#destra xenofoba e razzista
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Francia, la rabbia e la speranza da coltivare | il manifesto
Un pezzo lucido e saggiamente empatico!
Pubblicato 15 ore fa
Edizione del 3 luglio 2024
Mario Ricciardi
Sono stati i giorni della delusione e della rabbia, ma anche quelli della speranza. Lunedì mattina i parigini si sono svegliati sotto un cielo lattiginoso, che copriva il sole che ha brillato nelle ultime ore di campagna elettorale. L’edizione speciale di Le Monde annunciava secca che «la destra estrema è alle soglie del potere». A illustrare il titolo un’immagine dell’esagono quasi completamente coperta di marrone, il colore che nell’infografica del quotidiano progressista rappresenta il Rassemblement National guidato da Marine Le Pen.
Delusione e rabbia sono le reazioni più diffuse tra gli elettori di sinistra, e tra i moderati che credono ancora nell’estraneità del Rn – un partito che ha raccolto l’eredità della destra xenofoba e razzista, e affonda le proprie radici nel regime di Vichy – ai valori della République laica e antifascista. Per quanto indebolita da anni di erosione, prima a opera di Sarkozy e poi, in modo più accentuato, da parte di Marine Le Pen, che dopo la fondazione del Rn ha visto crescere il proprio consenso fino a eclissare le altre formazioni della destra, l’idea di una sorta di «arco costituzionale» della repubblica, da invocare per sbarrare la strada dell’Eliseo, aveva tenuto fino a qualche giorno fa.
Forse ci credeva anche Macron – per interesse, perché di convinzioni sembra averne poche – che sul legame tra le forze che si riconoscono nei valori della repubblica aveva scommesso quando ha deciso di sciogliere il parlamento. Invece si è capito, già nelle prime fasi della campagna elettorale, che l’argine a destra era saltato, che un numero consistente di francesi non vede più un voto a Le Pen come contrario a una sorta di «moralità costituzionale», e che stavolta Macron non sarebbe stato nella posizione di trarre vantaggio dalla solidarietà di una sinistra battuta sia dalla destra sia dal centro.
PER QUESTO, MENTRE la delusione per la mossa spregiudicata del Presidente lasciava il posto alla rabbia per il modo irresponsabile in cui ha giocato sul futuro dei francesi, e in particolare di quelli che hanno tutto da perdere se il Rn andasse al potere, è emerso anche un sentimento che sembrava da tempo dimenticato: la speranza. Contro le aspettative dei realisti, le diverse forze della litigiosa sinistra francese sono riuscite a mettere insieme un accordo elettorale, e a combattere una straordinaria battaglia che le ha condotte al primo turno intorno al 28 per cento, contro il circa 33 per cento della destra. Purtroppo questo non vuol dire che sia possibile battere Le Pen. Tuttavia, si potrebbe fare in modo che non raggiunga la maggioranza assoluta grazie ad accordi di desistenza.
QUESTO È IL TEMA della manciata di giorni che ci separano dal secondo turno. Alcuni nomi rappresentativi della Macronia hanno già rotto le righe, facendo capire che tra l’equità sociale e la tutela dei possidenti non hanno alcun dubbio: preferiscono fare gli interessi dei secondi, anche se questo espone la Francia al rischio di una deriva autoritaria, e di misure discriminatorie nei confronti delle minoranze.
Viene allo scoperto in questo modo un’ambiguità che ha segnato gli ultimi vent’anni, e che è tra le cause primarie della crisi profonda che stanno attraversando diverse democrazie. L’ipocrisia di chi si descrive come «progressista», ma al dunque sta dalla parte dei forti. Quella per cui i cittadini non hanno diritti costituzionali, ma privilegi contingenti che possono essere rimessi in discussione, senza alcun riguardo per la giustizia sociale, quando c’è bisogno di ridurre il debito, o di aumentare la competitività, mentre chi potrebbe contribuire a una distribuzione più equa dei sacrifici viene protetto perché è «un produttore di ricchezza». Come se il lavoro subordinato fosse inerte.
Questo progressismo, che si presenta come liberale, ma della libertà ha una concezione ineguale e quindi arbitraria, potrebbe subire un colpo durissimo se Le Pen riuscisse a formare un governo. Tra qualche giorno verrà il tempo dei bilanci e delle proposte per il futuro. Anche se sconfitta, la sinistra francese ha qualche milione di ragioni per coltivare la speranza e trasformarla in opposizione.
#Mario Ricciardi Insegna Filosofia del diritto nell'Università Statale di Milano e Legal Methodology nella Luiss Guido Carli di Roma.Ha diretto la rivista " Il Mulino" fino al 2023
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A beneficiare della morte di Navalny, infatti, non è certo il Cremlino, sebbene, a essere obiettivi, il tema è a dir poco spinoso e la responsabilità della sorte di Navalny, in attesa di prove, può essere comunque riconducibile al regime russo e alle condizioni di prigionia in cui versava il dissidente nel carcere siberiano di Kharp, nella Siberia del Nord. A complicare le cose ci si mette Bild che rivela che sarebbe morto «forse poco prima di una sua possibile liberazione», nell’ambito di uno scambio di detenuti tra USA, Russia e Germania.
Mentre la stampa allineata acclama Navalny come un martire, descrivendolo erroneamente come “il leader dell’opposizione” e il nemico numero uno di Putin (che non era), gli stessi media mainstream evitano accuratamente di riportarne le origini e la formazione, ignorando in maniera selettiva le sue storiche inclinazioni nazionaliste, i legami con gruppi neonazisti, i ripetuti commenti xenofobi e le estreme opinioni anti-immigrazione. Finendo per dipingere la sua biografia come quella di un liberale di centrodestra.
