#e tutto cosí semplice
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All Shook Up / É tutto cosí semplice by ke_vl
My first têtê-bêche binding! First and foremost, thank you ke_vl for trusting me with your AikuSen fics and agreeing to let me bind them 🧡 please check out All Shook Up and É tutto cosí semplice, two stories which catch me in the feels every re-read.
For this project I had to work out how to format both fics into signatures so that the latter one would sit upside down. I was fortunately able to wrangle one fic into 96 pages, while the other ran to 80. Since both are divisible by sixteen, this allowed for the fics to be formatted into self-contained 4-sheet signatures. Hey presto! So rather than navigate inverting PDFs, I printed the two fics separately, then sewed the latter set of signatures on upside down. It was a lot easier than expected, thanks to the numbers working out so neatly.
This is also my first paper cover bind, with recycled 150gsm cotton paper from Søstrene Grene. Adhesive backed vinyl for the cover graphics and text, bound together using kettle stitch. I'm not sure of what brand the endpapers are, but they're 110gsm and pretty sturdy. The endpapers and headbands reference Aiku's heterochromia, while the cover paper is peachy like Sendou lmao. rip blond Sendou
In terms of typesetting, I've found a formula that works for me and my printer... mostly. The margins are a little wide still, even after a round with the chisel. I've pretty much given up on that as a method of page trimming—it scuffs and tears the edges too badly.
Some further WIP pictures/commentary under the cut, since I actually took some for once!
Sewn textblock, then with added headbands/mull. The kettle stitch took me ages for some reason... considering going back to French link stitch for the next project, I think it's quicker.
The headbands are a little scrunched up but I'm happy with them. Green and purple is a pleasing combo.
Completed casing and textblock, then the weeded adhesive vinyl—supervised by Chigiri 👑
I always tell myself my Cricut can handle cursive and thin fonts as long as they're big enough... it really can't 🥲 Had to redesign and reprint the author name / spine titling for É tutto cosí semplice since my original design was too bitty. Weeding was hell regardless. HTV is so much easier to wrangle, but I have loads of the adhesive stuff to use up before I let myself buy more HTV.
I had a concern that the cover paper design was too busy for the vinyl to stand out on. In the end, the purple looks fine, but I think the reverse cover would look better if I'd used a darker green.
The last issue with the book is how jank the spine looks when the cover is laid flat. I think I glued the purple side of the text block too close to the edge of the coverboard, making the other side bunch? That or yet again, I made the spine stiffener too wide. It's not super noticeable when the book is closed. Hoping to improve on this in future binds!
My favourite detail is inspired by a têtê-bêche novel I owned in childhood (Sisters... No Way! by Siobhán Parkinson) It's written from two perspectives, and when you'd finished reading one, my copy had a note telling you to flip over and read the other side. I did the same thing here, accompanied by panels of the two boys nabbed from the manga.
#bookbinding#fanbinding#ficbinding#fanfiction#blue lock#aikusen#all shook up#e tutto cosí semplice#boin de bindery
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TRINITY BLOOD
RAGE AGAINST THE MOONS
(Sunao Yoshida)
Vol.1 From the Empire
FLIGHT NIGHT - Capitolo 1
Traduzione italiana di jadarnr dai volumi inglesi editi da Tokyopop.
Sentitevi liberi di condividere, ma fatelo per piacere mantenendo i credits e il link al post originale 🙏
Grazie a @trinitybloodbr per il suo prezioso contributo alla revisione sul testo originale giapponese ✨
“Hostess, scusi? Potrei avere del latte nel mio te? E anche diciamo dodici… no tredici cucchiaini di zucchero?” Chiese.
Jessica si voltò a guardare il giovane uomo dall’altra parte del bancone. Indossava occhiali spessi ed una semplice e scolorita veste da prete. Quel povero viaggiatore sembrava parecchio fuori luogo.
Anche se gli ultimi tempi erano stati duri, la sala panoramica era elegante ed affollata. Uomini e donne ben vestiti chiacchieravano e ridacchiavano, una musica allegra suonava, bicchieri tintinnavano, e l’aria era pervasa dal fumo dei sigari. La sala era piena di persone ricche ed importanti.
Era una notte perfetta per volare.
“Mmm? Hostess? Signorina?” Chiese nuovamente l’uomo.
“Uh? Ah s-sì!” Rispose lei.
Jessica fece scorrere una mano lungo i suoi capelli castani lunghi fino alle spalle, sforzandosi di svegliarsi dal suo sogno ad occhi aperti. Si allacciò il suo grembiule. Il suo sorriso la rese più giovane ed il suo viso pieno di lentiggini si illuminò.
“Uh, aveva chiesto dello scotch?”
