#don Ruggero Conti
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retelabuso · 4 years ago
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WEBINAR ECA Global Justice Project
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NOTA; per rendere il più sintetica possibile la relazione che segue, correderò dove necessario alle mie affermazioni, il link all’approfondimento ricordando ai colleghi che partecipano al WEBINAR dai vari paesi e nelle rispettive lingue, che oltre al testo della relazione diffuso in italiano in inglese e spagnolo prima dell’incontro, vedrà tutti i link contenuti nel testo e che fanno riferimento…
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paoloxl · 5 years ago
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Qui caddero fucilati dai fascisti i martiri della Resistenza Piemontese. La loro morte salvò la vita e l’onore d’Italia. 1943-1945“.
Queste le parole riportate sulla lapide posta al centro del Sacrario del Martinetto, piccolo poligono di tiro nella IV Circoscrizione del Comune di Torino, scelto dai repubblichini dopo l’8 settembre 1943 come luogo d’esecuzione delle sentenze capitali.
Qui, nel giro di venti mesi, vennero fucilati sessantuno partigiani e resistenti piemontesi.
Lunedì, 31 marzo 1944, la Resistenza piemontese subisce un durissimo colpo: nella mattinata, sulla sagrestia del Duomo, vengono catturati quasi tutti i componenti del Comitato Regionale Militare Piemontese (Crmp): Franco Balbis, Quinto Bevilacqua, Giulio Biglieri, Paolo Braccini, Errico Giachino, Eusebio Giambone, Massimo Montano e Giuseppe Perotti.
Il Crmp era stato costituito clandestinamente a Torino nell’ottobre del 1943, come organo del Comitato di Liberazione Nazionale, con il compito di coordinare le azioni delle bande partigiane già esistenti.
Gli otto vengono condotti alle Carceri Nuove, e il 2 aprile, in gran fretta, viene dato il via al processo alla presenza dei massimi vertici fascisti. Già il giorno successivo, e nonostante le trattative intavolate dal Cln, viene pronunciata la sentenza: fucilazione.
All’alba di mercoledì 5 aprile gli otto condannati vengono condotti all’interno del poligono di tiro, ammanettati: ci sono decine di militi della Guardia Nazionale, che li legano alle sedie poste all’estremità del poligono, schiena rivolta al plotone di esecuzione. Passa ancora qualche minuto, il tempo per Padre Carlo Masera, che ne ricorderà il coraggio, di benedirli, quindi viene letta la sentenza, ed infine il plotone spara. Una sola voce, quella di Franco, Quinto, Giulio, Paolo, Errico, Eusebio, Massimo e Giuseppe grida “Viva l’Italia libera!”
Con queste parole, Eusebio Giambone si rivolge alla moglie,qualche ora prima di essere fucilato:
“fra poche ore io certamente non sarò più, ma sta pur certa che sarò calmo e tranquillo di fronte al plotone di esecuzione come lo sono attualmente, (…)come lo fui alla lettura della sentenza, perché sapevo già all’inizio di questo simulacro di processo che la conclusione sarebbe stata la condanna a morte. Sono così tranquilli coloro che ci hanno condannati? Certamente no! Essi credono con le nostre condanne di arrestare il corso della storia. Si sbagliano! Nulla arresterà il trionfo del nostro Ideale,essi pensano forse di arrestare la schiera di innumerevoli combattenti della Libertà con il terrore? Essi si sbagliano!“
 
