sono sempre troppe regole Ho visto già tutte le repliche Ti passo a prendere se ti va però niente canzoni d'amore
Uoh, uoh, uoh, uoh Uoh, uoh, uoh, uoh
Please, niente canzoni d'amore (niente canzoni d'amore tra me e te) Uoh, uoh, uoh, uoh Uoh, uoh, uoh, uoh Niente canzoni d'amore (niente canzoni d'amore tra me e te)
-Marracash-
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Ho una resa dell’82%, come una piastrella in due metri quadrati di cielo: insignificante, sproporzionata e insensata. Lui si complimenta, io mi annoio. Se fossi io la risorsa su cui ha avuto parole dure, non mi butterei in lacrime dal balcone. Tradotto: tutto ciò di cui mi riempio la bocca ogni giorno prende troppo poco posto nei miei occhi. La maledizione del non abbastanza. Come chi fa sporadicamente un salto, ma non torna mai. Come i tuoi scatoloni pieni e le giornate afose che sono seguite, come se una pretesa di caldo opprimente potesse sopperire alla tua stretta avvolgente. Ma forse tu, senza esserti bruciato, hai capito che a starmi vicino ci si scotta. Proprio tu che facevi piani di domani mentre io facevo il pieno di rimani. Sei felice? Me lo hai chiesto una sera qualsiasi, con un sole cocente e una scrivania piena di scartoffie. Sono grata. Mi sono così incastrata tra il pensiero di avere troppi capelli bianchi per essere leggera e al contempo troppi pochi per essere così pesante. Sei felice? Mi rimbomba nelle orecchie tra la mia voglia di partire, un interpello da scrivere e una manciata di scatoloni da fare. Dirti ciao come chi va via e poi ingoiare l’assenza come non fossimo fragili. Che poi rido, come quando mi hai urlato che siamo fragili, sì, ma come bombe, mica come fiori. Ricordo nitidamente il tuo profumo, evapora invece la tua voce. Quaranta secondi di audio in quaranta minuti di strada, perché lei mi ha guardato dritta in faccia e mi ha detto che perdere te non è stata solo una sconfitta. Ho smesso di piangere a Seven Sisters per ricominciare ad Harlow Town, perché perdere te è stata una disfatta clamorosa. Se fosse qui ora non lo chiamerei, e mi sono vergognata tanto persino a pensarlo. Se fosse qui ora comunque non saprei volergli bene, te l’avrei detto piano su quel balcone minuscolo di una casa ora abitata da altri. Guarda che si vede quando non sei felice. Ti accompagno in stazione, anche se alle partenze piango sempre, ché a forza di correre non si afferra niente. Cerco nei tuoi occhi un perché anche quando penso che sia tutto un caso. Ad avermi disarmato è stata la complicità, così spontanea e inattesa. Dormiamo insieme senza che serva una scusa, senza attrito e senza chiederci che ora sia. Odio dormire da solo e altre affermazioni che butti alla rinfusa tra un caffè e una checklist. A domani, e altre promesse che ci danzano sulle labbra che tentiamo di mordere per tenerci più stretti. Ma sappiamo solo volerci, e cerchiamo di afferrarci in modo talmente viscerale che poi non siamo in grado di riconoscerci tra i volti dei passanti. Ho una resa dell’82%, ma perdonami se mi hanno insegnato a leggere solo lo scarto del 18%. Il mio tempo buttato è il suo pallino giallo, i suoi 4k di maggior compenso, i suoi 4 anni di esperienza in meno. Il mio obiettivo mancato è l’entusiasmo affievolito, la noia latente, l’insopportazione costante. Giri intorno a ciò che non dico per non inciampare in recriminazioni a casaccio e invece poi finisco intrappolata nella sicurezza delle solite insicurezze. Sono legata da un lavoro che non so fare, sono ossessionata da un ragionamento che non so chiudere, sono intimorita da un’interpretazione che non so fare mia. Mi terrorizza non riuscire, mi tocchi i capelli mentre mi dici che non ti fa paura io fallisca. Ieri sera pioveva senza gocce e io abbozzavo una canzone di cui non ricordo le parole per non appassire nel silenzio delle stanze vuote. Sei felice? Mi chiami quando arrivi, mi scrivi quando parti, insomma, metti in fila i piedi per dirmi che ti manco. Io mi dondolo un po’ nell’incertezza di un cuore che non batte poi così forte, nella melodia accennata di un giro di chitarra che non mi spiazza, di un cielo con un tramonto che non mi incendia. Di cosa sei grata? Questo non me l’hai chiesto mai. Di perdere sempre l’equilibrio, di fare tante cose tutte consapevolmente male, di stringere i denti nel sentirmi stretta.
