#e non uscire per un bel po di tempo
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syri-kalter · 1 year ago
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Mi sembra di avere cosi tanto amore da dare, ma nessuno che possa ricevere tutto questo. Sembra tutto sospeso nell'aria, tanta tensione ma niente di concreto. Tante parole ma niente azione. Io non sono cosi, Io agisco, io faccio, io sono forte, lo so. Ma non sopporto stare con gente del genere attorno a me. Gente che parla ma non fa mai un cazzo
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raccontidialiantis · 21 days ago
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Slacciarsi l'anima
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Si sta togliendo il reggiseno: tra un po’ lui entrerà nella stanza e la vorrà trovare nuda e pronta per l'amore. Lei lo sa bene, come funziona lì e si prepara: obbediente, docile e muta. È diventata un'odalisca occidentale in un paese mediorientale. A lui non piace che lei sollevi proteste, ancorché sommesse, o che addirittura gli si neghi. Qualsiasi cosa stia facendo, quando lui ha un'esigenza di carattere sessuale, lei deve smettere e correre a prepararsi. Per quell'uomo ha abbandonato l'Italia e adesso vive in una terra calda ma arida e lontana migliaia di chilometri dalla sua terra.
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È così che la vuole: è la schiava di piacere per il suo esclusivo uso. Però non si equivochi: quell'uomo potente, ricco e affilato come un rasoio, la ama sinceramente: l'ha scelta tra tante. È un uomo di potere, molto colto e di gusti raffinati. Ha a sua disposizione grandissime risorse economiche, mezzi notevoli e non le fa mancare mai nulla, basta che lei solo accenni. Le ha ordinato di licenziarsi e lei, nel bel mezzo di un interessante e sudato percorso professionale, l'ha fatto. Senza esitazioni. Non l'ha sposata: vuole che si senta sempre “in prova” e sull'orlo di un possibile abbandono.
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Glielo ha detto chiaramente: dovrai essere la mia schiava per la vita, l'oggetto e la somma ricompensa dei miei risultati lavorativi. Io ti userò per i miei sfoghi sessuali. Sarai però al tempo stesso una Regina, la mia donna da soddisfare e ti ricoprirò di benessere, agi, denari e doni a tuo piacere. E lei, pazza d'amore per lui, ha accettato ed è finita rinchiusa in un vero e bellissimo castello arabo, tra odalische profumate e stupende che la servono ed eseguono i suoi ordini alla lettera. La massaggiano e preparano il suo corpo con olii profumati e tecniche modernissime. Poi glielo nutrono e curano con creme e unguenti.
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Ne governano l'alimentazione scrupolosamente. La sorvegliano, proteggono e gentilmente la obbligano all'attività fisica quotidiana stabilita di almeno tre ore. La intrattengono con conversazioni, racconti, film e spettacoli in esclusiva. E poi: giù pettegolezzi e confidenze molto intime tra donne. Ogni giorno la lavano e la vestono. Nei periodi di lunga assenza del padrone, la tengono anche allenata all'amore usando appositi falli di gomma strap-on, plug, usando le loro mani e bocche esperte, sì da tenerne ben vive e soddisfatte le voglie.
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L'ha organizzato lui: non è geloso delle odalische e anzi alcune sono state sue prescelte per qualche notte, in passato. Ma lei è un'altra cosa: e deve essere sempre pronta. Perché lui l'adora e vuole il suo corpo; l'anima di questa donna occidentale gli interessa, certo. Ma forse più come prezioso trofeo di caccia da possedere in esclusiva, quale intimo gioiello sul suo cuore. Eppure, in qualche modo è stregato completamente dai suoi occhi. Quando torna da un viaggio di lavoro, per prima cosa corre subito da lei; è sua gran cura il fatto di riuscire a soddisfarla, farla gridare di piacere e venire più volte sotto di lui.
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Lei nella privacy dell'alcova deve dirgli delle parole intime prestabilite tra loro, che lui adora ascoltare ogni volta uscire dalle sue labbra. E con la bocca, secondo protocollo, lei scende sotto l'ombelico dell'uomo a rinnovare la sua totale sottomissione. Con un lungo, torrido e appassionato bacio intimo. Solo dopo, può esserci tutto il resto. Potrebbe avere delle mogli o altre donne; ma ha scelto di avere vicino solo lei. E lei ha scelto di essere prima di tutto una cosa sua; soltanto dopo si sente anche una donna. Strani sentieri di devozione, percorre l'amore.
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RDA
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miciagalattica · 1 month ago
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Una giornata iniziata male…
L’incontro
Una giornata storta come tante altre, lo s’intuisce da come ti alzi, appena poggi il piede a terra. Vai in bagno per lavarti e l’acqua non esce dal rubinetto, vai a prepararti un caffè e ti accorgi che ne sei rimasta senza. Inizi a smadonnare, ti vesti frettolosamente per andare a fare colazione al bar e quello vicino casa lo trovi chiuso. Pensi che sarà una giornata terribile e i tuoi nervi saranno messi a dura prova. La sfiga continua a perseguitarti anche al lavoro. Non ne puoi più e allora chiedi un permesso per uscire a fare quattro passi al fine di scaricarti un po’. Che fai? vai al centro commerciale per distrarti guardando le vetrine dei negozi. Prendi la scala mobile e mentre stai in cima prossima al piano …patatrack ...si rompe il tacco, perdo l’equilibrio e mi vedo già ruzzolare per le scale …e proprio in quel mentre la sfiga si distrae e mi sento afferrare da dietro da due mani forti. Il mio cuore batte all’impazzata per lo scampato pericolo. Ringrazio il signore che mi ha salvata e lo invito a prendere un caffè al bar. Era il minimo che potessi fare. Seduti al tavolo mentre sorseggiavo la mia spremuta di arancia, iniziai scrutarlo. Aveva un fisico asciutto, atletico, occhi penetranti, non aveva un filo di barba, belle mani curate, anche se si potevano vedere che le usava per lavoro. Curato nell’accostamento dei colori, aveva gusto. Incuriosita, le chiesi che lavoro facesse. Mi ha risposto che era un parchettista. Oddio pensai …la sfiga giornaliera mi aveva persa , sarà andata a tormentare qualcun'altra. Non ero in me, non sapete da quando ne cercavo uno, merce rarissima. Le ho chiesto se fosse libero per un lavoro da fare in casa. Da molto tempo si era formata una bolla sotto il parquet e poiché non riuscivo a trovare nessuno mi ero quasi rassegnata a tenermela. Lui accettò e sfoderò un bellissimo sorriso. Allora ci siamo scambiati il numero di telefono e abbiamo fissato un appuntamento, per un sopralluogo per il giorno seguente. Ero felice come una Pasqua. Tornai al lavoro e tutte le nuvole nere furono dipanate.
Il giorno seguente
Il campanello suonò, uno strano stato di agitazione iniziò a pervadermi, sinceramente non lo capivo. Aprii ed entrò, lo vidi ancora più bello di come me lo ricordassi. Ero vestita con una tuta da casa, non mi ero minimamente preparata, lungi da me entrare negli stereotipi classici della casalinga che accoglie l’idraulico.
Gli mostrai il danno, ci pensò un po’ e mi disse che si dovevano togliere un bel po’ di listelli e poi il tutto andava levigato e poi verniciato. Mi chiese se avessi dei listelli di riserva. Purtroppo non ne avevo, mi disse di non preoccuparmi poiché se ne sarebbe occupato lui. Fece un rapido preventivo a dir il vero un po’ salato, credevo che me la sarei cavata per molto meno, ma comunque era un lavoro che andava fatto.
Ad un certo punto mi accorsi che il suo sguardo si poggiava sul mio piccolo rigonfiamento, solo in quel momento si accorse che ero una trans. Questo provocò in me una forte eccitazione e il rigonfiamento divenne più accentuato. Lo vidi arrossire in volto quasi gli mancavano le parole, il respiro divenne corto, annaspava e con un filo di voce mi chiese se poteva andare in bagno per sciacquarsi la faccia e ricomporsi. Questa sua timidezza mi ammaliò, lo seguii e attesi che uscisse. Lo affrontai subito e gli chiesi se per lui era un problema lavorare per me.
Mi rispose timidamente di no.
Continua…
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danzameccanica · 1 month ago
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Avete presente quando vi cade dal cielo una band X o un musicista Y che pare avere una svagonata di dischi, una storia ben costruita e voi non l’avete mai sentito nominare ? Oddio, io sono anche bulimico di musica, mi fa cagare Brunori SAS o i Pinguini Tattici Nucleari ma anche Tyler the Creator o Bon Iver eppure so collocarli nello spazio e nel tempo. Non mi sparo continuamente Bruce Springsteen o BB King o i Coldplay ma so chi sono e più o meno che genesi hanno avuto. Ecco, Ryan Adams io non lo avevo mai cagato fino a l’altro ieri ma vedo che sfoggia le maglie di Danzig, dei Metallica, degli Emperor o dei Power Trip e allora vado a vedere la sua pagina wikipedia: dal 2000 al 2011 praticamente un disco ogni anno e dal 2021 al 2023 altri 8 album. Cazzo neanche i King Gizzard & the Lizard Wizard o i Merzbow ai tempi d’oro.
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Poi leggo che appartiene al mondo country, che ha fatto un album di cover di Taylor Swift e allora un po’ mi spiego la questione sia della sua iper-prolificità sia del suo esistere in una bolla completamente distante dalla mia… però poi leggo anche la parolina magica “fan degli Smiths” e poi “chitarre alla Johnny Marr” e infine “apertura all’ultimo tour degli Oasis”. Blackhole è il disco che sto letteralmente consumando: pare sia un disco iniziato a metà anni 2000 e mai finito; non ho la minima idea di che tipo di registrazione e sovra-incisione abbia fatto Ryan in questo album ma l’impressione è che il ragazzo (classe 1974 cmq, quindi neanche tanto bambino) stesse registrando dei pezzi in cameretta dando sfoggio di quell’amore per Johnny Marr che si diceva. Tutti si riferiscono all’ “infamous” album perché pare che la fanbase di Ryan abbia monitorato e tenuto conto di tutti i brani inediti eseguiti dal vivo da diversi anni senza avere un vero riscontro discografico. "The Door" sembra uscire da "Strangeways, here we Come" oppure da "Louder than Bombs"; per fortuna non c’è nulla di quel panorama country dal quale proviene e la cosa che colpisce, e che poi sorprenderà lungo tutto l’album, è la sua grande capacità di creare bellissime melodie vocali. La voce è alta, aperta, suadente, leggermente abrasiva e graffiata dalla produzione abbastanza grossolana; emerge sempre protagonista (assieme alla chitarra) in vocalismi che ricordano gli U2 sia per timbrica che per modulazione. Ryan Adams riesce a mescolare un alternative rock fatto di un po’ di Smiths e di primi REM. Un pizzico di Jeff Buckley e quella timbrica che solo Bono Vox aveva nei primi 4 album degli U2. In "Call Me Back" ci si può quasi ricantare "With or without you" ma con gli arpeggi tipici di Marr. Help Us strizza l’occhio a Hand in Glove ma le chitarre si incendiano e la voce avvolge l’ascoltatore.