“No un te con il latte. E tredici cucchiaini di zucchero”
L’hostess sbattè gli occhi: “Beh, se vuole dei dolci abbiamo anche torte e pasticcini, signore”
“Sono sicuro che sono fantastici ma…” Il prete guardò il suo portafoglio. Le sue spalle si afflosciarono “Ho solo cinque dinari… quindi prenderò soltanto un te per favore”
Persino i bambini dei ricchi che correvano nella sala avevano più soldi di lui. Lo stesso stipendio del mese scorso di Jessica ammontava a duemila dinari. Come aveva fatto quel povero prete a salire sulla Tristan - la nave piú lussuosa a volare tra Londinium e Roma?
“Mi lamento sempre con la sede centrale” scherzò il prete “E la caffetteria qui fa pagare cento dinari per la cena. Che furto! Sono cosí povero, un solo pasto svuoterebbe tutto il mio conto in banca”
“Non mi dica che non ha mangiato?” Chiese la ragazza.
Lui scrollò le spalle: “Non da circa venti ore. Ho tentato di non stancarmi troppo rimanendo a dormire nella mia camera, ma stava comunque iniziando a girarmi un po’ la testa. Ho pensato che se avessi alzato un po’ la glicemia, avrei potuto tenere duro fino a Roma” rispose in tutta onestà.
“I preti vivono una vita molto dura”
Il prete prese le parole comprensive di Jessica come un complimento. Annuí come se stesse pregando Dio. “Come vede si tratta una questione di vita o di morte… Dunque, potrei avere il mio te zuccherato ora?”
Lei annuí. “Certo, ecco qui”
“Mh… questo te è così buono. È autentico, vero? Non quello nelle bustine che ti lascia—“
SBAM!
Prima che il liquido denso potesse raggiungere le sue labbra per un secondo sorso, un bambino che correva per la sala con un palloncino in mano andò a sbattere contro una gamba del prete, che finì con lo sbattere la testa sul bancone, rovesciando ovunque l’intero contenuto della tazza— sui suoi lunghi capelli, sulla sua veste, sui suoi occhiali, ovunque. Nel frattempo il bimbo inciampò, cadde per terra e si mise a piangere.
“Va tutto bene piccolo? Ti sei fatto male?” Chiese Jessica.
Ignorando completamente il prete dai capelli d’argento, che gocciolavano di te, corse dal bambino. Per fortuna il ragazzino era più impaurito che ferito.
Jessica afferrò la corda del palloncino che aveva consegnato ad ogni bambino che era salito a bordo e aiutó il bimbo a rimettersi in piedi.
“G-grazie signorina” balbettò il ragazzino.
“Di niente. Ma devi tornare dai tuoi genitori. É quasi ora di andare a letto.”
“S-sì. Mi scusi Padre” disse il bambino imbarazzato.
Il prete, che stava cercando di sistemarsi i capelli bagnati, sorrise in modo rassicurante al bambino che lo stava guardando preoccupato “Ah ah ah! Non è successo nulla. Era solo una tazza di te. Nessun problema. Non devi preoccuparti. Davvero.”
“Hai visto che prete gentile? Ora però devi andare a letto. Mi raccomando torna dritto nella tua stanza”.
Il ragazzino annuì e corse via. Jessica si assicurò che lasciasse il salone sano e salvo prima di tornare a rivolgersi al prete.
Lui stava guardando il te rovesciato. Stava lì a fissarlo, la sua espressione piena di rimpianto.
“Padre, vorrebbe un sandwich? Non c’è bisogno di pagare… offre la casa”
Lui si illuminò. “Offre la casa? Davvero? Oh Signore, grazie signorina. Lei è un angelo forse? Ora che ci penso, mi è sembrato di vedere un suo ritratto in una chiesa”
Lei alzò gli occhi al cielo “Sono solo una hostess”
Con un crepitìo, una voce meccanica parló da un altoparlante posto sul bancone.
“Parla il ponte di comando—Jessica, potresti portarci le nostre cene?”
“Sì Capitano Connelly… Uhm, Padre, può attendere un minuto? Torno subito” disse.
“Aspetterò quanto vuole, Signorina…?”
“Lang. Sono Jessica Lang”
“Lang?” Ripetè. Per un momento il prete sembrò cercare di ricordare qualcosa. “Ha forse una qualche parentela con la designer di questa nave, morta lo scorso anno, la Dottoressa Catherine Lang?”
“Sì, era mia madre”
Il prete alzò le sopracciglia “Quindi è lei al comando di questa nave?”
