#e non il posto dove sono ora
Explore tagged Tumblr posts
Text
C'era una volta un giardino
61 notes
·
View notes
Text
L'altro giorno, ero al supermercato a fare la spesa intorno alle 18:30 quando un uomo anziano è entrato nel corridoio della pasta e mi ha messo una mano sulla spalla. Ho sobbalzato. La mia prima reazione è stata quella di arrabbiarmi e chiedergli di non toccarmi. Poi ho notato qualcosa. L'uomo stava piangendo. Sembrava sconvolto e confuso.
Improvvisamente mi ha chiesto: "Sai dov’è mia moglie? La sto cercando." Gli ho risposto che non lo sapevo e gli ho suggerito di chiedere aiuto al banco informazioni per trovarla. Pensavo che l'avesse persa tra le corsie. A chi non è mai capitato? Ma mi sbagliavo.
Ha continuato a chiedere: "Dov'è mia moglie? Era proprio qui." Le lacrime gli riempivano gli occhi. Gli ho detto di nuovo che non ne ero sicura e gli ho proposto di accompagnarlo al banco del servizio clienti, dove avrebbero potuto fare un annuncio tramite gli altoparlanti. Ha accettato.
Lì, la donna al banco ha chiesto un nome. Lui mi ha guardato, come se fossi io ad avere la risposta. La donna ha alzato gli occhi al cielo e si è rivolta a me: "Signorina, ha IL NOME?" Le ho spiegato che non conoscevo quell'uomo e che non avevo più informazioni di lei. "È uno scherzo?" ha chiesto. A quel punto mi sono resa conto che quell'uomo non era semplicemente confuso, ma affetto da Alzheimer. Avendo avuto un nonno con questa condizione, lo riconoscevo fin troppo bene.
L'ho portato all'area ristoro e ci siamo seduti. Ora tremava e piangeva piano. "Dov'è il mio amore?" Gli ho preso le mani e gli ho chiesto se avesse un cellulare. Mi si spezzava il cuore per lui. Mi ha detto che non ne era sicuro, così gli ho chiesto se potevo cercare nelle sue tasche. Ha acconsentito. Con attenzione, ho trovato un piccolo cellulare a conchiglia. Ho cercato tra i contatti e ne ho trovato uno chiamato "Figlia Krissy". L'ho chiamata subito. Ha risposto in pochi secondi.
"Pronto?" ha detto, con la voce già preoccupata. Le ho spiegato che ero con un uomo anziano che presumibilmente era suo padre. Che eravamo al supermercato di Lane Street e che lui era molto sconvolto e turbato.
"Sto arrivando," ha detto. "Puoi assicurarti che non si allontani?" Ha continuato: "Grazie, grazie mille. Sto venendo."
Per circa 20 minuti, sono rimasta seduta con uno sconosciuto in lacrime. Gli ho tenuto le mani. Gli ho asciugato le lacrime. Quando ha tremato, gli ho messo la mia giacca in grembo. Gli ho dato le risposte di cui aveva bisogno in quel momento. L'ho tenuto lontano dal vagare. Perché era il minimo che potessi fare.
Improvvisamente, è entrata una giovane donna alta, che sembrava avere circa 28 o 29 anni. Lunghi capelli neri e occhi verdi. Ci siamo scambiati uno sguardo e lei si è precipitata verso di noi. "Grazie. GRAZIE," ha detto. "Dovevo assentarmi solo per un'ora, e questo succede. Sapevo che non avrei dovuto lasciarlo. Mi dispiace tanto." Mi ha spiegato che a volte lui si allontana per cercare sua moglie. L'ha persa 13 anni fa, ma non smette mai di cercarla.
Ha aiutato suo padre ad alzarsi dalla sedia e mi ha ringraziato ancora una volta. Mentre uscivano, l'ho sentito dire di nuovo: "Dov'è mia moglie?" Mi si è stretto il cuore, ma ero così felice di vederlo con la sua famiglia di nuovo.
Condivido questa storia non solo perché quest'uomo mi ha toccato il cuore, ma per dire questo: La maggior parte del mondo sono estranei per te. Lo so. Ma non dimenticare mai che condividiamo tutti questo mondo e, in esso, possiamo condividere gentilezza. È l'unica cosa che può farci andare avanti. Se vedi qualcosa, fai qualcosa. Non sai mai quanto grande può essere il tuo impatto sulla vita di qualcun altro.
Non mi importa che il carrello della spesa che avevo lasciato nel corridoio della pasta durante il trambusto sia stato svuotato e messo a posto. Non mi importa di aver cenato un po' più tardi quella sera. Di essere tornata a casa e di aver pianto in cucina per questo dolce, povero uomo. La gentilezza non costa nulla.
108 notes
·
View notes
Text
Prima di morire a 40 anni di cancro allo stomaco, la designer e autrice di fama mondiale "Crisda Rodríguez" ha scritto:
1. Avevo l'auto più costosa del mondo nel mio garage, ma ora devo usare la sedia a rotelle.
2. Nella mia casa ci sono vestiti di ogni tipo di marca, scarpe e oggetti di valore, ma ora il mio corpo è avvolto in un piccolo panno fornito dall'ospedale.
3. ho un sacco di soldi in banca ma ora non ne sto traendo vantaggio.
4. La mia casa era come un castello, ma ora dormo su due letti in ospedale.
5. Dall'hotel a cinque stelle ad ora trascorrere il tempo in ospedale passando da clinica a clinica
6. Ho fatto autografi a centinaia di persone ma questa volta le cartelle mediche sono la mia firma.
7. Sono stato da sette barbieri per farmi i capelli, ma ora - non ho un capello in testa.
8. Con un jet privato posso volare ovunque, ma ora ho bisogno di due assistenti per arrivare al cancello dell'ospedale.
9. Anche se ci sono molti cibi, ora la mia dieta è di due compresse al giorno e qualche goccia di acqua salata la sera.
10. Questa casa, questa macchina, quest'aereo, questi mobili, questa banca, la fama e la gloria, nessuno di questi mi è utile. Niente di tutto questo mi rilassa. "Non c'è niente di reale tranne la morte. "
In fin dei conti la cosa più importante è la salute
Sii felice di quanto poco o tanto hai mentre sei in salute, avere un piatto da mangiare, un posto dove dormire è avere tutto.
NON TI MANCA NIENTE.
Vincent Giocoliere
Repost Dignità&Rispetto
75 notes
·
View notes
Text
In questo periodo sto passando molte notti fuori e lontano da casa per lavoro. Le trasferte mi sono sempre piaciute, ma ultimamente sto incassando il colpo e ci arrivo stanca. Gli alberghi sono sempre dignitosi. Mai belli, ma puliti e spesso con i balconcini. La sera è bello tornare in una stanza in cui tutto è a posto; il bagno è pulito, il letto è rifatto, il posacenere è svuotato e le scarpe sempre allineate al muro. Io, che le scarpe le butto dove capita, gioisco sempre e penso che una volta a casa devo iniziare a metterle così. Mi godo la sensazione, per qualche giorno, di non dover occuparmi di niente, nemmeno dei pasti. Altre persone lo fanno per me e mi sta bene. Una sensazione nuova per una che ha mania di controllo. Sto facendo progressi, penso. Stare in terapia da cinque anni mi ha aiutato, penso.