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La produzione di Blackhole ha qualcosa di grezzo e di anni ’90 allo stesso tempo; ricorda quel bel rock abrasivo degli An Emotional Fish, dei tardi The Mission (senza la componente goth), di The Unforgettable Fire. L’impressione è che Ryan abbi sovra-inciso una chitarra e la sua voce in un secondo momento, probabilmente in tempi recenti, perché le sei corde vanno e vengono da un orecchio all’altro ma sempre su una base chitarristica di fondo. C’è poi sempre uno sfondo di ispirazioni fatto dal quasi omonimo Brian Adams o Bruce Springsteen, ma d’altronde sono la base per un cantautore statunitense della sua età che si rivolge al suo genere. "Likening Love to War" è uno di quei pezzi che avrei voluto ascoltare alle 3 di notte tornando sbronzo dal Covo pensando alla ragazza che stavo baciando mezz’ora prima; "Starfire" è uno dei brani più indie-rock dell’album, con la sua impronta mid-2000 molto diversa dal resto dei brani eppure così perfettamente integrata fra gli altri. Cathrine (brano famoso ai fan perché eseguito tante volte dal vivo) mi ricorda così tanto "Hearthless" degli HIM che il cuore fa decine di tuffi all'indietro. Big Colours e Blackhole, da quello che ho ascoltato, sono gli unici due album di Ryan così debitrici di un certo tipo di rock anni 80-90 sia nella sua forma originale che nei vari revival. Il bello di Blackhole è che quando, verso la fine, lo hai incasellato più o meno in quel genere, in quel mondo continua a stupirti perché oltre quel mondo cantautoriale statunitense c’è anche tanta cultura british, che vanno dagli Smiths ai Cure, agli Strokes. Meravigliosamente derivativo.
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pezzidiuncuoreancoravivo · 1 month ago
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Sono stati giorni stressanti e sono stata fin troppo frustrata. Infatti oggi son crollata, che sia colpa del caffè o di un colpo di freddo, non lo so, perché ho avuto crampi e gonfiore dopo cena, una brutta sensazione addosso che si è intensificata al punto di dover prendere il lexotan e tempo 15 minuti, come se niente fosse mai accaduto. È da settembre che non avevo crisi d'ansia così, ho cercato di resistere, di distrarmi, di fare cose, ma niente, non ha funzionato un cazzo. Solo le medicine mi aiutano e odio che sia successo, certo meglio ieri che domani, visto che oggi ho la visita dallo psichiatra e ho tanta paura che mi faccia tenere questa terapia con l'antidepressivo che mi causa anomalie nell'orgasmo. Ho smesso da sola, ma lui non lo sa, mi ha solo scalato la dose ma io sinceramente ho smesso da settimane e sono stata bene comunque, questo è un solo episodio isolato dovuto a forte stress, frustrazione e abbuffate con sensi di colpa. Domani volevo solo concentrarmi sulla mia depressione e invece mi tocca dirgli che sono stata male. Non voglio prendere farmaci, ma al tempo stesso li vorrei per tirarmi su d'umore, visto che nulla mi sta aiutando. Sono sfinita, non mi alzo mai con un po' di voglia (e uno mi direbbe vabbè nessuno si alza volentieri per andare a lavorare, specialmente col freddo) ok, ma io ricordo che al liceo mi alzavo sì malamente, ma tempo 5 minuti e stavo fuori dal letto, non come ora che mi sveglio a posta un'ora o mezz'ora prima e resto a letto convincendomi ad alzarmi. Non ero così, non lo ero, perché ero stimolata, avevo delle ragioni per uscire da quel letto e ora non ne ho più, il servizio civile mi sta demoralizzando perché mi sento sempre esclusa e le mie colleghe non sembrano interessate alle attività che facciamo, né tanto meno di fare amicizia, ci parlo tranquillamente sì ma più di quello non c'è. Non ho legato con nessuna e ciò mi pesa moltissimo. In più mi sento sempre emarginata dalla comitiva di Riccardo, sto bene solo con 4 persone ma essendo ragazzi non ci ho legato, vuoi che a loro non interessi, vuoi che sono la fidanzata di un loro amico, ci sta, lo capisco, però... Anche il fatto che mi sono quasi trasferita da lui non mi ha causato forte ansia, ero più in ansia il giorno dopo il servizio sociale perché avrei fatto colazione con le colleghe, invece ora che mi alzo sempre da sola perché lui va a lavoro molto prima di me la vivo bene ma sono sempre molto triste di star sola in casa, però lo affronto meglio di quanto pensassi ed è davvero tanto per me, un bel passo avanti. Ma ora, che l'ansia è tornata, tornerà di nuovo? E se sarò sola? Io penso davvero che potrei chiamare la guardia medica se sto così e non so che fare da sola, ma poi avrei paura di chiamarla cazzo ne so, non so più niente.
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raccontiniper18 · 1 year ago
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Scrive Lei.
Ieri pomeriggio mi è venuta voglia di ''cambiare'' e di dedicarmi un po' a me, mi sono fatta bella, unghie nuove, capelli ricci,trucco semplice ma bello acceso, e mi sono depilata completamente (ultimamente avevo il solito triangolino) fatto un bel bagno caldo e mi sono un po' sfogata con il mio amato doccino. Dopo una bella venuta ed essermi fatta bella aspettavo il mio amore che tornasse da lavoro, che palle anche di domenica deve lavorare.
Esco dalla vasca mi asciugo mi risistemo i capelli mi asciugo e resto in vestaglia con nulla sotto.
Non mi va di cucinare quindi chiedo lui di passare a prendere la pizza prima di ritorno,scrivendo un messaggio su wh app prima a lui e in seguito alla pizzeria, rispondono entrambi positivamente,ovviamente.
Perdo un po' di tempo su amazon per scegliere gli ultimi regali di natale, ma data la mia mente perversa (si se non si fosse capito oggi sono vogliosissima) scrivo sextoy e vedo la miriadi di giochi che ci sono su amazon, non pensavo ce ne fossero tanti, aggiungo al carrello un bel po' di roba e decido di aspettare il mio lui per confermare l'acquisto.
Mi annoio, e mi è salita ancor di più la voglia.
Penso fra me e me :''Ok, ho deciso è da un po' che non lo facciamo. ''
Mi dirigo in bagno apro il cassetto, apro il cassetto e lo prendo.
Noooooh non è il mio dildo o altri sex toy,quelli sono in camera da letto eheehhe.
Sapete cos'è???
Sicuri??
Ci siete arrivati?
LA PERETTA.
La riempio con acqua tiepida, e un po' di sapone e sbatto su e giù.
Metto la vestaglia sul termosifone a muro.
mi metto a cavalcioni sul bide, un po' di sapone sul mio ano.
Su e giù.
Un'altro po' di sapone ed entro con un dito nel mio culetto.
Faccio un po' di su e giù dentro, e mi piace.
Con l'altra mano mi masturbo il clitoride e con l'altra continuo a penetrarmi il culetto.
Rivengo.
Mi calmo.
E faccio la mia perettina.
1 2 3 fin quando l'acqua non è limpidissima...
Finito di far tutto doccetta veloce, mi riasciugo e mi rimetto la vestaglia.
Mi dirigo in salotto e aspetto il mio amore.
Dopo mezz'oretta sento che il garage si sta aprendo.
Dopo 2 minuti è su'.
Appena mi guarda con la vestaglia e svestita. Mi sorride e mi dice ''ciao,amore. Ciao tette ciao patata ciao culetto.''
Si perchè lui saluta tutto avvolte ci parla con le mie zone intime ahahaha
Ci sediamo a tavola.
Mangiamo.
Dopo 2 fette di pizza io decido di scendere giù e di fargli un bel bocchino, quindi dico di essere sazia. E vado sotto il tavolo.
Gli calo i pantaloni,poi le mutande e lui continua a mangiare ovviamente, ha fame poverino,ma io ho fame di salsiccia.
Eccolo li, bello floscio, è cosi' innocente e indifeso quando è a testa giù, gli prendo un po le palle in boccha e le ciuccio, lentamente, alternando leccate sempre e solo alle palline.
Lui ansima.
Io continuo a ciucciare le palle.
Lui dopo un po' mi prega di ciucciarglielo.
Ma io continuo a dedicarmi a solo le sue palline.
Dopo un po' finisce di mangiare, e sposta la sedia all'infuori cosi da farmi uscire anche a me. Nel frattempo che io risalgo lui è già nudo.
Lo spingo sul tavolo e li glielo ciuccio, solo la cappella fortissimo.
Non riesco a prenderlo tutto in bocca ma a lui fa impazzire quando io ci provo e soffoco,quindi l'accontento.
Succhio e vado su e giu,riciuccio e vado su e giù.
Alzo gli occhi e lui è già in paradiso.
Ok, è ora di venire piccolo mio.
Lui dice ''Nono,c'è tempo devi impegnarti di più''
Io sorrido ed accetto la sfida, dopo 2 minuti che succhio all'impazzata il mio lui resiste e si pavoneggia
''Misà che stai perdendo colpi amore mio,non riesci a farmi venire con quella boccuccia?''
Ok, do 10 succhiate lente lente ma intense, non so come non abbia fatto a venire, se mi succhiava a me cosi' il clitoride sarei venuta penso.
Poi prendo due dita me le infilo in fi*a .
Sono bagnatissima, un lago, nemmeno le sento le due dita per quanto sono eccitata. Do un paio di colpetti poi esco dal mio buchetto e boooooom gliele inflilo entrambe nel suo culetto.
Lui per la sorpresa salta un po' su, ma poi sta fermo e si gode il tutto.
Dopo che l'ho infilato e sadomizzato con le mie ditina gli tolgo la bocca da quel cazzone che si ritrova lo guardo e gli dico ''Se resisti a 10 colpi, questa sera ti do il culo''
Incomincio a ciucciarlo e in simultanea gli sfondo in culo con 2 dita,scendo con la bocca e penetro con le due dita insieme ,risalgo e caccio fuori le dita.
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''Ho vintooooooo...'' mi dice
ma all'undicesima mi sb*rra tutta la bocca.
Quasi soffoco per quanta ne ha, tanto che un po' ne esce dal labbro laterale. Ingoio tutto,amo il suo seme.
Mi rialzo e vedo lui soddisfattissimo.
Mi dice ''Ei piccola,grazie. Aspetta ti cola un po' di sb*rra'' e mi lecca il lato guancia e mi da un bel bacione.
Io sorrido e ricambio il bacio.
Volete la continuazione?? Scriveteci in chat.
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mineestellepolari · 1 year ago
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Da oggi ho deciso di aprire una “rubrica”, non so se è una buona idea, non so se qualcuno mai la leggerà o se a qualcuno importa, ma così mi dice la testa.
La rubrica si chiamerà “cose che nessuno mi ha chiesto”
1. Il biciclettaio:
Un giorno il mio migliore amico (una ragazzo di Avellino che studia medicina qui a Firenze, si chiama Michele, detto Mike), mi ha invitato a casa sua per uno dei suoi soliti festini. Mi sono ubriacata male, quella notte mi è venuto il ciclo, mi sono svegliata che ero un mostro dolorante e in post sbornia.
La mattina Mike aveva preso appuntamento per andare a comprare una bici in un posto dove praticamente raccolgono le bici usate e abbandonate che il comune rimuove periodicamente in giro e le rimettono a nuovo con l’aiuto dei carcerati. “Fico!” penso, ma sono veramente troppo distrutta anche solo per tornare a casa, figuriamoci.