“No! Sono solo una hostess. Ho studiato un po’ per diventare pilota, ma non ho ancora la certificazione, e poi sono una donna…”
“Non c’è nessuna legge che le impedisca di volare, Jessica. Io stesso conosco una donna che pilota una nave volante… Oh, mi scuso. Non mi sono presentato. Il mio nome è Abel”
Il prete sollevó i suoi occhiali rotondi e si presentó inchinandosi “Abel Nightroad— prete errante al vostro servizio”
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Ti ho pensato proprio ieri, quando ho scritto il mio post sull'Acca Laurentia e il possibile collegamento con la nostra Sacra Accabadora.
Ho pensato a quanti inorridiscono a sentirne parlare, come se fosse un'assassina legalizzata da una comunità di incivili, come spesso, ancora ci definiscono.
Pensavo a quanta Bellezza nelle tue parole, per raccontarla, e a quanto le parole hanno potere.
Parole che non si vogliono sentire.
Perché certe verità sono scomode, e la donna deve restare sempre un passo indietro.
Hai deciso di andare via e ritornare alle stelle, da cui sei arrivata, proprio nella notte di San Lorenzo.
Forse la tua 'Accabadora interiore, ti stava chiamando.
Perché ogni vera Donna Sarda, lo è.
Colei che capisce i Misteri della Vita e della Morte, perché è "bogadora" e "accabadora".
"Come sopra, sotto"
L'equilibrio è stato ristabilito
A me, mancherai. Tanto.
Grazie per tutta l'abbondanza e la dignità.
Buon ritorno, Michela💖🌟
"Parlare è un potere e dare potere alle donne è sempre stata una cosa problematica nei monoteismi. «L’unico femminismo che ci piace è quello silenzioso della Madonna, – scriveva nell’editoriale prenatalizio del 2020 il giornalista di un quotidiano sovranista improvvisatosi teologo, per poi proseguire – è una madre giovane, semplice, dolce, il cui pianto non diventa mai piagnisteo e che ci insegna l’importanza della riflessione interiore». Il silenzio è una virtú, ma solo se sono le donne a praticarlo. Agli uomini nessuno chiede di tacere le loro riflessioni interiori, anzi sono cosí sollecitati a condividerle che è lecito sospettare che prima di parlare parecchi di loro non abbiano riflettuto a sufficienza. Invece al sesso femminile è consigliato di fermarsi alla fase del pensiero afono, proprio come la Maria di Nazareth che, secondo una certa ermeneutica strumentale tradizionalista, ci venne raccontata come creatura talmente annichilita dalle conseguenze dell’unica volta che ha aperto bocca da non voler aggiungere piú una parola per tutta la vita, dalla mangiatoia di Betlemme alla croce del Golgota".
Tratto da "Stai zitta" di Michela Murgia
Sei nata tu forse da sola, Maria? Sei uscita con le tue forze dal ventre di tua madre? O non sei nata con l'aiuto di qualcuno, come tutti i vivi?
- Io ho sempre... - Maria accennò a replicare, ma Bonaria la fermò con un gesto imperioso della mano.
- Zitta, non sai cosa dici. Ti sei tagliata da sola il cordone? Non ti hanno forse lavata e allattata? Non sei nata e cresciuta due volte per grazia di altri, o sei così brava che hai fatto tutto da sola?
Richiamata alla sua dipendenza con quello che le parve un colpo basso assestato con cattiveria, Maria rinunciò a replicare, mentre la voce di Bonaria si abbassava fino a diventare una litania priva di qualunque enfasi.
- Altri hanno deciso per te allora, e altri decideranno quando servirà di farlo. Non c'è nessun vivo che arrivi al suo giorno senza aver avuto padri e madri a ogni angolo di strada, Maria, e tu dovresti saperlo più di tutti.
L'anziana sarta parlava con la sincerità con cui si fanno le confidenze agli sconosciuti sul treno, sapendo che non si dovrà sopportare mai più il peso dei loro occhi.
- Non mi si è mai aperto il ventre, - proseguì, - e Dio sa se lo avrei voluto, ma ho imparato da sola che ai figli bisogna dare lo schiaffo e la carezza, e il seno, e il vino della festa, e tutto quello che serve, quando gli serve. Anche io avevo la mia parte da fare, e l'ho fatta.
- E quale parte era?
- L'ultima. Io sono stata l'ultima madre che alcuni hanno visto.
Tratto da "Accabadora" di Michela Murgia
Maldalchimia.blogspot.com
Tiziana Fenu ©®
Figlie della Madre
*Un grande libro che non si dimentica *
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Ma succederà cosí anche a te.
Un giorno tu ti sveglierai e vedrai una bella giornata. Ci sarà il sole, e tutto sarà nuovo, cambiato, limpido.