Mi metto seduta per terra in balcone e fumo. E penso che l’anno scorso ero sempre in questa città lontana, mentre mia nonna aveva un ictus che l’avrebbe portata lentamente via da me in cinque mesi. Penso che da allora le trasferte le vivo con un senso di angoscia sotto traccia. Penso di non aver avuto l’occasione di vederla lucida perché ero in un posto lontano da casa a lasciare che altre persone si prendevano cura di me. E penso, come ovvio che sia, a tutto il non detto, a tutte le occasioni mancate, alle strade percorse e quelle abbandonate, al tempo che passa inesorabile, ai quarantacinque anni che si avvicinano. E penso che una figlia me la meritavo. Il pensiero di maternità sempre rifuggito perché troppo voluto mi attanaglia ora che, pur volendo, madre non posso essere più. E sì, una figlia me la meritavo proprio.
107 notes
·
View notes
Text
Molti dei Millennial sono cresciuti sotto l’effetto di strategie fallimentari di educazione famigliare.
Per esempio, è sempre stato detto loro che erano speciali, che potevano avere tutto quello che volevano dalla vita solo perché lo volevano.
Quindi qualcuno ha avuto un posto nella squadra dei pulcini non perché fosse un talento, ma solo perché i genitori hanno insistito con l’allenatore.
Oppure sono entrati in classi avanzate non perché se lo meritassero ma perché i genitori si erano lamentati con la scuola, per non parlare di coloro che hanno passato gli esami non perché se lo meritassero ma perché gli insegnanti erano stanchi di avere rogne dai genitori.
Ad alcuni hanno dato medaglie di partecipazione per essere arrivati ultimi, una bella medaglia affinché nessuno si dispiaccia.
La scienza comportamentale non ha dubbi: è una svalutazione della medaglia e dei riconoscimenti di chi lavora duramente per ottenere un buon risultato, inoltre fa sentire anche in imbarazzo chi arriva ultimo perché, se ha un minimo di dignità, sa che non se l’è davvero meritata quella medaglia.
Così queste persone sono cresciute con l’illusione che, anche senza sforzarsi troppo, è possibile farcela in qualunque settore.
Allora finiscono l’università, magari a pieni voti e pretendono immediatamente che un tappeto rosso si srotoli sotto i loro piedi, invece sono gettati nel mondo reale e in un istante scoprono che non sono per niente speciali voto o non voto, che i genitori non gli possono fare avere un buon posto di lavoro e figuriamoci una promozione, che se arrivi ultimo non ti danno niente, anzi rischi il licenziamento e, guarda un po’, non ottieni qualcosa solo perché semplicemente lo vuoi.
Non voglio fare ironia, credetemi, né tanto meno sorridere, la faccenda è davvero delicata poiché quando questa persona prende coscienza reale dalla situazione in cui si trova è un momento cruciale perché in un attimo, nell’istante preciso in cui concepisce la verità, l’idea che ha di se stessa va letteralmente in frantumi.
È questo anche il momento in cui si attacca alla sua fonte primaria di dopamina: i social network.
Ciò ci porta ad un altro problema : la tecnologia.
I Millennial sono cresciuti in un mondo fatto di Tik Tok, di Instagram ed altri social, dove siamo bravi a mettere filtri alle cose.
In cui siamo un po’ tutti fuoriclasse a mostrare alla gente che la nostra vita è magnifica: tutti in viaggio ad Ibiza, tutti al ristorante stellato, tutti felici e pimpanti anche se invece siamo tristi e depressi.
Ho letto un’interessante ricerca scientifica, che in sintesi dice che ogni qual volta che riceviamo una notifica sullo smartphone, un messaggio o quant’altro, nel nostro cervello viene rilasciata una bella scarica di dopamina (una sostanza che dà piacere).
Ecco perché quando riceviamo un messaggio è una bella sensazione oppure se da qualche ora non si illumina il cellulare, alcuna notifica, né un messaggio, iniziamo a vedere se per caso non è accaduto qualcosa di catastrofico.
Allo stesso modo andiamo tutti in stress se sentiamo il suono di una notifica e passano più di tre minuti senza che riusciamo a vedere di cosa si tratta.
È successo a tutti, ti senti un po’ giù, un po’ solo, e allora mandi messaggi a gente che forse nemmeno sapevi di avere in rubrica.
Perché è una bella sensazione quando ti rispondono, vero?
È per questo che amiamo così tanto i like, i fan, i follower.
Ho conosciuto un ragazzo che aveva sui 15 anni che mi spiegava quanto tra loro si discriminassero le persone in base ai follower su Instagram!
Così se il tuo Instagram cresce poco vai nel panico e ti chiedi: “Cosa è successo, ho fatto qualcosa di sbagliato?
Non piaccio più?”
Pensa che trauma per questi ragazzi quando qualcuno gli toglie l’amicizia o smette di seguirli!
La verità, e questa cosa riguarda tutti noi, è che quando arriva un messaggio/notifica riceviamo una bella botta di dopamina.
Ecco perché, come dicono le statistiche, ognuno di noi consulta più di 200 volte al giorno il proprio cellulare.
La dopamina è la stessa identica sostanza che ci fa stare bene e crea dipendenza quando si fuma, quando si beve o quando si scommette.
Il paradosso è che abbiamo veri limiti di età per fumare, per scommettere e per bere alcolici, ma niente limiti di età per i cellulari che regaliamo a ragazzini di pochi anni di età (già a 7 o 8 anni se non a meno).
È come aprire lo scaffale dei liquori e dire ai nostri figli adolescenti: “Ehi, se ti senti giù per questo tuo essere adolescente, fatti un bel sorso di vodka!
In sostanza, se ci pensate, è proprio questo che succede: un’intera generazione che ha accesso, durante un periodo di alto stress come l’adolescenza, ad un intorpidimento che crea dipendenza da sostanze chimiche attraverso i cellulari.
I cellulari, da cosa utile, diventano facilmente, con i social network, una vera e propria dipendenza, così forte che non riguarda solo i Millennials ma ormai tutti noi.
Quando si è molto giovani l’unica approvazione che serve è quella dei genitori, ma durante l’adolescenza passiamo ad aver bisogno dell’approvazione dei nostri pari.
Molto frustrante per i nostri genitori, molto importante per noi, perché ci permette di acculturarci fuori dal circolo famigliare e in un contesto più ampio.
È un periodo molto stressante e ansioso e dovremmo imparare a fidarci dei nostri amici.
È proprio in questo delicato periodo che alcuni scoprono l’alcol o il fumo o peggio le droghe, e sono queste botte di dopamina che li aiutano ad affrontare lo stress e l’ansia dell’adolescenza.
Purtroppo questo crea un condizionamento nel loro cervello e per il resto della loro vita quando saranno sottoposti a stress, non si rivolgeranno ad una persona, ma alla bottiglia, alla sigaretta o peggio, alle droghe.
Ciò che sta succedendo è che lasciando ai ragazzi, anche più piccoli, accesso incontrollato a smartphone e social network, spacciatori tecnologici di dopamina, il loro cervello rimane condizionato, ed invecchiando troppi di essi non sanno come creare relazioni profonde e significative.
In diverse interviste questi ragazzi hanno apertamente dichiarato che molte delle loro amicizie sono solo superficiali, ammettendo di non fidarsi abbastanza dei loro amici.
Ci si divertono, ma sanno che i loro amici spariranno se arriva qualcosa di meglio.
Per questo non ci sono vere e proprie relazioni profonde poiché queste persone non allenano le capacità necessarie, e ancora peggio, non hanno i meccanismi di difesa dallo stress.
Questo è il problema più grave perché quando nelle loro vite sono sottoposti a stress non si rivolgono a delle persone ma ad un dispositivo.
Ora, attenzione, non voglio minimamente demonizzare né gli smartphone né tantomeno i social network, che ritengo essere una grande opportunità, ma queste cose vanno bilanciate.
D’altro canto un bicchiere di vino non fa male a nessuno, troppo alcol invece sì.