Gli dico di no. Insiste all’infinito.. nulla, devo accompagnarlo. Arriviamo lì e c’è un ragazzo giovane, sulla trentina, che sta aggiustando una bicicletta. Il mio amico ci parla per dirgli che li aveva contattati per comprare una bici da loro e lui la recupera e la ricontrolla tutta.
Ci fa aspettare un bel po’, non ricordo il perchè e per tutto il tempo il l’ho fissato perchè mi frullavano nella testa mille domande che avrei voluto fargli, tipo “ma tu sei un carcerato? Ti danno i permessi per uscire e venire a lavorare qui? Come funziona? Come è nata questa associazione? Ricevete fondi?” e via dicendo..
Lui è concentrato sulla bici e non mi sembra che faccia troppo caso a me, sinceramente.
Con non poche difficoltà e un’eternità di tempo (almeno cosi mi è sembrato a me) siamo riusciti ad infilare la bici nella macchina di Mike.. diciamo la verità, la ruota di dietro usciva dal bagagliaio dove era seduta una ragazza che reggeva sia la bici che lo sportello. Si, abbiamo rischiato la morte, ma lasciamo perdere.
Mike tutto contento finalmente mi riporta a casa e mi regala la sua bici vecchia che ormai aveva sostituito perchè per lui era troppo bassa e mi regala uno stiker dell’associazione, con su scritto “piede libero”.
Attacco subito lo stiker sulla bici e faccio una bella foto e la pubblico su instagram, “voglio far conoscere questa realtà!”, penso tra me e me. Quindi taggo la pagina dell’associazione, dopo averla trovata e seguita.
Mi mettono like alla storia. Bene.
Mi scrivono qualcosa tipo “grazie per il tag! Hai preso la bici da noi?” e io rispondo che no, avevo accompagnato un mio amico a prenderla e mi aveva donato lo stiker.
Mi facevo ancora molte domande sull’associazione e su quel ragazzo, quindi sono andata a curiosare e..tac! L’ho trovato! È taggato sulla foto! Mado subito sul suo profilo.. “Carino!” penso.
Dopo un po’ mi segue e mi scrive.. iniziamo a parlare e scopro che era sempre lui che mi rispondeva anche dalla pagina dell’associazione, solo che non poteva scrivermi troppo perchè il suo “capo” ha anche l’account e ogni tanto ci entra.
Scopriamo di vivere nello stesso quartiere.. gli dico che la bici che mi ha rifilato il mio amico è messa male e vorrei aggiustarla, ma senza spenderci troppo, lui mi dice che è un servizio che non fanno, ma che mi avrebbe dato un’occhiata se gliela portavo al baracchino sul lungarno dove lavorava.
Dopo qualche giorno torno lì dove c’è lui ad aspettarmi. ll capo vecchio non c’è, per fortuna.
Finalmente lo vedo dal vivo e questa volta da vicino. “È proprio bello!”, penso. Poi con quel fare da meccanico, con le mani tutte unte.. cerco di non pensarci ed essere disinvolta mentre sono dentro l’officina con lui e scambiamo 4 chiacchiere. Dopo un po’ me ne vado, dovevo fare weed shopping e poi sarei tornata.
Bevo due o tre spritz con la mia spaccina del cuore e torno da lui, mezza brilla. Ha sta finendo la bici, me la rimessa a nuovo e aggiunto luce e cestino! È veramente bella! Lo ringrazio e gli chiedo quanto gli devo, mi dice 25€, mi sembra un prezzo onesto.
Come una cogliona mi rendo conto che ho prelevato i soldi quasi solo per l’erba, mi rimangono 15€. Gli chiedo se posso pagare con la carta, non l’avessi mai detto!! Mi fulmina con lo sguardo e mi dice “seria?!” io rimango impietrita e dico “scusa, proprio non ci avevo pensato a prelevare 😅”…
Lui è palesemente scioccato in senso negativo e mi dice “non fa nulla, piuttosto me li porti un altro giorno! Possiamo vederci vicino casa e me li dai!”
Gli dico che è un’ottima idea, mi scuso e gli prometto che il giorno successivo avrei saldato il debito!
Come promesso il giorno dopo gli scrivo, ci vediamo alle 7 del mattino, prima che lui andasse a lavoro, sotto casa mia. Facciamo due chiacchiere e gli chiedo se posso offrirgli un caffè da me per farmi perdonare, lui accetta e sale.
Chiacchieriamo un po’, beviamo il caffe, io fumo, parliamo dell’associazione e noto che lui si avvicina piano piano.. fino a mettermi le mani sulle tette e baciarmi. Ogni tanto mi stacco e mi allontano, ma lui mi cerca, mi vuole. Non riesco a non cedere alla tentazione e mi lascio andare.
Finiamo mezzi nudi sul divano, ci tocchiamo, baciamo e infiliamo le mani ovunque a vicenda.
Ad un certo punto lo blocco, gli dico che non posso farlo perchè sono fidanzata. Lui rimane un po’ scioccato, si riveste e se ne va.
Ci risentiamo ancora, mi dice scherzosamente “mi offri un altro caffe?” e io gli dico “va bene, ma questa volta innocente caffe”..
Viene a casa mia, di nuovo, mi chiede del mio ragazzo e mi confessa che anche lui è impegnato e convive da poco con una donna più grande, che stanno pensando di mettere su famiglia e che lui ha un po’ di ansia e pensa che sono le sue ultime occasioni di libertà. Parliamo molto, ma ad un certo punto mi risalta addosso, mi bacia intensamente.. che fatica.. mamma mia..
Finiamo a letto, stiamo quasi per farlo, ma lo blocco di nuovo.. lui si incazza, discutiamo e se ne va sbattendo la porta.
Ci siamo risentiti poi, un pochino abbiamo chiarito, ma ho visto che lui non mi segue più su ig (unico contatto tra noi), quindi boh.
Questa storia, per ora, finisce qualche mese fà.. ero in giro con mia madre che era venuta a trovarmi, andiamo a prendere la tramvia per raggiungere il centro. Ad un certo punto vedo un ragazzo e una ragazza che camminano affianco con un passeggino. “Sono proprio una bella famiglia!” penso tra me e me. Poi li guardo meglio.. era lui. Con la compagna. E un bebe di qualche mese, mi si è ghiacciato il sangue. Poche volte nella vita mi sono sentita così tanto una merda.
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gabbiadicarta · 3 months ago
Note
Vale la pena instaurare un rapporto di amicizia nonostante sia io a cercare sempre questa persona, con tanto di parole dì confortati ogni volta che sta male? Nonostante sia io a chiederle sempre come sta, senza mai che mi venga chiesto come sto io? Nonostante io l’abbia invitata a bere un aperitivo senza ricevere gli auguri il giorno del mio compleanno, che per carità, ci sta che si sia dimenticata, ma non me li ha fatti nemmeno quando gliel’ho ricordato il giorno in cui l’ho invitata ad uscire per bere l’aperitivo. Io il giorno del suo compleanno le ho fatto gli auguri a mezzanotte e insieme ad altre persone, le abbiamo organizzato una festa a sorpresa, e le ho fatto un regalo pensato nei minimi dettagli, con le cose che più le piacevano e servivano.
È vero, quando si dà qualcosa, non bisogna aspettarsi mai che ti venga restituito, e non voglio che mi venga dato tutto quanto, ma almeno una piccola parte? Un rapporto non dovrebbe esser fatto da 50 e 50? Non si dovrebbe essere in due a costruire un rapporto? Sento di star dando solo io e mi dispiace. È una persona con cui avrei tanto voluto costruire un rapporto di amicizia, ma non mi piacciono le cose forzate, qualora dovessi dirle queste cose, anche perché non siamo effettivamente amiche. Mi sto sforzando solo io, con la sperando di creare un bel rapporto, ma non devo essere la sola a costruire, o no? Ho addirittura aspettato le vacanze, con la speranza che mi cercasse, ma nulla.
Tu cosa ne pensi? Come ti comporteresti se fossi stata al mio posto?
ci ho messo un po' a rispondere a questa domanda e mi spiace, ma la verità è che sono appena stata incastrata in un rapporto simile, solo che io ero dalla parte opposta alla tua.
sono da tanti anni, ormai, quel tipo di persona che se si affeziona da il mondo, ma se ciò non accade, ci mette tanto tempo per anche solo 'scaldarsi' un po'. non nego di essere consapevole di avere un carattere poco gestibile, spesso nego delle conoscenze perché so già che questo mio lato ferisce chi mi sta attorno da poco e non mi conosce.
onestamente io dico sempre a tutti, che se si è infelici bisogna chiudere. abbi un po' di amor proprio, sii egoista e pensa a te e al tuo benessere. non ha mai senso elemosinare amore da chi non dimostra di essere disponibile a darlo. farà male all'inizio, forse perché tu ti ci sei attaccata, forse perché hai idealizzato troppo questa persona, ma vedrai che con il tempo capirai che non ci hai perso nulla, perché a te non sta dando nulla in ogni caso.
spero tu possa trovare qualcuno adatto a te. <3
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a-tarassia · 2 years ago
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Ovunque
Lunedì era il 2 gennaio, pioveva di quella pioggia fine e persistente che qui chiamano scarnebbia e l’aria intorno era grigia e umida, ovviamente. Io avevo intenzione di uscire, ho messo su i leggnings termici, i pantaloncini felpati, il top, la canottiera, la maglia termica, la felpa e il kway, guanti, cappello, cuffie e sono uscita a correre. Ho sudato come un lottatore di sumo perché ero overdressed and not in the good way. Non fa freddo, è umido, non mi sono regolata., mi sto adattando al clima di queste zone, dopo otto anni sarebbe anche l’ora.
La me di dieci anni fa, che avrebbe vissuto a Roma ancora per poco, non avrebbe nemmeno mai pensato di uscire a correre, figurarsi con questo tempo. Neanche la me di 9 anni fa, che viveva al mare.