Quello che prima ti sembrava impossibile diventerà semplice, normale.
Non ci credi? Io sono sicuro. E presto.
Anche domani.
- Fedor Dostoevskij, Notti bianche
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Non so piú come gestire tutto questo, piú ci provo e piú mi é difficile. Controllare gli attacchi d’ansia ormai é difficilissimo, i miei pensieri non mi permettono di vivere tranquilla e il passato, in qualche modo, é sempre presente nella mia vita. Quanto vorrei fosse tutto piú semplice di cosí.
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“ Le giornate di Amel erano vuote: non si organizzava, si alzava tardi, perdeva tempo, cosa fino a un mese prima impensabile. Per attraversare questo vuoto ha pensato che forse era il caso di cambiare aria, andare dai nonni in Tunisia; forse laggiú si sarebbe sentita meglio. Cosí ha anticipato le vacanze; è partita con i libri, ma non è servito. Neanche lí è riuscita a rasserenarsi, a studiare. Si sentiva persa tanto quanto a Saint-Denis, e altrettanto incapace di concentrarsi. Si è ritrovata, a fine agosto, sul volo di ritorno, ancora persa, ancora senza energie, e senza un’idea di come affrontare quell’ultimo ostacolo. Allora, senza sapere perché, Amel si è messa a raccontare la sua storia al suo vicino, sull’aereo. Si erano salutati, in inglese, poi lui aveva aperto il suo giornale e lei si era messa a guardare fuori dal finestrino. Ma Amel aveva qualcosa che avvicinava gli sconosciuti; a un certo punto, e dice che non si ricorda nemmeno come è successo, non sa dire perché è successo, si è trovata a raccontargli la sua storia, questa. Stava pensando, gli ha detto, che l’unico posto dove si sentiva veramente a casa era l’aereo, anzi, la sala d’aspetto degli aeroporti. Non contava se stava imbarcandosi dalla Francia per la Tunisia o dalla Tunisia per la Francia. Lí, mentre aspettava che chiamassero il suo volo, avvertiva al tempo stesso, con forza, la mancanza delle persone che stava per rivedere e la nostalgia per le persone che stava lasciando, e invece di sentirsi lacerata si sentiva riconciliata, e pensava che voleva bene a entrambe. Hanno continuato per tutto il tempo a parlarsi in inglese, anche se non era la lingua di nessuno dei due. Il signore ascoltava facendo di sí con la testa, interrompendola ogni tanto per farsi spiegare meglio un dettaglio; aveva un accento che Amel non aveva mai sentito; ha pensato che potesse essere greco, ma non gliel’ha chiesto. Quando Amel ha finito, lui ci ha pensato su, e poi le ha detto che sentirsi spaesati, con un piede di qua e uno di là, senza un’identità precisa, o a volte tirati di qua e di là da identità diverse; tutto questo capita probabilmente a ogni essere umano che non sia rimasto tutta la vita barricato nel suo mondo e nelle sue certezze. Ha detto proprio cosí, barricato. Forse la sensazione di non avere una casa, ma tante, e nessuna sufficiente, è molto piú comune di quello che si creda. Sono sentimenti che vanno e vengono, non sono sempre con noi, ma riemergono, e inquietano, e a volte addirittura creano angoscia, le ha detto con dolcezza il signore che forse era greco. Forse, gli veniva da dirle, sentirsi divisi in tanti pezzi ormai fa parte della condizione umana, noi esseri umani siamo tutti in qualche misura espatriati. C’è chi ne è piú consapevole, chi meno, ma è cosí. Per questo sentimento, lei, rispetto agli altri, aveva a disposizione una spiegazione semplice: sono un’emigrata, sono figlia di emigrati. Ma a pensarci bene, in fondo, forse non era neanche vero che gli altri fossero meno espatriati di lei. E ascoltando queste parole, le parole di uno sconosciuto che non avrebbe piú rivisto, Amel si è sentita invadere da una grande tranquillità. Avvertiva un po’ meno, sempre meno, il peso che la opprimeva dal 13 novembre 2015, e pensava che forse al suo ritorno non tutto sarebbe stato difficile come temeva. Poi, guardando le nuvole fuori dal finestrino, ha chiuso gli occhi e si è addormentata. “
Guido Barbujani, Soggetti smarriti. Storie di incontri e spaesamenti, Einaudi (collana Super ET Opera Viva), febbraio 2022¹; pp. 18-20.