Che Navalny sia stato, almeno per una parte cospicua della propria storia politica, un razzista e un suprematista è noto e lo scriveva, del resto, proprio La Stampa in un articolo dal titolo inequivocabile, pubblicato nel 2012: «Il blogger xenofobo che unisce la piazza contro lo zar Putin». Dodici anni fa, il quotidiano torinese si poteva permettere di svelare il «lato oscuro dell’Assange russo», definendo senza mezzi termini Navalny un «blogger-star», xenofoba e di estrema destra. Nell’articolo si descrivevano le sue simpatie nazionaliste e le sue «tendenze giustizialiste», sottolineando che a novembre 2006 Navalny era in prima fila alla Marcia Russa dei “rivoluzionari bianchi”, tra neonazisti e slogan anti-Caucaso.
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Nato nel 1976 in una cittadina della provincia di Mosca, fin da giovanissimo Alexei Navalny è attivo nell’opposizione russa, finché nel 2008 viene cacciato dal partito Narod (Popolo), che aveva contribuito a fondare, per affermazioni xenofobe, dopo che in un comizio aveva paragonato i caucasici a degli «scarafaggi scuri di pelle» suggerendo di adoperare «le pistole» contro di loro, visto che non sarebbe bastata la paletta per schiacciarli. Non ritrattò mai queste frasi: nel 2017, in un’intervista al The Guardian, aveva ammesso di non avere rimpianti per le sue dichiarazioni passate e giustificò il suo paragone tra migranti e scarafaggi come una «licenza artistica». Nel febbraio 2021 Amnesty International ritirò a Navalny la designazione di “prigioniero di coscienza”, per via delle sue dichiarazioni nazionaliste, ripristinandola a maggio dello stesso anno.
Riconosciuti il carisma e le innegabili qualità di leader, Washington decide di puntare su di lui, “formandolo”, in modo da renderlo più presentabile. È così che Navalny finisce nell’incubatore a stelle e a strisce e diventa un prodotto mediatico. Parte per gli USA, per un periodo di formazione all’Università di Yale, come invitato nell’esclusivo Greenberg World Fellows Program, un programma creato nel 2002 per il quale vengono selezionati ogni anno su scala mondiale appena 16 persone con caratteristiche tali da farne dei “leader globali”.
Dopo la formazione, Navalny torna in Russia profondamente cambiato: niente più comizi nazionalistici e xenofobi, inizia la lotta contro la corruzione, per i diritti umani e contro il potere di Putin. Fonda il movimento Alternativa Democratica, uno dei beneficiari, come confermato da Wikileaks, della National Endowment for Democracy (NED), un’agenzia statunitense fondata nel 1983 con l’obiettivo dichiarato di promuovere la “democrazia” all’estero. In particolare, la NED è stata fortemente attiva in Ucraina, dove ha sostenuto il colpo di Stato di piazza Maidan. La tecnica, ormai consolidata, è quella delle “rivoluzioni colorate” per fomentare una ribellione anti-governativa, in modo da indebolire lo Stato dall’interno, mentre dall’esterno cresce su di esso la pressione militare, politica ed economica. Il progetto degli aiuti internazionali in questa forma risale, infatti, all’ex presidente americano Ronald Reagan: grazie alla costituzione di una rete di associazioni non governative, il governo americano controlla attivamente dal 1981 la politica estera, senza dovere più ricorrere ai fondi neri della CIA.
Non sono nemmeno un mistero i rapporti di Navalny con i servizi segreti occidentali: in un video del 2012, ripreso dagli agenti russi del controspionaggio, Vladimir Ashurkov, il braccio destro dell’attivista, incontra in un ristorante di Mosca William Thomas Ford, agente dell’MI6 inglese, chiedendo apertamente finanziamenti per la sua campagna politica, impegnandosi a stabilire contatti con gli oligarchi al fine di rassicurarli sulla preservazione dei loro privilegi.
Da evidenziare, anche, come i media mainstream abbiano accuratamente evitato di ricordare le condanne di Navalny per frode e appropriazione indebita, facendo passare l’idea che sia stato arrestato esclusivamente per motivi “politici”. L’attivista era stato giudicato colpevole di appropriazione indebita nel 2014 su denuncia della casa di cosmetici francese, la Yves Rocher, di cui era il referente russo. Già allora La Repubblica evocava l’esistenza di una «trama oscura», una «trappola del regime per neutralizzare un oppositore politico». All’arresto per frode seguì un lungo tira e molla di arresti domiciliari, un sospetto avvelenamento, violazioni degli arresti e di nuovo la prigione per queste violazioni. Sebbene non sia da escludere che le accuse siano state amplificate o strumentalizzate, è curioso notare come i media occidentali abbraccino, in maniera ipocrita, la pista dei complotti a corrente alternata, proponendo, nel caso di Navalny una rappresentazione unilaterale e tutt’altro che realist
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Giorgia Meloni è maschilista, misogina, xenofoba, omofoba, razzista; fa parte d'un partito politico e d'un Governo di destra fascista cattolico che offende la dignità di donne, poveri e persone non eterosessuali.
Il termine giusto per descrivere Meloni è: troglodita.
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Una persona troglodita come Giorgia Meloni, che ai convegni Vox sostiene offese spregevoli nei confronti di chi non è eterosessuale, negando ogni forma di dignità a chi non è eterosessuale, NON MERITA alcun tipo di comprensione e difesa quando viene ingiuriata e minacciata.