Dici come ti trovi al nord che non c’è mai il sole? È vero, da che se ne possa dire, la quantità di sole che vediamo qui in pianura è decisamente una parte infima e disperata di quella che si gode in qualsiasi altra parte d’Italia e forse del mondo. Siamo al 5 di gennaio e dal 20 di dicembre ricordo solo un giorno di sole e non è il periodo peggiore di cui ho memoria. Come mi trovo? Mi trovo che boh, mi sono adattata a vivere anziché sopravvivere, esco a correre con la pioggia, fai tu, e l’altro giorno mentre correvo pensavo che forse queste condizioni meteo avverse alla mia psiche sono addirittura la marcia in più che mi distoglie dalla pigrizia che il sole mi induce, dalla vena contemplativa che il bel tempo mi attiva, dalla voglia di stendermi su una spiaggia o al sole su un prato al parco degli acquedotti, dalla stanchezza della canicola che il caldo comporta, le dormite pomeridiane dei pomeriggi assolati qui non sono cultura. Non è un merito, non è una colpa, la crescita del pil ha una correlazione negativa con il clima mite così come ce l’ha con la corruzione. Quello che ho notato qui è che alla gente va di fare le cose a prescindere dal tempo e se è bello ancora meglio, ma cambia poco, cambiano giusto le cose da fare, il tempo non è mai un deterrente, almeno nella mia cerchia non ho mai sentito dire da nessuno “non vengo perché piove e non mi va”, sinceramente piuttosto ti entrano in casa zuppi, infreddoliti, ma mai mai mi è successo di sentirmi dire “no, c’è nebbia”. Mi piace vivere al nord? A volte sì, a volte no, ci sono i pro e i contro. In pianura per esempio ci si sposta bene, puoi andare ovunque in bici, che è sempre stata una mia fissa e passione, un mio amico mi diceva sempre che a Roma ci sono più parchi e verde, è vero, ma a Milano se c’è traffico e non t va, parcheggi la macchina e a piedi in 2h sei ovunque, a Roma piuttosto muori. Qui ci sono i fiumi, i laghi, le montagne e tante città abbastanza vicine tra di loro, la vita col van o col camper è più semplice, due ore e sei in terra straniera e prendere i mezzi non è la condanna infinita di un girone infernale. Il meteo in pianura è quello che è e l’inquinamento, dove vivo io, è una piaga, così come le zanzare, la vita è più costosa, gli stipendi in media sono più alti, ma forse non abbastanza. La gente mi piace. Vivere a Roma mi piaceva? Fino ad un certo punto sì, poi non più. È bella, bellissima, meravigliosa. Se vivi in centro, certo, le periferie, invece, sono tutte uguali, qualcuna è più brutta. Il periodo in cui ero studentessa scendevo dai miei in Calabria anche per mesi interi e quando tornavo a Roma era come se avessi lì una seconda vita a cui riadattarmi, mi sentivo dispersa e confusa, senza meta, allora prendevo i mezzi e andavo in centro, mi piaceva castel sant’angelo, mi piaceva il celio, mi piaceva il cimitero inglese, mi piaceva piazza cavour, arrivarci coi mezzi mi piaceva meno e più passava il tempo meno mi era utile la bellezza più mi serviva praticità, dopo il 2010 vivere era diventato costosissmo, impossibile quasi per chi non aveva casa o un lavoro pagato bene e la vita era diventata sopravvivenza,  abitare a Roma non mi piaceva più. Tredici anni della mai vita, forse i più belli, c’ho messo un po’ a farmene una ragione e a capire che venivo prima io dei bei ricordi. Mi piaceva vivere al mare dai miei? A volte sì, a volte no. La Calabria è terra abbandonata, difficile e mancante, anche per colpa mia che me ne sono andata e non ho mai dato nulla in cambio di quello che invece i miei padri e le mie madri mi hanno sempre offerto. Bella, bellissima, selvaggia, imprendibile, l’amore della mia vita. I miei abitano al mare, sulla costa tirrenica di fronte ad uno dei panorami più belli del mondo, d’inverno si vede fino l’etna, fino stromboli e panarea, i colori sono infiniti e le nuvole disegnano oltre l’immaginazione, è terra ricca e che non chiede niente, solo il tuo sacrificio. Ci ho vissuto in tutto, in due tranche, per dieci anni. Sono calabrese nelle vene, ma non lo sono nella volontà, i miei mi hanno aperto mondi a cui non sono ancora, nonostante tutto, pronta a rinunciare e la mia terra mi sta stretta, non sono pronta a dare, sto ancora nell’immaturità di ricevere e se non riesci a dare la Calabria non perdona. Ogni volta che sono tornata l’ho fatto per curarmi e ogni volta mi ha curato, ogni volta mi ha rivelato qualcosa di me, il ciclo non è finito, son sicura che è lì che voglio tornare, ma mi piace vivere lì? Ancora no.
Ho vissuto anche dieci anni negli Stati Uniti, ma ero troppo piccola e già volevo andarmene via, NY mi puzzava di pesce marcio e la gente non era italiana. Sensazioni difficili da descrivere, non ho mai avuto velleità di tornare, almeno fino adesso, in cui mi ritrovo a volte a pensare come sarebbe tornare a vivere nella grande mela o addirittura a Los Angeles, aprirmi a quel tipo di mondi e cultura così diversa e dicotomica, non mi verrebbe mai in mente di desiderare l’Arizona ecco o l’Oklahoma, questo no, però una grande città che non mi posso permettere un po’ nello stomaco la fame mi viene.
Son tutti uguali i posti del mondo, sei tu che cambi di volta in volta, perché per quanto belli o brutti possano essere la vita che ci vai a vivere è la tua, sempre la tua, e quello dipende solo da te. Mi piace viaggiare, forse mi piaceva di più prima, mi piace esplorare, però vivere è diverso e vivere in un posto lo normalizza, lo mette al centro della gaussiana, anche vivere in uno Slum a Mumbai alla fine è questione di abitudine, lo dice bene Roberts in Shantaram e io ci credo. Ogni posto diventa il tuo posto se sei abbastanza pronta e onesta con te stessa, nessun posto sarà mai tuo invece se non riesci a completarti.
So per certo che per apprezzare qualunque posto, per affrontare qualsiasi tipo di realtà, la prima con cui devi fare pace è quella da cui vieni, è la cosa più difficile, è la più dolorosa, ma se non capisci che anche lì va bene, allora non andrà bene nessun altro posto.
C’è una pagina su Facebook che si chiama View from my window, è una bella pagina, cortese e gentile, in cui le persone sono chiamate a mandare solo una foto a testa, per non intasare e solo della vista che hanno da una finestra/balcone di casa, indicare dove abitano e al massimo un piccolo commento, gli altri non devono giudicare se non in modo cortese, la foto deve essere rigorosamente da casa, non luogo di lavoro o vacanza, fammi vedere cosa vedi tu ogni giorno da casa tua. C’è di tutto. Viste da palazzi, da villette, da cabine in montagna, da case sulla spiaggia ad Edinburgo, giardini Sudafricani, parcheggi di condomini a San Pietroburgo, strade piene zeppe di neve di paesini norvegesi, praterie del montana, montagne canadesi, il vesuvio, cortili alle bahamas, alberi di pappagalli in australia, cose assurdamente belle in posti di guerra, cose assurdamente normali in posti caraibici.
È una pagina meravigliosa che celebra la vita nel suo quotidiano e ti fa capire come davvero ovunque è ovunque, la differenza sta in altro.
Buon anno.
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gaytamorfosi · 1 year ago
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Puoi stare con me
🇮🇹 ("You can stay with Me" Italian Version)
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Massimo beveva il suo caffè in piedi, nel mezzo del salotto, fissava gli oggetti che aveva appena acquistato per decorare il suo piccolo appartamento in centro a Milano. Quella casetta era costata un patrimonio, ma almeno ora abitava vicino alla banca dove lavorava. L'arredatore aveva fatto un ottimo lavoro, l'appartamento sembrava uscito da una foto in un catalogo di mobili, in più lo stile curato e l'ossessione per la pulizia di Massimo facevano si che l'appartamento restasse sempre perfetto, come nuovo. La vita di Massimo si divideva tra il lavoro e quel piccolo appartamento vuoto. Anche se lo spazio a disposizione era davvero poco, Massimo l'avrebbe condiviso molto volentieri, da tempo sognava una relazione, ma all'alba dei 45 anni il povero impiegato aveva smesso di fantasticare, anche perché le sue relazioni (nei rari casi in cui prendevano il via) non duravano più di qualche uscita. Massimo aveva qualche parente (che sentiva di rado) e un gruppetto di amici, al quale molto raramente si univa qualcun'altro.
Quel venerdì sera il piccolo gruppetto di amici di Massimo lo aveva invitato ad uscire per una pizza, ma era stata una giornata pesante e massimo non aveva voglia di uscire con le solite persone per sentire i soliti discorsi, men che meno davanti ad una fetta di pizza grassa e unta. Massimo digiunava spesso, aveva un rapporto complicato col cibo. Il suo fisico era gracile e sottile, talvolta la gente guardandolo si domandava come facesse un corpo così asciutto a reggere quel testone pieno di capelli neri. Massimo si sbarbava e si depilava: le strade di Milano pull lavano di ragazzi giovani, belli, magri, che godevano di ciò che la natura gli aveva donato. Massimo aveva rincorso per anni quell'ideale di bellezza, ma alla sua età ormai risultava quasi grottesco nell'incaponirsi a quel modo, limando e limitando la sua quel corpo minuto. Massimo era stato un ragazzino in carne ed aveva il terrore di tornare ad esserlo, il suo corpo avrebbe preso massa senza troppa fatica se lui non si fosse posto tutte quelle limitazioni; il suo corpo era come una quercia alla quale avevano riservato il trattamento di un bonsai, tagliando tutti i rami e senza dargli la possibilità di crescere.
All'una di notte una notifica interruppe la musica, che Massimo teneva come sottofondo da ore con la sua cassa Bluetooth. Nel gruppo di whatsapp "amici" Paride aveva scritto: "Ragazzi, ho perso l'ultimo treno, mi sa che devo vedere se passa un pullman sostitutivo o se riesco a chiamare un taxi". Paride non usciva sempre con Massimo e i suoi amici, perché abitava in provincia e doveva prendere il treno per raggiungere il centro di Milano. Era un ragazzo di 28 anni, non troppo alto, un po' in carne ma con un bel viso. Era un ragazzo educato e gentile, a Massimo piaceva molto ma sapeva di non avere chance con lui, perché Paride aveva una relazione con un altro ragazzo da alcuni anni, una relazione praticamente perfetta, se il matrimonio tra due uomini in Italia fosse stato legale quei due sicuramente sarebbero stati sposati. 
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Massimo era dispiaciuto di essersi perso un’uscita in cui c'era anche Paride, ma forse la fortuna quella sera gli aveva donato la rarissima possibilità di passare un po' di tempo da solo con lui. "Se vuoi puoi dormire qui da me" scrisse Massimo sul gruppo, arrossendo. Paride e Massimo, anche se ormai si conoscevano da anni, non avevano mai passato del tempo assieme da soli, c'era sempre anche il ragazzo di Paride o qualche altro amico. Oltre a questo Massimo era molto timido e raramente si inseriva nei discorsi degli amici, quindi se si era in gruppo Paride lo guardava a malapena. 
"Magari! Grazie mille Massimo, sto arrivando"
Dopo 25 minuti, che a Massimo erano sembrati un’eternità, Paride suonò il campanello e Massimo aprì la porta. Paride entrando si sfilò le scarpe, era già stato a casa di Massimo e sapeva bene che quella era la regola a casa sua, perché Massimo detestava lo sporco. Entrare in casa di Massimo per Paride era sempre un po' come entrare in un santuario, aveva il terrore di rompere o sporcare qualcosa, il solo respirare lo faceva sentire fuori luogo. Dopo qualche tiepido convenevole Massimo invitò Paride a sedere sul divano, la conversazione si esaurì immediatamente e piombò un silenzio imbarazzante. 
"Vuoi qualcosa da bere o da mangiare?" 