#Guido Barbujani#leggere#letture#Soggetti smarriti#incontri#letteratura contemporanea#Tunisia#nordafrica#vacanze#libri#raccolta di racconti#Saint-Denis#studenti#discriminazione#attentati di Parigi del 2015#viaggi#viaggiare#viaggio#giovani#aeroporti#Francia#nostalgia#riconciliazione#spaesamento#identità#esseri umani#umanità#sentimenti#inquietudine#condizione umana
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Faccio finta di essere scemo, ma capisco benissimo Se ci stiamo frequentando e vuoi che ti scrivo, vuoi che faccio 10,000 km per venire da te, vuoi che ti offra le battute migliori, le mie spalle su cui piangere, il sesso migliore del mondo, lo avrai. Ma non lo avrai sempre, perché io sono stanco. Se basta una serata fuori per farti scopare con un altro, non ti voglio nella mia vita. Se basta che ti dico una cosa per farti dire "ti lascio", non ti voglio nella mia vita. Se basta che " non ho la macchina" per un mese per farmi lasciare, non ti voglio nella mia vita. Non ti voglio nella mia vita se mi prendi su solo perché ti senti disperata. Non ti prendo su se devo fare tutto io. Ti prendo su se: sei in grando di dimostrare affetto oltre a farmi i bocchini, e anche tu per una volta ti svegli alle 4 del mattino per venire da me. Ti do spazio se sei in grando di stare da sola e allontanare gli altri uomini invece che farti trombare dal primo che passa. Anche io li uso i cessi pubblici, ma non me li porto a casa. Ti amo se sei in grado di sostenere una conversazione che non termini in 30 secondi con un semplice " eh ma io faccio cosí" o frasi del genere che dimostrano l'incapacità di agire su se stessi e quindi nella coppia. So di meritare di essere amato. E sono stufo di offrire il mondo a tutte e poi essere lasciato come un cane. Esistono donne là fuori con cui è possibile avere una conversazione normale, fare l'amore senza troppe pare e che riescono da persone civili a navigare la vita senza scoparsi il fratello dell'amica e poi lamentarsi di essere single a 35 anni. L'umanità è un gran casino, c'è bisogno di amore, affetto per tutti. E va bene. Ma dare affetto in queste situazioni è tipo volontariato. Portarsi in casa questi casini è male. Fine
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1st March 2023
Ieri mentre facevo una camminata con mia mamma, parlando del master che sto frequentando, é saltato fuori il discorso della difficoltá che sto riscontrando nel trovare un tirocinio con la stessa agenzia del master. Lo sbaglio che ho fatto forse, é stato dirle che tutti gli altri ragazzi che frequentano il corso hanno gia trovato un posto. Io che ovviamente non mi perdo d’animo e non perdo speranza, sotto sotto penso alla possibilitá che possa essere per via del mio nome straniero. Mi sbaglio e dico a mia mamma che insieme al curriculum , ho inviato pure una cover letter dove spiego la origini della mia famiglia. Al sentire queste parole mia mamma si infuria, dicendo che era sicuramente per quello che non ho ancora trovato un posto, che ho fallito tutti i colloqui fatti fino ad ora. La conversazione va oltre le semplice cose e inizia a farmi sentire una fallita a 360°. Premettendo che ho parecchio pensato alla probabilitá di aver sbagliato a pagare un master cosí tanto, e alla fine non aver ottenuto nessun risultato. Tutte le speranze che mi hanno fatto lasciare Londra, tornare in Italia e rivivere nel posto dove non mi sono mai sentita a casa, stavano svanendo. Saró sincera, ad un certo punto mi sono pentita un po’. Ora, il problema non sta tanto nelle alte aspettative sfumate nel corso delle lezioni. In 25 anni della mia vita non mi sono mai sentita pienamente fiera delle mie origini. Religione si, ma mai origini. Non che mi sentissi italiana, se per questo. Piano piano ovviamente ho iniziato ad avvicinarmi alla mia cultura, perché nonostante le persone continuino a gettare merda, ci sono migliaia di altre cose fantastiche e uniche per cui andare fieri. Il passo di qualitá in piú l’ho fatto guardando i mondiali 2022. Da quel momento, posso ogni volta raccontare delle mie origini collegandola ai mondiali. Per questo, non pensavo fosse sbagliato scrivere nella presentazione che sono nata in italia ma che i miei sono di origini diverse. Peché é ció che sono. E non voglio piú nasconderlo. Non dopo tutto il tempo che mi ci é voluto. Io, come forse gran parte delle persone che nascono in un paese da origini diversi, siamo esposti a questa crisi di identitá che ti distrugge un po’ dentro. Sei nata in italia ma non sei di sangue italiano. Sei di origini diverse, ma quando torni al paese di origine non sei abbastanza per stare al loro passo perché non hai vissuto li. Quindi alla fine ti ritrovi a pensare di essere sbagliata. Pensi di non essere abbastanza per nessun posto. Alla fine, ció che conta é come ti senti dentro. É a quale posto senti di appartenere e quando lo capisci non devi fare altro che coltivare quel sentimento e migliorarlo. Migliora la tua persona. Il tuo carattere. Le tue conoscenze. E cosa piú importante, non tirarti mai indietro. Nonostante tutte le volte in cui questo mondo ti buttera giú. Succederanno cose brutte, cose che ti faranno fare passi indietro, che ti faranno un po’ vergognare. Fai in modo di ricordarti cosa hai attraversato fino a quel momento. Il senso di smarrimento, di inadeguatezza, lo stress e le preoccupazioni.