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I giorni difficili.
Quelli che iniziano con un pensiero e finiscono con lo stesso identico pensiero. Irrisolto.
I giorni in cui, quando ti svegli, non ti ricordi bene dove sei. Forse nemmeno chi sei.
I giorni in cui percorri chilometri con lo sguardo fisso verso il finestrino e ti passano davanti le strade, la campagna, la vita di prima, quella di adesso.
I giorni in cui torni a casa ma non sai più qual è la destinazione. I giorni in cui hai l'impressione che la testa non possa contenere tutte le domande che ti sgorgano dal cuore, in cui vorresti fare ordine ma il caos avvolge tutto.
I giorni in cui guardi un luogo, un tempo, una sedia. E ti rendi conto che non sei al tuo posto, dove dovresti essere, sei nel posto sbagliato, un posto che non è fatto per te.
I giorni in cui alcune distanze ti rivelano troppo. Di te, degli altri. I giorni in cui ti rendi conto che hai riposto male la fiducia, che le persone racconteranno sempre e solo quello che credono di sapere, non la verità. Ma non ti va più nemmeno di spiegare, di precisare, di fare proclami. Che ognuno creda ciò che gli fa comodo, quello che mette in maniera fittizia in pace la coscienza. Del resto, ai più non interessa conoscere, ai più non interessa nulla.
I giorni in cui le lacrime scelgono di scendere, anche se non vuoi. Scendono e portano via alcune cose, le affidano a chi si trova lì a raccoglierle senza nemmeno pensarci. A chi vuole esserci.
I giorni in cui sei allo specchio. E lo specchio sono gli occhi della persona che hai di fronte.
I giorni in cui sai di avere degli sguardi addosso e, senza nemmeno ricambiarli, conosci ad uno ad uno, esattamente, i sentimenti di chi ti sta osservando.
Le sere in cui raccogli. Anche se non hai abbastanza forze per sistemare le esperienze, le parole, gli attimi.
Le sere in cui l'unica cosa che sai è che andrai avanti, sempre e comunque, nonostante gli sbagli, nonostante le delusioni atroci, nonostante le mancanze strazianti, nonostante tutto.
Le sere in cui devi rimettere i pezzi insieme.
Le sere come questa.
Laura Messina
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Da una parte mi sento tranquilla perché dico a me stessa che se sono riuscita a liberarmi del pensiero del mio ex narcisistello controllante con problemi di rabbia allora ok, posso superare anche questo, ma il tempo passa ed io continuo a chiedermi perché mi senta così tanto attaccata ad una persona che ho scelto consapevolmente di non frequentare perché non mi faceva stare bene. Il pensiero continua a persistere, adesso sono tornati a farsi sentire anche i sogni su di lui e non capisco davvero cosa non vada in me. Quando uscivo con cosino2 avevo smesso di pensarci, o meglio, continuavo a pensarci ma raccontavo a me stessa di farlo solo perché scattavano degli inevitabili paragoni e nuove consapevolezze sulla mia passata miseria relazionale, ma arrivata a questo punto, in totale onestissima onestà, mi chiedo: è stato davvero normale che mentre uscissi con cosino2 pensassi ancora a cosino1? Che di tanto in tanto aggiungessi canzoni alla playlist su cosino1 mentre ne stavo creando una per cosino2? Il punto è che tengo così tanto alla lealtà e alla fedeltà e so che se cosino2 si fosse trovato a stare con me e pensare ancora in parte ad un'altra mi sarei sentita ferita. Ed io ho cercato tanto di amare cosino2 e mi inquieta il divario che può esistere tra i comportamenti esterni di una persona e ciò che è presente nella sua interiorità. Perchè io stavo