Anche scommettere è divertente, ma scommettere troppo è pericoloso.
Allo stesso modo non c’è niente di male nei social media e nei cellulari, il problema è sempre nello squilibrio.
Cosa vuol dire squilibrio?
Ecco un esempio: se sei a cena con i tuoi amici e stai inviando messaggi a qualcuno, stai controllando le notifiche Instagram, hai un problema, questo è un palese sintomo di una dipendenza, e come tutte le dipendenze col tempo può farti male peggiorare la tua vita.
Il problema è che lotti contro l’impazienza di sapere se là fuori è successo qualcosa e questa cosa ci porta inevitabilmente ad un altro problema.
Siamo cresciuti in un mondo di gratificazioni istantanee.
Vuoi comprare qualcosa?
Vai su Amazon e il giorno dopo arriva.
Vuoi vedere un film?
Ti logghi e lo guardi, non devi aspettare la sera o un giorno preciso.
Tutto ciò che vuoi lo puoi avere subito, ma di certo non puoi avere subito cose come le gratificazioni sul lavoro o la stabilità di una relazione, per queste non c’è una bella App, anche se alcune delle più gettonate te lo fanno pensare!
Sono invece processi lenti, a volte oscuri ed incasinati.
Anche io ho spesso a che fare con questi coetanei idealisti, volenterosi ed intelligenti, magari da poco laureati, sono al lavoro, mi avvicino e chiedo:
“Come va?”
e loro: “Credo che mi licenzierò!”
ed io: “E perché mai?”
e loro: “Non sto lasciando un segno…”
ed io: “Ma sei qui da soli otto mesi!”
È come se fossero ai piedi di una montagna, concentrati così tanto sulla cima da non vedere la montagna stessa!
Quello che questa generazione deve imparare è la pazienza, che le cose che sono davvero importanti come l’amore, la gratificazione sul lavoro, la felicità, le relazioni, la sicurezza in se stessi, per tutte queste cose ci vuole tempo, il percorso completo è arduo e lungo.
Qualche volta devi imparare a chiedere aiuto per poi imparare quelle abilità fondamentali affinché tu possa farcela, altrimenti inevitabilmente cadrai dalla montagna.
Per questo sempre più ragazzi lasciano la scuola o la abbandonano per depressione, oppure, come vedo spesso accadere, si accontenteranno di una mediocre sufficienza.
Come va il tuo lavoro? Abbastanza bene…
Come va con la ragazza? Abbastanza bene.
Ad aggravare tutto questo ci si mette anche l’ambiente, di cui tutti noi ne facciamo parte.
Prendiamo questo gruppo di giovani ragazzi i cui genitori, la tecnologia e l’impazienza li hanno illusi che la vita fosse banalmente semplice e di conseguenza gliel’hanno resa inutilmente difficile!
Prendiamoli e mettiamoli in un ambiente di lavoro nel quale si dà più importanza ai numeri che alle persone, alle performance invece che alle relazioni interpersonali.
Ambienti aziendali che non aiutano questi ragazzi a sviluppare e migliorare la fiducia in se stessi e la capacità di cooperazione, che non li aiuta a superare le sfide.
Un ambiente che non li aiuta neanche a superare il bisogno di gratificazione immediata poiché, spesso, sono proprio i datori di lavoro a volere risultati immediati da chi ha appena iniziato.
Nessuno insegna loro la gioia per la soddisfazione che ottieni quando lavori duramente e non per un mese o due, ma per un lungo periodo di tempo per raggiungere il tuo obiettivo.
Questi ragazzi hanno avuto sfortuna ad avere genitori troppo accondiscendenti, la sfortuna di non capire che c’è il tempo della semina e poi quello del raccolto.
Ragazzi che sono cresciuti con l’aberrazione delle gratificazioni immediate, e quando vanno all’università e si laureano continuano a pensare che tutto gli sia loro dovuto solo perché si sono laureati a pieni voti.
Cosicché quando entrano nel mondo del lavoro dopo poco dobbiamo raccoglierne i cocci.
In tutta questa storia, sono convinto che tutti abbiamo una colpa, ma che soprattutto tutti noi possiamo fare qualcosa di più impegnandoci a capire come aiutare queste persone a costruire oggi la loro sicurezza e le loro abilità sociali, la cui mancanza rende la vita di questi giovani inutilmente infelice e inutilmente complicata.
339 notes
·
View notes
Text
Leccami dappertutto
Adoro essere leccata a lungo ovunque; desiderata ma assolutamente sottomessa. Semplicemente: amo obbedire all’amore e all’amante che mi coglie. Ti faccio tutto quello che mi ordini. Se solo intuisco che un uomo che mi piace mi vuole, gli faccio capire subito e senza equivoci che ci sto e di sicuro finiamo a letto entro un’ora. Lo so: sono una vera e propria troia. Ma sono una troia fondamentalmente stupida: non mi faccio neppure pagare!
Mi porti via con una conversazione intelligente, un gelato, un giro in macchina, un capo di lingerie neanche troppo costoso o un pezzo di bigiotteria economica. Sono una scema. Ma sono molto generosa. Amo e ho un bisogno fisico di giocare con la lingua. E di sentirne spesso una che mi percorra, che mi dia i brividi della passione. Ho una necessità quasi biologica di leccare un uomo o una donna, di inghiottire i suoi umori e sentire il suo corpo che gode, che viene grazie a me. E inghiottire ciò che produrrà per la mia gola. Il gusto è normalmente un po' sottovalutato, invece anch’esso è gran parte del sesso.
Inghiotto senza sprecare una goccia. Mio marito non sospetta nulla: lui è davvero un angelo. Mi mantiene come una principessa e mi porta sul palmo della sua mano. Non meriterebbe certo una puttana come me, al suo fianco. Non gli ho neppure dato dei figli, né ho alcuna intenzione di farlo in futuro. Spesso lui mi guarda a lungo, mi scruta, mi osserva e infine mi dice che potrei avere qualsiasi uomo o qualsiasi donna, tanto sono bella ai suoi occhi. Che gli brillano d’amore e gratitudine, mentre lo dice. Io abbasso il viso e arrossisco. Lui pensa che io sia una donna timida e pura. Quanto mi adora.
Fondamentalmente è un uomo molto buono: è solo contento che l’abbia sposato e che abbia quindi scelto volontariamente di essergli fedele, di rispettare il sacro vincolo matrimoniale. Poveretto: sapesse! Però lo tratto bene e non gli faccio mancare dei bei pranzetti e una casa accogliente e pulita. Lui ha oltre venti anni più di me e l’ho sposato in fretta e furia, per uscire da casa il prima possibile.
Mamma m’ha sempre odiata: lei non è riuscita a tenersi papà e io gliene ho sempre fatto una colpa. Ogni giorno. Eppure in qualche modo ha saputo accalappiare il suo secondo marito: un dottore. Anche lui come mio marito è una persona generosa e dalle mille risorse. E con un bel fisico. Da appena sposati, io - neppure quattordicenne - ho iniziato a stuzzicarlo. Ma lui, da uomo saggio e timorato di Dio, ha sempre accuratamente evitato e m’ha ogni volta rimproverato bonariamente. Scuotendo la testa, davanti alla mia esuberanza adolescenziale.
Però era ed è pur sempre un uomo sano. Con tutti gli ormoni e i desideri al loro posto. Man mano che andavamo avanti, mamma lo trascurava sempre di più. Io invece sbocciavo rigogliosa e gli ero sempre meno indifferente. Me ne accorgevo da tanti piccoli particolari. Dal fatto che se prima mi sfuggiva, da un certo punto in poi ha iniziato invece a volermi stare intorno, a scherzare con me. Di continuo. Una mattina, dopo l’ennesimo litigio con mamma, ho deciso che l’avrei resa cornuta.