"Solo un bicchiere d'acqua, grazie, la pizza mi ha messo sete"
Paride bevve lentamente, tentando di colmare quel silenzio che pareva sospeso nel tempo. "Dormo qui?" disse Paride indicando un materassino gonfiabile preparato a dovere con lenzuola, cuscini e coperte. Il ragazzo solitamente era spigliato quando chiacchierava a con gli amici, ora invece sembrava quasi in imbarazzo. Anziché i suoi occhi, Paride fissava i piedi sottili dell'amico, abbracciati da due calzini bianchi e rossi dal tessuto sottile. Paride aveva un debole per i piedi maschili, non era proprio un fetish, ma c'era una sorta di attrazione. Distogliendo lo sguardo dalle calze e ponendolo a caso sul televisore spento pensò: "Chissà se questa cosa di far levare le scarpe agli ospiti è una scusa per vederli senza scarpe", poi si sforzò di pensare ad altro. "Se preferisci ti lascio la camera da letto, ho già cambiato le lenzuola" disse Massimo. L'immagine di Paride nel suo letto era eccitante per Massimo, anche se sapeva bene che non avrebbe osato unirsi a lui.
-No, questo materasso andrà benissimo, non voglio essere invadente.
-Sicuro?
-Si, mi fai già un grande regalo a farmi restare qui.
Massimo nel suo letto si addormentò a fatica, non ricordava l'ultima volta in cui un ragazzo si era fermato da lui a dormire; Paride non si era fermato per trascorrere la notte con lui, eppure Massimo era emozionato che lui fosse lì, in casa sua. Verso le tre del mattino Massimo si svegliò di soprassalto: Paride si stava infilando nel suo letto. "Che succede?" Chiese Massimo, "Scusa, non volevo svegliarti, mi sa che il materasso è forato, ti da fastidio se dormo qui?" Rispose Paride. 
-tranquillo, vieni, ti faccio spazio.
-grazie, scusami ancora, alla fine sono stato ancora più invadente di quanto pensassi
-scusami tu, non immaginavo che il materasso fosse forato.
Paride si infilò tremante nel letto, la sua pelle era gelata perché il pavimento era freddissimo, si accoccolò là dove il corpo di Massimo aveva scaldato le lenzuola. Il cuore di Massimo martellava come una grancassa nel suo gracile petto, era terrorizzato all'idea che Paride potesse sentirlo. Massimo non fece nemmeno in tempo a chiedersi perché il ragazzo non avesse scelto di spostarsi sul divano, il sangue lentamente abbandonava il cervello per colmare un'erezione pulsante, assai difficile da nascondere quando si divide il letto con un'altra persona.
Paride fingeva di avere già preso sonno, ma il fatto di dividere il letto con un uomo che non era il suo fidanzato non lasciava indifferente neanche lui. L'immagine dei piedi sottili di Massimo si ripresentava nella sua testa in continuazione, erano talmente perfetti, sembravano usciti da un disegno. Passavano i minuti, nella stanza regnava un silenzio tale da sembrare tangibile, vivo, come se il silenzio fosse una terza persona, che doveva prendersi il suo spazio e manifestare prepotentemente la sua presenza.
"Vorrei che non ci fosse questo imbarazzo, vorrei che il nostro rapporto fosse diverso" pensarono entrambi.
È nei momenti più impensabili che avvengono le cose più incredibili.
Mentre Massimo tentava di girarsi per nascondere l'erezione il suo piede sfiorò quello di Paride, che tentò di allontanarlo, ma muovendo la gamba per errore la infilò tra quelle di Massimo, accorgendosi che il padrone di casa era piuttosto eccitato. "Scusa" dissero in coro. "Ho tentato di trattenermi ma non posso farci nulla" aggiunse Massimo. "Lo prendo come un complimento" disse Paride trattenendo a stento una risata. "Chi l'avrebbe mai detto che eri così ben messo" disse Paride, "Un corpo così minuto abbinato a un pene così grande e invadente, bisognerebbe correggere le tue proporzioni". Da dove era uscita un'affermazione tanto assurda? Paride non poteva lasciare che il silenzio cadesse proprio in quel momento, l'imbarazzo sarebbe tornato e sarebbe stato molto più insopportabile di prima, quindi decise di continuare a parlare: "In realtà sei già abbastanza alto, ha senso che il tuo pene sia più grosso rispetto alla media". Massimo voleva sprofondare in quel letto, la vergogna lo stava divorando, non si accorse che il suo membro aveva iniziato a crescere più di quanto non facesse con una normale erezione, sembrava ubbidire alla fantasia di Paride come un soldato ben disciplinato. "Dovresti essere il tipo di persona che mangia in abbondanza e lavora per mettere su massa muscolare, perché quell'affare su un corpo tanto magro stona". Il corpo di Massimo si gonfiò; litri di sangue caldo e pulsante corsero lungo le fibre dei suoi muscoli, che moltiplicavano la loro dimensione di secondo in secondo. Massimo sembrava una persona diversa, non sembrava più un fuscello disidratato, ma era molto più simile alla quercia che la genetica gli avrebbe permesso di diventare, se solo non avesse saltato i pasti e si fosse iscritto in palestra. "Anche il tuo carattere andrebbe cambiato, dovresti essere un po' più audace, determinato, esigente e ambizioso".
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Un improvviso desiderio di rivalsa si accese dentro di Massimo, che ebbe il coraggio di ribattere: "Parli troppo, guarda che nemmeno tu sei perfetto, inizia a perdere qualche chilo". Il corpo di Paride iniziò a fare l'opposto rispetto a quello di Massimo e mentre tutto il peso in eccesso svaniva, la pelle del suo corpo diventava tonica e soda. Paride sembrava sempre di più uno di quei ragazzini tanto invidiati da Massimo. "Parli senza riflettere, sembri un ragazzino tra i 19 e i 20 anni". Paride ringiovanì rapidamente, dimenticando la relazione che aveva da 6 anni. "Ti sei preso troppa confidenza, non accetto commenti del genere da un amico qualsiasi, puoi permetterti di dire cose simili solamente se sei il mio ragazzo".
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Paride accese la luce sul comodino, nessuno dei due si sorprese di vedere l'altro totalmente trasformato. "Di che parlavamo?" Chiese Paride. Massimo ebbe l'impressione di aver discusso, ma non ricordava assolutamente ciò che aveva detto, poi abbassò gli occhi e vide l'erezione pulsante che, nonostante tutto, era ancora lì, più presente che mai. "Adesso ho capito perché mi hai svegliato" disse Paride infilando la mano nelle mutande di Massimo. 
La mattina dopo Paride si svegliò e vide il suo ragazzo, Massimo, mentre si vestiva  
-Vai a lavorare anche oggi?
-Vivere in due in centro a Milano non è economico, lo sai, per questo devo andare.
-Non puoi restare un po' qui con me a letto? Oggi è sabato...
-Ho già detto al mio capo che avrei finito un lavoro lasciato a metà.
-Sei proprio sexy in giacca e cravatta, sai?
Paride allungò le mani verso la cintura che Massimo aveva appena allacciato e iniziò a slacciarla, poi affondò la faccia sul suo pacco. "Non ti è basato quello che abbiamo fatto ieri sera?", disse Massimo mentre si eccitava nuovamente. "Anche tu hai ancora appetito" Rispose Paride con un sorriso malizioso.
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𝘓𝘦 𝘪𝘮𝘮𝘢𝘨𝘪𝘯𝘪 𝘪𝘯 𝘲𝘶𝘦𝘴𝘵𝘰 𝘱𝘰𝘴𝘵 𝘴𝘰𝘯𝘰 𝘱𝘳𝘰𝘷𝘦𝘯𝘪𝘦𝘯𝘵𝘪 𝘥𝘢𝘭 𝘸𝘦𝘣 𝘦 𝘢𝘭𝘵𝘦𝘳𝘢𝘵𝘦 𝘨𝘳𝘢𝘻𝘪𝘦 𝘢𝘭𝘭'𝘪𝘯𝘵𝘦𝘭𝘭𝘪𝘨𝘦𝘯𝘻𝘢 𝘢𝘳𝘵𝘪𝘧𝘪𝘤𝘪𝘢𝘭𝘦. 𝘚𝘦 𝘴𝘦𝘪 𝘪𝘯𝘧𝘢𝘴𝘵𝘪𝘥𝘪𝘵𝘰 𝘥𝘢𝘭𝘭𝘢 𝘱𝘳𝘦𝘴𝘦𝘯𝘻𝘢 𝘥𝘪 𝘲𝘶𝘢𝘭𝘤𝘩𝘦 𝘤𝘰𝘯𝘵𝘦𝘯𝘶𝘵𝘰 𝘤𝘩𝘦 𝘳𝘪𝘵𝘪𝘦𝘯𝘪 𝘦𝘴𝘴𝘦𝘳𝘦 𝘥𝘪 𝘵𝘶𝘢 𝘱𝘳𝘰𝘱𝘳𝘪𝘦𝘵à, 𝘤𝘰𝘯𝘵𝘢𝘵𝘵𝘢𝘮𝘪 𝘱𝘦𝘳 𝘳𝘪𝘮𝘶𝘰𝘷𝘦𝘳𝘭𝘰. 𝘨𝘳𝘢𝘻𝘪𝘦.
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𝘛𝘩𝘦 𝘪𝘮𝘢𝘨𝘦𝘴 𝘪𝘯 𝘵𝘩𝘪𝘴 𝘱𝘰𝘴𝘵 𝘤𝘰𝘮𝘦 𝘧𝘳𝘰𝘮 𝘵𝘩𝘦 𝘸𝘦𝘣 𝘢𝘯𝘥 𝘢𝘳𝘦 𝘢𝘭𝘵𝘦𝘳𝘦𝘥 𝘵𝘩𝘢𝘯𝘬𝘴 𝘵𝘰 𝘢𝘳𝘵𝘪𝘧𝘪𝘤𝘪𝘢𝘭 𝘪𝘯𝘵𝘦𝘭𝘭𝘪𝘨𝘦𝘯𝘤𝘦. 𝘐𝘧 𝘺𝘰𝘶 𝘢𝘳𝘦 𝘣𝘰𝘵𝘩𝘦𝘳𝘦𝘥 𝘣𝘺 𝘵𝘩𝘦 𝘱𝘳𝘦𝘴𝘦𝘯𝘤𝘦 𝘰𝘧 𝘢𝘯𝘺 𝘤𝘰𝘯𝘵𝘦𝘯𝘵 𝘵𝘩𝘢𝘵 𝘺𝘰𝘶 𝘣𝘦𝘭𝘪𝘦𝘷𝘦 𝘵𝘰 𝘣𝘦 𝘺𝘰𝘶𝘳 𝘱𝘳𝘰𝘱𝘦𝘳𝘵𝘺, 𝘱𝘭𝘦𝘢𝘴𝘦 𝘤𝘰𝘯𝘵𝘢𝘤𝘵 𝘮𝘦 𝘵𝘰 𝘳𝘦𝘮𝘰𝘷𝘦 𝘪𝘵. 𝘛𝘩𝘢𝘯𝘬 𝘺𝘰𝘶.
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raccontidialiantis · 29 days ago
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Io mi ricordo, quando t’ho vista la prima volta
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Eri giovanissima, infagottata dentro una tuta da benzinaia, con dei guanti di pelle a dita scoperte e un cappellaccio di lana calato sulla fronte. Soffrivi il freddo, ma il tuo sorriso riscaldava tutto, nel raggio di due metri. Ero arrivato in paese da poco, per il mio nuovo lavoro nella vicina città e stavo ricreando la mia piccola rete di conoscenze e posti utili. Quella routine che man mano poi chiamiamo “casa” lontani da casa.