costruendo nuova vita con cosino2 e stavo lasciando per lui spazio in quella vita che per me e in me già esisteva; e SO anche che i sentimenti non sono così lineari, che forse non sono una traditrice senza patria e senza gloria solo perché ho un passato, solo perché le persone non sono blocchi statici che arrivano e ne percepisci la presenza e quando poi se ne vanno quella presenza semplicemente smetti di percepirla. Mi dicevo di avere diritto ad un passato ed avere diritto ai suoi residui, che la mia VERA scelta l'avevo già compiuta perché avevo smesso di uscire con cosino1 e non avevo ( e non ho tutt'ora) intenzione di riprendere a farlo e che, quindi, avevo diritto di andare avanti e sperimentare altro. E guarda cosa ho scoperto. Cosino2 mi ha aperto un mondo, è stato un mondo, è stato la più grande opportunità relazionale che l'universo mi abbia mai concesso e la dose di tenerezza che non sapevo chiedere ma di cui avevo così disperatamente bisogno. Quindi ok, facciamo che non sono un clown e facciamo che tutto sommato non ho mai voluto intenzionalmente ferire nessuno, e che mi sono impegnata veramente tanto nel rapporto con cosino2 e ci ho messo tutta me stessa (ho conferme dal terapista al riguardo, non sono solo conclusioni mie).
Ok
E adesso?
Perché il pensiero di cosino1 non se ne vaaaaaa???????????????????????????
Cioè a questo punto le cose sono due
O accade qualcos'altro e la facciamo finita nel senso che portiamo a termine questo ciclo di prenderci e lasciarci e desiderarci e poi odiarci che va avanti DA ANNI, io imparo tutto quello che devo imparare, divento una persona migliore e continuo la mia vita serena e contenta nei secoli dei secoli amen, oppure semplicemente il pensiero di cosino1 mi fa la cortesia di andarsene e lasciarmi vivere serenamente il presente (GRAZIE). Universo, a questo punto parlo a te: SCEGLI COSA CAZZO VUOI CHE ACCADA, cosa credi che sia meglio per il mio character development perché davvero vivere in questo limbo mi sta consumando.
So che non voglio cercare cosino1 e no, non è orgoglio cara voce del mio terapista che si fa largo nella mia testa, no no, non si tratta di quello. Si tratta dell'aver elencato tutte le cose che ho possibilmente sbagliato nel rapporto con cosino1 e sentirmi comunque dire (sempre dal suddetto signor terapista): 'beh lisa ma i rapporti si costruiscono in 2'
Eheheh grazie signor terapista, illuminante davvero. Cioè in realtà è stato illuminante davvero davvero ma detesto rimanere nella passività, detesto i tempi lenti delle persone, detesto sentirmi come se non avessi potere sulle situazioni circostanti. E soprattutto indiscutibilmente ed innegabilmente detesto le persone statiche. QUINDI io adesso so che non c'è davvero altro che possa fare. Ci ho provato cosino1, ti ho chiesto di vederci e tu sei venuto, e ok, magari a settembre non avevo tutte le skills comunicative che poi ho maturato negli ultimi mesi, cioè, SICURAMENTE a settembre non avevo tutte queste abilità, BUT STILL le conversazioni si sviluppano in due e tu mi hai sempre lasciata da sola a fare monologhi. Ti mostri distaccato e poi mi abbracci e mi fissi le labbra per tempi eterni e mi mostri le stelle. PRONTO?!??! ARE WE GIVING OFF SOME MIXED SIGNALS HERE?!?!?!? 'Cause boy i'm confused
'Magari Lisa l'ha fatto solo per gentilezza, perché non voleva essere scortese'
Ehm, da quando non essere scortesi significa nascondere la propria posizione?
DA SEMPRE, OK, LO SO, ma questa cosa andrebbe *davvero* rivalutata perché non fa *davvero* bene a nessuno.