Se lo meritava e io mi sentivo potente, sessualmente irresistibile. Ho finto di prepararmi e poi di uscire per andare a scuola. Ma quando lei è uscita a sua volta per andare a lavorare nell’azienda dove in quel periodo prestava opera come consulente informatica, sono tornata a casa. Il mio patrigno era al piano di sotto, nel suo studio medico a visitare pazienti. E io di sopra a preparare la trappola.
A ora di pranzo mi ha trovata a casa; era sorpreso, ma piacevolmente. Ed era anche molto imbarazzato, ma comunque si trovava oggettivamente in una situazione da sogno per qualsiasi uomo: infatti gli ho fatto trovare due fili di spaghetti, un po’ di insalata e dei pezzetti di speck e formaggio. Un pranzo leggero, che gli ho servito truccata perfettamente e profumata. Indossando ciabattine con la zeppa, una sottoveste a mezza coscia velata, leggerissima. Completamente trasparente e... tutta aperta sul davanti!
Ovviamente, sotto ero completamente nuda! A diciassette anni le mie mammelle erano di marmo e il culo una “O” di Giotto. La fica poi era completamente depilata. Muovendo strategicamente le gambe e i fianchi, le mie grandi labbra si aprivano spesso, davanti a lui. Non parlava. Era ipnotizzato. Io ero talmente eccitata che oltre al profumo, egli ogni tanto sicuramente sentiva un refolo del mio odore inguinale intimo e del sudore delle mie ascelle. Una dolcissima tortura, irresistibile per chiunque..
Stava diventando pazzo, lo potevo vedere chiaramente. Mangiava, masticava ma non poteva togliermi gli occhi di dosso. Non riusciva proprio a dirmi di andare a rivestirmi. Finito che lui ebbe di bere un robusto bicchiere di vino rosso, sono andata a sedermi in grembo a lui. Gli ho gettato le braccia al collo e facendo l’espressione più bambinesca e innocente possibile gli ho stampato dei baci sulle guance. Gli sorridevo, l’accarezzavo, gli prendevo le mani: me le mettevo una tra le cosce leggermene allargate e l’altra sotto le natiche semiaperte!
Non poté fare a meno di iniziare a frugarmi la passera e l’ano. Non avrebbe resistito un santo. Era arrapato da impazzire: ogni tanto gli toccavo la patta e la cosa mi era chiarissima. D’un tratto si risolse: mi prese in braccio e mi mise sul divano in sala. Però in sostanza si limitò a leccarmi da morire ovunque. Partì col collo: mi divorava e mi ricopriva di saliva. Poi passò al seno e ci lavorò a lungo. Mi succhiò i capezzoli godendo come un maiale, il dottore.
Infine, si decise al passo più importante: leccarmi la passera e l’ano. Mi fece venire più volte. Gli ricoprii tutta la testa del mio prezioso miele. Scherzando scherzando, pian piano gli sbottonai i calzoni e glielo presi in bocca. Però dopo tre o quattro pompate lui si ritrasse e disse: “No, tesoro mio.... non possiamo. Basta, per favore. Mi farai morire.”
S’erano fatte le tre e mezza del pomeriggio, per cui si lavò e tornò nello studio. La serata e i due giorni successivi passarono come se nulla fosse successo. Solo occhiate più o meno esplicite e sorrisi imbarazzati. Ma la terza notte però alle due, mentre mamma ronfava stanca morta, mi si infilò dentro al letto, col profilattico già calzato. Mi mise una mano sulla bocca, mi pregò di fare silenzio e mi disse che non ce la faceva più. M’allargò le cosce e mi scopò. Dieci minuti, non di più. Io lo assecondai e godetti.
Ma mi sforzai di restare impassibile e di non gemere. Non dissi nulla. Venne e subito dopo se ne scappò, come un ladro. Al mattino, imbarazzatissimo, mi chiese scusa: che non avrebbe dovuto, mi pregava di dimenticare, non si può proprio fare etc. Col kaiser: ce l’avevo in pugno, ormai. Però non dovetti neppure faticare: da subito iniziò a volermi scopare ogni volta che avevamo un’ora di tempo libero insieme e che mamma non c’era.
Purtroppo, noi donne abbiamo antenne sensibilissime e mia madre quindi scoprì quasi subito la cosa. Avrebbe voluto uccidermi, o come alternativa allontanarmi per sempre “per farmi fare in strada la puttana che ero” disse. Per non far scoppiare uno scandalo però, sopportò tutto per un breve periodo. Anche perché il mio patrigno era molto preoccupato, mortificato e si mise di impegno a lavorare per me.
Egli riuscì in due mesi soltanto a trovarmi un marito: riuscì a convincere questo suo buon amico d’infanzia ancora scapolo, che accettò subito di sposarmi: non mi potevo opporre. Né lo avrei voluto. Qualsiasi cosa, pur di andarmene. Al futuro sposo non sembrava neppure vero! Avevo meno di diciotto anni e lui oltre quaranta. Non era e non è certo un’aquila; né ha un fisico da fotomodello. Però è un brav’uomo. In sostanza, una buona sistemazione, per me.
Meglio della strada su cui mia madre m’avrebbe buttato immediatamente, dopo avermi scoperta rientrando prima del previsto nel suo letto matrimoniale, col suo uomo ben piantato nel mio culo mentre io gli gridavo: “dai, fottimi. Vieni, sborra, rendiamo super cornuta mamma. Muovitiiii...” E allora eccomi qui. Mi piace troppo fare sesso. Ultimamente sono anche costretta a usare una crema lenitiva e rinfrescante per le parti intime, visto che faccio sesso due o anche più volte al giorno.
Posso farlo senza problemi: è il vantaggio di vivere in una grande città e di saper giostrare con internet. Due o più volte al giorno non contando le esigenze di mio marito. Abbastanza diradate durante il mese, invero. E soprattutto io succhio, lecco, ingoio avidissima e raggiungo l’estasi massima quando un uomo mi sborra in gola. Mi faccio succhiare, leccare e lascio anche che la saliva e gli odori dei miei amanti sul mio corpo eccitino il mio coniuge a letto: lui mi dice che ama il fatto che io abbia un odore così mutevole. Non capisce come questo sia possibile. Mi dice che vengo da un altro pianeta, ma si eccita. E mi scopa. Poi finalmente posso farmi una bella doccia.
RDA
26 notes
·
View notes
Text
- Queste scarpe mi uccidono….., dico con una smorfia mentre mi lascio cadere sul divano e ne sfilo una….
Siamo di ritorno dal matrimonio di mia nipote. Ovviamente, come nonna della sposa, sono stata particolarmente attenta a presentarmi elegante e a posto, sapendo che avrei avuto con il resto della famiglia gli occhi addosso degli altri invitati.
Ma forse alla mia età non posso più permettermi di tenere i tacchi alti per tante ore….
- Vu….vuoi che ti aiuti, nonna?
A parlare è mio nipote, l’altro, il maschio, più piccolo di sua sorella la sposa. È lui che mi ha riaccompagnato a casa. Ci siamo divisi in più auto dopo la cerimonia e Marco mi ha fatto da autista. Sotto casa, gli ho detto di salire con me. Sembrava contento.
Adesso, quella frase mi ha un po’ sorpreso. Lo guardo. È arrossito. Però non so che dire, è una offerta così dolce….
Si inginocchia davanti il divano. Sfila una scarpa con delicatezza. Prende il mio piede tra le mani. Comincia a massaggiarlo. Sono ancora più stupita, ma devo ammettere che era proprio ciò che mi ci voleva…..