#giorgia meloni#troglodita#offendere#poveri#non eterosessuali#donne#dignità#omofobia#misoginia#razzismo#xenofobia#governo#italia#partito politico#destra#politiche di destra#fascista#termine#meloni#vox#ingiurie
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6 giu 2023 11:17
PRIMA DI BLATERARE DI SOSTITUZIONE ETNICA SAREBBE IL CASO DI STUDIARE LA STORIA – MILENA GABANELLI METTE ORDINE TRA I DELIRI DELLA TEORIA COMPLOTTISTA, EVOCATA DAL COGNATO D'ITALIA LOLLOBRIGIDA, SECONDO LA QUALE ESISTE UN PIANO, PORTATO AVANTI DA ALCUNE ELITE, PER INCENTIVARE UN'INVASIONE DALL’AFRICA E DALL'ASIA VERSO L’EUROPA E SOSTITUIRE I BIANCHI CON PIÙ “DOCILI” MIGRANTI – MA L'UNICA SOSTITUZIONE ETNICA FINORA AVVENUTA È QUELLA COMPIUTA DAGLI EUROPEI TRA IL 1500 E IL 1800 NEL CONTINENTE AMERICANO, CON LA MORTE DI 50 MILIONI DI INDIGENI... – VIDEO -
GUARDA QUI LA VIDEO-INCHIESTA DI MILENA GABANELLI SULLA SOSTITUZIONE ETNICA
Estratto dell'articolo di Milena Gabanelli e Giuseppe Sarcina per il ��Corriere della Sera”
La «sostituzione etnica» è l’incubo che turba il sottobosco razzista e xenofobo dell’Occidente: i bianchi sono destinati a diventare una minoranza minacciata, nei loro stessi Paesi, da orde di immigrati. L’ultimo in ordine di tempo a rilanciare il timore è stato il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida il 18 aprile scorso.
Parlando all’assemblea della Cisal, Lollobrigida ha detto: «Dobbiamo pensare anche all’Italia di dopodomani. Vanno incentivate le nascite. Non possiamo arrenderci alla prospettiva della sostituzione etnica». Pochi giorni dopo il ministro ha spiegato di essere stato frainteso e di non conoscere le teorie del complotto che da anni fioriscono negli ambienti dell’estrema destra.
Eppure ne parla anche il sito della presidenza del Consiglio: «La teoria del complotto del piano Kalergi è la credenza secondo la quale esiste un piano d’incentivazione dell’immigrazione africana e asiatica verso l’Europa al fine di rimpiazzarne le popolazioni. Prende il nome dal filosofo austriaco Richard Nikolaus di Coudenhove-Kalergi (1894-1972), cui viene attribuita la paternità di tale piano».
In realtà Kalergi predicava la necessità di ampliare l’identità dei singoli Stati per dar vita all’integrazione europea. Il suo pensiero fu manipolato soprattutto da Gerd Honsik (autore neonazista austriaco condannato nel 2009 a 5 anni di carcere per aver negato l’Olocausto), nel libro «Addio Europa
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In passato anche Giorgia Meloni e Matteo Salvini hanno usato spesso l’espressione della «sostituzione etnica». Nel 2011 ne fu affascinato il fondatore del Front National, Jean-Marie Le Pen. La figlia Marine, invece, ritiene che la massiccia immigrazione sia alimentata dalle imprese europee che cercano manodopera a basso costo. Sedotto dal complotto anche Éric Zemmour, candidato per il partito di estrema destra «Reconquête» alle presidenziali del 2022. L’idea dell’«uomo bianco minacciato da orde di stranieri» viene evocata in Olanda dal «Partito per la libertà» guidato da Geert Wilders; in Austria troviamo Herbert Kickl, a capo dell’Fpö, autore dello slogan: «Il sangue deve essere viennese, quello straniero non va bene per nessuno».
In Europa il più convinto e rumoroso sostenitore della «sostituzione etnica» è il presidente dell’Ungheria Viktor Orbán. Ma l’ondata più massiccia di intolleranza xenofoba è partita dall’altra parte dell’Atlantico nel 2014, e ha accompagnato l’ascesa di Donald Trump.
Il libro di Federico Leoni, «Fascisti d’America» (Paesi Edizioni), descrive con precisione il mondo dell’Alt-Right, la «destra alternativa» americana. Sono decine di formazioni, alcune diventate note in tutto il mondo per aver partecipato all’assalto a Capitol Hill il 6 gennaio 2021, come i «Proud Boys» o gli «Oath Keepers». Un groviglio di ideologie accomunate da una convinzione: «È in atto una cospirazione delle élite (finanzieri, politici, grandi industriali, intellettuali) per schiavizzare le masse, instaurando un Nuovo Ordine Mondiale».
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Le malattie esportate dagli europei
Nel 1492, l’anno in cui Cristoforo Colombo scoprì il nuovo Mondo, nell’intero continente americano (Nord, Centro e Sud) vivevano 75 milioni di persone, in Europa 60. Nell’attuale Messico c’era Tenochtitlan: 250 mila abitanti, quando Londra e Roma in quello stesso periodo ne avevano 50 mila, mentre Madrid non arrivava a 5 mila.
Facciamo un salto di cinque secoli: nel 1990 si stimava che gli immigrati irregolari negli Stati Uniti fossero 3,5 milioni. Nel 2014 la cifra era salita a 11 milioni (su una popolazione totale di 318 milioni di abitanti).
È in questo periodo che la propaganda dell’estrema destra diffonde sulle piattaforme web il virus della xenofobia: i migranti rubano il lavoro, sono dei criminali, portano nuove malattie. Nella realtà americana non ci sono statistiche serie a sostegno di questi fenomeni.
La ricerca storica, invece, ha dimostrato come i bianchi venuti dall’Europa, con le loro barche cariche di mucche, capre, maiali, polli e cavalli portarono nel Nuovo continente malattie sconosciute: vaiolo, morbillo, difterite, tracoma, peste bubbonica, malaria, febbre gialla, scarlattina e altro ancora.
Tra il 1500 e il 1800 morirono circa 50 milioni di indigeni, privi com’erano di difese immunitarie, lasciando le loro terre non solo ai conquistadores armati, ma anche ai «pacifici» migranti in arrivo da Germania, Inghilterra, Irlanda.
L’era della rimozione forzata
Sempre tra il 1500 e il 1800, 2,5 milioni di europei sbarcarono nelle Americhe, trascinando con la forza quasi 12 milioni di africani. La civiltà europea ha prodotto l’era della schiavitù, che ha segnato la nascita e la crescita degli Stati Uniti, passando poi dalla piena sottomissione dei «black people», alla segregazione, fino alle scorie del «razzismo sistematico» che tuttora intossicano la società americana.