Quindi
Non so come concludere perché questa storia una conclusione (ancora) non ce l'ha
Era da tanto che non scrivevo sproloqui sfogo, non so se considerarlo positivo oppure no
Magari qualcuno lo trova intrattenente
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Ossigeno - 24
24. Mi manchi già
In attesa del volo, Zlatan contemplava l'immensa distesa azzurra del mar Egeo. L'idea di andare a Parigi non gli era mai piaciuta, ora men che meno. Quella piccola dottoressa sexy gli era entrata dentro e lasciarla era stata più dura del previsto. Era stato anche tentato di chiederle di accompagnarlo, ma aveva avuto paura di un suo rifiuto. Perché "no" era l'unica risposta possibile. E poi non voleva strapparla dalla sua vacanza, voleva che si godesse l'estate. Almeno lei. Aveva ancora il suo sapore sulle labbra. Le umettò e chiuse gli occhi per imprimere nella memoria l'immagine di lei che usciva dal mare e, sorridente, avanzava. Le sue vacanze oramai erano finite. Ora lo attendevano dei nuovi compagni, una nuova società, una nuova lingua, una nuova città, una nuova sfida. Si fece forza con quest'ultimo pensiero. Lui viveva di sfide e anche questa volta ne sarebbe uscito vincitore. Prese il telefono e chiamò Helena. Aveva voglia di sentire i piccoli e di parlare un po' con lei. «Zlatan!» «Ciao Helena. Che fai?»
«Sono in piscina con Maxi e Vincent. Come sta andando la vacanza?» «Bene, fino a stamattina. Sto andando a Parigi.» «Ah, quindi è vera la notizia? Pensavo fosse un'altra cavolata.» «No, stavolta è vero.» «E dai, Zlatan, non ti abbattere. Vedrai che ti troverai bene.» «Non lo so, è che...» «Chi è lei?» lo interruppe Helena. «Lei chi?» «Il motivo per cui non vuoi partire. Ci conosciamo da tanti anni, ti ho seguito dappertutto e non sei mai stato così quando hai dovuto cambiare squadra. Okay, magari le altre volte è sempre stata una tua scelta ed erano sempre dei club di prestigio, ma è chiaro che se stai così è perché c'è qualcuno che non vuoi lasciare. E io credo si tratti di una donna.» Zlatan sorrise. «Lo sai che non volevo lasciare il Milan, Helena. Non era nei miei progetti.» «Avanti! Perché non mi vuoi dire chi è?» Zlatan rimase in silenzio per due o tre secondi, poi sospirò. «È la sorella di Ignazio.» «Ignazio... Abate? La sorella del tuo compagno di squadra?» «Si.» «La snob?» Zlatan rise. Aveva raccontato ad Helena di aver conosciuto Sveva e di aver pensato che fosse una stronza. «Si, beh... non è poi così snob.» Helena rise di gusto. «Certo, certo. È una cosa seria?» «Non lo so. È ancora presto per dirlo. Perché non mi passi Maxi e Vincent? Voglio salutarli.» «Okay. Senti, Zlatan, mi concedi l'esclusiva? Potrei raggiungerti tra un paio di giorni, così facciamo l'intervista.» «Sei perfida! Non ti concedo nessuna esclusiva, ma vieni lo stesso.» «Non puoi fare un favore ad una vecchia amica?» «No. Ora passami i piccoli.» «E va bene!» Si udirono le urla dei bambini in acqua e la voce di Helena che chiamava i figli, dopo un po' la vocina di Maxi che lo salutava. Rimase al telefono per un bel po', poi cercò di tenersi occupato con tutto quello che gli capitava sottomano. Tutto, pur di non pensare e tenere lontana la nostalgia.