- A…a…anche l’altra, nonna?
Non rispondo, ma gli porgo il piede. Sfila anche l’altra scarpa. Le sue dita mi massaggiano i piedi. Avvolgono i talloni. Passano delicatamente sotto la pianta. Inarco il piedino. Massaggia, o dovrei dire piuttosto accarezza, le dita.
Mi sfugge un gemito. - Sei bravo….
Il massaggio è ancora più intenso. E me lo godo. Avvolge con le dita la caviglia, pressa nei punti giusti. È tutto intento nel suo lavoro, lo guardo ma tiene il capo chino, non lo solleva nemmeno verso di me.
- Ma dove hai imparato?, dico ridendo.
Mi sembra che inghiotta a vuoto. - V..vu…vuoi che smetta, nonna?
- oh no, assolutamente, rispondo e inarco ancora i piedini.
- Ha…hai dei piedi bellissimi, nonna….
Che dolce complimento. Da mio nipote, ma pur sempre un complimento, e per una vecchia signora….
- Lo pensi davvero o lo dici solo per fare contenta tua nonna?
Che perfida che sei, così lo metti in imbarazzo, il cucciolo.
Ma lui continua, quelle dita, quello sfiorare delicatamente, ora la monta, ora la pianta dei miei piedini, mmm, non riesco a non pensare a quanto siano sensuali quelle carezze. Cosa mi sta succedendo?
- Si, lo p…pp…penso….
-Grazie Marco, quelle scarpe sono eleganti, ma così strette……
Mi sfugge ancora un gemito, quando Marco prende un piede fra le mani e lo porta alle labbra, e le poggia sopra, per un bacio.
O forse sono stata io a spingere il mio piede verso la sua bocca, fino a premerlo sulle sue labbra….
Che importa. Adesso è la pianta, poggiata sul suo viso, che lui bacia. E poi le dita. E poi di nuovo la monta, e la caviglia, risalendo, finché non è la punta della sua lingua che sento attraverso le calze sulla pelle e lui che comincia a leccare piano la gamba….
Potrei fermarlo, certo, allontanarlo, tirare indietro le gambe, sgridarlo…..Invece poggio l’altro piede sulla sua guancia e lo uso per accarezzargli il viso….
- N…no…nonna, hai delle c..ca….calze bellissime, mormora in un sussurro, senza smettere di baciarmi e leccarmi le gambe.
- Davvero ti piacciono le mie calze, amore?, gli dico mettendo una mano sulla sua testa, le dita fra i capelli.
- e….la …riga…., sussurra ancora. Quelle scarpe, con quei piccolissimi pompon, che sapevo avrebbero guidato gli occhi sulla riga delle mie calze….non ho fatto male a metterle, proprio no….
La sua bocca è risalita, mi bacia sulle ginocchia, ora. Si ferma. Solleva finalmente il viso. I nostri occhi finalmente si incrociano.
- s…scu…scusa, nonna. Ho perso la testa…., lo dice strozzato, quasi un singhiozzo.
- Tu solo?, è la mia risposta. Con le dita laccate stringo il suo viso fra le mani. E, dolcemente lo attiro verso il mio grembo. Lo guido a continuare e baciare e leccarmi le calze, mentre allargo le gambe e lo attiro in mezzo alle mie cosce.
Quando le sue labbra arrivano a sfiorare le mutandine di pizzo, emetto un gemito più forte degli altri e un incontrollato riflesso mi fa stringere le cosce sul suo viso. Le sue labbra sentiranno le mutandine bagnate.
Stamattina le ho indossate sopra il reggicalze. Sarà facile farmele sfilare per poi farmelo su questo divano.
28 notes
·
View notes
Text
È da un paio di mesi che faccio lezione di italiano a un ragazzo una volta alla settimana.
Avevo intuito che questo ragazzo fosse abbastanza ricco perché: 1. È giapponese ma ha fatto le superiori in UK (e non è una roba normale qui) 2. Vuole migliorare l'italiano perché mi ha detto che vuole aprire un business in Italia 3. I suoi hanno un'azienda e lui "lavora" lì.
Fin qui okay, cioè ci sembrava che fosse ricco però insomma ricco come potrebbe essere ricco uno che ha un'attività media (che so, una concessionaria, un negozio di immobili ecc).
Sabato ci vediamo per l'ennesima lezione e mi dice che prenota una stanza dove possiamo parlare liberamente. E io pensavo fosse tipo una sala di una biblioteca pubblica, una cosa del genere. Arrivo in stazione e mi viene a prendere e mi fa entrare in un palazzone gigante che pare più un albergo 5 stelle. Penso:"Ma dove cazzo mi sta portando?". Entriamo in questa sala molto bella con delle riproduzioni di quadri, un tavolo gigante e delle sedie comode.
Gli chiedo:"Come fatto a conoscere questo posto?" Mi fa:"Ah io abito qua"..
AH.
Facciamo conversazione come sempre, poi alla fine gli dico:"Ah comunque Mercoledì non ci sono perché vado ad un concerto"
Lui:"Ah sì? Chi vai a vedere?"
Io:"Ah non so se lo conosci, si chiama Miyavi"
(Ora per favore prima di continuare andate un attimo a leggere chi è Miyavi e fatevi una stima di quanto è famoso e quanti fan può avere in tutto il globo. Poi continuate a leggere questo post).
Lui risponde:"Ah sì certo che lo conosco! Abita anche lui qui. È mio vicino. Siamo sullo stesso ascensore!"
...
...
...
#sono passati quasi 2 giorni e io sono ancora SCONVOLTA#1. io immaginavo che questo fosse ricco ma non COSÌ TANTO RICCO#2. sono entrata nel palazzo dove ABITA uno dei miei ARTISTI GIAPPONESI PREFERITI#3. io avrei potuto incontrarlo FACCIA A FACCIA IN QUALSIASI MOMENTO#4. quante probabilità c'erano su TUTTA LA POPOLAZIONE DI TOKYO che io venissi in contatto col VICINO DI MIYAVI????#raga io non ci posso credere#io questo studentello me lo devo tenere stretto anzi STRETTISSIMO#non succede niente ma se succede qualcosa questo mi può spalancare porte e PORTONI#sono uscita da quella stanza che stavo per perdere l'equilibrio mentre camminavo tanto mi sentivo frastornata dalla cosa#my life in tokyo
27 notes
·
View notes
Text
Valerio è morto da otto giorni, un’ora e dieci minuti. Cinque secondo i medici, ma io ero proprio lì e l’ho visto il suo cuore smettere di battere. Valerio è nato in un ospedale di Napoli ed è morto al policlinico di Modena. Della sua vita rimangono impressioni, la solidità con la quale s’era aggrappato al mio cuore, ed io al suo. Continuo a dirmi che passerà anche questa, che arriverà la pace ed afferrerò il telefono per chiamarlo, per immaginarmi sulla sua pelle, incastrata tra i peli del suo petto. Non succederà mai più.
Sono a Berlino da quarantotto ore. Sono partita senza avere un posto dove stare - lo avevo, ma non sapevo come accedervi - sono arrivata in aeroporto ed ho prenotato una stanza. La mattina dopo mi sono svegliata ed ancora non sapevo come avrei fatto. Poi ho fatto tutto.