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WONDERWALL
non se ne rendeva conto mai, neppure come me stessa, di quanto ogni cellula che lo componeva in quello che era, riusciva a rendere tutto un po’ più colorito. Se ne stava sempre lí, a elencarti i suoi difetti a ogni pregio che gli tiravi fuori, cocciuto come non mai. eppure, lo avevo conosciuto quando ancora abbassava la testa, ritirava una mano se lo riteneva necessario e non voltava mai le spalle a qualcuno, neanche a me, quando lo volevo solamente lontano, perchè lo ritenevo fin troppo per me, che volevo sentire qualcosa che mi togliesse dalla noia, ritrovandomi poi a desiderarla. a desiderare il banale, il semplice.
Ritrovandomi adesso a guardarlo di nuovo, con le spalle contro il muro sempre, non chiedendomi mai il perchè, ci trovassimo sempre cosí io e lui: fianco a fianco, ma spalle a muro.
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La morte era parte di quel fermacarte, parte indissolubile delle quattro palline bianche e rosse allineate sul tavolo di biliardo. E sentivo che noi vivevamo inspirandola nei polmoni come una finissima polvere. Fino ad allora io avevo sempre considerato la morte come una realtà indipendente, completamente separata dalla vita. Come a dire: «Un giorno prima o poi la morte allungherà le sue mani su di noi. Ne consegue che fino a quando ciò non avverrà essa non potrà toccarci in nessun modo». Questo mi sembrava un ragionamento assolutamente onesto e logico. La vita di qua, la morte di là. Io sono da questa parte, e quindi non posso essere da quella. Ma a partire dalla notte in cui mori Kizuki, non riuscii piú a vedere in modo cosí semplice la morte (e la vita). La morte non era piú qualcosa di opposto alla vita. La morte era già compresa intrinsecamente nel mio essere, e questa era una verità che, per quanto mi sforzassi, non potevo dimenticare. […] Nel pieno della vita tutto ruotava attorno alla morte.
Haruki Murakami, Norwegian wood (1987)
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"invece io mi sono complicata la vita perché sembrava troppo facile"
Ma l'enigma è cosí intricato che sbrigliarmi da questo sistema è diventata la missione di vita.
Perfortuna me ne sono accorta da giovane e ho chiesto aiuto ad una persona altrettanto intelligente di aiutarmi a risolvere questi enigmi.
Cosi ci aiutiamo a vicenda ad arrivare a capo nelle situazioni.
Ma anche la nostra situazione è una situazione enigmatica.
Quindi sembra non esserci fine in tutta questa complicazione
Mi sembra di sbucciare una cipolla, ma che non arriva mai la cipolla.
Solo innumerevoli bucce. In cui ogni parte è vulnerabile e sembra di vivere la parte piú profonda.
Ma non c'è mai fine.
Quando tutto diventa semplice è un attimo farlo tornare complicato.
Ma almeno adesso si semplifica.
Perchè mi sono detta che la cipolla va bene anche con la buccia, soprattutto se si fa il brodo.
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Cameron è un genio, un regista che sbanca il botteghino ogni volta che approda al Cinema. Un regista che ha regalato perle quali Terminator, Titanic ed il primo Avatar.
Avatar: La Via dell'Acqua è qualcosa di oltre. Il film piú avanguardistico di questa generazione. Un 3D progettato e diretto con una regia perfezionista, incredibile a vedersi. Non una baracconata da luna park, nessuna freccia o proiettile da schivare, questa non è una attrazione turistica: qua il 3D narra e contestualizza. Tu sei DENTRO a Pandora. Vivi quel mondo, quasi ne senti gli odori; se due personaggi parlano fra loro, tu sei lí con loro.
Il Cinema è Forma, e Sostanza. I fratelli Lumiere, quando inventarono il cinema, lo fecero per mostrare l'impossibile, per stregare, per stupire. Il primo treno mostrato al cinematografo, in corsa verso lo spettatore, fu un vero miracolo. Un trionfo della tecnologia. La gente ne fu terrorizzata, colpita, sconvolta. Questo è il Cinema.