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Ho preso a servirmi da te. Eri la tuttofare di quella piccola pompa di benzina, che gestivi assieme a tuo padre. Un uomo saggio e sereno, con cui parlavamo di calcio e imprecavamo contro il governo. Mettevo solo dieci euro di benzina, per passare di nuovo da te al più presto. L’avevi capito e mi sorridevi, complice. Noi uomini siamo furbi stupidi. Eri lusingata, da questo fatto.
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E regolarmente ridendo mi chiedevi: “ma perché non metti trenta euro?"  E io: “perché così la macchina è più leggera e consuma di meno: ma tu che lavori con le macchine, non guardi la formula uno?” così mi guadagnavo il ”ma vattene, va'!” quotidiano, detto con un sorriso che avrebbe fermato un esercito. Poi papà è morto e tu sei rimasta sola: facevi di tutto, con competenza, pazienza e stringendo i denti.
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Olio, acqua, pressione, rabbocchi. Ma un sorriso l’avevi per tutti. E tutti t’adoravano. Il fruttivendolo lì vicino, vecchio amico di papà, uno che t’ha vista crescere, ogni mattina ti portava il caffè. Rigorosamente fatto nel suo retrobottega con la napoletana.
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La panettiera, tua amica, solo di qualche anno più grande di te, alle dieci ti portava un bel trancio di pizza e t’aggiornava sui pettegolezzi. Servizio completo: due euro. Prezzo quasi simbolico. Tutto in pace, fino a quando le nuove norme, il piano regolatore e la sopraggiunta illegalità delle piccole pompe in città non t’hanno costretta a chiudere l’esercizio. Un lunedì sono venuto a far benzina e... semplicemente non c’eri più!
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Ero sinceramente disperato e mi sarei preso a schiaffi, per non aver avuto mai il coraggio di chiederti di uscire con me. Mi mancavano da morire lo scambio di battute quotidiano, la barzelletta che ti raccontavo, che tu ascoltavi con gli occhi attentissimi e la tua esplosione di gioia finale genuina, la risata fragorosa e il solito congedo finale: “quanto sei scemo!” che per me equivaleva a una carezza sul cuore. 
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Quando ormai m’ero rassegnato, pur non smettendo di pensare a te ogni giorno, t’ho ritrovata per caso dal dentista: su una rivista di moda! Bella come il sole, agghindata solo con intimo e accessori. Eri tu! Eri proprio tu! Non ci potevo credere! Sono rimasto imbambolato a guardarti, a bocca aperta. Una vera dea. Senza troppe speranze, ho scritto un’e-mail alla redazione del giornale, vantando una parentela inesistente e chiedendo che in qualche modo te la girassero. Se non a te, almeno all’agenzia o al fotografo degli scatti, al produttore dell’intimo.
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Era un vero e proprio biglietto della lotteria. Un messaggio in bottiglia. Poi dice che i miracoli non succedono: dopo una settimana circa m’hai scritto! Mi hai detto che eri contentissima di avermi ritrovato, che un po’ avevi addirittura nostalgia del vecchio lavoro, soprattutto per i contatti umani e che tenevi particolarmente a me. Perché anche se, da bravo tricheco imbranato, non t’avevo mai confessato il mio sincero interesse per te, tu l’avevi capito da subito e non aspettavi altro che ti invitassi. Mi sarei preso a schiaffi appena letta l’e-mail!
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Non ho perso tempo: t’ho chiesto il numero di telefono, ci siamo sentiti e con piacere ho constatato che il tuo dialetto è bello vivo. Anzi: forse proprio per non rompere con le tue radici, con me usi più il dialetto che l’italiano! Mi hai parlato a lungo delle difficoltà economiche dopo la perdita dell’unica fonte di introito, della solitudine in casa, delle preghiere a Dio perché ti facesse trovare un lavoro, delle foto che già avevi inviato, nei mesi che precedevano la chiusura della pompa, a varie agenzie, su suggerimento e presentazione di una tua ex compagna di scuola, ora fotografa professionista.
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Della fiducia incrollabile che da sempre hai in te stessa, del fatto che eri sicurissima che qualcuno t’avrebbe offerto un’occasione. Poi mi hai parlato della gioia nell’aver trovato questo lavoro, dove tutti ti vogliono bene, anche se parlare di denaro... è volgare e vivete in quattro in un miniappartamento che sembra un campo di battaglia! E per quanto mi riguarda... adesso eccomi qua: sono su un volo Palermo-Milano, con l’unico obiettivo di aspettarti puntuale stasera alle sette, sotto l’agenzia dove lavori, per portarti a cena e gustarmi le stupende fossette sulle guance, acchiappabaci che ti si formano quando ridi.
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Per farti morire di risate allora ho preparato una ventina di barzellette e aneddoti locali vari. T’aggiornerò sui pettegolezzi del quartiere, farò per te le imitazioni dei soggetti che ben conosci in paese. E poi, se Dio m’aiuterà, voglio vedere e adorare finalmente il resto del tuo corpo stupendo. Il viso e il tuo carattere meraviglioso, solare, positivo e bello li conosco già molto bene: sono la cosa che amo di più, di te. M’hai catturato. Scema che non sei altro!
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RDA
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natsuyuki-w · 2 years ago
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Serenitea Shop | Snow covered Kiss
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- Per me un te alla menta grazie! - Chiese Yanfei con fare cortese. - Oh no scusami oggi ho solo caf..- - AH-HA! - intervenne la sua ragazza puntandomi il dito in modo inquisitorio, le larghe maniche svasate della sua giacca dondolavano davanti alla mia faccia. Indossando poi il più malizioso dei sorrisetti commentò. - Avrei giurato di aver sentito specificatamente "Té mandorla e cannella" poco fa.-
Colta sul fatto la mia faccia inizio a tingersi di rosso per l'mbarazzo. Già, perché per quel qualcuno, il the c'era sempre. - Allora come possiamo avere questo privilegio? Diventare musicisti? Far parte della famiglia Alatus? Oppure bisogna chiamarsi Xia..- - Shhhhhhh - mi allungati a coprirle la bocca. - Oh! Tao! È ancora lì! - bisbigliai indicando nella direzione del soggetto della conversazione. - Oooh, hihihihi.- sogghignò di gusto, - sembrerebbe che ci abbia azzeccato. - La compagna dai capelli rosa si rivolse a me con tono di scuse - Non fa niente per il the e... Mi scuso a nome di Hu Tao, è più forte di lei non riesce proprio a farsi i fatti suoi. - susseguì un offeso "Hey" della fidanzata. - No ma figurati, ha ragione! - scossi la testa sconsolata. - Sono arrivata ad un livello imbarazzante... -
Gli occhi ambra furbetti della ragazza si addolcirono e con genuina curiosità chiese - Come mai non gli chiedi di uscire? È sempre qui! Sono sicura ricambi! - - Già fatto!- sospirai ripensando alla settimana prima.
~ Ormai aveva imparato a memoria quando sul menù c'era il SUO tè, e così, a furia di incontrarlo settimana dopo settimana, avevo finalmente preso coraggio. Con mano tremante mentre gli porgevo la sua tazza lo guardai diritto in quei suoi occhi color miele e gli feci la fatidica domanda. - Ci conosciamo da un po' adesso eh? Mi stavo chiedendo,... Ecco,... tu mi, piaci, molto!e quindi...sì... ti andrebbe tipo di... uscire?-
Vidi le punte delle orecchie che sporgevano dai morbidi capelli diventare sempre più rosse e il suo volto si illuminò. - Oh, eh-hem... Sì! Mi piacerebbe. G-grazie, ti apprezzo mol... APPREZZO molto, la tua offerta!? - Altrettanto estasiata feci un sorriso tanto grande da sentire male alle guance. - D-davvero? Allora, che ne dici di... domani sera? Al porto fanno bancarelle e musica. Potremmo stare lì, ballare e se c'é troppo casino prendiamo da mangiare e ci allontaniamo.- gli proposi terminando con tono consapevole del leggero disagio sociale del ragazzo. Aprì bocca per dire qualcosa ma ritirò il fiato. E quella rara solarità sul suo bel viso, sì spense.
~ -...band, lavoro, aiutare i club di scuola, andare da suo padre,... Non un giorno libero vi dico! Tralascia anche il tempo per sé e la sua salute. -Finii di raccontare alla coppia. - Quindi, per darvi una scusa di incontrarvi in giro gli porti sempre l'unica cosa che beve sul menù.- assunse correttamente Yanfei. I due frappuccino che avevano ordinato mentre raccontavo erano pronti, glieli porsi insieme alle mie scuse -Argh! Sono pessima ragazze, vi sto usando come valvola di sfogo... Perdonatemi.- - Ma di che ti scusi? Come se io non abbia fatto gli stessi drammi per Yan..- - Che drammi avresti fatto per me?- interruppe la ragazza dai capelli rosa ricordando a Hu Tao della sua presenza. - COMUNQUE, sta sera. Wangshu Inn. 22:30. - Continuò la mia amica dallo stile gotico. - Sì. Capo.- risposi facendole il verso.
Una volta tornate a casa e preparate per l'occasione ci ritrovammo a salire le scalinate di legno del peculiare edificio. Era uno tra i più belli e peculiari della zona in architettura e intrattenimento offerto. A guardare sembrava avessero impilato 3 palazzine prelevate dai quartieri di Pechino. Un'incrocio di finestre, pezzi di tetti spioventi, e balconate, tutto costellato di di luci dai toni caldi e lanterne rosse. Sembravs partorito dalla fantasia di Ayao Miyazaki. Ad ogni piano vi era qualcosa di diverso: una sala giochi, un ristorante un nightclub, e sulla cima un'osservatorio. Un'edificio rinomato di proprietà del signor Bowseichouse, fratello maggiore di Xiao, nonché, luogo di lavoro di quest'ultimo.
- Ricordami perché non abbiamo preso l'ascensore? - sbuffò Hu tao. - Queste sono gratis, i tuoi 6 mesi di palestra costano 15'000 mora. - ribattei. Arrivammo finalmente al secondo piano, una fila ad attenderci. Guardai nei vari angoli in cerca di volti famigliari alle porte e fortunatamente intravidi il ginger. - Arrivo subito. - avvisai la mia compagnia.
- Prego, entri pure. Documento per favore, ben... Oh! Hey girlie! Venuta riprendere il tempo perso oggi senza la mia compagnia? - Distolse lo sguardo dalla fila Childe. - Ma certo! Se poi nel frattempo fai passare avanti le mie amiche, tutto okay giusto? - Ridacchiando mi avvolse in un abbraccio laterale. - Ma certo! D'altronde e colpa di una mia distrazione. - scherzò facendo finta di non vedere. Allungai il braccio a richiamare la coppia e chiacchierai per un po' con il collega di Xiao. - Non è giusto! - si lamentarono ragionevolmente le ragazze in cima. - Permesso speciale! È la cognata del grande capo d'altronde.- rispose convinto il bodyguard. - Ma magari...- sospirai arruffandogli i capelli per dispetto. Dopo un breve controllo, entrammo ed immediatamente incrociai lo sguardo proprio con la mia crush. Si trovava di schiena al ragazzo ginger, nel muro interno dell'edificio. Le orecchie e guance erano rosse, ma l'espressione era quella seria di sempre.