La grande lapide dedicata “Ai nuovi martiri della libertà” è collocata nel recinto delle fucilazioni, unica parte sopravvissuta del grande poligono di tiro del Martinetto, destinato tra l’8 settembre 1943 e il 25 aprile 1945 a luogo di esecuzione dei condannati a morte dai tribunali speciali e militari istituiti dalla Repubblica sociale, e di fucilazioni per rappresaglia. Il luogo è oggi il sacrario cittadino della resistenza, sede di una commemorazione civica che ogni anno si svolge il 5 aprile, nell’anniversario della fucilazione di otto dei componenti del primo Comitato militare regionale. La lapide venne scoperta con una solenne cerimonia l’8 luglio 1945, con la partecipazione del cardinal Maurilio Fossati, del ministro Giuseppe Romita, del sindaco Giovanni Roveda e del presidente del Cln regionale piemontese Franco Antonicelli che ricordò la decisione del Clnrp, presa ancora nella clandestinità, di costituire il luogo in sacrario: «Il Martinetto». Le generazioni più antiche delle nostre avevano, in tutta Italia, un nome per i loro fremiti di sdegno e di carità: Belfiore. Le generazioni nostre hanno creduto a lungo che l’età dei martirii fosse conclusa per sempre nella nostra storia e nella storia civile del mondo. Invece, col dramma della libertà, si è riaperta la serie dei grandi olocausti e delle solenni testimonianze. E così abbiamo compreso che per la nostra esperienza di uomini tutto va riedificato: l’amore e il dolore, la colpa e il riscatto, l’infamia e la purezza, l’arco di trionfo e il Martinetto. […] Io leggo l’elenco, non ancora forse completo, dei 61 martiri, e vedo, l’uno dopo l’altro, tra il 16 gennaio 1944 e il 15 aprile 1945 succedersi un operaio e un impiegato, un artigiano e un ingegnere, un geometra e un bibliotecario, uno studente e un professore d’Università, un generale e un sottufficiale, un soldato e un partigiano. Ma partigiani tutti; tutti degni di quel nome che da noi va adoperato non come tessera di privilegi ma come titolo di onore, quel nome – e quella realtà – che per noi è la maggiore, la più straordinaria realtà di questa nostra veramente sacra e veramente civile guerra italiana». La lapide riporta i nomi di 59 fucilati, senza date, con incisa accanto l’indicazione della professione, come spesso nelle targhe dedicate ai singoli caduti. Sono invece 61 i nomi riportati nell’Elenco detenuti giustiziati al Martinetto, custodito tra le carte della presidenza del Cln, Giunta consultiva regionale. I nomi sono trascritti in ordine cronologico per data di morte e vi figura al primo posto Ruggero Vitrani, la cui esecuzione è erroneamente datata 16.1.1944, in luogo di 1945; è questo certamente l’elenco a cui Antonicelli fa riferimento nel suo discorso. Nel documento, oltre ai nomi incisi sulla lapide, si trovano anche quelli di Brunone Gambino, Carlo Jori, Aldo Camera, Giustino Bettazzi, e Maurizio Mosso, fucilati per rappresaglia all’attentato di via Sacchi 14; Domenico Binelli e Ferdinando Conti, due dei cinque fucilati per rappresaglia in seguito all’uccisione di Ather Capelli; Dario Musso e Carlo Brero, fucilati il 27 luglio 1944; Aldo Salvatori, fucilato il 22 settembre 1944; Luciano Politi, fucilato il 15 aprile 1945. Alessandro Teagno e Matteo De Bona sono registrati sotto il falso nome usato in missione, rispettivamente Luciano Lupi e Carlo Lari. Non sono compresi i nomi di Secondo Brignolo, Giovanni Bruno, Pedro Ferreira, Paolo Perego, Pietro Enrico, Dario Girardi, Giuseppe Padovan, Remo Pane, Paolo Tripodi. Un altro elenco pubblicato da don Giuseppe Marabotto (1953) Fucilati dalla R.s.i. provenienti dal carcere comprende 93 nomi disposti in ordine cronologico, con data e luogo di fucilazione e l’indicazione dei sacerdoti che fecero assistenza spirituale: per quanto riguarda i caduti del Martinetto, pur con imprecisioni, non si discosta dalla lapide.