Secondo le più gettonate teorie del complotto, diffuse negli ambienti più sovranisti dell’America contemporanea, la «sostituzione etnica» prevede la costruzione di campi di concentramento in cui rinchiudere i bianchi. È utile ricordare che fu proprio un presidente bianco, Andrew Jackson, considerato dalla storica Jill Lepore «il primo populista alla Casa Bianca», a promulgare nel 1829 «l’Indian removal Act», ordinando la rimozione forzata dei nativi americani.
La legge, approvata di misura dal Congresso, portò al trasferimento di circa 47 mila uomini, donne e bambini delle «cinque tribù civilizzate»: Cherokee, Chickasaw, Chocktaw, Creek e Seminole che vivevano in Alabama, Florida, Georgia, Louisiana, Mississippi e Tennessee. Furono tutti deportati nelle terre del «Selvaggio West».
I Cherokee, stanziati in Georgia, cercarono di resistere, appellandosi alla Corte Suprema con questa dichiarazione: «Ci chiedete di andarcene, ma noi non siamo stranieri. Noi siamo gli abitanti originari dell’America». I giudici si pronunciarono a loro favore. Ma Jackson ignorò la sentenza e, minacciando l’uso della forza, convinse una parte del gruppo dirigente della tribù a firmare l’accordo di trasferimento in Oklahoma. Accettarono di andarsene solo 2 mila Cherokee.
Gli altri 16 mila furono sloggiati dall’esercito, con un viaggio a tappe forzate, in cui morirono circa 4 mila persone. Chi viaggia nel Sud degli Stati Uniti può ritrovare ancora oggi tracce del «Trail of Tears», il sentiero delle lacrime, percorso da tutti i nativi cacciati dalle loro terre.
Il vuoto fu presto colmato dai bianchi, a partire dai cercatori d’oro, visto che nel 1828, giusto un anno prima dell’«Indian Removal Act», in Georgia era stato scoperto un giacimento del più prezioso dei metalli.
Cinque secoli dopo
Ed ora eccoci qui, a quasi due secoli di distanza dalla «rimozione etnica» voluta da Jackson, alle prese con teorie che pretendono di rimuovere la Storia. Negli Stati Uniti e in Europa l’ideologia del «suprematismo bianco» continua a fomentare l’ostilità verso gli immigrati e a inquinare pericolosamente il dibattito pubblico.
Senza neppure porsi la domanda che è alla base del nostro ordine mondiale e che nel 1504, il re Ferdinando di Spagna, committente insieme alla consorte Isabella della missione di Cristoforo Colombo, aveva girato a un gruppo di filosofi e di giuristi: «Le espropriazioni compiute dagli europei nel Nuovo continente e la riduzione in schiavitù dei nativi americani sono compatibili con la legge umana e quella divina?». I saggi dell’epoca conclusero che «in natura esistono uomini meno capaci, destinati a diventare schiavi». Nel 2023 l’eco di quella risposta non si è ancora spenta.
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Sigle di cartoni
Sinceramente non capisco tutto questo stupore nel vedere Cristina D'Avena sul palco di Fratelli d'Italia. È un prodotto di Publitalia prima di Mediaset, ha già partecipato alla propaganda berlusconiana e ora partecipa a quella della sua alleata. Davvero c'è da stupirsi? Avete dato valore a chi non ne ha.
E poi i Cavalieri del Re sono molto meglio
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Giorgia Meloni é il nuovo premier italiano. Una fottuta fascista é a capo del nostro governo. Voi non potete immaginare la mia rabbia nel vedere questo risultato dopo aver sperato, ingenuamente, che le cose per una volta potessero andare per il meglio.
"Gioite! Finalmente una donna sarà premier!"
Ma a quale prezzo? Perché quella donna é una xenofoba, razzista, sessista ed omofoba. Perché é la leader politica di questo paese più di estrema destra dopo Mussolini?
Ma non abbiamo imparato niente?
A chi ha votato Fdi: aprite un libro di storia per una volta in vita vostra e leggete, e con attenzione pure. Perché i prossimi potreste essere voi.
A chi si è astenuto: se avevate un motivo serio per non andarci (visto le piogge tropicali di ieri) va bene. Non ve ne faccio una colpa. Se invece non ci siete andati per pigrizia, sappiate che i nostri bisnonni ed i nostri nonni hanno combattuto e sono morti, uomini e donne, affinché i loro figli, nipoti e pronipoti potessero avere il potere di cambiare le cose.
Non sono di sinistra. Non ho mai capito il senso degli schieramenti ideologici a priori. Ma qui ci vuole Resistenza. Anche a costo di tornare a nasconderci nelle campagne armati di fucile.