Meno di un’ora fa ero ad Alexanderplatz. Incantata dalle luci e dalle persone, mi ero seduta su una panchina a fumare una sigaretta. Un ragazzo indiano mi ha teneramente rivolto la parola, è stato gentile. Ora sono sul balcone del mio nuovo e temporaneo appartamento a Frankfurter a chiedermi chi sono. Sono quella che va in giro per una città sconosciuta da sola, che ordina una zuppa in un ristorante vietnamita, che prende un aereo senza sapere dove dormire. Sono la donna che teneva la mano di Valerio mentre moriva, che ha tenuto la mano di Valerio le altre volte che era in coma, che per due volte lo ha risvegliato quando sembrava impossibile. Sono una persona minuscola che non ha saputo imporre ai suoi familiari di non firmare contro l’accanimento terapeutico, ben consapevole che Valerio volesse vivere. Un po’ meno consapevole dell’entità del dolore che gli abbiamo risparmiato, del destino di dialisi costretto a letto a cui abbiamo detto no per lui. Valerio ci ha messo tre giorni a morire, perché lui voleva vivere. Lui voleva vivere ed adesso devo vivere io, ma non so come. So che sono brava a farlo. So che lo amo, e che lui mi ha amata davvero. Adesso sono a Berlino da sola, sola come non sono stata mai. Ho paura di tutto, ma non si vede, come Valerio che è ovunque, ma da nessuna parte. Ho paura di riuscire come di non farlo.
Valerio sapeva fare tutto. Noi, forse, ci somigliavamo. Lui è la parte migliore di me, e voglio che il mondo lo veda anche più di prima, perché lui è la cosa più bella che abbia mai incontrato.
24 notes
·
View notes
Text
Il liberalismo, unica ideologia dogmatica rimasta, rivela la sua essenza proprio nella gestione del fenomeno migratorio. Ma andiamo per gradi e dall’inizio: il liberalismo nasce come ideologia borghese e mercantile per tutelare gli interessi della nascente borghesia compradora che liberatasi di Trono e Altare, trova la sua legittimazione culturale e politica nell’utilitarismo di Locke, Hume e altri , basandosi soprattutto sulle teorie di Hobbes dove l’assetto sociale e statuale è determinato dal ” contratto sociale ” tra i componenti e in quelle di Montesquieu sulla divisione dei poteri , dove prevale però chi detiene i mezzi economici.
Il liberalismo infatti concepisce solo diritti del tutto ” astratti” e non collegati in alcun modo alla concretezza materiale tranne quello alla proprietà privata ( anche questo soggetto alle differenze di censo) e alla libera impresa. Ad esempio il CD diritto al lavoro e’ il classico esempio di diritto che in realtà è esercitabile a condizione che la dinamica domanda/ offerta corrisponda alle necessità del ” mercato del lavoro ” ergo alle necessità del Capitale, altrimenti è un diritto inesigibile da parte del titolare del diritto stesso. Potremmo citare altri esempi di diritti totalmente svincolati dalla realtà e dalla dinamica materiale ( libertà di espressione, alla salute, alla sicurezza…) ed è proprio per questo che ad esempio in Italia dal 1948 si parla di Costituzione formale, in pratica mai attuata , e Costituzione reale, cioè quella parte che per prassi necessita per il funzionamento dell’economia di mercato.
Posto questo dato , nel caso del fenomeno migrazione, controllata o meno, assistiamo ad un classico dello Stato liberale. Cercare di agevolare l’ingresso di un esercito industriale di riserva , in modo più o meno surrettizio, cercando al contempo di introdurre l’idea culturale che la persona, come le merci, è spazialmente e temporalmente ” fungibile” .Ergo un congolese ad Oslo o un norvegese in Congo possono ” integrarsi” a vicenda perché sono persone che , in teoria , non soffrono alcuna influenza identitaria o ambientale.
Ora il marxismo , che lo ricordiamo nasce come liberalismo ” rovesciato”, nella sua corrente rappresentata da Adorno , Horkheimer ma anche dalla corrente francese che fa capo a Guattari , pone invece l’uomo come prodotto delle condizioni sociali, ambientali e della società in cui vive. Si arriva a dire , ed è per certi versi assolutamente inconfutabile, che l’uomo è determinato dalla famiglia, dal clima e dal paesaggio in cui vive , tralasciando usi, costumi, credenze religiose etc. Questi fattori determinano non solo chi li vive ma anche le generazioni successive che dovessero emigrare altrove, come dimostrano anche gli italiani che da generazioni vivono in altri paesi che mantengono uno stretto legame, magari spesso folkloristico, con le proprie origini.
Quindi l’origine come il DNA di ogni persona è ineliminabile, a onta dei” costruttori di diritti a tavolino” che continuano a parlare di inesistenti ” diritti universali” che si concretizzano solo nel ” diritto del capitale ” di spostare manodopera da un capo all’ altro del pianeta. I tentativi quindi di eliminare i dati identitari e qualitativi sia degli europei che degli immigrati, in nome di un astrattismo materiale che vorrebbe solo ” replicanti” consumatori globali o ” cittadini del mondo” non è logico, non è razionale e soprattutto genera violenza e problemi psichici che ben vediamo nella cronaca nera quotidiana anche e soprattutto con gli immigrati di terza generazione. I tentativi surrettizi tipo lo ” ius scholae” sono semplicemente risibili , ancora una volta non basta studiare Dante per sentirsi europei, anche perché primo non si capisce perché un africano dovrebbe sentirsi ” europeo” e viceversa, ma soprattutto perché la cd integrazione non può avvenire su queste basi di astrattezza puramente mercantile che non permette un effettivo dialogo tra culture e identità, ma al contrario lo mortifica e lo soffoca in nome del puro profitto di pochi.
-Kulturaeuropa
30 notes
·
View notes
Text
UNA VOLTA HO SCRITTO DUE COSE
Non importa quali e dove.
La prima la scrissi tanti anni fa - tredici - e a mia discolpa posso dire che ero un individuo profondamente diverso, più rabbioso e ipergiudicante, ma di fatto questa cosa scatenò tutta una serie di reazioni nei confronti di una persona che fu costretta a sparire per il pubblico lubidrio.
Io ero già 'famoso' - le virgolette vi dicono quanta compassione mi faccio solo a usarlo, questo aggettivo - e questa persona una perfetta sconosciuta che, non si era forse comportata in modo simpatico ma lo squilibrio tra la mia capacità di insultarla - e soprattutto farla insultare - e la sua capacità di difendersi era ENORME.
Tre anni fa, quasi quattro, invece, in pieno Covid decisi di affrontare l'argomento pandemia e vaccino su una pagina FB creata all'uopo e lì potei toccare con mano lo squilibrio tra me e loro... nel senso che di sicuro io ero più competente ma loro erano di più e quindi mi ritrovai, fisicamente, a non riuscire più nemmeno a rispondere o interagire perché gli insulti, le accuse e gli auguri di morte erano così variegati e numerosi che cominciai a provare sconforto e, a tratti, amarezza.
Sia 13 anni fa come 3 anni fa l'errore fu tutto mio, nel senso che mi illusi di avere una verità più vera di quella di altri e che alla fine questa verità avrebbe prevalso.
Verità...
La stessa parola che hanno usato Selvaggia Lucarelli e Lorenzo Biagiarelli, per amor di ricerca della quale hanno massacrato mediaticamente una poveraccia che voleva fare pubblicità al suo locale con una recensione gay friendly farlocca e che poi s'è ammazzata per la disperazione.
Una cosa la voglio dire, a voi tutti, me 'famoso' compreso...
Non siamo così importanti.
Io sono un cinquantenne sovrappeso che guadagna 1300 euro al mese e si sveglia urlando nel mezzo della notte. Nei prossimi vent'anni probabilmente mi verrà un tumore o un accidente cerebrovascolare e prego già da ora Crom di farmi schiattare alla svelta per non diventare un doloroso peso per le persone che amo. Magari un giorno vi chiederete perché non posto più e qualcuno vi dirà che sono morto dilaniato tra le lamiere della mia macchina dopo esser volato giù da un monte.