Brignolo Secondo meccanico
Bruno Giovanni commerciante
Perotti Giuseppe Paolo generale
Giachino Errico (Erich) geometra
Montano Massimo studente
Biglieri Giulio bibliotecario
Balbis Franco capitano
Giambone Eusebio meccanico
Braccini Paolo professore universitario
Bevilacqua Quinto mosaicista
Perego Paolo meccanico
Enrico Pietro studente
Girardi Dario contadino
Padovan Giuseppe calderaio
Pane Remo meccanico
Tripodi Paolo operaio
Pizzorno Carlo studente universitario
Bocchiotti Giuseppe tipografo
Caramellino Walter impiegato
Armano Oreste studente
Massai Landi Francesco studente
Farinati Gianfranco studente
Valobra Ferruccio impiegato
Gippone Giuseppe maresciallo d’aviazione
Galvagni Aimone sergente maggiore
Mecca Ferroglio Giovanni elettricista
Giardini Mario bersagliere
Cormelli Luigi impiegato
Zucca Claudio verniciatore
Bergamaschi Pompeo muratore
Marconi Vasco tubista
Bianciotto Lorenzo meccanico
Testa Alessandro contadino
Berta Giuseppe meccanico
Attardi Alfredo studente
Amprino Armando meccanico
Dovis Candido manovale
Vitrani Ruggero meccanico
Cipolla Francesco pasticcere
Ferreira Pedro tenente
Duò Almerigo meccanico
Savergnini Luigi impiegato
Barbero Orazio impiegato
Mesi Ulisse impiegato
Moncalero Giovanni verniciatore
Del Col Dino fotografo
Cibrario Bruno disegnatore
Migliavacca Luigi apprendista tornitore
Zumaglino Battista carpentiere
Martino Enrico contadino
Viale Lorenzo ingegnere
Gindro Alfonso meccanico
Meneghini Nello nichelatore
Canepa Giovanni motorista
Fattorelli Rubens meccanico
Teagno Alessandro tenente
De Bona Matteo perito agrario
Simonetti Donato impiegato
Cursot Giuseppe muratore
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wdonnait · 5 years ago
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Domenico Nicitra: la storia della scomparsa del figlio del boss
Nuovo post pubblicato su https://www.wdonna.it/domenico-nicitra-la-storia-della-scomparsa-del-figlio-del-boss/106755?utm_source=TR&utm_medium=Tumblr&utm_campaign=106755
Domenico Nicitra: la storia della scomparsa del figlio del boss
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Molti di voi si ricorderanno della storia di Domenico Nicitra, il figlio del boss di Montechiaro Salvatore Nicitra, scomparso a soli 11 anni insieme a suo zio, nel 1993.
Non si è mai ritrovato il corpo del ragazzino e il caso risulta ancora irrisolto e pieno di misteri. Cosa ha generato la scomparsa di Domenico?
Ovviamente si pensa ad una vendetta trasversale o addirittura al fatto che Domenico potesse risultare uno dei testimoni riguardanti l’omicidio dello zio.
Tanti sono i dubbi in merito e ancora oggi si cerca di far luce sulla questione.
Salvatore Nicitra arrestato
Si parla tuttora della scomparsa di Domenico Nicitra, specialmente perché ieri c’è stato l’arresto di suo padre Salvatore a Roma.
Sembrerebbe proprio che il boss stesse progettando un piano per fuggire all’estero. Questo perché in Italia avrebbe molti conti in sospeso e allo stesso tempo la polizia ha scovato un suo tesoro nascosto in contanti, più 24 lingotti d’oro.
Stando a delle intercettazioni, Nicitra aveva intenzione di recarsi a Lugano, così da poter essere intoccabile per una serie di reati commessi, tra cui riciclaggio di denaro sporco.
Tra l’altro, egli stesso fece intendere di possedere una forte dipendenza dal gioco d’azzardo. Dove finivano tutti i suoi guadagni? Ovviamente su delle società straniere ed in particolar modo quelle di Hong Kong e Dubai. 
E i soldi extra, li aveva impiegati per acquistare dei lingotti d’oro, così da non poter risultare alcuna traccia. Un piano studiato negli anni alla perfezione ma che al momento risulterebbe fallito. 
Andreina Croci, madre di Domenico Nicitra
Forse da una parte giustizia è fatta, ma dall’altra che cosa ne resta di Domenico, figlio di Salvatore Nicitra?
A commentare tutto questo ci ha pensato Andreina Croci, madre del ragazzino tragicamente scomparso nel ’93.
Secondo la donna, il nostro Paese impiegò gran parte delle proprie energie per indagare su Salvatore, minimizzando invece il caso irrisolto di presunto omicidio.
Già all’epoca, la donna fece un appello in cui chiese pubblicamente di riavere indietro suo figlio, in quanto immune da tutte le colpe e vittima della situazione. Disse così:
“A voi che avete mio figlio chiedo in ginocchio: lasciatelo andare. È un bambino, non può stare lontano dalla madre, ha bisogno di me e così io di lui. Vi prego, vi scongiuro, chiunque voi siate, lasciatelo tornare a casa. Mimmo non ha colpe”.
Ma tutto ciò non servì a nulla. Oggi incece, Andreina Croci chiede espressamente di essere lasciata in pace, di smetterla di pensare soltanto al boss ma di continuare a cercare, per capire se Domenico possa essere ancora vivo. 