Avatar La Via dell'Acqua è il treno in corsa del 2022. Lo fece con Terminator, lo fece con Titanic, lo fece con Avatar. E ancora una volta, Cameron, con questo film, segue le orme dei Lumiere e travolge lo spettatore.
Avatar La Via dell'Acqua è un film meraviglioso, maestoso, incredibile visivamente parlando. Con una trama sí semplice, ma mai banale. È spirituale, naturistico, che parla di famiglia, di legami di sangue e non, di rispetto, di coraggio, di ipocrisia, di fascismo, capitalismo, e lo fai sí in maniera pedagogica, semplice e diretta. Un film per ragazzi, ma dai messaggi talmente semplici che al giorno d'oggi però non segue nessuno. Siamo sempre piú delle merde arriviste, vendicative, "fai del male a chi te ne fa", senza rispetto, menefreghiste, acide e stronze. Quindi via, magari sto film non sbaglia poi cosí tanto a parlare di sti temi.
Non mi prende il primo posto nei migliori film del 2022 soltanto perchè mi è uscito Cronemberg, e Crimes of the Future complessivamente se lo mangia Avatar, ma il secondo posto personalmente è tutto suo. Uno dei film piú importanti della storia del cinema per le sue innovazioni tecnologiche (ad oggi non esiste effetto speciale che ci rivaleggia), ben scritto, pieno di cuore (e se sei un cinico non è colpa del film), scritto e diretto da un regista che lavora d'amore verso l'Arte cinematografica. Che con tutti i successi che ha fatto poteva fare un filmetto monco all'anno e navigare nell'oro, e che decide invece di non lavorare per 15 anni perchè lui vuole dirigere quello che vuole lui, senza marchette, senza pubblicità, senza vincoli di produzione, senza vendersi: Cameron, autentico, come tutti i suoi migliori film.
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Cos'è, la felicità?
Per me ...
La felicità è fatta di istanti; momenti in cui tutto sembra perfetto e niente potrebbe essere migliore, anche se sai che non sarà sempre cosí. La felicità è quando lavori con un amico ed una volta finito il lavoro si va insieme a mangiare da Kentucky Fried Chicken. La felicità è quando arrivi in un posto e quel posto è bellissimo. La felicità è far parte di una famiglia, anche se non è la tua, ma per qualche giorno lo è. La felicità è quando qualcuno è contento che tu ci sia ... per il semplice fatto che tu ci sia. La felicità è quando ti svegli la mattina e dalla finestra si vedono i colori dell'alba, e sono tutti meravigliosi. La felicità è in un carezza fatta o in una ricevuta, e nessuna delle due è più importante dell'altra. La felicità è quando ti riparano la lavatrice e cosí è di nuovo possibile fare il bucato. La felicità è un'illusione che diventa realtà, per un minuto o magari anche due. La felicità ti trova lei e bisogna farsi trovare se vuoi che lei ti trovi.
La felicità è sempre nell'ultimo posto dove ti cerca.
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La paura rende tutto piú difficile ed io ho paura di tutto, mi scuso per tutto in continuazione. Mi scuso per essere cosí come sono, mi scuso per i miei mille difetti e le mie lune storte. Mi scuso quando é colpa mia e quando non lo é, mi scuso perché se fossi stata diversa sarebbe stato molto piú semplice. La paura di non essere abbastanza ha condizionato tutta la mia vita ed ora mi ritrovo in una gabbia fatta con le mie mani da cui non so come si esce.