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La verità è che il dibattito tra Trump e Biden è stato inguardabile per diversi ordini di motivi. In primo luogo perché discutere con Trump è un po’ come pretendere di avere ragione parlando con un bambino di sei anni. Tu gli chiedi cosa intende fare per il clima e lui ti risponde che suo padre è un supereroe che vola e caca fiamme. E se provi ad affrontare un qualsiasi argomento lui ti interrompe facendo la linguaccia e gridando “NA NANA NANNA”. E gran parte del suo elettorato lo vota proprio per questi motivi, perché è esattamente come lui: razzista, profondamente rozzo e ignorante, bugiardo, violento e fascistoide. Tutto il mondo è paese, insomma. In secondo luogo perché Biden è un uomo completamente inadatto a qualsiasi confronto: carismatico quanto una pianta di aloe arborescens, reattivo come un bradipo sotto chetamina, perfetta espressione del “conservatorismo liberal” che da sempre funesta il partito democratico. Ma Sanders era “troppo estremista” per gli standard dem, quindi quello che poteva essere il miglior Presidente della storia USA non è stato messo nelle condizioni di arrivare a sfidare il buffone col gatto rosso in testa. È stato uno dei momenti più bassi della tv americana, come hanno scritto in molti. E parliamo di una televisione dove sono all’ordine del giorno quelli che si prendono a pugni in faccia durante i talk show. Trump è un personaggio vergognoso, grottesco, pericoloso. Ma è la perfetta espressione di una parte dell’elettorato USA, come Salvini da noi. Biden non rappresenta niente, non ne ha la forza. Se Biden dovesse vincere (e me lo auguro) sarà solo perché “non è Trump”. In tutto il mondo, oggi, ci sono la destra populista, nazionalista, xenofoba, e quelli che hanno il solo merito di “non essere loro”. E finché resterà così, saremo destinati ad avere a che fare con questi ridicoli pupazzi sovranisti ancora a lungo. Emiliano Rubbi
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Dopo anni di incitamento all’odio e alla violenza è ormai chiaro che siamo arrivati all’inevitabile esplosione. Durante le proteste di Black Lives Matter Trump chiedeva dieci anni di prigione per i manifestanti più accesi, mentre oggi rimanda a casa i violenti con la sua benedizione, quasi come una dimostrazione di forza e del suo potere. Forse allora non si dovrebbero più tollerare gli intolleranti, dato che fenomeni del genere sono i sintomi di un chiaro sentimento politico che peraltro si ramifica in tutto il mondo. La destra nazionalista, xenofoba e razzista ha ormai preso piede ovunque. Ricordiamo tutti le apparizioni di Matteo Salvini con la mascherina del tycoon, così grottesche da aver portato l’Independent a definirlo come “la cheerleader di Trump”. Lo stesso vale per i sovranisti europei che da anni avvelenano l’opinione pubblica con un concetto di democrazia a dir poco sui generis, sconfessandone attraverso una narrazione distorta le istanze basilari. E così le persone si convincono di “governi non eletti da nessuno”, “maggioranze abusive” e persino di “dittatura”, accusando e guardando con preoccupazione dalla parte sbagliata. Come insegnano i fatti di Washington, a furia di incattivire la popolazione si arriva alla saturazione e all’attacco alla democrazia, che sembra proprio essere ciò che queste forze desiderano.
Ieri abbiamo assistito al primo colpo di Stato americano. E no, non è stato uno scherzo.
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meloni vuole rappresentare anche l'Italia più razzista, articolo di Christian Raimo, in Domani 1 agosto 2022
meloni vuole rappresentare anche l’Italia più razzista, articolo di Christian Raimo, in Domani 1 agosto 2022
La leader di Fratelli d’Italia ha scelto di rappresentare un’Italia razzista che si scherma dietro l’esasperazione e rivendica un’italianità suprematista.Nei commenti sotto i post di Giorgia Meloni per l’omicidio di Alika Ogochukwu si rivela qual è il livello del dibattito che la destra livorosa e xenofoba alimenterà in questa campagna elettorale. Meloni non ha cancellato neanche i commenti più…
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Quando il getto degli idranti colpisce il corteo che sta puntando piazza Galvani, dove si sta tenendo il comizio di Roberto Fiore, sono le 19.30. Circa sette ore dall'inizio di una giornata memorabile di antifascismo militante a Bologna. Breve cronaca di una memorabile giornata di antifascismo militante bolognese Breve cronaca di una memorabile giornata di antifascismo militante bolognese E' infatti alle 12.30 che in centinaia di persone, espressione dei centri sociali, dei collettivi studenteschi e delle soggettività antifasciste cittadine. XM24, Crash, Tpo, Stevenson, Vag61, Palestra Popolare Stevenson, Social Log, Lazzaretto, CUA, Staffetta, Labas, CAS occupano tutte insieme la piazza destinata ai latrati xenofobi forzanovisti, soprendendo il dispositivio di sicurezza incaricato di proteggere uno dei peggiori stragisti della destra eversiva del dopoguerra. Nei giorni precedenti il teatrino istituzionale ha espresso livelli bassissimi, con diversi esponenti istituzionali che si fingono disgustati della decisione della Questura di confermare il comizio in centro ma che poi nella pratica non muovono un dito, e una insistenza quasi maniacale da parte di media e apparati di sicurezza sulla "correttezza democratica" di fare parlare chi ha offerto di pagare le spese legali a potenziali stragisti come Traini. E' inutile fare appelli a vuoto alle istituzioni, così come lo è cercare visibilità con azioni a spot buone per un video di Repubblica, minoritarie e insufficienti rispetto ai reali punti politici sui quali dare battaglia. L'unica risposta possibile alla provocazione fascista è quella di prendersi la piazza, negandola ai fascisti stessi. E cosi avviene. Mentre negli interventi al megafono si ricorda chi è Fiore e cosa rappresenta Forza Nuova, legando la causa della resistenza antifascista a quella curda che combatte contro il fascismo islamista dell'Isis, arriva la notizia che un compagno del CUA, Lorenzo, sta venendo prelevato dalla polizia e tradotto in carcere per i fatti di Piacenza. Dal corteo immediatamente si levano voci per lui, per Giorgio, per Mustapha, arrestati il giorno prima. La giornata di piazza è legata indissolubilmente con quelle di Piacenza, di Macerata, di Cosenza. Il fascismo non ha diritto di parola. Intanto la polizia si organizza. Le camionette arrivano in serie sganciando celerini, decisi a mettere in pratica la politica di "tolleranza zero" annunciata dal Questore a mezzo stampa. Quando il numero è ritenuto adeguato, la celere parte alla carica attaccando violentemente il presidio, che resiste per quanto può prima di attestarsi su via Farini. Piazza Galvani può essere consegnata a chi è diretto continuatore di esperienze politiche che a Bologna il 2 agosto di 38 anni fa fecero 85 morti e 200 feriti. I manifestanti allora si ricompattano e decidono di muoversi per la città in corteo, fino a raggiungere