E stando a delle testimonianze, la casa in cui viveva il giovane ragazzo sembrerebbe rimasta immutata. Nella sua stanzetta ci sono ancora i suoi oggetti e metà dello spazio è abitato dalla sorella, che ha attualmente tredici anni.
Don Ruggero
Andando a riaprire il caso, è possibile ritrovarsi dinanzi ad una serie di figure che sono state importanti per la vita di Domenico Nicitra, come ad esempio Don Ruggero. 
Quest’ultimo, è il viceparroco della chiesa Immacolata Concezione del paese. Egli si ricorda molto bene del ragazzino, anche perché era in procinto di prendere la Prima Comunione.
Don Ruggero ha voluto esprimere tutta la sua solidarietà a riguardo, specialmente nei confronti di Andreina Croci, madre di Domenico.
A detta sua, la donna si reca sul posto in maniera frequente e resta per un po’ seduta a pregare, con la speranza che il figlio possa far ritorno a casa.
Per fortuna, gran parte dei fedeli della zona risultano essere abbastanza solidali sull’accaduto (anche a distanza di anni), cercando di offrire alla donna un sostegno psicologico, per non farla sentire sola.
Domenico Nicitra è ancora vivo?
A questo punto ci si chiede se ci siano delle speranze sul fatto che Domenico Nicitra possa tornare a casa, dicendo a tutti di stare bene e di essere ancora vivo.
Purtroppo, il rischio che lo abbiano ucciso è davvero altissimo e non a caso si parla di “lupara bianca“. Con questa espressione si fa riferimento ad un omicidio di mafia che comporta l’occultamento di cadavere della persona assassinata.
Si è cercato davvero tanto nelle zone limitrofe ma nessun indizio è stato fondamentale per il ritrovamento di Domenico. 
I pareri sono molto discordanti. Però, pensandoci bene, all’epoca risultava decisamente più semplice nascondere un corpo senza lasciare traccia.
Se fosse successo nell’età odierna, forse si sarebbero potuti avere diversi indizi in merito, anche a livello di sorveglianza, dispositivi GPS, cellulari e via dicendo.
Allo stesso tempo però, non è una cosa certa. Perché in un ambiente dove c’è molta omertà, è davvero complicato giungere ad una conclusione o quantomeno far emergere le cose come stanno. 
Intercettazioni di Salvatore Nicitra 
Domenico Nicitra resta un mistero. Ma due cose sono certe: la madre spera ancora in un suo ritorno, mentre suo padre, Salvatore Nicitra, si trova in carcere, nuovamente. 
Non si sa di preciso quale sia la tua attuale opinione riguardo la scomparsa del figlio nel 1993, ma oggettivamente sappiamo che il suo pensiero più grande sia quello di farla franca e di accrescere sempre di pi�� il suo patrimonio economico, secondo una serie di escamotage. 
Stando alle sue ultime intercettazioni, Nicitra aveva raccontato ad altre persone del suo giro di voler trasferire i suoi soldi su altri conti (o convertirli in lingotti d’oro) e di recarsi in Svizzera, fin quando le acque non si sarebbero calmate. 
I carabinieri di Roma hanno scoperto il tutto e lo hanno arrestato con la gravante di riciclaggio e di frode informatica. 
C’è chi crede che attraverso tale arresto si possa in un certo senso arrivare alla soluzione della scomparsa di Domenico. Ma non è affatto semplice, perché è altamente probabile che in questo evento di cronaca siano coinvolte molte persone, di cui non si ha il minimo sospetto. 
Infine, l’ipotesi che suo figlio possa comparire dal nulla all’improvviso è alquanto infattibile.
Al massimo verrebbe chiesto un riscatto alla famiglia, soltanto che quest’ultima avrebbe molte difficoltà nel risanarlo, poiché gran parte dei beni risultano essere sequestrati. 
Insomma, è un caso pieno di se e ma.