Dove sarà tutta la mia 'importanza' e a che cosa sarà servita?
Quindi, per cortesia, non parlatemi di 'ricerca della verità' quando non siete altro che dei miserevoli strisciaschermo con due o tremila follower che usano il pollice opponibile giusto per afferrarsi le caccole in fondo al naso.
Giornalismo di inchiesta e ricerca della verità... Mauro de Mauro e Heidegger si stanno rigirando così tanto nella tomba da aver perforato la crosta terrestre e io a quegli ignobili individui vorrei dire una cosa, consapevole che lo squilibrio di potere tra me e loro è così grande da non temere che abbiano a soffrirne.
Il giornalismo di inchiesta e la ricerca della verità si fanno per denunciare grandi ingiustizie e schierarsi dalla parte delle vittime, mentre voi siete solo frignanti individui meschini che neghereste di aver rubato la marmellata pure se vi colasse dalle orecchie.
Se per le masse siete quel tipo di eroi, allora ricordate di tenere sempre il passo e di non cedere mai perché la vostra gente ha coltelli, forchette e tanta fame... ed è un attimo che il prossimo pasto diventiate voi.
74 notes
·
View notes
Text
Conoscete la storia del "tempo che passa", vero?
Già. L'avrete sentito dire a tantissime persone, anche voi l'avrete detto molte volte.
Il tempo passa, anzi scorre fra le nostre dita e spesso non ce ne accorgiamo. Impegnati a vivere gli attimi della vita che, se sommati, formano il tempo.
Vivere, già... bisogna avere anche una buona dose di fortuna per vivere; diversamente si sopravvive.
"Il tempo passa" e lo sappiamo tutti, ma arrivano dei momenti nella vita in cui effettivamente ce ne accorgiamo. Ci rendiamo conto che il tempo è passato, come se tutto d'un tratto ci svegliassimo da un torpore. Come se ci fossimo assopiti sul treno, durante un viaggio, svegliandoci di soprassalto al sentire un voce gracchiante da un altoparlante di una stazione.
In questi giorni intensi ho avuto delle concrete prese di coscienza del tempo che passa.
Figli. Questo mese di settembre sono riprese le scuole, ho visto i ragazzi per le vie della città con i loro zainetti e cartellette avviarsi in lunghe file verso le proprie scuole. Ho visto genitori accompagnare i bambini con i loro piccoli zainetti verso le scuole dell'infanzia o di primo grado.
Così mentre li osservavo ho pensato ai miei figli. All'autonomia che hanno i ragazzi universitari.
Non hanno più bisogno di me, dei passaggi o dei trasporti. Dei colloqui con i docenti e delle presenze nello studio.
Santo cielo, sono uomini che si organizzano e hanno appuntamenti di studio e corsi, e lezioni.
Di pranzi o cene con gli amici, di viaggi nel fine settimana e di discussioni e pensieri. Hanno sempre fretta, come se avessero un cronometro messo nel cervello.
Vorrei dire ogni tanto a ognuno di loro: "Riposati"; poi penso a quando li esortavo a studiare e non "perdere tempo".
Ma il tempo non si perde, esso scorre. Sta a noi decidere se viverlo appieno o lasciarlo scivolare inerti.
Madre. Che la tua ragione sta sfumando, non averne a male se ti ho portato in un posto dove ti aiuteranno. Spero di riportarti presto a casa, per vederti ancora tra i tuoi ricordi e le cose a te care. Sistemo casa tua e vedo le foto in bianco e nero o con quei colori anni ottanta. Quante volte le ho viste, ma con la tua presenza andavano in secondo piano. Ora nel silenzio dell'assenza pesano come pietre miliari, segnando la strada del tempo passato.
Il tempo passa. Venticinque anni sono passati dalla sepoltura di mio padre. In questi giorni è stato riesumato.
Mio padre, non ha mai mollato nella vita. Testa bassa e lavoro, fino allo stremo.
Solo un cancro lo ha sconfitto prematuramente.
Così ho assistito alla sua esumazione, pensavano di trovare ossa i necrofori. Ma lo avevano assicurato per la loro esperienza nel settore: "Deve sapere che dopo venticinque anni saranno solo ossa"; mi hanno detto.
Mio padre invece non si è consumato, ha resistito.
Ho avuto pietà per quei resti umani, ho avuto pietà per me che sono restato umano.
Ho sussurrato "Scusa", a quei resti. Perché di scuse ne avevo tante da porgere a mio padre, usando la mia bocca. Perché di scuse me ne doveva anche lui, con la sua bocca.
Così in questi giorni mi sono svegliato a una stazione, a bordo di un vagone, per via di una voce gracchiante dal profondo della mia anima. Sono risvegli duri, che ti lasciano un po' stordito, con quel malessere diffuso.
Il tempo passa e lo sa solo il cielo di quanto ne ho sprecato.
Mi domando se riuscirò, per quanto mi rimarrà di vivere, di sentirmi completato. Ma poi penso al fatto che, ognuno di noi, ha più tempo che vita.
20 notes
·
View notes
Text
Sembro triste... sì beh perché lo sono. Sono stata in coma quando ero piccola, ho passato tanto tempo in ospedale, ho sofferto di mutismo selettivo fino agli otto anni, in mezzo all'indifferenza della gente, sono cresciuta in una famiglia disfunzionale dove mia mamma sclerava per ogni minima cosa, tra urla, esplosioni di rabbia e lanci di coltelli, ho trascorso la mia adolescenza chiusa in casa con ansia, depressione, autolesionismo e continui tentati suicidi, mix di farmaci, poi sono scappata e ho vissuto quasi tre anni in una situazione di droga e altra violenza domestica, la ragazza con cui stavo mi ha spaccato a pugni il setto nasale e inclinato due vertebre, mi sono annientata completamente. Poi ho girato per mesi dormendo da persone a caso che non conoscevo, ritrovandomi nuovamente in contesti turbolenti. Ora mi ritrovo sola, in una nuova città, senza un posto dove stare, fa male... cazzo se fa male. Ho in testa tutte le cose orribili che mi hanno ripetuto nel tempo, tutte le emozioni che ancora mi bloccano e fanno tremare. Mi dico che sono forte e probabilmente lo sono davvero, ma giuro che in momenti come questo desidero solamente sparire dal mondo. Ho bisogno di urlare. Ho la sensazione di aver già visto fin troppo.