piazza Maggiore. La polizia blinda tutti gli accessi a piazza Galvani con grate e idranti. Sono circa le 15. Il comizio di Fiore è previsto per le 19.30, manca molto tempo ancora. Così come manca molto tempo al concentramento ufficiale della piazza antifascista, previsto per le 18.30. Il tam tam sui social richiama centinaia di persone sin da subito, è chiaro che la giornata non può finire con i fatti della mattinata. Il comizio non si deve fare, affermano all'unisono le persone che affollano la principale piazza cittadina. Sono per la maggior parte giovani, studenti universitari e precari, che non possono tollerare un affronto simile nella loro città. A qualche centinaio di metri di distanza si svolge un "presidio antifascista" lanciato da PD, LeU, Arci, Libera ed altre associazioni legate alla "sinistra" istituzionale. In un clima quasi surreale, al megafono parte "Contessa". Poche decine di persone presenziano svogliate. L'antifascismo istituzionale e demokratico è stato sorpassato dalla realtà: non è possibile coniugare Piano Casa, JobsAct, BuonaScuola, decreti Minniti-Orlando con una retorica antifascista di maniera. L'antifascismo genuino sta dall'altra parte. Il pomeriggio in piazza Maggiore continua con una comunicazione antifascista cittadina non-stop, fino ad arrivare alle 19.30. Mentre Fiore inizia il suo comizio-farsa, almeno 5000 persone hanno raggiunto la piazza. Da lì, si muovono verso le Due Torri e da li in piazza Santo Stefano. Si imbocca quindi via Farini decisi e determinati a raggiungere piazza Galvani. Giunti all'altezza di piazza Cavour, si imbatte nel nuovo blocco poliziesco. Il corteo avanza, la polizia risponde con manganellate mentre da dietro le grate vengono lanciati lacrimogeni e forti getti d'acqua dagli idranti. Alcuni compagni vengono fermati e poi rilasciati. E' la prima volta dal 1977 che vengono usati idranti contro cortei, ma del resto la gestione della sicurezza della Questura bolognese negli ultimi anni ha prodotto irruzioni di celerini dentro sale studio, sfratti abitativi eseguiti con operazioni da teatro di guerra, sgomberi a ripetizione di esperienze sociali e politiche. C'è poco da stupirsi. Come fortunatamente non c'è da stupirsi della determinazione con cui la piazza bolognese ha affrontato la giornata, importantissima per ribadire i legami indissolubili tra resistenza antifascista, lotta anticapitalista e conflitto sociale. Negli scorsi anni la città ha dato grande prova di resistenza alla barbarie razzista, contestando ripetutamente nelle piazze e nel lavoro sui territori il principale sdoganatore della peggiore barbarie fascista e xenofoba, ovvero Salvini e la sua nuova Lega di stampo lepenista. Ma anche combattendo contro le peggiori politiche del governo Renzi e la loro traduzione sul territorio da parte della giunta Merola. Quella di ieri è stata una giornata che si lega alle barricate di ponte Stalingrado e piazza Verdi contro la barbarie leghista, ma che dà anche continuità a quanto successo la settimana scorsa in tutta Italia, contribuendo ad affermare un decisivo metodo di contrapposizione alle peggiori pulsioni razziste fasciste e xenofobe nel paese. Una piazza preziosa, che nel concludersi davanti al Sacrario dei Partigiani di piazza Nettuno dà appuntamento alle piazze antifasciste a venire, così come alla mobilitazione sui territori contro preferenza nazionale, suprematismo e guerra tra poveri.
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La verità è che il dibattito tra Trump e Biden è stato inguardabile per diversi ordini di motivi. In primo luogo perché discutere con Trump è un po’ come pretendere di avere ragione parlando con un bambino di sei anni. Tu gli chiedi cosa intende fare per il clima e lui ti risponde che suo padre è un supereroe che vola e caca fiamme. E se provi ad affrontare un qualsiasi argomento lui ti interrompe facendo la linguaccia e gridando “NA NANA NANNA”. E gran parte del suo elettorato lo vota proprio per questi motivi, perché è esattamente come lui: razzista, profondamente rozzo e ignorante, bugiardo, violento e fascistoide. Tutto il mondo è paese, insomma. In secondo luogo perché Biden è un uomo completamente inadatto a qualsiasi confronto: carismatico quanto una pianta di aloe arborescens, reattivo come un bradipo sotto chetamina, perfetta espressione del “conservatorismo liberal” che da sempre funesta il partito democratico. Ma Sanders era “troppo estremista” per gli standard dem, quindi quello che poteva essere il miglior Presidente della storia USA non è stato messo nelle condizioni di arrivare a sfidare il buffone col gatto rosso in testa. È stato uno dei momenti più bassi della tv americana, come hanno scritto in molti. E parliamo di una televisione dove sono all’ordine del giorno quelli che si prendono a pugni in faccia durante i talk show. Trump è un personaggio vergognoso, grottesco, pericoloso. Ma è la perfetta espressione di una parte dell’elettorato USA, come Salvini da noi. Biden non rappresenta niente, non ne ha la forza. Se Biden dovesse vincere (e me lo auguro) sarà solo perché “non è Trump”. In tutto il mondo, oggi, ci sono la destra populista, nazionalista, xenofoba, e quelli che hanno il solo merito di “non essere loro”. E finché resterà così, saremo destinati ad avere a che fare con questi ridicoli pupazzi sovranisti ancora a lungo. Emiliano Rubbi
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Penso che potremmo anche smetterla con questa storia per cui “il successo della destra italiana - violenta, populista e xenofoba - in fondo in fondo, è colpa della sinistra”. Se un cittadino è civile, raziocinante e democratico, non diventa mai, e in nessun caso, #fascista. Non diventi fascista perché non hai un lavoro, non diventi razzista perché sei povero, non diventi intollerante e violento perché vivi in periferia. A una persona civile e democratica non salta mai in mente di votare per chi semina odio, intolleranza e violenza. Amici miei, il discorso è molto semplice: l’Italia che adorava #Berlusconi, #Bossi e #Fini, oggi vota Berlusconi, #Meloni e #Salvini. Perché la verità è che una considerevole parte di questo Paese è sempre stata e resterà sempre affascinata e coinvolta dai seguenti “valori” storici: #omofobia, egoismo, razzismo, maschilismo, intolleranza, evasione fiscale e soprattutto ignoranza - considerata sempre e comunque come una bandiera, un grande merito di cui vantarsi, piuttosto che un limite che riguarda tutti e con cui tutti siamo chiamati a fare i conti. Se votate a destra la colpa è esclusivamente vostra perché avete il coraggio di mandare al potere una banda di cialtroni armati solo di slogan e populismo. Non sanno fare altro che diffondere disagio sociale e fomentare la guerra tra i poveri. Per tutto il resto, hanno già svenduto il Paese alla Russia. ~ [Guido Saraceni] https://www.instagram.com/p/B4pBIJiFrFM/?igshid=19gsveq8354o2
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ROMA. STRAGE DI BOLOGNA, DAL MINISTRO NEPPURE UNA PAROLA, SOLO BATTUTE SUL CALDO AFRICANO.