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liviaserpieri · 8 years ago
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Neil Armstrong toccò il suo­lo della Luna all’alba del 21 lu­glio in piazza San Pierino, dove nonostante le poche decine di metri quadrati di superficie, c’erano quattro bar: il San Piero completo di sala biliardo e tavo­li per giocare a carte, il Torricel­li, che era più una drogheria, il Piccolo bar gestito dal nonno di Pieraccioni ancora lontano da venire e la Daria, l’unico aperto a quell’ora buia, perché l’unico con la televisione. Bruno Barta­lesi, proprietario e figlio della storica e omonima fondatrice, aveva deciso di tenere aperto, certo non per un investimento economico, ché alla Daria era­no forse più quelli che pagava­no con un «Segna, per favore», quanto per una sorta di dovere sociale. Insomma, se avevi la te­levisione, la dovevi mettere a di­sposizione di chi non l’aveva, specie se quella notte s’andava sulla Luna. Va detto che l’apparecchio di cui disponeva la Daria non era un granché e che, rispetto ai maxischermi al plasma di oggi, stava come un pattino a una portaerei. Si aggiunga che le im­magini erano in bianco e nero e quelle dalla Luna erano anche parecchio sgranate, tipo film di Stanlio e Ollio. Così, visto di lì, da una stanza non tanto gran­de, più lunga che larga, quattro sedie e due tavolini contro la pa­rete di faccia al bancone, la cas­sa e i tabacchi in fondo con la tivvù sopra la testa di Bruno, il piccolo passo di Armstrong non sembrò davvero «un gran­de balzo per l’umanità», come disse l’ astronauta appena alza­ta un po’ di polvere lunare. «Questa se l’era preparata!», fu subito il commento e l’eco fu: «Gliel’hanno scritta alla Nasa; è da quand’è partito che la ripete pe’ non dimenticalla!».
L'INFINITA NON-STOP - Il fatto è che a smontare l’aulici­tà del momento ci si erano mes­si sin dalla sera prima gli stessi Tito Stagno e Ruggero Orlando, i due giornalisti, il primo dallo studio di Roma, il secondo da Houston, protagonisti della infi­nita «no-stop» mandata in on­da dalla Rai per far vivere in di­retta l’avvenimento. Erano le 22 e 20 della sera prima quando Tito Stagno, il volto più ameri­cano di cui disponesse l’emit­tente di Stato, con quel ciuffo di capelli biondi che gli ricade­va sulla fronte e gli occhiali dal­la grossa montatura nera, ave­va gridato con gli occhi sbarrati dietro lenti spesse come due ve­trine antiproiettile la frase che da tre ore aspettava di gridare: «Ha toccato!! Ha toccato in que­sto momento il suolo lunare. A voi Houston...». E dall’altra par­te dell’oceano, serafico, anzi crudele, Ruggero Orlando, «er­re » blesa e tono «blasé», gli ave­va distrutto la telecronaca epo­cale: «Qui pare che manchino ancora dieci metri...». C’era di tutto, umanamente parlando, alla Daria: era punto d’incontro di artisti già afferma­ti, celebri o che lo sarebbero sta­ti, in primo luogo da Pietro An­nigoni, che aveva studio lì vici­no in Borgo Albizi e del quale Palmiro, un cugino di Bruno, era diventato segretario; passa­vano Nino Tirinnanzi, i fratelli Bueno, Breddo, Scatizzi, Farul­li, Giuliano Pini, Loffredo, op­pure l’ancora sconosciuto Ma­rio Lovergine, che sarebbe di­ventato uno dei grafici più noti e che a quei tempi era andato a specializzarsi in America ed era tornato, lui che aveva i capelli crespi, che sembrava un’Angela Davis al maschile.
DON CUBA, NATALINO, UCCELLONE E IL TRIPPAIO - Al banco dove prendevano il caffè anche Mario Luzi e Primo Conti, i due storici baristi, Ma­rio, arrivato dal Mugello che aveva 14 anni e che rimase fino alla pensione, e Valerio, che non stava mai fermo e che Anni­goni aveva ribattezzato «giran­dola », servivano caffè e altro a personaggi come «Don Cuba», don Cubattoli, il sacerdote dei carcerati che, lasciato l’ufficio alle Murate, arrivava in biciclet­ta; o come Alberto Pistore­si, che aveva proprio di fronte il banco con la trip­pa e che, poiché gli piace­va dipingere, diceva che era pittore con l’hobby del trippaio; o come Nata­lino, il proprietario del­l’omonimo ristorante, che era grande la metà di adesso, e che «campava a Campari»; o come Arman­do, meglio conosciuto co­me «Uccellone», e il perché è meglio lasciar perdere, titolare della trattoria, se così poteva es­sere chiamata una specie di osteria in piazza, proprio sotto la torre, composta di una sola stanza che era la cucina dove erano anche tre tavolini per mangiare, più due all’aperto se non pioveva. Ai fornelli era la Cocchina, che poi era la compa­gna di Uccellone, e tra i due, in­differenti ai clienti perlopiù stu­denti squattrinati, scoppiavano regolarmente epiche liti con lancio non di piatti, ma di fia­schi di vino alcuni dei quali, for­tunatamente, mancavano il ber­saglio e andavano a schiantarsi contro il tabernacolo della Ma­donna all’inizio di via Matteo Palmieri, che, per l’appunto era stata ribattezzata «la Madonna briaca». Fu in mezzo a questa umani­tà che, almeno in piazza San Pie­rino, sbarcò Neil Armstrong.