Sveva era seduta al tavolo del ristorante e stava piluccando il pesce bollito che aveva nel piatto. I ragazzi stavano parlando di Zlatan e della questione del trasferimento, Valentina era impegnata a far mangiare Matteo e Andra era al telefono con i suoi figli. Voleva tanto sapere cosa stesse facendo Zlatan e come stesse. «Non hai fame?» le chiede Valentina, guardando prima il piatto e poi lei. «Non molta.» «Sai, non avrei mai pensato che tu e Zlatan...» Sveva sorrise. «Nemmeno io.» «Comunque state bene insieme. Voglio dire, prima quando vi stavate baciando a riva... eravate dolci.» «Oh, Vale... non so nemmeno cosa siamo.» «Qualsiasi cosa siate, siete belli insieme.» Si sorrisero e in quel momento si resero conto che Ignazio e Mark erano interessati alla loro conversazione. «Che c'è?» chiese al fratello che la guardava con un sorriso a trentadue denti. «Niente. Ti vedo felice e sono contento per te.» Sveva gli lanciò il tovagliolo in faccia. «La smetti?!?» Mark osservava in silenzio, sorridendo appena. Si alzò e andò al bancone del bar, per ordinare un caffè. Lanciò qualche altra occhiata a Sveva, poi si voltò di spalle. Sveva si intristì. Sarebbe voluta andare lì e parlargli, ma per dirgli cosa? Le dispiaceva vederlo così e non poteva fare niente per migliorare la situazione. Lasciò che il pomeriggio scorresse, tra l'indifferenza di Mark e le chiacchiere di Valentina e Andra. Chissà quando avrebbe risentito Zlatan. Assurdo, già sentiva la sua mancanza.
Zlatan arrivò a Parigi in tarda nottata. Voleva chiamare Sveva ma preferì non disturbarla. Le avrebbe dato il buongiorno l'indomani. Mino lo aspettava in aeroporto e lo accompagnò in un lussuoso albergo, dove gli era stata riservata una suite. Dormì poco e male e appena sveglio prese il cellulare e chiamò la sua dottoressa preferita.
Sveva si era addormentata tardi e aveva maledetto l'efficiente servizio dell'albergo che le aveva cambiato le lenzuola e aveva cancellato così ogni traccia dell'odore di Zlatan. Era fuori al balcone a guardare il mare quando le squillò il cellulare. Corse dentro a rispondere e quando lesse il nome di Zlatan sentì il cuore scoppiare nel petto. «Pronto?» «Buongiorno dormigliona.» Quanto era meravigliosa la sua voce? «Buongiorno a te. Com'è andato il viaggio?» «Bene, anche se lungo.» «Pensavo che mi avresti chiamato stanotte.» «Non volevo disturbarti. Che stai facendo?» «Stavo per andare a fare colazione. E tu? Sei pronto per la firma del contratto?» «Sì, abbastanza. Sto aspettando il mio procuratore. » «A che ora avete appuntamento?» «Tra un'oretta.» «In bocca al lupo. Oggi è una giornata importante per te.» «Già. Allora... ti chiamo più tardi. Posso?» Era già finita quella telefonata? «Certo!» «Bene.» Ci fu una pausa, un minuto di silenzio. Mi manchi. Mi manchi già, pensarono entrambi. Ma nessuno dei due si azzardò a dirlo, entrambi spaventati dall'intensità di quel sentimento che li aveva travolti. «Sveva?» «Sì?» «...salutami gli altri.» «Lo farò.» «A stasera, allora.» «A stasera.»
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Anche oggi non riesco a comprendere al meglio un concetto, che, sfortunatamente, cade di più su una sfera sensibile e personale.
Il concetto di "guarigione" dovrebbe essere conclusivo, ma più vado avanti nel tempo e più mi accorgo che non si supera mai niente nell'effettivo e che, anche se ti sembra che vada tutto bene, ci sarà sempre quella parte della tua testa che te ne ricorda quasi in modo ossessivo.
Non capisco perché noi ragazze — perché di ragazzi ne vedo pochi e di solito vado a grande esclusione — abbiamo avuto praticamente tutte un'esperienza sgradevole con il cibo, che sia stata per mangiare troppo o mangiare troppo poco, che sia stata per giudizi altrui o stessi, che sia stata anche solo per sentirsi in qualche modo "particolare" o "parte di qualcosa" ad una certa età.