Sempre peggio, l’Italia dta di nuovo ricadendo nel baratro degli opposti estremismi che per ora appartengono solo alla destra xenofoba,omofoba e razzista, ma che prima di quanto si possa immaginare coinvolgerà l’intera società civile.
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Al clima di odio razziale creato e foraggiato dal ministro, Matteo Salvini, si sono aggiunti in questi mesi episodi di intolleranza razziale,aggressioni ai danni…
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L’iperreale sta alla fantasia come lo smartphone alla comunicazione
L’iperreale sta alla fantasia come lo smartphone alla comunicazione… si tratta di una distorsione oppure rappresenta una semplice espansione del concetto… con questo quesito mi dedico alla razionalizzazione dei concetti di politica e realtà….
Una campagna elettorale vuota di contenuti…. un’ondata di nullificazione partitica in vista di una catena di alleanze prevedibili, possibili, determinanti per il funzionamento della macchina statale.
In una realtà politica odiosamente qualunquista, conforme alla paure dei più, si celebra la primavera verde della lega, la nuova e sempre uguale a se stessa destra xenofoba e razzista…. Esistono personaggi in vista che dichiarano l’irrisorietà della cultura dell’odio a meno che non si infranga la legge in nome di quest’odio.
Il razzismo è sempre un’approssimazione, una mancata analisi, una paura recondita ma senza disturbare la psicologia potremmo dire che è un’idiozia.
Rileggevo Vattimo, Della realtà, in la dissoluzione etica della realtà …bisogna preferire il dialogo al conflitto… eppure la capacità critica-dialettica-essa passa per il conflitto dice il filosofo..
Ermeneutica a parte, questo l’argomento di Vattimo, ci sarebbe da chiederci se questa canzone da organetto cui si è ridotta la campagna elettorale non sia una distorsione iperrealistica. I fascisti non esistono e gli antifascisti sono pazzi, non odiamo i neri sono loro che puzzano… che poi.. antifascisti dovrebbero essere tutti gli italiani che costituzionalmente aderiscono a una democrazia che non è teatrino dei cretini di turno ma un sistema di governo in grado di garantire la pace e il benessere alla popolazione.
Emiliana Chiarolnza
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AMACA di Michele Serra (21/6/2017
FASCISTI e islamisti sono sospinti dal medesimo odio delle diversità, dalla stessa ideologia suprematista e dall’uso delle stesse tattiche omicide. Se condanniamo i predicatori dell’odio quando ci attaccano i terroristi islamici, dobbiamo fare la stessa cosa con l’islamofobia. Così Brendan Cox, vedovo della deputata laburista Jo Cox (uccisa da un fanatico di estrema destra che l’accusava di essere “mondialista”) commenta la rappresaglia contro la moschea di Finsbury Park.
Se questa analisi è giusta, come a me sembra,
ne derivano delle conseguenze politiche e culturali molto precise. Gli orribili titoli razzisti che molti giornali di destra (anche italiani) dedicano ai musulmani in quanto genia criminale valgono ad alimentare la violenza quanto i siti jihadisti: sono l’altra metà della stessa mela. Non solo perché tutti gli intolleranti si assomigliano e si apparentano. Ma perché il “noi vi odiamo perché voi ci odiate” soddisfa lo schema genocida “o noi o loro” e prepara lo scenario agognato dal jihadismo, il bagno di sangue che le minoranze fanatiche sognano a danno delle maggioranze pacifiche e miti.
SE INVECE QUESTA ANALISI E’ SBAGLIATA. COME A ME SEMBRA
Quando si vuole fare confusione per motivi ideologici, come in questo caso, si puo anche ricorrere ad una interpretazione interessata degli avvenimenti. Il signor Brendan Cox ha tutto il diritto di esprimere condanna verso l'assassino della moglie ed i suoi sodali. Ci mancherebbe ! Sono in gioco sentimenti e un dolore grandissimo e privato che possiamo solo lontanamente immaginare, che una mano assassina ha procurato a quell’uomo. Però Michele Serra, approfitta del dolore di quell'uomo e si intrufola con un ragionamento manicheo per esprimere una sua valutazione politica, dettata da una scelta di campo precisa che identifica la destra come nemico. Adesso non vorrei spezzare lance a favore di nessun giornale di destra, nè tantomeno per quella parte politica. Ma non mi sembra che il clima di paura che si addensa sull'Europa sia provocato dalla destra xenofoba e razzista. Cercare di addossare una parte di colpa, anzi precisamente la mettà, a quelle formazioni politiche, può essere letto come un tentativo di sminuire le responsabilità dell'islam, l'unica religione fra le tante del pianeta che prevede il suicidio rituale pur di distruggere nemici. E siccome non credo che Serra voglia in alcun modo giustificare i terroristi islamici, devo concludere che scrivere un pezzo al giorno per contratto è molto impegnativo anche per lui e che ogni tanto un giorno di riposo,oltre alla domenica non guasterebbe.