Mario Spezi
http://corrierefiorentino.corriere.it/firenze/notizie/cronaca/2009/20-luglio-2009/estate-indimenticabile-1969-bar-daria-luna-1601584913003.shtml
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zazoomnews · 5 years ago
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Don Ruggero Conti: la folla ai funerali del prete condannato per pedofilia - #Ruggero #Conti: #folla #funerali http://dlvr.it/RR44D3
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pleaseanotherbook · 7 years ago
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Alice Allevi: mille indagini da risolvere
Vi è mai capitato di leggere una storia, immergervi nelle vicende dei protagonisti e rendervi conto che sembra quasi un déjà vu? Vi è mai capitato di riconoscervi così tanto in un racconto da sentirlo profondamente vostro? E vi è mai capitato di trovare così tante similitudini, che non importa il contesto, non importa la definizione dei confini tra una persona e l’altra, quella è in qualche modo la vostra storia? Beh a me non capita così spesso, ma quando succede, mi destabilizza, completamente, perché sembra quasi che lo scrittore legga dentro di me e porti a galla tutte le mie debolezze e inquietudini. Recentemente mi è capitato con la serie incentrata sulle avventure di Alice Allevi meravigliosamente narrate dalla penna di Alessia Gazzola. De L’Allieva, il romanzo che da il via a tutta la vicenda, vi avevo già parlato, ma non avevo ancora trovato il modo di descrivere anche i libri successivi. E visto che finalmente il 13 novembre uscirà per Longanesi Arabesque, l’ultimo appassionante volume, forse è il caso di fare un bel ripasso.
Si è propensi a pensare che le emozioni siano nemiche della razionalità, ma la verità è che esse guidano la nostra percezione del mondo e i nostri ricordi del passato.  E non devi essere ostile verso la tristezza perché la tristezza sa aprirci squarci che ci permettono di guardarci dentro da una prospettiva nuova. Ci rende consapevoli. (Un po’ di follia in primavera)
Alice Allevi è una specializzanda in medicina legale, che cerca di sopravvivere alle richieste di un laboratorio di ricerca universitario e l’ingerenza della vita investigativa, che la vede suo malgrado coinvolta. Sapete quelle persone che nonostante tutto si ritrovano sempre al centro dell’attenzione? Ecco Alice è così, investita dal caso e dagli eventi, anche quando vorrebbe solo fare shopping e comprare scarpe. Una squattrinata ragazza che cerca la sua strada nel mondo del lavoro, sopravvive per malcapitati colpi di fortuna e inconguenze generali. Vive di entusiasmi improvvisi, grandi figuracce e scelte che possono davvero metterla nei guai. Eppure in un modo o nell’altro riesce a sopravvivere, a sfangarla, a trovare un suo equilibrio. Pasticciona e alle prime armi, ha tanto da imparare, ma anche l’umiltà per chiedere a chi ha più esperienza di lei. Alice è una di quelle ragazze un po’ ingenue ma anche tanto motivate che non si arrendono neanche quando tutto sembra remare contro di loro, anche quando ogni singolo tassello della loro vita sembra andare a rotoli. 
Claudio Conforti è l’emblema del successo, l’incarnazione di chi ce l’ha fatta e ha un roseo futuro avanti a se. Conforti sprona Alice con una freddezza agghiacciante, un comportamento da don giovanni, il sarcasmo e il fascino di chi sa già che può sopravvivere impunito a qualsiasi audacia. Sempre circondato dall’odore di mentine e una ventata di Declaration, Conforti è conturbante e incanta la mente di Alice, che lo vede come un mentore, ma anche come l’origine di tutti i suoi guai, soprattutto perché ammantato del rispetto del prof dell’istituto. Claudio Conforti è il classico uomo che non si accontenta di un no, che insiste, scava, si impegna e vince. Come un fulmine, che arriva a ciel sereno.