Quando guardo un piatto penso sempre: "tempo fa, non l'avrei mangiato prima di una certa fascia oraria" e mi chiedo quasi stupita di me stessa come fosse possibile non mangiare, digiunare così tanto solo per sentirmi momentaneamente bene.
Anche quando perdevo chili ed arrivavo al mio obiettivo iniziale, non ero mai abbastanza soddisfatta perché potevo arrivare a meno, potevo essere "meglio" e pesare quanto una piuma. Se pesavo più di 45 chili mi sentivo sporca, schifosa, come quelli che si vedono in tv che stanno tutto il giorno a mangiare.
Quando vedevo una ragazza in carne — tralasciando quelle che trovavo molto attraenti — quasi mi schifavo, pensando che anch'io sarei diventata così se avessi "interrotto il ritmo" che stavo tenendo. Così, sono arrivata a 42 chili e finalmente potevo dire di stare sotto al 16 bmi.
Ero quasi felice.
Però, più le giornate passavano e poi avevo cali di pressione, mi stancavo facilmente, mi tremavano le mani ed avevo i capelli sempre più sottili: piano piano, sempre di più, mi stavo avviando verso una strada degenerata dove l'unica cosa vivida erano le costole sul mio corpo.
La mia famiglia non se ne accorse mai, anche se avevo raggiunto il mio "peso ideale" continuavo a mettere cose larghe, nascondermi, perché mi vergognavo di sentirmi dire di essere troppo magra o che gli altri mi osservassero continuamente. L'inevitabile però accade sempre, molti — famigliari e meno —hanno iniziato a chiamarmi anoressica, prendermi in giro ed, alcuni, ad assecondare quelle decisioni così sbagliate; allora, decisi di darci un taglio.
Ci ricado spesso, il pensiero costante delle calorie e del pesarmi non se ne va, ma comunque da qualche anno mangio regolarmente e non salto pasti. Addirittura, mi sembra assurdo dirlo, da due mesi ho ricominciato a fare colazione ed ogni volta che ne ho l'occasione cerco sempre di non saltarla.
Sentirmi affamata, vuota, mi fa sentire peggio di quando mangiavo durante i miei periodi bui, mi fa sentire come se il mio stomaco stesse venendo divorato dai giudizi che mi auto-strillo, dalle mille paranoie e le mille fissazioni. Piano piano ritornerò a bere bevande zuccherate che siano esterne da thè e succhi, prima o poi ricomincerò a mangiare cose oleose e prima o poi smetterò di pesarmi.
Il problema, è che è sempre prima o poi, sempre dopo, e mai nel momento stesso. Anche mangiare due patatine da un pacchetto, fuori dai pasti, mi nausea, mi fa sentire una merda. Ma piano piano tutto andrà via. Non ora, ma un domani.
Per questo, la guarigione per me ancora non esiste, e penso che ne parlerò ancora per molto, molto tempo.
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Amico ti fai troppi problemi. È questo il problema, solo questo. Invece di fare quello che vuoi o non vuoi ti concentri sulla percezione che gli altri potrebbero avere di te. Tanto ti svelo un segreto: la gente sparlerà comunque di te. Magari non questa volta, magari non loro, ma ci sarà sempre la giusta occasione per farti fischiare le orecchie. Fai quello che vuoi, non quello che gli altri si aspettano da te. Se non vuoi andare non ci andare e disdici, se vuoi andare per avere la scusa di mettere il naso fuori casa vai. Ma la scelta è tua e dipende solo da te. Delle volte penso anche che tutte queste paturnie del «chissà cosa potrebbero pensare» servono solo a celare la nostra indecisione, un nostro limite. Non sono gli altri il vero problema, siamo noi che non sappiamo decidere e capire cosa vogliamo davvero fare. Ormai non siamo più in armonia con noi stessi, non siamo più capaci di farlo.
— IC
Ti ringrazio del tempo che hai speso a pensare e a scrivere questa cosa: pensiero che tra l' altro è verissimo e c'entra appieno la questione. Ho un carattere molto accomodante. Spesso ho la tendenza ad agevolare questo perverso meccanismo mentale del mostrarmi per come credo che quella persona vorrebbe vedermi. In realtà negli ultimi anni ho imparato molto e sempre più spesso ho "sbloccato" piccole aree di me, ambiti/situazioni in cui comunque ormai agisco come voglio io anche se a discapito degli altri.