- Buonasera Alatus. - salutò reverente Yan Fei. - Ya-hoo!- si annunciò in allegria Hu Tao. - Ciao Xiao, non sapevo fossi di turno sta sera.- sorrisi calorosamente - fino a che ora? - continuai cercando di sviare la causa del nostro comune imbarazzo. Fece un cenno alle ragazze prendendo le loro giacche e mi rivolse un sorriso prima di riporle. - Ho appena iniziato, rimango fino a chiusura. - porse loro il numero di appendiabiti e si girò di nuovo da me. - Tu tieni tutto? - . - Ah giusto! - mi tolsi goffamente le giacche. Il rossore che si era finalmente dissipato ritornò vivo anche sulle sue guance. Lui mormorò: - Stai...molto bene sta sera. - e si affrettò a recuperare gli abiti sfiorando la mia mano. - Grazie, gentilissimo. - risposi ridacchiando timidamente.
- Allora? Ci muoviamo? - arrivarono le voci zittite del resto della clientela in entrata. Mi scostai per lasciarli passare. - Ti...tu...Fino a che ora rimarrete? - balbettò affrettandosi a recuperare i vestiti dei visitatori. - Non saprei onestamente, ragaz...- e quando mi girai per chiedere notai che se ne erano andate. - Er... Penso alle 2/3, dipende dalla sopportazione di Fairy,... Er...Yan Fei.- - Non le piace? - disse riferendosi al tipo di serata che si prospettava essere. - Oh no! È brilla Hu Tao che non le piace. - risposi esausta al solo pensiero. Ridacchiò al pensiero, girandosi a riporre i vestiti ricevuti per non darlo troppo a vedere. Notai che qualcuno stava ancora per commentare sulla distrazione che stavo dando al povero Xiao, così prima che potessero aprire bocca mi avvicinai a dargli un pugnetto per salutarlo. - ti lascio alla clientela. Grazie per la chiacchierata e la giacca, buon lavoro! Lunedì ti porto il solito. - Con un espressione da cane bastonato annuì e avvicinò il braccio per ricambiare.
Mi girai per allontanarmi, ma con presa salda mi ritrovai più vicina al bancone di prima e il respiro di Xiao sul collo. Posò le labbra vicino al mio orecchio e poi sussurrò.- Ti aspetto come sempre. Divertiti. - e dopo un'ultima stretta alle nostre mani ora congiunte, si riminese all'opera. Mente sognante e piedi leggeri mi portai distrattamente all'interno del locale, e per mia fortuna, il volto famigliare di Venti mi si palesò davanti trascinandomi in pista. Childe arrivò dopo poco al fianco del ragazzo dai capelli turchesi, gli posò una mano sulla spalla e gli indicò con il mento la sala. - Vai è il tuo turno. - e con un cenno di assenso si diresse immediatamente alla postazione di sorveglianza. Prima fila sui tuoi movimenti sinuosi e spensierati e Venti scaccia "mosconi".
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accovacciarsibene · 2 years ago
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arrivo così poche volte in piazza maggiore che mi dimentico come sia bella Bologna di notte. oggi sono andata a un festival di poesia incentrato su Szymborska e ho avuto una crisi di panico per un po’ tanto che sono stata in piedi tutto il tempo (sono così abituata alle crisi di panico che riesco a stare nei luoghi senza fuggire quando ho piacere di starci e tenermi l’ansia dentro aspettando che passi). Una volta fuori mi ha accolto un bel venticello e il buio con le piccole luci gialle. Ho fatto il giro lungo perché avevo voglia di passeggiare. Mi accorgo che non c’è rabbia o disperazione per queste strade. Mi piace che posso uscire ed è tutto lì ad aspettarmi se lo voglio. Non devo combattere, non devo affannarmi contro gli altri come succede a Napoli. Qui tutto va come vuoi farlo andare
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conilsolenegliocchi · 2 years ago
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~ Arsenico ~
Le cantine possono essere posti pericolosissimi. Pieni di insidie. Specialmente se si è disordinati ed accumulatori cronici. Se non si fa attenzione si rischia di inciampare o che qualcosa, in bilico, possa cadere e colpirti. Anche metaforicamente parlando.
Avanzo perciò con la massima cautela nel caos generale, con l'intento di uscire di lì con il testo di economia che mi serve, il corpo incolume e la volontà intatta di riordinare quel porchitorio con due euro di benzina. Tra scatole e scatoloni, impilati a cavolo, ne intravedo uno con la scritta "Libri". Bingo. Pensavo peggio dai. Pesa da cani ma riesco a trascinarlo fuori dal mucchio. Quel che resta dello scotch da imballo viene via quasi spontaneamente tant'è deteriorato, con sommo gaudio del mio semipermanente fresco di estetista. Apro con la dovuta circospezione: questo scatolo è qui da tempo immemore, niente di difficile che spunti fuori qualche odiosa sorpresina zamputa. Con estremo disappunto mi rendo conto che non sono i testi scolastici che cercavo, ma libri da lettura. Eppure avevo fatto piazza pulita di questa roba decenni fa... Con svariati bps di ritardo rispetto al mio stomaco, che s'è già stretto in una morsa, il mio cervello realizza di cosa si tratta: sono "i libri". Quelli dei quali non riuscivo a separarmi. Quelli regalati, letti insieme da vicino o da lontano. Quelli con le frasi sottolineate. Quelli che fumiamoci una Philips Morris sopra. Come fa strano vederli adesso, ingialliti dal tempo e dall'umidità.
Una persona più intelligente avrebbe richiuso la scatola in un nanosecondo. Ma io, no... Per la serie "facciamoci male" ne pesco uno a caso. 1984. Ricordo e sorrido. Apro e sulla parte interna della copertina ci sono tre dediche. La sua calligrafia. "Tuo Alex" scriveva. Mio, sticazzi eh. Come fa ridere adesso, con un paio di decenni e più di senno di poi. Chissà, forse anche lui, come me, ha continuato a pensarmi e a ricordarmi, conservando gelosamente in una sorta di sancta santorum della mente tutto di noi. Allora quel "tuo" avrebbe ancora un senso, perché una parte di lui è rimasta mia. Lo porto al viso nell'assurda speranza che un po' del suo profumo sia rimasto nel libro. Ne spruzzava sempre un bel po' tra le pagine dei libri che mi spediva. Li infestava letteralmente di Paco Rabanne. Niente. Sfoglio a vuoto senza soffermarmi su niente, arrivando al retro della copertina. C'è qualcosa scritto di mio pugno stavolta: un numero di cellulare.
Si sblocca un cluster sovrascritto nel cervello e lo riconosco. Immediata sensazione di ferita da arma da fuoco al centro del petto. Lo avevo perso, perso definitivamente quando mi avevano rubato il cellulare più o meno vent'anni fa. È passato troppo tempo, cioè voglio dire, la probabilità che sia ancora il suo numero è al lumicino. Poi penso... hai visto mai... anch'io ho lo stesso numero da trent'anni. Adesso una persona intelligente avrebbe fatto finta di niente, riposto il libro nello scatolo coperto e allineato agli altri, gettata la chiave del garage nel tombino e se ne sarebbe andata buona buona a fanculo. Ma io, no no... Per la serie "facciamoci del male - seconda stagione", ho già il cellulare in mano e sto memorizzando quel numero in rubrica sotto un nome improbabile. Non contenta, vado su whatsapp e lo cerco. Visualizza contatto. Ingrandisco la foto profilo. La ferita da arma da fuoco sanguina che è una meraviglia. Lui, con berretto e occhiali da sole, oggi come allora. Le sue braccia, sempre perfette, sono coperte di tatuaggi che un tempo non c'erano. Ne aveva solo uno ai nostri tempi, che poteva arrivare a vedere solo chi era molto intimo. Chino di profilo, espressione neutra, concentrata, mentre fa, o tenta di fare, la coda ai capelli di una bambina. Indossa anche lei occhiali da sole ed ha lo stesso naso e la stessa identica bocca di lui. È bellissima. Mi assale un brivido. Ripenso a quando diceva che non si sentiva in grado di essere un padre, che era uno stronzo, che non aveva niente da dare, e invece eccolo lì. E io per questo non gli ho mai detto che, a volte, invece fantasticavo su come poteva essere una figlia nostra. Chissà perché la immaginavo sempre femmina. Forse perché le femmine, quasi sempre, patrizzano. In uno dei suoi tatuaggi, che prende quasi tutto l'avambraccio, si legge chiaramente Giada.
Chiudo la foto e mi sposto nei cosiddetti "stati", ma non mi appare nulla. O non ne pubblica o, come vuole ma regola, non li posso vedere perché non ha anche lui il mio numero memorizzato. Si forma un nodo in gola. Mi bruciano le guance per quanto mi sento ridicola ad averlo anche solo pensato. Ovvio che mi ha cancellata. Anni e anni senza un minimo accenno di contatto. Mica sono tutti patetici come me. Ovvio.
Torno indietro e mi concentro sulla frase nelle info: "Che dolore dentro me quando piove e non stai con me". Uhm, non mi suona, decisamente non è il suo modo di scrivere questo, sarà una citazione. Copio e incollo su Google: vai bello, trovala! Detto fatto: come volevasi dimostrare, la frase è tratta da una canzone.
Arsenico
"Sigarette di plastica
vodka dentro una tanica
io non so più di te (non so più di te)
... che dolore dentro me
quando piove e tu non stai con me
...cicatrici di Venere
sul mio cuore di cenere
io non so più di te (non so più di te)
ma che dolore c'è
...spilla qui le tue lacrime
non cancellare le dediche
io non so più di te (non so più di te)
ma che dolore c'è
... io non dimentico
siamo stati un oceano
stelle che poi si infrangono
sugli scogli della tua costa nuda
io non dimentico..."
Resto imbambolata per un tempo che non saprei quantificare. Il mio stomaco è un reattore nucleare. Mi si sono rizzati anche i peli dietro al collo. Nella testa tutto e niente. Se avesse avuto un display sono sicura che avrei visualizzato il messaggio "L'applicazione cervello non risponde. Memoria insufficiente per completare l'operazione richiesta. Si prega di arrestare processi e riavviare." Immagini stroboscopiche. No. Non è. Non può essere. O forse sì? Tira il freno a mano e metti a folle ciccia. Respira. Brava così. Stai solo vedendo quello che vuoi vedere. Chissà per chi è quella canzone, a chi pensava. Stupidissima me, ancora una volta.