Se ognuno di noi vivesse davvero ogni giorno come se fosse l’ultimo, quante cose si svolgerebbero diversamente? Se questo fosse il mio ultimo giorno, se i Maya avessero ragione e l’apocalisse fosse vicina, io richiamerei Arthur. Senza dubbio. Viceversa, se fossi certa di un domani, non sono sicura che sarebbe assennato alcun tipo di gesto che porti a una ricaduta. La nostalgia costa carissima e va adoperata solo quando proprio non se ne può fare a meno. Okay, non ne posso fare a meno. (Le ossa della principessa)
E se io sono l’Allevi, beh fidatevi quando vi dico che Claudio Conforti esiste. Ed è un bastardo, ma anche meravigliosamente istruttivo, diligente, e fin troppo irruente, contraddittorio e incerto.
Ma non c’è solo l’aspetto romantico nelle vicende di Alice, anche quelle lavorative hanno una parte considerevole, soprattutto la sua attività di consulente per Calligaris, l’ispettore di polizia che la prende sotto la sua ala protettiva. È quel misto tra indulgenza e incoraggiamento che lo rendono un personaggio per cui fare il tifo, che sostiene davvero Alice anche quando combina guai. Ma è il suo spirito di osservazione e la sua caparbietà che le consentono di arrivare fino in fondo e non arrendersi. Ogni indagine consente al lettore di imparare qualcosa di nuovo, una sfaccettatura che neanche si immagina. E se il secondo volume ci porta tra le ultime pagine di uno scrittore famosissimo, poi finiamo nel bel mezzo di una missione archeologica. Ritrovare un cadavere abbandonato in un teatro è tanto emozionante come investigare nella vita di un famoso psicologo. Interessante è scoprire quanto Alice finisca sempre per essere coinvolta troppo anche quando non vorrebbe. Ma in fondo se non entriamo nella vita degli altri, non possiamo neanche capire la nostra.
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Dura la vita per Alice Allevi, che ha appena superato la delusione per non aver vinto un micro seminario di Scienze Forensi. Non che le interessasse tantissimo l'argomento: il fatto è che il seminario si sarebbe tenuto a Parigi, e a Parigi vive Arthur. Ma tant'è, si sa che per lei l'Istituto di Medicina Legale «è un amante malfidato che prende senza dare»... Ma la vita lavorativa ha in serbo per lei altre sorprese, e nello specifico una causa d'interdizione. Lui è Konrad Azais, un famosissimo scrittore, best seller in tutto il mondo, grande esperto di enigmistica. A richiedere l'interdizione sono i figli, che ritengono il padre ormai vittima della demenza senile visto che ha dichiarato di voler lasciare tutti i suoi beni a una sconosciuta. Quando poi Azais muore in circostanze misteriose, che nemmeno l'autopsia riesce a chiarire, Alice inizia un'indagine combinando le sue conoscenze di medicina legale, l'intuito e la ricerca tra librerie e le opere di Azais...
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Benvenuti nel grande Santuario delle Umiliazioni. Ossia l’istituto di medicina legale dove Alice Allevi fa di tutto per rovinare la propria carriera di specializzanda. Se è vero che gli amori non corrisposti sono i più strazianti, quello di Alice per la medicina legale li batte tutti. Sembrava quasi che la sua tormentata esistenza in Istituto le avesse concesso una tregua, quanto bastava per provare a mettere ordine nella sua sempre più disastrata vita amorosa, ma ovviamente non era così. Ambra Negri della Valle, la bellissima, brillante, insopportabile e perfetta Ape Regina, è scomparsa. Difficile immaginare una collega più carogna di lei, sempre pronta a mettere Alice in cattiva luce con i superiori, come se non ci pensasse lei stessa a infilarsi nei guai, con tutti i pasticci che riesce a combinare. Per non parlare della storia di Ambra con Claudio Conforti, medico legale affermato e tanto splendido quanto perfido, il sogno proibito di ogni specializzanda... E forse anche di Alice. Ma per quanto detesti Ambra, Alice non arriverebbe mai ad augurarle la morte. Così, quando dalla procura chiamano lei e Claudio chiedendo di andare a identificare un cadavere appena ritrovato in un campo, Alice teme il peggio. Non appena giunta sulla scena del ritrovamento, però, mille domande le si affollano in mente: a chi appartengono quelle povere ossa? E cosa ci fa una coroncina da principessa accanto al corpo?