Quello che dici è realmente vero, ma purtroppo ho paura di non poter mai vivere pienamente come voglio io, perché finirei con l'isolarmi (cosa che sto già facendo in realtà)
Tu mi dirai che l'eccesso non va bene e che bisogna trovare la giusta quadra. E sì, probabilmente è così, però è molto difficile per uno che è nato per assecondare gli altri cercare di fottersene di tutto. Purtroppo sono anche fortemente empatico, per cui sento quello che provano gli altri, sento che mi percepiscono come strano. Lo so. E questo alla lunga in tante situazioni mi genera disagio e mi do addosso da solo perché vorrei essere più morbido e avere più punti in contatto con gli altri.
Vabbè grazie mille per avermi fatto sfogare e riflettere ✨
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I commessi della Giunti si staranno ancora chiedendo che strano genere mi piace ahah ma è difficile spiegarmi e poi chissà se gli è rimasta la curiosità di che libro cercavo di descrivergli al commesso che era convinto di aver capito i miei gusti e ha tentato di consigliarmi un libro che non ci azzeccava nulla ahah
Tutto è iniziato con mamma che ha voluto chiedere del terzo libro della saga di Tilly che cercavo tra gli scaffali inutilmente, dopodiché questo commesso mi si avvicina e cerca di sbirciare i libri che ho in mano: due fantasy per ragazzi, però mi ha raggiunta nel settore narrativa per adulti, quindi già lì era curioso di capire perché mi trovassi in quel settore con quel genere di libri in mano ahah e quindi mi chiede "che libri leggi?" E io oddio mo cosa gli rispondo, quindi con voce nasale perché raffreddata cerco di dire "spazio tra ragazzi e adulti" per non dire spazio tra bambini-ragazzi e adulti ahah, e mi sorride incuriosito per poi lasciarmi finire di guardare gli scaffali prima quello a parete in cui mi aveva colpita una ennesima copertina cute con dei libri disegnati e nel titolo la parola libreria, è diventata una fissa ultimamente e soprattutto ne sono davvero un sacco di questo genere, ma mi ritrovo a poggiarlo quasi subito per via della sintesi nella pagina interna della copertina, penso "ah l'ennesimo libro che inizia con un lutto, un locale lasciato in eredità o problemi vari stavolta un'amicizia molto particolare che non ha età ma comunque non di mio gusto o almeno credo, fatt'é che l'ho poggiato. Ho continuato a guardare lo scaffale spuntando mentalmente: quello lì l'avevo già scartato, quello l'ho in eBook e gli altri uffa tema guerra e drammi vari, mi resta solo lo scaffale basso dei romanzi rosa, mah non penso di trovare nulla qui ma non si sa mai. Sempre gli stessi e poi mi colpisce un titolo diverso finalmente! Oh stile libreria ma un magazzino dei sogni, molto interessante, uh scrittrice coreana sempre più interessante, "ti prego che non inizi con qualche disgrazia anche questo" penso mentre apro la copertina alla sinossi, leggo e esclamo a voce abbastanza alta da attirare l'attenzione di mamma "finalmente qualcosa di originale! Diverso dagli altri! Va bene questo come terzo libro da farmi regalare dalla nonna per la laurea al posto di Tilly"
Andiamo in fila per pagare quando quel commesso mi fa "vieni che ho visto che libro ti interessa e penso di sapere quale altro libro può essere di tuo interesse" io lo seguo incuriosita ed emozionata wow si è proprio così tanto interessato, lo so che vuole semplicemente vendermi un altro libro ma ero comunque adrenalinica, ci ritroviamo di nuovo nel settore ragazzi e io gli faccio ah penso di aver capito a che libro ti riferisci! E lui un po' ridendo mi guarda e dice "no mi leggi anche nel pensiero ora!" Spoiler a quanto pare no ahah visto che pensavamo a due libri lontani anni luce dall'essere lo stesso genere ahah, quindi gli spiego che l'illustratrice del libro a cui alludevo è la stessa di quelli di Tilly e che prima l'avevo visto lì solo soletto e avevo pensato "ecco a te devo ancora leggere!" E lui mi dice "ora me lo devi mostrare che sono troppo curioso", niente non lo sono riuscita a ritrovare e non ricordandomi il titolo ma solo copertina fucsia-viola, una ragazza dietro un tavolo con delle pozioni magiche e una V da qualche parte nel titolo e non ritrovandolo nemmeno su internet o nella mia lista di quelli da leggere è rimasto un mistero per il commesso curioso ahah