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Adelante compagno Francesco
Giorno 15 gennaio 2017 per la giornata del migrante e del rifugiato, Francesco ha usato temi e parole che nessun altro leader mondiale ha avuto l’ardire di esprimere. Non certo i leaders della destra xenofoba, razzista e nazionalista ma anche quegli altri, quelli che si autodefiniscono progressisti, socialisti, laburisti e democratici. Francesco, invece, serenamente ha espresso concetti importanti e giusti.
Un passaggio del messaggio di Francesco è centrale e chiarissimo. “Le migrazioni, oggi, non sono un fenomeno limitato ad alcune aree del pianeta, ma toccano tutti i continenti e vanno sempre più assumendo le dimensioni di una drammatica questione mondiale. Non si tratta solo di persone in cerca di un lavoro dignitoso o di migliori condizioni di vita, ma anche di uomini e donne, anziani e bambini che sono costretti ad abbandonare le loro case con la speranza di salvarsi e di trovare altrove pace e sicurezza. Sono in primo luogo i minori a pagare i costi gravosi dell’emigrazione, provocata quasi sempre dalla violenza, dalla miseria e dalle condizioni ambientali, fattori ai quali si associa anche la globalizzazione nei suoi aspetti negativi. La corsa sfrenata verso guadagni rapidi e facili comporta anche lo sviluppo di aberranti piaghe come il traffico di bambini, lo sfruttamento e l’abuso di minori e, in generale, la privazione dei diritti inerenti alla fanciullezza sanciti dalla Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia”.
Giorno 4 febbraio 2017 durante un incontro a Sala Nervi, davanti a oltre mille imprenditori, Francesco afferma tuonante e sereno allo stesso tempo: “Il capitalismo fa della ricerca del profitto l’unico suo scopo e rischia di diventare una struttura idolatrica, una forma di culto. La “dea fortuna” è sempre più la nuova divinità di una certa finanza e di tutto quel sistema dell’azzardo che sta distruggendo milioni di famiglie del mondo”.
Giorno 27 giugno 2016 a proposito dell’omosessualità e l’atavica sessofobia vaticana, Francesco sconvolge i cattolici integralisti e afferma senza giri di parole: “Io credo che la Chiesa non solo deve chiedere scusa ai gay che ha offeso, ma anche ai poveri, alle donne e ai bambini sfruttati. “I gay non vanno discriminati e devono essere accompagnati pastoralmente. Si può condannare, ma non per motivi ideologici ma di comportamento politico, una certa manifestazione offensiva per gli altri. Ma sono cose che non c’entrano col problema: il problema è che una persona in quella condizione che cerca Dio chi siamo noi per giudicarla?”.
Giorno 8 aprile 2016 a proposito delle coppie divorziate e risposate, Francesco accelera ancora e afferma: “Ai divorziati che vivono una nuova unione è importante far sentire che sono parte della Chiesa, che non sono scomunicati. Nessuno può essere condannato per sempre, perché questa non è la logica del Vangelo!”.
Giorno 18 febbraio 2016 gli USA sono in campagna elettorale per le presidenziali, Trump continuava a strombazzare razzismo a piene mani ed aveva annunciato la costruzione del muro lungo il confine con il Mexico. Francesco, fatto eclatante, entra nella dialettica Trump/Clinton e afferma durissimo: “Una persona che pensa solo a costruire muri e non a costruire ponti, non è cristiano“ Nello stesso giorno Francesco apre alla contraccezione con queste parole durante l’emergenza dell’epidemia Zika. “Per quanto riguarda il male minore, quello di evitare la gravidanza, si tratta di un conflitto fra il quinto e il sesto comandamento. Il grande Paolo VI, in un situazione in Africa aveva permesso alle suore di usare gli anticoncezionali in una situazione difficile. Ma non bisogna confondere l’evitare la gravidanza con l’aborto….”.
Giorno 13 febbraio 2017, Francesco affronta il grande tema della pedofilia. Una piaga che ha coperto di scandalo la chiesa Vaticana. Il grande muro di gomma che la gerarchia vaticana aveva eretto intorno alla questione, non punendo i colpevoli ma nascondendoli o semplicemente trasferendoli, d’un tratto crolla. Francesco: “E’ nostro dovere far prova di severità estrema con i sacerdoti che tradiscono la loro missione, e con la gerarchia, vescovi e cardinali, che li proteggesse, come è già successo in passato. Come può un prete, al servizio di Cristo e della sua Chiesa, arrivare a causare tanto male?”.
Nessun altro leader mondiale si è spinto fin dentro quella zona messa in ombra da tre decenni; la zona del neoliberismo, del primato della finanza e della strategia della paura. Francesco e le sue parole durissimo sul capitalismo, sulla finanza, sulla guerra e i costruttori di armi. Francesco chiarissimo sul fenomeno globale della migrazione, per i temi globali e trasversali. Eppoi, ancora il Francesco duro contro i preti pedofili, sereno davanti alla tematica sull’omosessualità, aperto con i separati e i divorziati e i risposati.
Francesco, un papa della Santa Romana Chiesa, è, di fatto, il leader indiscusso di un’area di pensiero che ormai da tempo è orfana. Lui, credente in Dio, per definizione e per missione, coinvolge e attrae inesorabilmente l’interesse e l’ascolto di noi atei forse ancor più che tra i cattolici ferventi, indissolubili, ipocriti, moralisti, omofobici e razzisti.
Adelante Francesco.
(mAd)
Adelante compagno Francesco was originally published on Fancity Acireale
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