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Alice Allevi, giovane specializzanda in medicina legale, ha ormai imparato a resistere a tutto. O quasi a tutto. Da brava allieva, resiste alle pressioni dei superiori, che le hanno affidato la supervisione di una specializzanda… proprio a lei, che fatica a supervisionare se stessa! E lo dimostra anche la sua tortuosa vita sentimentale. Alice, infatti, soffre ancora della sindrome da cuore in sospeso che la tiene in bilico tra due uomini tanto affascinanti quanto agli opposti: Arthur, diventato l’Innominabile dopo troppe sofferenze, e Claudio, il medico legale più rampante dell’istituto, bello e incorreggibile, autentico diavolo tentatore. E infine, Alice resiste, o ci prova, all’istinto di lanciarsi in fantasiose teorie investigative ogni volta che, in segreto, collabora alle indagini del commissario Calligaris. Il quale invece dimostra di nutrire in lei più fiducia di quanta ne abbia Alice stessa. Ma è difficile far fronte a tutto questo insieme quando, nell’estate più rovente da quando vive a Roma, Alice incappa in un caso che minaccia di coinvolgerla fin troppo. Il ritrovamento dello scheletro di un giovane attore teatrale, che si credeva fosse scomparso anni prima e che invece è stato ucciso, è solo il primo atto di un’indagine intricata e complessa. Alice dovrà fare così i conti con una galleria di personaggi che, all’apparenza limpidi e sinceri, dietro le quinte nascondono segreti inconfessabili. Alice lo sa: nessun segreto è per sempre. E chi non impara a tenere a bada i propri segreti finisce col lasciarsene dominare… fino al più tragico e crudele dei finali.
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Quella di Ruggero D’Armento non è una morte qualunque. Perché non capita tutti i giorni che un uomo venga ritrovato assassinato con un’arma del delitto particolarmente insolita. E anche perché Ruggero D’Armento non è un uomo qualunque. Psichiatra molto in vista, studioso e luminare dalla fulgida carriera accademica, personalità carismatica e affascinante… Alice Allevi se lo ricorda bene, dagli anni di studio e dai seminari che ha frequentato con grande interesse, catturata dal magnetismo di quell’uomo all’apparenza rude ma in realtà capace di conquistare tutti con la sua competenza e intelligenza. E con le sue parole. L’indagine su questo omicidio è impervia, per Alice, ma per fortuna non lo è più la sua vita sentimentale. Ebbene sì, Alice ha fatto una scelta… Ma sarà quella giusta?
E voi vi siete innamorati di Alice Allevi?
Io aspetto il 13 novembre con tanta ansia! In fondo Alice fuori dall’Istituto deve essere un vero spasso. E Claudio Conforti è un irresistibile guilty pleasure.
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retelabuso · 3 years ago
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Abusi sessuali: in Italia i laici denunciano l'omerta della Chiesa
Abusi sessuali: in Italia i laici denunciano l’omerta della Chiesa
Cécile Chaambraud e Jérôme Gautheret – Roma – inviato speciale, corrispondente – La legge del silenzio che pesa in Italia sulla pedocriminalità nel clero comincia a essere seriamente contestata. Mentre la Conferenza Episcopale Italiana tiene un’assemblea dal 23 al 27 maggio durante la quale si discuterà della sua politica in materia e si nomina il nuovo presidente, un libro accusatorio, in uscita…
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retelabuso · 4 years ago
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ENG - Webinar ECA Global - Francesco Zanardi
ENG – Webinar ECA Global – Francesco Zanardi
THE SPEAKER EXPOSES ITALY April 16, 2010 from the newspaper “Il CORRIERE“ “The government: ‘Unspeakable smear campaign against the Pope and the Church'” ROME – On the day of his 83rd birthday, Benedict XVI gets full and unequivocal support from Italy. The Council of Ministers in a statement “confirmed the solidarity of the government for the unspeakable defamatory campaign against the Church and…
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