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“ La moglie di Nikolaj Vasilevič, è presto detto, non era una donna, né un essere umano purchessia, neppure un essere comunque vivente, animale o pianta (secondo taluno, peraltro, insinuò); essa era semplicemente un fantoccio. Sí, un fantoccio; e ciò può ben spiegare la perplessità o, peggio, le indignazioni di alcuni biografi, anch'essi amici personali del Nostro. I quali si lagnano di non averla mai vista sebbene frequentassero abbastanza assiduamente la casa del suo grande marito; non soltanto, ma di non averne mai «neanche udito la voce». Dal che inferiscono non so che oscure e ignominiose, e nefande magari, complicazioni. Ma no, signori, tutto è sempre piú semplice di quanto non si creda: non ne udiste la voce semplicemente perché ella non poteva parlare. O piú esattamente, non lo poté in certe condizioni come vedremo, e in tutti i casi, tranno uno, da sola a solo con Nikolaj Vasilevič. Bando tuttavia alle inutili e facili confutazioni; e veniamo a una descrizione quant'è possibile esatta e completa dell'essere, od oggetto, in parola. La cosiddetta moglie di Gogol, dunque, si presentava come un comune fantoccio di spessa gomma, nudo in qualsiasi stagione, e di color carnicino o, secondo usa chiamarlo, color pelle. Ma poiché le pelli femminili non sono tutte dello stesso colore, preciserò che in generale si trattava qui di pelle alquanto chiara e levigata, quale quella di certe brune. Esso, o essa, era infatti, è ozioso aggiungerlo, di sesso femminile. Piuttosto, conviene dire subito che era altresí grandemente mutevole nei suoi attributi senza però giungere, com'è ovvio, a mutare addirittura di sesso. Pur poteva, certo, una volta mostrarsi magra, quasi sfornita di seno, stretta di fianchi, piú simile a un efebo che a una donna; un'altra prosperosa oltremodo o, per dir tutto, pingue. Mutava inoltre di frequente il colore dei capelli e degli altri peli del corpo, concordemente o non. E cosí anche poteva apparir modificata in altre minime particolarità, come posizioni dei nei, vivezza delle mucose, eccetera; persino in certa misura, nel colore stesso della pelle. Sicché da ultimo ci si potrebbe chiedere quale essa fosse in realtà, e se davvero se n'abbia a parlare come d'un personaggio unico; non è però prudente, lo vedremo, insistere su tal punto. La ragione di questi mutamenti stava, secondo i miei lettori avranno già capito, in nient'altro che nella volontà di Nikolaj Vasilevič. Il quale la gonfiava piú o meno, le cambiava parrucca e altri velli, la ungeva coi suoi unguenti e in varie maniere ritoccava, di modo da ottenere press'a poco il tipo di donna che gli si confaceva in quel giorno o in quel momento. Egli anzi si divertiva talvolta, seguendo in ciò la naturale inclinazione della sua fantasia, a cavarne forme grottesche e mostruose; perché è chiaro ché oltre un certo limite di capienza ella si deformava, e cosí pure appariva deforme se restava al di qua d'un certo volume. Ma presto Gogol si stancava di tali esperimenti, che giudicava «in fondo poco rispettosi» per la moglie, cui a suo modo (modo per noi imperscrutabile) voleva bene. Voleva bene, ma a quale appunto di codeste incarnazioni? si potrà domandare. Ahimè, ho già accennato che il seguito della presente relazione fornirà forse una risposta purchessia. Ahimè, come ho potuto testé affermare che era la volontà di Nikolaj Vasilevič a governare quella donna! In determinato senso, sí, ciò è vero, ma altrettanto certo è che presto ella divenne, nonché sua mancipia, sua tiranna. E qui si spalanca l'abisso, la gola del tartaro, se volete. “
Brano tratto dal racconto di Tommaso Landolfi La moglie di Gogol, pubblicato per la prima volta nella raccolta Ombre (Vallecchi, 1954).
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Faccio finta di essere scemo, ma capisco benissimo
Se ci stiamo frequentando e vuoi che ti scrivo, vuoi che faccio 10,000 km per venire da te, vuoi che ti offra le battute migliori, le mie spalle su cui piangere, il sesso migliore del mondo, lo avrai. Ma non lo avrai sempre, perché io sono stanco. Se basta una serata fuori per farti scopare con un altro, non ti voglio nella mia vita. Se basta che ti dico una cosa per farti dire "ti lascio", non ti voglio nella mia vita. Se basta che " non ho la macchina" per un mese per farmi lasciare, non ti voglio nella mia vita. Non ti voglio nella mia vita se mi prendi su solo perché ti senti disperata. Non ti prendo su se devo fare tutto io. Ti prendo su se: sei in grando di dimostrare affetto oltre a farmi i bocchini, e anche tu per una volta ti svegli alle 4 del mattino per venire da me. Ti do spazio se sei in grando di stare da sola e allontanare gli altri uomini invece che farti trombare dal primo che passa. Anche io li uso i cessi pubblici, ma non me li porto a casa. Ti amo se sei in grado di sostenere una conversazione che non termini in 30 secondi con un semplice " eh ma io faccio cosí" o frasi del genere che dimostrano l'incapacità di agire su se stessi e quindi nella coppia. So di meritare di essere amato. E sono stufo di offrire il mondo a tutte e poi essere lasciato come un cane. Esistono donne là fuori con cui è possibile avere una conversazione normale, fare l'amore senza troppe pare e che riescono da persone civili a navigare la vita senza scoparsi il fratello dell'amica e poi lamentarsi di essere single a 35 anni. L'umanità è un gran casino, c'è bisogno di amore, affetto per tutti. E va bene. Ma dare affetto in queste situazioni è tipo volontariato. Portarsi in casa questi casini è male. Fine
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