Nel frattempo gli avevo mollato i 3 libri già sicuri dell'acquisto per continuare a cercare quella benedetta copertina fucsia, quindi lui li va a portare in cassa perché naturalmente non fa il fattorino ahah e mentre cercavo ancora sul telefono arriva la commessa donna, che non aveva capito che la ricerca la stavo facendo per il collega e non per me e poi una volta capito ciò cerca in tutti i modi di convincermi a leggere dei fantasy proprio tanto fantasy dicendomi che lei ama i fantasy e che se è un fantasy lei sicuramente l'ha letto, ma io cerco di farle capire che si amo i fantasy ma non del genere di Harry Potter, al che naturalmente mi guarda perplessa e mi chiede delucidazioni. Io con pazienza cerco di spiegarmi: "mi piacciono fantasy realistici", altro sguardo corrucciato e perplesso, "storie di persone normali in una vita normale ma con magia". A quel punto si illumina e mi porta nel settore fantasy e horror per adulti. Io penso ok mo che ci facciamo qui, c'è solo la trilogia delle gemme qui che ho letto e mi è piaciuta, il resto tutto non dei miei gusti ma sono curiosa e quindi la lascio fare. Prende un librone dopo avermi chiesto se sono veramente una lettrice, ora capisco la domanda era riferita alla quantità di pagine, e legge il titolo mah già l'avrei scartato però dai sentiamo perché proprio questo pensa possa essere il mio genere, mi descrive la storia e se non fosse stato per l'ambientazione di un Inghilterra vittoriana e storia di ragazzi mutanti avrei detto ah hanno copiato l'Accademia del bene e del male che purtroppo non mi è piaciuto come romanzo e quindi ho abbandonato la saga già a fine primo libro, finisce di narrarmi la sinossi lasciandomi con un quesito perché giustamente no spoiler, al che penso poverina il genere non è di mio gusto ma lei è stata così gentile a narrarmi sta sinossi che dire "no, lo scarto" mi pare brutto, quindi mentendo mi limito a dire "ci penso su" lei sorride, mamma tira un sospiro di sollievo perché sentendo la trama sapeva benissimo non essere di mio gusto e andiamo a pagare, saluto e una volta uscita dal negozio mi rigiro e rileggo l'annuncio attaccato su un foglietto "cercasi libraio" forse sono stata troppo precipitosa a dire no a mamma quando me l'ha fatto notare, ci penserò su.
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ciao sabri, volevo dirti che anche se non ci sentiamo da tempo un mio pensiero va a te, vorrei sapere come stai
se hai cambiato abitudini, se sei felice, insomma un po’ di tutto
con affetto colei che ti chiamava e ti chiamerà sempre “mon cheri”
diciamo che tante cose sono cambiate in questi anni, sia nelle abitudini che in tutto il resto, in meglio e in peggio.
non so dirti se sono felice o meno ma sto lavorando molto su me stessa e penso di avere preso finalmente in mano la mia vita trovando il mio "posto" in molti contesti, ma in molti altri ancora no.
tante ansie superate, tante comparse e tante idee confuse che al momento mi sento in grado di gestire ma domani chissà.
per il resto non so come tu abbia fatto a riconoscere il mio blog visto che ho cambiato il nome già da mesi, pensavo non utilizzassi nemmeno più tumblr
comunque in ogni caso non so ancora come sto ma va bene così, o almeno provo a farmelo andare bene.
e tu?
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