20 notes
·
View notes
Text
E già qualcuno fra i parenti ha osato chiedermi del concorso. Ma come, non partecipi? Vedo già le mie zie insegnanti partir gagliarde con le solite domande cui non saprò cosa rispondere. La verità porterebbe a una bruta discussione, meglio tentar la via della cieca ignoranza o, peggio ancora, della menzogna compiacente. Ogni volta resto muto e interdetto, incapace di soffrirne a voce, perché ho un lavoro, cristo, un lavoro creatomi dal nulla, MI SONO DATO un lavoro e per loro non è abbastanza, perché non è un posto pubblico. Forse chi ha visto Quo vado? ma vive al nord non ha ben chiaro quanto quel film ritragga fedelmente la gretta mentalità della mia terra, ma è davvero così e non fa ridere per niente. Ricordo ancora benissimo i mesi precedenti l’apertura, il silenzio dei parenti, il vuoto intorno, le risatine di mia nonna: “Ma verrà qualcuno?” e l’insistenza di mia zia: “Hai mandato le Mad? Dovresti provare col sostegno, da lì è più facile entrare” (e di questa immonda realtà parleremo un’altra volta). Ci litigai, speravo d’aver chiarito una volta per tutte le mie intenzioni, ma puntualmente dopo qualche mese tornò a chiedermi: “Allora, hai mandato le Mad? Nessuna supplenza?” “Eh, no” mentii “purtroppo nulla”. Ci rinuncio, perché quella dei nostri genitori ormai è una generazione totalmente slegata dalla realtà, convinta di vivere ancora gli anni ‘90, dove tutto era possibile, dove entravi dove volevi con l’aiuto di zio Cosimino, dove il politichino di turno sistemava gli amici di amici, dove una laurea e un concorso significavano qualcosa. Oggi la mia dipendente, povera crista che quando non lavora passa le giornate a studiare, mi ha rivelato che per la sua classe di concorso i posti messi a bando per la Puglia saranno 3. Come dovrei non incazzarmi? Come si può restare calmi di fronte a tanto schifo? Capite perché ho mandato tutti al diavolo, aprendo la MIA scuola? Non possiamo star qui a invecchiare all’ombra di mamma e papà, in attesa che lo stato ci permetta di fare ciò che abbiamo sudato e studiato decenni per fare. In famiglia nessuno sa che ad aprile ho rinunciato all'orale. Non li ritengo stupidi, è probabile che qualcuno abbia capito (forse mia madre?), dall’Usr dell’Emilia Romagna si sono fatti vivi dopo un anno (un anno!) dal superamento dello scritto, questo sì, ma è poco plausibile che venga indetto un nuovo concorso senza aver posto fine al precedente. Almeno il dubbio deve averli sfiorati. Ma non ho il coraggio di dirglielo, lascerò che lo capiscano da sé, se vogliono, non sopporterei la cenere di quegli sguardi delusi, il ricordo di mio padre che dopo lo scritto esulta al telefono: “Volesse Iddio che ti sistemi”, la segretaria dell’Usr che alla rinuncia insiste incredula al telefono ed io che le rispondo: “Non posso, ho cambiato vita”. No, la verità li ammazzerebbe, non so manco perché poi. E la cosa che mi fa più ridere è che proprio loro, le mie care zie insegnanti, gente del mestiere, non capiscono che non potrei affiancarlo in nessun modo a ciò che già faccio, perché è già un lavoro a tempo pieno. Come potrei mai dedicarmi il pomeriggio al doposcuola e preparare al tempo stesso le lezioni del giorno dopo? Partecipare ai consigli, collegi vari, attività pomeridiane ed essere ubiquamente al mio locale? Gestisco un’attività, cazzo, non è mica il lavoretto dell’estate. Ma non lo capiranno mai tanto, meglio che m’abitui sin da ora a ripetere: “Oh, sì, eccome se ho sentito! Non vedo l’ora di tentar la sorte anch’io alla lotteria!”
#so che molte/i di voi lo tenteranno#non lasciatevi abbattere dai numeri contrari#se è quel che volete davvero nella vita credeteci#io non ci ho creduto#ma non faccio testo#ricordatevi solo che non dobbiamo sopportare per forza tutto questo#se non vi lasciano fare il vostro lavoro mandateli al diavolo e fatelo per conto vostro#spero che ciò che ho fatto serva almeno da esempio#che possa essere utile in qualcosa almeno
76 notes
·
View notes
Text
Negli ultimi due giorni l'atmosfera di Torino ha subito un ulteriore tracollo.
Uscire di casa e andare per strada in qualsiasi modo sta cominciando a diventare un rischio per la propria vita.
Gli automobilisti vanno tutti veloci, tagliano la strada, non guardano dove vanno (o guardano solo dove vanno e non il resto della strada) e/o usano il telefono mentre guidano, perché usare il vivavoce con il telefono su un porta telefono, si sa, è per perdenti.
I pedoni si lanciano per strada, bloccano accessi, ti passano sopra per salire sui bus mentre stai scendendo.
Monopattini e rider sono fuori controllo. I rider, in particolare, usano la strada come se non ci fossero regole. Dove vivo non vedo moltissimi ciclisti ma non credo siano separati dal resto della massa come atteggiamento.
Per ben due volte in due giorni mi sono trovata ad attraversare la strada e rallentare di colpo, per permettere ad anziani di cominciare a camminare sulle strisce, perché la gente va tra i 60 e i 70 anche se in fondo c'è un semaforo rosso.
Sorella, che è ciclista, ora ha bisogno di otto occhi per uscire di casa e muoversi.
Le strisce pedonali non sono sicure. Le piste ciclabili non sono sicure. I semafori a favore non sono sicuri.
Tutte le persone che conosco mi dicono la stessa cosa: le strade di Torino sono una dannata giungla (quella di Jumanji).
La cosa sta chiaramente avendo un effetto anche su di me visto che, ieri mattina, sotto i portici di Via Sacchi,ho visto due ragazzi (tranquillissimi) approcciare una madre con bimba. Non ho sentito cosa le chiedevano ma ho continuato a girarmi per vedere se era tutto a posto finché non si sono separati.
Non so cosa lo stia causando, ma le vittime ci sono già.
13 notes
·
View notes
Photo
TEMPESTUS MAXIMUS - IL FIGLIO DI GIOVE - - NOVUS REX (on Wattpad) https://www.wattpad.com/1473908693-tempestus-maximus-il-figlio-di-giove-novus-rex?utm_source=web&utm_medium=tumblr&utm_content=share_reading&wp_uname=LUKE7025 Nella città eterna di Roma, dove storia e modernità si intrecciano in un equilibrio fragile, vive un giovane di nome Alessio Tempesta. Ha 23 anni, è straordinariamente bello ma timido, e conduce una vita apparentemente normale come agente di polizia. La sua bellezza è evidente, ma non è ciò che lo caratterizza. Alessio è riservato, introverso, e si sente più a suo agio nel mondo virtuale, dove può esprimersi senza le barriere della sua timidezza. Passa le sue giornate tra il lavoro e le chat, rifugiandosi in un mondo digitale che è diventato una seconda realtà per molti di oggi. I rapporti con i colleghi sono per lo più formali, basati su una cortesia reciproca, senza mai sfociare in vere amicizie o confidenze. Ma tutto cambia durante una notte, quando, nel silenzio della sua stanza, Alessio viene improvvisamente attraversato da un calore intenso, quasi insopportabile. Si sveglia di soprassalto, il cuore che batte furiosamente nel petto. Sente qualcosa di diverso, eppure stranamente familiare. Si alza, si guarda allo specchio, e vede nei suoi occhi una luce strana, una luce che non aveva mai visto prima. È una luce vivida, quasi ultraterrena, che brilla come un fulmine incandescente. In quel momento, Alessio capisce che qualcosa dentro di lui è cambiato. Un potere antico, latente per secoli, si è risvegliato. E con esso, una consapevolezza che non è più solo un giovane poliziotto timido e riservato. È qualcosa di più, qualcosa di molto più grande. Senza sapere come o perché, inizia a percepire una connessione profonda con la natura, con le tempeste, con il cielo stesso. Quello che Alessio non sa ancora è che lui è l'incarnazione di Tempestus Maximus, il figlio dimenticato di Giove, signore delle tempeste eterne. Un potere che ha attraversato i millenni, nascosto nel sangue umano, e che ora, in un'epoca di caos e incertezze, si è risvegliato in lui, pronto a reclamare il suo posto nel mondo. CHAPTER 9 IN ITALIAN ENGLISH
#adulti#amore#avventura#casual#complotti#drammatico#fanfiction#fantasy#giove#lgbt#magia#mistero#mito#mondiparalleli#newadult#omicidi#paranormale#poliziesco#prescelti#queer#reincarnazione#strappalacrime#triller#books#wattpad#amreading
15 notes
·
View notes