La chat è aperta. Il cursore lampeggia al ritmo del cuore che sento rimbombarmi nelle orecchie. Che voglia di mandargli la foto della dedica dove mi chiedeva di conservare il suo libro per sempre, scrivendogli che ho mantenuto la promessa, io. Come tante altre, io. E raccontargli tutto quello che è successo dopo noi, di come la collisione con la sua vita ha cambiato irreversibilmente la traiettoria della mia. Di cosa non ho fatto nel tentativo di dimenticarlo. Quante stronzate, che hanno gettato solo acqua bollente sulle bruciature del mio cuore. Le notti a bere lacrime fino ad ubriacarmi, le risse tra me e la disperazione, la malinconia, l'orgoglio e la voglia. La voglia di mettermi in macchina, e viaggiare per ore nella notte, solo per vederlo un'ultima volta ancora. Vedere quel ghigno perverso un'ultima volta ancora. Vedere i suoi occhi scuri un'ultima volta ancora. Stringerlo a me, forte, fortissimo, respirando il suo odore un'ultima volta ancora. E poi fargli quella domanda, che da allora mi scava dentro: perché. Perché? Senza una parola, dopo tutto quel fottuto tutto che c'era stato. Senza un addio che mi liberasse. Una spiegazione, almeno una cazzo di spiegazione, pure farfugliata, me la meritavo. O forse avrei dovuto avere le palle di andarmela a prendere veramente, costringendolo a dirmela guardandomi in faccia. Io? Questo dovevo? Ma poi sarei stata uguale a tutti gli altri, a tutti gli altri che nella vita lo hanno sempre "costretto a". Epperò, ke cazz!
Mi sento tirare per le orecchie dall'orgoglio. Siamo donne o caporali? Basta così, riprendiamoci. Mi alzo e mi sento come se mi avesse investita un autobus. Rimetto il cellulare in tasca giusto un attimo prima che arrivi mio marito.
- "Hey ma ti sei persa quaggiù?".
Oh, cazzo sì. Non sai quanto. Persa completamente.
- "Hai trovato almeno il libro?"
- "Ehm... No."
- "E quello?"
Stringo il libro a me, come se volessi difenderlo, proteggerlo.
- "No, niente, un vecchio romanzo... Lo voglio rileggere"
- "Pure! non ti bastano quelli che già hai sopra?"
- "No, questo è più bello".
Lo liquido definitivamente facendo spallucce.
- "Ok. Dai lascia stare, è inutile. Ormai è andato, chissà dov'è. È una bella giornata. Ce jamm 'a pigliá nu bell café?"
Ma di che parla?!!! Ah, il libro che cercavo. Ormai è andato. Magari fosse... È sempre qui, dentro, intorno a me, ovunque mi trovo, notte, giorno, da un paio di decenni, forse più, a questa parte. Il mio pensiero fisso collaterale. L'assenza più presente mai percepita. Maledetto.
- "Eh sì, jammuncenn!".
In fondo cos'altro posso fare se non continuare ad andare avanti? Mi ripeto mentalmente. Questo ho sempre fatto, imperterrita, granitica, nessuno ha mai saputo, nessuno potrebbe immaginare cosa mi consuma dentro. La mia vita è qui e un bel caffè sicuramente mi aiuterà a togliere questo gusto amaro, questo "arsenico" dalla bocca. Peccato solo che ho smesso di fumare... adesso ci voleva proprio una cazzo di Philips Morris Blu... chissà se esistono ancora le 100's.
Penso questo, mentre camminando mi assicuro ancora una volta che il cellulare sia in tasca, al sicuro, più per quello che adesso contiene che per il resto. Non si può mai sapere. Sento gli applausi a scena aperta di tutti i miei tormenti. Eh sì. Sono un caso perso.
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lonelygirl-97 · 2 years ago
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𝑽𝒊𝒕𝒂
*la più grande ricchezza di un essere umano*
eppure ci sono persone che preferiscono perderla perché non si sentono al proprio posto, esasperati da qualcosa che li rende infelici, esasperati dai problemi, esasperati dalla loro stessa mente. Ma quant’è semplice non viverla più? Basta poco per porre fine a questo. Sto vivendo un periodo buio da un po’, ho costantemente un nodo alla gola…un peso sul petto, vivo e passo le mie giornate sperando che un giorno possa cambiare questa solita routine che mi fa stare male tutto il giorno, ma alzarsi ogni giorno e strascinarsi fino a sera è così estenuante se la cosa diventa una routine, è così “triste” che mi viene da pensare: ma se al posto mio la vita fosse stata donata ad una di quelle persone che vorrebbe davvero vivere ma non può? Quelle persone che gli rimane poco tempo ma vorrebbero averne ancora avanti. Quando penso a me stessa penso solamente agli errori, agli anni passati a quanto sono cambiata e a quanto cambierò, mi sento ripetere tutti i giorni “che ti è successo una volta non eri così”ed è vero, una volta non ero così ma sono cambiata per rispetto verso me stessa, per voler essere libera ma ho alzato troppo il gomito e sono finita in un buco nero, adesso non riesco più ad uscire da lì, continuo a vedere sbagli, in testa ho una specie di trappola, una prigione, vedo me stessa seduta nel bel mezzo di una stanza senza finestre e senza porte , vedo solo muri alti,la situazione è claustrofobica quasi e sono costretta a passare le giornate così, le descrivo così le mie sensazioni, questo è per spiegare quanto è difficile non saper andare avanti da sola, e vedere una sola via d’uscita quella che non dovresti mai vedere perché la vita va vissuta, felici, con tanti sacrifici ma FELICI, io quella felicità l’ho persa da un bel pezzo, quando ho iniziato a vedere che tutto ciò che tocco marcisce, tutto ciò che incontro lo rovino lo estirpo alla radice perché non sono più capace di vivere e quindi rovino gli altri con i miei errori, ma la cosa più brutta è vedere la sofferenza negli occhi di chi mi ha sempre amato e non poter fare nulla se non pensare “se solo non ci fossimo mai incontrati forse potevi evitarti tutto questo” “se solo non fossi mai esistita” , sono una persona orribile e ho fatto miliardi di sbagli alcuni rimediabili altri no, e continuo a farli non riesco più a fermarmi perché ormai per la mia testa è tardi per tutto, vorrei poter porre fine a tutto questo, vorrei poter vedere quel buio e quel silenzio che si vede quando chiudi gli occhi e c’è silenzio, forse sta lì la felicità o forse non c’è semplicemente nulla e se allora volessi il nulla?
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jazzluca · 1 year ago
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JHIAXUS ( Voyager ) Generations Legacy *G2*
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Per fortuna la linea Legacy, nel prepararsi a celebrare i 40 anni del marchio, ha saputo pescare e riproporre in chiave Generations anche quei Transformers un po' di nicchia, ma che sono molto amati dai fan duri e puri, come il buon JHIAXUS, nemesi principale della maxiserie a fumetti sulla G2 uscita nei primi anni '90.
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Creato ex novo per quelle storie e non basato sulla linea di giocattoli del tempo, Jhiaxus grazie a questo Voyager può finalmente vantare un'incarnazione fisica fedele, dato che i precedenti modellini omonimi di qualche anno fa erano libere interpretazioni e basate su versioni del personaggio diverse dall'originale, come lo scienziato dei fumetti IDW.
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Sempre sia lodato Furman e la sua fantasia, così come il buon Derek Yaniger che ne ha forgiato le fattezze, certo, ma è innegabile che l'aspetto del ROBOT sia davvero particolare e fuori dagli schemi, anche dopo la smussata estetica per renderlo un Generations affine ai suoi colleghi: infatti moooooolto eccentrici risultano la forma della testa così come i particolari scolpiti sulle tibie e le ali pipistrellesche ai lati di queste, ma ancor più è la colorazione a lasciare un po' interdetti, con un bianco principale bilanciato da torso, pugni, tibie e piedi gialli, ma con una testa rossa e le ali verdi ad incasinare ulteriormente l'"armocromia" complessiva.
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A questa colorazione dopo un po' ci si abitua, per fortuna, aiutata anche da un buon stampo che vede il nostro come un bel robot alto e robusto alla stregua di un Prime ( giustamente ), graziato da torso in plastica trasparente che rende la colorazione giallo oro più splendente e soprattutto un'ottima posabilità che arriva anche ai famigerati pugni che non solo ruotano ma possono anche aprirsi!
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Il nostro è esente da qualsiasi vuoto su avambracci o interno cosce vari, e se proprio vogliamo fare i puntigliosi, non sarebbe stato male se le ali potevano piegarsi alla base, giusto perchè fa più figo muoverle così le ali per le pose, ma potendo invece piegarsi a metà, almeno riducono l'ampiezza in caso di necessità infastidendo molto meno.
Posto che ha un numero di fori standard sparsi nel corpo per le armi alla maniera dei post WfC, gli accessori del nostro sono due versioni dello stesso fucile, uno rosso grande e uno più piccolo in plastica trasparente con dettagli argento, sulla forma di quelli visti perlopiù nei fumetti G2, o come li sfoggia nella copertina del numero 7, appunto.
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Tali fucili sono combinabili fra loro grazie alle spine laterali di entrambi ed al foro di quello piccolo, e manco a dirlo possono quindi sistemarsi a riposo in uno qualunque dei succitati fori sul corpo.
La TRASFORMAZIONE non è affatto male, con il petto che si solleva facendo uscire la punta del velivolo e la testa che rientra aprendo il pannello della schiena, bacino ruota e gli stinchi scivolano in su a coprir le cosce, rivelando così i reattori posteriori. Anche le ali che erano sulla parte superiore / anteriori ruotando vanno finire all'indietro, così come le braccia che si avvicinano sotto l'aereo e pure loro slittano posteriormente.
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Il JET CYBERTRONIANO si rifà come look a grandi linee al riadattamento nei fumetti moderni dell'alt mode originale del nostro Decepticon di seconda generazione preferito, dato che, così come il robot, era inventato di sana pianta e praticamente era l'hovercraft di Scourge ma con le ali pipistrellesche. Alla fine abbiamo un jet un po' più definito, con un lungo cockpit frontale ed un alettone verticale posteriore piuttosto che non la pinna / bocca di fuoco posteriore.
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A rovinare un po' il design purtroppo ci pensano le braccia del robot sistemate in un unico modulo sotto il velivolo, quasi fossero un carico attaccato appositamente sotto al jet: per quanto sia un velivolo di fantasia e quindi magari appositamente disegnato per essere così, sta di fatto che tale modulo pretestuoso ( che si vede lontano un miglio che sono due braccia di robot appaiate ) potevano renderlo più aerodinamico sfumando il contorno delle spalle.
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Certo, meglio così che non vedere gli arti come i soliti moduli sotto le ali, o forse no, diciamo che entrambe le soluzioni non sarebbero il massimo, ma, ancora, se rendevano tal "modulo" un po' meno posticcio era meglio.
Anche i colori sono strambetti nel jet, anche magari rendono meglio come disposizione, con la parte centrale bianca ed il resto giallo oro, la punta rossa e le ali verdi, tant'è, ma c'è pure il tocco di classe dell'interno dei reattori color rosso chiaro, giusto per.
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A livello di giocabilità, è un po' sprecato il vuoto sotto la cabina di pilotaggio, ma almeno sotto la punta rossa c'è un foro per armi, così come uno centrale e due laterali sopra le ali, poco accessibili però dalle armi del nostro per la forma stessa di queste, ma in qualche maniera si riesce a sistemarle. Peccato per i fori sprecati delle braccia che finiscono SOTTO e non ai lati delle stesse.
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Insomma, fondamentalmente un bel modellino, cui gli si perdonano le poche pecche della modalità alternativa, anche migliore magari nella media di altri suoi colleghi di linea ma che paga lo scotto del design fumettistico originale e di essere davvero troppo di nicchia come personaggio nella mitologia dei Transformers, anche se questo stesso giocattolo ha aiutato a farlo venire meritatamente allo scoperto.
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